INSEGNAMENTO DI
DIRITTO AMMINISTRATIVO
LEZIONE I
“L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA”
PROF.SSA IVANA MUSIO
DirittoAmministrativo
Lezione I
Indice
1 Organizzazione amministrativa: accentramento e decentramento ----------------------------- 3 2 Organizzazione diretta e indiretta. Decentramento ----------------------------------------------- 6 3 L’organizzazione amministrativa e l’azione amministrativa ------------------------------------ 8 4 Natura giuridica dell’organizzazione amministrativa ------------------------------------------ 10 5 Caratteri dell’organizzazione amministrativa. Funzioni --------------------------------------- 13 6 Le articolazioni delle funzioni------------------------------------------------------------------------ 14 7 Le attribuzioni dei poteri agli uffici----------------------------------------------------------------- 15 8 L’organizzazione amministrativa multiorganizzativa ------------------------------------------ 18 9 Organizzazione amministrativa: fonti nazionali e comunitarie ------------------------------- 22 Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 24 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Organizzazione amministrativa: accentramento e
decentramento
Sono due le formule organizzatorie che possono essere adottate nell’amministrazione di uno
Stato: l’accentramento ed il decentramento.
L’accentramento comporta l’attribuzione di gran parte dei poteri allo Stato centrale ed ai
suoi organi, senza lasciare spazio alle organizzazioni autonome e locali, le quali, rispetto allo Stato,
assumono un semplice rapporto di tipo gerarchico.
Il decentramento, consiste, invece, nell’attribuzione di compiti e poteri ad organi diversi da
quello centrale, in modo da consentire lo sviluppo delle autonomie locali e conseguenti attribuzioni
di responsabilità1.
Nel nostro ordinamento, ha trovato accoglienza la formula del decentramento, così come
enunciato dall’art. 5 Cost. quale criterio guida della legislazione, così come da ultimo ribadito anche
nel Titolo V della Parte II della Costituzione relativamente alle “Regioni, Provincie e Comuni”,
come novellato con la recente legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
Secondo la concezione più moderna per decentramento si intende il distacco di determinate
attribuzioni dalla sfera di competenza degli organi centrali dello Stato alla sfera di competenza di
enti locali ed autonomi.
Il decentramento riguarda ogni funzione dello Stato, per questo si parla di decentramento
politico (ex art. 117 Cost., in base al quale agli enti territoriali sono riconosciute funzioni di
indirizzo politico-amministrativo); di decentramento legislativo (ex art. 117 Cost., che riconosce
potestà legislativa alle Regioni); di decentramento giurisdizionale (con l’introduzione dei
Tribunali Amministrativi regionali (T.A.R.), come organi di giustizia amministrativa di primo
grado); di decentramento amministrativo (ex art. 118 Cost. novellato dalla legge n. 3/2001 che fa
riferimento al conferimento dei compiti e delle funzioni di natura amministrativa dallo Stato ai
poteri locali).
1
Su tutti, cfr., D. Valentini, Figure, rapporti, modelli organizzatori. Lineamenti di teoria dell’organizzazione, Padova,
1996, p. 7 e ss.
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In Italia il decentramento ha avuto una evoluzione o, per così dire, una espansione, lenta e
graduale, che ha cominciato ad esprimersi nel 1948 con l’avvento della Costituzione, ma che è
andata avanti con gli anni. In tal senso si pensi che negli anni ’70 e precisamente con la legge n. 281
del 1970 e la legge n. 382 del 1975 si è avuta l’auspicata istituzione delle regioni a statuto
ordinario.
Altro passaggio fondamentale che ha visto consacrare le autonomie locali è rappresentato
dalla legge n. 142 del 1990 che ha riconosciuto l’autonomia statutaria dei comuni e la possibilità per
essi di gestire servizi, svolgere compiti ed attività attraverso la creazione di società miste ed aziende
speciali. Inoltre sono stati rivitalizzati importanti istituti di partecipazione popolare, quali, ad
esempio, la partecipazione ai procedimenti, il referendum, la figura del difensore civico, ecc.2
In questo iter legislativo proteso a favorire il decentamento amministrativo assume un ruolo
fondamentale anche la c.d. legge Bassanini (legge n. 59 del 1997) ed i successivi decreti attuauativi
ed integrativi che hanno posto le basi per quella che è stata definita la riforma dello Stato in senso
federalistico a Costituzione invariata. La novità di tale riforma sta nell’aver attribuito rilevanza al
“principio di sussidiarietà” in base al quale tutti gli interessi ed i bisogni funzionalmente e
territorialmente localizzabili in capo ad una comunità che se ne fa portatrice entro un certo ambito
territoriale, vanno amministrati da quegli enti che ne sono rappresentativi e solo laddove essi non
possono provvedervi per l’estensione di tali interessi o per inadeguatezza dei mezzi predisposti,
possono subentrarvi gli enti maggiori (Regioni e Stato). Tale quadro normativo ha imposto un
riordino globale dell’assetto organizzativo di tutte le pubbliche amministrazioni al fine di garantire
l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa, concetti che saranno chiariti ed
approfonditi in seguito.
