J.R.Ward Il risveglio Un romanzo della Confraternita del Pugnale Nero Volume 01 BLACK DAGGER BROTHERHOOD: DARK LOVER Dedicato a: Te, con amore e soggezione. Grazie di essere arrivato e di avermi trovata. E di avermi mostrato la via. È stato il viaggio di una vita, il migliore che abbia mai fatto. Ringraziamenti Grazie infinite: Karen Solem, Kara Cesare, Claire Zion, Kara Welsh, Rose Hilliard. Al mio Comitato Esecutivo: Sue Grafton, D.ssa Jessica Andersen, Betsey Vaughan. Con tutti i nostri giri di telefonate e le ricerche in Internet, le linee telefoniche dell'Hutchins and Seneca Park saranno diventate roventi, ma tutto questo mi ha permesso di mantenere la concentrazione, il sorriso e la sanità mentale. Alla mia famiglia con affetto. Capitolo 1 Darius osservò l'interno del locale, abbracciando con lo sguardo il brulicare di corpi seminudi sulla pista da ballo. Screamer's era affollato, quella sera, strapieno di donne vestite di pelle e di uomini che avevano tutta l'aria di essere criminali incalliti. Darius e il suo compagno si inserivano a meraviglia in quell'ambiente. Salvo che loro erano veramente due assassini. «Allora sei proprio deciso a farlo?» chiese Tohrment. Darius lo guardò. Gli occhi del vampiro seduto di fronte a lui al basso tavolino del club incrociarono i suoi. «Sì.» Stringendo il suo bicchiere di scotch, Tohrment sorrise cupo, mettendo in mostra solo l'estremità dei lunghi canini. «Tu sei matto da legare, D.» «Dovresti saperlo.» Tohrment inclinò il bicchiere con deferenza. «Non credi di esagerare? Vuoi prendere una ragazza innocente, che non ha la minima idea di quello che l'aspetta, e mettere la sua transizione nelle mani di uno come Wrath. È pazzesco.» «Wrath non è cattivo, malgrado quello che può sembrare» ribatte Darius finendo la sua birra. «E poi cerca di mostrare un po' di rispetto.» «Io lo rispetto un casino, ma è comunque una pessima idea.» «Ho bisogno di lui.» «Ne sei proprio sicuro?» Una donna con stivaloni all'altezza della coscia, minigonna vertiginosa e bustier fatto di catene passò davanti al loro tavolo pavoneggiandosi. Gli occhi le brillavano sotto un chilo di mascara e, da come sculettava, sembrava che avesse le anche snodate. Darius la lasciò andare senza degnarla di uno sguardo. Quella sera il sesso non era tra i suoi pensieri. «Lei è mia figlia, Tohr.» «Ma è una mezzosangue, D, e lo sai cosa ne pensa lui degli umani» obiettò Tohrment scrollando la testa. «Anche la mia trisavola era una di loro, e sto ben attento a non tirarla in ballo quando Wrath è nei paraggi.» Darius alzò la mano per chiamare la cameriera, indicando la sua bottiglia vuota e il bicchiere semivuoto del compagno. «Non ho intenzione di lasciar morire un altro dei miei figli, non se c'è almeno una possibilità di salvarla. E, in ogni caso, ora come ora è impossibile sapere se andrà incontro al cambiamento. Non è detto che non possa vivere una vita felice senza mai venire a sapere che i suoi parenti per parte di padre sono dei vampiri. Non sarebbe la prima volta che capita.» Sperava davvero che sua figlia venisse risparmiata. Perché se invece avesse subito la transizione, se ne fosse uscita viva trasformandosi in vampira, sarebbe stata braccata come tutti quanti loro. «Se mai Wrath accetterà, lo farà perché è in debito con te. Non perché lo vuole veramente.» «Comunque sia, mi va bene.» «Ma hai pensato a quello che le stai offrendo? Wrath è affettuoso più o meno come un fucile a canne mozze, e la prima volta può essere tosta anche se sei preparato. Cosa che lei non è.» «Le parlerò io.» «E come pensi di fare? Ti presenti da lei e dici: "Ehi, lo so che non mi hai mai visto, ma io sono il tuo papà. Oh, e indovina un po'? Hai vinto la lotteria dell'evoluzione: sei una vampira. Dai, andiamo a Disneyland!''» «In questo preciso momento ti odio, sai?» Tohrment si protese in avanti, le poderose spalle si contrassero sotto il cuoio nero del giubbotto. «Perché ti ho messo con le spalle al muro. Sto solo dicendo che dovresti ripensarci.» Seguì una pausa carica di tensione. «Forse potrei farlo io.» Darius gli scoccò un'occhiata scettica. «Come no, e dopo il fattaccio avresti il coraggio di tornare a casa? Wellsie ti ficcherebbe un bel paletto nel cuore e ti lascerebbe arrostire al sole, amico mio.» Tohrment rabbrividì. «Anche questo