progetto libere - te lira - free.
il presente volume
intende presentare
le attività realizzate
nell’ambito del progetto
libere – te lira – free,
rivolgendosi sia
ad un pubblico di esperti
ed esperte in materia
di traffico di persone
a fini di sfruttamento
sessuale, sia ad
un pubblico più vasto
composto da operatori
ed operatrici
di enti di formazione,
docenti, amministratori
ed amministratrici…
progetto libere – te lira – free
finanziato dalla Regione Piemonte
con il contributo del Fondo Sociale Europeo 2000/ 2006
obiettivo 3 POR Piemonte, Asse E Misura E1 Linea 4.2.2
maggio 2003 - maggio 2004
Soggetto capofila
Provincia di Torino – Assessore alle Pari Opportunità
Laura Vinassa, Grazia Coraci, Giulia Manassero, Carmela Mongelli
Partners
Città di Torino, Città di Moncalieri. Associazione Compagnia delle Opere,
Associazione Gruppo Abele, Associazione Tampep O.N.L.U.S., Casa di Carità
Arti e Mestieri, Cicsene, Confcooperative Unione Provinciale di Torino, S.&T.
Scarl, Ufficio per la Pastorale dei Migranti Curia Arcidiocesana, Università degli
Studi di Torino
Comitato di pilotaggio
APID - Associazione Promozione Donna, Comando Provinciale dell’Arma dei
Carabinieri, Confartigianato Torino, Consulta Femminile Comunale di Torino,
Consulta Femminile Regionale del Piemonte, CGIL, CISL, UIL, CNA Torino,
Prefettura di Torino, Procura della Repubblica di Torino, Questura di Torino,
Zonta International
Coordinamento del progetto
Martina Sabbadini – Silvia Venturelli (S.&T. Scarl)
Hanno collaborato al progetto
Grace, Giuliana Anziano, Liliana Avena, Cristina Bacino, Franca Balsamo,
Alessia Bondone, Fabiana Brega, Alessandra Brogliatto, Blerime,
Malvina Cagna, Stefanella Campana, Elisabetta Cipriani, Salvatore Collura,
Demis Curciarello, Luisa D’Alto, Laura Emanuel, Mariateresa Wally Falchi,
Paola Ferrari, Geta, Carmen Giordano, Yovka, Maria Katia La Loggia,
Candida Lia, Paolo Lubrano, Simona Meriano, Flavia Mulè, Roberto Necco,
Giulia Nomis, Ester, Angela Orlando, Daniela, Alberta Pasquero, Constance,
Davide Petrini, Franco Prina, Nicola Rondolino, Giorgio Rosso,
Francesco Scavo, Joy, Elena, Davide Tosco, Silvia Trisolino, Felice Vai,
Antonia Vigliarolo, Aurora Vitagliano
Ringraziamenti
GTT – Gruppo Torinese Trasporti
Nova Coop
Questura di Torino
RAI – Segretariato Sociale
Associazione Terre del Fuoco
Studio Andrea Bozzo
quick design + foto
Davide Tosco/ 2C2S
stampa
L’Artistica Savigliano
indice
prima parte
capitolo 1
la tratta delle donne
a fini di sfruttamento sessuale
pag. 07
capitolo 2
progetto
pag. 25
capitolo 3
percorso metodologico
pag. 31
capitolo 4
attività di diffusione
pag. 47
seconda parte
capitolo 5
convegno nazionale
appendice
schede partner
rassegna stampa
pag. 55
pag. 76
pag. 90
premessa
Il presente volume intende presentare le attività realizzate nell’ambito del progetto Libere – Te Lira – Free, rivolgendosi sia ad un pubblico di esperti ed
esperte in materia di traffico di persone a fini di sfruttamento sessuale, sia ad
un pubblico più vasto composto da operatori ed operatrici di enti di formazione, docenti, amministratori ed amministratrici…
Il volume si articola in due parti più un’appendice.
Nella prima parte, il primo capitolo di introduzione ed inquadramento del fenomeno tratta si rivolge in particolare a chi si avvicina per la prima volta a questa tematica e fornisce un inquadramento sintetico sulla situazione a livello
europeo, nazionale e locale e sulla normativa nazionale, rimandando alla bibliografia/sitografia per ulteriori approfondimenti.
Il secondo, terzo e quarto capitolo descrivono il progetto e il percorso che ha
portato alla creazione e alla diffusione dei prodotti di comunicazione.
La seconda parte, curata da Franco Prina, riporta gli atti del convegno nazionale “Parlare di tratta e prostituzione, parlare alla prostituzione” svoltosi a Torino il
27 aprile 2004.
In appendice, le schede dei 12 partners del progetto contenenti informazioni
sulle rispettive attività, sui contatti e sulle persone di riferimento, oltre ad una
rassegna stampa.
7
parte prima
capitolo 1
la tratta delle donne
a fini di sfruttamento sessuale
1.0
il fenomeno
della tratta
1.1 cos’è la tratta
o traffico di persone?
Libera?
“Vorrei scappare ma
mi hanno detto che
se lo faccio mi uccidono
e portano qui
mia sorella a lavorare
per loro al posto mio”
Negli ultimi anni si sente molto parlare
di tratta o traffico di persone, soprattutto
donne e minori, per fini di sfruttamento
sessuale, un fenomeno inserito all’interno del più ampio traffico globale degli esseri umani, che comprende anche molti
uomini, donne e bambini trafficati per
scopi diversi, come il lavoro forzato e la
schiavitù domestica.
La rappresentazione di tale fenomeno
fornita dai mass media è spesso confusa e riduttiva: i termini tratta e prostituzione vengono utilizzati quasi come sinonimi o comunque indistintamente per
spiegare la condizione delle donne che
lavorano in strada, soprattutto se si tratta di immigrate.
E’ invece molto importante fare una
chiara distinzione tra tratta e prostituzione: in primo luogo perché la tratta è una
grave violazione dei diritti umani; in secondo luogo la condizione di chi si prostituisce in modo coatto è molto diversa
da quella di chi lo fa per scelta, anche
nel caso in cui la libertà di scelta sia limitata dalle scarse risorse economiche,
culturali e sociali.
Si tratta di due fenomeni senza dubbio
interconnessi ma non coincidenti: la tratta è soltanto una parte del più ampio
mondo della prostituzione.
Ciò di cui qui vogliamo parlare, è la
tratta di donne a fini sfruttamento
sessuale, fenomeno che, con le sue pro-
tagoniste, ha costituito il fulcro del progetto Libere.
Tra le molteplici definizioni disponibili,
la più recente e condivisa è contenuta nel
Protocollo addizionale alla Convenzione
delle Nazioni Unite sul Crimine Transnazionale, noto come Protocollo ONU contro la Tratta o Protocollo di Palermo, che
all’art. 3 definisce il traffico (o tratta) di persone come “il reclutamento, il trasporto, il
trasferimento, l’ospitalità o l’accoglienza
di persone, mediante l’uso di minaccia,
di violenza o di altre forme di costrizione,
il rapimento, l’inganno, la frode, l’abuso
di potere o di una situazione di vulnerabilità, l’offerta o l’accettazione di denaro o
altri benefici per ottenere il consenso di
una persona che ha il controllo su un’altra persona, per scopo di sfruttamento”.
“Lo sfruttamento include, almeno, lo
sfruttamento della prostituzione altrui o
altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, la
schiavitù o condizioni analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. “Il consenso della vittima di traffico di persone alla
condizione di sfruttamento sopra descritta è irrilevante quando sia stato utilizzato
uno dei mezzi indicati” (traduzione non
ufficiale, per l’originale cfr:
www.ohchr.org/english/law/ protocoltraffic.htm).
Aperto alla sottoscrizione nel dicembre
2000, il protocollo di Palermo è stato sottoscritto da oltre 100 Stati, ma solo 23 lo
hanno ratificato, laddove perché entri in
vigore sono necessarie 40 ratifiche. Degli
Stati membri dell’UE solo Francia e Spagna lo hanno già ratificato (Enatw, 2003).
Il traffico di persone è un fenomeno in
continua crescita che esercita un impatto
su tutti i continenti e regioni del mondo.
Le trasformazioni politiche nell’Est Europa, i forti squilibri tra Nord e Sud del mondo, le emergenze umanitarie nei conflitti
interni e l’incremento delle disuguaglianze sociali spingono un numero sempre
crescente di persone a trasferire il proprio
progetto di vita fuori dal paese di origine
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9
la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
alla ricerca di migliori opportunità economiche e sociali. Questo fenomeno, unitamente alla politica degli Stati di destinazione per controllare e limitare i flussi migratori in ingresso, contribuisce allo svilupparsi del traffico di migranti illegali, uno
dei maggiori business contemporanei gestiti a livello locale ed internazionale da
una complessa organizzazione criminale
che coinvolge differenti attori nei paesi di
origine, di transito e di destinazione.
1.2 in Europa
Nella maggior parte dei paesi europei,
le prostitute migranti costituiscono una
percentuale significativa della prostituzione locale, in alcuni casi pari a circa il 70%.
Dai dati raccolti dalla rete Tampep International (European Network for
HIV/STD Prevention in Prostitution) emerge che il numero di nuovi soggetti che entrano nel mercato della prostituzione nell’Europa occidentale è in costante aumento così come il numero di nazionalità
di provenienza. Se nel 1993-94 si registravano 10-12 differenti nazionalità fra le
prostitute operanti nei paesi europei, nel
2002 sono state registrate 40 differenti
nazionalità di provenienza dalle stesse
aree geografiche: America latina, Europa
centrale e dell’Est, Africa occidentale e
Asia.
E’ molto difficile ottenere dati precisi e
stime veritiere sul fenomeno della prostituzione. In primo luogo poiché si tratta di
un fenomeno sommerso e in secondo
luogo perché si tratta di un fenomeno con
un alto tasso di variabilità anche entro
brevi periodi temporali, il che fa sì che
quanto rilevato oggi possa non corrispondere più al vero fra tre o sei mesi.
I dati che seguono, pur con tutti i limiti
sopra decritti, danno tuttavia un’idea di
quanto sia ampio il fenomeno:
- L’International Organization of Migrations (IOM) sostiene che nel mondo vi siano dai 15 ai 30 milioni di migranti irrego-
lari e che siano 500.000 le sole donne
trafficate annualmente in Europa occidentale (Parsec, 1998).
- Il Dipartimento di Giustizia degli Stati
Uniti stima che siano 700.000 le donne e
i bambini trafficati annualmente oltre i
confini (studio IOM).
- Secondo le Nazioni Unite 4 milioni di
persone sarebbero trafficate ogni anno
nel mondo (Parsec, 1998) e “nella sola
Europa le persone introdotte, con o senza la mediazione dei trafficanti, sarebbero almeno 400.000” (Monzini, 2002).
- Nello stesso anno “l’OCSE stimava
che almeno 175.000 giovani donne, anche minorenni, fossero state “trafficate”
per essere sfruttate come prostitute in
Europa centrale e occidentale. Oggi si
può affermare con certezza che il loro numero è cresciuto. Attualmente si calcola
che circa 1/4 delle donne sfruttate, in tutto il mondo, provenga dai paesi dell’Europa centrale e orientale” (Monzini, 2002).
La prostituzione forzata è il maggior
settore di sfruttamento in cui le donne
trafficate sono inserite. Questo fenomeno, iniziato nei primi anni 80, ha attraversato varie trasformazioni sia logistiche
che strutturali, divenendo un sistema assai articolato che coinvolge una serie di
attori nelle diverse fasi e nei diversi paesi.
Il Centro per la Prevenzione del Crimine Internazionale delle Nazioni Unite
(CICP) stima che il giro annuale d’affari
derivanti da questa forma di crimine sia
pari a 7-8 billioni di dollari, un giro paragonabile a quello generato dal traffico di
stupefacenti. Non sorprende dunque che
il traffico di persone sia sempre più controllato dalla criminalità organizzata internazionale.
E’ dunque la strada il luogo dove il fenomeno della prostituzione e, al suo interno,
quello del traffico a fini di sfruttamento sessuale sono più visibili, anche se in tempi
recenti si sta diffondendo una forma di prostituzione mista: le donne non sono costrette a prostituirsi in un unico luogo ma
in molteplici contesti (appartamenti, hotel,
centri massaggi…).
Il fenomeno della prostituzione migrante, ancora scarsamente presente ed organizzato nel corso degli anni 80, ha subito
un incremento a partire dal 1989, anno in
cui è arrivata la prima ondata di donne provenienti dall’Est Europa. Nel 1991 sono
apparse sulle strade le prime donne africane e nel 1993 le donne albanesi. Negli
anni immediatamente seguenti l’interesse
dei trafficanti si è concentrato soprattutto
sulle donne nigeriane e albanesi che hanno rappresentato le principali presenze,
mentre a partire dal 1997 è iniziato il flusso
migratorio di donne e ragazze provenienti
dai paesi della ex Unione Sovietica, soprattutto Lettonia, Ucraina e Moldavia, e da
Ungheria e Bulgaria.
Attualmente la presenza di prostitute immigrate sulle strade è molto superiore rispetto alle italiane, in alcune città si arriva
al 90% del totale, una parte delle quali sono trafficate dal loro paese di origine. Bisogna tuttavia fare delle distinzioni: molte
donne dell’est arrivano con un visto turistico e poi non riescono a regolarizzarsi entro gli 8 giorni previsti dalla legge; altre, per
esempio le donne nigeriane, arrivano con
documenti e visti falsi procurati dagli sponsor. Si rileva in generale una scarsa conoscenza della legge in materia di immigrazione da parte delle donne migranti, che
tendenzialmente ignorano quali e quante
siano le difficoltà di regolarizzazione.
1.3 in Italia
alcuni dati
In Italia il fenomeno prostituzione è regolato dalla legge Merlin del 1958, che punisce il favoreggiamento ed esclude la
possibilità di organizzare la prostituzione in
ambienti chiusi.
Anche rispetto alla situazione italiana
vale quanto già detto a livello europeo:
pur essendo molto difficile fare delle stime quantitative, vale la pena citare alcu-
ne cifre pubblicate da agenzie autorevoli,
che aiutano a comprendere le dimensioni del fenomeno.
L’IOM nel 1996 stima che in Italia vi siano tra le 18.800 e le 25.100 prostitute
straniere, delle quali circa 2000 (10%)
trafficate e ridotte in condizione di assoluta mancanza di libertà (Parsec, 1998).
Un approfondimento di tali stime condotto da Parsec indica una diminuzione
del fenomeno, attestandolo tra le 14.757
e le 19.289 donne straniere, su un totale
di 50-70.000 persone dedite alla prostituzione (Carchedi, 2000).
Queste cifre sono confermate anche
dal rapporto Europap/Tampep (www.europap.net) che stima in 50.000 le prostitute in Italia, di cui circa 26.000 sarebbero donne straniere provenienti principalmente dal Sud America e dall’Africa centrale.
Molto utili per capire l’ampiezza del fenomeno della tratta nel nostro paese sono anche i dati relativi al Numero Verde
nazionale contro la tratta. Dai dati forniti
dalla Commissione Interministeriale art.
18, risulta che nel periodo luglio 2000agosto 2003 le chiamate ricevute a livello
nazionale sono state 229.841, con la seguente distribuzione per tipologia del
chiamante: 11.29% vittime di tratta,
7.28% clienti, 8.7% parenti, 61.61% cittadini, 7.03% Pubblica Sicurezza, 1.35%
persone sospette, 2.73% altro.
1.4 provenienze e modalità di
reclutamento
I percorsi di vita delle donne migranti
che cadono nella rete della tratta sono
complessi. Si tratta di un panorama molto variegato dove, se è indubbiamente
possibile individuare dei tratti comuni in
termini di motivazioni, di speranze, di vicende vissute, di aspettative deluse, di
violenze subite, va tuttavia sempre ricordato che ciascuna esperienza è peculiare ed unica, soprattutto quando si passa
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la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
dai discorsi teorici sull’argomento alla relazione concreta con le singole persone
coinvolte, ciascuna delle quali è portatrice di una storia unica.
Certamente per capire come una donna o una ragazza entri nel giro di sfruttamento occorre tener presente il ruolo e le
azioni di quelle persone che, con diverse
forme di inganno, la inducono ad entrare
nel circuito e rendono poi difficile trovare
una via di uscita. Tuttavia, soprattutto nella fase iniziale, anche altre pressioni di tipo economico e culturale giocano un ruolo determinante nello spingere le donne
ad accostarsi all’attività di prostituzione,
senza tuttavia avere i mezzi per controllarne lo svolgimento. Le strategie di reclutamento adottate dai trafficanti variano in
funzione della donna da attrarre nel circuito, del contesto e della cultura. Accanto ad organizzazioni specializzate che
raggirano le donne attraverso annunci sui
giornali o su Internet, esistono le figure dei
cosiddetti loverboys che seducono e fanno innamorare di sé le donne, le convincono a partire e successivamente a prostituirsi, per amore o per forza, rendendole prigioniere di una relazione di sottomissione psicologica e di dipendenza
economica alla quale è difficile sottrarsi.
Qualunque sia il percorso compiuto, il
prezzo da pagare è in genere molto più
alto di quanto le donne stesse si sarebbero aspettate. Intanto si deve rinunciare
fin dall’inizio al sostegno della famiglia, a
causa dell’inconfessabilità della scelta fatta, con inevitabili ricadute sul piano psicologico in termini di vulnerabilità e disposizione ad instaurare altre forme di dipendenza, ad esempio nella relazione
con gli sfruttatori. C’è inoltre il meccanismo vincolante del debito (che ammonta
a circa 20-30.000 dollari fino a 45.000)
contratto per sostenere le spese di viaggio, che va restituito con tassi di interesse da usura, così che spesso anche donne partite in modo autonomo per fare altri lavori, si vedono costrette ad entrare
nei giri della prostituzione per pagare il de-
bito, soprattutto qualora la scadenza del
breve permesso di soggiorno turistico le
avvii ad una condizione di irregolarità.
Sebbene le nazionalità di origine delle
prostitute migranti siano molto variabili da
città a città, le principali aree di provenienza sono l’Est Europa e la Nigeria, due aree
che si differenziano notevolmente rispetto ai percorsi intrapresi dalle donne, alle
loro aspettative, ma soprattutto rispetto
ai meccanismi messi in atto dai trafficanti
per mantenere il controllo o ottenere il
consenso delle vittime.
dall’Est Europa
Il flusso migratorio femminile dall’Albania a scopo di sfruttamento sessuale ha
avuto inizio nel 1991, presentando inizialmente una peculiarità: ciascuna ragazza
partiva accompagnata da uno sfruttatore. Il business ha assunto spesso la forma di una emigrazione di coppia dove,
dapprima in forme sporadiche, poi in modi sempre più strutturati ed organizzati, le
ragazze albanesi sono state messe sui
marciapiedi dai loro connazionali. L’assenza di strategie di prevenzione, la forte
domanda di ragazze così giovani da parte della clientela ed i conseguenti lauti
guadagni hanno incoraggiato molti uomini albanesi ad intraprendere questa attività in Italia.
Se inizialmente, come sottolinea Monzini (2002), i forti e sentiti codici d’onore
presenti nella società albanese e la diffusa visione della mascolinità hanno reso
difficoltoso lo sfruttamento della prostituzione delle proprie donne, l’intero apparato di violenza personale messo in atto
per convincere la donna a lavorare come
prostituta a ritmi sostenuti - con il corollario di minacce, botte, violenze, bruciature, docce fredde nel cuore della notte – è
culturalmente accettabile in virtù del ruolo fortemente subalterno della donna. La
tipologia di sfruttamento fondato su un
rapporto uomo-donna molto stretto ed
ambiguo, basato sulla violenza e facilita-
to dalla posizione fortemente subordinata della donna è caratteristica dei primi
anni 90. Il modello è quello del tipico “magnaccia” di vecchia memoria: l’uomo accompagna la sua donna al lavoro e poi
passa le giornate al bar, con gli amici del
giro, con i quali condivide altri loschi interessi. Di tanto in tanto lui o gli amici passano a turno a controllare le donne, che
occupano tratti contigui di marciapiede,
oppure telefonano per accertarsi che tutto proceda bene.
Sulla base di questo schema iniziale, si
è poi sviluppato un sistema di sfruttamento molto più organizzato e professionale,
ancor più duro da sopportare per le donne ed ancor più remunerativo per gli sfruttatori. Questi infatti si fanno raggiungere
da altri connazionali maschi che intraprendono la stessa attività, creando un
grande giro di affari basato sullo sfruttamento di un certo numero di ragazze, albanesi ma anche provenienti dai paesi
delle ex repubbliche sovietiche o dell’area balcanica.
Il meccanismo prevede che la donna
originariamente avviata alla prostituzione,
se si dimostra abile e fidata, continui a lavorare per il suo uomo-sfruttatore passando tuttavia di grado, assumendo una
funzione di controllo delle altre ragazze.
Le sue responsabilità riguardano la raccolta dei guadagni giornalieri, la contabilità, il budget domestico e più in generale
la gestione degli eventuali imprevisti. In
caso di temporaneo arresto dello sfruttatore, ad esempio, sarà lei a preparare i
pacchi da portare in carcere, a raccogliere i soldi per l’avvocato, a gestire ogni cosa al meglio. Le sue sottoposte invece sono costrette a ritmi di lavoro durissimi per
ripagare il debito contratto al momento
dell’acquisto da parte dello sfruttatore.
Una volta vincolate con il sistema del debito, sono sistemate entro una rete già
predisposta di alloggi, assegnate ad un
preciso tratto di strada, accompagnate,
controllate a vista, scortate in ogni momento della giornata, minacciate e priva-
te del passaporto. Il controllo da parte
della donna del capo è costante anche
una volta rientrate a casa.
Attualmente, anche se le ragazze albanesi continuano ad essere reclutate nelle
aree più remote e povere del nord del
paese, i circuiti della prostituzione si alimentano prevalentemente di ragazze
giunte in Albania dalla pista balcanica.
Nella seconda metà degli anni 90, la penisola balcanica è divenuta infatti un’importantissima terra di transito per ragazze e donne che provengono da Moldavia, Ucraina e Russia. Attualmente è notevolmente aumentato il numero di donne
rumene per via della facilità ad ottenere il
visto. Nonostante la diminuzione delle
donne albanesi, la maggior parte delle
donne provenienti dall’Est Europa sono
tuttora sfruttate dalla criminalità organizzata albanese in accordo con quella italiana e di altri paesi dell’Est.
dalla Nigeria
Riproducendo una tendenza mondiale, anche in Africa il business del sesso
commerciale ha conosciuto una forte
espansione negli ultimi due decenni, soprattutto nelle aree di frontiera in cui si incontrano economie ricche ed economie
povere (Monzini, 2002).
L’Africa è attraversata da flussi di traffici di persone molto articolati, destinati anche a mercati diversi da quello del sesso
commerciale, soprattutto al lavoro nelle
piantagioni e a quello domestico. Per
quanto riguarda l’Africa Occidentale sembra tuttavia che i canali di emigrazione
femminile sbocchino spesso nei mercati
del sesso commerciale. Ruolo di spicco
è senza dubbio occupato dalla Nigeria,
paese che a partire dalla fine degli anni
80 si è specializzato come area di origine
e transito di donne da avviare alla prostituzione, attraverso il rafforzamento di una
già attiva rete criminale dedita al traffico
di droga. Gli investimenti nel nuovo mercato internazionale del sesso commer-
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la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
ciale sono così iniziati nei termini dell’elargizione di prestiti da parte di cosiddetti
sponsor, per sostenere le spese di viaggio ad aspiranti migranti, da inserire poi
nel mercato dello sfruttamento sessuale.
Questa forma di emigrazione sponsorizzata, si è via via specializzata anche attraverso la costruzione di reti di donne nigeriane – le cosiddette madam – che si
occupano dell’intera gestione, spesso lavorando in coppia: una in Nigeria si occupa di reclutare le ragazze, di mantenere i rapporti con le famiglie e di restituire i
prestiti agli sponsor, l’altra in Italia gestisce il lavoro e la vita quotidiana di gruppi
di 4-5 ragazze, ricavando gli utili necessari anche al mantenimento dell’organizzazione.
La principale area di provenienza delle
donne, oltre alla capitale Lagos, è costituita dagli Stati dell’Edo. Secondo stime
locali l’80% delle donne nigeriane trafficate proviene da lì. Se inizialmente era
molto diffuso l’inganno, anche sul tipo di
lavoro da svolgere, ormai il grado di consapevolezza è elevato grazie anche alle
numerose campagne di informazione
realizzate in collaborazione con ONG che
operano a livello internazionale. Una consapevolezza che tuttavia non è sufficiente a rallentare il fenomeno, giacché i trafficanti superano l’ostacolo reclutando
donne provenienti da zone ancor più povere ed isolate, dove le informazioni arrivano tuttora a stento. I flussi più recenti
di donne sfruttate in Italia sono infatti prevalentemente composti da donne con livelli di educazione bassissimi e di età
sempre più giovane, generalmente provenienti dalle campagne o dalle periferie
delle grandi città, impegnate in lavori molto precari. Per queste donne la scelta migratoria sembra l’unica soluzione praticabile, per cui l’ingaggio da parte delle madam è piuttosto semplice. Rispetto alla
questione della consapevolezza va sottolineato che, anche qualora sappiano,
queste donne non immaginano le condizioni in cui lavoreranno, a cominciare dal
fatto che si lavora sulla strada invece che
in locali chiusi per proseguire con le temperature polari alle quali non sono preparate.
Prima della partenza, alla donna viene
proposto un tipo di contratto formale, per
iscritto, oppure un contratto orale, suggellato da giuramenti o riti vudù: la scelta
varia in funzione della provenienza della
ragazza e del suo grado di istruzione. Dopo la stipula del contratto, la madam consegna la ragazza ad un trafficante di fiducia, divenendo la garante della fedeltà
della ragazza allo sponsor e, una volta avviata la ragazza alla prostituzione, si impegna a raccogliere il denaro proveniente
dall’Italia girandolo allo sponsor stesso ed
in minima parte alla famiglia. Il rapporto
delle madam con le famiglie delle ragazze sono molto stretti nel bene e nel male:
le minacce di ritorsioni sulla famiglia in caso di comportamenti considerati inadeguati sono un’arma assai efficacie per tenere in scacco le ragazze.
Le ragazze si muovono per lo più con
visti temporanei o con documenti falsificati, utilizzati più volte per ragazze diverse. Questa condizione di illegalità si ripercuote anche sulle rotte: percorsi lunghi
che in alcuni casi prevedono l’attraversamento della Nigeria settentrionale, Niger,
Mali, fino al Sahara, i Paesi del Maghreb
e finalmente Spagna, Francia e Italia. Un
lungo viaggio che, oltre a generare il progressivo sradicamento sociale e culturale
delle donne, contribuisce ad appesantirne il debito vincolandole così alla madam
ed allo sponsor fino alla completa estinzione.
Giunta in Italia, la ragazza è immediatamente privata del passaporto, del denaro e degli effetti personali, compresi i
numeri di telefono di persone che potrebbero essere contattate in Europa. Per
esercitare il suo controllo la madam non
esita ad utilizzare anche riti magici ed è
sempre considerata dalle ragazze con
grande soggezione, proprio a causa dell’enorme potere che esercita sulle loro vi-
te. Dalle testimonianze emerge infatti che
la madam può decidere in qualsiasi momento di cedere una ragazza ad un’altra
madam, anche in un altro paese. Le madam che hanno fatto maggior fortuna
possono gestire diversi joint – i tratti di
marciapiede sui quali fanno ruotare le diverse ragazze – anche avvalendosi dell’aiuto delle cosiddette controller, donne
fidate che avendo saldato il debito ed essendosi mostrate capaci, hanno potuto
migliorare la propria posizione all’interno
dell’organizzazione.
Come le donne sfruttate dagli albanesi,
anche le donne africane devono pagare a
caro prezzo qualsiasi cosa di cui abbiano
bisogno: l’affitto di un letto, il diritto ad occupare un tratto di marciapiede, i preservativi, i trucchi, i vestiti. Il joint in genere costa alla ragazza 250-300 euro al mese, all’incirca come il posto letto in affollatissimi
mini-appartamenti. Tutti i costi relativi alla
sopravvivenza, ordinari o straordinari,
compresi gli extra per le spese mediche,
per gli avvocati, devono essere pagati dalle ragazze. Questo denaro viene detratto
dai loro redditi, cioè aggiunto al loro debito. Esiste inoltre un sistema di multe inflitte per ogni piccola manchevolezza o infrazione: aver guadagnato troppo poco,
aver indossato vestiti non adatti, aver fatto ritardi. Anche questi soldi vengono
sommati al debito, i cui tempi di estinzione si allungano fino a quattro o più anni,
spingendole ad accettare prestazioni più
rischiose e meglio pagate.
1.5 nel contesto locale
della provincia di Torino
distribuzione territoriale
Fondamentalmente i luoghi della prostituzione a Torino e provincia negli anni
sono rimasti gli stessi – alcuni corsi centrali della città, zone periferiche ed industriali e strade provinciali - seppure interessati da ciclici e transitori cambiamenti
per quanto riguarda il numero delle don-
ne e le nazionalità. Le cause di tali cambiamenti sono molteplici e in parte legate al fenomeno della spartizione dei territori e della connivenza tra organizzazioni
criminali.
Per quanto riguarda le aree interessate
dal fenomeno, nella città di Torino l’Unità
di Strada di TAMPEP (costituita da operatrici sociali e mediatrici culturali che
compiono uscite diurne e notturne per
contattare le donne che si prostituiscono
in strada, al fine di fornire loro informazioni e materiale utile al miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro) ha osservato nell’ultimo anno una maggiore presenza di donne nigeriane in luoghi tradizionalmente occupati da donne dell’est;
molte donne nigeriane lavorano in zone
periferiche o industriali, poco illuminate e
quindi più a rischio di aggressioni e furti.
E’ stata osservata la presenza di donne
europee in zone periferiche, ma soltanto
in orario pomeridiano, dove durante la
notte lavorano le donne nigeriane. Alcune donne dell’est raccontano di aver modificato il modo di lavorare, contattando i
loro clienti per strada per poi portarli in appartamenti. E’ costante il turn over delle
donne, sia nigeriane che dell’est, soprattutto durante i periodi festivi ed estivi.
L’azione delle Forze dell’Ordine e le frequenti retate, inoltre, influenzano gli spostamenti delle donne da una zona all’altra della città. Anche l’arresto degli sfruttatori determina molto spesso spostamenti territoriali delle donne, a volte anche
in altre città o regioni, perché vengono
cedute ad altri sfruttatori.
L’ Unità di Strada di TAMPEP, sulla
base delle interviste raccolte dalle
operatrici durante i contatti, rileva un
forte peggioramento delle condizioni
di vita delle sexworkers, un aumento
significativo di gravi episodi di violenza da parte degli sfruttatori, dei clienti
o di delinquenti comuni. Per quanto
concerne la coercizione esercitata dagli sfruttatori, si percepisce un più alto
livello di controllo e costrizione, usati
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la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
per mantenere le donne in condizione
di schiavitù e paura.
un fenomeno mobile
La prostituzione di strada è un fenomeno che presenta un altissimo livello di mobilità.
Da un lato c’è una mobilità interterritoriale, che si può verificare in diversi modi:
ci può essere uno spostamento quotidiano da una città all’altra o da una città verso i paesi limitrofi, molto simile a quello
dei lavoratori pendolari; una mobilità periodica, stagionale, a seconda delle esigenze previste dall’attività prostituzionale
(necessità di maggiori guadagni, necessità di allontanare una persona da un territorio, cessione della persona a un altro
sfruttatore..); una mobilità che avviene
una tantum e che prevede talvolta lo spostamento da uno Stato a un altro, dovuto
probabilmente alle necessità degli sfruttatori di rendere meno identificabili le donne controllate o riconducibile a scambi di
“merce” all’interno della rete criminale.
La mobilità interterritoriale nella provincia di Torino riguarda le donne per le quali
Torino è un luogo di vita e non di lavoro.