In altri termini il decentramento è un principio organizzativo che può trovare applicazione in
tutte le organizzazioni complesse e si attua tutte le volte in cui gli uffici che esercitano
servizi pubblici vengono dislocati nel luogo più prossimo agli utenti, anziché concentrati
nella sede centrale.
Il decentramento consiste nell’attribuzione di compiti e poteri ad organi diversi da quelli
centrali, esso favorisce lo sviluppo delle autonomie locali al fine di garantire una maggiore
incisività dell’azione amministrativa; a tal scopo il decentramento amministrativo è:
2
A. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1996, p. 4 e ss.
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Autarchico: quando le funzioni vengono trasferite ad enti diversi dallo Stato e dotati,
appunto di autarchia, cioè della capacità di porre in essere atti amministrativi che abbiano la stessa
natura e la stessa efficacia degli atti statali.
Burocratico: quando agli uffici periferici vengono trasferite potestà decisionali, con relative
responsabilità, e non solo compiti preparatori o esecutivi.
Funzionale: quando determinate funzioni vengono attribuite a strutture predefinite che, pur
rimanendo assorbite nella organizzazione di riferimento, godono di una importante autonomia
operativa, finanziaria e contabile.
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2 Organizzazione diretta e indiretta.
Decentramento
Gli Stati, nell’organizzare la loro amministrazione, oltre che operare attraverso propri organi
(c.d. amministrazione diretta) possono anche avvalersi dei mezzi, degli organi e delle attività di
altre persone giuridiche, alle quali viene riconosciuta un’ampia autarchia (cioè la capacità di porre
in essere atti amministrativi che abbiano la stessa natura ed efficacia degli atti posti in essere dallo
Stato); questo tipo di forma di amministrazione viene detta indiretta perché sotto l’aspetto
soggettivo è direttamente imputata alle persone giuridiche, diverse dallo Stato, che sono considerate
pubbliche per le potestà di cui sono titolari e per i fini pubblici che perseguono.
In linea di sintesi si può dire che l’organizzazione amministrativa diretta di divide in:
a)
Centrale che comprende:
• tra gli organi attivi: il Presidente della Repubblica, il Governo, i Ministri, i Comitati
interministeriali;
• tra gli organi consultivi: il Consiglio di Stato, il CNEL, l’Avvocatura dello Stato;
• tra gli organi di controllo: la Corte dei Conti
b)
Periferica che pur dipendendo dall’amministrazione centrale, realizza un
decentramento organico-burocratico attraverso il distacco di determinate attribuzioni ad organi
amministrativi periferici che operano localmente quali appendici dell’organizzazione centrale.
L’organizzazione amministrativa indiretta è costituita da un complesso di enti pubblici
che si affiancano allo Stato nello svolgimento di attività amministrative. Essa è:
• indiretta, in quanto si attua attraverso soggetti giuridici (enti pubblici) diversi dallo
Stato
• è decentrata autarchicamente in quanto gli enti non sono gerarchicamente
dipendenti da organi statali, ma sono soggetti titolari di poteri amministrativi e di
auto-amministrazione, con un certo grado di autonomia.
Tale decentramento è definito:
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• territoriale perché si attua attraverso enti territoriali minori (Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni)
• istituzionale perché si attua attraverso enti istituzionali, dei quali il territorio non è
elemento costitutivo.
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3 L’organizzazione amministrativa e l’azione
amministrativa
Con l’espressione “organizzazione amministrativa” si vuole intendere:
1. il complesso dei soggetti e delle strutture che svolgono attività di pubblica
amministrazione.
2. Lo svolgimento dell’attività organizzativa posta in essere dai pubblici poteri.
Nella prima accezione del termine si dà rilevanza ai profili strutturali, in quanto
l’organizzazione viene concepita come un apparato in termini meramente soggettivi. In tal senso si
fa riferimento alle singole strutture organizzative: i Ministeri, il Governo, i Comitati
interministeriali, l’Azienda autonoma, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, le Conferenze
Permanenti, l’Avvocatura dello Stato e così via.
Nella seconda accezione, invece, prevalgono i caratteri funzionali e dinamici
dell’organizzazione amministrativa, dunque, vengono in evidenza gli strumenti attraverso i quali si
esplica l’attività
amministrativa. In tale senso assume, allora, rilevanza l’elemento oggettivo, come, tra
l’altro: i regolamenti, gli statuti, gli atti amministrativi.