è vero.» «E dopo verrebbe a cercare me.» I due vampiri si strinsero nelle spalle. «Senza contare...» Darius si appoggiò all'indietro, mentre la cameriera posava sul tavolo le ordinazioni. Prima di terminare la frase attese che la ragazza se ne fosse andata, anche se il rap duro pompava nell'aria a tutto volume. «Senza contare che viviamo in tempi pericolosi. Se dovesse succedermi qualcosa...» «Mi occuperò io di lei.» Darius diede una pacca sulla spalla dell'amico. «Lo so.» «Però Wrath è meglio» aggiunse Thorment. Non c'era ombra di gelosia in quel commento, era una semplice constatazione. «Nessuno è come lui.» «Ringraziando il cielo» disse Tohrment con un mezzo sorriso. I membri della loro confraternita, una ristretta cerchia di valorosi guerrieri che combattevano fianco a fianco scambiandosi informazioni a vicenda, erano tutti dello stesso parere. Wrath era un caso a parte, in fatto di vendetta, e dava la caccia ai loro nemici con un accanimento che rasentava la follia. Era l'ultimo discendente della sua stirpe, l'unico vampiro purosangue rimasto sul pianeta, e, sebbene la razza lo riverisse come suo sovrano, lui detestava la propria condizione. Era una mezza tragedia che Wrath fosse la migliore possibilità di sopravvivenza per la figlia meticcia di Darius. Il sangue di Wrath, così forte, così puro e incontaminato, avrebbe aumentato le sue probabilità di superare la transizione, se mai le fosse toccata in sorte. Ma Tohrment non aveva tutti i torti. Era come affidare una vergine a un poco di buono. Con un movimento repentino i clienti che affollavano il locale si spostarono, indietreggiando gli uni contro gli altri. Stavano facendo posto a qualcuno. O a qualcosa. «Merda, eccolo che arriva» bofonchiò Tohrment buttando giù lo scotch tutto d'un fiato. «Senza offesa, ma io mi chiamo fuori. Non ci tengo a partecipare a questa conversazione.» Darius guardò dividersi il mare di umani, ansiosi di tenersi alla larga dall'ombra imponente e tenebrosa che torreggiava sopra di loro. Quel fuggi fuggi generale era il riflesso di un eccellente istinto di sopravvivenza. Wrath era un metro e novantotto di puro terrore vestito di pelle. I lunghi capelli lisci e neri gli ricadevano sulle spalle dall'attaccatura a V sulla fronte; un paio di occhiali da sole avvolgenti nascondevano due occhi che nessuno aveva mai visto; le spalle erano larghe il doppio di quelle della maggior parte dei vampiri maschi. Con il suo viso aristocratico e feroce insieme, incarnava alla perfezione il re che era per diritto di nascita e il soldato che era diventato obbedendo al proprio destino. E l'ondata minacciosa che lo precedeva sempre era un formidabile biglietto da visita. Investito da quella ventata di odio gelido, Darius si portò alle labbra la birra fresca e ne bevve una generosa sorsata. Sperava tanto di fare la cosa giusta. Beth Randall alzò lo sguardo quando il direttore del giornale si appoggiò alla scrivania. Gli occhi dell'uomo puntarono diritti sullo scollo a V della sua maglietta. «Lavori di nuovo fino a tardi» mormorò. «Ehi, Dick.» Non dovresti tornartene a casa da tua moglie e dai tuoi due bambini? aggiunse tra sé la ragazza. «Che cosa stai facendo?» «Rivedo un pezzo per Tony.» «Esistono altri modi per impressionarmi, sai.» Già, non era difficile immaginarlo. «Hai letto la mia e-mail, Dick? Oggi pomeriggio ho fatto un salto alla stazione di polizia e ho parlato con José e con Ricky. Sono pronti a giurare che in città è arrivato un trafficante d'armi. Hanno trovato due Magnum modificate addosso a degli spacciatori.» Dick si protese in avanti per batterle affettuosamente sulla spalla, accarezzandola mentre ritirava la mano. «Tu continua a rivedere i pezzi degli altri. Lascia che siano i vecchi a occuparsi dei crimini violenti. Non vogliamo che capiti qualcosa a questo tuo bel faccino.» Sorrise, gli occhi socchiusi che indugiavano allusivi sulle labbra della ragazza. Eccolo che ricominciava con la solita scena, pensò Beth. Quegli sguardi andavano avanti da tre anni, ormai, da quando aveva iniziato a lavorare per lui. Un sacchetto di carta. Quello che le serviva era un bel sacchetto di carta da infilarsi sulla testa tutte le volte che parlava con Dick. Con sopra una bella foto di sua moglie, magari. «Vuoi uno strappo fino a casa?» chiese lui. Nemmeno