Esse infatti vi alloggiano e si spostano
quotidianamente verso i paesi della provincia o verso altre città della regione o
extraregionali per l’esercizio della prostituzione, utilizzando mezzi quali il pullman
o il treno. Questo tipo di mobilità riguarda
in modo particolare le donne nigeriane, le
cui sfruttatrici solitamente prediligono la
città di Torino quale luogo di residenza,
poiché ciò permette loro di accedere a
tutta una serie di servizi che altrove non
troverebbero, come negozi con prodotti
del loro Paese, call-center e uffici per la
spedizione rapida di soldi al paese d’origine. In tempi recenti i flussi di mobilità
delle donne nigeriane sono forse in parte
dovuti anche al fatto che l’aumento della
concorrenza da parte delle donne bianche dell’Est Europa le ha spinte sempre
più verso zone esterne al territorio del ca-
poluogo e addirittura della provincia. Molte donne nigeriane compiono quotidianamente lunghi viaggi in treno spingendosi
fino alle città di Milano, Brescia, Bergamo, Pavia e Modena, dove le proprie
sfruttatrici “possiedono” dei territori in cui
le donne vengono fatte prostituire.
Il secondo tipo di mobilità, quella che
avviene all’interno della stessa area territoriale, interessa soltanto alcune zone
della città di Torino e riguarda indistintamente tutte le nazionalità di provenienza
delle donne in strada. Essa è dovuta a
molteplici fattori, talvolta concomitanti: interventi delle forze dell’ordine in funzione
delle attività di contrasto dello sfruttamento della prostituzione o in seguito a sollecitazioni da parte degli abitanti dei quartieri maggiormente interessati dal fenomeno; esigenze degli sfruttatori e delle
sfruttatrici di aumentare i propri guadagni, di esercitare maggiore controllo e di
ottimizzare i tempi di apprendimento del
mestiere da parte delle ragazze; timori
degli sfruttatori che le donne instaurino
relazioni di fiducia con le forze dell’ordine
e con i clienti abituali, che potrebbero
convincerle ad abbandonare il mondo
della prostituzione e a denunciare i propri
sfruttatori; accordi tra i gruppi di criminalità organizzata di varia nazionalità (nigeriana, albanese, rumena, italiana) nella gestione delle zone da essi controllate; volontà delle stesse ragazze di riscattarsi
dalla condizione di sfruttamento.
alcuni dati
Sul territorio della città di Torino e della
provincia, l’Unità di Strada di TAMPEP
ha effettuato 102 uscite nel corso del
2003, realizzando 1274 contatti. E’ stata
rilevata una drastica diminuzione delle
donne albanesi e un aumento progressivo di donne romene, bulgare, russe,
ucraine. Resta costante il numero delle
donne nigeriane, che continua a rappresentare più della metà del target (ca. il
61%). L’età media maggiormente rappre-
sentata è quella compresa nella fascia
18–25 anni. Un dato di discontinuità rispetto al passato riguarda la presenza di
sexworkers italiane non tossicodipendenti, nelle stesse strade dove lavorano le donne migranti. Indipendentemente dall’età e
dalla provenienza la maggior parte di queste donne deve provvedere al mantenimento della famiglia nel paese d’origine.
Altro dato interessante è rappresentato dalle 523 chiamate arrivate alla postazione piemontese del Numero Verde per
le persone vittime di violenza e tratta nel
periodo luglio 2000 – dicembre 2002, che
rilevano una grande diversificazione di provenienza per nazionalità, ben 42, confermando la netta predominanza di quella nigeriana (268 telefonate pari a più della metà del totale) e un continuo aumento delle
donne provenienti dall’Est Europa (160
chiamate pari a circa un terzo del totale).
Altri dati significativi sono quelli forniti
dalla Questura, competente per il rilascio
dei permessi di soggiorno, dai quali risulta che a Torino nel periodo che va dal
2000, primo anno di attuazione dei progetti ex art. 18, al marzo 2003 sono state
avanzate 350 richieste di permessi di
soggiorno per motivi di protezione sociale, di cui 270 sono state accolte, consentendo l’avvio di programmi di integrazione socio-lavorativa, 50 sono state sospese e 30 rigettate. Le oltre duecento donne entrate nei programmi di protezione
forniscono un aiuto significativo alle azioni di prevenzione e repressione della magistratura e delle forze di polizia, anche
quando non vi sia immediata denuncia.
Altri dati interessanti sono quelli relativi
ai progetti finanziati dal Ministero per le
Pari Opportunità per l’attuazione dell’art.18, analizzati nel recente rapporto di
ricerca redatto per conto dell’Associazione On The Road (2002) dai ricercatori/trici dell’Università di Torino. I dati relativi ai
soggetti inseriti nel programma di protezione sociale durante il primo anno di attivazione dei progetti art. 18 riguardano:
34 persone per il progetto “Antares”, 36
per il progetto “Liberiamoci dalle nuove
schiavitù” e 73 per il primo semestre del
progetto “Freedom”. Pur registrandosi
una diversa distribuzione per nazionalità
tra i tre progetti, dall’indagine emerge che
nell’area torinese c’è una netta prevalenza di donne nigeriane, che corrisponde a
quasi metà delle persone inserite nei programmi di protezione sociale.
2.0
la legislazione
italiana
Ma cosa accade allorché una ragazza
viene “agganciata” dalle operatrici delle
unità di strada o di altre associazioni ed
enti? Quali opportunità alternative vengono loro offerte per sottrarsi alle reti dello
sfruttamento e della tratta?
Per delineare i percorsi possibili bisogna fare riferimento a ciò che prevede la
legislazione italiana.
2.1 art. 18 D. Lgs 286/98: permesso di soggiorno per protezione sociale
Nel panorama europeo della normativa
sulla tratta, che è in continua evoluzione
in tutti i paesi (Cfr. Direttiva 2004/81/CE
del Consiglio riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in azioni di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con
le autorità competenti, 29 aprile 2004)
emerge la specificità dell’esperienza italiana di protezione delle vittime della tratta prevista dall’art.18 del Testo Unico sull’immigrazione, D.Lgs 286/98.
In sintesi, tale normativa prevede la
concessione di uno speciale permesso di
soggiorno per motivi di protezione sociale al fine di “consentire allo straniero di
sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di
partecipare ad un programma di assi-
16
17
la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
stenza e integrazione sociale”.
I presupposti per il rilascio di tale permesso da parte della Questura sono:
“l’accertamento di situazioni di violenza o
di grave sfruttamento nei confronti di uno
straniero” e “l’esistenza di un concreto
pericolo per l’incolumità della persona,
per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio”.
Peculiarità della normativa italiana è la
cosiddetta strategia del “doppio binario”,
che consiste nell’introduzione di due percorsi possibili per ottenere il permesso di
soggiorno ed il riconoscimento dello status di vittima:
> un percorso giudiziario: nel caso
in cui la vittima decida di denunciare gli
sfruttatori, il procuratore della Repubblica
può chiedere il rilascio del permesso di
soggiorno per protezione sociale, al fine
di tutelare la vittima-testimone dalle ritorsioni della rete criminale da cui vuole sottrarsi;
> un percorso sociale: nel caso in cui,
indipendentemente dall’esistenza di un
procedimento penale in cui la vittima sia
testimone, i servizi sociali o le associazioni esperte rilevino una situazione di violenza e di intimidazione, possono chiedere alla Questura il rilascio del permesso
per la persona straniera da loro assistita.
In questo caso sarà necessario unire alla
richiesta una relazione che attesti la situazione di pericolo, l’esistenza di un programma di assistenza, il consenso della
vittima a seguire il programma e la presa
in carico da parte di un’associazione accreditata iscritta ad un apposito albo.
Il percorso sociale, che non prevede la
denuncia immediata e garantisce alcuni
diritti alla vittima, è stato fortemente voluto dalle ONG ed associazioni che operano in questo settore in primo luogo in
considerazione del fatto che, stante l’ac-
cordo internazionale nel considerare la
tratta come una violazione dei diritti umani, ne deriva la necessità di tutelare la vittima in quanto tale e non solo in quanto
testimone. L’esperienza ha anche rivelato che, lungi dall’essere usato in modo
strumentale, il percorso sociale previsto
dall’art.18 è di grande utilità nella lotta
contro le reti di trafficanti, in quanto per
molte vittime la denuncia è un punto di
arrivo, frutto della possibilità di instaurare
relazioni di fiducia con gli operatori e le
operatrici sociali. Come dimostrano gli
esiti di molti progetti relativi all’attuazione
dell’art.18, spesso accade che i percorsi
sociali si trasformino in denunce penali e
comunque il clima di sicurezza creato intorno alla vittima consente di ottenere informazioni e collaborazione nella lotta
contro il traffico.
Oltre alla possibilità di soggiornare nel
territorio dello Stato italiano, al/alla titolare del permesso di soggiorno è consentito di accedere ai servizi socio-assistenziali, di frequentare regolari corsi di
studio, di iscriversi nelle liste dei Centri
per l’Impiego e di svolgere lavoro di tipo
subordinato.
Il permesso può tuttavia essere revocato qualora si verifichi un’interruzione del
programma, una condotta incompatibile
con le finalità del programma stesso o
una più generica cessazione delle condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
Alla scadenza del permesso di soggiorno, se l’interessato/a ha in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere
ulteriormente prorogato o rinnovato per
la durata del rapporto o, se titolare di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, secondo le modalità previste per questo motivo di soggiorno. Se invece l’interessato/a risulta iscritto/a ad un regolare
corso di studi, il permesso può essere
convertito in permesso di soggiorno per
motivi di studio.
interventi possibili
Sintetizzando la portata originale ed innovativa dell’art. 18 D.Lgs 286/98, Bufo
(2002) parla di una normativa che, ponendo al centro la relazione tra persone
immigrate e l'assoggettamento a condizioni di sfruttamento e diversificate forme
di violenza, intende sostenere le vittime di
tali violenze e coercizioni e contrastare il
traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e/o di altro genere.
Con il Decreto del 23 novembre 1999
relativo ai criteri e alle modalità per i programmi di assistenza disciplinati dall’art.18 D.Lgs 286/98, il Ministero per le
Pari Opportunità ha individuato due tipologie di programmi finanziabili: azioni di sistema e programmi di protezione sociale.
Le azioni di sistema sono dirette a
supportare i programmi di protezione
sociale, attraverso campagne di sensibilizzazione, indagini e ricerche sull’andamento del fenomeno, attività formative per gli operatori pubblici e privati impegnati nei programmi di protezione sociale, attività di assistenza tecnica e
monitoraggio dei progetti.
Particolarmente significativa è l’azione
del Numero Verde 800 290 290 attivato
nel luglio 2000, fondamentale strumento
per consentire alle vittime di tratta di entrare in contatto con coloro che possono
dar loro un aiuto competente. Esso è costituito operativamente da una postazione nazionale e 14 postazioni locali attive
nella fascia pomeridiano-notturna, alle
quali vengono smistate le telefonate provenienti dai rispettivi territori. In Piemonte
il numero verde ha come ente referente
la Provincia di Torino, è gestito operativamente dal Gruppo Abele ed è finanziato
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento PO, all’interno delle
azioni di sistema. Ciascuna postazione è
organizzata su due livelli: la postazione telefonica, collocata in luogo segreto, funziona come servizio di prima informazio-
ne e ascolto; se l’operatrice lo ritiene opportuno, fissa un appuntamento con
un’altra operatrice che riceverà la ragazza in altra sede, con l’ausilio prezioso di
una mediatrice culturale, allo scopo di individuare un percorso appropriato alla richiesta d’aiuto. In caso di pericolo immediato viene attivato un servizio di pronto
intervento: si avvisano le forze dell’ordine
e si offre accoglienza temporanea presso
una struttura protetta.
L’esperienza del Numero Verde ha
messo in luce l’importante ruolo che ha il
cliente nel condurre le ragazze al servizio.
Spesso è lui a convincere la ragazza a telefonare oppure chiama direttamente facendosi mediatore ed interprete della richiesta d’aiuto, ma è soprattutto importante nel far sì che al contatto telefonico
faccia seguito un rapporto diretto, cosa
che accade molto più raramente nel caso in cui le ragazze chiamino da sole.
I programmi di protezione sociale
sono finalizzati ad assicurare un percorso
di assistenza e di protezione alle vittime
della tratta, attraverso l’accoglienza (in
case di fuga, comunità, case-alloggio,
centri di accoglienza, famiglie affidatarie),
l’offerta di sostegno psicologico, di assistenza medica e legale, la proposta di una
formazione professionale, l’erogazione di
borse lavoro, il conseguente inserimento
lavorativo, oppure un eventuale rimpatrio
assistito.
L’esperienza maturata dai 154 progetti
di integrazione sociale finanziati nei primi
tre anni di attuazione dell’art. 18 D.Lgs
286/98, dimostrano in modo chiaro che
la normativa consente potenzialmente la
realizzazione di percorsi di inclusione sociale intesi come riformulazione del progetto migratorio in condizioni di legalità,
sicurezza e autonomia, ponendosi in maniera alternativa e antagonista alle reti di
sfruttamento attraverso il passaggio dalla
vittimizzazione al diritto di cittadinanza.
Dal confronto con altre realtà europee,
emerge una grande attenzione nei con-
18
la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
fronti di questa normativa, che è coerente con le indicazioni del sistema di protezione delle vittime indicato dal Protocollo
ONU di Palermo, pur avendolo preceduto di due anni.
Tuttavia, dal continuo confronto tra i
soggetti attuatori dell’art. 18 D.Lgs
286/98 - enti pubblici, associazioni ed organizzazioni - emergono alcuni fattori di
criticità che rischiano di depotenziare e
vanificare il grande lavoro messo in campo in questi anni (cfr documento Da Vittime a Cittadine, promosso dall’Associazione On the Road e sottoscritto da oltre
100 fra enti pubblici ed associazioni impegnate nel settore).
2.2 legge 11 agosto 2003, n.
228: “Misure contro la tratta
di persone”
sistema repressivo
Con la legge 11 agosto 2003, n. 228,
viene ridefinito il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù alla luce dell’attuale situazione nazionale ed internazionale, viene definito il reato di tratta di persone e vengono stabilite le relative sanzioni.
La riduzione e il mantenimento in schiavitù sono così definiti all’art. 1 che modifica l’art. 600 c.p.: “Chiunque esercita su
una persona poteri corrispondenti a
quelli del diritto di proprietà ovvero
chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne
comportino lo sfruttamento”.
Particolarmente significativo è quanto
stabilito a proposito delle modalità della
condotta: “(...) la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una
situazione di inferiorità fisica o psichica
o di una situazione di necessità, o me-
diante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha
autorità sulla persona”.
La pena prevista per il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù è la reclusione da otto a venti anni.
Circostanze aggravanti sono previste nel
caso in cui: il reato sia commesso in danno di minore degli anni diciotto; a scopo
di sfruttamento della prostituzione; al fine
di sottoporre la persona offesa al prelievo
di organi.
L’art. 2 che modifica l’art. 601 c.p. prevede il reato di Tratta di persone. La condotta incriminata consiste nel “costringere una persona a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello
Stato o a trasferirsi al suo interno” in presenza di due presupposti alternativi: che
la persona sulla quale si esercita la condotta si trovi nelle condizioni di cui all’art.
600 c.p.; al fine di commettere il delitto di
riduzione o mantenimento in schiavitù di
cui all’art. 600 c.p. primo comma.
Le modalità della condotta prevedono
l’inganno, la violenza, la minaccia, l’abuso di autorità, l’ approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di
una situazione di necessità, la promessa
o dazione di somme di denaro o di altri
vantaggi alla persona che ha autorità sulla vittima del reato.
Anche in questo caso la pena prevista
è la reclusione da otto a venti anni aggravata nei casi previsti dall’art. 600 c.p.
L’art. 3 invece ha modificato l’art. 602
c.p. e prevede la fattispecie di acquisto o
alienazione di schiavi facendo salva l’applicazione dell’art. 601.
assistenza alle vittime
La legge istituisce un Fondo per le misure anti-tratta (art.12), destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e
di integrazione sociale in favore delle vittime, nonché delle altre finalità previste dall’art.18 D.Lgs 286/98.
Rispetto all’assistenza delle vittime dei
19
reati previsti dagli articoli 600 e 601 c.p. ,
viene istituito uno speciale programma
(art.13) che “garantisce, in via transitoria,
adeguate condizioni di alloggio, di vitto e
di assistenza sanitaria”. La definizione del
programma è però demandata ad un regolamento da adottare su proposta del
Ministro per le Pari Opportunità di concerto con il Ministro dell’Interno e con il
Ministro della Giustizia.
misure per la prevenzione
Sono inoltre previste delle misure per la
prevenzione (art.14) in termini soprattutto
di cooperazione internazionale con i paesi di provenienza delle persone vittime di
tratta, attraverso incontri internazionali,
campagne di informazione, corsi di formazione ed ogni iniziativa utile alla finalità.
Per un commento sulla legge, si veda
più avanti l’intervento di Mariagrazia Giammarinaro al convegno organizzato nell’ambito del progetto.
3.0
l’integrazione
sociale, lavorativa
e abitativa delle
vittime di tratta
Quando la volontà di riscatto conduce
le donne vittime di tratta ad iniziare percorsi di integrazione, possono accedere
ai programmi di protezione sociale
previsti e finanziati dall’art. 18 D.lgs
286/98. Il percorso è però segnato da
una serie di difficoltà legate da un lato ad
una certa diffidenza o ostilità del contesto sociale (le forme di discriminazione cui
sono sottoposte sono ancora molto pesanti e difficili da superare, non solo rispetto all’appartenenza di genere ma anche a causa del colore della pelle, della
cultura, del recente passato di prostitute)
e dall’altro ad alcune caratteristiche proprie delle donne vittime di tratta che non
facilitano l’integrazione, l’adattamento e il
superamento delle barriere culturali.
Nel percorso di integrazione due nodi
particolarmente critici sono rappresentati
dall’inserimento lavorativo e da quello abitativo.
L’inserimento nel mercato del lavoro mette in evidenza da un lato specifiche forme di debolezza delle donne, a
causa della scarsa conoscenza della lingua italiana, della scarsa professionalizzazione, di un eccesso di aspettative, di
una concezione del lavoro legata alla
cultura del paese di provenienza; dall’altro:l’inadeguatezza di servizi per l’alfabetizzazione e la formazione (i servizi esistenti spesso non tengono conto del fatto che le donne immigrate che fuoriescono dalla tratta possono aver bisogno di
inserirsi nei percorsi in qualsiasi momento dell’anno senza rispettare le scadenze
previste dai moduli standard); la carenza
di nuove opportunità lavorative per donne immigrate (ad esempio nei pubblici
servizi); lo scarso coinvolgimento del
mondo dell’impresa nell’accoglienza di
personale straniero; lo scarso livello di informazione all’interno delle aziende sui
possibili percorsi di inserimento al lavoro
(borse lavoro, stage, tirocini,ecc.); la mancanza di verifiche preventive della “compatibilità” tra realtà aziendale e caratteristiche della persona avviata al lavoro (attitudini, capacità e aspettative); lo scarso
coordinamento tra tutti gli attori coinvolti
nell’inserimento (Province, Uffici competenti, Comuni, Servizi sociali, enti di formazioni, imprese, cooperative sociali, associazioni,…).
L’inserimento abitativo sembra essere lo scoglio più difficile nel percorso di
inserimento delle donne straniere. Il fatto
stesso che siano straniere è di per sé un
fattore discriminante, il fatto che dispongano di esigue risorse economiche impedisce loro di accedere a molte delle offerte in città, per loro troppo onerose. Inoltre
l’attesa del permesso di soggiorno, che
può durare mesi o anni, causa un protrarsi delle permanenze in strutture assistite;
20
21
la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale
progetto libere-te-lira-free
del resto, le donne inserite in un percorso
di emancipazione dalla tratta condividono con altre donne e uomini stranieri l’essere esposti a situazioni discriminanti rispetto al tema della casa. Gli alti costi dell’affitto e il possesso di contratti di lavoro
a tempo determinato (o interinale o a progetto) costituiscono un ostacolo alla locazione sia per stranieri sia per molti italiani; ma la precarietà, i canoni sproporzionati, le condizioni abitative degradate
e il sovraffollamento sono condizioni di
disagio che spesso differenziano gli inquilini stranieri dagli italiani. L'incontro delle
persone immigrate con il mercato dell'affitto ha dato vita a un mercato specifico:
il ricorso ad alloggi "inabitabili" - cioè al di
sotto dei criteri minimi che oggi definiscono l'abitabilità in Italia - indica la riemersione di un patrimonio, ormai fuori mercato, di edifici che risultavano irrecuperabili alle esigenze degli italiani. Questo mercato parallelo è poi caratterizzato dalle
forti connotazioni di irregolarità (affitto in
nero) e dai costi molto alti rispetto a quelli
richiesti alle famiglie italiane.
4.0
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Prostituzione www.comune.venezia.it/prostituzione
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Progetto EQUAL LIFE – Provincia di
Torino - www.life-torino.it
Protection Project of the Johns Hopkins University School of Advanced International Studies – USA - www.protectionproject.org
Tada – Programme for the prevention
of HIV/AIDS and other sexually transmitted disease – Polonia – www.tada.pl
25
capitolo 2
progetto
1.0
il progetto
libere - te lira - free
nell’ambito del Fse del
POR Piemonte
Il progetto Libere – Te Lira – Free è stato finanziato nell’ambito del FSE
2000/2006 - Obiettivo 3 POR Piemonte Asse E – Misura E1 che si pone tra
gli altri l’obiettivo di migliorare la posizione relativa della componente femminile
attraverso interventi diretti a rimuovere le
cause oggettive e culturali di discriminazione operanti nei confronti delle donne,
promuovendo il riconoscimento e la valorizzazione della componente femminile
nel mondo del lavoro.
Il progetto ha infatti colto l’opportunità
offerta dal bando 2002 per lavorare alla
destrutturazione di quegli stereotipi che
si riferiscono in particolar modo alle donne vittime di tratta e in generale alle donne migranti nel momento in cui si avviano
verso l’inserimento sociale, lavorativo,
abitativo e culturale.
Libera?
“Siamo state portate
in una casa: portavano
lì i nostri clienti, dicevano
che così guadagnavano
di più e ci potevano
tenere sotto controllo”
La necessità di lavorare su questo tema
era nata nell’ambito di un altro progetto finanziato dal Programma di Iniziativa Comunitaria EQUAL e diretto in maniera prioritaria all’inserimento lavorativo e abitativo
delle donne vittime di tratta. I partner del
progetto, nel lavoro quotidiano si scontravano continuamente con una serie di barriere e stereotipi culturali, sociali e di genere sui quali era indispensabile intervenire,
pena il fallimento degli inserimenti in azienda o in abitazioni private.
Questo ha permesso di analizzare i problemi concreti delle beneficiarie in termini
di ostilità del contesto sociale e culturale di
riferimento e di costruire un’azione di comunicazione fortemente connotata dalla
riflessione sulla trasversalità della discriminazione di genere rispetto a tutte le forme
di discriminazione che possono subire le
donne vittime di tratta.
La convinzione che gran parte delle ragioni dell’ostilità si basino sulla mancanza
di conoscenza del fenomeno, delle persone e delle storie che si celano dietro alle
donne che ne costituiscono l’oggetto, ha
rappresentato il punto di partenza per la
costruzione di strumenti di comunicazione/informazione capaci di produrre forte
impatto anche sulla cultura di parità.
2.0
la costruzione della rete LI.FE
Come emerge anche dai risultati della
ricerca condotta nel 2001 nell’ambito del
progetto “Osservatorio sull’applicazione
dell’art.18” – attuato dall’Associazione
On the Road nell’ambito del Programma
STOP della Comunità Europea – il panorama torinese si presenta ricco di iniziative ed esperienze nel campo della lotta alla prostituzione forzata, con il coinvolgimento di numerosi enti pubblici e del privato sociale sia laico che cattolico.
Una ricchezza che, se da un lato si traduce nell’offerta di numerosi interventi rivolti alle vittime di tratta – accoglienza, sostegno, assistenza medica e psicologica,
consulenza legale, orientamento, formazione, inserimento lavorativo - dall’altro
sembra essere il segno di una difficoltà da
parte dei diversi soggetti a coordinare le
proprie attività all’interno di un unico progetto. Difficoltà dovute almeno in parte alle rilevanti differenze negli obiettivi e nelle
metodologie di intervento consolidate
nelle esperienze passate: dalla definizione del problema prostituzione alla percezione dei bisogni delle utenti, ai criteri di
successo di un programma di protezione
sociale, esistono infatti tra gli enti considerati rilevanti differenze che ne informa-
26
progetto
progetto libere-te-lira-free
27
no l’intero operato.
Per cercare di superare le difficoltà di
coordinamento fra diversi progetti, l’Assessore alle Pari Opportunità della Provincia di Torino ha promosso fin dal 2001
la costruzione di una rete di enti, associazioni e organizzazioni, che potesse dare
corpo alla filosofia sottesa ai programmi
di protezione sociale previsti dall’articolo
18 T.U. Immigrazione, ovvero promuovere azioni integrate in cui ciascun progetto
rappresenti l’anello di una catena di interventi consapevolmente convergenti sullo
stesso obiettivo, ed ha rafforzato la sua
strategia attraverso la formazione di uno
specifico progetto finanziato nell’ambito
del PIC Equal: il Progetto LI.FE – LIbertà
FEmminile. Avviato nel giugno 2002,
LI.FE è tuttora in fase di realizzazione e
terminerà nel giugno 2005.
capacità di lavorare insieme, la Rete LIFE
ha progettato un intervento diretto a:
La Rete LI.FE è composta dai partner del progetto:
Alla costruzione della metodologia, sta
facendo seguito la fase di sperimentazione della stessa, con il coinvolgimento di
15 donne.
Provincia di Torino, Comune di Torino,
Comune di Moncalieri, Università degli
Studi di Torino, Associazione Compagnia delle Opere, Associazione Gruppo
Abele, Associazione Tampep onlus, Casa di Carità Arti e Mestieri, Cicsene,
Confcooperative, Ufficio Pastorale Migranti Caritas;
e dagli aderenti al comitato di pilotaggio:
Prefettura di Torino, Procura della Repubblica di Torino, Questura di Torino,
Comando Provinciale dei Carabinieri,
CGIL, CISL e UIL, Consulta Femminile
Regionale del Piemonte, Consulta Femminile Comunale di Torino, Associazione
promozione Donna, APID, CNA e Confartigianato, Commissione Regionale per
la realizzazione delle Pari Opportunità uomo-donna del Piemonte, Zonta International.
Dopo aver consolidato il sistema di relazioni tra i partner al fine di migliorare la
> definire e sperimentare una nuova
metodologia per l’inclusione sociale, lavorativa e abitativa delle donne vittime di
tratta;
> sviluppare strumenti e modalità di
collaborazione e condivisione delle informazioni e delle conoscenze tra i partner.
E’ stata così avviata la costruzione di
un percorso metodologico, scegliendo gli
approcci e le soluzioni più efficaci in tema
di: primo contatto e accoglienza, assistenza medica, psicologica e legale, analisi e bilancio di competenze, interventi
formativi e inserimento lavorativo, inserimento abitativo.
3.0
da LI.FE a libere te lira- free
Il confronto e l’interazione tra tutti i soggetti della rete LIFE, hanno messo in evidenza la necessità di affiancare alle azioni dirette concretamente all’integrazione
delle persone vittime di tratta, un’azione
di comunicazione e sensibilizzazione forte sul tema della tratta e della prostituzione forzata. Di qui è cominciata la progettazione congiunta degli interventi di Libere – Te Lira – Free, un progetto fondato
fin dalle sue origini sulla forte determinazione dei partner a mettere a disposizione le competenze e le esperienze maturate in settori di azione diversi ma tutti
ugualmente determinanti per il successo
delle iniziative a favore della creazione di
spazi sempre più ampi di libertà.
Partendo da una seria considerazione
del contesto di riferimento, è stato sottolineato che le difficoltà che le donne vittime di tratta incontrano nell’integrazione
sociale, culturale, lavorativa e abitativa sono molteplici:
delle/degli operatrici/tori sul campo nella
definizione di politiche che contribuiscano a costruire diritti di cittadinanza effettivi e a consolidare i successi ottenuti con
le azioni rivolte alle singole persone.
> sudditanza economica e psicologica
alle organizzazioni criminali;
3.1 obiettivi
> indifferenza e ostilità del contesto sociale alimentata da pregiudizi e stereotipi
legati all’appartenenza di genere ma anche al colore della pelle, alla cultura, al recente passato di prostitute, che bloccano
la comunicazione impedendo la conoscenza reciproca;
> difficoltà nell’inserimento lavorativo
dovute alla scarsa conoscenza della lingua italiana, alla scarsa professionalizzazione, ad una concezione del lavoro legata alla cultura del paese di provenienza;
> difficoltà nell’inserimento abitativo
dovute alla scarsa disponibilità economica, alimentata da una diffusa diffidenza
nei loro confronti.
Costruire una “zona libera dalla tratta” significa agire in diverse direzioni. Tra
le altre alcune sono state ritenute prioritarie dai partner del progetto:
> coinvolgere le beneficiarie stesse
mettendo le loro percezioni dei problemi
di integrazione e le loro esperienze al centro della progettazione degli interventi di
sensibilizzazione;
> affrontare in maniera diretta gli stereotipi e le ragioni dell’ostilità nei confronti delle donne immigrate in generale
e delle vittime della tratta in particolare;
> coinvolgere i decisori in un dibattito
ampio che consenta di integrare la prospettiva delle vittime della tratta e
Sulla base di queste considerazioni, il
progetto si è posto l’obiettivo di contribuire alla costruzione di un contesto più favorevole all’integrazione, attraverso la
realizzazione di una campagna di comunicazione rivolta da un lato alle donne vittime di tratta, dall’altro a target specifici di soggetti operanti sul territorio
aventi un ruolo chiave nel favorire o ostacolare il processo di integrazione e all’opinione pubblica.
Più specificamente:
> Contribuire a creare una rete di attori
e di interventi, della quale facciano parte
stabilmente donne che hanno intrapreso
con successo un percorso di integrazione, che divenga una “rete buona” capace di sensibilizzare ed informare le donne
vittime della tratta per motivarle ad intraprendere (o rimotivarle a proseguire) percorsi di integrazione sociale, lavorativa e
abitativa e percorsi di autogestione della
stabilità acquisita attraverso i servizi offerti dai progetti attivati sul territorio.
> Promuovere un processo di sensibilizzazione degli attori economico-sociali e
dell’opinione pubblica in generale rispetto all’esistenza di donne trafficate all’interno dei flussi migratori e di forme di prostituzione da tratta all’interno del fenomeno della prostituzione.
> Diffondere una cultura di parità ed
una diversa mentalità nei confronti del
principio di pari opportunità, per ridurre
l’ostilità e lo stigma in alcuni settori chiave per l’integrazione sociale, lavorativa,
28
progetto
progetto libere-te-lira-free
abitativa, culturale delle donne vittime della tratta.
> Definire azioni di mainstreaming verticale, in particolare nei confronti delle istituzioni pubbliche che stabiliscono le linee
di indirizzo in materia di assistenza, formazione, lavoro e abitazione.
3.2 partner operativi
del progetto
I partner del progetto Libere – Te Lira –
Free sono dunque gli stessi che costituiscono la partnership dell’Equal LI.FE.,
con la sola aggiunta della società S&T che
si è qui occupata del coordinamento delle attività progettuali (per un approfondimento sulle attività dei singoli partner si
rimanda alle schede contenute in appendice).
Anche il comitato di pilotaggio di LI.FE
ha aderito all’iniziativa LIBERE – TE LIRA
– FREE ed ha sostenuto e condiviso le attività sviluppate dal progetto.
