Scuola Cattolica Paritaria
Liceo Classico “Leoniano” ad indirizzo economico – giuridico
Piazza Dante 5, 03012 Anagni (Fr)
IL “LABIRINTO”
BIRINTO” DELLA COSCIENZA DI ZENO
Lavoro di ricerca e approfondimento disciplinare in Italiano
Veronica Pellegrini
A.S. 2010/2011
Sommario
Introduzione
2
Alla base del “labirinto” di Zeno
5
L’esperienza dell’ambiguità
7
La novità: il “labirinto” interiore
9
Complessità del rapporto sanità – malattia
11
Conclusione
12
Bibliografia
13
INDICE DEGLI ALLEGATI
15
Introduzione
Il labirinto può essere paragonato alla nostra vita, infatti in entrambi si
incontrano avversità e vi è la ricerca di uno scopo finale, nella vita il successo e
nel labirinto il ritrovamento del percorso che porta all’uscita; per raggiungere
questi obiettivi è necessario scovarne il filo logico.
Penso che spesso la vita ci pone di fronte a delle prove, a delle scelte, a dei
labirinti.. per metterci alla prova e farci crescere. È la vita o forse sarà
semplicemente un destino già scritto che ci catapulta in situazioni complesse?
Molte volte di fronte a dei risultati si dice “era destino..”. In verità, credo che
siamo noi gli artefici della nostra vita, siamo noi che scegliamo, siamo noi che
decidiamo determinati passi e allora questo “destino” entra in gioco solo fino ad
un dato momento.
Trovarsi dentro un dedalo1 non è certo facile per di più se non si tratta di
un gioco ma di un dono prezioso quale la vita e penso che questa non sia altro che
un continuo passaggio da un labirinto all’altro. Succede dunque che quando ti
abbandoni alle sole emozioni rischi di intraprendere un cammino “tortuoso”,
rischi di perderti nei meandri più nascosti. Cerchi di mantenere il controllo ma
qualcosa di più forte ti sovrasta, qualcosa di indomabile ti travolge ed ecco che ti
ritrovi in “un labirinto nel labirinto”. All’inizio sembra impossibile trovare una via
d’uscita in quanto vedi davanti a te immensi “muri” da superare, “muri” che
tolgono la luce, l’aria, la vita. Nonostante ciò pensi che se avresti rinunciato a quel
cammino sarebbe stato peggio che averlo affrontato e allora proprio in quel
momento si innesca un meccanismo interiore che ti permette di cominciare a
distruggere quei “muri” così possenti rispetto a te. È faticoso, ma niente si ottiene
senza sacrificio altrimenti niente verrebbe apprezzato fino in fondo. Il labirinto ti
impone di scegliere: destra o sinistra così come la vita ti impone di stare dentro o
fuori una situazione. Giri e rigiri, incontri vicoli cechi e sei costretto a tornare
indietro, ma capita che sei di nuovo al punto di partenza e non ti devi scoraggiare
anzi devi solo intraprendere una strada migliore della precedente e continuare a
cercare inesorabile la via d’uscita. E ci sono volte in cui ti fermi e rifletti.. pensi a
cosa sia giusto o sbagliato, pensi a chi faresti del male, pensi a chi deluderesti,
1
Dedalo (in greco ∆αίδαλος, "Daídalos") è un personaggio leggendario della mitologia greca,
grande architetto, scultore ed inventore, noto per essere il costruttore del famoso labirinto del
Minotauro.
2
pensi a chi ti giudicherebbe.. ma chi pensa a te stesso? Forse sarà giunto il
momento di iniziare un po’ a farlo.
Dunque, questa è la mia chiave per uscire da questo grande enigma. Alcuni
sostengono che per trovare l’uscita in un vero labirinto si può applicare uno dei
tanti logaritmi ipotizzati: la regola della mano destra\sinistra: inconsapevolmente
io stessa l’ho utilizzato ma applicato al labirinto della vita e utilizzando la mano
sinistra pur non essendo mancina.
Ho scelto questa concetto, quindi, come fulcro della mia tesina proprio
perché rispecchia un’esperienza personale diretta che ha segnato questo ultimo
anno, un anno molto importante, l’anno in cui si conclude l’ultimo capitolo di
questo primo libro della vita; inoltre si tratta di un tema che da sempre
accompagna la vita dell’uomo, apparso in varie culture, epoche e luoghi della
terra.