se ci fosse il diluvio universale, razza di degenerato. «No, grazie.» Beth tornò a voltarsi verso lo schermo del computer sperando che il suo capo avesse capito l'antifona. Alla fine Dick si allontanò, probabilmente diretto verso il bar di fronte, dove quasi tutti i cronisti facevano tappa prima di andare a casa. Caldwell, New York, non era esattamente una miniera di opportunità per un giornalista, ma i «grandi vecchi» di Dick ci tenevano a salvare le apparenze fingendo di essere gravati da un pesante fardello sociale. A loro piaceva un mondo mettersi comodi al bancone, da Charlie's, a chiacchierare dei bei tempi andati, quando lavoravano per quotidiani più grandi e più importanti. Per la maggior parte erano tali e quali a Dick: banalissimi uomini di mezza età, bravi ma non straordinari in quello che facevano. Caldwell era abbastanza grande e abbastanza vicina a New York da conoscere gli orrori del crimine violento, le retate per droga e la prostituzione, quindi c'era sempre da fare. Ma il «Caldwell Courier Journal» non era certo il «New York Times», e nessuno di loro avrebbe mai vinto il Pulitzer. Che tristezza. Già, be', guardati un po' allo specchio, si disse Beth. Lei era solo una reporter squattrinata che non aveva mai nemmeno lavorato in un giornale nazionale. Quindi a cinquantanni, a meno che le cose non fossero cambiate, avrebbe dovuto curare gli annunci economici di un quotidiano gratuito per godersi un po' di gloria riflessa dei giorni passati al «Caldwell Courier Journal». Infilò la mano nel sacchetto di M&M's che teneva in grembo. Accidenti, era vuoto. Di nuovo. Forse era meglio tornare a casa. E lungo la strada fermarsi dal cinese a prendere qualcosa da mangiare. Uscendo dallo stanzone della redazione, un open space suddiviso in tanti cubicoli da una serie di sottili divisori grigi, andò a frugare nella scorta segreta di Twinkie del suo amico Tony. Tony mangiava in continuazione. Per lui non esistevano colazione, pranzo, cena: essere sveglio e consumare andavano di pari passo. Quando non dormiva aveva sempre la bocca piena e, per non rischiare di restare a secco, la sua scrivania era una miniera di depravazione calorica. Beth scartò la merendina e le diede un morso mentre spegneva le luci e scendeva le scale. Non riusciva a crederci: stava mangiando quella schifezza artificiale. Fuori, in Trade Street, l'afa di luglio era una barriera fisica tra lei e il suo appartamento. Dodici interi isolati di caldo e umidità. Grazie al cielo il ristorante cinese era a metà strada e aveva l'aria condizionata sparata a manetta. Con un po' di fortuna i camerieri sarebbero stati indaffarati, quella sera, e lei avrebbe potuto aspettare approfittando del fresco. Finito di mangiare il Twinkie, prese il cellulare, chiamò il numero in memoria e ordinò una porzione di manzo e broccoli. Lungo la strada passò davanti ai soliti, deprimenti punti di riferimento che costellavano il suo tragitto. In quel tratto di Trade Street c'erano solo bar, locali di spogliarelliste e, ogni tanto, uno studio dove si facevano tatuaggi. Il cinese e il buffet Tex-Mex erano gli unici due ristoranti. Il resto dei palazzi, tutti immobili per uffici negli anni Venti, quando il centro città era ancora fiorente, era in stato di abbandono. Beth conosceva a memoria ogni fessura del marciapiede e avrebbe potuto cronometrare i semafori; nemmeno la cacofonia di suoni e rumori che fluttuavano fuori dalle porte e dalle finestre spalancate costituiva una sorpresa per lei. Al McGrider's Bar suonavano il blues, dalla vetrata d'ingresso dello Zero Sum fuoriusciva un belante piagnucolio techno, mentre da Ruben's i karaoke erano già in funzione. Per la maggior parte erano locali abbastanza raccomandabili, ma ce n'erano un paio da cui si teneva alla larga per principio. Screamer's, in particolare, aveva una clientela da far rabbrividire. Quella era una soglia che Beth non avrebbe mai varcato senza una scorta della polizia. Mentre calcolava la distanza che la separava dal ristorante cinese, venne sopraffatta da un'ondata di spossatezza. Dio, che umidità. L'aria era così pesante che sembrava quasi di respirare acqua. Aveva la sensazione che quella stanchezza non dipendesse soltanto dal tempo, però. Erano settimane, ormai, che si sentiva distrutta, e aveva il sospetto