29
31
capitolo 3
percorso
metodologico
1.0
gruppi di lavoro
Data la varietà e la notevole diversità
dei destinatari e della destinatarie della
campagna di comunicazione, per riuscire
a creare una comunicazione mirata su
ciascun target si è deciso di costituire due
gruppi di lavoro: uno per le azioni rivolte
alle beneficiarie, l’altro per quelle rivolte
all’opinione pubblica e ad alcuni soggetti
operanti sul territorio, aventi un ruolo chiave nel favorire o ostacolare il processo di
integrazione delle donne vittime di tratta.
La dimensione di piccolo gruppo ha consentito fin dalle fasi iniziali la creazione di
un clima molto collaborativo, in cui ciascun/a componente ha potuto contribuire attivamente alla definizione delle proposte comunicative, mettendo le proprie
specifiche competenze ed esperienze a
disposizione di tutte/i.
1.1 gruppo 1 - azioni rivolte
alle beneficiarie
Libera?
“Sono roba sua.
Mi ha comprata.
Tutti pensano
che guadagno bene...
Ma i soldi sono suoi.”
Gli strumenti per la sensibilizzazione
delle beneficiarie sono stati elaborati da
un gruppo di lavoro inizialmente composto dalle/dai rappresentanti di alcuni partner del progetto appositamente selezionati: Provincia di Torino, Tampep,
Gruppo Abele, Comune di Torino, Comune di Moncalieri, S.&T., Ufficio Pastorale Migranti.
Già nel corso della prima riunione, si è
iniziato a discutere su quali messaggi comunicare alle beneficiarie, con quali strumenti e che luogo scegliere per la distribuzione del materiale elaborato. E’ emerso da subito il desiderio di non limitarsi ai
tradizionali volantini, ma di pensare a
qualcosa che potesse colpire l’attenzione delle beneficiarie e fosse di loro gradi-
mento. Dal confronto tra i partner sono
emerse varie idee: radio, video, rivista, fumetto… finché una componente del
gruppo ha lanciato l’idea che sarebbe poi
stata accolta: il fotoromanzo.
Rispetto ai luoghi di distribuzione si è
inizialmente ipotizzata la creazione di un
punto informazioni all’interno di una stazione ferroviaria molto frequentata (ad
esempio Torino Porta Susa) dove tenere
del materiale in distribuzione e anche in
consultazione. Ma - ci si è chieste/i – le
donne e le ragazze alle quali vogliamo rivolgerci saranno disponibili a fermarsi al
banco informazioni e a prendere materiale da portare con sé? Consapevoli della
assoluta necessità di confrontarsi con le
beneficiarie si è deciso di invitarle all’incontro seguente.
A partire dalla seconda riunione il gruppo di lavoro è dunque stato costituito
dai/dalle rappresentanti dei partner sopra
citati e da alcune donne di diverse nazionalità che avevano già intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla prostituzione forzata e di integrazione e che sono state
coinvolte in qualità di esperte-testimoni del fenomeno dal suo interno. Insieme a loro sono state discusse e valutate le diverse idee e proposte emerse
precedentemente, e il confronto si è da
subito rivelato fondamentale: rispetto al
punto informativo alla stazione, le esperte hanno espresso perplessità in quanto
la stazione di Torino Porta Susa è un luogo di ritrovo molto frequentato dalle comunità di immigrati, le donne si sentono
osservate ed è molto difficile che si sentano libere di fermarsi ad un banchetto
che parla anche solo marginalmente di
tratta e prostituzione; rispetto agli strumenti di comunicazione, le esperte hanno evidenziato la necessità di utilizzare
materiale facile da comprendere, preferibilmente attraverso l’utilizzo di molte immagini, riducendo il testo all’essenziale.
Questa esigenza è stata da tutte sottolineata: innanzitutto perché le immagini
consentono di raggiungere anche quelle
32
33
percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
donne che non sono ancora in grado di
leggere il testo; in secondo luogo perché
il messaggio può essere raccolto anche
da chi, a causa della stretta sorveglianza,
non può che “dare un’occhiata” al materiale proposto.
L’idea del fotoromanzo è piaciuta, le
stesse esperte lo hanno ritenuto uno strumento idoneo per raggiungere molte
donne ancora sfruttate, sicché è stato
scelto come modalità espressiva sulla
quale lavorare per costruire una storia capace di proporre una speranza che riprenda il progetto di vita sulla base del
quale queste giovani donne hanno intrapreso il lungo, costoso e faticoso viaggio
che le ha portate nel nostro paese e che
fornisca informazioni utili sui primi contatti da prendere per riuscire a liberarsi dagli
sfruttatori.
A questo punto bisognava individuare
degli/delle esperti/e di comunicazione in
grado di scrivere testi, fotografare, fare regia e editing, un insieme di competenze
e professionalità che ha richiesto del tempo per individuare le persone giuste.
1.2 gruppo 2 - azioni rivolte a
target specifici
e all’opinione pubblica
Parallelamente alle riunioni del gruppo
1, anche il secondo gruppo ha cominciato a riunirsi per definire strumenti comunicativi rivolti all’opinione pubblica e a target specifici operanti sul territorio, per affrontare stereotipi e ragioni dell’ostilità nei
confronti delle donne vittime di tratta.
Il gruppo, costituito dalle rappresentanti di altri partner del progetto appositamente selezionati (Confcooperative,
Cicsene, Casa di Carità Arti e Mestieri, Compagnia delle Opere, Provincia
di Torino, S.&T.) ha innanzitutto lavorato
sulla definizione dei target destinatari delle azioni comunicative. Su chi focalizzare
la comunicazione? Chi sono le persone
che possono avere un ruolo significativo
nel favorire o ostacolare l’integrazione sociale, lavorativa ed abitativa delle donne
in uscita dalla tratta?
Dal punto di vista dell’integrazione lavorativa, senza dubbio imprenditori ed imprenditrici hanno un ruolo fondamentale
ma, essendo già fortemente coinvolti e
sollecitati nell’ambito del progetto LIFE, si
è deciso di non sovrapporsi.
Riflettendo sulle trasformazioni in atto
all’interno del fenomeno tratta a fini di
sfruttamento sessuale, è emersa una condivisa preoccupazione rispetto alla crescita del cosiddetto “sommerso”, al rischio
che la prostituzione sparisca dalle strade
per trasferirsi in luoghi chiusi, privati, dove
le donne sono più difficilmente raggiungibili. Alla luce di ciò, si è ritenuto importante attuare una sensibilizzazione sul territorio che, oltre a rendere il contesto più accogliente verso le donne già uscite dalla
tratta che cercano di integrarsi, possa in
futuro contribuire a stanare situazioni di reclusione ed esercizio forzato della prostituzione all’interno dei condomini.
In questo senso il gruppo ha deciso di
rivolgere l’azione comunicativa soprattutto agli amministratori condominiali, ai
proprietari e agli agenti immobiliari,
da coinvolgere attraverso le rispettive associazioni di categoria.
Un altro target ritenuto importante è
rappresentato dai vigili urbani e di prossimità, spesso i primi interlocutori cui le
persone si rivolgono in caso di conflitti, ed
in ogni caso importanti e visibili presenze
sul territorio.
Rispetto alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, si è riflettuto sulle difficoltà di creare una campagna di comunicazione efficace in assenza di un target
mirato, concordando tuttavia sui contenuti da comunicare che dovrebbero puntare ad una decostruzione dello stereotipo della prostituta straniera, sottolineando le differenze fra le donne, raccontando chi sono e da dove vengono.
Quali strumenti realizzare per comunicare tutto ciò? Ci si è subito trovate d’ac-
cordo rispetto all’ipotesi di realizzare un
video, da utilizzare come introduzione alla discussione per gli incontri di sensibilizzazione con i target individuati, uno
strumento di facile diffusione anche via Internet. Di qui è partita la ricerca di esperte/i di comunicazione, e le strade dei due
gruppi di lavoro si sono inevitabilmente
incrociate.
2.0
strumenti
di comunicazione
Nel prendere contatti con Davide Tosco, giovane regista torinese, per la realizzazione del video destinato alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei
target di professioniste/i individuati, è
emersa da parte sua la proposta di avvalersi della collaborazione di Nicola Rondolino, anch’egli giovane regista torinese, per una realizzazione coordinata di video e fotoromanzo. L’idea, in breve, è
stata la seguente: partire dalla realizzazione del video per poi estrapolare delle
immagini da usare come base per la realizzazione del fotoromanzo.
La proposta è piaciuta ad entrambi i
gruppi di lavoro, per la possibilità di ottimizzare le risorse disponibili e di coordinare i prodotti ottenendo una migliore
qualità ed efficacia comunicativa.
Si è così deciso di avviare gli incontri
con i due esperti per procedere con la
stesura del soggetto del video.
2.1 video
Consapevoli dell’importanza di un coinvolgimento attivo delle esperte testimoni in questa fase, possibile solo mantenendo quel clima di fiducia e collaborazione costruito nel primo gruppo nel corso delle precedenti riunioni, si è deciso di
iniziare il lavoro invitando i due esperti ad
unirsi a tale gruppo. Il secondo gruppo
sarebbe entrato in gioco attivamente in
una seconda fase.
Abbiamo così condiviso con i due
esperti le riflessioni già fatte in merito alle
finalità del materiale da produrre. Se infatti lo scopo non era semplicemente informare ma comunicare, bisognava chiarire che cosa si volesse comunicare.
In sintesi, è emersa l’esigenza di creare
un materiale capace di facilitare la comunicazione fra due mondi. Si è riflettuto su quanto accade ad esempio sul treno Torino-Milano, luogo-simbolo dell’incontro-scontro tra ragazze prostitute e
prostituite, soprattutto nigeriane, e persone native, dove si riscontra una pressoché totale separatezza: da una parte le
persone italiane infastidite dagli schiamazzi e dagli odori forti provenienti dai cibi speziati africani, dall’altra le ragazze infastidite dai tanti occhi che le osservano.
Il video, più che dare delle informazioni sul
fenomeno tratta, dovrebbe stimolare riflessioni e curiosità, contribuendo a decostruire gli stereotipi che bloccano la
comunicazione ed impediscono lo scambio. Ciò che si voleva, era raccontare le
persone dietro le maschere stereotipate,
con i loro bisogni, le capacità, i sogni,
mettendo in risalto luci ed ombre. L’intento era quello di stimolare una comunicazione tra le persone, al di là del loro essere donne, uomini, italiane/i, straniere/i, tenendo al centro la dignità umana come
valore universale ed imprescindibile.
Scendendo più nel dettaglio dei contenuti, sono stati evidenziati alcuni stereotipi sui quali concentrarsi: ad esempio le
donne vittime di tratta si percepiscono e
sono percepite più spesso come colpevoli che come vittime, una visione diffusa
anche presso l’opinione pubblica diffusa.
Un aspetto importante in relazione all’attribuzione di colpevolezza, è la presenza
o meno di consapevolezza del proprio
destino al momento della partenza: in sostanza, le donne sanno cosa faranno in
Italia quando decidono di partire? E qui
bisogna fare delle distinzioni. Una esperta-testimone ha sottolineato che ormai le
34
35
percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
donne rumene sanno cosa verranno a fare e “scelgono” di partire ugualmente perché in Romania non hanno alcuna possibilità: il problema è che poi c’è chi le sfrutta e si intasca i soldi. Un’altra esperta-testimone ha sottolineato invece che le
donne nigeriane non sanno tutto. Se è vero che dal 2000 radio e televisione in Nigeria raccontano cosa fanno le ragazze
portate in Italia, va tuttavia detto che esse ignorano le condizioni di lavoro, la strada, il freddo, il debito enorme da rifondere: se sapessero tutto questo non partirebbero. Inoltre molto spesso le ragazze
vengono prelevate dalla campagna, da
situazioni di grande povertà, dove la prospettiva di partire per l’Europa è troppo
allettante per poter essere rifiutata, tanto
più che lì radio e televisioni non arrivano,
dunque l’inganno è più semplice.
E’ stata più volte sottolineata la mancanza di libertà, intesa come possibilità
di scegliere fra più alternative conosciute.
Non c’è libertà né per le donne che vengono in Italia sapendo cosa le aspetta
perché non hanno altre possibilità di scelta, né per le donne che vengono tuttora
convinte a partire da persone di fiducia
senza sapere che fine faranno.
Il video dovrebbe raccontare le persone, sottolineandone anche i punti di forza
e le possibilità di uscita: la grande forza
di queste donne, il coraggio di partire,
sono aspetti del loro progetto migratorio
che stentano ad emergere ma che costituiscono un dato di fatto importante.
Infine il video è anche un modo per parlare degli uomini: amici, clienti... ecc.
Sulla base di queste prime riflessioni
Tosco e Rondolino hanno cominciato la
stesura del soggetto del video, incentrato sull’intrecciarsi delle storie di due
giovani donne, Comfort, nigeriana, e Maria una ragazza dell’Est europeo, accomunate dall’esperienza della violenza e
della prostituzione forzata. Due donne
che non si conoscono: Maria è riuscita a
sottrarsi agli sfruttatori ed ha intrapreso
un cammino di integrazione, Comfort è
ancora nelle maglie dello sfruttamento, alle prese con il pagamento del debito. Immagini che ritraggono momenti della vita
quotidiana attuale con flash sul passato,
toccando aspetti personali delle due donne: un modo per facilitare il coinvolgimento, l’identificazione da parte del pubblico.
Maria ricorda il turbolento rapporto con
il suo sfruttatore, le botte, i lividi, le perquisizioni, la decisione infine di rivolgersi
alle forze dell’ordine per chiedere aiuto,
un percorso che l’ha condotta nelle maglie di una “rete buona” di aiuto: è stata
accolta in una comunità, ha ricevuto
ascolto e sostegno, ha avuto un permesso di soggiorno ex art. 18 ed ora ha iniziato un lavoro come commessa in un supermercato. Ciò che sogna è di riuscire a
trovare una casa dove vivere, magari in
condivisione con altre donne, per uscire
finalmente dalla comunità lasciando il posto ad altre donne in emergenza e costruirsi una vita “normale”, progressivamente più autonoma. Se l’incubo del
passato continua ad essere con lei, quotidianamente, nei ricordi impressi in modo indelebile nella sua memoria, riesce finalmente ad intravedere una speranza
per il suo futuro, a riprendere il filo del suo
progetto migratorio.
Comfort è sul treno, si sente osservata
e giudicata, ma la gente che ne sa di lei,
della sua vita? Di suo figlio e della sua famiglia in Africa che contano su di lei per
sopravvivere, delle minacce ripetute da
parte della madam che anche stasera arriverà puntualmente a chiederle i soldi,
del debito enorme che deve pagare, del
padrone di casa che ne approfitta chiedendo un affitto esagerato, del fatto che
nonostante tutte le ore passate al freddo su quel marciapiede di provincia nelle sue tasche rimarrà poco niente.
Questa prima bozza di soggetto è stata portata al gruppo ed è stata la base per
ulteriori confronti e sollecitazioni da parte
di tutte le/i componenti: ciascuna perso-
na ha contribuito attivamente alla costruzione dei personaggi e delle storie raccontate, portando il proprio punto di vista professionale ma, grazie al clima di fiducia creatosi nel tempo, anche i propri
vissuti e le esperienze personali. L’atmosfera è stata sempre molto vivace e carica di entusiasmo, di voglia di confrontarsi, mettersi in gioco e non sono mancate
le discussioni anche accese su alcuni
punti. Il finale ad esempio, è un punto sul
quale si è molto dibattuto: sarebbe credibile immaginare un finale in cui le due
donne si incontrano, si parlano, si scambiano i numeri di telefono e magari Comfort chiama Maria per chiederle aiuto? Le
esperte hanno espresso a questo proposito pareri contrastanti: secondo alcune
no, si poteva al limite immaginare un avvicinamento tra le due, uno sguardo, ma
non un dialogo; secondo altre invece un
dialogo era possibile, ma lo scambio di
numeri di telefono e la telefonata no. Sull’opportunità di insistere o meno sull’aiuto reciproco per uscire dalla situazione di
sfruttamento si è a lungo dibattuto, rimandando ogni decisione ai successivi
incontri, dopo aver fatto sedimentare tutte le sollecitazioni emerse.
Ampio spazio è stato lasciato alle voci
delle esperte, componenti fondamentali del gruppo di lavoro e, soprattutto nei
casi più difficili, quando l’accordo del
gruppo stentava ad arrivare, l’ultima parola è sempre stata lasciata a loro. Le testimonianze delle esperte hanno consentito una ricostruzione dettagliata e fedele
alla realtà delle storie delle due giovani
donne rappresentate nel video. In tutto
sono state coinvolte nove donne, provenienti dalla Nigeria, dall’Albania, dalla Moldavia, dalla Romania e dalla Bulgaria: alcune hanno partecipato all’intero percorso progettuale, altre hanno interrotto la
partecipazione ciascuna per motivi propri
e peculiari (la partenza per l’Africa per andare a trovare la famiglia, l’aver trovato un
lavoro a tempo pieno, problemi di salute…) ed altre si sono inserite in itinere.
Consapevoli dell’importanza imprescindibile della loro parola, il gruppo ha sempre cercato di incontrarsi negli orari che
consentivano loro di essere presenti, conciliando queste consulenze agli altri impegni formativi e lavorativi.
Sulla base del materiale emerso nel
corso di queste discussioni, i due esperti
hanno scritto una bozza di sceneggiatura e l’hanno sottoposta al gruppo, questa volta riunito in seduta plenaria: è stata
letta e discussa scena per scena, sempre con grande attenzione e spirito critico da parte di tutte/i, sono stati fatti altri
ritocchi fino ad arrivare alla stesura definitiva. Di nuovo si è dibattuto sul finale: perché una ragazza è uscita e l’altra no? Perché non inserire una via di uscita anche
per la ragazza nigeriana? Dopo accesa
discussione, si è concordato sull’importanza di non discostarsi troppo dalla realtà raccontando a tutti i costi una storia a
lieto fine. Inoltre lasciare un finale aperto
ed in un certo senso irrisolto era importante rispetto alle intenzioni comunicative
e ai target di destinatari/e: è importante
che vengano stimolate delle domande nel
pubblico ed anche la voglia di fare qualcosa per far sì che anche le donne ancora sfruttate abbiano la possibilità di scegliere una vita diversa. Anche rispetto all’ultima scena si è nuovamente discusso,
giungendo alla fine ad una soluzione condivisa: le due donne si incontrano, si guardano, le loro mani si incontrano in uno
scambio di solidarietà, ma niente dialoghi
e telefonate.
A lungo si è discusso sull’eventualità o
meno di inserire dei dialoghi e, in caso affermativo, in che lingua. Alla fine si è ritenuto di lasciar parlare le immagini, senza
dialoghi. Una scelta che ha portato ad un
prodotto che, pur guidando lo/a spettatore/trice nello svolgersi delle due storie
rappresentate, mantiene una certa indeterminatezza che lascia un margine di interpretazione personale a chi guarda, sollecitando altresì curiosità ed interrogativi.
Va ricordato che non si tratta di un video
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percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
pensato per essere proiettato a se stante, ma come introduzione a degli incontri
di sensibilizzazione sul tema della tratta a
fini di sfruttamento sessuale e delle difficoltà incontrate dalle persone che ne sono vittime ad integrarsi nella società. Ciò
che si voleva non era dunque un video informativo, che offrisse una comunicazione che chiude, fine a se stessa, ma un video che avvicinasse emotivamente gli
spettatori e le spettatrici alle protagoniste
ed alle loro vite, sollecitando interrogativi
e curiosità, creando insomma un atteggiamento ricettivo ed aperto tale da facilitare il confronto nel dibattito successivo
alla proiezione. L’assenza di dialoghi consente inoltre di proporre il video come
strumento di sensibilizzazione anche in
altri Paesi.
A questo punto è partita la macchina
organizzativa relativa alla produzione vera e propria. I due esperti hanno coinvolto una squadra di collaboratori e collaboratrici: direttore di produzione, scenografa, costumista, responsabile casting….
hanno cercato due attrici per interpretare
le due protagoniste, altri attori e comparse (reclutate fra gli amici ed amiche ed anche tra le rappresentanti dei partner del
progetto), hanno individuato le locations
dove girare le scene. Parallelamente sono stati richiesti tutti i permessi necessari
e, grazie alla collaborazione di GTT –
Gruppo Torinese Trasporti, della Questura di Torino e della Novacoop, che hanno
messo a disposizione le loro strutture e i
mezzi per ambientare alcune scene, alla
fine di gennaio 2004 sono state effettuate le riprese.
Il video è stato montato e visionato in
seduta plenaria, alla presenza di tutte le
componenti e i componenti dei due gruppi di lavoro, per la verifica finale, soprattutto da parte delle esperte, che si sono
riconosciute nelle storie raccontate.
Il prodotto finale di questo lavoro è Due,
video a colori della durata di 8 minuti.
37
2.2 fotoromanzo
Finito il montaggio del video, il gruppo
ha cominciato l’attività di creazione del fotoromanzo.
Ci si chiederà come sia nata l’idea di
realizzare uno strumento così inconsueto. L’idea del fotoromanzo nasce in modo casuale dalla lettura di un articolo del
Venerdì di Repubblica che dava notizia
della rinascita del genere fotoromanzo,
sottolineando quelle che erano state le
cause del grande successo negli anni settanta ed ottanta: semplicità, quasi ingenuità del mezzo, molte figure e pochi dialoghi, linguaggio semplice ed immediato.
Con questa ricetta il mezzo fotoromanzo
ha comunicato, nel periodo di maggiore
diffusione, anche contenuti importanti che
riflettevano i cambiamenti sociali in corso:
il lavoro delle donne al di fuori delle mura
domestiche, il divorzio, il diritto rivendicato dalle donne alla felicità aldilà dei legami
e delle costrizioni famigliari. L’articolo citava esplicitamente quale esempio alcuni
fotoromanzi ideati e realizzati dal Comitato per i Diritti delle Prostitute di Pordenone nel 1985, pubblicati all’interno del periodico Lucciola, con la diretta partecipazione di Carla Corso e Pia Covre, fondatrici del Comitato, e di personaggi noti che
si sono prestati a quel esperimento di comunicazione molto connotata nelle sue rivendicazioni.
Ricercando e ritrovando nell’archivio di
TAMPEP Onlus le copie dei periodici contenenti i fotoromanzi, questi sono stati
presentati alla riunione del gruppo di lavoro, che ha accettato con entusiasmo
l’idea di utilizzare lo strumento del fotoromanzo per comunicare alle sexworkers.
I due creativi hanno selezionato alcune
immagini tratte dai filmati realizzati per il
video, le immagini sono state ritagliate e
distribuite in modo disordinato sul tavolo:
superata l’iniziale difficoltà a decidere come iniziare la storia, si è scelta un’immagine e da lì tutto è cominciato. Ci si è su-
bito rese/i conto di una difficoltà imprevista: il fatto di doversi basare sulle immagini già disponibili e di non poter (dati i limiti di tempo e di budget) fare altre foto,
almeno non molte, rappresentava un vincolo non indifferente. Intanto ad esempio
c’erano moltissimi primi piani e poche immagini che mostrassero più persone insieme, necessarie per poter inserire delle
conversazioni. Scelta la prima foto, le storie delle due donne hanno cominciato a
prendere forma, ad intrecciarsi, così pure
i loro pensieri, le frasi pronunciate o anche solo pensate, sussurrate.
In questo lavoro il ruolo delle esperte è
stato ancora più attivo e determinante: si
trattava infatti di creare un fotoromanzo
da distribuire alle donne ancora costrette
a subire i ricatti e le violenze dei loro sfruttatori/trici, dunque bisognava elaborare
una storia da raccontare a loro, comunicando un messaggio di fiducia verso le
persone, la società italiana, per consentire di intravedere un’alternativa. Al di là di
ogni giudizio morale, il messaggio che si
voleva comunicare era la libertà di scegliere tra diverse alternative ed opportunità esistenti.
Seguendo la traccia già delineata nel video, le due storie hanno quindi preso forma, pian piano sono stati aggiunti dei brevi testi, sono state inserite delle foto mancanti e ritenute necessarie, altre sono state ritoccate…
Si è discusso sulle lingue da utilizzare
per i testi: inizialmente si era pensato di
realizzare più versioni in diverse lingue,
oppure una versione unica con i testi in
più lingue, ma alla fine la parola delle
esperte ha decretato di optare per testi
estremamente semplici e concisi in un Italiano colloquiale comprensibile dalla gran
parte delle donne beneficiarie.
Si è altresì discusso sulle dimensioni
da dare al libretto-fotoromanzo, convenendo infine sull’opportunità di realizzarlo
in formato molto piccolo, in modo tale che
sia più agevole nasconderlo in tasca o nella borsetta: pur non trattandosi di mate-
riale esplicitamente “sovversivo” è infatti
immaginabile che possa comunque dare
un certo fastidio alle madam e agli sfruttatori qualora lo trovassero nelle mani delle ragazze.
Come per il video, anche in questa fase
il confronto è stato sempre piuttosto acceso e molte sono state le mediazioni da
compiere per raggiungere un buon compromesso finale. Un aspetto estremamente positivo è che ogni discussione è
stata occasione preziosa per le esperte,
per condividere le loro esperienze, raccontare sé e la propria cultura, ed altrettanto per tutte le persone presenti, per la
possibilità unica di reciproco incontro.
Alla fine di ciascuna riunione si procedeva alla numerazione delle foto per non
perdere le preziose sequenze individuate
e poter così riprendere la volta successiva
esattamente dal punto lasciato. Quando
le due storie hanno cominciato ad avere
la loro consistenza, il fotoromanzo è stato
impaginato, stampato in bozza, portato al
gruppo e ridiscusso dall’inizio alla fine.
Si è ad esempio ridiscusso sull’eventualità o meno di inserire dei riferimenti telefonici dei partner: di tutti, solo di qualcuno? Rispettando la volontà di ciascuna/o, si è deciso di inserire nell’ultima pagina dei recapiti utili alle donne per il primo
contatto: quello dell’Associazione Tampep, dell’Ambulatorio Malattie Infettive
Sessualmente Trasmesse dell’Ospedale
Amedeo di Savoia e del Centro Soccorso
Violenza Sessuale dell’Ospedale Sant’Anna, oltre al Numero Verde anti-tratta
800 290290.
Anche in questo caso la supervisione finale è stata affidata alle esperte e solo
quando si sono riconosciute nelle due storie ed hanno giudicato l’insieme credibile
si è dato il benestare per la stampa. Il breve testo inserito nella pagina con i recapiti
telefonici è stato scritto insieme a loro, che
hanno fortemente voluto che si scrivesse
“questa è la storia di due donne....”.
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percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
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2.3 locandine/cartoline
Mentre si lavorava sul fotoromanzo, è
emersa anche l’opportunità di utilizzare le
foto per realizzare delle locandine e delle
cartoline per l’azione di sensibilizzazione
rivolta all’opinione pubblica. La disponibilità di GTT, che ci ha offerto la possibilità
di appendere gratuitamente delle locandine sui suoi mezzi di trasporto pubblici, ha
segnato l’inizio di una nuova attività, ingenuamente ritenuta semplice e veloce: in
fondo le foto le avevamo già, bastava aggiungere qualche breve testo e le locandine sarebbero state pronte.
Così non è stato: la complessità del lavoro si è rivelata già a partire dalla scelta
delle foto, poiché implicava la selezione di
alcuni temi da affrontare e dunque l’esclusione di moltissimi altri. Ci si è rese/i conto del rischio di cadere nei luoghi comuni
(la schiavitù, le donne vittime…) e non era
ciò che si desiderava. Riprendendo le riflessioni fatte nella fase di ideazione del
soggetto del video, il gruppo ha deciso di
puntare sulla decostruzione di alcuni stereotipi diffusi che contribuiscono a generare un atteggiamento ostile nei confronti
delle donne trafficate, rendendone ancor
più difficile l’uscita dalla tratta e la successiva integrazione nel contesto sociale, lavorativo ed abitativo. Dopo lunghi confronti sono state scelte 5 foto legate a
stereotipi diffusi ed accomunate dal tema della mancanza di libertà di scelta:
Locandina/cartolina 1. Stereotipo:
“Le donne nere, soprattutto le nigeriane,
sono tutte prostitute”. Il problema della
stigmatizzazione legata al colore della
pelle e alla provenienza è fortissimo sul
territorio torinese, per cui qualsiasi ragazza nera è guardata come prostituta (tanto che addirittura la parola nigeriana è da
molti utilizzata come sinonimo di prostituta) e fatica moltissimo a scrollarsi di
dosso questo stigma.
Locandina/cartolina 2. Stereotipo:
“Queste donne guadagnano un sacco di
soldi …”. Sappiamo invece che la realtà
delle donne trafficate è ben diversa, poiché nelle loro tasche rimane ben poco di
ciò che i clienti pagano: i soldi vanno agli
sfruttatori/trici per ripagare il debito.
Locandina/cartolina 3. Stereotipo:
“Bisogna vietare la prostituzione di strada: in luoghi chiusi le donne sono molto
più sicure, più tutelate…”. In realtà la diffusione della prostituzione in luoghi chiusi, lungi dal garantire alle donne maggiori
tutele, le rende invisibili ed irraggiungibili
da chi da tempo si occupa di dar loro informazioni sanitarie, sui diritti, sulle opportunità, rendendole ancor più vulnerabili, sole e dipendenti dagli sfruttatori/trici.
“Mi sono appena
laureata in medicina...
ma molti pensano
che faccio la prostituta”
1
“Siamo state portate
in una casa: portavano
lì i nostri clienti, dicevano
che così guadagnavano
di più e ci potevano
tenere sotto controllo”
3
Locandina/cartolina 4. Stereotipo:
“Guarda, è libera di scappare, se non lo
fa è perché questo lavoro le piace”. In
molti casi invece non è così: non è necessario avere le catene per essere costrette, giacché esistono forme di ricatto e coercizione psicologica fortissime, soprattutto quando le minacce coinvolgono la
famiglia rimasta nel paese di origine.
Locandina/cartolina 5. Un altro messaggio che si voleva comunicare è la sofferenza che rimane impressa profondamente nelle donne che hanno subito le violenze e i ricatti dei trafficanti, una sofferenza che quotidianamente riemerge nei
ricordi, dalla quale è difficile liberarsi anche
quando, superati gli ostacoli insiti nel percorso di integrazione, si riesce ad avere
una vita apparentemente “normale”.
“Sono roba sua.
Mi ha comprata.
Tutti pensano
che guadagno bene...
Ma i soldi sono suoi.”
2
“Vorrei scappare ma
mi hanno detto che
se lo faccio mi uccidono
e portano qui
mia sorella a lavorare
per loro al posto mio”
4
Il metodo di lavoro è stato anche in
questo caso di tipo partecipativo, con un
ruolo ancor più attivo delle esperte, che
hanno spesso parlato in prima persona,
portando la testimonianza di esperienze
vissute direttamente o da persone vicine.
I testi virgolettati riportati sui retri delle locandine sono tratti da questi racconti e
40
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percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
da altre testimonianze riportate in alcuni
testi e validate dalle esperte stesse.
2.4 spot
Lo spot, della durata di 35”, è stato realizzato da Davide Tosco e Nicola Rondolino con delle immagini tratte dal video
Due. Per il sonoro sono state registrate
frasi pronunciate dalle esperte-testimoni:
si tratta di stralci delle frasi già scelte dal
gruppo come testi per le locandine. L'intenzione è quella di trasmettere un messaggio carico di emotività presentando
una serie di momenti forti nella vita di due
donne straniere e sole, episodi di violenza. Tramite due fotografie delle rispettive
famiglie si è cercato di evidenziare l'aspetto di una normalità che rappresenta
spesso uno degli elementi di ricatto da
parte degli sfruttatori.
sessualità e rapporti tra i sessi, un’incursione in una dimensione intima connotata da sentimenti e vissuti molto
personali. Così, letto a posteriori, l’iniziale atteggiamento protettivo nei confronti delle esperte, esplicatosi anche
nella richiesta di non raccontare necessariamente le proprie vicende personali ma anche storie sentite e vissute da altre, appare in realtà come un
tentativo di proteggere tutte le persone del gruppo rispetto allo sconfinamento in una dimensione intima.
persone appartenenti ad associazioni con
differenti punti di vista. Molti mondi si sono
incontrati/scontrati: native vs migranti –
donne vs uomini – retroterra laico vs retroterra cattolico – operatrici sociali vs creativi
– Europa vs Africa. Si è trattato sempre di
tensioni costruttive risoltesi in un confronto
arricchente per tutte le persone coinvolte,
rafforzando la reciproca conoscenza e la
motivazione rispetto al lavoro da svolgere.