Sin dall’epoca in cui è nata la saga legata ai miti di Dedalo, di Teseo, di
Arianna e del Minotauro nella leggendaria Creta del re Minosse, questa immagine
è divenuta fonte di numerosissime citazioni letterarie e poetiche, nonché
protagonista di una vastissima iconografia che, iniziando dal periodo preistorico,
giunge fino al mondo contemporaneo. La forza primigenia profondamente
radicata in sé permette a questo segno iconografico di significare un’idea
archetipa universale e assoluta. Il labirinto evidenzia ciò, nella sua stessa forma
figurale, quell’itinerario mentale che accompagna l’uomo nella storia e nel suo
tortuoso cammino di conoscenza. È plausibile prendere l’avvio dall’ipotesi che la
figura del labirinto sia stata formulata da un’unica cultura che si sarebbe poi
diffusa, durante il suo periodo di massimo splendore, attraverso un’intensa rete di
migrazioni e influssi culturali. È nell’area del bacino mediterraneo che si trova la
maggior parte dei labirinti antichi.
Presso la civiltà Babilonese, la forma circolare della spirale, pare fosse una
elaborazione stilizzata delle viscere degli animali che, una volta offerti in
sacrificio agli dei, venivano poi usati a scopi divinatori.
L’Egitto aveva il labirinto celeste, nel quale venivano spinte le anime dei
dipartiti, di cui esisteva un esemplare anche sulla terra, il famoso Labirinto,
formato da una serie di sotterranei, antri e passaggi con le più intricate giravolte.
3
Erodoto lo descriveva composto da tremila camere, metà sotto e metà sopra la
superficie della terra.2
Nella sfera culturale della Grecia classica il labirinto era concepito come
un tracciato di un edificio (a forma quadrangolare), ma era soprattutto il risultato
dell’opera ingegnosa e straordinaria dell’architetto Dedalo. Il percorso al suo
interno diventa la materializzazione di una prova iniziatica traducibile come
viaggio che conduce al centro, ovvero al luogo sacro per eccellenza che esprime la
speranza di una rinascita.
Un progressivo mutamento nell’essenza del segno, per cui il labirinto
diventa un luogo in cui ci si può smarrire, nasce nell’età barocca unitamente alla
coscienza tragica dell’uomo imprigionata in un sistema di cammini intricati e
fuorvianti. Avviene quindi la perdita del centro, e il labirinto diventa erranza
senza direzione. Dopo la trionfale esplosione labirintica del Seicento-Settecento,
l’interesse per il simbolo decade rapidamente nell’Ottocento, con l’esordio della
civiltà industriale. In effetti, l’epoca intrisa di positivismo e pragmatismo, non
poteva che provare indifferenza e disprezzo per un tema ritenuto frivolo e
ambiguo. Un rinnovato interesse per il concetto del labirinto, venne
successivamente accolto dal Novecento perché immagine della scoperta del
secolo: l’incoscio. Anche il linguaggio subisce una trasformazione, visto che non
si sospettava l’esistenza di questo nuovo continente interiore, che è stato decifrato
e reso comprensibile. Eclatante è l’esempio di Italo Svevo, che andrò infatti ad
analizzare nelle pagine successive.
In particolare, ho scelto di affrontare La Coscienza di Zeno con l’intento di
andare ad esplorare quel “labirinto” della psiche del protagonista che spesso viene
lasciato in secondo piano dando per scontato che Svevo riporti chiaramente le
teorie di Freud; in verità vedremo invece un particolare atteggiamento dell’autore
nei confronti della psicanalisi che poi si rifletterà a livello strutturale.
2
Erodoto, Storie, libro II.