di essere sull'orlo della depressione. Il lavoro non stava andando da nessuna parte, abitava in una casa di cui non le importava niente, aveva pochissimi amici, nessun ragazzo e nemmeno l'ombra di una prospettiva romantica. Se guardava al futuro cercando di immaginare se stessa a distanza di una decina d'anni, bloccata lì a Caldwell con Dick e le sue «grandi firme» del giornalismo, vedeva sempre lo stesso trantran: alzarsi al mattino, andare al lavoro, cercare di dare una svolta alla propria vita, fallire, tornare a casa da sola. Forse aveva semplicemente bisogno di andarsene via. Via da Caldwell. Via dal giornale. Via dalla sua famigliola elettronica fatta di sveglia sul comodino, telefono sulla scrivania e TV che, quando dormiva, teneva lontani i sogni. Dio solo sapeva se c'era qualcos'altro che la tratteneva in città, a parte l'abitudine. Da anni non parlava più con i numerosi genitori affidatari, dunque quelli non avrebbero sentito la sua mancanza, e i pochi amici che aveva erano già abbastanza presi con le loro, di famiglie. Quando udì un fischio lascivo alle spalle, alzò gli occhi al cielo. Era quello il problema di lavorare vicino ai bar: ogni tanto si incappava in qualche pappagallo. Subito dopo arrivarono i versacci e i commenti osceni e poi, com'era prevedibile, due tizi attraversarono la strada di corsa e cominciarono a seguirla. Beth si guardò intorno. Ormai si era lasciata dietro i bar e stava per affrontare il lungo tratto fiancheggiato da edifici deserti che precedeva i ristoranti. La serata era afosa e buia, ma armeno c'erano i lampioni e ogni tanto passava un'automobile. «Mi piacciono i tuoi capelli neri» disse il tizio più grosso, affiancandola. «Ti dà fastidio se li tocco?» Beth sapeva perfettamente che non doveva fermarsi. Quei due avevano l'aria di studentelli in vacanza estiva, cioè solo una gran seccatura, però lei non voleva correre rischi. E poi il cinese era a soli cinque isolati di distanza. Infilò comunque la mano nella borsetta in cerca dello spray al pepe. «Hai bisogno di un passaggio da qualche parte?» chiese sempre quello grosso. «Ho la macchina qui vicino. Sul serio, ti andrebbe di venire con noi? Potremmo farci un giretto.» Poi con un sorrisone strizzò l'occhio al compare, come se quel paio di battute melliflue gli avessero garantito una bella scopata. L'amico rise, i sottili capelli biondi che gli ricadevano sugli occhi mentre le trotterellava intorno. «Invece di un passaggio io le darei una bella ripassata!» disse il biondo. Maledizione, dov'era lo spray? Quello grosso allungò una mano e le toccò i capelli; lei lo fulminò con un'occhiataccia. Con la polo e i pantaloncini color cachi doveva essere lo strafico del campus. Un perfetto esemplare di americano DOC. Quando le sorrise, Beth allungò il passo, concentrandosi sulla sfocata insegna al neon del cinese. In cuor suo pregava di incrociare qualcuno, ma la calura aveva convinto i pedoni a starsene a casa. In giro non c'era anima viva. «Non vuoi dirmi come ti chiami?» chiese l'americano DOC. Il cuore cominciò a martellarle nel petto. Lo spray era rimasto nell'altra borsa. Ancora quattro isolati. «Allora magari lo scelgo io un nome per te. Fammi pensare... Come ti suona micetta?» Il biondo si mise a ridacchiare. Lei deglutì e tirò fuori il cellulare, pronta a chiamare il 911. Stai calma. Cerca di mantenere i nervi saldi. Provò a immaginare come sarebbe stato bello entrare nel ristorante e sentire il fresco dell'aria condizionata. Forse avrebbe chiamato un taxi, giusto per essere sicura di arrivare a casa senza essere ancora importunata da quei due. «Dai, micetta» cinguettò l'americano DOC. «Vedrai che ti piaccio, ne sono sicuro.» Altri tre isolati soltanto... Scese dal marciapiede per attraversare la Decima Strada, ma proprio allora lui l'afferrò per la vita sollevandola da terra e, mentre la trascinava all'indietro, le tappò la bocca con la mano. Lei lottò come una furia, scalciando e sferrando pugni all'impazzata, e quando riuscì a spostare le braccia dietro di sé colpendolo all'occhio, lui lasciò andare la presa. Beth si allontanò con un balzo e si mise a correre pompando con forza sui talloni, il respiro intrappolato in gola. Un'automobile sbucò in Trade Street e lei gridò nel vedere la luce dei fari. Ma poi lui riuscì a