E’ necessario sottolineare, tuttavia, che non sempre l’organizzazione amministrativa svolge
attività amministrativa, così come, di controverso, l’attività amministrativa non sempre viene svolta
dall’organizzazione pubblica; esempio della prima fattispecie può essere l’attività svolta dalle
autorità indipendenti, mentre la seconda ipotesi può essere rappresentata dall’attività esercitata dai
magistrati ordinari che svolgono le funzioni amministrative.
L’organizzazione amministrativa va concepita come un complesso d’uffici intesi sia nella
loro individualità che nei loro collegamenti, come un insieme di persone e mezzi, predisposti per
curare gli interessi generali della collettività.
Di conseguenza l’assetto organizzativo si modella in relazione alle finalità che deve
perseguire così come le strutture amministrative assumono una posizione attiva nel processo di
soddisfacimento dei pubblici interessi fino a coordinare, disciplinare e indirizzare l’azione
amministrativa.
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In questa ottica si comprende come l’istituzione di un ufficio, la sua qualificazione giuridica,
l’adozione di uno specifico regime organizzativo, le definizioni della sua sfera di competenza, sono
tutti elementi che vanno ad incidere profondamente sull’attività amministrativa.
In altri termini l’organizzazione amministrativa è alla base dell’esercizio dell’attività
dell’Amministrazione e ne condiziona il buon funzionamento ed il raggiungimento dei risultati.
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4 Natura giuridica dell’organizzazione
amministrativa
La dottrina più recente ha mostrato un forte interesse per i caratteri funzionali e dinamici
dell’organizzazione amministrativa vale a dire relativamente agli strumenti attraverso cui si esplica
l’attività pubblica.
Secondo gli ultimi orientamenti dottrinali, infatti, è importante soffermare l’attenzione sui
servizi erogati dalla pubblica amministrazione ed in questa ottica assumono rilevanza le norme
organizzative in grado di incidere sulle situazioni soggettive, in quanto tali norme organizzative
attribuiscono poteri agli uffici e, quindi, condizionano la posizione giuridica che questi vengono ad
avere tra loro e rispetto ai cittadini.
L’organizzazione amministrativa assume, quindi, una forte incidenza nell’ambito del diritto
amministrativo e la sua analisi risulta particolarmente complessa in considerazione della varietà
degli strumenti e delle differenti modalità che permettono di esercitare la funzione tipica dell’azione
pubblica.
Prima, però, di proseguire l’esame dell’organizzazione amministrativa va detto che è assai
diffuso nella prassi giuridica utilizzare l’espressione “pubblica amministrazione” per intendere
“l’organizzazione amministrativa”, tale inciso è dovuto sia per spiegare qual è l’incidenza
dell’organizzazione amministrativa nell’ambito dello studio del diritto amministrativo, sia per
specificare che nel prosieguo di tale dispensa la scrivente utilizzerà entrambe le espressioni quali
sinonimi.
Per lungo tempo la dottrina italiana ha identificato l’organizzazione amministrativa con gli
organi dell’amministrazione3: la c.d. teoria dell’organo; di conseguenza l’attenzione è stata rivolta
non al problema dell’organizzazione nel suo complesso ma a quello dell’organo.
Secondo tale teoria la P.A. viene considerata in modo unitario, cioè come un unico soggetto
e poiché l’organo non ha una propria materialità, in quanto è persona giuridica, risulta che è una
entità fittizia che per poter svolgere concretamente la propria attività ha bisogno di strumenti idonei
3
In argomento si veda G. Marongiu, Organo e ufficio, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 560 e ss.
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per esprimersi, quali le persone fisiche che, di solito, agiscono attraverso un rapporto mediato e cioè
attraverso la figura dell’organo.
Gli interpreti della teoria dell’organo sostengono che, poiché lo Stato è la persona giuridica
per eccellenza, da cui derivano e sono legittimati tutti i soggetti dell’ordinamento, allora
l’organizzazione amministrativa altro non sarebbe che un insieme di organi che operano quali
organi dello Stato.
L’orientamento dottrinale più recente, tuttavia, ha criticato ed abbandonato la “teoria
dell’organo” ritenendola contraddittoria e non conforme al diritto positivo4.
Tre sono state prevalentemente le critiche mosse alla teoria dell’organo; in primis che il
rapporto tra ente e persona fisica non determina completa identificazione della persona con l’ente
stesso, di conseguenza la volontà del soggetto viene espressa da una astrazione che si pone tra l’ente
stesso e la persona fisica.
In secondo luogo, con riferimento all’imputazione dell’attività, va detto che non è corretto
affermare che tutta l’attività svolta dall’organo va riferita allo Stato, in quanto vi sono ipotesi di
responsabilità personale dell’individuo titolare dell’organo, pertanto, in taluni casi, l’organo non fa
parte dello Stato.