Ed infatti l’investimento di molte persone è
andato decisamente al di là dei limiti lavorativi, in termini sia di ore dedicate che di
entusiasmo. In poche parole: ci si è appassionate/i.
3.0
riflessioni sul processo
e le dinamiche
di gruppo
Come si è visto, le attività realizzate
nell’ambito del progetto Libere, non
sono state pianificate a priori a tavolino, ma sono state il frutto di un processo ideativo e creativo che si è sviluppato nel corso del tempo all’interno
di un gruppo di lavoro in continua evoluzione.
L’impatto iniziale è stato connotato
da un certo imbarazzo reciproco, da
timore, diffidenza e curiosità, e questo non soltanto in riferimento alle
esperte-testimoni, ma a tutte le persone componenti il gruppo. Va detto a
questo proposito che si tratta di persone che sì, avevano già lavorato insieme, ma mai così in profondità sui contenuti. Parlare di tratta e di prostituzione, delle persone in esse coinvolte e
con le persone in esse coinvolte, significa inevitabilmente parlare anche di
Gradualmente si è creato un clima di fiducia, anche grazie al luogo di lavoro, informale ed accogliente, ad alcuni gesti che
sono diventati dei riti: il caffé, l’appello e le
chiacchiere in attesa dell’arrivo di tutte/i. Le
stesse rappresentanti dei partner sono gradualmente passate dall’imbarazzo alla conoscenza reciproca, sperimentando la
possibilità di esprimere pensieri e vissuti
propri, al di là del proprio ruolo e dell’ente
di appartenenza.
Questa crescente libertà di esprimersi ha fatto emergere i primi scontri “etnici”
ed “interetnici” sia tra le esperte sia tra le
Il processo creativo si è basato sulla
condivisione: le idee dei creativi sono
state sempre portate al gruppo per essere discusse e condivise, talvolta criticate
e rielaborate, fino all’approvazione finale,
sempre lasciando l’ultima parola alle
esperte.
Due parole sul genere dei creativi:
due uomini in un gruppo costituito da
donne (con la saltuaria presenza di un
operatore, che giustifica l’utilizzo del doppio linguaggio). Non si è trattato di una
scelta predefinita - all’inizio si erano presi
contatti con una regista, che tuttavia non
era disponibile - ma nello svolgersi delle
attività sono emersi i risvolti positivi di
queste presenze maschili che, affiancando all’indubbia creatività una spiccata
sensibilità e capacità di incontrare le persone, hanno contribuito in modo determinante a creare dei prodotti che parlano
a tutte e a tutti, assumendo anche il ruolo di facilitatori all’interno del gruppo. Inoltre è stata una presenza importante per
le esperte, in quanto ha consentito loro di
sperimentarsi in una relazione paritaria
anche con uomini “altri”.
Rispetto al contributo delle esperte, si
è detto più volte che esso è stato determinante per raggiungere i risultati del progetto, ma va altresì detto che il lavoro di
gruppo è stato determinante per loro
stesse (cfr testimonianze). Si è notata una
notevole evoluzione nel loro modo di stare nel gruppo e contribuire al processo
creativo. Stanti le notevoli differenze individuali, legate al carattere di ciascuna ancor più che alla provenienza geografica,
ci sono tuttavia alcuni punti in comune.
Se all’inizio la richiesta loro rivolta dal
gruppo è stata quella di raccontare in terza persona, di validare quanto raccontato dalle operatrici, ben presto è emersa
da parte loro la voglia di raccontare la
propria storia di vita, di raccontarsi in prima persona. In questa fase, non sono
mancati i conflitti: ciascuna portava la
propria storia come espressione della
storia di tutte, spesso con la difficoltà ad
accettare i differenti racconti delle altre.
Gradualmente la solidarietà reciproca ha
avuto il sopravvento sul bisogno di affermare la propria verità, un cambiamento
emerso nel linguaggio, con il passaggio
dal frequente uso dell’IO al NOI, e nel
comportamento, con la frequente ricerca
di vicinanza (ad esempio durante le pause caffé o sigaretta, in cui facevano gruppetto vicino alla finestra).
L’esperienza di gruppo è stata per loro
un’importante palestra di costruzione di
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percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
relazioni sociali basate sulla parità, solidarietà, il confronto ed il sostegno reciproco, un’esperienza spesso nuova per
loro, abituate ad un clima di sospetto, sfiducia e delazione. Il rapporto paritario è
stato percepito ed apprezzato dalle
esperte come un’esperienza arricchente
in tutte le sue manifestazioni, dalle più significative alle più piccole cose, come ad
esempio il rito del foglio-firme all’inizio di
ciascuna riunione: il fatto di segnare il proprio nome e firmare la propria presenza
sul foglio insieme a quelle di tutte le altre
persone è stato molto significativo. Le
esperte hanno altresì sottolineato la novità per loro di relazionarsi con persone “altre”, sperimentando una dimensione nuova anche rispetto alle relazioni di aiuto. Ed
inoltre va ricordato che per loro si è trattato di un lavoro regolarmente retribuito.
Evidentemente non è stato un percorso facile e privo di ostacoli: per quanto più
o meno lontana fosse l’esperienza di violenza e sfruttamento subita, per quanto
digerita e rielaborata, si tratta sempre di
ricordi indelebilmente associati ad una
sofferenza profonda. In questo senso la
presenza delle operatrici ed il loro sostegno sono stati determinanti per consentire l’esito positivo dell’esperienza.
Il rovescio della medaglia di tutto questo positivo coinvolgimento nelle attività
progettuali è rappresentato dal fatto che,
come tutte le attività legate ad un progetto, ha un termine. Alcune esperte hanno
già espresso il desiderio di proseguire il
lavoro fatto, sia per continuare a raccontare le loro storie, sia per continuare ad
incontrare le persone conosciute nel
gruppo. Va considerato che, soprattutto
nella fase finale di creazione del fotoromanzo e delle locandine, gli incontri di Libere sono diventati degli appuntamenti
settimanali o addirittura bisettimanali,
spesso si è trattato di vere e proprie maratone di ore, quindi i rapporti fra le persone si sono approfonditi e consolidati
ben oltre i limiti dell’ambito lavorativo. So-
prattutto per le donne che hanno finito sia
il percorso di formazione, sia la borsa lavoro e sono quindi in cerca di occupazione, si prospetta un periodo di “vuoto” vissuto con una certa ansia e difficoltà.
4.0
comunicazione
sociale attraverso
esperienze di progettazione partecipata
a cura di
Davide Tosco e Nicola Rondolino
Progettare in modo partecipato significa privilegiare un atteggiamento
inclusivo.
L'obiettivo è quello di cercare nuove
idee, consensi, partecipazione proprio
dove normalmente non si cercherebbero: tra i collaboratori e le collaboratrici interni/e, tra i beneficiari e le beneficiarie dei
progetti, tra i/le rappresentanti più sensibili della gerarchia istituzionale e/o assistenziale.
Facilitare spazi di partecipazione vuol
dire dar valore alle differenze giocando
necessariamente sull'inclusione, in una
sorta di mediazione costante, a tratti impercettibile. Come una traduzione accurata, pronta a cogliere spunti e a sottolinearli per una lettura più approfondita da
parte delle persone coinvolte in un gruppo di lavoro. Solo attraverso una ampia
collaborazione attiva dei futuri fruitori e
fruitrici, o di coloro su cui la comunicazione si vuole concentrare, crediamo si possa garantire coerenza e sensibilità d'intenti. Non è facile mettere in piedi un processo finalizzato alla costruzione di racconti condivisi tra i/le partecipanti e
condivisibili dal target a cui ci si rivolge. In
parte è anche un discorso di umiltà...
La difficoltà sta nel trovare un filo conduttore, un linguaggio comune, un terreno di incontro nel quale tutti possano sentirsi a proprio agio, liberi di contribuire col
proprio pensiero, incoraggiati dal protagonismo reciproco. La pratica partecipata parte dal presupposto che chi è chiamata/o a mediare e accompagnare tale
percorso debba considerarsi al servizio
di un processo atto a favorire lo sviluppo
di una progettualità in grado di coinvolgere le persone con esperienze anche molto diverse.
La possibilità che siano gli stessi destinatari e destinatarie a influenzare i contenuti attraverso la condivisione delle proprie esperienze è l'obiettivo di questo approccio progettuale.
E' importante valorizzare (potremmo
anche dire celebrare) ciò che è esperienza di vita, qualcosa che possa essere
condiviso e allo stesso tempo stimolare
un atteggiamento aperto da parte di coloro che sono disposti/e a collaborare in
un'operazione di comunicazione di questo genere.
Il quotidiano, “la normalità”, ciò a cui
normalmente scarsa o nulla attenzione
viene prestata, diventa una chiave per avvicinare i protagonisti e le protagoniste,
entrando così in un territorio emotivo nel
quale barriere e resistenze possono diventare meno solide. Sempre che mediatori/trici e facilitatori/trici si adoperino con
la dovuta sensibilità.
La consapevolezza di aver intrapreso un
percorso di mutuo apprendimento deve
stabilirsi fin dai primi contatti tra i/le partecipanti: le persone e le loro storie, o le storie che possano rappresentare un immaginario in cui riconoscersi, diventano l'altra
faccia di una storia ufficiale normalmente
distaccata perchè appunto non partecipe.
Riuscire ad instaurare, all'interno di un
gruppo, dinamiche di espressività personale che possano convergere in racconti
collettivi è la sfida che ancora in pochi sono consapevoli di poter sostenere.
5.0
il progetto raccontato
dalle esperte/
testimoni che hanno
partecipato ai lavori
Joy
Luisa e Simona mi avevano parlato di un
progetto dove potevo partecipare, ma non
avevo capito proprio tutto. Sono andata a
casa e ho chiesto a Jovka cosa significa
fotoromanzo e lei mi ha spiegato ed io ho
capito.
Il primo giorno che sono venuta alla riunione mi vergognavo un po’, perché sono timida con le persone che non conosco. Dopo ho guardato le persone che
c’erano per capire chi erano, io stavo zitta, ma ascoltavo bene per capire. Ognuno diceva cosa pensa, io prima sono stata zitta per sentire gli altri e per sapere bene cosa stiamo facendo, così quando ho
parlato non ho “sbagliato” e gli altri mi
hanno ascoltato.
Quello che mi è piaciuto di più è che
c’erano tante persone che parlavano insieme di tutte le cose brutte che mi sono
successe – perché il lavoro sulla strada a
me non piaceva ed io piangevo sempre –
mentre prima non ne potevo parlare con
nessuno.
Non mi ha dato fastidio che c’erano
due uomini, perché quando ci vedevamo
a Tampep eravamo tutti insieme come
una famiglia e Davide era come mio fratello che quando stavo male mi ha aiutata. Adesso mi dispiace che non ci vediamo più con tutti e mi piacerebbe che facciamo un altro lavoro insieme ed anche
con altre persone.
Yovka
Quando sono venuta la prima volta alla
riunione ho guardato il video e mi è piaciuto molto, perché è una storia vera. Prima non ero libera di parlare di queste cose, per ricordarmi tutto con questo gruppo ho parlato, mi hanno ascoltato ed insieme abbiamo deciso la storia da
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percorso metodologico
progetto libere-te-lira-free
raccontare, come mettere le foto ed anche i testi.
Tutti dicevano cosa pensavano, tutti si
ascoltavano e si scambiavano le idee ed
in questo modo potevamo trovare l’idea
giusta per questo “libro”.
Le persone che ho conosciuto mi sono piaciute, perché mi hanno guardato
come una collega di lavoro. Ed anche
perché abbiamo parlato di noi, di come
stiamo, della nostra vita. Mi farebbe piacere se facciamo un altro “libro” e lavoriamo di nuovo insieme, e possiamo stare
insieme.
Abbiamo lavorato insieme e abbiamo
deciso insieme tutto, un lavoro di gruppo
senza “comandante” che ti dice come
devi farlo.
Blerime
Quando Luisa mi ha chiesto se volevo
partecipare ad un lavoro con lei ed altre
persone ho detto di sì. Mi ha detto dobbiamo lavorare su un fotoromanzo …. perché no ?? Quando è uscita fuori la storia
del progetto, un po’ mi sono spaventata,
però ho detto mi butto. Per fortuna non ero
da sola, partecipavano al gruppo una ventina di persone, sia donne sia uomini.
Nella prima riunione alla quale ho partecipato non è che ero d’accordo su tutto… ero abbastanza tesa e spaventata,
avevo paura di parlare, perché pensavo
che tutti mi avrebbero guardata con un
occhio diverso se non ero d’accordo su
alcune cose - per esempio il video che all’inizio non mi era piaciuto per niente, non
mi sembrava ben fatto, mi sarebbe piaciuto diverso, che sembrasse di più un
film. Però dopo averlo visto la seconda
volta ho cambiato idea, è la storia di due
donne diverse nel colore e anche nella
cultura ed ora trovo che è un video ben
fatto.
Ho pensato tanto se continuare ad andare oppure no alle riunioni che si facevano per il fotoromanzo, una parte di me
mi diceva di no, ma l’altra parte diceva sì
….. ho pensato continuo a lavorare con il
gruppo, così ascolto cosa pensano le
persone, ho cercato di capire ed ho imparato tante cose che prima non sapevo,
ora sono molto contenta del lavoro fatto.
Ero veramente molto curiosa di sapere
chi sono le altre persone, una volta capito chi sono, mi sono sentita a mio agio ed
ho cominciato a dire i miei pensieri senza
paura. Non è stato semplice, anzi è stato
molto faticoso, soprattutto trovare le parole giuste che andassero bene a tutti per
i testi del fotoromanzo.
Questo progetto che alla fine mi è piaciuto, mi ha anche fatta crescere in tutti i
sensi ed ora mi sento veramente me stessa. La cosa che è cambiata è che ho buttato sul tavolo tutti i miei pensieri, sia belli
sia brutti.
I motivi che mi hanno fatto continuare il
lavoro nel progetto Libere sono:
1. Perché è una cosa bella poter dire la
propria opinione e poter metter in pratica
alcune cose.
2. Aiutare le altre persone che non si
sentono libere, soprattutto le donne straniere che sono vittime della prostituzione
e sono maltrattate dai propri uomini (ad
esempio picchiate).
3. Poter parlare dei padroni di casa che
approfittano della situazione per aumentare gli affitti, questo è un metodo per derubare le persone.
4. Perché cresco io e crescono anche
le mie idee.
Ester
All’inizio ero chiusa... non avevo capito
bene questa cosa, però man mano che
passava il tempo, 2-3 incontri, ho capito
che siete per aiutare gli stranieri nella vita
che c’è adesso. All’inizio non parlavo, ma
ero curiosa e le persone mi piacevano.
Quando ho visto che tutti dicevano quello che pensavano, altre ragazze nigeriane parlavano, ho pensato posso parlare
anch’io e dire quello che penso. Ho pensato che potevo parlare perché ero con
persone “perbene”. Quando ho parlato
ero contenta, mi sentivo libera di parlare
con voi. A volte si parlava forte e bisognava stare molto attenti per sentire e per capire, io non sono abituata a parlare forte... solo qualche volta.
Ero contenta di venire:
1. perché era un lavoro;
2. perché potevo dire le mie opinioni;
3. perché posso conoscere per la prima volta della gente “perbene” che mi
vuole bene e siamo sullo stesso livello per
parlare del mondo e dei fatti.
Quando ho visto il fotoromanzo mi è
piaciuto perché si vede che è un lavoro
fatto insieme dove hanno partecipato anche persone straniere come quelle che
ancora lavorano.
Sono molto orgogliosa di aver fatto
questo lavoro con il gruppo del progetto
Libere.
Grace
Quando Laura mi ha parlato di questo
progetto Libere, non ho pensato due volte di partecipare perché dal mio punto di
vista era una cosa bella per aiutare le ragazze che sono costrette a prostituirsi. La
prima volta che ho partecipato alla riunione c’erano tante persone e mi sono un
po’ ritirata indietro nel senso che non volevo parlare della mia esperienza brutta
passata però dopo che ho conosciuto le
persone che erano presenti mi sono
aperta con loro perché erano delle persone simpatiche e mi sentivo in famiglia.
La prima volta abbiamo parlato di fotoromanzo ognuno di noi ha detto la sua idea
e anche io ho detto la mia idea ricordando la mia esperienza brutta passata. Dopo il fotoromanzo abbiamo parlato di un
video filmato, e ti dirò che è uscito bene,
con questo voglio dire che ero veramente contenta del lavoro che abbiamo fatto
e spero che questo messaggio arriva alle
ragazze che hanno bisogno di uscire dalla prostituzione e di migliorare la loro vita
per bene.
47
capitolo 4
attività
di diffusione
1.0
introduzione
Libera?
“Mi sono appena
laureata in medicina...
ma molti pensano
che faccio la prostituta”
Il progetto Libere si propone come
obiettivo principale la comunicazione,
quindi le attività di diffusione costituiscono parte fondamentale per la realizzazione degli obiettivi progettuali.
Tutto il materiale creato e precedentemente descritto (video, spot, cartoline e
fotoromanzo) verrà mandato, unitamente
ad una copia del presente manuale, ad
un vasto indirizzario costituito da: enti ed
associazioni che si occupano a livello nazionale di tratta e prostituzione, principali
enti di formazione, cooperative, Istituzioni
di Parità, per proporne l’utilizzo per attività di sensibilizzazione e comunicazione
sul tema della tratta delle persone a fini di
sfruttamento sessuale.
In questa fase, ciascun partner metterà a disposizione del progetto le proprie
reti di contatti, relative ai rispettivi abituali
ambiti di intervento, consentendo così
una capillare diffusione in contesti diversi,
ma tutti altrettanto importanti per cercare
di scalfire gli stereotipi e l’ostilità diffusa
nei confronti delle persone che sono trafficate e prostituite, per rendere più agevole il loro percorso di integrazione sociale, lavorativa ed abitativa.
Oltre a questa attività di distribuzione
del “pacchetto Libere” completo, nel
corso delle ultime settimane del progetto i diversi materiali realizzati sono stati
utilizzati per attività di diffusione e sensibilizzazione mirate in modo specifico
ai target precedentemente scelti in virtù del ruolo che possono avere nel favorire o ostacolare l’integrazione sociale, lavorativa e abitativa delle donne vittime di tratta, rispetto ai quali i materiali stessi sono stati prodotti.
La complessità e la molteplicità degli
strumenti di comunicazione identificati ha
richiesto tempi di realizzazione molto lunghi che hanno spostato verso l’ultima fase del progetto la pianificazione e attuazione delle attività di diffusione. Le persone contattate in questa fase hanno dimostrato molto interesse oltre alla volontà di
proseguire anche in futuro nell’azione di
sensibilizzazione/comunicazione/informazione dei diversi target di riferimento.
Per questo non si è potuto interrompere il circolo virtuoso innescato dal progetto e si prevedono attività di diffusione anche nei prossimi mesi.
2.0
l’azione di sensibilizzazione rivolta
all’opinione pubblica
2.1 campagna di comunicazione in collaborazione con
GTT
Il contributo del Gruppo Torinese
Trasporti per la realizzazione pratica
del progetto è stato fondamentale e
senza di esso molti dei risultati ottenuti
non avrebbero potuto essere raggiunti.
L'ambientare una scena del video all'interno di un vagone ferroviario, essendo il treno un mezzo di trasporto
molto usato dalle prostitute, ha permesso di dare al video un'impronta veritiera fortemente voluta dai registi.
Ancora, le locandine promozionali
realizzate nell'ambito del progetto e valutate positivamente da una commissione interna alla GTT, verranno esposte, presumibilmente a settembre-ottobre 2004, su tutti i mezzi del gruppo
permettendo così una diffusione capillare del messaggio in esse contenuto
ed una grande visibilità da parte dei
viaggiatori della provincia di Torino.
48
49
attività di diffusione
progetto libere-te-lira-free
2.2 8 marzo in Provincia
di Torino
Nei giorni 6, 7 e 8 marzo 2004, le piazze di Torino e della Provincia si sono aperte a concerti, mostre, laboratori, seminari, dibattiti, occasioni di confronti e di
scambio tra le donne e con il territorio, in
occasione della manifestazione "Le piazze delle donne: protagoniste sempre non
solo per un giorno", promossa dal Comune di Torino, dalla Provincia di Torino e
dalla Consigliera di Parità Provinciale.
Questo scenario di confronto e riflessione è stato scelto dal partenariato del progetto Libere per la prima proiezione pubblica del cortometraggio Due, che si è
svolta domenica 7 marzo presso la sala
Consiglieri di Palazzo Cisterna. Il pubblico, numeroso, ha accolto molto calorosamente il video, ha dimostrato vivo interesse e partecipazione e ha dato vita ad
un animato dibattito, a cui hanno partecipato numerosi partner del progetto attivi
nel tavolo di lavoro, nonché i registi ed alcuni degli attori/ attrici.
Il giorno successivo la proiezione è stata ripetuta alla presenza della presidente
della Provincia di Torino Mercedes Bresso che, in occasione dell'8 Marzo, incontrava le dipendenti dell'Ente.
Le dipendenti della Provincia hanno
commentato molto favorevolmente il video, rivolgendo numerose domande ai
partners ed ai registi sulle modalità di realizzazione del video stesso, sulle finalità
del progetto, sui mezzi utilizzati dallo stesso, sul fenomeno della tratta più in generale. Per molte di loro questo momento è
stata la prima occasione per avvicinarsi a
questa realtà, poco nota e spesso oggetto di tabù e preconcetti.
Il video Due è stato proiettato anche alle Ragazze del Servizio Civile Volontario,
suscitando sempre vivo interesse nei
confronti di questo fenomeno, ancora
troppo poco conosciuto e compreso.
2.3 cartoline Freecards
Il materiale elaborato per le locandine è
stato utilizzato anche per la realizzazione
di 5 diverse cartoline con la stessa impostazione grafica, che sono state stampate in 15000 copie e diffuse attraverso il circuito Freecards. Tale circuito prevede la
distribuzione delle cartoline in appositi
espositori collocati nei locali, negozi e luoghi di aggregazione e spettacolo di maggior tendenza. Grazie alla capillare presenza di tale circuito sul territorio torinese, le
cartoline sono distribuite in 130 punti in
Torino (bar, ristoranti, pizzerie, teatri, cinema, librerie...) durante tutta l’estate 2004,
momento di massima affluenza di pubblico soprattutto nei vari punti di aggregazione allestiti all’aperto, raggiungendo così un target molto eterogeneo di popolazione, con particolare impatto sulla fascia
di età compresa tra 18 e 35 anni.
2.4 cartoline
Oltre alle cartoline diffuse attraverso il
circuito freecards, ne sono state stampate altre che verranno diffuse dai partner in
vari luoghi aperti al pubblico, come le Biblioteche civiche, i punti Informa Circoscrizioni, i Centri Territoriali permanenti, gli Uffici relazioni col Pubblico di Comune e Provincia, i Centri per l’Impiego, gli uffici postali.
2.5 Salone Expoelette
Il video Due è stato proiettato anche nell’ambito del Salone Expoelette, primo Salone Internazionale delle Elette e delle Pari
Opportunità, svoltosi al Centro Congressi
Lingotto di Torino l’11-12 e 13 marzo
2004. Il Salone prevedeva infatti una sezione interamente dedicata alla proiezione di film, documentari e video nazionali
ed internazionali realizzati da registi e registe su temi inerenti il mondo femminile.
2.6 film breve - anteprima
AIACE del corto italiano
Nei giorni 7 e 8 giugno 2004 si terrà a
Torino presso il cinema Fratelli Marx la
rassegna di cortometraggi Film Breve, organizzata da Aiace Nazionale e Aiace Torino in collaborazione con il Ministero per
i Beni e le Attività Culturali e la Regione
Piemonte. Il video Due è stato selezionato per la partecipazione alla sezione Concorso che premierà il migliore corto italiano, scelto da una giuria composta da Daniele Gaglianone, Emidio Greco, Marco
Pozzi, Gaetano Stucchi, Gianluca Tavarelli e Enrico Verra. La proiezione al pubblico avverrà martedì 8 giugno alle ore 21
presso il cinema Fratelli Marx, corso Belgio 53, Torino.
2.7 spot
Lo spot Due verrà messo a disposizione sul web, nelle pagine dedicate al progetto Libere sul sito www.life-torino.it. Si
stanno inoltre prendendo i necessari
contatti per concordare una sua diffusione sia televisiva, sulle reti private locali e
nazionali, sia cinematografica, sugli
schermi di alcuni cinema sul territorio
provinciale torinese.
3.0
l’azione di sensibilizzazione nel settore immobiliare
Gli incontri con i rappresentanti delle
associazioni di proprietari immobiliari
(UPPI - Unione Piccoli Proprietari Immobiliari), di agenti immobiliari (FIAIP - Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali e FIMAI - Federazione Italiana
Mediatori Agenti Immobiliari) e di amministratori di condominio (ANACI – Associazione Nazionale Amministratori
Condominiali e Immobiliari) rientrano tra
le azioni di sensibilizzazione di Libere frutto della progettazione del secondo gruppo di lavoro.
Gli strumenti proposti per fare informazione a questi target sono:
> momenti formativi all’interno di corsi
organizzati per gli associati, con la proiezione del video Due e un conseguente dibattito con alcuni dei partner di Libere;
> inserimento nella rivista dell’associazione di materiali informativi sul progetto
(brochure, articoli ad hoc, cartoline, ecc);
> altre modalità convenute insieme ai
contattati.
Gli incontri si sono svolti con il responsabile della comunicazione della FIMAI,
con i presidenti provinciali di FIAIP e
ANACI, con il presidente di UPPI.
A tutti costoro è stato mostrato il video
Due, sono stati illustrati gli scopi del progetto e sono state date alcune informazioni generali sulla tratta degli esseri umani in relazione allo sfruttamento della prostituzione. Sono state anche illustrate le
finalità del progetto LI.FE chiarendo che,
come molte altre donne straniere, le donne uscite dallo sfruttamento della prostituzione, seppur in possesso di documenti di soggiorno e di un’occupazione, incontrano grandi difficoltà di integrazione
sociale e, soprattutto, abitativa. Rispondendo ad un interesse specifico espresso dal target, particolare attenzione è stata riservata al nuovo disegno di legge sulla prostituzione (N° 3826 Fini-Bossi-Prestigiacomo) che intende vietare la
prostituzione “in luogo pubblico e aperto
al pubblico”, con particolare riferimento
ad alcune sue possibili conseguenze, tra
cui l’esercizio forzato della prostituzione
all’interno dei condomini.
Gli esiti degli incontri sono stati positivi
e in alcuni casi sono andati oltre le aspettative più rosee: FIMAI inserirà nella circolare per gli associati del mese di giugno
50
51
attività di diffusione
progetto libere-te-lira-free
una pagina sul progetto Libere; ANACI ha
richiesto la collaborazione della partnership di Libere per l’organizzazione di un
convegno nell’autunno 2004 sul tema
della tratta e prostituzione forzata, con
particolare attenzione al disegno di legge
3826; FIAIP ha dichiarato interesse a promuovere anch’essa il convegno, e soprattutto ad elaborare insieme ai partner di Libere e LI.FE delle ipotesi concrete di supporto alle donne vittime di tratta inserite in
percorsi di emancipazione; UPPI riserverà
due pagine, sul numero della rivista UPPInforma in uscita nell’autunno 2004, ad
un articolo dedicato al progetto e ad alcune immagini tratte dalle cartoline.
Altra ricaduta di segno decisamente
positivo è stata l’offerta ipotizzata dal presidente di UPPI, che è anche vicepresidente dell’Agenzia Territoriale per la Casa
(ATC), di assegnare in gestione a un partner di LI.FE alcuni alloggi di edilizia popolare per le beneficiarie. A questo scopo
nell’autunno 2004 si terranno incontri organizzativi tra la partnership del progetto
LI.FE e il personale incaricato dell’ATC.
4.0
la formazione formatori/formatrici di casa
di carità arti e mestieri
Presso la Casa di Carità Arti e Mestieri
si è tenuto a metà maggio 2004 un incontro per presentare il video Due alle Referenti di Centro per le Pari Opportunità.
L’incontro aveva la finalità di verificare
l’entità dell’impatto emotivo che la visione del video è in grado di suscitare e di
valutare la possibilità di utilizzo del video
quale strumento di formazione.
All’incontro hanno partecipato alcuni
partner del Progetto Libere: Provincia di
Torino, Associazione Tampep e Ufficio
Pastorale Migranti.
La Provincia di Torino ha contestualizzato il fenomeno della prostituzione e della tratta di persone ed ha presentato il
progetto. L’Associazione Tampep ha portato all’attenzione dei/delle presenti i dati
del “fenomeno tratta” e, sulla base dell’esperienza maturata, ha portato la sua testimonianza circa le condizioni psicologiche, fisiche e sociali in cui vivono le donne vittime di prostituzione forzata. Inoltre
ha reso noti i diversi modi utilizzati dalle
organizzazioni criminali per costringere le
donne a prostituirsi ed ha posto l’accento sulle diverse forme di schiavitù cui sono sottoposte le donne immigrate dall’Africa (in prevalenza nigeriane) e le donne
che provengono dall’Est europeo.
La testimonianza ha destato molto interesse grazie al racconto di storie di vita,
che hanno portato all’attenzione dei/delle
presenti problematiche sconosciute a chi
non opera nel campo; ha inoltre contribuito a smontare alcuni stereotipi e a far nascere una nuova sensibilità al fenomeno.
Le Referenti di Pari Opportunità si sono dimostrate sensibili ed interessate ai
temi proposti. A seguito della proiezione
del video Due si è instaurato un piacevole scambio di idee tra i/le partecipanti e si
è creato un clima empatico e molto coinvolgente. Le referenti hanno espresso il
proprio coinvolgimento emotivo ed hanno apprezzato la mancanza di dialoghi,
che ha il potere di rinforzare le immagini,
già molto di impatto. Infatti il video è stato prodotto e montato al fine di focalizzare l’attenzione sui vari fotogrammi che
possono evocare differenti interpretazioni
e quindi consentire di immaginare ed afferrare situazioni, emozioni e realtà diverse tra loro.
Le referenti hanno inoltre individuato alcuni temi trattati nel video, che possono
essere spunto di ulteriori approfondimenti in ambito didattico: l’immigrazione, la
violenza (sia fisica che psicologica), il pregiudizio e lo stereotipo. Tali argomenti sono oggetto delle lezioni di pari opportunità (intese nell’accezione più ampia di diritto alla differenza), quindi il video può essere considerato uno strumento
educativo utile e stimolante, che comuni-
ca in modo semplice e di forte impatto temi di grande attualità.
E’ stato osservato che la visione del video ad uso didattico potrebbe risultare di
difficile interpretazione per i ragazzi e le
ragazze più giovani (corsi per il diritto/dovere di istruzione e formazione), mentre
per quanto riguarda la visione da parte di
un pubblico adulto (corsi post-diploma e
serali) tutte le referenti concordano sulla
valenza didattica della proiezione del video, preceduta da appositi interventi formativi di introduzione al fenomeno.
Le Referenti hanno espresso il desiderio di organizzare alcuni incontri d’aula
con i partner del Progetto Libere, per affrontare l’argomento utilizzando la metodologia formativa delle testimonianze dirette.