riagguantarla. «Ti pentirai amaramente di quello che hai fatto, troia» le sussurrò all'orecchio l'americano DOC stringendole un braccio intorno alla gola. Le torse il collo fin quasi a spezzarglielo, o almeno fu questa l'impressione di Beth, e la trascinò nell'ombra più fitta. Lei annusò il suo sudore e l'acqua di colonia da sbarbatello, e udì la risata stridula del suo amico. Un vicolo. La stavano intrappolando in un vicolo. In preda al voltastomaco, sentì in gola l'amaro sapore della bile e si divincolò selvaggiamente nel tentativo di liberarsi. Il panico le dava la forza di lottare. Ma l'aggressore era più forte. La spinse dietro a un cassonetto dell'immondizia e si premette con tutto il suo peso contro di lei. Beth gli piantò una gomitata nelle costole continuando a scalciare. «Tienila per le braccia, maledizione!» Beth riuscì a sferrare un poderoso colpo di tacco negli stinchi del biondo prima che lui l'afferrasse per i polsi sollevandoglieli sopra la testa. «Avanti, troia, vedrai che ti piacerà» ringhiò l'americano DOC cercando di infilarle un ginocchio tra le gambe. La spinse all'indietro contro il muro in mattoni del palazzo, tenendola ferma per la gola. Dovette usare l'altra mano per strapparle la camicetta e, non appena le liberò la bocca, lei si mise a urlare. La schiaffeggiò con forza spaccandole il labbro. Stordita dal dolore, Beth sentì il sapore del sangue sulla lingua. «Fallo di nuovo e ti taglio la lingua.» Gli occhi dell'americano DOC ribollivano di odio e di desiderio mentre sollevava il pizzo immacolato del reggipetto denudandole i seni. «Cavolo! Penso che lo farò in ogni caso.» «Ehi, sono vere quelle?» chiese il biondo, come se si aspettasse una risposta. Il suo compare afferrò uno dei capezzoli e cominciò a tirare. Beth trasalì, la vista appannata dalle lacrime. O forse non ci vedeva bene perché era in iperventilazione. L'americano DOC rise. «Penso sia tutta roba vera, ma potrai scoprirlo da te quando io avrò finito.» Mentre il biondo sogghignava, una remota porzione del cervello di Beth si mise in moto ribellandosi a quello che l'attendeva. Doveva smettere di lottare e concentrarsi su ciò che aveva appreso al corso di autodifesa. Eccetto il respiro ansimante, tutto il suo corpo si immobilizzò di colpo e l'americano DOC non tardò ad accorgersene. «Hai deciso di fare la brava bambina?» disse, scrutandola con sospetto. Lei annuì lentamente. «Bene.» Si protese verso di lei invadendole le narici con il proprio fiato. Beth si sforzò di non rabbrividire al fetore rancido di birra e fumo stantio. «Ma se ti rimetti a strillare ti do una coltellata. Hai capito?» Lei annuì un'altra volta. «Lasciala andare.» Il biondo le lasciò andare i polsi, ridacchiando e girando intorno alla coppia, quasi cercasse l'angolatura migliore da cui godersi lo spettacolo. Le mani dell'americano DOC erano rudi sulla sua pelle, mentre l'accarezzava, e Beth dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per tenere giù il Twinkie di Tony quando un conato di vomito le serrò la gola. Malgrado la ripulsa che le ispiravano quei palmi premuti sui seni, allungò le mani verso la patta del suo aggressore. La teneva ancora stretta per il collo e lei faceva fatica a respirare ma, non appena gli sfiorò le parti intime, allentò la presa con un gemito. Allora lei gli afferrò i testicoli torcendoli con violenza, e mentre lui si accasciava a terra gli sferrò una ginocchiata al naso. Percorsa da una scarica di adrenalina, per una frazione di secondo sperò che il biondo si facesse sotto invece di restarsene lì impalato a guardarla. «Andate a farvi fottere!» gridò a tutti e due. Poi si precipitò fuori dal vicolo tenendosi chiusa la camicetta con le mani, e non si fermò fino a quando non giunse davanti al suo palazzo. Tremava talmente tanto che faticò a infilare la chiave nella serratura del portone principale e poi in quella del suo appartamento. Solo davanti allo specchio del bagno si rese conto di avere la faccia rigata di lacrime. Quando la radio della polizia sotto il cruscotto dell'auto civetta si mise a gracchiare, Butch O'Neal alzò gli occhi. In un vicolo non troppo lontano c'era una vittima, un maschio, a terra ma respirava ancora. O'Neal controllò l'orologio. Le dieci passate da poco: il divertimento era solo agli inizi. Era un venerdì