C.F. 97761890587 - Via Laiatico, 12 - 00138 Roma tel. 06.8818274 - 3288387220 www.aadi.it - [email protected] ASSOCIAZIONE AVVOCATURA DI DIRITTO INFERMIERISTICO Segreteria Nazionale Ieri 29 aprile 2015 si è svolto a Modena (Pavullo del Frignano) un convegno che ha analizzato gli strumenti giuridici e la legittimazione a procedere del Collegio IPASVI per il recupero delle somme pretese a titolo di iscrizione all’albo. Un intervento da parte del responsabile infermieristico del presidio ospedaliero di Modena, la cui presenza era stata profetizzata perché non mancano mai i trascinatori e i polemici nei nostri dibattiti, ha scombussolato momentaneamente l’evento. Il vicepresidente dell’A.A.D.I., chiamato dal responsabile per alcune affermazioni invece condivise da tutta la platea, ha replicato evidenziando la totale ignoranza sulla questione da parte del disturbatore che, anziché dibattere sulle questioni giuridiche esposte, ha preferito addebitare ai relatori frasi mai pronunciate, manipolandone il contenuto. Dopo il monologo, del tutto incomprensibile, il responsabile infermieristico, minacciando velatamente alcuni infermieri da lui gestiti, ha abbandonato la sala mentre alcuni colleghi delle prime file lo redarguivano per l’evidente stile antidemocratico dimostrato. I punti fondamentali che sono stati trattati e analizzati con ampio intervento dei partecipanti, sono stati essenzialmente i seguenti: - l’art. 13 del D.P.R. 05 aprile 1950 n. 221 individua la ratio sottesa la pubblicazione e, quindi, l’iscrizione nell’albo professionale e cioè lo svolgimento dell’attività libero professionale che, considerata l’abilitazione dello Stato al suo libero svolgimento, deve essere accreditata attraverso un albo pubblico perché gli utenti possano verificare che una determinata persona dichiaratasi infermiere, sia tale. L’albo esiste per consentire alla cittadinanza di fruire, con affidamento e serenità, delle prestazioni offerte da un infermiere, previa verifica delle credenziali insiste nella professione in parola. Ma anche l’infermiere subordinato può essere verificato attraverso l’albo? la risposta è no! No per un duplice motivo. Il primo è perché nel momento in cui l’utente si pone in contatto con un ente che eroga prestazioni sanitarie, il diritto di affidamento consente all’utente stesso di presumere che ogni dipendente della struttura sia stato debitamente verificato dal datore di lavoro al momento dell’assunzione e, maggiormente se si tratta di ente pubblico, attraverso una selezione concorsuale previa produzioni di idonea documentazione attinente le caratteristiche professionali richieste per lo svolgimento della professione di infermiere. Pertanto l’infermiere che lavora all’interno di un ente, si presume abilitato dallo Stato e idoneo a prestare attività professionale e non abbisogna di accreditarsi nell’albo. In secundis, nel rapporto subordinato si inserisce un meccanismo denominato “immedesimazione organica” che consente al lavoratore responsabile per colpa di aver cagionato danni all’utenza di vedersi manlevare dal 1 proprio datore in ogni pretesa avversaria, attraverso la surrogazione dell’ente. Per tali motivi anche le eventuali carenze amministrativo-accademiche, verranno risarcite dal datore per culpa in vigilando o culpa in eligendo. Del resto le numerose sentenze di condanna per negligenza e imperizia sofferte dagli infermieri, sono state comminate nonostante gli stessi risultassero regolarmente iscritti al Collegio. Quindi, l’iscrizione al Collegio non garantisce alcuna certezza in ordine alla competenza del professionista, ma solo che ha conseguito il titolo di studio richiesto ed ha superato l’esame di abilitazione professionale, cosa che verifica anche il datore di lavoro nel rapporto subordinato. Per tale motivo il Collegio agisce da garante nei confronti dell’utenza solo nei riguardi del libero professionista; - l’art. 348 C.P. utilizzato come unico deterrente contro il fenomeno dell’abusivismo professionale, protegge il bene comune (per tale motivo è collocato tra i delitti della pubblica amministrazione e non della persona) individuato nell’ “interesse generale della collettività a che la professione di infermiere venga esercitata da chi possegga i requisiti di probità e competenza tecnica richiesta dalla legis artis”. La tutela offerta dal 348 si limita a verificare il possesso del titolo di studio e dell’abilitazione dello Stato quali minimum richiesti dalla legge per l’esercizio competente della professione. L’iscrizione al Collegio supera tale limite perché non offre ulteriori garanzie se non quelle di verifica dei titoli suddetti, verifica che però è operata dal giudice penale in caso di contestazione ex art. 348. In poche parole, nel momento in cui si ottiene l’abilitazione dallo Stato, l’interessato può esercitare la professionista dal punto di vista squisitamente tecnico perché non è con l’iscrizione al Collegio che ottiene una competenza professionale ulteriore che prima non aveva. L’iscrizione attiene a questioni essenzialmente