I colleghi uomini presenti all’incontro
hanno in particolare espresso il proprio
coinvolgimento emotivo, sollecitato dalla
visione del filmato, rispetto ai temi dell’immigrazione e della condizione psicologica
degli immigrati e delle immigrate. A parere
dei partecipanti, l’incontro ha contribuito
a diffondere la sensibilità al tema della prostituzione forzata, ponendo le basi per un
approccio al fenomeno inteso come un
problema di tutti, e non solo di alcuni individui sfortunati. Anche i colleghi uomini si
sono dimostrati interessati ad approfondire l’argomento e a farsi promotori della
sensibilizzazione al fenomeno.
Franca Balsamo, docenti dell’Università
degli Studi di Torino.
Durante la mattinata è stato affrontato
il tema dell’offerta di informazioni su tratta delle donne e prostituzione. Partendo
dalla presentazione del progetto Libere,
si è passati ad un approfondimento da un
lato sulle modalità di comunicazione rivolte alle donne stesse, sui contenuti delle
informazioni date, sul linguaggio utilizzato, dall’altro sulla comunicazione rivolta
alle comunità locali. La mattinata si è conclusa con la proiezione del video Due seguita da un confronto tra il pubblico, i registi ed alcuni rappresentanti dei partner
del progetto che hanno partecipato attivamente alla sua realizzazione. Nel corso
del pomeriggio il focus si è spostato sulle
rappresentazioni del fenomeno e sul loro
ruolo nelle scelte normative e nelle politiche penali e sociali (cfr capitolo 5).
Oltre ad un pubblico variegato di circa
100 persone, al convegno hanno partecipato anche alcuni/e giornalisti e giornaliste di testate nazionali che si sono dimostrati molto interessati/e ai temi trattati ed
ai prodotti realizzati nell’ambito del progetto, come dimostrano gli articoli pubblicati
successivamente sui quotidiani La Stampa e Repubblica (cfr rassegna stampa).
5.0
il convegno
Il fotoromanzo, stampato in 20.000 copie, verrà distribuito soprattutto alle beneficiarie del progetto attraverso i canali
di contatto tradizionalmente usati dai
partner che operano direttamente sul territorio con le donne vittime di tratta.
La distribuzione del materiale verrà effettuato usufruendo dei canali già utilizzati per la diffusione del materiale informativo di TAMPEP alle donne e cioè:
> attraverso l’attività di Unità di Strada
(in Torino e provincia), grazie al contatto
diretto delle donne che si prostituiscono
Martedì 27 aprile 2004 si è svolto a Torino, presso il Circolo degli Artisti di via
Bogino, il convegno “Parlare di tratta e di
prostituzione, parlare alla prostituzione”,
un’occasione per riflettere sulla comunicazione e sull’informazione sui temi della
tratta e della prostituzione. Il programma
del convegno è stato definito in collaborazione con il Comitato scientifico, composto da Franco Prina, Davide Petrini e
6.0
la rete di distribuzione
del fotoromanzo
52
53
attività di diffusione
progetto libere-te-lira-free
> in sede, come materiale a libera disposizione
> nell' ambito delle attività di ascolto,
counselling e accompagnamento delle
donne ai servizi
> coinvolgendo le donne in accoglienza e favorendo la diffusione “informale”
del materiale e il passaparola
> attraverso l’attività di operatori/trici
sociali in altri servizi della rete di accoglienza, inviando il materiale anche a progetti che lavorano in altre regioni italiane
> presso i servizi sanitari (ambulatori,
consultori) frequentati dalle donne
Si prevede inoltre di mettere il materiale di Libere a disposizione del Tampep International Network.
Il GRUPPO ABELE provvederà a distribuire il fotoromanzo presso la sede dell’accoglienza del Progetto prostituzione e
tratta, presso lo sportello di informazione
giuridica Inti, presso i servizi sanitari dedicati alle persone straniere, agli enti ed associazioni legati alla rete del numero verde nazionale, alle donne che avendo già
concluso un percorso di integrazione
possono farsi a loro volta agenti di sensibilizzazione nei confronti di altre donne.
Altri luoghi di distribuzione saranno: Call
center, Western Union e affini, comunità
religiose (ad es. Chiesa rumena ortodossa, Chiesa nigeriana) e associazioni che
si occupano di accoglienza a bassa soglia, con i quali nel corso degli anni sono
stati presi contatti che hanno portato alla
costruzione di relazioni di fiducia.
L'UFFICIO PASTORALE MIGRANTI
si impegna a diffondere il fotoromanzo attraverso le reti attivate sul territorio, in particolare coinvolgendo il Gruppo Pastorale
della diocesi, il Coordinamento della Caritas e le Comunità extracomunitarie presenti in Torino. Copie del fotoromanzo saranno inoltre distribuite agli operatori/trici
dell’Ufficio Pastorale Migranti e soprattutto alle ragazze in articolo 18, oltre che agli
utenti che per diversi motivi frequentano
l'ufficio.
Il fotoromanzo è stato creato come
strumento di comunicazione eminentemente ma non esclusivamente rivolto alle
donne coinvolte nel mondo della prostituzione, con l’intento anche di dar loro voce per raccontare le proprie storie, le
aspettative, i progetti, le violenze subite e
le speranze per il futuro. Alcune copie del
fotoromanzo verranno quindi distribuite
anche dagli altri partner del progetto nelle sedi ed occasioni ritenute più opportune per raggiungere target di popolazione
ritenuti particolarmente significativi.
Ad esempio, Cicsene terrà qualche copia tra il materiale in libera distribuzione
presso l’Agenzia per lo sviluppo locale di
San Salvario, frequentata da un pubblico
molto vario di persone italiane e straniere, uomini e donne, giovani e meno giovani. Provvederà inoltre a distribuirne alcune copie presso le numerose associazioni di volontariato presenti nel quartiere
di San Salvario e, se si troverà un accordo in merito, anche alla Polizia municipale di sezione.
Copie del fotoromanzo e delle cartoline verranno tenute in distribuzione presso gli Sportelli Accoglienza e Orientamento dei centri di formazione di Casa di Carità, la cui utenza prevalente è costituita
dai potenziali allievi, giovani e adulti sia italiani che extracomunitari.
55
parte seconda
capitolo 5
convegno nazionale
parlare di tratta e prostituzione,
parlare alla prostituzione
atti a cura di Franco Prina
Libera?
“Ogni sera
prima di dormire
quando ricordo le cose
che ho vissuto
mi manca il respiro”
Molte sono state in questi anni le occasioni in cui operatori, associazioni e responsabili di politiche locali si sono incontrati per discutere dei problemi della tratta e della prostituzione, delle iniziative di contrasto alle condizioni di sfruttamento, delle misure normative che sono state adottate o sono in discussione, dei servizi messi a disposizione
di chi matura interesse a uscire dalla condizione in cui si trova o è costretto a restare.
Il convegno affronta, coerentemente con la filosofia e gli obiettivi del progetto libere –
te lira - free, un aspetto specifico ancorché strettamente correlato a quelli appena richiamati: l’aspetto della informazione e della comunicazione. Un aspetto centrale dal
momento che non vi è possibilità di accoglienza e di sostegno a chi si prostituisce senza un’azione precedente di contatto, comunicazione, informazione. Né le politiche di
accoglienza hanno possibilità di essere efficaci senza un’azione di sensibilizzazione e
coinvolgimento (fatta di informazione e formazione) della comunità locale. e ancora,
sappiamo quanto le politiche siano influenzate da rappresentazioni deformate, superficiali o incomplete della realtà considerata. Anche in questo caso, un problema di comunicazione – l’informazione veicolata dai mass-media – che diventa cruciale.
L’obiettivo perseguito attraverso il convegno, è stato duplice. in primo luogo, riflettere sul modo in cui intorno alla questione prostituzione, si comunica e si può comunicare, avendo come riferimento sia le persone che sono le dirette protagoniste del fenomeno, sia le comunità locali. In secondo luogo approfondire il rapporto che intercorre
tra le rappresentazioni prevalenti o diffuse delle caratteristiche e delle dimensioni del fenomeno e le opzioni normative e la scelta delle politiche poste in essere a livello nazionale e locale.
I due aspetti oggetto di approfondimento nelle relazioni e nei contributi presentati sono inevitabilmente intrecciati e per questo, nelle diverse voci che si sono succedute,
troviamo a volte riferimenti ad entrambi. Tuttavia il centro dell’interesse della sessione
del mattino è stato il tema “parlare alla prostituzione” e “parlare di tratta e di prostituzione” alle comunità locali, mentre nel pomeriggio si è affrontato il tema delle rappresentazioni della questione e delle loro influenze sulle norme e sulle politiche.
56
convegno nazionale
progetto libere-te-lira-free
programma
Parlare di tratta e prostituzione, parlare alla prostituzione
Quali informazioni a chi la esercita?
Quale comunicazione nelle comunità locali?
Quale rapporto tra rappresentazioni del fenomeno, decisioni normative, politiche?
27 aprile 2004 - Circolo degli Artisti - via Bogino 9 - Torino
9.00 Registrazione partecipanti
9.30 – 10.00 Saluti autorità
Maria Pia Brunato - Assessore alla Solidarietà sociale, Politiche per i Giovani, Sanità e
Pari Opportunità della Provincia di Torino
Angelo Ferrero - Assessore alle Politiche Sociali e Solidarietà del Comune di Moncalieri
Gianna Rolle - Animatrice di parità della Regione Piemonte
Paola Pozzi - Assessore al Sistema Educativo e alle Pari Opportunità della Città di Torino
10.00 – 10.15 Presentazione Progetto Libere Te Lira Free
Il progetto
Il video: “Due” regia di Davide Tosco e Nicola Rondolino
Il fotoromanzo
10.20 – 12.10
L’offerta di informazioni su tratta delle donne e prostituzione: parlare alle donne, parlare alle comunità locali
Modera:
Roberto Moisio - direttore di area relazioni e comunicazione della Provincia di Torino
Relazione:
Claudio Donadel – Servizio prostituzione del Comune di Venezia
Ne discutono:
Lucia Portis - Associazione LILA
Simona Meriano – vice presidente Associazione Tampep onlus
Rita Falaschi - referente Progetto “Oltre la Strada” Provincia di Genova
12.10 Proiezione del Video “Due”
Dibattito
13.00 - 14.00 Buffet
14.00 – 16.00
Le rappresentazioni del fenomeno e il loro ruolo nelle scelte normative e nelle
politiche penali e sociali
Modera:
Stefanella Campana – giornalista de La Stampa
Relazioni:
Franco Prina - docente Università degli Studi di Torino
Maria Grazia Giammarinaro – giudice Tribunale Roma
Ne discutono:
Lorenzo Trucco – presidente ASGI - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione
Fredo Olivero – direttore UPM - Ufficio Pastorale Migranti
Carla Giacchetto - Gruppo Abele
57
1a sessione/ mattina
l’offerta di informazioni su tratta delle donne e prostituzione:
parlare alle donne, parlare alle comunità locali
CLAUDIO DONADEL, coordinatore del Servizio Città e Prostituzione del Comune di Venezia, sostiene che, se si guarda al modo in cui si parla di prostituzione nel contesto della comunicazione globalizzata, si riscontrano spesso luoghi comuni, stereotipi, slogan. Si possono fare agevolmente
alcuni esempi.
Innanzitutto si confondono molto frequentemente tratta e prostituzione, fenomeni diversi che vanno tenuti distinti. Una sovrapposizione non presente solamente sui media, ma diffusa anche tra le persone
specializzate, i tecnici, molti di coloro che operano in questi settori. Tenere distinti i due fenomeni anche se
questo è difficile quando si intersecano, come nell’attuale prostituzione migrante, è un punto cruciale ed
irrinunciabile soprattutto per tutti coloro che a vario titolo hanno il compito, o si sono assunti il compito, di
intervenire.
Un altro luogo comune riguarda il numero di clienti: si dice in Italia sono nove milioni, un dato invariabile
nel tempo, riportato come un dato statistico incontrovertibile, senza che abbia alcun fondamento scientifico. In realtà si tratta di una stima calcolata sulla popolazione maschile sessualmente attiva e dunque considerata potenzialmente disponibile per il mercato della prostituzione. Al di là della scontata tesi che “tutti
gli uomini sessualmente attivi sono dei potenziali clienti”, il dato non significa assolutamente nulla e usarlo
come una notizia significa fare disinformazione.
Altro esempio riguarda le affermazioni del tipo: “con il nostro lavoro abbiamo salvato tot prostitute”.
“Salvare le prostitute” non significa nulla, non è nient’altro che un luogo comune se non si esplicitano i
percorsi di autonomia e libertà attivati per esse, i dispositivi e le risorse utilizzate, gli esiti dei processi di inclusione sociale e la verifica della loro tenuta dopo un periodo di tempo dal loro raggiungimento. Spesso,
queste affermazioni hanno valore, vengono accettate e assolutizzate solo per il fatto che sono espresse
da persone di alto valore morale o istituzionale per il loro impegno profuso nel settore. Ma tutti sappiamo
che non sono sufficienti unità di strada o comunità di accoglienza per poter affermare di aver “salvato delle persone” e di averle “liberate dalla schiavitù e dallo sfruttamento”. I percorsi di libertà e di inclusione sociale sono lunghi, difficili e carichi di fallimenti. In questo caso parlare per slogan significa proteggere e legittimare supremazie ideologiche fondamentali per garantire legittimità e finanziamenti agli interventi.
Ancora: esisterebbe il “modello Rimini”, modello di intervento che avrebbe eliminato il fenomeno della
prostituzione di strada, mettendo in galera tutti gli sfruttatori e liberando tutte le schiave. Secondo molti
questo modello si potrebbe riprodurre in tutta Italia e se ciò non avviene è perché abbiamo funzionari di
polizia indolenti e Amministratori locali al limite del favoreggiamento. Si dichiara la vittoria di un modello di
intervento su un fenomeno sociale senza far sapere dove sono finite le principali soggettività da esso coinvolte (prostitute, clienti, sfruttatori). Si rappresenta la prostituzione di strada come se questa coinvolgesse sempre le stesse persone, non fosse governata dalla mobilità, fosse incapace di produrre quelle modificazioni nel mercato del sesso a pagamento (strada, appartamenti, night) talmente correlati tra loro da
rappresentare sottosistemi di un unico mercato, nel quale forme ed espressività si determinano a seconda dei vincoli e delle opportunità che i singoli territori offrono. Rimini, considerato un modello, ha assunto
la valenza di luogo comune quando invece, per chi ci lavorava, avrebbe forse potuto rappresentare un osservatorio privilegiato per studiare ed individuare le trasformazioni strutturali cui stiamo assistendo all’interno dei fenomeni della prostituzione e della tratta.
Un ultimo stereotipo riguarda la definizione di “ex-prostitute”: quando si parla di donne vittime di tratta
si parla sempre di ex-prostitute, componenti di una sorta di nuova categoria protetta, in cui si perdono le
soggettività. Così si ignora che la prostituzione per molte donne spesso non rappresenta l’esperienza più
negativa e difficile cui hanno dovuto assoggettarsi nel corso della loro vita; che queste giovani donne hanno risorse, motivazioni, bisogni che consentono loro di superare difficoltà e realizzare traguardi inimmagi-
58
convegno nazionale
progetto libere-te-lira-free
nabili per le loro coetanee dei nostri contesti socio - culturali. Non si parla mai di donne straniere con progetti migratori stabili o temporanei, che in Italia cadono in situazioni di sfruttamento e di clandestinità. Il linguaggio mediatico, ma anche quello di molti operatori del sociale, non parlano di persone, bensì di prostitute attive od ex, non sapendo, o fingendo di ignorare, che anche gli stupendi servizi sul “recupero” e sul
“reinserimento” delle ex prostitute contribuiscono a mantenere queste donne prostitute a vita.
Una buona informazione dovrebbe invece registrare i cambiamenti e le trasformazioni strutturali che investono il fenomeno. E’ evidente infatti che alcuni elementi costitutivi del concetto di tratta possono non
essere più presenti o in fase di trasformazione radicale. Un esempio di cambiamento riguarda il “reclutamento forzato” come fondamento della tratta di giovani e giovanissime donne, soprattutto dai paesi dell’Est-Europa. Il reclutamento forzato sembra non coinvolga, ad esempio, le donne rumene che si prostituiscono in Italia, mentre sembrano essere in continuo aumento inganni, violenze, vendite, promesse non
mantenute, accordi non rispettati. Molte giovani donne stipulano accordi nel paese di origine con conoscenti o più spesso amiche le quali, di ritorno dall’Italia o da altri paesi Europei, oltre ad ostentare libertà e
un alto tenore di vita, raccontano di avere le conoscenze giuste per trovare lavoro, casa e far guadagnare
bene. Questi accordi non prevedono quasi mai condizioni utili a progetti migratori stabili, bensì sono caratterizzati da brevità del periodo e possibilità di alti guadagni. Le donne entrano nel nostro paese regolarmente con visti turistici, ma senza conoscenze sulla legislazione in materia di immigrazione e soprattutto
rispetto alle condizioni di permanenza sul nostro territorio.
Molte donne nel paese di origine vengono ingannate rispetto alla questione lavoro, mai avrebbero sospettato che l’aiuto dell’amica o della conoscente avrebbe portato a lavorare nel mondo della prostituzione. Ma anche coloro che pur sapendo scelgono di venire a prostituirsi in Italia, quasi mai sono a conoscenza del fatto che, dopo i primi 5/8 giorni di lavoro in night o in locali di lap dance (durata del visto),
cambieranno drasticamente le loro condizioni di lavoro e di vita, a causa della loro entrata in clandestinità.
Spesso è in questo momento che emerge ciò che contraddistingue la tratta, con le violenze, le vendite e
tutte le forme di coercizione che essa mette in atto.
La tratta quindi non si origina ed evidenzia più fin dal paese di origine, in quanto forma di reclutamento
coattivo, ma qui in Italia dopo che le persone, perso il loro status giuridico, diventano una merce per il
mercato del sesso a pagamento senza più nessuna contrattualità. Nel paese di origine invece si muovono
i trafficanti, fanno incontrare domanda e offerta e, attraverso i prestiti per il reperimento della documentazione per espatriare e l’organizzazione dei viaggi, creano le premesse per quei vincoli di dipendenza su
cui in un secondo momento agiscono e si inseriscono gli sfruttatori.
Tutti questi elementi permettono di delineare un sistema nel quale fenomeni come traffico di esseri
umani, prostituzione e tratta si intrecciano, si confondono, trovando sinergie e soluzioni di continuità nel
saper creare e intercettare bisogni e desideri, nel saper organizzare i viaggi e le sistemazioni logistiche nei
paesi di arrivo, ma soprattutto nel gestire un potere fondato sulla conoscenza e manipolazione delle informazioni. Per molte donne inserite nei programmi di protezione sociale, come per molte donne straniere
che continuano a prostituirsi nelle nostre città, il passaggio a una condizione di clandestinità e il conseguente inserimento in una situazione di sfruttamento nel mercato del sesso a pagamento è stato vissuto
come ineluttabile a causa di una completa disinformazione o della manipolazione delle informazioni da
parte di chi le ha aiutate a venire in Italia.
Per questo, passando a riflettere sulle possibilità di “parlare alla prostituzione”, CLAUDIO DONADEL
sostiene che, nello scenario attuale, fornire informazioni a chi si prostituisce assume un’importanza molto
rilevante perché significa togliere potere alle reti criminali, anche se, almeno nell’immediato, non contribuirà a diminuire significativamente il numero delle persone coinvolte nella prostituzione migrante. E’ infatti
vero che le campagne informative realizzate nei paesi dell’Est come Moldavia (pubblicità per le strade) e
Polonia (sensibilizzazione nelle scuole), che avevano l’obiettivo di scoraggiare le partenze, non sembra
abbiano prodotto risultati incoraggianti. Le giovani donne continuano a partire sulla base di: “non è detto
che succeda proprio a me”, “io ho chi mi aiuta in Italia, ho un parente, l’amica, il fidanzato”. Ognuna di lo-
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ro è convinta o vuole credere di avere tutte le informazioni, le protezioni, le risorse necessarie per poter arrivare e guadagnare in Italia.
Accrescere le conoscenze, più che limitare il numero delle possibili vittime di tratta e il loro coinvolgimento nello sfruttamento della prostituzione (prevenzione primaria), risulta importantissimo nel momento
in cui queste persone si accorgeranno di essere state ingannate e si troveranno in difficoltà. Campagne
informative nei paesi di origine, transito e arrivo, potranno abbreviare i tempi di contatto tra chi è portatore
di una richiesta d’aiuto e chi è preposto ad intervenire.
Maggiori informazioni consentono di ridurre i tempi di contatto, danno la possibilità alla persona di accedere alle reti d’aiuto disponibili e attivabili quando emerge la crisi. Questo impegno si colloca nella logica
di una politica di riduzione del danno, che pone al centro le soggettività, combatte o quanto meno riduce i
tempi dello sfruttamento, senza avere la presunzione di scendere in concorrenza con le reti criminali e di
poterle sconfiggerle sul loro stesso terreno, ma con l’arma del primato morale ed etico dell’informazione.
Strumento fondamentale, se si pongono al centro le soggettività, è la “comunicazione interculturale”.
Essa rappresenta un importante aiuto metodologico che consente agli operatori di muoversi in quell’area
di contaminazione tra i fenomeni sociali della prostituzione e della tratta, senza perdersi nei luoghi comuni
e negli stereotipi.
Quante volte nei colloqui di informazioni sulle modalità di accesso ai percorsi di protezione sociale gli
operatori si sentono rispondere, da molte delle persone che hanno vissuto o stanno ancora vivendo condizioni di sfruttamento, che quello che offrono non risponde ai loro bisogni, perché, ad esempio, uno stipendio di 800 euro al mese lo si può guadagnare in una sera, perché con i guadagni ottenibili in 15 –20
giorni di prostituzione fuori dal controllo delle reti di sfruttamento si può acquistare un appartamento ai
propri genitori che vivono in Moldavia o in Ucraina. Ci troviamo di fronte a persone portatrici di bisogni e visioni altre, diverse dalle nostre. Riconoscerle implica ritenerle legittime quanto le proprie e ciò è possibile
farlo se si colloca la comunicazione all’interno di una prospettiva interculturale.
Confrontarsi con persone che per cultura, scelte, costrizioni sono portatrici di visioni altre rispetto alla
nostra non deve mettere in crisi, deve invece far riflettere sulle nostre visioni, sui nostri pensieri e sulle nostre ideologie, perché queste non sono uniche e non sono superiori a quelle di cui sono portatori e portatrici altri soggetti. In questo caso la comunicazione interculturale garantisce che i soggetti interagiscano
tra di loro senza che nessuno di essi perda o rinunci alla propria identità. Essa consente un confronto in
cui l’operatore che detiene potere in quanto appartenente alla cultura dominante può interagire con soggetti provenienti da altre culture senza pretendere che i suoi valori, le sue opinioni siano migliori o superiori
ai valori e alle opinioni dei soggetti con cui si confronta. Entrare in una prospettiva interculturale non significa abbandonare i propri valori, significa:
a. conoscere gli altri;
b. tollerare le differenze almeno fino a quando queste non superano i nostri standard di accettabilità
morale;
c. rispettare le differenze;
d. accettare il fatto che alcuni modelli culturali altrui possono essere migliori dei nostri;
e. mettere in discussione i modelli culturali in cui siamo vissuti.
La logica interculturale è diversa da una logica multiculturale: nell’esempio del “melting pot” (mescolanza di culture) ogni cultura si deve fondere in una nuova realtà. La fase multiculturale è transitoria, in attesa
di una omogeneizzazione in una nuova realtà.
Intercultura non è sinonimo né di omogeneizzazione né di transitorietà, ma è atteggiamento costante
che permette l’interazione tra le diverse culture. L’interculturalità non deve creare cloni di modelli altrui, ma
formare:
a. persone che scelgono consapevolmente quali modelli comunicativi e culturali accettare, tollerare e rifiutare;
b. operatori che sanno evitare o prevenire conflitti involontari dovuti alle differenze culturali;
c. protagonisti di un mondo che alle pulizie etniche, alla creazione dei ghetti, alla negazione dei diritti di
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progetto libere-te-lira-free
cittadinanza sostituisce la curiosità, il rispetto, l’interesse per soluzioni diverse da quelle proprie della loro
cultura.
Strumento essenziale affinché la dimensione interculturale possa concretizzarsi è la mediazione linguistico-culturale. Da anni utilizzata negli interventi sulla prostituzione e sulla tratta, non deve essere vista
semplicemente come strumento dell’operatore, bensì come ponte fra culture diverse al fine di favorire la
comunicazione all’interno della prospettiva interculturale.
CLAUDIO DONADEL conclude sostenendo che le tematiche che ci occupano non possono essere affrontate con improvvisazione e superficialità, poiché in fenomeni come la tratta operano individui in grado
di organizzare, strutturare, diversificare ambiti sempre più redditizi ed invisibili per il mercato del sesso a
pagamento. Studi sistematici sulle organizzazioni criminali che operano in questo settore potrebbero riservare molte sorprese. A 15 anni dall’esplosione della prostituzione migrante, le reti di sfruttamento non
sono più un’improvvisata forma di imprenditoria, spesso familiare. Sono qualcosa di molto di più complesso. E se questo corrisponde a realtà, è proprio in questa fase di possibile transizione normativa che si
avvertirà la loro potenza e organizzazione. Saranno loro, le reti criminali, a trarne i maggiori vantaggi. Noi,
come sempre, rischiamo di continuare a rincorrere, magari recitando copioni obsoleti e stereotipati in
quanto estranei a qualsiasi reale trasformazione dei fenomeni sociali.
Decisivo infine è il rapporto tra comunità locale e politiche di accoglienza. Non si sviluppa comunicazione sociale se non all’interno di politiche di accoglienza. E’ questa una visione della comunicazione sociale
fondata sul principio che occorre restituire alla comunità locale le proprie competenze socio – educative e
che la comunità educa autoeducandosi. Non è infatti possibile parlare di politiche di accoglienza se non
c’è una comunità che accoglie.
Ciò acquista un significato particolarmente importante quando ci si interroga sulla questione “clienti”,
una questione che per alcuni versi potrebbe risultare banale: i clienti infatti siamo noi. Quando si parla di
prostituzione è facile parlare di chi si prostituisce soprattutto nei termini di vittime, difficile parlare dei clienti.
Affrontare il tema della domanda di prostituzione significa dover ammettere, almeno per quanto riguarda
questo aspetto, che essa attiene ai nostri comportamenti, alle nostre comunità. Del cliente spesso si parla in termini di malato o di criminale, a seconda che lo si metta in relazione con problemi della sessualità o
con la pedofilia oppure con la tratta. Si tende a rimuovere il fatto che il cliente è il prodotto delle nostre società e delle nostre relazioni sociali e culturali. Per questo molte persone sono convinte che basta togliere
le donne dalle strade per risolvere il problema, sia da un punto di vista morale, sociale che da un punto di
vista di ordine pubblico.
Parlare del cliente è un argomento scomodo in quanto ci costringe a dire chi sono i clienti, significa storicizzare la domanda e riconoscere che essa è trasversale, ossia coinvolge l’adolescente come l’ultrasessantenne e tutte le categorie sociali. Significa riconoscere che la prostituzione è tornata ad essere un rito
di passaggio, significa parlare dei problemi della sessualità e delle difficoltà di relazione tra i generi, significa riflettere sui codici morali ed etici sui quali è fondata la coesione sociale delle nostre collettività. Si tratta
di un’operazione non solo ignorata dagli esperti del settore, ma soprattutto sistematicamente evitata dai
politici, da chi ha il compito di governare.
Un articolato discorso sui principi e le metodologie che ispirano il lavoro di contatto, di comunicazione
e di informazione a chi esercita la prostituzione è quello svolto da SIMONA MERIANO, vice presidente
dell’Associazione TAMPEP Onlus di Torino. Fin dall’inizio della sua attività l’Associazione ha posto la
comunicazione e la diffusione dell’informazione tra i suoi obiettivi fondamentali. Tampep nasce infatti come progetto europeo di prevenzione dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili, con l’obiettivo
di coinvolgere direttamente le prostitute immigrate.
Ha inizio nel 1993 in Olanda, Italia, Germania e Austria e attualmente la rete internazionale di Tampep
comprende circa 20 paesi.
Le considerazioni fondamentali che hanno portato alla nascita di questo progetto sono state:
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> la mancanza di informazioni su HIV/STD disponibili nella madrelingua del target group; carenza che
rendeva impossibile lo sviluppo di programmi di prevenzione e di conseguenza non permetteva il miglioramento delle condizioni di vita delle donne prostitute immigrate;
> la constatazione dello stato di povertà di queste donne e delle pessime condizioni di vita nel paese
ospitante;
> la necessità di facilitare il contatto tra le donne immigrate e le istituzioni presenti sul territorio attive in
campo medico e sociale.
La complessità del fenomeno della prostituzione straniera in strada fa emergere una valutazione di carattere culturale, o che meglio possiamo definire di genere, che ci porta a riflettere sulla condizione di svantaggio che la donna immigrata si trova a vivere, sia da un punto di vista interculturale (la donna è debole in
quanto straniera), che da un punto di vista sociale (la donna è stigmatizzata in quanto prostituta e quindi
emarginata). Dunque, alla luce di questo, è evidente il valore che assume la possibilità di accedere all’informazione.
Per non compromettere l’efficacia dell’intervento è importante tenere conto del contesto sociale da un
lato e delle differenze culturali dall’altro. Per questa ragione Tampep fin dall’inizio si pone come obiettivo
principale quello di sviluppare strategie adeguate per raggiungere il target group, per esempio attraverso
la produzione e la distribuzione di materiale informativo specifico tradotto nelle diverse lingue. Materiale
che viene testato e aggiornato proprio con le donne, perché i contenuti siano chiari e facilmente accessibili. Il principio è che l’emancipazione avviene attraverso l’accesso all’informazione.
La metodologia di Tampep in generale si fonda :
> sulla mediazione culturale, perché la mediatrice, nel lavoro sul campo, funziona come un ponte tra la
cultura del paese ospitante e le motivazioni, i bisogni e le credenze delle donne immigrate; la mediatrice
culturale deve favorire e supportare la reciproca comprensione tra le donne e gli operatori dei servizi;
> sulla peer education, perché le educatrici pari, esercitando il ruolo di leader all’interno del target group
possono sostenere gli interessi delle loro pari e favorirne una crescita di consapevolezza;
> sull’Unità di Strada, con un’ equipe mobile che interviene nei luoghi di prostituzione.
L’attività di Unità di Strada che Tampep svolge sul territorio di Torino e Provincia, in orario pomeridiano e
notturno, permette di raggiungere le donne direttamente sulla strada dove si prostituiscono con l’obiettivo
prima di tutto di offrire un servizio di informazione sulla prevenzione dell’AIDS e delle STD, le istituzioni italiane, l’organizzazione dei servizi socio-sanitari, favorendone l’accesso e un uso corretto, la legge italiana
in materia di immigrazione (Agenda Legale), la sicurezza.
L’attività dell’Unità di Strada si può considerare, a livello base, un intervento di riduzione del danno: si
tratta di un approccio realistico, che media tra perseguimento degli obiettivi ottimali e raggiungimento dei
traguardi possibili; che mira a contenere gli elementi di sofferenza e di “danno” appunto, verso se stessi e
gli altri.
Migliorare le strategie di comunicazione e identificarne di nuove rappresenta un’esigenza continua perché alcune questioni inerenti alle problematiche sanitarie restano critiche. L’interruzione di gravidanza, ad
esempio, si presenta ancora come un problema rilevante, poiché le donne lo utilizzano come fosse un
metodo contraccettivo e ricorrono spesso ad aborti plurimi. L’accesso ai servizi sociosanitari è migliorato
negli anni, ma resta difficoltoso, perché manca la consapevolezza rispetto al diritto all’assistenza. Le donne che contattiamo per la prima volta, si stupiscono che si possa effettuare il test HIV, il test di gravidanza
o una visita medica gratuitamente anche se sprovviste di documenti.