4
Alla base del “labirinto” di Zeno
Svevo vive a Trieste, condizione certamente particolare in quanto crocevia
di più culture, infatti nella città sono presenti componenti etniche e culturali
tedesche, italiane e slovene nonché una consistente comunità ebraica; ciò è
determinante nell’aprire il romanziere alle più diverse influenze culturali della
letteratura contemporanea e nel dare alla sua opera una chiara ed evidente
impronta europea. Inoltre lo pseudonimo da lui scelto ci rivela una
particolarissima posizione di mediazione tra la cultura italiana e quella
mitteleuropea, quasi a voler significare che l’italianità del suo sentire si incontrava
con il germanesimo della sua educazione.
non siamo più nell’epoca del positivismo, ma c’è la crisi della fiducia nella
ragione nonché la sfiducia nel conoscere la realtà tramite un processo logico.
Caduta dunque la fede nella libertà e nella ragione, si verifica l'affermazione della
volontà, della spiritualità umana e degli impulsi più segreti.
Il loro mondo è in crisi e, sebbene troviamo figure simili a quelle dei
romanzi naturalisti ottocenteschi (impiegati, banchieri, commercianti ritratti con
grande realismo in tutti gli aspetti della loro vita), tuttavia interesse dell’autore è
la volontà di ritrarre gli uomini incapaci di vivere e di prendere decisioni, sempre
più incarnati nella figura dell’inetto. Inetto è colui che è continuamente
insoddisfatto di sé e della propria vita.
È questo il substrato del romanzo di Svevo “La coscienza di Zeno”, in cui
la conoscenza della teoria freudiana svolge un ruolo determinante. Un bisogno di
razionalità spinge Svevo ad accostarsi anche a Freud
La parte della teoria di Freud che Svevo avverte come la più importante è
quella che parla dell’inconscio e del linguaggio in cui esso si esprime. Da un lato
egli ne è affascinato, poiché ne apprezza l'attenzione riservata ai gesti quotidiani
più banali (lapsus, vuoti di memoria), ma soprattutto perché vede la coincidenza
fra l'inconscio di Freud e la volontà di vita irrazionale di Shopenauer; d'altro canto
Svevo è turbato dalla psicoanalisi, perché l'analisi dell'inconscio spesso porta il
soggetto a prendere coscienza di verità rimosse, e quindi molto sconvolgenti, ma
anche perché diffida della possibilità di guarire le malattie psichiche con qualsiasi
mezzo.
5
In realtà, Svevo non condivide pienamente le teorie freudiane,
accettandone solamente quelle che confermano quanto lui già pensa della psiche
umana; tanto che dirà: “Grande uomo quel nostro Freud, ma più per i romanzieri
che per gli ammalati”3.
Per questi motivi Svevo decide di seguire la teoria psicoanalitica non tanto
come terapia medica quanto come mezzo letterario.
3
Lettera del 10 dicembre del 1927 inviata da Svevo allo scrittore Valerio Jahier.
6
L’esperienza dell’ambiguità
Per tutto il romanzo, ogni gesto, ogni affermazione rivela un groviglio
complesso di motivazioni ambigue, sempre diverse, spesso opposte rispetto a
quelle dichiarate consapevolmente. Motivo, quest'ultimo, che avvalora la tesi
secondo la quale, nel gioco ambiguo tra conscio ed inconscio, la "coscienza" di
Zeno appare in primo luogo come una cattiva coscienza, una coscienza falsa, tanto
da rendere plausibile un'accezione antifrastica del titolo del romanzo stesso, che
può venir letto come "L'incoscienza di Zeno".
L’intero racconto scaturisce dalle parole del protagonista e il romanzo ha,
pertanto, un impianto assolutamente autodiegetico. Zeno, nevrotico e malato
immaginario, raccontando delle proprie esperienze lascia spesso il gusto
dell’ambiguo, il dubbio su ciò che corrisponda a realtà e su ciò che, al contrario,
sia frutto di una fantasiosa e consolante menzogna del protagonista. È il dottor S.
a farlo presente quando, nella propria lettera, allude alle «tante verità e bugie» che
Zeno pare aver accumulato nel racconto di sé. Lo stesso che, indignato
dall’interruzione della terapia da parte del suo paziente, pubblicherà il suo diario
per vendicarsi della truffa subita.
Dunque,
il lettore viene educato all’essere a sua volta aperto alla possibilità, alla
modificazione, all’indeterminazione propria e del mondo in cui vive.