Infine vi è l’aspetto delle relazioni giuridiche tra organi.
Com’è noto, agli organi non è riconosciuta la personalità giuridica e, dunque, gli organi non
possono dare vita a rapporti giuridici in quanto non sono titolari di situazioni giuridiche soggettive;
sulla base di tale constatazione si deduce che non possono esistere né rapporti di immedesimazione
organica tra l’organo ed il titolare, né relazioni interorganiche.
Tutti e tre questi profili dimostrano che la teoria organica è lacunosa ed inoltre non risulta
neanche sostenuta dal diritto positivo.
Infatti, nell’esperienza legislativa contemporanea si sono affermati modelli organizzativi
complessi che non fanno riferimento allo Stato, ma ad una pluralità di persone giuridiche.
4
Cfr. su tutti: S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, IV ed., Milano, 2000, p. 159 e ss.; S. Romano, Corso di
diritto amministrativo, Padova, 1930, I, p. 103; V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune
sue applicazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, p. 825 e ss.
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In via di sintesi, dunque, l’organizzazione amministrativa non va identificata con un organo,
ma va esaminata nel suo complesso.
Del resto occorre sempre ricordare che le amministrazioni pubbliche sono costituite per
tutelare gli interessi della collettività e devono perseguire detta finalità; proprio per realizzare tale
scopo le norme attribuiscono singole e tipiche funzioni ad ogni autorità amministrativa,
individuandone l’ambito di intervento5.
Con ciò si afferma che il legislatore definisce ed ordina l’attività amministrativa finalizzata a
scopi predeterminati e solo successivamente assegna ad una certa organizzazione i poteri ed i mezzi
necessari per realizzare tale finalità.
5
Tale aspetto è stato trattato da C. Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.
Cassese, Diritto amministrativo generale, Milano, 2003, p. 270.
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5 Caratteri dell’organizzazione amministrativa.
Funzioni
Affinché possa aversi un’organizzazione amministrativa devono esistere almeno tre
elementi: le funzioni, le articolazioni delle funzioni, la distribuzione dei poteri agli uffici.
Con il termine funzione, in questo caso, si intende il compito o il complesso di compiti che
vengono attribuiti ad un ufficio e che rappresentano la ragion d’essere di ogni amministrazione
pubblica6.
Di regola, per poter individuare la funzione occorre fare riferimento alla materia, alle
attribuzioni ai fini ed ai destinatari, cioè ad uno soltanto dei fattori ora indicati.
Vi sono analisi che considerano in via principale le materie, altre che si soffermano
maggiormente sulle attribuzioni, altre, ancora, che evidenziano soprattutto i fini.
Appare preferibile, tuttavia, utilizzare un criterio di classificazione che consideri la
questione unitariamente ed infatti, la ripartizione delle funzioni tra uffici differenti offre garanzie
per un’azione imparziale ad opera della pubblica amministrazione.
Solitamente la materia definisce, attraverso legge, il campo di operatività
dell’amministrazione.
Le attribuzioni determinano, invece, l’insieme dei compiti conferiti ad un ufficio in ordine
ad una materia. Si fa il caso, per esempio, dell’assistenza sanitaria dove alcune amministrazioni
provvedono alla diagnosi ed alla cura delle malattie, mentre altre si limitano alla loro prevenzione.
Attraverso i fini si suole precisare quello che è lo scopo complessivo dell’ufficio, a
prescindere dai singoli atti: è il caso delle protezioni sociali attraverso l’assicurazione ai lavoratori
in caso di infortunio e malattia.
I destinatari rappresentano, infine, i soggetti (individuati o meno, presi singolarmente o in
gruppi) ai quali si rivolge l’azione amministrativa.
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6 Le articolazioni delle funzioni
L’articolazione delle funzioni fa in modo che le funzioni vengono distribuite tra gli uffici i
quali, a loro volta, si strutturano in base a quella che è la complessità delle funzioni7.
In altri termini l’organizzazione amministrativa viene definita in relazione alle funzioni
espletate in quanto ogni amministrazione è concepita sulla base di un disegno ordinatore che
prevede, appunto, la ripartizione di singole funzioni rispetto ai differenti moduli organizzativi8.
Il principio dell’articolazione delle funzioni è sancito, tra l’altro, nell’art. 97 della
Costituzione ove si esprime il concetto di imparzialità ed, infatti, la ripartizione delle funzioni tra
uffici differenti offre garanzia per un’azione imparziale ad opera della pubblica amministrazione.
L’articolazione delle funzioni si realizza attraverso due criteri fondamentali. Il primo è
quello delle materie in base al quale le funzioni vengono ripartite ed attribuite dalla legge ad un
determinato soggetto.