sera dei primi di luglio, quindi i bulli del college avevano appena cominciato le vacanze estive e morivano dalla voglia di partecipare alle Olimpiadi della Stupidità. Immaginò che il tizio fosse stato derubato o che gli avessero dato una bella lezione. Sperava nella seconda ipotesi. Afferrò il microfono e comunicò alla centrale che si stava recando sul posto, anche se lui era un detective della Omicidi e non un agente di pattuglia. Al momento stava lavorando a due casi, un morto annegato nel fiume Hudson e la vittima di un pirata della strada, ma c'era sempre spazio per qualcos'altro. Per quanto lo riguardava, più stava fuori casa meglio era. I piatti sporchi nel lavandino e le lenzuola sgualcite sul letto non avrebbero sentito la sua mancanza. Accese la sirena e premette il piede sull'acceleratore pensando: Un bell'applauso per i ragazzi in vacanza. Capitolo 2 Mentre attraversava Screamer's, Wrath sogghignò vedendo la folla di clienti che incespicavano gli uni sugli altri nella fretta di scansarlo. Trasudavano paura e una curiosità morbosa e lasciva insieme. Lui inspirò quell'odore rancido. Pecoroni. Tutti quanti. Da dietro gli occhiali scuri, gli occhi si sforzarono invano di mettere a fuoco il locale immerso nella penombra. Wrath abbassò le palpebre. La sua vista era così debole che tanto valeva optare per la cecità totale. Concentrandosi sull'udito passò in rassegna i vari suoni oltre il frastuono della musica, isolando un fruscio di passi strascicati, il brusio delle voci, il rumore di un altro bicchiere che cadeva per terra. Se finiva addosso a qualcosa poco importava. Che fosse una sedia, un tavolo o un umano, lo avrebbe semplicemente calpestato. Avvertì chiaramente la presenza di Darius perché il suo era l'unico corpo che non puzzava di panico. Anche se quella sera persino il guerriero aveva i nervi a fior di pelle. Quando arrivò davanti all'altro vampiro, Wrath aprì gli occhi. Darius era una sagoma indistinta, il colorito scuro e gli abiti neri erano le sole informazioni che la vista era in grado di fornirgli. «Dov'è andato Tohrment?» chiese, fiutando l'aroma di whisky scozzese. «Sta prendendo una boccata d'aria. Grazie di essere venuto.» Wrath si mise a sedere. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, osservando la folla inghiottire a poco a poco il sentiero che lui aveva tracciato. Rimase in attesa. Il ritmo martellante di Ludacris si stemperò nel sound più tradizionale dei Cypress Hill. La cosa si faceva interessante. Darius era uno che andava dritto al sodo, ben sapendo che Wrath non aveva tempo da perdere. Se stava in silenzio, allora bolliva qualcosa in pentola. Darius bevve un sorso di birra, poi esalò un profondo sospiro. «Mio signore...» «Se vuoi qualcosa da me non cominciare così» lo interruppe Wrath in tono strascicato, sentendo che una cameriera si avvicinava al loro tavolo. Ebbe l'impressione di due grossi seni e una striscia di pelle tra la maglietta attillata e la gonna corta. «Vuole qualcosa da bere?» chiese lentamente la ragazza. Wrath fu tentato di suggerirle di stendersi sul tavolo e di lasciarlo trafficare con la sua carotide. Il sangue umano non lo avrebbe tenuto in vita a lungo, ma di sicuro aveva un sapore migliore dell'alcol annacquato. «Per ora no» rispose. Il sorriso tirato aumentò l'ansia della ragazza dandole al tempo stesso una scossa erotica. Il vampiro inspirò a pieni polmoni il suo odore. Non mi interessa, pensò. La cameriera annuì, ma non si mosse. Continuava a fissarlo, i corti capelli biondi simili a un'aureola, nell'oscurità. Come stregata, sembrava aver dimenticato tutto, il proprio nome e persino che lavoro faceva. Molto seccante. Darius si agitò sulla sedia, spazientito. «Va bene così» borbottò. «Siamo a posto.» Mentre la ragazza indietreggiava confondendosi tra la folla, Wrath udì Darius schiarirsi la gola. «Grazie di essere venuto.» «L'hai già detto.» «Già. Giusto. Uh, tu e io ci conosciamo da un pezzo.» «Vero.» «Abbiamo combattuto delle gran battaglie insieme, levato di mezzo un bel po' di lesser.» Wrath annuì. Da generazioni la Confraternita del Pugnale Nero proteggeva la razza dei vampiri dagli attacchi della Lessening Society, la società cui appartenevano i lesser, i «minori». C'erano Darius, Tohrment. Gli altri quattro. I fratelli erano in netta minoranza