Zeno non può condurre ordinatamente la narrazione, seguendo il
cosiddetto “tempo oggettivo” del romanzo ottocentesco. Il tempo della narrazione
diviene quindi il tempo interiore della coscienza, un “tempo misto” poiché gli
avvenimenti sono sempre alterati dal desiderio del narratore.
Questa immensurabilità e imponderabilità del tempo sono percepibili già
nel Preambolo
Si noti, intanto, l’intreccio dei tempi verbali: il presente dello Zeno diarista
e il passato remoto dello Zeno personaggio; l’uno che esprime un avvenimento
svoltosi poco tempo prima e quindi ancora vivo nel ricordo, l’altro che sottolinea
un avvenimento concluso già da tempo e dunque rimosso dalla coscienza.
7
La nuova impostazione della temporalità nel romanzo sveviano è in stretta
relazione con due ragioni semantico – strutturali: il rapporto tra fabula e intreccio
La storia di Zeno (la fabula) si estende per circa sessant’anni. Non così semplice è
l’identificazione dell’intreccio perché le date precise fornite da Zeno sono
veramente poche Tutto il resto deve essere dedotto da una fitta rete di riferimenti e
collegamenti interni.
8
La novità: il “labirinto” interiore
Svevo e Joyce4, dal 1906, si conobbero a Trieste e nacque tra loro una
stretta amicizia, che era anche scambio di esperienze letterarie; il capolavoro
joyciano, l’Ulisse, propone una tecnica narrativa rivoluzionaria, quella del
monologo interiore, ed anche la Coscienza di Zeno presenta un protagonista
monologante: dalla combinazione di questi diversi fattori si è diffusa
nell’opinione corrente la convinzione che Svevo sia il “Joyce italiano”, che la
Coscienza offra l’equivalente del monologo interiore dell’Ulisse. È una tesi che
un tempo fu sostenuta da qualche critico, e che trova ancora credito in alcuni
manuali scolastici meno aggiornati, ma di cui la critica attuale si è ormai liberata
definitivamente. D’altronde basta solo aprire i due libri per avvedersi subito di
quanto quella convinzione sia infondata: l’Ulisse e la Coscienza sono due opere
profondamente diverse, incomparabili, non solo negli aspetti contenutistici, ma
proprio nelle strutture e nelle tecniche narrative.
In Joyce, vi è un “flusso di coscienza” come dice William James nella sua
opera “The principle of psychology”, i pensieri sono colti nel loro farsi
immediato, nel loro germinare e nel loro scorrere, attraverso associazioni libere,
casuali e disordinate. È come se, per convenzione, il lettore potesse gettare uno
sguardo “dentro” la mente del personaggio, assistere al fluire dei suoi pensieri. E
si tratta di contenuti solo mentali: il personaggio pensa fra sé, senza comunicare
nulla all’esterno.
Nella Coscienza di Zeno invece il protagonista, attraverso il suo
“monologo”, costruisce un memoriale. il personaggio-narratore costruisce
logicamente il discorso, seleziona i materiali che espone, in base alla loro
pertinenza all’argomento che vuol trattare. Il fatto che il monologo sia messo per
iscritto è veramente fondamentale inevitabilmente un controllo Non solo, ma se
Bloom pensa fra sé, Zeno si rivolge a un preciso destinatario, il dottor S.: anche
questo obbliga ad un controllo attento, ad erigere barriere di rimozione, che
filtrino l’affiorare spontaneo dei contenuti della psiche.
Dalle differenze di impianto narrativo tra l’Ulisse e la Coscienza di Zeno
scaturiscono quelle stilistiche e linguistiche. Dato che in Joyce si ha il flusso
4
Joyce J. (Dublino, 2 febbraio 1882 – Zurigo, 13 gennaio 1941) è stato un poeta e scrittore
irlandese. Benché la sua produzione letteraria non sia molto vasta è stato di fondamentale
importanza per lo sviluppo della letteratura del ventesimo secolo, in particolare della corrente
modernista, movimento letterario che si sviluppa in Inghilterra tra il 1900 e il 1945.