Si riscontra una diffusa cattiva informazione circa l’HIV e le vie di trasmissione, o la pratica dell’aborto,
una cattiva informazione che le “madam” stesse contribuiscono a diffondere, dando informazioni errate
sull’AIDS, sulla contraccezione, sui farmaci. Certamente le donne senza permesso di soggiorno hanno
paura e, non sapendo di potersi rivolgere ad un medico, sono ancora più dipendenti dalle sfruttatrici e più
a rischio di contrarre malattie.
Un altro dato inquietante è che le donne contattate raccontano di avere spesso da parte di clienti la richiesta di rapporti non protetti in cambio di una maggiore somma di denaro. Considerato più di mille don-
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ne contattate all’anno con l’Unità di Strada, il dato è preoccupante e rende più che mai attuale il tema della prevenzione.
Promuovendo la tutela della salute, che è un valore fondamentale per tutti, e attraverso il lavoro di informazione sul campo, si vuole restituire centralità alla persona, favorire l’assunzione di responsabilità fino al
prendersi cura di sé, a cominciare dal proprio corpo. Anche nel counselling sanitario vale il principio per
cui non è possibile alcun lavoro educativo se non c’è esercizio di libertà: non ci si deve sostituire alla donna, ma offrirle il sostegno necessario per potersi orientare e realizzare scelte più costruttive e comunque di
auto-tutela.
L’importanza dell’Unità di strada non è soltanto legata all’azione di riduzione del danno: questa attività
dà un contributo decisivo alla lotta contro il traffico e lo sfruttamento sessuale, che riducono la persona a
un oggetto, utile solo per produrre denaro. Le donne possono diventare più consapevoli se le si aiuta a
comprendere che ci sono alternative per stare meglio o per farsi meno male e che, nonostante la loro situazione, hanno dei diritti e non sono private del tutto della possibilità di scegliere. Per questo è importante l’Unità di strada, perché permette, oltre che monitorare il fenomeno, aggiornando costantemente la
mappatura del territorio, di incontrare le donne, di comprendere le loro condizioni di vita e di lavoro ed arrivare ad un’analisi dei bisogni, attraverso il contatto diretto e l’ascolto. E soprattutto di instaurare la relazione di fiducia attraverso una reciproca conoscenza.
Nella fase di primo contatto in strada, non si fanno richieste alla donna, ma la si informa sulle possibilità
esistenti in base ai suoi bisogni, che siano di tipo medico-sanitario o di aiuto alla persona e comunque
sempre rispettando le scelte etico-comportamentali individuali; è uno spazio privo di giudizi morali, nel
quale avviene uno scambio caratterizzato dalla comprensione; viene lanciato un messaggio che la donna
può liberamente “cogliere” subito, oppure può decidere di far passare del tempo prima di contattarci per
telefono o di raggiungere personalmente la nostra sede o altri servizi.
La relazione interpersonale, a cominciare dalle prime fasi del contatto, è sempre una relazione dotata di
senso. Dare senso alla relazione non vuole dire cercare di “salvare” la donna o di “recuperarla”; vuol dire
proporle argomenti e materiali che suscitino il suo interesse e offrirle nuovi punti di riferimento.
Quando si avvicina una donna, si chiede se possiamo “disturbarla” per qualche minuto, ci presentiamo, la mediatrice culturale illustra i contenuti del materiale, indicando poi l’indirizzo della sede come possibilità per approfondire gli argomenti trattati e come luogo per l’incontro. Si tratta di una chiacchierata informale “tra donne”, in strada, in condizioni spesso disagevoli, soprattutto nelle notti d’inverno. Il contatto
può durare un minuto come venti o più tempo ancora, può avvenire con una donna soltanto o con un
gruppetto, e permette anche di raccogliere alcuni dati: ad esempio da quanto tempo si trova in Italia, se
ha subito furti o aggressioni in strada. Si chiede anche il nome e l’età, pur sapendo che normalmente non
usano il vero nome e non dichiarano l’età effettiva; le ragazze minorenni in particolare non ammettono
quasi mai di essere così giovani.
Quando le si avvicina, le donne sono disponibili, dicono grazie tante volte, fanno domande; sono rari i
contatti rifiutati e per lo più sono contatti rifiutati dalle ragazze dell’Europa dell’Est, che vengono controllate a vista, chiamate al telefono e invitate a interrompere il contatto con noi. Alle donne normalmente fa
piacere parlare di questioni riguardanti la salute, l’igiene personale, l’uso del preservativo, parlare delle loro
condizioni di lavoro in strada. Sono curiose e apprezzano molto il materiale sulla sicurezza, dove vengono
illustrati con disegni e fumetti i comportamenti da evitare per non esporsi a rischi eccessivi.
La relazione interpersonale diventa più significativa quando la donna, dopo averci conosciute in strada,
viene a trovarci nella nostra sede. La sede di Tampep, che la Provincia di Torino ha messo a disposizione
dal 1997, è una risorsa preziosissima che permette di accogliere le donne e di conoscerle meglio. Capita
che la donna contattata in strada venga insieme a un’amica, o con il cliente italiano, per essere accompagnata ai servizi sanitari o per aver maggiori informazioni. Il “passaparola” informale tra le donne, il passaggio di materiale e volantini sono un veicolo importante dell’informazione, e fanno di Tampep un punto di riferimento sul nostro territorio.
Le donne che ne fanno richiesta vengono accompagnate o orientate ai servizi sanitari, con l’obiettivo di
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renderle autonome, di poter usufruire in un secondo tempo di tali servizi se necessario o di saper accompagnare un’amica.
Durante il contatto di strada non si affrontano mai discorsi inerenti alla denuncia, anche se nella “Agenda Legale” che distribuiamo viene citato l’art. 18 e le relative modalità di applicazione; solo quando la donna viene in sede è possibile, con più calma e riservatezza, approfondire il tema della denuncia, fornire
maggiori dettagli, conoscere meglio la situazione in cui la donna si trova. Noi mettiamo normalmente alla
prova la motivazione della donna a formalizzare la denuncia, invitandola a sostenere numerosi colloqui, lasciando passare del tempo, perché la persona sia il più possibile sicura del passo che sta per compiere.
Ricostruiamo insieme a lei la storia, da quando è partita dal suo paese fino ad oggi anche per rielaborare
insieme i passaggi significativi del suo viaggio.
L’incontro con la donna può avvenire anche in altro modo, per esempio l’accoglienza può essere richiesta da altri Enti, anche fuori regione, o direttamente dalle Forze dell’Ordine: o perché la donna stessa
si è rivolta alla polizia per chiedere aiuto o perché è stata presa in una retata o perché è stata portata in
ospedale in seguito a gravi maltrattamenti e violenze.
In tutti i casi si spiega alla donna in modo molto approfondito quali sono le opportunità offerte dalla legge, definendo gli impegni reciproci e le diverse fasi del programma: l’accoglienza, la scuola di Italiano, la
formazione professionale, la ricerca del lavoro e della casa. Sembra un percorso lineare e scontato, mentre in realtà è tutt’altro che semplice da realizzare e richiede molto tempo, tenendo conto dei vari aspetti
culturali, sociali ed economici in gioco.
In ogni caso, anche laddove ci sono i presupposti per riconoscere alla donna lo status di vittima, perché ha subito la volontà di altri, non dobbiamo mai ridurre la persona a un “oggetto”; non può essere efficace un intervento di aiuto che vede la donna come “oggetto” dell’intervento, senza riconoscerle una
qualche volontà di auto-determinazione.
Non dobbiamo dimenticare il progetto migratorio di ciascuna di queste donne e la speranza di migliorare le proprie condizioni di vita, di poter cambiare qualcosa. Questo vale per le donne ingannate e trafficate, ma anche per le donne che sono partite da casa sapendo di venire in Italia a fare le prostitute, comunque non consapevoli delle condizioni drammatiche di violenza e sfruttamento che avrebbero trovato,
private di ogni libertà.
Riconosciamo alle donne migranti il diritto al cambiamento, a partire dalla volontà che le ha portate a
lasciare casa assumendosi il rischio di una vita diversa, altrove, dove raggiungere i propri obiettivi. Riconosciamo il diritto al cambiamento quando le donne vogliono uscire dal giro della prostituzione. Riconosciamo il diritto al cambiamento quando una donna decide di abbandonare il progetto di accoglienza.
La soggettività della persona va salvaguardata ed è strettamente legata al concetto di identità personale, o meglio alla consapevolezza che si ha di essa. Avere un’Identità non significa soltanto essere riconosciuti, con un nome, vero o falso che sia, e un’origine, ma avere la possibilità di riconoscersi, in termini di
immagine, e soprattutto di coscienza, e di rinforzo volontario all’interno del campo della relazione dove la
scelta presuppone il diritto al cambiamento insieme alla responsabilità del cambiamento, nel percorso
che va dalla dipendenza, dalla marginalità alla cittadinanza.
Favorire l’autostima delle donne e accompagnarle verso l’autonomia è uno degli obiettivi più importanti, ma oggettivamente ci si trova a fare i conti ogni giorno non solo con le criticità del nostro contesto sociale e gli stereotipi sulle donne immigrate e prostitute, ma con altrettanti stereotipi allo stesso modo fortemente radicati, che le donne a loro volta hanno nei nostri confronti. In concreto tutto questo si traduce in
difficoltà, fatica, ostacoli, quando le donne, in particolare africane, cercano di inserirsi nel mondo del lavoro, o cercano casa.
L’interpretazione stereotipata del fenomeno della tratta e della prostituzione, che viene normalmente
proposta dai mass media, rafforza l’immagine della donna trafficata e vittima e non favorisce la creazione
di una cultura di mediazione sociale, interculturale, tollerante, che osi dialogare, che ci metta in gioco tutti,
ma non come spettatori.
Fare cultura vuol dire elaborare l’esperienza e lavorare sulle idee, forse è giunto il momento di mettere
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in crisi il concetto di “vittima”, proprio per riconoscere alla donna la forza dell’autodeterminazione e dare
maggiore peso a quella che è la responsabilità della persona.
Il riconoscimento dello status di vittima consente alla donna di accedere a diritti. Ma non basta, c’è anche un altro aspetto da considerare: l’immagine della donna come vittima semplifica concettualmente il
fenomeno della prostituzione e dell’immigrazione, difendendoci inoltre da tutto ciò che è inerente alla sessualità e che richiama a una responsabilità sociale. In questo modo si rende la vittima un qualcosa di “altro” da noi, con caratteristiche ben definite e un’identità stereotipata, che non sceglie, ma subisce, proiettando ogni responsabilità sulla figura del trafficante, colpevole, certo, ma non unico attore.
SIMONA MERIANO conclude affermando che è più facile difendersi dietro alla definizione, piuttosto
che riconoscere nella vita altrui ciò che appartiene anche a noi. Nel gruppo di lavoro del progetto LIBERE
– TE LIRA - FREE questo sforzo è stato fatto. Si è partiti dalle definizioni, ma con il passare del tempo la
confusione ha avuto il sopravvento e le immagini che sono rimaste non sono quelle che “definiscono”, ma
sono le immagini in cui ciascuna donna può riconoscersi, in un momento qualsiasi della propria vita, di ieri, di oggi, di sempre. Simbolicamente il salto è stato fatto.
Una serie di riflessioni su cosa significa parlare, comunicare, passare messaggi, a chi si prostituisce in
strada sono proposte da LUCIA PORTIS, coordinatrice del progetto “Priscilla” della LILA di Milano e del progetto inserito nella rete regionale “Oltre la strada” della LILA di Piacenza.
Quando l’incontro avviene in strada sono gli operatori che vanno da chi vi lavora, che devono farsi riconoscere, devono attendere che ci sia disponibilità all’ascolto, devono offrire qualcosa in cambio. Le persone che si contattano stanno lavorando e gli operatori “disturbano” la loro attività.
Ogni contatto ha, peraltro, declinazioni proprie che dipendono da molte variabili: se la persona è già
conosciuta o se si tratta di un primo contatto, il genere degli operatori e delle utenti, l’etnia di origine delle
persone (si pensi a come le modalità e i tempi dei costrutti di confidenza/fiducia variino nelle diverse culture).
L’offerta di relazione nel lavoro di strada coincide, almeno inizialmente, con l’offerta di materiale, di informazioni e di indicazioni sulle opportunità. La domanda di aiuto può essere assente, frammentata, confusa e va stimolata. Per questo si utilizza qualcosa di concreto e utile: the caldo, brioches, preservativi, lubrificanti, volantini in lingua, salire nel camper e riposare un attimo, sono strumenti di avvicinamento apprezzati perché gratuiti e disinteressati, che aiutano a instaurare una comunicazione. Senza un appoggio
materiale la relazione finisce col diventare solo chiacchiera, come, d’altra parte, l’offerta di materiali senza
relazione diventa fine a se stesso: tra un aspetto e l’altro deve esserci sinergia e rinforzo reciproco.
Il contatto deve avere un esito esplicito perché può essere l’unico oppure il primo di una lunga serie e
bisogna saper riconoscere il momento adatto per trasmettere certi contenuti, con un intervento tempestivo e opportuno.
La comunicazione, per essere efficace, deve passare attraverso una relazione autentica, una relazione
che Bateson definisce “un sistema vivente”, in condizione di reciprocità: quanto più valorizziamo e rendiamo intelligenti gli interlocutori, tanto più mettiamo in risalto anche la nostra intelligenza. Più la relazione è
autentica più il suo esito é ipotetico, perché ci relazioniamo con l’altro e non con le aspettative e/o la rappresentazione che abbiamo dell’altro e nel concreto ciò significa molte cose, anche sapere che l’esito finale non necessariamente è quello previsto e quello desiderato.
Paradossalmente se la persona contattata riesce a dire “lasciami stare, questa sera non ho voglia di
parlare di preservativi e di hiv”, allora la relazione è autentica e il finale aperto.
In questo senso gli operatori, nella relazione in strada, devono mantenere le aspettative mobili, sapere
che un risultato si raggiunge attraverso micro-obiettivi, non devono avere fretta ma nemmeno sprecare
occasioni, (distinguere quando è il tempo della semina e quando quello del raccolto). E’ importante riuscire a leggere cosa c’è in gioco, piuttosto che apparire bravi e simpatici.
Un’altra cosa di cui tener conto è che le persone che si incontrano spesso sono straniere, appartenen-
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ti cioè a culture lontane dalla nostra. Per questo è cruciale il ruolo svolto dalle mediatrici, la cui presenza è
indispensabile per la conoscenza della lingua, degli usi e dei costumi delle prostitute migranti. Le mediatrici
culturali svolgono un’importante funzione di “ponte”, facilitando la comunicazione tra le connazionali e gli
operatori e le operatrici, in virtù di una vicinanza etnica che spesso consente loro di instaurare più facilmente e rapidamente un rapporto di fiducia. Le mediatrici, sulla scorta di una condivisa esperienza di migrazione, sono inoltre in grado di individuare e comprendere meglio istanze e problemi di deprivazione sociale legati alla difficile integrazione in Italia.
Un secondo aspetto su cui si sofferma LUCIA PORTIS, riguarda i messaggi da veicolare in strada, tenendo conto che la priorità assegnata a diversi possibili messaggi ha a che fare con la visione del mondo,
l’“orizzonte di significati”.
Il primo compito è quello di informare, anzi di formare sull’importanza della cura di sé, del proprio corpo,
della propria salute, che passa attraverso l’autostima: ”se non ci vogliamo bene, non ci curiamo”. Il lavoro
da farsi è rinforzare l’autostima, un lavoro di empowerment che comporta percorsi lunghi, che passa attraverso la conoscenza dei punti forti dell’altro.
Il secondo ambito è quello dei diritti: noi abbiamo a che fare con gli invisibili, con chi non ha diritti di cittadinanza. Per questo dobbiamo diventare la loro voce, poiché, come si legge in un libro di una scrittrice
spagnola, “sempre, alla base di qualsiasi cosa, c’è una questione di potere. Chi ha potere parla, chi ha potere si fa vedere, chi non ce l’ha diventa invisibile”.
Il terzo tipo di messaggi riguarda le possibilità di fuoriuscita dalla tratta, importante anche se non così rilevante come raccontano i mass media.
Un capitolo complesso su cui occorre cominciare a riflettere, la sfida che attende gli operatori e le operatrici nel prossimo futuro, è sul come comunicare con chi lavora al chiuso. Tentare di entrare in contatto
con chi lavora negli appartamenti o nei locali significa invadere lo spazio privato, disturbare ancora più che
in strada. I problemi aperti sono molti, primo fra tutti, in che modo farlo? Con l’astuzia (fingersi qualcuno
che non si è), con la trasparenza (dichiarando subito l’appartenenza ad un progetto), attraverso l’offerta di
servizi (help line, sportelli di ascolto, ecc.), attraverso l’utilizzo di operatori pari (dalla strada agli appartamenti)?
L’ultima questione riguarda la possibilità di comunicare con i clienti. Perché escludiamo sempre questa
parte invisibile e ugualmente importante del fenomeno prostituzione? Perché pochissimi progetti si preoccupano di cosa dire loro e di come dirlo? Forse il problema è culturale, i clienti sono potenzialmente tutti gli
uomini sessualmente attivi e questo inquieta, perché il fenomeno prostituzione forse diventa così non più
tanto lontano dalla nostra quotidianità come ci piace immaginarlo.
Nell’ultimo intervento della mattinata, RITA FALASCHI, referente del progetto “Oltre la strada”
della Provincia di Genova, ricorda che comunicare e comunicare bene costa moltissimo. Per questo,
dal momento che i finanziamenti dello Stato sono sempre più limitati, molti sono indotti a fare delle scelte
tra i progetti possibili e, spesso, a sacrificare le iniziative promozionali a favore dei servizi a vantaggio diretto
delle ragazze.
Nell’esperienza genovese la comunicazione nei confronti delle ragazze avviene attraverso la relazione
che si riesce ad instaurare in strada ed attraverso le operatrici della postazione locale del Numero Verde. Si
è puntato, perciò, molto sulla professionalità di operatrici e operatori e sulla loro capacità relazionale.
Il materiale informativo distribuito dall’unità di strada viene sempre mediato attraverso le operatrici/tori.
Si è scelto di distribuire materiale semplice, con informazioni essenziali. Per esempio, per quanto riguarda
la sicurezza delle ragazze si è scelto di utilizzare lo strumento del fumetto.
Al contrario di altre esperienze, nell’unità di strada non vi sono mediatori o mediatrici culturali. Ciò è motivato dal fatto che, spesso, le ragazze nutrono una forte diffidenza nei confronti dei propri connazionali, e
dunque si preferisce un primo approccio attraverso operatrici ed operatori italiani che, avendo una buona
conoscenza dell’inglese e dello spagnolo, non hanno difficoltà ad entrare in relazione con le donne sulla
strada.
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Le mediatrici intervengono in un secondo tempo, quando, esplicitata la richiesta di aiuto, si procede ai
primi colloqui. In questo caso la mediatrice affianca l’operatrice o l’operatore che prende in carico il caso.
Sull’unità di strada vi è la presenza di operatori ed operatrici. La presenza maschile è marginale (almeno in un primo tempo): il primo contatto avviene sempre attraverso le operatrici e solo una volta effettuato
l’aggancio gli operatori si affiancano.
Per quanto riguarda la parte relativa alla sensibilizzazione attraverso i media, RITA FALASCHI ricorda
che il Servizio Audiovisivi della Provincia di Genova ha realizzato uno spot molto semplice, rivolto soprattutto ai clienti, che passa sulle emittenti locali, una volta al mese per una settimana.
I depliant che si distribuiscono sono una produzione “artigianale”. Danno informazioni sui diritti che le
ragazze possono esercitare, a chi, dove, come e quando rivolgersi, sulle problematiche relative a documenti, sanità e lavoro. Il tutto in quattro lingue: albanese, russo, inglese e spagnolo.
Particolare attenzione è stata dedicata alle informazioni relative alle interruzioni di gravidanza per cui è
stata costruita una brochure ad hoc, anche questa in quattro lingue.
La comunicazione verso diverse componenti della comunità locale avviene attraverso le circoscrizioni
comunali e attraverso le associazioni presenti sul territorio. Si organizzano incontri periodici di sensibilizzazione ed informazione. Significativo un protocollo di intesa con un’associazione del Centro Storico che ha
un forte radicamento ed una rete di negozianti “amici” che si sono resi disponibili a distribuire, attraverso
le loro reti, il materiale informativo, a far attaccare adesivi alle vetrine dei negozianti che aderiscono alla loro iniziativa, ecc.
Il rapporto con i mass media è sempre problematico. La ricerca della spettacolarizzazione, il considerare le ragazze quasi sempre come vittime meritevoli di pietà e non come persone, rende sempre difficile
far passare le informazioni nel modo più corretto.
Più di una volta si perdono occasioni di presenza sui media perchè ci si rifiuta di far salire un giornalista
sull’unità di strada o di far intervistare direttamente una ragazza ospitata o farla apparire nell’ambito di programmi televisivi locali.
Chi si presta a questo gioco diviene onnipresente, ovunque si parli di prostituzione, diversamente da
chi agisce nel rispetto della persona e della dignità delle donne.
2a sessione/ pomeriggio
le rappresentazioni del fenomeno e il loro ruolo nelle scelte
normative e nelle politiche penali e sociali
La sessione pomeridiana si è aperta con la relazione introduttiva di FRANCO PRINA, docente dell’Università degli Studi di Torino, sul tema: “Le rappresentazioni del fenomeno e il loro ruolo nelle scelte normative e nelle politiche penali e sociali”.
Per lungo tempo ignorata dai media ed espulsa dal discorso pubblico in quanto progressivamente
sempre più chiusa in spazi privati (una tendenza evidente negli anni ottanta), la prostituzione, ha ripreso
nel corso degli anni novanta a proporsi come questione meritevole di attenzione e di controllo (nelle pratiche sociali e istituzionali).
Ciò è dovuto, come testimoniano le indagini di carattere generale sulla percezione di insicurezza e sulle
preoccupazioni sociali dei cittadini, al fatto che alla prostituzione (ed alle organizzazioni che la gestiscono)
viene attribuito un ruolo importante nell’alimentare i sentimenti di insicurezza. Ricerche specifiche mirate
alla percezione del problema in determinati contesti territoriali, mettono a loro volta in luce la crescente difficoltà a tollerare la forte concentrazione dell’offerta in alcuni luoghi, la sfacciata esibizione del “prodotto” in
vendita, l’aggressività della occupazione del territorio, la pressoché totale indifferenza ai diritti dei cittadini
non clienti (residenti nelle vie in cui si svolge la contrattazione o semplici utenti della strada). Tutto ciò ali-
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menta sentimenti collettivi di disagio, allarme sociale, domande di misure risolutive, mentre in ombra restano il ruolo e le responsabilità, nel determinarsi di tali situazioni, della domanda, la relazione inscindibile
tra offerta e domanda, il peso dei comportamenti concreti dei clienti.
L’orientamento collettivo non appare tuttavia omogeneo essendo frutto di una rappresentazione mediatica della questione in cui si sovrappongono, tanto da confondersi, molteplici immagini e letture del
problema:
- comportamento colpevole e provocatorio di singoli individui e di gruppi organizzati che costituisce minaccia per l’ordine e la morale pubblica, da reprimere e/o “contenere” in spazi e ambiti controllabili;
- condizione di disagio e di bisogno, da affrontare con politiche sociali di prevenzione e di trattamento;
- luogo paradigmatico della violenza e dello sfruttamento che assume i connotati di moderna forma di
schiavitù, da combattere radicalmente, punendo i responsabili e “liberando” le vittime;
- ambito di espressione di legittimi diritti di libertà, da tutelare al pari di altre modalità di presenza degli
individui sul mercato, salvo regolarne alcuni aspetti per garantirne la fruibilità.
Questa articolazione della rappresentazione del problema nei media è alla base delle opzioni politiconormative che animano il dibattito pubblico e il confronto tra gli attori del sistema politico ed alimenta le
politiche concretamente praticate nei contesti locali e nazionale.
Le opzioni normative che discendono dall’accento posto su questo o quell’orientamento sono ad esse
coerenti:
- l’opzione neo-regolamentazionista, con ipotesi diverse di reintroduzione di luoghi e condizioni in cui
costringere e controllare la prostituzione, è alimentata dalla retorica della minaccia;
- l’opzione preventivo-assistenziale, che prevede la definizione e la messa in atto di politiche sociali
specifiche, finalizzate alla prevenzione e alla presa in carico dei soggetti che si prostituiscono, è alimentata
dalla retorica del disagio e del bisogno;
- l’opzione neo-proibizionista, della penalizzazione dello sfruttamento, ma anche dell’offerta in sé e, in
tempi più recenti, della domanda, è alimentato dalla retorica della schiavitù;
- l’opzione dell’abolizionismo pieno, con eliminazione dal corpus di norme vigenti degli aspetti residui di
regolamentazione e di criminalizzazione del comportamento di chi si prostituisce e di chi gli è vicino è alimentato dalla retorica della libertà.
Le diverse opzioni continuano a fronteggiarsi, non essendosi prodotta, nei decenni che vanno dal 1958
ad oggi, alcuna innovazione legislativa di carattere specifico, ossia riferita al fenomeno prostituzione in
quanto tale. Solo il generale accordo sull’esigenza di lotta allo sfruttamento perpetrato nei confronti di minorenni e di contrasto della tratta, con l’enfasi sulla condizione di coercizione espressa esplicitamente nei
termini estremi di “riduzione in schiavitù”, ha trovato sbocco in tre testi normativi: la legge n. 66 del 1995
sulla violenza sessuale (artt. 3, 4, 8 e 9 che riguardano la costrizione a compiere o subire atti sessuali con
violenza o mediante limitazione della libertà personale); la legge n. 269 del 3/8/1998, intitolata significativamente “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in
danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”; da ultimo, la legge n. 228 del 11/8/2003,
“Misure contro la tratta di persone”.
La mancata modifica della legge Merlin non ha comunque impedito che maturassero, nel nostro Paese, orientamenti culturali in merito alle scelte opportune e/o che si manifestassero pratiche di controllo del
fenomeno. Quello che sembra essersi man mano delineato, nel dibattito e nelle politiche messe in opera,
è un mix tra differenti orientamenti, in specifico quello neo-proibizionista, quello neo-regolamentazionista e
quello assistenzialistico.
a) L’orientamento neo-proibizionista persegue l’obiettivo di contenere e reprimere lo sviluppo del fenomeno della prostituzione nelle sue forme più appariscenti e “fastidiose”. Più che con forme di penalizzazione dell’esercizio della prostituzione in sé, tale obiettivo si persegue colpendone le modalità di esercizio
(ossia aggiornando e ampliando la lista dei reati connessi all’attività, già previsti dalla Merlin), in particolare
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quella sulla strada. L’obiettivo del controllo è affidato ad un insieme molto eterogeneo di norme “a-specifiche”, applicate nei confronti di chi esercita la prostituzione in virtù di alcuni suoi comportamenti (la mancanza di documenti di identificazione, l’intralcio al traffico, il mascheramento, i cosiddetti “atti osceni in
luogo pubblico”, l’accensione di fuochi, ecc.) o della sua particolare condizione (di straniero irregolare, ad
esempio). Tale insieme molto esteso di norme a-specifiche colpisce chi si prostituisce, facendone un soggetto in balia delle mutevoli valutazioni delle agenzie di controllo, le quali, adottando criteri di discrezionalità (nelle attività di identificazione e accompagnamento; con forme improprie di schedatura; nell’applicazione di misure di prevenzione; nella concessione di permessi di soggiorno; nell’emanazione di provvedimenti di espulsione illegittimi, ad esempio nei confronti di minorenni), possono dare soddisfazione alle ricorrenti domande d’ordine e, contemporaneamente, al “governo” di un problema di cui non si prevede
affatto possibile e/o auspicabile la radicale eliminazione.
Insieme – ed è questa la novità più rilevante nel panorama del dibattito italiano – si ipotizza la punibilità
del cliente (ancorché in forme più blande e attente al rispetto dei diritti di libertà).
b) L’orientamento neo-regolamentazionista alimenta molteplici concrete opzioni normative, ispirate a
interessi differenti: al fianco di espressioni che potremmo considerare folcloristiche dei “nostalgici delle case chiuse”, che auspicano ritorni a forme di regolamentazione improponibili o che non hanno alcuna possibilità di realizzarsi, abbiamo riferimenti a linee diversificate di “governo” del problema, sostenute da attori
diversi, animati da intenti non necessariamente reazionari. La questione appare complessa, nella misura
in cui non manca chi pensa che nuove regole possano tutelare non solo chi vuole usufruire in modo comodo di questo tipo di servizio, ma anche chi esercita la prostituzione, o che forme di regolamentazione
garantiscano un migliore equilibrio tra i diritti di chi si prostituisce e i diritti degli altri cittadini.
In Italia è oggi evidente l’interesse di parti (maggioritarie?) del sistema politico ad una ripresa del dibattito sulla regolamentazione della prostituzione per l’evidente calcolo di “ritorno” in termini di consenso che
la (dichiarazione di) sollecitudine verso questo problema sembra garantire. Coerentemente con le prevalenti tendenze di fondo delle politiche di controllo dei comportamenti devianti, non è infondato ritenere
che, pur essendo il sistema politico italiano percorso da ampie differenze in ordine ai principi e ai riferimenti che si ritiene debbano ispirare le scelte in materia, tali differenze si facciano meno nettamente distanti. E
che l’accordo si trovi su un piano non lontano da quello su cui si è posto, nelle dichiarazioni e nei disegni
di legge, il Governo, laddove sostiene la necessità di penalizzare la prostituzione sulle strade (colpendo sia
l’offerta che la domanda) e di favorirne l’esercizio (a condizioni solo in parte definite e chiare) in locali di privata abitazione.
c) Il terzo orientamento, definibile assistenzialistico, vede sempre di più intrecciarsi le politiche di sostegno con quelle di controllo. Sempre più l’aiuto a chi vuole riscattarsi dalla condizione di sfruttamento o
vuole trovare una strada diversa da quella della prostituzione appare condizionato da un duplice vincolo:
dell’utilità per lo Stato e di garanzia di “redenzione” della persona “beneficiata”. Si tratta infatti di una opzione che, lungi dal prevedere lo sviluppo di complesse politiche mirate alla rimozione delle cause della
prostituzione ed al sostegno delle persone che vi sono approdate, soprattutto se minorenni, sembra investire del problema (a volte senza prevedere neppure adeguate risorse) le autonomie locali o le realtà del
privato sociale.
Soprattutto affida alla discrezionalità piena delle autorità di controllo l’accoglimento di istanze di formalizzazione dei processi di integrazione nel tessuto sociale di persone straniere. Ciò attraverso la concreta
gestione dell’art. 18 della normativa che collega la questione prostituzione a quella della regolazione dell’immigrazione. La concessione del permesso di soggiorno di protezione sociale a chi è in condizione di
coercizione violenta pare sempre più subordinata, di fatto, all’utilità derivante dalla qualità della collaborazione con gli organi di investigazione e repressione dello sfruttamento organizzato, oltre che della riuscita
del percorso socio-lavorativo, definito nei termini di un vero e proprio “riscatto”, anche morale, testimoniato dall’adozione di modalità di vita “specchiate” (adottando cioè criteri che altro non sono che il buon sen-
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so più moralistico presente nei discorsi correnti sul tema).
In questo senso, la possibilità di garantire sostegno alle vittime della tratta e dello sfruttamento – pur se
ammantata da propositi umanitari che hanno radici nelle culture del solidarismo cattolico o dell’emancipazionismo laico – pare oggi essenzialmente subordinata alle prevalenti esigenze di controllo. Mentre infatti
la legge prevede che ai benefici del permesso per ragioni di protezione sociale accedano sia donne che
hanno denunciato i loro sfruttatori, collaborando con la polizia per arrestarli, sia persone che semplicemente intendono sfuggire alla situazione di violenza, nella realtà la concessione del beneficio è intesa dagli
organi di polizia, nella maggioranza dei contesti locali, come strumento premiale, da gestire a discrezione,
subordinandolo alla piena collaborazione della richiedente e al successo delle indagini di polizia. Emerge
inoltre di frequente il tratto “moralistico” dell’atteggiamento da cui discende la concessione dell’opportunità di soggiorno, non essendo contemplata la possibilità che vi sia affrancamento dalla situazione di sfruttamento senza abbandono dell’attività di prostituzione.