Altro criterio è quello delle attribuzioni: in questo caso la stessa materia spetta a soggetti
diversi ma ne variano i compiti.
A questo tipo di distribuzione delle funzioni si ispirano i rapporti tra centro e periferia al fine
di garantire differenti livelli di governo (Unione Europea, Stato, Regioni ed Enti locali), evitando,
allo stesso tempo, la separazione.
6
Cfr. S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, cit., p. 121 e ss.; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo,
Milano, 1950, p. 11 e ss.; S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, cit., p. 260 e ss.; A.M.
Sandulli, Il diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 78 e ss.
7
Sul punto F. Pizzorusso, Organizzazione dei pubblici poteri, in Enc. Dir., XXXI, Milano, 1981, p. 151 e ss.
8
Si veda, tra gli altri, G. Guarino, Sull’utilizzazione di modelli differenziati nell’organizzazione pubblica, in Scritti di
diritto pubblico dell’economia, Milano, 1970, p. 7 e ss.
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7 Le attribuzioni dei poteri agli uffici
L’ultimo elemento dell’organizzazione amministrativa è la distribuzione dei poteri agli
uffici. Questa è una previsione necessaria, altrimenti gli uffici non sarebbero nelle condizioni di
operare.
Per comprendere il terzo ed ultimo elemento, cioè l’attribuzione dei poteri agli uffici, è
necessario collegarsi al concetto di competenza. Con il termine competenza si indica il complesso
di poteri riconosciuti ad un ufficio e da esso esercitati9; essa ha, pertanto una funzione delimitativa
poiché individua il quantum, ossia la misura delle attribuzioni spettanti ad un ufficio.
Nel diritto amministrativo il principio della competenza trova consacrazione nell’art. 97
Cost. che, tra l’altro, fa comprendere che il principio di competenza trova il suo fondamento nel
principio di buona amministrazione, in quanto mira a realizzare i criteri dell’efficacia e della
specializzazione nel campo dell’attività amministrativa.
Di regola la distribuzione della competenza tra i vari uffici si realizza facendo riferimento
alla materia, al grado e al territorio.
Con riguardo alla materia, da un lato, vi sono uffici a cui è riconosciuta una competenza
generale estesa a tutte le materie proprie di una determinata funzione, si pensi al Consiglio di Stato
in sede consultiva; dall’altro, uffici che hanno una competenza limitata, è il caso degli uffici
scolastici regionali.
In relazione al territorio, si ha competenza territoriale qualora un ufficio possa esercitare i
propri poteri esclusivamente nei limiti della propria circoscrizione territoriale10.
Infine, per quanto attiene il grado, si presuppone identità di competenza per materia e per
territorio e si pone, quindi, nell’ambito di uno stesso ramo dell’amministrazione; si fa riferimento a
tale criterio quando, a parità di competenza di materia, questa sia ripartita tra gli uffici in maniera
diversa. In pratica, in base alle attribuzioni per grado viene a formarsi una piramide ideale.
9
Per approfondire il tema della competenza si veda G. Orsoni, Competenza e amministrazione, Padova, 1990.
10
Cfr. M. Scudiero, Il concorso di competenze tra enti pubblici nelle materie degli artt. 116 e 117 della Costituzione ed
il buon andamento della Pubblica Amministrazione, in Econ. Dir. terziario, 1991, p. 346 e ss.
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La competenza è disposta dalla legge ed attribuisce gli specifici poteri ad un ufficio, il quale
è tenuto ad esercitarli.
La competenza, quindi, non può essere derogata, salvo che in ipotesi espressamente
previste11. Esistono, infatti, determinati istituti mediante i quali, con provvedimento amministrativi,
nei casi previsti dalla legge si determina lo spostamento dell’esercizio di essa. Tali istituti sono:
l’avocazione, la sostituzione e la delega.
L’avocazione avviene da parte dell’organo gerarchicamente superiore nei confronti
dell’affare di cui è competente l’organo inferiore. Il potere di avocazione esiste solo in presenza di
un rapporto di gerarchia e non può mai essere esercitato quando l’atto è rimesso dalla legge alla
competenza esclusiva dell’organo inferiore.
La sostituzione avviene in caso di inerzia di un organo gerarchicamente inferiore. In tale
ipotesi l’organo di grado superiore si sostituisce ad esso e compie un atto vincolato.
Per aversi sostituzione occorre che12:
a) esista un rapporto di gerarchia tra il sostituto (superiore) ed il sostituto (inferiore);
b) l’organo inferiore abbia ingiustificatamente omesso di provvedere alla emanazione di
un provvedimento;
c) il provvedimento da emettere sia un atto vincolato nell’emanazione;
d) l’organo inferiore sia rimasto inerte anche dopo la formale diffida ad adempiere
fattagli dal superiore;
e) vi sia una previsione di legge.