9
disordinato della coscienza del personaggio, la sintassi si frantumaIl discorso di
Zeno conserva invece una sintassi regolareMentre infatti il romanzo joyciano,
nasce con un impianto preordinato e modellato su altri esempi come quello
dell’Odissea, la Coscienza sembra sgorgare autonomamente sulla spinta di un
progressivo ampliarsi e arricchirsi di conoscenza.
Inoltre Joyce nel suo libro sperimenta le più ardite mescolanze linguistiche
Svevo usa invece una lingua comune
I collegamenti tra l'Ulisse e la Coscienza non sono diretti, ma generici: le
due opere sono legate solo dal fatto che si collocano in un certo clima culturale
novecentesco.
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Complessità del rapporto sanità – malattia
Il tema centrale è proprio “la malattia”, tema molto diffuso in quegli anni
dove assistiamo alla rapida diffusione della psicanalisi freudiana e dove il
dibattito sui confini tra malattia e sanità sono sempre più accesi. La malattia è per
Zeno intesa come incapacità di sentirsi a proprio agio in molte situazioni, di non
sentirsi al pari degli altri, di non raggiungere i propri obiettivi;
A questo motivo si intreccia quello della sanità: conformismo,capacità di
adattarsi al senso comune. Personaggio sano è Augusta (moglie di Zeno) che non
ha mai dubbi ed è integrata nell’ambiente sociale. Zeno, nella sua imperfezione di
“inetto”, è inquieto e disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le più varie
forme dell’esistenza, mentre i “sani” sono cristallizzati in una forma rigida,
immutabile. Zeno finisce in tal modo per scoprire che la “salute atroce” degli altri
è anch’essa “malattia”, la vera malattia. Lo sguardo di Zeno distrugge le
gerarchie, fa divenire tutto incerto ed ambiguo, converte la “salute” in “malattia”.
Zeno è dunque personaggio a più facce, fortemente problematico, negativo per un
verso, come perfetto campione di falsa coscienza borghese, ma anche positivo,
come strumento di straniamento e di conoscenza.
L’inetto vi appare come un “abbozzo”, un essere in divenire, che può
ancora evolversi verso altre forme proprio mentre i sani, che sono già in sé
perfettamente compiuti in tutte le loro parti, sono incapaci di evolversi
ulteriormente, arrestati nel loro sviluppo e cristallizzati nella loro forma definitiva.
L’inettitudine, ormai, non è più considerata un marchio d’inferiorità, che
condanna ad un’irrimediabile inadattabilità al mondo e ad un’inevitabile sconfitta
esistenziale, ma una condizione aperta, disponibile ad ogni forma di sviluppo, che
costituisce una vera e propria svolta.
11
Conclusione
Zeno costituisce una vera e propria svolta riguardo il complesso rapporto
sanità – malattia, in quanto anche a differenza dei protagonisti di Senilità e Una
vita presenta la sua inettitudine come “abbozzo” per un nuovo slancio vitale.
Pertanto l’inetto rappresenta colui che sa raccogliere le fragilità del reale.
Infatti, Alfonso Nitti (Una vita) ed Emilio Brentani (Senilità), incapaci di
affrontare la realtà, si autoingannano, cercano cioè di camuffare la propria
sconfitta con una serie di atteggiamenti psicologici che Svevo con puntigliosa
precisione svela. Ma tutto è inutile: è la vita ambigua e imprevedibile contro la
quale a nulla vale l’autoinganno per avere partita vinta, ed alla fine essa stritola i
protagonisti dei romanzi di Svevo, che in comune hanno la totale inettitudine a
vivere. Essi sono, quindi, dei “sani”: vinti dalla vita, uomini incapaci di vivere se
non interiormente, intenti a sottoporsi ad un continuo esame e a sondare i meandri
più segreti del loro Io; cristallizzati nella loro posizione errata.
Dunque, viaggiando all’interno del mio labirinto della vita ad un dato
momento mi sono accorta che stavo commettendo degli errori e ho iniziato, un po’
come i personaggi di Svevo, a sottopormi ad un continuo esame e a sondare i
meandri del mio Io. Ho trovato la mia “sanità” ed esattamente come Zeno l’ho
convertita in “malattia”, il punto di partenza per migliorare, superare i propri
limiti e crescere con l’intento di porsi sempre in una posizione di continua
evoluzione.