interne alla comunità professionale non potendo in alcun modo interferire con il bagaglio culturale, nozionistico e tecnico acquisito con il corso professionale e verificato con l’esame di Stato. Pertanto l’abusivismo che per definizione è limitato all’esercizio della professione di infermiere da parte di colui che non ne possiede i titoli scolastici e abilitativi, non può sconfinare anche nelle questioni prettamente amministrative come lo è l’iscrizione al Collegio; - il rapporto di subordinazione che intercorre tra dipendente pubblico o privato e datore di lavoro è di tipo sinallagmatico cioè a prestazione corrispettive per cui ogni tipo di attività inerente la professione di infermiere, viene svolta, sovente, in regime di esclusività. L’esclusività impedisce all’infermiere subordinato di esternare la propria attività professionale in ambiti che non siano quelli posti a favore, in nome e per conto del datore di lavoro che, quale unico fruitore dei servizi resi dall’infermiere, è l’unico legittimato a pretendere la prestazione lavorativa. L’energia psicofisica che viene spesa dall’infermiere viene spesa e consumata a beneficio del singolo datore di lavoro, il quale, di converso, deve sostenere ogni spesa inerente l’attività lavorativa (acquisto indumenti, pulizia degli indumenti, strumenti di lavoro, mensa, tempo tuta, ecc.). Difatti nel momento in cui il lavoratore si pone a disposizione del datore, diventa strumento di quest’ultimo quale mezzo per adempiere la prestazione dedotta nel contratto intercorrente tra azienda/ente e utente. Pertanto l’infermiere non deve sostenere alcuna spesa per lavorare. Ergo anche la spesa inerente l’iscrizione al Collegio IPASVI deve essere sostenuta dal datore di lavoro. Con tali incontrovertibili premesse e deduzioni, il Collegio IPASVI non è legittimato a pretendere alcuna somma dal lavoratore per cui qualsiasi azione recuperatoria sarà viziata da difetto di legittimazione attiva; 2 - per ultimo, la legge n. 43/2006 che prevede l’iscrizione anche del dipendente pubblico, cozza contro l’ordinamento giuridico appena esaminato, sconvolgendo norme giuslavoristiche che, contrariamente alla categoria dell’infermiere, si applicano a tutti gli altri professionisti. Sembrerebbe che la legge n. 43 sia stata pilotata da forze dirette a obbligare gli infermieri subordinati ad iscriversi al Collegio, a dispetto di tutte le altre professioni che non hanno questo obbligo ed, anzi, addirittura non hanno né un Collegio né un albo (es. fisioterapisti). Eppure anche il fisioterapista potrebbe cagionare un danno al paziente (V. giurisprudenza in materia) ma il Governo si è interessato, stranamente, solo dell’infermiere, come se ci fosse una certa urgenza di inserire nell’albo (che nessuno controlla) anche infermieri più che preparati e competenti perché impegnati in ospedali da decenni. E poi perché l’IPASVI si affanna tanto a scomodare le direzioni sanitarie per diffondere tra i propri infermieri lettere minacciose fino al licenziamento, il NAS per scovare chi non è iscritto, il pubblico ministero per accertare la responsabilità e il giudice per far condannare infermieri che lavorano da decenni in ospedale, e non ha mosso un dito per trasformare il Collegio in Ordine? Perché la legge non obbliga anche gli infermieri generici riqualificati in professionale ad iscriversi? Proprio perché non ha potere dentro le mura di un datore di lavoro, anche se spesso collaborano all’unisono per conseguire finalità comuni o personali, come il controllo della categoria che, se fosse più partecipativa sul fronte collegiale, potrebbe rivoluzionare gli assetti interni e sconvolgere gli equilibri politico-sindacali raggiunti. Tutto questo è stato dimostrato attraverso specifiche sentenze e documenti inediti che sono stati consegnati in cartellina a tutti i partecipanti. Il presidente Mauro Di Fresco ha ribadito che il convegno non ha avuto assolutamente l’obiettivo di indurre i colleghi alla cancellazione di massa ma, anzi, di aderire al 3 Collegio partecipando attivamente alla sua vita associativa ma con una coscienza della realtà dei fatti e del diritto che ci permette di non soccombere ad un Collegio che sa fare bene l’inquisitore e l’esattore, ma molto male il garante della nostra dignità professionale e la tutela delle nostre prerogative soprattutto in tema di lotta allo sfruttamento fisico e retributivo. Il Collegio manda il NAS ad effettuare ispezioni nelle strutture sanitarie per verificare chi non sia iscritto all’albo ma evita di chiedere, anche, che venga verificato l’organico e l’utilizzo di O.S.S. in sostituzione degli infermieri, soprattutto la notte nelle cliniche private, dove gli O.S.S. praticano fleboterapie, endovenose, ed altre attività infermieristiche. Probabilmente ciò nuocerebbe ai padroni che, diversamente, dovrebbero assumere infermieri. Vogliamo un Collegio attivo che sia concretamente un faro per gli infermieri e per raggiungere questi obiettivi dobbiamo rimanere insieme al Collegio pressando continuamente perché migliori. 4