La delega avviene da parte dell’organo titolare del potere che trasferisce tale suo potere ad
un altro organo amministrativo. La delega di poteri, comporta, quindi, il trasferimento dell’esercizio
del potere da un organo ad un altro ed è ammissibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge
e deve essere sempre conferita per iscritto. La delega, inoltre, trasferisce dal delegante al delegato
non la titolarità del potere, ma solo l’esercizio di esso, e titolare resta sempre il delegante. Per
effetto della delega il delegato si viene a trovare nella posizione del delegante e, per questo, è
direttamente responsabile.
11
In tema di competenza si veda P. Gasparri, Competenza in materia amministrativa, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, p.
788
12
P. Virga, Diritto amministrativo, vol. III, Amministrazione locale, Milano, 1988, p. 35 e ss.
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Il delegante, in ogni caso, nei confronti del delegato può:
• imporgli direttive relativamente agli atti da compiere nell’esercizio della delega;
• sostituirsi al delegato in caso di inerzia di questo nell’esercizio del potere delegato;
• annullare, in via di autotutela, eventuali atti illegittimi posti in essere dal delegato;
• revocare la delega.
Quanto ai tipi di delega esiste:
• Delega interorganica che si ha quando la delega avviene da un organo ad un altro
della stessa struttura amministrativa;
• Delega intersoggettiva che si ha quando detta delega avviene tra soggetti diversi.
La cessione di competenza dal centro alla periferia trova riscontro anche nel dettato
normativo, ed, infatti, esplicitamente il legislatore, nell’art. 1 della legge 59/199713, per indicare la
dismissione di funzioni amministrative a favore delle Regioni e degli enti locali usa il temine
conferimento e chiarisce che “per conferimento si intende trasferimento, delega o attribuzione di
funzioni e compiti”.
Dunque, il meccanismo della cessione di poteri statuali verso le periferie è molteplice. A
discrezione del legislatore che potrà adottare uno dei tre criteri.
Per trasferimento si intende la definitiva dismissione di competenze da parte dello Stato ad
un ente locale.
Per delega si intende una cessione, a tempo indeterminato ma revocabile, di esercizio di
poteri dello Stato a favore di un ente locale.
Con l’espressione attribuzione di funzioni e compiti si intende o l’asseganzioni di
competenze nuove, costituite appositamente in occasione del ridisegno delle strutture organizzative
o, più in generale, lo stesso conferimento con significato residuale e generico14.
13
Cfr. C. Pinelli, in C. Desideri e G. Meloni, (a cura di) Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme.
Interpretazioni e attuazioni della legge 59/97, Milano, 1998, p. 181.
14
Sul punto si veda F. Garingella, Corso di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2006, p. 800 e ss.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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8 L’organizzazione amministrativa
multiorganizzativa
Dall’unificazione dell’Italia ad oggi, si è assistito, ed è fisiologico, ad una trasformazione
dell’organizzazione amministrativa dello Stato.
Se immediatamente dopo l’unificazione italiana l’organizzazione amministrativa dello Stato
è di tipo monista, cioè la pubblica amministrazione si riconosceva prevalentemente nello Stato,
mancando una struttura amministrativa complessa, con l’andare del tempo, invece, le cose
andavano modificandosi. Già alla fine dell’ottocento, a causa del progressivo aumento delle
funzioni pubbliche, si verificavano trasformazioni significative, che contribuivano al progressivo
affermarsi del pluralismo amministrativo.
In definitiva, con il passare degli anni, lo Stato perde gradualmente l’unità originaria e si
trasforma in un ente ad amministrazione disaggregata.
Ciò determina che non c’è più un unico organo destinato ad esprimere la volontà in sede
amministrativa, bensì una pluralità.
Inoltre, accanto alle varie amministrazioni statali, vengono ad assumere rilevanza altri poteri
pubblici, da ultimo, quelli sopranazionali, come l’Unione Europea, che agisce seguendo itinerari
diversi, sicchè si moltiplicano le strutture, le funzioni diventano eterogenee, si producono più
facilmente conflitti e vengono introdotti nuovi meccanismi di coordinamento.
Tutta questa situazione ha segnato una marcata evoluzione dell’assetto organizzativo della
pubblica amministrazione italiana: da uno Stato ad organizzazione compatta, cioè ispirato ad un
ordinamento di tipo gerarchico si è passati ad uno Stato ad organizzazione reticolare, articolato su
più poli, collocati in aree diverse, regionali, statali e sopranazionali. Per questi motivi si è parlato di
“amministrazione multiorganizzativa”15.
15
Così si è espresso C. Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, cit., p.