12
Bibliografia
FONTI:
I. SVEVO, La coscienza di Zeno,
Loescher, Torino 1992
I. SVEVO, La coscienza di Zeno,
Edizioni studio tesi, Pordenone 1985
I. SVEVO, La coscienza di Zeno,
Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2009
J. JOYCE, Ulysses,
Oxford world’s classics, New York 2008
STUDI:
G. FINOCCHIO, Il novecento da Pascoli a Montale,
Bruno Mondatori, Milano 2004
G. RAVEGNANI, Da Freud a Svevo,
Milano 1926
G. SAVELLI, L’ambiguità necessaria,
Franco Angeli, Milano 2007
M. SECHI, Italo Svevo: il sogno e la vita vera,
Donzelli Editore, Roma 2009
13
MANUALI:
R. LUPERINI, P. CATALDI, L. MARCHIANI, F. MARCHESE, La scrittura e
l’interpretazione, Palumbo, Firenze 2001
G. BALDI, S. GIUSSO, M. RAZETTI, G. ZACCARIA, Dal testo alla storia.
Dalla storia al testo, Paravia 2007
A. CATTANEO, D. DE FLAVIIS, Literary highlights,
Carlo Signorelli Editore, Milano 2005
DIZIONARI ED ENCICLOPEDIE:
G. DEVOTO, G.C. OLI, Dizionario della lingua italiana,
Le Monnier, Firenze 2006 – 2007
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INDICE DEGLI ALLEGATI
1.
Trama del romanzo La coscienza di Zeno di Svevo
2.
Trama del romanzo Ulysses di Joyce
3.
Immagini del labirinto
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ALLEGATO 1
Trama del romanzo La Coscienza di Zeno di Svevo
La coscienza di Zeno
Zeno, il protagonista dell'opera, proviene da una famiglia ricca e vive
nell'ozio ed in un rapporto conflittuale con il padre, che si rifletterà su tutta la sua
vita. Nell'amore, nei rapporti coi familiari e gli amici, nel lavoro, egli prova un
costante senso di inadeguatezza e di "inettitudine", che interpreta come sintomi di
una malattia. In realtà solo più tardi scoprirà che è la società ad essere malata e
non lui.
Prefazione
È questo uno dei capitoli più importanti, dato che rappresenta una finzione
letteraria ben inventata. Si tratta di poche righe firmate dal dottor S., il quale
espone l'origine del libro ed afferma di averlo pubblicato per vendicarsi di Zeno,
che era in origine paziente del dottore stesso.
Le cure cominciavano a dare i loro frutti (esse iniziavano con la stesura
delle memorie di Zeno, le quali non sono altro che i capitoli successivi del libro).
Dato che Zeno ha interrotto la terapia, il dottore è profondamente ferito nel suo
orgoglio professionale e decide così di vendicarsi del paziente.
È chiaro che questa finzione letteraria è anche una polemica contro la
psicanalisi, una forma di terapia che iniziava proprio in quegli anni velocemente
ad affermarsi, soprattutto nell'Impero Austro-Ungarico, di cui Trieste faceva parte.
L'iniziale S pare essere la prima lettera del nome del padre della psicanalisi,
Sigmund Freud, anch'egli un austriaco viennese, ma potrebbe anche riferirsi
all'autore.
Preambolo
Zeno racconta i suoi primi tentativi, apparentemente inutili, di ricordare la
sua infanzia.
Il fumo
Il protagonista parla della sua malattia del fumo, narrando fatti che
coprono tutta la sua vita.
Oltre all'inettitudine, il suo grande problema è il vizio del fumo, del quale
non riesce a liberarsi. Il protagonista, infatti, già nell'adolescenza aveva iniziato a
fumare a causa del rapporto conflittuale con il padre. A quest'ultimo rubava
inizialmente soldi per comprare le sigarette e in seguito, dopo essere stato
scoperto, raccoglieva i sigari fumati a metà sparsi per casa. Nonostante più volte
si sia riproposto di smettere, non vi riesce e per questo si sente frustrato. I tentativi
si moltiplicano, e anche gli sforzi, ma il problema non viene risolto.