rispetto ai lesser, umani privati dell'anima al servizio di un padrone malvagio, l'Omega. Ma Wrath e i suoi guerrieri riuscivano a tenere duro. E non solo. Darius si schiarì la voce. «Dopo tutti questi anni...» «Vieni al dunque, D. Marissa ha una faccenda da sistemare, stanotte.» «Vuoi usare di nuovo la stanza che hai da me? Non permetto a nessun altro di entrarci, lo sai.» Darius si lasciò sfuggire una risatina imbarazzata. «Suo fratello di sicuro preferisce che tu non ti faccia vedere a casa sua.» Wrath incrociò le braccia al petto, spingendo avanti il tavolino con lo stivale per guadagnare un po' più di spazio. Non gliene importava un fico secco se il fratello di Marissa aveva una sensibilità così delicata da sentirsi offeso per la vita che conduceva lui. Havers era uno snob, un dilettante. Non capiva un cazzo. Era totalmente incapace di capire che genere di nemici aveva la razza e cosa serviva per difenderla. Wrath non avrebbe certo recitato la parte del damerino mentre i vampiri civili venivano massacrati, solo perché il caro ragazzo si sentiva offeso. Lui doveva rimanere sul campo di battaglia insieme ai suoi guerrieri, non starsene seduto su qualche inutile trono. Quindi Havers poteva piantarla. Anche se non era giusto dell'atteggiamento di suo fratello. che Marissa facesse le spese «Mi sa che approfitterò della tua offerta.» «Bene.» «Adesso parla.» «Ho una figlia.» Wrath girò lentamente la testa. «E da quando?» «Da un po'.» «Chi è la madre?» «Non la conosci. E poi... è morta.» Il dolore di Darius si levò tutto intorno a lui, l'odore acre di un'antica sofferenza sovrastò il tanfo di sudore umano, alcol e sesso del locale. «Quanti anni ha?» chiese Wrath. Aveva la sensazione di sapere dove voleva andare a parare Darius con quel discorso. «Venticinque. » Wrath imprecò sottovoce. «Non chiedermelo, Darius. Non chiedermi di farlo.» «Non ho altra scelta. Mio signore, il tuo sangue è...» «Chiamami ancora così e ti chiudo la bocca. Per sempre.» «Tu non capisci. Lei è...» Wrath fece per alzarsi. La mano di Darius lo afferrò per il braccio prima di essere rapidamente ritirata. «È per metà umana.» «Gesù Cristo...» «Quindi potrebbe non sopravvivere alla transizione, sempre che debba affrontarla. Senti, se tu l'aiuti per lo meno avrà una possibilità di farcela. Il tuo sangue è così forte, aumenterebbe le sue probabilità di superare con successo il cambiamento anche se è una meticcia. Non ti sto chiedendo di prenderla come tua shellan, e nemmeno di proteggerla, perché a questo posso pensarci io. Sto solo cercando di... Ti prego. Gli altri miei figli sono morti. Lei è tutto quello che potrebbe restare di me. E io... amavo sua madre.» Se si fosse trattato di chiunque altro, Wrath avrebbe usato le sue due parole preferite: vai e affanculo. Per quanto lo riguardava c'erano solo due posizioni accettabili, per un umano. La femmina supina. E il maschio a faccia in giù, morto. Ma Darius era quasi un amico. O avrebbe potuto esserlo, se Wrath gli avesse permesso di avvicinarsi. Alzandosi, Wrath chiuse gli occhi. L'odio lo pervase da capo a piedi, diretto verso il centro del petto. Odiava se stesso per la decisione di andarsene, ma lui non era proprio il tipo di maschio in grado di aiutare una povera mezzosangue a superare un momento della vita così doloroso e irto di pericoli. La dolcezza e la misericordia non facevano parte della sua natura. «Non posso farlo. Neanche per te.» L'angoscia di Darius lo travolse come un'enorme ondata e Wrath vacillò sotto la violenza di quell'emozione. Strinse con forza la spalla dell'altro vampiro. «Se davvero le vuoi bene, falle un favore. Chiedilo a qualcun altro.» Poi si voltò e uscì a grandi passi dal bar. Mentre guadagnava l'uscita, cancellò il proprio ricordo dalla corteccia cerebrale di tutti gli umani presenti nel locale. I più forti avrebbero creduto di averlo sognato, i più deboli lo avrebbero completamente dimenticato. Una volta in strada, si diresse verso un angolo buio dietro Screamer's in modo da potersi smaterializzare. Oltrepassò una donna che con il favore delle tenebre stava facendo un pompino a un tizio, un barbone ubriaco crollato per terra in stato catatonico, uno spacciatore che litigava al cellulare sul prezzo corrente del crack. Wrath capì immediatamente che qualcuno lo stava