Si può affermare che – come nel caso dei tossicodipendenti – il segno di un controllo più repressivo si
accompagna con l’offerta di possibilità di “riscatto” subordinate (attraverso la discrezionalità o il sostegno
privilegiato ad alcune realtà che gestiscono istituzioni di accoglienza) all’accettazione acritica delle condizioni sociolavorative proposte e dell’omologazione dei comportamenti allo standard più conformista.
In conclusione si può affermare che la direzione verso cui si muovono le politiche penali e sociali nel
campo della prostituzione è quella di una qualche forma di regolamentazione e istituzionalizzazione della
prostituzione “ufficiale”, di una sua almeno parziale integrazione nel contesto dell’industria dell’intrattenimento, accompagnata dalla penalizzazione della prostituzione di strada.
L’obiettivo pare coerente con le preminenti rappresentazioni del problema e con le domande sociali
che i media si incaricano di interpretare e/o di alimentare: garantire l’ordine pubblico e il decoro esteriore e
al tempo stesso promuovere modalità di gestione ordinata di una forma di devianza che può definirsi “funzionale”.
Le politiche sembrano per questo articolarsi a seconda dell’integrazione o meno nel tessuto sociale
delle persone che esercitano la prostituzione. Non deve sorprendere se, in un futuro prossimo, ne discenderà:
- per chi è italiana/o, il riconoscimento del contenuto “professionale” dell’attività purché svolta con discrezione in ambiti chiusi e “tollerati” dai vicini;
- per la/o straniera/o che esercita dietro il paravento del mondo dell’intrattenimento commerciale, un
posto precario, a termine, di lavoratrice/tore dell’industria del sesso;
- per chi è straniera/o clandestina/o, l’alternativa tra la punizione-espulsione e l’accettazione delle proposte a carattere “salvifico”, disponibili per chi collabora con le istituzioni di polizia, chi dimostra gratitudine
per le condizioni di riscatto offerte ed accetta i modelli di integrazione sociale previsti per le persone subalterne e marginali.
FRANCO PRINA ha concluso ricordando che, come da più parti si è osservato con preoccupazione,
quest’ultima alternativa rischia di produrre condizioni per uno sviluppo del mercato illegale in forme ancora più clandestine e controllate, rendendo maggiormente difficile l’esistenza degli attori più deboli e forte la
loro dipendenza dalle reti di sfruttamento. Le ipotesi di penalizzazione della prostituzione sulla strada hanno infatti l’alta probabilità di provocare una intensificazione della violenza e della pressione fisica per garantire l’efficacia delle necessarie misure di occultamento della presenza (in luoghi chiusi) delle persone
trafficate.
E che questa sia la direzione (maggiore clandestinizzazione, alto turn-over delle persone reclutate e
“trattate”, maggiore mobilità sul territorio e dunque minori possibilità di “aggancio” da parte degli operatori sociali delle unità di strada, maggiore dipendenza da chi gestisce traffico e sfruttamento) è già visibile,
anche in assenza di un mutamento del quadro normativo, per effetto delle politiche di controllo attuate in
tempi recenti. Politiche che – come abbiamo sopra osservato – si muovono nella direzione di eliminare la
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parte visibile del fenomeno, operando rimpatri indiscriminati (e in condizioni che spesso rendono drammatica la situazione delle persone una volta sbarcate nei loro paesi) ed applicando con grande discrezionalità tutti gli strumenti disponibili per produrre un effetto simbolico di sollecitudine ed efficienza.
Sul rapporto tra percezione del problema e politiche, si sofferma FREDO OLIVERO, responsabile di
Migrantes, della Caritas, secondo il quale la prostituzione è un fenomeno con cui la società ha deciso
di “convivere” attraverso scelte culturali, sociali e politiche.
Le uniche opposizioni reali alla prostituzione/sfruttamento vengono dalle donne vittime e dai movimenti
che le sostengono, in particolare movimenti femminili o di ispirazione religiosa (anche se con intenti parzialmente diversi: i primi lottano per la parità dei diritti, vedendo la prostituzione come lesiva della dignità
della donna, i secondi per difendere i diritti umani che vengono calpestati). In generale si contesta che i
corpi di esseri umani vengano trattati come merce. Come dice l’antropologo M. Aime: “il cannibale adesso è l’occidente”.
I due problemi, prostituzione e prostituzione coatta / tratta, sono certo due fenomeni diversi, ma non
così separati, con una forte area grigia che, per la parte africana, coinvolge almeno il 50% delle persone.
Questa area grigia della prostituzione coatta ha reso molto difficile la comunicazione su questi temi, perché è difficile distinguere tra chi è cosciente del rischio e chi è costretto a prostituirsi e non può rifiutarsi.
Nell’esercizio della prostituzione troviamo donne, ma anche uomini e adolescenti, per lo più non cittadini europei, i cui diritti fondamentali vengono calpestati (dignità, libertà, diritto alla salute e all’affettività).
Oggi il fenomeno è profondamente cambiato: non vi è scelta, ma imposizione e non vi è limite allo sfruttamento (basti vedere il numero di donne e adolescenti uccise da clienti). Di questo non si vuole tenere
conto e si discute più facilmente sulla percentuale di donne costrette e donne che “scelgono”.
Ma se un fenomeno come questo (che ha dimensioni di schiavitù/semischiavitù difficilmente divisibile
dall’esercizio “libero”) viene accettato perché la percentuale di donne costrette è minoritaria e straniera, ci
troviamo di fronte ad una nuova barbarie.
E d’accordo su questo ci sono anche molte organizzazioni a dominanza maschile (e le associazioni a
tutela del diritto a vendere i propri corpi). Le scelte normative e le politiche generali e sociali dipendono da
questa analisi.
Per chi si trova ad esercitare una “scelta” servono politiche che tengano conto dei soggetti deboli (prostitute/i) nei confronti dei soggetti forti (clienti maschi), con offerte culturali, economiche, sociali alternative.
Non certo le “case chiuse”, luoghi inaccessibili per chi oggi opera sulla strada per fornire informazioni e
opportunità.
Per le “donne vittime” ogni ipotesi deve contenere una proposta premiale per le vittime (tenendo conto
della difficoltà del percorso di reintegrazione attraverso il lavoro): l’art. 18 della legge 286/98 è molto positivo, a condizione però che vi sia tutela fin da subito dagli sfruttatori e dalle loro mafie.
Ci si può domandare perché nessuna attenzione vi è verso i “sfruttatori” italiani, dal momento che sono
loro a gestire il territorio! E i nuovi sponsor e le “maman” pagano la tolleranza delle mafie italiane, che si
sentono protette e corrono pochissimi rischi.
Oggi la donna vittima, dopo la denuncia, si ritrova sovente a fare i conti con giudici che accettano il patteggiamento degli sfruttatori, che non considerano la “riduzione in schiavitù” e trattano le vicende solo come sfruttamento della prostituzione. I nuovi schiavisti spesso dopo pochi giorni sono fuori dal carcere e
minacciano chi li ha denunciati e le loro famiglie.
Concludendo, FREDO OLIVERO sostiene che servono alcune cose precise:
> garanzie anche per le vittime e non solo per gli sfruttatori che hanno fior di legali;
> percorsi sociali e culturali alternativi, con reali finanziamenti ai progetti dell’art. 18;
> lavoro di rete a tutti i livelli: pubblico/privato, locale, nazionale, internazionale;
> prevenzione nei Paesi di partenza con progetti veri: gli incontri con le
Ambasciate dei Paesi di provenienza è un esempio di buone prassi;
> un articolo 18 a livello europeo, che renda concrete le direttive contro
la tratta e lo sfruttamento sessuale.
Sempre in tema di rappresentazioni, CARLA GIACCHETTO del Gruppo Abele ricorda che il problema è che le donne in strada spaventano, inquietano e fanno correre dei rischi per cui diventano oggetto
di misure di ordine pubblico, sono trattate come una categoria stigmatizzata, “speciale”, da rinchiudere.
Sappiamo che nell’universo prostituzione in Italia solo una parte avviene in strada, c’è quella che viene
chiamata “quasi prostituzione”, negli appartamenti, nelle saune, nei locali, ma è solo la prima che preoccupa.
Se si prova a ragionare con le stesse protagoniste – come è stato fatto, in un focus group con un gruppo di donne dell’est – domandando che cosa secondo loro dà fastidio alla gente quando sono sulla strada, perché infastidiscono così tanto l’opinione pubblica che vuole cacciarle, le risposte naturalmente
pongono al primo posto il fatto che sono poco vestite e poi i clienti che strombazzano quando si accostano, disturbando, e ancora il fatto che rimane molta sporcizia (anche se, in verità, molta di quella sporcizia la lasciano i clienti).
Sono problemi oggettivi, ma facilmente risolvibili, come ci insegnano molti progetti, soprattutto quelli di
più lunga data: lavorando con le donne si può ridurre l’impatto con l’immaginario che la gente ha.
Altro aspetto riguarda l’idea diffusa secondo cui “le donne che esercitano questo tipo di mestiere ci attaccano l’aids e tutte le più brutte malattie di questo mondo”. Si ignora il fatto che la maggior parte dei
clienti è disposta a pagare tre volte tanto pur di avere rapporti non protetti, e che le ultime statistiche dimostrano che le cosiddette categorie a rischio non sono le prostitute, ma gli eterosessuali.
Le ragazze ci invitano a riflettere anche su un altro aspetto: “le donne italiane ce l’hanno con noi perché
siamo belle, disponibili e giovani”. Si tocca qui un aspetto su cui molto ci sarebbe da lavorare, che concerne il rapporto tra i generi e le relazioni tra uomini e donne, che concerne tutti.
L’altro discorso da cui non sono esenti neanche gli operatori che lavorano con l’articolo 18 concerne la
differenza tra operare con una vittima di tratta, una donna costretta a fare questo lavoro, oppure con una
donna che ha “scelto” di farlo o che si è sottratta all’organizzazione criminale e ha deciso di continuare,
ad esempio per comprarsi una casa in Nigeria. Nessuno è immune dal giudicare, nessuno si può sottrarre alle rappresentazioni stereotipate: per questo bisogna lavorare, soprattutto attraverso la formazione,
sulle nostre rappresentazioni e capire la nostra sessualità, non solo quella degli altri.
Su un secondo aspetto si sofferma CARLA GIACCHETTO: la tematica dei clienti, in genere poco affrontata, che invece presenta risvolti interessanti.
Il Gruppo Abele gestisce, per conto della Provincia di Torino, una delle postazioni del numero verde nazionale contro la tratta, il 800 290 290. E’ interessante notare che la maggior parte delle ragazze che telefonano, chiedendo aiuto e/o informazioni, e che poi si presentano per un colloquio, è accompagnata da
un cliente. I clienti non si presentano ovviamente come tali, ma come amici: “passavo di lì e l’ho vista
piangere e mi faceva pena, ho scoperto che aveva l’età di mia figlia…”.
Molti di loro possono essere un impiccio, ma possono anche essere una risorsa perché sono le persone che le ragazze incontrano sulla strada, oltre ai poliziotti durante le retate o ai pochi operatori sociali. I
clienti sono un tramite abbastanza importante per chi opera nell’ambiente e quindi può essere importante
garantire loro uno spazio di ascolto non giudicante, non criminalizzante, uno spazio che possa orientare
alcuni verso servizi specifici (a volte è successo che ci fossero dei disturbi della personalità).
La tendenza, che potrà essere incentivata dalla legge in discussione, ma che è in parte attuale soprattutto per quanto riguarda le ragazze albanesi e dell’est, di ritirare le donne dalla strada e farle lavorare in
appartamenti, le renderà meno raggiungibili per il lavoro di prevenzione. Se le donne ritorneranno in spazi
chiusi si dovrà inventare qualcosa per raggiungerle con le informazioni: sarà dunque importante la collaborazione con i clienti perché diventino un tramite o dovremo pensare a operatori che si fingano clienti.
Ma certo la proposta di legge va combattuta per la sua filosofia di fondo: questa e le altre leggi da cli-
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ma di controriforma che sono in gestazione (la legge sulle tossicodipendenze e sulla psichiatria) sono leggi escludenti che non faranno che aumentare il disagio e l’emarginazione di chi vive queste situazioni, poiché non mettono certo la persona al centro, tenendo conto dei suoi diritti e della sua capacità di autodeterminarsi.
E proprio le questioni normative sono al centro dei due ultimi interventi.
MARIA GRAZIA GIAMMARINARO, Giudice del Tribunale di Roma, affronta il tema della tratta e
del traffico di persone, fenomeno relativamente nuovo, in termini giuridici, dimostrando come diverse possano essere le impostazioni delle scelte normative a seconda della percezione del problema e delle preoccupazioni che risultano prevalenti a livello politico.
Si deve ricordare innanzitutto che il reato di traffico, così come è definito nel Protocollo ONU per la prevenzione, la repressione e la criminalizzazione del traffico di persone, in particolare donne e bambini (Palermo 2000), è un reato che prescinde assolutamente dall’illegalità dell’ingresso. Non è cioè un reato contro la legislazione che protegge i confini dello Stato, bensì un reato contro la persona.
Tre ne sono gli elementi costitutivi. Il primo è lo spostamento della vittima, il suo sradicamento, la recisione di tutti i legami famigliari e sociali che la fa precipitare in una condizione di estrema vulnerabilità. Il secondo elemento sono i mezzi utilizzati: mezzi violenti, minacciosi, ingannatori o di abuso. E’ questo un
punto molto importante: la definizione “abuso di una posizione di vulnerabilità” copre tutte quelle situazioni come la servitù da debito, la necessità di ripagare il debito contratto per recarsi illegalmente in un altro
paese, che pongono la persona in una condizione di impossibilità di scelta. Il terzo elemento riguarda gli
scopi perseguiti dai trafficanti, poiché il traffico - diversamente da altre forme di favoreggiamento dell’immigrazione o di organizzazione illegale dei lavoratori - è caratterizzato dal fatto che il rapporto non finisce
con l’ingresso illegale e il pagamento, spesso esoso, di un debito, ma ha uno scopo ulteriore: di sfruttamento selvaggio delle prestazioni della persona, sessuali o lavorative (ad esempio attraverso lavoro forzato, servitù domestica o accattonaggio obbligato).
Questa definizione costituisce un elemento importante per il processo, in atto, di armonizzazione delle
legislazioni a livello internazionale, base per un’efficace cooperazione internazionale.
Quello dell’armonizzazione è un processo in atto in tutti i Paesi europei, compresi quelli dell’Est, grazie
al lavoro svolto da organizzazioni internazionali, dall’OIM, dal Consiglio d’Europa e dal Patto di Stabilità,
che ha lavorato molto nell’area dei Balcani. In tutti questi Paesi sono in corso riforme della legislazione penale, e in qualche caso anche della legislazione sociale sull’immigrazione.
A proposito della nuova legge penale in Italia (legge 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di
persone), il parere di MARIA GRAZIA GIAMMARINARO è che non sembra essere una buona legge, perché oltre alla perplessità che sorgono alla lettura del testo, è a forte rischio di inapplicazione.
La norma penale, di diritto sostanziale, innova il reato di riduzione in schiavitù, il reato di tratta di esseri
umani e il reato di commercio di schiavi e schiave, che tuttavia è una fattispecie minore. Parliamo dunque
delle prime due.
E’ una legge un po’ strana, anziché risolvere una polarità sempre presente nelle legislazioni tra una definizione molto vaga di tratta, chi commette tratta di esseri umani, e chi riduce una persona in schiavitù o
chi fa commercio di schiavi (fattispecie molto vaghe, che sono state ereditate dai codici storici), nel tentativo di definire entrambe le fattispecie le accoglie tutte e due. Infatti in una prima parte dà una definizione
molto generica: per esempio, per quanto riguarda la riduzione in schiavitù, dice “chiunque esercita su una
persona poteri corrispondenti al diritto di proprietà” che è la definizione classica, aggiungendo: “ovvero
chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendolo a prestazioni lavorative o sessuali o all’accattonaggio o a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento è punito con la reclusione da 8 a 20 anni”. Si comprende bene l’onere probatorio connesso con una definizione
così complessa e con una definizione nella quale si dice “stato di soggezione continuativa”. Bisogna provare, per esempio, la permanenza per un tempo apprezzabile e questo, in termini processuali, significa
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che è un reato difficile da provare.
Nel reato specifico di tratta c’è una fattispecie vaga: “chiunque commetta tratta di persona che si trovi
nelle condizioni di quell’art. 600”, cosa strana perché non si commette tratta di persona che si trova già in
condizione di schiavitù, semmai si commette tratta per ridurla in condizione di schiavitù. Quello che nel
Protocollo è uno scopo, penalisticamente un dolo specifico, qui diventa una parte della condotta.
“Ovvero al fine di commettere delitti di cui al comma primo (riduzione in schiavitù) del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia o abuso di autorità a fare ingresso o soggiornare o uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno”. Cambia la costruzione
del reato: quella che era prima condotta materiale, ora diventa proposito.
Ciò che differenzia le due fattispecie, riduzione in schiavitù e tratta, è l’ingresso della persona nel territorio o il suo spostamento all’interno, con un elemento problematico: il proposito del trafficante non è lo
sfruttamento (tra cui anche la riduzione in schiavitù), ma la riduzione in schiavitù. Quindi questa norma,
non risolve i problemi verificatisi in sede di applicazione dell’art. 600, per la quale c’erano alcune difficoltà
probatorie, poiché bisogna provare l’assoluta non autodeterminazione della vittima e si può applicare soltanto ai minori. Alcune sentenze interessanti, come quella della Corte d’Assise di Roma, dicevano che è
compatibile con la riduzione in schiavitù il concedere qualche margine di autonomia o movimento (per
esempio lasciar mandare i soldi a casa, concedere una piccola parte del ricavato da attività di prostituzione), come pure un trattamento un po’ migliore della persona per evitare la sua ribellione, poiché rimane
nell’arbitrio del trafficante concedere o togliere questi limitati benefici.
Sono i casi delle ragazze che non sono segregate, che hanno libertà di movimento, che vanno da sole
sul posto in cui si prostituiscono e da sole tornano a casa, che mandano i soldi a casa. Pur tuttavia sono
ragazze trafficate.
Questa legge, per la sua difficoltà dal punto di vista probatorio, rischia l’inapplicabilità: di fronte al rischio di dover affrontare un dibattimento in cui le accuse vengono a cadere per le difficoltà probatorie, si
preferirà utilizzare gli strumenti che già abbiamo, cioè la legge Merlin, lo sfruttamento della prostituzione,
eventualmente aggravato dalla violenza, e l’art. 12 della legge sull’immigrazione, che prevede un livello di
pene già avanzato.
Questo rischio di inapplicazione va valutato per quello che è: un’occasione mancata. Positiva è la parte
processuale, poiché si include la riduzione in schiavitù e la tratta tra i reati per i quali possono essere utilizzati tutti gli strumenti investigativi, particolarmente efficaci, previsti contro la criminalità organizzata: misure
cautelari, intercettazioni telefoniche, possibilità di indagini bancarie, misure di prevenzione patrimoniali,
ecc.
Bisogna risalire ai network criminali. Sebbene si abbiano dei successi (la grande maggioranza dei procedimenti penali si aprono grazie all’articolo 18, perché le ragazze una volta che si sentono sicure sono
molto desiderose che i loro sfruttatori vengano puniti), generalmente non si riesce a risalire ai vari livelli della catena criminale. A proposito di criminalità organizzata, va segnalato anche alle operatrici e agli operatori sociali che la competenza delle indagini per questi nuovi reati passa alla Direzione Antimafia. Cosa
certo importante per le indagini, ma che non deve far dimenticare che le Direzioni Distrettuali Antimafia sono abituate ad avere a che fare con reati senza vittime (è il caso del traffico di droga) ed il know-how del
saper dialogare con la vittima si è formato prevalentemente nei gruppi specializzati per i reati di violenza
contro la persona. Avremo dunque bisogno di una fase in cui creare cooperazione, scambio di esperienze tra i diversi settori per riuscire a lavorare insieme.
Altro ben diverso approccio è quello che vede il traffico come un aspetto del problema dell’immigrazione illegale. E’ questo peraltro un approccio che continua ad essere dominante nelle politiche dei governi di
tutta Europa, al punto che ancora oggi è difficile, quando si dialoga con molti funzionari governativi, chiarire
qual è la distinzione tra i due fenomeni. Ma soprattutto succede che, non appena si entra nel merito del che
fare, si scopre che la preoccupazione prevalente e dominante è che la politica di supporto alle vittime possa
aprire una falla nella legislazione o essere un grimaldello che ne scardina la severità.
Così finisce che questo approccio risulti restrittivo e non colga nel segno, non producendo alcun risultato.
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convegno nazionale
progetto libere-te-lira-free
Questo orientamento è riproposto dalla bozza di Direttiva dell’Unione Europea, che verrà approvata a
breve, nella quale il traffico è connesso e frammisto ad un’altra fattispecie, quella della immigrazione illegale. La direttiva parla di permesso di soggiorno breve per vittime di traffico e per vittime di quelle azioni
volte a favorire l’immigrazione illegale, mettendo insieme i due fenomeni: immigrazione illegale e traffico. In
secondo luogo supporta le azioni di aiuto alle vittime di azioni volte a favorire l’immigrazione illegale e che
cooperano con le autorità giudiziarie. In questo approccio la persona non viene considerata vittima di un
reato, ma uno strumento delle politiche migratorie dello Stato e delle politiche giudiziarie dello Stato. Lo
schema è il seguente: tu sei una/o straniera/o illegale, non una vittima, io ti offro qualcosa a condizione
che tu faccia quello che dico.
Che la cosa non funzioni ormai dovrebbe essere assolutamente chiaro. Non possiamo parlare più di
equivoco, ma di un imbroglio, nel senso che si ripropone come efficace per il traffico di persone qualcosa
che ormai è chiaro che non funziona. Si può ricordare che nell’elaborazione dell’articolo 18, il punto di
partenza fu la constatazione che le norme sul permesso di soggiorno (che contenevano il permesso di
soggiorno per ragioni di giustizia) non funzionavano, perché le ragazze non lo utilizzavano. Lo schema del
pentitismo non è adatto a loro, perché non essendo autrici di reati, ma vittime, non hanno neanche la
mentalità di contrattare con le pubbliche istituzioni.
L’ultimo approccio, conclude MARIA GRAZIA GIAMMARINARO, è quello che mette al centro i diritti
delle persone trafficate. E’ combinabile variamente con il primo approccio, mentre è assolutamente in
conflitto con il secondo e necessita un capovolgimento dello schema premiale.
Questo modello (rappresentato nella nostra legislazione dall’articolo 18) è a rischio, nonostante sia ormai evidente che è l’unico che funziona. Dai primi dati di una ricerca della Direzione Nazionale Antimafia
emerge che i procedimenti sono aumentati di dieci volte, ma nonostante ciò l’articolo 18 è a rischio. Ci si
può domandare perché non diventa un modello esportabile.
C’è un dibattito feroce su quanto tempo si deve dare a una persona perché decida cosa vuole fare, se
denunciare oppure no. Ma la flessibilità della nostra norma è una qualità, non un difetto.
Non si riesce ad esportare perché questo approccio, fondato sui diritti delle vittime, è fuori dal cosiddetto mainstreaming, fuori dall’opinione corrente e lontano da quella dominante a livello di governi, ossessionati dalla paura per le politiche migratorie. E questo crea una resistenza attiva, anche dal punto di vista
giuridico, perché il discorso sui diritti delle vittime è relativamente nuovo, anche se la dichiarazione dell’Onu è del 1985: basta pensare che la vittima non ha una posizione pienamente codificata nel procedimento. Per rendersi conto di quale possa essere la vera posizione della vittima, bisogna fare complessi sforzi
interpretativi, perché di codificato c’è pochissimo. Parliamo cioè di soggetti che hanno una posizione incertissima all’interno del processo, e dunque la possibilità di costruire politiche sociali valide è ancora una
volta legata ad un salto culturale.
LORENZO TRUCCO, presidente dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), a
partire dal lavoro di avvocato e attraverso la rivista “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”, di cui è redattore, può affermare che l’articolo 18 ha una potenzialità enorme, non espressa pienamente.
Se osserviamo, in primo luogo, la questione dell’applicazione del cosiddetto “percorso sociale”, possiamo dire che siamo in presenza di una situazione a macchia di leopardo. Non siamo più come nei primi
tempi, quando alcune questure negavano addirittura la possibilità di un percorso sociale, ma la situazione
continua a presentare grandissime differenze a seconda delle realtà locali.
Alcune Questure hanno aperto la strada ai percorsi sociali solo da poco tempo, mentre prima veniva in
pratica negata tale possibilità. Solo tramite un coordinamento delle associazioni, degli enti, nonché delle
stesse forze di Polizia si è riusciti in molti casi a sbloccare tali situazioni. D’altra parte, uno degli aspetti positivi dell’art. 18 è proprio la possibilità di interagire e lavorare insieme tra organismi diversi, pur mantenendo ognuno il suo specifico ruolo.
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L’unica ipotesi in cui si prescinde da qualsiasi tipo di percorso è quella prevista dall’ultima parte dell’articolo 18, relativa ai minori che sono stati detenuti e hanno dato prova di reinserimento.
Rimangono invece ancora inapplicati gli aspetti della normativa che riguardano le forme di sfruttamento
di tipo lavorativo che, pur rientrando nell’art. 18, sono state prese in considerazione solo in rarissimi casi.
Di certo il più grande problema attuale di applicazione dell’articolo 18, al di là del periodo di stand-by
determinato dalla sanatoria, è arrivare alle persone che sono in situazione di netta clandestinità. La legge
Bossi-Fini, che prevede l’espulsione immediata, costituisce purtroppo un gravissimo ostacolo, mentre
l’annunciata sentenza della Corte Costituzionale, relativa alla effettività del provvedimento di convalida,
potrebbe aprire nuove possibilità da parte della vittima di accedere alla norma in oggetto.
Certo rimangono molte difficoltà perché l’assistenza della vittima si potenzia da un lato con l’articolo 18
e dall’altro con il sostegno durante il procedimento penale e ciò significa che la vittima dovrebbe avere un
“difensore di parte offesa”. Nel corso degli incidenti probatori, quando cioè la vittima viene interrogata in
contraddittorio con l’imputato, ossia in una situazione estremamente delicata e difficile, è necessario un
avvocato; affrontare queste prove senza un difensore può essere estremamente pesante.
Per meglio spiegare, possiamo ricordare che, per difendersi in un processo è bene avere un difensore.
La parte offesa non ha necessità di avere un difensore, ma è chiaro che è molto opportuno averlo. Per la
vittima che viene interrogata di fronte ad un giudice in presenza dell’imputato e del suo difensore, è ovvio
che avere un proprio avvocato, anche se c’è la garanzia della presenza del Pubblico Ministero, può rivelarsi molto utile. Tuttavia o la vittima ha un difensore che presta gratuitamente la sua opera oppure deve
accedere all’istituto del gratuito patrocinio per cui sono necessari vari documenti, tra cui il documento dell’ambasciata della nazione della vittima che attesti che questa non abbia redditi in patria. Possiamo immaginare i tempi e le difficoltà.
C’è poi il problema delle possibilità di ricongiungimento famigliare, importantissimo per la vittima,
anche perché le minacce spesso vengono rivolte ai famigliari: se per il ricongiungimento con la famiglia si pensa di usare i normali strumenti del Testo Unico sull’Immigrazione, si avranno ostacoli insormontabili.
La situazione, in generale, ha dunque potenzialità rilevanti, anche se attualmente una effettiva applicazione è ancora lontana. Vi è sottovalutazione dell’importanza dell’articolo da parte di alcuni settori della magistratura, mentre è stata smentita una delle principali preoccupazioni circa l’articolo 18,
ossia che sarebbe stato un facile strumento per ottenere un permesso di soggiorno, scavalcando le
norme sull’immigrazione.
Così non è: nelle numerose applicazioni dell’articolo 18, non si è certo verificata una situazione di
abuso del percorso, anche perché la realtà conferma che è molto difficile recidere il legame innaturale
che lega la vittima al suo sfruttatore e che non è facile seguire il percorso previsto per il salto culturale
che esso comporta.
Un’ultima annotazione di LORENZO TRUCCO riguarda un incontro avvenuto pochi mesi fa in Ucraina
su questo tema. Il grande interesse sull’argomento era accompagnato da sconcerto: ci si interrogava sul
percorso sociale, e sul senso di una posizione che si esprime in questi termini: “come Stato ti proteggo
durante il processo, ma dopo non c’è più nessuna protezione”. Una norma come l’articolo 18 va inserita
nel contesto generale delle norme sull’immigrazione: che senso ha, altrimenti, aiutare una persona trafficata se non ha nessuna possibilità di immigrare legalmente? Immigrazione e traffico sono due fenomeni
che vanno certo normati indipendentemente uno dall’altro, ma tenendo conto del contesto unico e della
interdipendenza tra i medesimi.
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01. Titolo capitolo
progetto libere-te-lira-free
La Provincia è l’ente locale intermedio tra Comuni e Regione che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. Le linee programmatiche della
Provincia di Torino in campo sociale tengono conto di un complesso di normative nazionali e
regionali anche di recente emanazione. Tali linee si traducono in diversi e coerenti ambiti di azione:
solidarietà sociale, politiche per la famiglia, minori e giovani, politiche per gli anziani, le fasce
deboli e la disabilità, sanità, immigrazione, sicurezza dell’ambiente sociale, politiche dei
tempi, pari opportunità, pace e cooperazione internazionale, politiche per il lavoro e lo sviluppo locale che riflettono differenze oggettive nella natura dei problemi affrontati, oltre che di finalità e mezzi specifici.
Tra le attività sviluppate risultano essere particolarmente significative:
1) La progettazione su vasta area e di supporto all’azione dei comuni, con progressivo sviluppo
di competenze programmatiche su tutto il settore sociale e assistenziale;
2) Le attività di sostegno allo sviluppo locale e alla diffusione della programmazione negoziata
(es. Patti territoriali, piani integrati di area) per sostenere lo sviluppo economico e occupazionale
caratterizzandoli con obiettivi di inclusione sociale;
3) Il governo di un sistema integrato di interventi e servizi sociali, coerenti con le esigenze dello sviluppo locale durevole, anche incoraggiando e sostenendo la creazione di nuove imprese.
schede partner
Nell’ambito delle politiche per il lavoro la Provincia di Torino, che dal 25 novembre 1999 ha assunto l’importante compito di gestire i servizi pubblici per l’impiego, realizzare le politiche attive del
lavoro e favorire l’integrazione con il sistema della formazione professionale e dell’istruzione, ha anticipato, con una delibera del consiglio provinciale del 24 marzo 1999 il modello di funzionamento dei nuovi tredici Centri per l’Impiego della Provincia, per migliorare gli strumenti per
l’occupabilità attivi sul proprio territorio.
Nell’ambito delle pari opportunità la Provincia ha inserito tra i propri progetti strategici il Piano
territoriale per le pari opportunità (2001-2002) per intervenire sulle situazioni che costituiscono un ostacolo alla piena realizzazione dell’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini, promuovendo un quadro organico di azioni positive volte a favorirne l’applicazione negli ambiti di intervento della Provincia. Il piano, che si fonda sul modello delle politiche partecipate, implica un
duplice piano di applicazione: all’interno dell’ente per attivare una diversa organizzazione ed una
modalità decisionale maggiormente orientata a valorizzare le competenze femminili; all’esterno
come elemento caratterizzante lo sviluppo economico e sociale del proprio territorio.
Nell’ambito della progettazione europea, grazie al supporto del servizio di coordinamento politiche comunitarie, la Provincia ha favorito l’avvicinamento dell’ente alla dimensione europea.