Ogni volta che prova a smettere di fumare, Zeno decide di fumare
un'«ultima sigaretta» (U.S.) e di annotare la data di questa; dopo numerosi
fallimenti Zeno si rende conto che fumare "ultime sigarette" è per lui
un'esperienza piacevolissima, in quanto quelle assumono ogni volta un sapore
diverso, causato dalla coscienza che dopo quella, non potrà fumarne più. Zeno,
inoltre, indica il vizio del fumo come causa dei cambiamenti repentini di facoltà
universitaria (passa infinite volte da chimica a giurisprudenza).
La morte di mio padre
Zeno rievoca il rapporto conflittuale con suo padre, con particolare
importanza data ai suoi ultimi giorni di vita.
La relazione è stata deviata dall'incomprensione e dai silenzi; il padre non
ha alcuna stima del figlio, tanto che, per sfiducia, affida l'azienda commerciale di
famiglia ad un amministratore esterno, l'Olivi. A sua volta il figlio, che si ritiene
superiore per intelletto e cultura, non stima il padre e sfugge ai suoi tentativi di
parlare di argomenti profondi.
Il più grande dei malintesi è l'ultimo, che avviene in punto di morte:
quando il figlio è al suo capezzale, il padre (ormai incosciente) lo colpisce con la
mano e Zeno non riuscirà mai a capire il significato di quel gesto: quello schiaffo
gli fu assestato allo scopo di punirlo o fu soltanto una reazione inconscia del padre
ammalato? L'interrogativo produrrà un dubbio che accompagnerà il protagonista
fino all'ultimo dei suoi giorni. Alla fine Zeno preferisce ricordare il padre come
era sempre stato: "io divenuto il più debole e lui il più forte".
La storia del mio matrimonio
Zeno parla delle vicende che lo portano al matrimonio.
Il protagonista conosce quattro sorelle, le figlie di Giovanni Malfenti, con
il quale Zeno ha stretto rapporti di lavoro e per il quale nutre profonda stima, al
punto che lo vedrà come una figura paterna dopo la morte del padre. La più
attraente delle figlie è la primogenita, Ada: a costei il protagonista fa la corte, ma
il suo sentimento non è ricambiato, perché ella lo considera troppo diverso da lei e
incapace di cambiare. Anche dopo il rifiuto, Zeno è sempre attratto dalla sua
bellezza esteriore ed interiore.
Tuttavia, ormai deciso a chiedere in sposa una delle sorelle Malfenti, si
dichiara ad Alberta che ugualmente lo respinge; egli finisce per sposare Augusta,
la seconda delle sorelle Malfenti, ovvero la donna che meno gli piaceva.
Nonostante questo il protagonista nutrirà sempre per lei amore, anche se
ciò non gli impedirà di stringere una relazione con un'amante, Carla. Augusta
costituisce nel romanzo una figura femminile dolce, tenera, che si prodiga per il
proprio marito: è la figura materna che Zeno cercava.
La moglie e l’amante
Il conflittuale rapporto di Zeno Cosini con la sfera femminile – la sua
patologia è stata bollata dallo psicologo come sindrome Edipica – è evidenziato
anche dalla ricerca dell'amante: Zeno accenna a tale esperienza come un rimedio
per sfuggire al «tedio della vita coniugale».
Quella con Carla Gerco è un'«avventura insignificante»; lei è solo una
«povera fanciulla», «bellissima», che inizialmente suscita un istinto di protezione.
Tuttavia quella che in principio appariva come una relazione basata sul semplice
desiderio fisico si trasforma successivamente in una vera e propria passione.
Anche Carla subisce dei cambiamenti: dapprima insicura, diventa una donna
energica e dignitosa che finisce coll'abbandonare il suo amante a favore di un
maestro di canto, che Zeno stesso le aveva presentato.
Zeno non smetterà mai di amare la moglie Augusta che ha per lui un
atteggiamento materno, comunicandogli sicurezza mentre, verso la conclusione
del suo rapporto con Carla, maturerà per quest'ultima uno strano sentimento che si
avvicina all'odio.
Storia di un'associazione commerciale
Incapace di gestire il proprio patrimonio, Zeno viene pregato da Guido di
aiutarlo a mettere in piedi un'azienda, e accetta, per "bontà", come egli dice a se
stesso, ma in realtà per un oscuro desiderio di rivalsa, di superiorità nei confronti
del fortunato rivale in amore che, nel frattempo, ha sposato Ada.