270.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Tale nuova fisionomia dell’organizzazione amministrativa trova, tra l’altro, esplicito
riferimento nella costituzione italiana sia in via diretta con l’art. 97, che in via indiretta, artt. 5 e
114, 99 e 100 Cost.
In particolar modo, l’art. 97 Cost. rappresenta la fonte primaria dell’organizzazione
amministrativa ed individua nella legge la fonte più importante per quanto attiene l’organizzazione
pubblica. Da ciò se ne deduce che l’istituzione, la modifica e la soppressione degli uffici ed il loro
assetto organizzativo spettano al Parlamento attraverso atti normativi.
Con riferimento, invece, agli uffici interni è necessario l’intervento del Governo, attraverso
normativa c.d. secondaria.
Per quanto riguarda gli artt. 5 e 114 Cost. essi affermano e tutelano rispettivamente il
principio di decentramento e quello di autonomia degli enti locali territoriali; gli artt. 99 e 100
Cost., invece, garantiscono l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti,
costituendo, inoltre, una ulteriore conferma della dissoluzione della funzione centralizzata dello
Stato ed, allo stesso tempo, affermando il nuovo sistema multiorganizzativo.
Suddette disposizioni costituzionali, dunque, rappresentano i principi portanti che sono alla
base della funzione organizzativa dell’amministrazione, anche se non sono i soli principi ispiratori,
ed, infatti, ne esistono anche altri che si caratterizzano anch’essi per il loro carattere generale.
Si pensi, ad esempio, al citato principio di sussidiarietà stabilito dall’art. 5 tr. CE, in base
al quale una istituzione di rango superiore può intervenire al posto di un’altra di livello inferiore
soltanto qualora quest’ultima non sia in grado di svolgere in modo adeguato i propri compiti in
quanto “gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati, di modo
che, per le dimensioni e per gli effetti, l’azione della prima risulta preferibile”. In Italia tale
principio è assurto a partire dalla legge n. 59 del 1997, “legge Bassanini”, come criterio guida del
decentramento, individuando le funzioni ed i compiti amministrativi trasferiti dallo Stato alle
Regioni ed agli enti locali16.
Altro principio inspiratore della distribuzione delle funzioni amministrative è quello
dell’adeguatezza, così come si deduce dalla lettura dell’art. 118 Cost., che, però, non definisce
esplicitamente il concetto. Tale principio viene, invece, definito dalla legge n. 59/1997 la quale
16
Cfr. R. Galli e D. Galli, Corso di diritto amministrativo, IV ed., Milano, 2004, p. 186 e ss.; C. Cassetta, Manuale di
diritto amministrativo, Milano, 2001, p. 80 e ss.
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stabilisce che attribuire il conferimento di funzioni e compiti ad un ufficio, va fatto in maniera da
garantire, sul piano organizzativo, l’espletamento dell’esercizio. Tale principio presenta indubbi
punti di contatto con il principio di efficienza dell’azione amministrativa, rispetto alla quale, però, si
distingue perché l’adeguatezza attiene specificamente al profilo dell’organizzazione dell’ente.
Vige, inoltre il principio della differenziazione (si veda art. 4 legge n. 59 del 1997) in virtù
del quale l’allocazione delle funzioni deve essere realizzata tenendo conto delle diverse
caratteristiche, anche territoriali, strutturali, demografiche degli enti; su vuole così scongiurare il
conferimento di compiti che risulterebbero solamente velleitari, cioè puramente formali, ma non
realizzabili in concreto in quanto incapaci di adattarsi alle caratteristiche ed alla struttura degli enti.
Oltre i principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione si possono
individuare, poi, ulteriori principi relativi all’organizzazione amministrativa. Si tratta in primo
luogo dei principi di efficienza e dell’economicità ai quali, tra l’altro, fa espresso riferimento l’art.
7 della legge n. 131 del 2003. Tali due principi, insieme a quelli dell’efficacia e della trasparenza
sono ormai un tutt’uno con l’agire dell’amministrazione pubblica e sono individuabili anche negli
artt. 2 e 4 del D.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 ed ora ribaditi negli artt. 2 e 5 del D.lgs. n. 165/2001,
secondo cui le amministrazioni pubbliche devono definire la propria organizzazione in modo da
assicurare la realizzazione del pubblico interesse ad opera dell’azione amministrativa e garantire,
nello stesso tempo, la funzionalità rispetto ai compiti ed ai programmi.
Il principio di omogeneità, poi, è adottato al fine di creare unità organizzative preposte alla
cura di compiti e funzioni omogenei, connessi o complementari, previa razionalizzazione e
successivo accorpamento dell’attività svolta.