INDIRIZZO
Provincia di Torino
Ufficio Pari Opportunità
via Maria Vittoria 12 - 10123 Torino
Tel. +39 011 861 2426 - Fax +39 011 861 2890
sito web: www.provincia.torino.it
Contatto
Laura Vinassa: [email protected]
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
L’Ufficio Stranieri del Comune di Torino fa parte della Divisione Servizi Sociali e rapporti con
le Aziende Sanitarie. Ad esso possono rivolgersi i cittadini e le cittadine immigrati/e che desiderano ottenere informazioni e aiuto per:
> lavoro e formazione professionale
> istruzione
> diritto all'unità familiare
> idoneità abitativa
> altri servizi offerti agli/alle immigrati/e nella città e nella provincia
> assistenza socio-sanitaria
> tutela dell'identità culturale
> diritti di cittadinanza
> situazioni di discriminazione e sfruttamento
> accoglienza temporanea
> richieste di asilo politico
Inoltre l'Ufficio Stranieri:
> possiede un centro di documentazione ed un punto prestito libri;
> partecipa all’ Osservatorio Interistituzionale sugli stranieri istituito dalla
Prefettura di Torino;
> lavora in rete con servizi ed istituzioni e con le associazioni del volontariato
e del privato sociale;
> collabora con le associazioni straniere presenti in città.
INDIRIZZO
Città di Torino – Ufficio Stranieri
via Cottolengo 26 - 10122 Torino
Tel. +39 0114429411 (centralino)
e-mail: [email protected]
sito web: www.comune.torino.it
Orari di apertura al pubblico:
lunedì e mercoledì dalle 14 alle 17.30: informazioni e orientamento
giovedì dalle 14 alle 16: punto prestito libri - centro documentazione
Contatti
Flavia Mulè: tel. +39 0114429 418 – e-mail. [email protected]
Aurora Vitagliano: tel. +39 0114429 425 – e-mail: [email protected]
La Città di Moncalieri , nell’ambito delle proprie competenze, esercita e persegue le seguenti finalità:
- tutelare e promuovere i diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla dignità e alla libertà delle persone, contrastando ogni forma di discriminazione;
- contribuire a rendere effettivo il diritto dei cittadini al lavoro, alla tutela della salute, alla casa, all’istruzione e ad uguali opportunità formative e culturali, nel rispetto della libertà di educazione;
- realizzare un equilibrato sviluppo economico della città;
- promuovere il rispetto della vita e la sicurezza sociale, rimovendo le cause di emarginazione, con
particolare attenzione alla tutela dei minori e degli anziani ed al diritto delle persone disabili ad una
città accessibile e ad una rete di servirsi e di interventi che ne facilitino l’integrazione sociale e ne accrescano le opportunità lavorative;
- tutelare la famiglia riconoscendone il ruolo sociale;
- agire attivamente per garantire pari opportunità di vita e di lavoro a uomini e donne e per rimuovere
le discriminazioni basate sulle tendenze sessuali;
- tutelare l’ambiente di vita e di lavoro operando per rimuovere le cause di degrado e di inquinamento e promuovere il rispetto per la natura e gli animali;
- valorizzare, anche sul piano nazionale ed internazionale, il patrimonio storico, artistico, culturale e
ambientale della città e promuovere la conoscenza delle tradizioni culturali piemontesi e della altra
cultura e specificità della comunità cittadina;
- valorizzare le aggregazioni sociali, tutelandone l’autonomia, e stimolare l’iniziativa privata, la cooperazione sociale, il volontariato e l’associazionismo.
L’Amministrazione Comunale di Moncalieri ha istituito, con deliberazione di giunta n. 278/94, il Comitato per le pari opportunità tra uomo e donna con lo scopo di formulare proposte volte a favorire effettive pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo professionale all’interno dell’ente.
La Città di Moncalieri nell’ambito del proprio programma di intervento sociale in favore di persone extracomunitarie e di riduzione degli ostacoli che si frappongono alla promozione di pari
opportunità tra uomini e donne ha attivato a partire dal 1999 una strategia (progettata in collaborazione con l’Associazione Tampep) volta al monitoraggio del fenomeno della tratta e all’implementazione di azioni finalizzate a fronteggiare la segregazione delle donne in esso coinvolte. Si tratta di un
progetto di ricerca intervento finalizzato a implementare e diffondere nuove strategie e metodologie di lavoro con le prostitute migranti in Europa e attualmente operanti sul territorio della
Città di Moncalieri. Si avvale del diretto coinvolgimento delle persone che si prostituiscono, e di
strumenti pensati per tutelarne la sicurezza e la salute.
Esiste inoltre un progetto che favorisce l’integrazione scolastica, abitativa, lavorativa e culturale per
cittadini stranieri residenti nel territorio moncalierese: “Integrerete, connettersi per l’integrazione”
(www.integrarete.it)
INDIRIZZO
Città di Moncalieri - Ufficio Pace
Via Alfieri, 34 bis-10024 Moncalieri (TO)
Tel. +39 011.640.14.46 Fax +39 011 642.477
e-mail: [email protected]
sito web: www.comune.moncalieri.to.it
Orario di apertura
lunedì 14,00 - 18,00
martedì 9,00 - 13,00 e 14,00 - 18,00
mercoledì 14,00 - 19,00
giovedì 9,00 - 13,00
Contatto
Fabiana Brega
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
L’Università degli Studi di Torino è un’istituzione pubblica le cui finalità sono l’istruzione
superiore e la ricerca scientifica e tecnologica. Essa conta oggi 12 Facoltà, 55 dipartimenti,
circa 2.071 docenti e 62.000 studenti.
I ruoli istituzionali e strategici dell’Università degli Studi di Torino, in linea con l’università italiana, sono quindi costituiti dalle attività sviluppate nel campo della formazione e della ricerca.
Con l’istituzione presso l’Università di Torino della Funzione “Dal Diritto allo Studio al Mondo del Lavoro” (DIR.S.e L) l’Università ha ampliato il proprio ruolo, inserendo fra i propri compiti quello della collaborazione fra l’Università e il mondo del lavoro. L’Università infatti provvede ad attivare servizi intesi a favorire l’inserimento, nel mondo del lavoro, di laureandi e neolaureati. A tale scopo la suddetta Funzione ha il compito di organizzare seminari informativi,
banche dati, tirocini e ogni attività che contribuisca al miglioramento dei rapporti tra l’Università e il mondo del lavoro onde facilitare la transizione dalla prima al secondo.
Inoltre con l’iniziativa “Che Impresa l’Impresa” l’Università di Torino ha voluto estendere il
proprio tradizionale ruolo, a cavallo tra formazione e ricerca, divenendo un propulsore di nuova imprenditorialità.
INDIRIZZO
Università degli Studi di Torino
via Verdi 8 - 10124 Torino
Tel. +39 011 670.30.78 - Fax +39 011 670.31.38
sito web: www.unito.it
Contatti
Carmen Giordano: [email protected]
Sardo Francesca: [email protected]
L’Unione Provinciale di Torino di Confcooperative si è costituita nel 1949 come strumento di
aggregazione del movimento cooperativo di matrice sociale cristiana e ha progressivamente rafforzato la sua identità di sindacato dell’impresa cooperativa svolgendo un’azione di tutela e
di rappresentanza delle imprese associate e operando per la diffusione di nuova imprenditorialità
cooperativa in tutti i settori che caratterizzano il tessuto economico e sociale provinciale. Il sistema
imprenditoriale che fa capo all’Unione di Torino si caratterizza per la diffusa presenza su tutta la
provincia di piccole e medie imprese fortemente radicate sul territorio. Attraverso la creazione di
formule consortili, l’organizzazione opera al fine di rafforzare le fondamentali caratteristiche di partecipazione e di responsabilizzazione individuale dei soci nel rapporto con un mercato che sempre più richiede dimensioni maggiori di quelle delle singole cooperative.
All’interno dell’Unione Provinciale di Torino sono attive 8 federazioni che determinano la politica
dei settori e concorrono all’elaborazione delle strategie e alla realizzazione delle finalità generali di
Confcooperative. Ad oggi le cooperative associate sono 400.
Federabitazione: ne fanno parte le cooperative che hanno come scopo sociale costruzione o
recupero di alloggi a uso residenziale per dare risposte alle diverse necessità abitative di proprietà
e non.
Federagrolimentare: le cooperative operano in alcuni comparti specifici come valorizzazione, trasformazione e commercializzazione del prodotto agricolo; produzione e allevamento.
Federconsumo: appartengono a questa federazione le cooperative al dettaglio e alcune tra le
più significative esperienze di cooperative.
Federazione del credito cooperativo: è l’organismo cui aderiscono le 17 banche di credito
cooperativo con sede in Piemonte, valle d’Aosta e Liguria.
Federcultura: aderiscono a questa federazione le cooperative che operano nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, dei servizi turistici e alberghieri, delle attività culturali, della scuola, dello sport e dello spettacolo.
Federlavoro: questa federazione raggruppa le imprese cooperative che operano nel settore dell’industria, dei servizi, del terziario avanzato e dell’autotrasporto; nella Provincia di Torino sta vivendo una fase di forte sviluppo e contribuisce in modo determinante all’incremento occupazionale
sul territorio e alla formazione di nuove professionalità.
Federsolidarietà: la federazione raccoglie 139 cooperative che occupano migliaia di soci e operatori, impegnati in ambiti lavorativi nei quali si concretizza la collaborazione con le varie forme di
volontariato, e perseguono l’interesse generale della comunità, la promozione umana e l’integrazione dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari e educativi e lo svolgimento di attività diverse: agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento lavorativo di
soggetti svantaggiati.
INDIRIZZO
Unione Provinciale di Torino di Confcooperative
Corso Francia 15 - 10138 Torino
Tel. +39 011 4343181 - Fax +39 011 4342128
e-mail: [email protected]
sito web: www.confcooptorino.it
Orario
da lunedì a venerdì 9,00 - 13,00 / 14,00 - 18,00
Contatti
Alessandra Brogliatto: [email protected]
Maria Teresa Wally Falchi: [email protected]
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
La Compagnia delle Opere è un gruppo di imprenditori che sviluppa continuamente l’intuizione
iniziale dell’amicizia come valore, nel solco della tradizione della mutua solidarietà e della
presenza nella società dei cattolici italiani.
Oggi la CdO è il punto di aggregazione di piccole e medie imprese e promuove la collaborazione
tra le persone e le aziende per la nascita di una nuova imprenditoria. Poiché ogni azienda per
espandersi ha bisogno di servizi, la CdO ha l’obiettivo di svilupparli e di metterli a disposizione dei
propri associati.
In particolare i servizi principali erogati dalla CdO sono:
> Lavoro e Formazione
> Finanza, Assicurazione
> Pubbliche Utilità
> Estero
> Qualità Sicurezza ed Ambiente, Commerciale
La CdO inoltre è un grande gruppo di acquisto che offre ai suoi associati condizioni particolarmente vantaggiose. E’ presente sul territorio nazionale in 35 sedi e aggrega circa 30.000 realtà
imprenditoriali comprendenti un migliaio di aziende operanti nel settore del “non profit”. In Piemonte la sede regionale, ubicata a Torino, ha una base associativa di circa 1000 imprese.
INDIRIZZO
Associazione Compagnia delle Opere
via XX Settembre, 17-10121 Torino
Tel. +39 011.517.67.36 - 561.17.37 Fax +39 011.54.10.83
e-mail: [email protected] sito web: www.cdo.it
Orario
da lunedì a venerdì 9,15 - 13,15 / 14,15 - 18,15
Contatto
Antonella Vigliarolo
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Il CICSENE è un ente di cooperazione allo sviluppo che coinvolge docenti universitari, esperti
dei settori sociale, economico, dell’habitat e della cooperazione internazionale che lavorano in équipe multidisciplinare. Dedica la sua attenzione ai problemi urbani secondo un approccio integrato,
sia nei paesi in via di sviluppo, sia nei paesi europei, dove realizza studi, progetti, interventi, attività di
informazione e di sensibilizzazione. Sperimenta forme di decentramento, partecipazione, corresponsabilizzazione di soggetti pubblici e privati, profit e no profit, a diversi livelli. In Italia il CICSENE ha seguito, tra l’altro, progetti volti al miglioramento ed all’analisi delle condizioni abitative degli immigrati, e al loro inserimento abitativo. Ha infatti effettuato studi sulle condizioni
abitative degli immigrati:
Monitoraggio dell’habitat e dell’accoglienza degli immigrati stranieri in Piemonte;
Progetto Integra `3ind`, indagine sociale e associativa, abitativa e insediativa, generazionale e scolastica sull’immigrazione a Torino;
Progetto Casa, lavoro, istruzione: azioni per l’uguaglianza, indagine sulla condizione abitativa
degli stranieri a Torino, l’accesso alla casa e le discriminazioni da essi incontrate.
Ha realizzato inoltre progetti per l’inserimento abitativo degli immigrati, quali:
Centro Servizi per la Locazione (Padova), ricerca immobiliare sul mercato privato per fasce svantaggiate; Progetto Ariete (Veneto), monitoraggio e rendiconto economico di iniziative per l’inserimento abitativo degli immigrati; Progetto Integra `ITACA`, accompagnamento di studenti immigrati alla ricerca sul mercato abitativo o all’assegnazione in ERP; Progetto Nafidat, in conformità
con l’art. 13 del trattato di Amsterdam: individuazione delle risorse e delle esigenze di Porta Palazzo
(Torino) nei settori di casa e lavoro e predisposizione di un set di proposte per l’antidiscriminazione.
Consulenza tecnica e metodologica alla Cooperativa Nuovo Villaggio nello svolgimento del progetto
affidatole dalla Provincia di Padova: Ricerca e istituzione di uno sportello casa con funzioni di
osservatorio. Il progetto è mirato alla ricostruzione della situazione abitativa degli stranieri (dimensioni, fenomenologia del disagio) e alla elaborazione di proposte che consentano all’Amministrazione di
coordinare iniziative e supportare la programmazione e la progettualità dei soggetti che forniscono
servizi di accoglienza e soluzioni abitative.
Insieme per la Casa nasce da una condivisione su un’emergenza, e si pone come finalità l'agevolazione nel reperimento di alloggi da destinarsi a fasce deboli. I capofila dell'iniziativa sono l'Ufficio Pastorale del Lavoro dell'Arcidiocesi di Torino e la Caritas Diocesana insieme ad una rete di soggetti
che opera per far incontrare inquilini e proprietari: Ufficio Diocesano Pastorale Migranti, Società San
Vincenzo De Paoli, Gruppi di Volontariato Vincenziano, Il Riparo, Federabitazione - Confcooperative
Piemonte, Sicet, Patronato Provinciale Acli. L’operatività dell’iniziativa è garantita da CICSENE e Cooperativa Sociale Tenda Servizi.
Ha, infine, gestito DIOGENE 1 - fondo regionale per il miglioramento delle condizioni abitative dei
migranti - volto a facilitare l’accesso al mercato locativo da parte degli immigrati, sostenendo i rischi
dei proprietari e delle associazioni che si pongono come garanti o che svolgono ruoli di mediazione
sociale.
INDIRIZZO
CICSENE
Via Borgosesia n. 30 - 10145 TORINO
Tel. +39 011 7412435 Fax +39 011 7710964
e-mail: [email protected] - sito web: www.cicsene.org
CONTATTI
Malvina Cagna
Tel. +39 011 658.757 Fax +39 011 658.757
e-mail [email protected]
Viridiana Pusateri
Tel. +39 011 7412435 Fax +39 011 7710964
e-mail: [email protected]
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
Il Gruppo Abele nasce nel 1966 quando don Luigi Ciotti e alcune persone di diversa ispirazione culturale e religiosa cominciano ad occuparsi di giovani in difficoltà, di aiuto a minorenni in carcere e a ragazze che si prostituiscono.
Nel corso degli anni le attività si strutturano e si diversificano, cercando di rispondere ai sempre nuovi fenomeni di
esclusione, malattia, dipendenza. Il principio, etico e operativo, di fondo è l’attenzione alla “strada”, ovvero ai bisogni e alla fatiche meno visibili e meno tutelate, mettendo sempre al centro la persona. Le principali aree di intervento sono:
ACCOGLIENZA: Due centri di prima accoglienza a cui si rivolgono persone con problemi di tossicodipendenza o di alcolismo e loro famigliari; drop-in servizio a bassa soglia per l’aggancio di tossicodipendenti emarginati;
accoglienza notturna per senza fissa dimora; due comunità di pronta accoglienza; due centri crisi residenziali; sei comunità residenziali per coppie di tossicodipendenti con i loro bambini, alcoldipendenti e politossicodipendenti, malati di AIDS; rete di assistenza domiciliare per malati di AIDS; progetto Arnica, spazi di
ascolto, di approfondimento comune e di accompagnamento per genitori e famigliari di persone in difficoltà; progetto Aliseo servizi di accoglienza, gruppi di auto-aiuto, una comunità residenziale per alcolisti e i loro famigliari;
progetto Sant’Anna assiste a domicilio le donne gravide sieropositive e coppie madre-figlio che vivono particolari
situazioni di disagio.
REINSERIMENTO LAVORATIVO: Consorzio sociale Abele-lavoro coordina e sostiene i progetti delle cooperative volti al reinserimento sociale e lavorativo delle persone svantaggiate. Tra queste: Piero e Gianni (falegnameria,
pelletteria, costruzione e installazione di parchi giochi); Arcobaleno (raccolta della carta per la città di Torino); Oltre il
muro (informatica e banca dati); Rosa blu (confezionamento e vendita di prodotti d’abbigliamento); La Porta (falegnameria, ristrutturazioni edili, sgomberi); il Vivaio Bonafous.
ATTIVITA’ CULTURALI: Università della strada: corsi di formazione rivolti a operatori, educatori, assistenti sociali, psicologi e insegnanti, volontari; Centro Studi, documentazione e ricerca: biblioteca aperta al pubblico e
Banca Dati con oltre 30.000 schede bibliografiche; Via Vai: percorsi formativi, educativi e di prevenzione al disagio
all’interno delle strutture scolastiche; Edizioni Gruppo Abele: casa editrice con un catalogo di 400 testi; Animazione Sociale, Narcomafie, Macramè, Pagine, Euronote: riviste di formazione ed informazione; Casa dei
Conflitti: intervento sull’aerea del conflitto, mediazione sociale, mediazione scolastica e giovanile, luoghi di ascolto, accoglienza e accompagnamento per chi vive una situazione di tensione; Libreria “La Torre di Abele”, Archivio Storico, Centro Studi per la Legalità, Progetto Urban 2 (Comune di Torino – Studio di fattibilità per realizzare la Casa del Quotidiano).
ALTRE ATTIVITA’: Cooperazione Internazionale: Minori in difficoltà in Costa d’Avorio e Marocco, Umanizzazione della condizione carceraria in Burkina Faso, Mali, Senegal; Oasi di Cavoretto: struttura residenziale utilizzata per convegni, incontri di formazione e esercizi spirituali; Abbazia 1515: progetto volto alla ristrutturazione della
Certosa di San Francesco al Monte (Avigliana).
IL PROGETTO PROSTITUZIONE E TRATTA DELLE PERSONE: Gestione della postazione del Piemonte/Valle d’Aosta del Numero Verde nazionale per le vittime di tratta, servizio strutturato in: postazione telefonica, sportello di accoglienza, colloqui, presa in carico e accompagnamento e unità di coordinamento e rapporti
con l’esterno. Alla gestione del centralino telefonico è affiancato un servizio di reperibilità e di prima ospitalità in un
luogo protetto per accogliere le ragazze in caso di emergenza. Sportello Accoglienza per persone vittime di tratta e di violenza, con l’obiettivo di offrire orientamento, filtro, accompagnamento ai servizi e counselling. Il servizio
prevede, dopo i primi colloqui, l’eventuale presa in carico della persona e l’accompagnamento per tutto ciò che riguarda il percorso di protezione sociale, l’espletamento delle pratiche di regolarizzazione, la ricerca di idonee risorse lavorative, abitative, ecc. Casa di Fuga Gabriela: comunità di pronta accoglienza dove si pongono le basi per
costruire un progetto di inserimento sociale, rivolto alle donne vittime di violenza e sfruttamento (anche con bambini). Comunità Patricia: comunità di terzo livello che accoglie donne vittime di violenza provenienti da comunità di
secondo livello o direttamente da vari sportelli di accoglienza. Sportello Giuridico Inti: è un servizio offerto alle
realtà del pubblico e del privato sociale impegnate nell’assistenza alle vittime di tratta e nell’attivazione di percorsi
per un loro reinserimento sociale. L’iniziativa mira a fornire una visione corretta della legislazione a tutela delle vittime
di tratta e a risolvere i problemi legati all’applicazione della legge, individuando linee comuni da adottare.
INDIRIZZO
Associazione Gruppo Abele Onlus
Corso Trapani 95 -10141 Torino
Tel. +39 011 384.10.22 - 011 384.10.66 Fax +39 011 384.10.25
e-mail: [email protected] sito web: www.gruppoabele.org
Numero verde per donne vittime di tratta e sfruttamento: 800 290 290
Contatto: Laura Emanuel
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L’Ufficio per la Pastorale dei Migranti è un organismo costituito dall’Arcivescovo di Torino il
1 marzo 2001 (si tratta di un’innovazione di carattere formale poiché l'ente prosegue senza soluzione di continuità l'attività svolta in precedenza dal Servizio Migranti della Caritas - dal 1990
fino al 2001 - e dal Ciscast - dal 1975 fino al 1990) per favorire l’evangelizzazione e l’integrazione
dei migranti.
Ha finalità pastorale ma eroga servizi finalizzati all’inserimento di soggetti svantaggiati nel tessuto sociale a livello regionale.
I settori di azione indicati dallo statuto sono cinque: migranti stranieri, italiani all’estero, rom
(zingari), personale dei circhi, addetti alla navigazione.
Attualmente la maggior parte delle attività è concentrata nel settore dell'immigrazione straniera, dove interviene con la massima attenzione per fornire servizi d’accoglienza, ascolto, dialogo, ricerca lavoro, sostegno psicologico, informazioni sui servizi e risorse esistenti, insegnamento della lingua italiana per categorie particolari (vittime della tratta, rifugiati, familiari
ricongiunti, minori soli) favorendo il dialogo interculturale sul territorio della Diocesi di Torino.
Presso l’Ufficio per la Pastorale dei Migranti è attivo un servizio per il lavoro che cura la formazione al lavoro domestico e attraverso la gestione di una banca dati favorisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro negli altri settori (industriale, terziario, agricolo). Costituisce un luogo fondamentale di collegamento tra la società italiana e le comunità immigrate, sia sul piano sia culturale e sociale che religioso.
L’Ufficio per la Pastorale dei Migranti si occupa di donne vittime della tratta dal 1989, anno in
cui è stato attivato un servizio di accoglienza notturna e diurna, e dal 1993 gestisce progetti che
hanno consentito di avviare la maggior parte delle ragazze che si sono rivolte agli uffici per un primo colloquio a percorsi di formazione, borse lavoro e veri e propri inserimenti lavorativi.
Con i progetti finanziati attraverso l’art. 18 del testo unico sull’immigrazione a partire dall'aprile 2000 sono stati avviati 40 percorsi di protezione sociale in seguito a denuncia e tutte le ragazze sono state o stanno per essere inserite nei programmi formativi delle borse lavoro. I progetti offrono alle donne vittime della tratta per sfruttamento sessuale: ascolto, accompagnamento in
tutto il percorso, assistenza legale, inserimento in corsi di italiano e formazione di base, formazione nei centri regionali, borse lavoro e inserimento lavorativo, in cooperativa o in altre soluzioni più
idonee.
Negli ultimi cinque anni il servizio accoglienza, ha seguito circa 2000 ragazze per lo più nigeriane (95% nigeriane, 5% tra rumene, ucraine, russe e albanesi). Ha utilizzato comunità convenzionate di 2° accoglienza e tre alloggi in comodato oltre a numeri diversi di comunità (Sermig, S.
Matteo...), sia a Torino che fuori.
L’Ufficio per la Pastorale dei Migranti partecipa a numerosi progetti lavorando in rete con altre
realtà organizzate sul territorio della provincia di Torino, in particolare dal 2004 il progetto “Cittadine” con l’ufficio Pio S. Paolo.
INDIRIZZO
Ufficio per la Pastorale dei Migranti
Via Ceresole, 42-10155 Torino
Tel. +39 011 246.20.92 - 246.24.43 Fax +39 011 202.542
e-mail: [email protected]
sito web: www.diocesi.torino.it/migranti
Orario apertura e presenza operatori:
lunedì, martedì, giovedì e venerdì: 9,00 - 12,00 / 14,30 - 17,00
mercoledì 9,00 - 12,00
Contatti
Fredo Olivero: [email protected]
Bruno Ballauri, Suor Maresa Sabena, Candida Lia
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
Casa di Carità Arti e Mestieri è un ente di formazione professionale no profit di ispirazione
cristiana: il suo scopo è la promozione umana, culturale e professionale dei/lle giovani e dei/lle lavoratori/trici. Da oltre 80 anni, svolge la propria attività istituzionale progettando ed erogando
percorsi formativi in tutti i settori: industria, artigianato, terziario, turismo, socio-assistenziale.
Attualmente presente sul territorio nazionale con 16 Centri, offre servizi di orientamento e formazione ad ogni tipologia di utenti, dagli adolescenti che si preparano a entrare nel mondo del lavoro, agli adulti che desiderano aggiornare le loro competenze. Coerentemente con la propria mission, Casa di Carità rivolge una particolare attenzione alle categorie sociali in situazione di disagio
o a rischio di marginalità: giovani “drop-out”, extracomunitari, persone espulse dal mercato del
lavoro.
Casa di Carità Arti e Mestieri opera in collaborazione con enti pubblici e privati per la ricerca e lo
sviluppo nella formazione professionale, ed elabora studi sulle metodologie didattiche e le
tecnologie formative, nell’ambito di progetti promossi dal Ministero del Lavoro.
INDIRIZZO
Casa di Carità Arti e Mestieri – Sede Centrale
Corso Benedetto Brin, 26 - 10149 Torino
Tel. +39 011 221.26.10 Fax +39 011 221.26.00
e-mail: [email protected] - sito web: www.carmes.it
Orario
da lunedì a venerdì 8,00 - 12,00 / 13,00 - 17,00
Contatti per il Progetto LIBERE
Alessia Bondone - Responsabile Servizio Strategie Comunicative e Pari Opportunità
[email protected]
Giorgio Rosso - Servizio Progettazione-Metodologie e Progetti
[email protected]
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L’Associazione Tampep (Transnational aids/std prevention among migrant prostitutes in
Europe project) è una piccola organizzazione particolarmente innovativa che nasce da un progetto in rete con le attività della Fondazione Internazionale Tampep, e si propone di promuovere azioni e politiche basate sul rispetto dei diritti delle persone immigrate, anche prostitute, socialmente discriminate ed emarginate, in considerazione delle loro scelte e della loro dignità.
Sul territorio le azioni sono volte a sensibilizzare la società nei confronti del fenomeno dell’immigrazione e della tratta ed a favorire l'integrazione sociale delle donne immigrate, mirando alla costituzione di una rete efficace nella soluzione delle problematiche legate all’accoglienza e
all’integrazione lavorativa.
In sintesi le attività dell’Associazione Tampep sono:
> unità di strada: attraverso l'UDS avviene il primo contatto con le donne in strada;
> attività di riduzione del danno, counselling e prevenzione mts/aids: attraverso la distribuzione di materiale specifico ed informativo;
> progettazione e produzione di materiale informativo (tradotto nelle diverse lingue);
> educazione sanitaria e tutela della salute con azioni di accompagnamento ed orientamento:
favorendo l’accesso e l’uso corretto dei servizi sanitari territoriali;
> lavoro di rete: negli anni Tampep ha costruito una rete consolidata, che comprende le Istituzioni (questura, procura, comune, tribunale, rappresentanze sindacali ecc. ambasciate dei paesi di
origine) le associazioni e le ONG anche dei paesi di origine, gli enti di formazione e le strutture sanitarie territoriali;
> diffusione di informazione sulle opportunità offerte dalla legge 40/98 (art.18) e assistenza legale;
> accoglienza di donne in difficoltà ed attivazione di programmi di integrazione sociale ai sensi
dell’art. 18 (D. Lgs. 25 luglio 1988, n° 286);
> orientamento alla formazione ad al lavoro;
> sostegno psicologico: per sviluppare nelle donne fiducia in se stesse, autoconsapevolezza
ed autostima, sono stati realizzati seminari di elaborazione dei vissuti, gruppi di auto-aiuto, stage
di teatro sociale oltre a colloqui strutturati con le operatrici;
> consulenza legale.
INDIRIZZO
Associazione Tampep Onlus
Corso Brescia, 10 -10152 Torino
Tel. +39 011 859.821 Fax +39 011 240.73.44
e-mail: [email protected]
Orario
Lunedì - venerdì 10,00 - 14,00
sabato e domenica su appuntamento ed in caso di emergenza
Contatti
Rosanna Paradiso
Simona Meriano
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schede partner
progetto libere-te-lira-free
La S.&T. è una società specializzata nelle attività di management delle politiche di sviluppo locale e di promozione delle pari opportunità.
Dal 1986 offre servizi di assistenza tecnica ad amministrazioni pubbliche, enti, organizzazioni del
partenariato sociale, imprese e istituzioni di parità, che intendono attuare iniziative di sviluppo locale attraverso l’utilizzo di programmi di finanziamento comunitari, nazionali e regionali. Per favorire i processi di sviluppo locale S.&T. fornisce agli enti locali e agli attori socio-economici del territorio le competenze e gli strumenti per:
> azioni a sostegno dell’integrazione delle politiche e dei principi di Pari Opportunità nei
processi e nelle iniziative di Sviluppo Locale, anche attraverso Bilanci di Genere;
> azioni di sostegno e animazione dell’economia locale, mediante informazione, sensibilizzazione
e diffusione delle opportunità regionali, nazionali e comunitarie;
> strategie di marketing del territorio al fine di favorire contatti, scambi, collaborazioni,
investimenti;
> programmi e processi di sviluppo sostenibile e relativi piani di azione;
> definizione, organizzazione, realizzazione e gestione di progetti integrati;
> cooperazione e partenariato a livello locale e internazionale;
> monitoraggio delle politiche, dei programmi e delle normative UE;
> utilizzo delle risorse comunitarie da parte degli enti locali e delle PMI;
> progetti per la diffusione e applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione;
> progetti per la Responsabilità Sociale delle imprese e il Bilancio Sociale degli enti locali orientati
al genere.
Oltre all’esperienza maturata nell’ambito dello sviluppo locale (Patti Territoriali, Progetti Integrati
d’Area, Distretti, Agenda 21 locale, sviluppo sostenibile), gli altri settori di competenza in cui opera
la S.&T. sono: politiche comunitarie (programmi, progetti, rendicontazione, valutazione); pari
opportunità (definizione di strategie, azioni di sensibilizzazione, bilanci di genere, animazione, Piani di Azione Positiva, progettazione nell’ambito del PIC EQUAL e del FSE); insediamenti produttivi (studi di fattibilità, assistenza progettuale, operativa e finanziaria, marketing territoriale); responsabilità sociale (bilanci sociali, bilanci di mandato, codici etici); comunicazione e formazione
(convegni, seminari, corsi, pubblicazioni).
INDIRIZZO
S&T s.c.a r.l.
via Matteo Pescatore, 2 – 10124 Torino
Tel.: +(39) 011 812 6730
Fax: +(39) 011 817 8123
Sito web: www.setinweb.it
Contatti
Martina Sabbadini: [email protected]
Silvia Venturelli: [email protected]
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01. Titolo capitolo
progetto libere-te-lira-free
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progetto libere-te-lira-free
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progetto libere-te-lira-free
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Rapporto attività realizzate - Osservatorio sull`immigrazione in