Anche Guido, peraltro, è un inetto, e incomincia, per inesperienza, a
sperperare il suo patrimonio e a tradire la moglie con la giovane segretaria
Carmen, mentre Zeno ha la soddisfazione di essere incaricato da Ada di aiutare e
proteggere il marito. Questi, dopo un'ennesima perdita (ha infatti iniziato a
giocare in borsa) simula un tentativo di suicidio, per indurre la moglie a
sovvenzionarlo con la propria dote. Più tardi, ritenterà il colpo astuto, ma, per un
banale gioco della sorte, si ucciderà davvero.
Zeno, che impegnato a salvarne, per quanto è possibile, il patrimonio, non
riesce a giungere in tempo al suo funerale (ed in seguito sbaglia persino corteo
funebre), è accusato da Ada, divenuta nel frattempo brutta e non più desiderabile
per una malattia (il morbo di Basedow), di avere in tal modo espresso la sua
gelosia, il suo malanimo verso il marito. Il famoso triangolo matrimoniale termina
con tre sconfitte irreparabili, ma anche con l'autoinganno dei tre protagonisti,
incapaci di distinguere fra sogno e realtà.
Psicoanalisi
Il capitolo precedente aveva concluso il racconto imposto dal medico a
Zeno. Ma ora questi lo riprende, per ribellarsi al medico, che non l'ha guarito,
come crede.
Zeno tiene un diario, che poi invia al Dottor S. per fargli capire come la
pensa. Questo si compone di tre parti distinte, contrassegnate dalle date di tre
giorni distinti negli anni di guerra 1915-1916. Nella riflessione conclusiva Zeno si
considera completamente guarito, grazie alla scoperta che la "vita attuale è
inquinata alle radici" e rendersene conto è segno di salute e non di malattia.
ALLEGATO 2
Trama del romanzo Ulysses di Joyce
Ulysses
It’s the story of Bloom and his friend's Dedalus (Joyce projection, often
used in his books) wandering, through Dublin on June 16th, 1904, projected
against the background of the journey of Ulysses. Ulysses represents the prototype
of the complete man: son, father and husband. Bloom is an anti-hero, like Eliot
said, used by Joyce as a constant reminder of the decadence of our modern age.
Other people say that Bloom is a hero, with positive qualities, such as sympathy,
generosity and faith in human progress. Joyce shows us Bloom’s life from many
angles, from the interior monologue to a "mini-drama".
Bloom day is projected against the story of Ulysses, and each scene in the
book is related to a specific episode of the Odyssey. In the first part of the book
Dedalus, come back home from Paris, set off to find his friend and "spiritual
father" Bloom, who is in search of a "spiritual son". When the two friends meet,
Bloom "adopt" Dedalus and offers to take him home and give him shelter. At
home Molly Bloom waits for them, like Penelope, thinking of her past and present
life, with a mental, interior monologue. This "river of words" called "stream of
consciousness" ends with the words "yes", like a total, non-judgemental,
acceptance of life.
Ulysses caused a great scandal when it was published in Paris for his
technical innovations and for his explicit language. It was banned for a long time
in England and in the U.S. The sexual frankness of Leopold Bloom, an
unsuccessful middle-aged married man, and of his wife Molly, is a necessary part
in the complete rendering of their mental life.
Joyce has shown all human history in one day, one set of events, past and
present, significant and insignificant, trivial and heroic, familiar and exotic; it’s
just a matter of points of view, and author has none and all of them.
ALLEGATO 3
Immagini del labirinto
Il labirinto del Minotauro
Immagine tratta da: http://francotirature.blogspot.com
Il labirinto presso la civiltà babilonese
Immagine tratta da: http://larici.it
larici.it
Il labirinto in Egitto
Immagini tratte da: http://labirintodelleparole.blogspot.com
Il labirinto presso la civiltà greca
Immagine tratta da: http://forum.tavolarotonda.eu
Immagine tratta da: http://www.homolaicus.com
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IL “LABIRINTO” DEL BIRINTO” DELLA COSCIENZA DI ZENO