I principi ispiratori dell’organizzazione amministrativa sono, inoltre, individuabili anche
negli artt. 2 e 4 del D.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 ed ora ribaditi negli artt. 2 e 5 del D.lgs. n.
165/2001, secondo cui le amministrazioni pubbliche devono definire la propria organizzazione in
modo da assicurare la realizzazione del pubblico interesse ad opera dell’azione amministrativa e
garantire, nello stesso tempo, la funzionalità rispetto ai compiti ed ai programmi.
In linea di sintesi si può riepilogare, dunque, dicendo che il principio che ispira
l’organizzazione amministrativa italiana è il decentramento così come si deduce dal citato art. 5
della Costituzione: “La Repubblica una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali,
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attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
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9 Organizzazione amministrativa: fonti nazionali e
comunitarie
Tutti i principi fin qui enunciati sono comuni all’organizzazione dei pubblici poteri, tuttavia
con ciò non si vuol dire che tale organizzazione sia disciplinata in modo uniforme sempre e
comunque. Tanto ciò è vero che la diversità organizzativa delle strutture determina una notevole
diversificazione delle norme che ne sono alla base in relazione alla natura, alla forza ed al
contenuto.
Nel complesso la disciplina positiva dell’organizzazione amministrativa è contenuta,
seppure se non esclusivamente, in atti normativi (primari e secondari) ed atti amministrativi17.
Leggi ed atti avente forza e valore di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali
dell’organizzazione, vale a dire: l’istituzione, la struttura di base, le attribuzioni e le competenze
degli organi.
Tale concetto è espresso in maniera inequivocabile nel citato art. 97 Cost. che attribuisce al
legislatore il potere di tracciare i profili sostanziali dell’organizzazione pubblica.
Al Governo, invece, tocca delineare i soli aspetti settoriali e di dettaglio della disciplina
organizzativa degli uffici.
Tra gli atti normativi di carattere secondario, invece, rientrano, in primo luogo i regolamenti
statali, si pensi all’art. 17, comma I, lett. d) della L. 23 maggio 1988 n. 400 che tratta dei
regolamenti governativi e di quelli ministeriali, stabilendo, in particolare, che con essi si può
disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
Vi sono, poi, i regolamenti degli enti pubblici, espressione della potestà organizzativa loro
attribuita dalla legge, nonché gli statuti, cioè quegli atti che ne definiscono le principali regole di
organizzazione e di funzionamento.
Di recente si è andata affermando la tendenza ad attribuire agli enti pubblici il potere di
creare norme organizzative, non solo al fine di accentuare e realizzare gli ambiti di autonomia già
previsti dalla Costituzione, ma anche per introdurne dei nuovi (si pensi, per esempio, all’art. 6,
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comma I, L. 168/1989 che ha stabilito, tra l’altro, che le università possono darsi ordinamenti
autonomi con propri statuti).
Anche altri atti, inoltre, possono essere rilevanti per l’organizzazione amministrativa; è il
caso delle c.d. “ordinanza di servizio” che sono atti amministrativi che definiscono un ufficio,
determinando le sue incombenze, individuando il/i soggetti che lo devono gestire assegnando le
risorse e così via.
Altre volte si può ricorrere ad atti di natura convenzionale, quando si tratta di scelte che
coinvolgono più soggetti.
Tali atti hanno, comunque, rilevanza esterna, è il caso, per esempio, degli accordi previsti
dall’art. 34 del D.lgs. 267/2000 (c.d. Testo unico enti locali) per la realizzazione di opere e di
interventi che richiedono l’azione integrata di Comuni, Province e Regioni, di Amministrazioni
statali e di altri soggetti pubblici; altro caso è quello dell’art. 31 dello stesso D.lgs. 267/2000 che
prevede la costituzione di consorzi tra Comuni e Province per la gestione associata di uno o più
servizi.
Norme di organizzazione sono contenute anche in atti comunitari, si pensi al caso
dell’organizzazione comune dei mercati agricoli per quel che riguarda gli organismi nazionali di
intervento, secondo cui la normativa comunitaria stabilisce che gli Stati membri devono istituire
strutture specifiche per la realizzazione delle misure di intervento di volta in volta previste.
Tra le fonti dell’organizzazione amministrativa, infine, rientra anche la prassi.
Spesso, infatti, adeguarsi alla realtà delle disposizioni di natura organizzativa si realizza, di
fatto, diminuendo, pertanto, il livello di penalizzazione delle scelte organizzative, la prassi viene ad
assumere una funzione di integrazione del contenuto delle norme, assurgendo, così, a strumento di
svolgimento dell’azione dei pubblici poteri.
17
C. D’Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Nuova
edizione del commentario al D.lgs. 29/1993, a cura di F. Carinci e M. D’Antona, Milano, 2000.
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1950, 11 e ss.
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