seguendo. E chi era. Il profumo delicato di talco per neonati era una prova schiacciante. Con un sorriso soddisfatto aprì il giubbotto di pelle ed estrasse una delle sue hira shuriken. Stringere nel palmo la stella Ninja di acciaio inossidabile gli trasmetteva una sensazione piacevole. Ottantacinque grammi di morte pronti a fendere l'aria. Con l'arma in mano, Wrath non cambiò andatura anche se avrebbe voluto precipitarsi nell'ombra. Dopo aver piantato in asso Darius moriva dalla voglia di menare le mani, e il membro della Lessening Society alle sue spalle aveva un tempismo davvero perfetto. Uccidere quell'umano senz'anima era quello che gli ci voleva per sfogare la rabbia. Mentre attirava il lesser nell'oscurità più fitta, il suo fisico si apprestava a combattere, il cuore pompava a un ritmo regolare, i muscoli delle braccia e delle gambe si contraevano, pronti all'azione. L'udito finissimo percepì distintamente lo scatto del cane di una pistola che veniva alzato, e lui triangolò con precisione il bersaglio dell'arma. Era puntata contro la sua nuca. Con una mossa fluida si voltò di scatto, proprio mentre il proiettile fuoriusciva dalla canna; si abbassò per schivarlo e lanciò la stella Ninja, che in un lampo argenteo volteggiò nell'aria tracciando una parabola letale. Colpì il lesser in pieno collo, squarciandogli la gola prima di proseguire il volo nell'oscurità. La pistola cadde a terra scivolando sull'asfalto con un rumore di ferraglia. Il lesser si afferrò il collo con entrambe le mani cadendo in ginocchio. Wrath si avvicinò e gli frugò nelle tasche. Prese il portafogli e il cellulare e se li infilò nel giubbotto. Poi, dal fodero che aveva sul petto, estrasse un lungo coltello dalla lama nera. Era deluso dalla brevità dello scontro ma, a giudicare dai capelli scuri e ricci del lesser e dalla relativa goffaggine del suo attacco, doveva trattarsi di una nuova recluta. Con una spinta decisa lo fece allungare sulla schiena, lanciò il pugnale per aria e lo afferrò per il manico con uno scatto fulmineo. La lama affondò nella carne del lesser, recise l'osso e raggiunse la nera cavità dove un tempo c'era il cuore. Con un suono strozzato il lesser si disintegrò in un lampo luminoso. Wrath ripulì la lama del coltello sui pantaloni di pelle, lo fece scivolare al suo posto e si rialzò. Si guardò intorno. E poi si smaterializzò. Darius ordinò una terza birra. Un paio di bellezze dark lo abbordarono nella speranza di aiutarlo a dimenticare i guai. Ma lui declinò l'invito. Uscì dal locale dirigendosi verso la sua BMW 650i parcheggiata in sosta vietata nel vicolo dietro il club. Al pari di ogni altro vampiro degno di questo nome era in grado di smaterializzarsi a suo piacimento e di coprire enormi distanze, ma quello era un trucchetto difficile da mettere in atto se si doveva portare con sé qualcosa di pesante. E poi non era una cosa da fare in pubblico. Senza contare che una bella automobile era una gioia per gli occhi. Darius salì in macchina e chiuse la portiera. Dal cielo cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia che macchiarono il parabrezza come grosse lacrime. Non aveva ancora esaurito le alternative a sua disposizione. L'accenno al fratello di Marissa lo aveva fatto riflettere. Havers era un medico, uno zelante guaritore della razza. Forse poteva aiutarlo. Valeva senz'altro la pena di tentare. Distratto da quei progetti, infilò la chiave nel quadro di accensione e la girò. Il motorino d'avviamento ronzò, ansimando. Girò di nuovo la chiave e fu assalito da una tremenda premonizione non appena udì un ticchettio ritmico. La bomba, fissata sotto il telaio dell'automobile e collegata all'impianto elettrico, esplose. Mentre il suo corpo rimaneva incenerito in una deflagrazione al calor bianco, l'ultimo pensiero fu rivolto alla figlia che ancora doveva conoscerlo. E che adesso non avrebbe più potuto farlo. Capitolo 3 Beth si fece una doccia di quarantacinque minuti consumando mezza bottiglia di bagnoschiuma. L'acqua era così bollente che il vapore quasi staccò dai muri la dozzinale carta da parati. Poi si asciugò e si infilò l'accappatoio sforzandosi di ignorare il proprio riflesso allo specchio. Il labbro era conciato da far schifo. Uscì nell'angusto monolocale. Il condizionatore d'aria era morto un paio di settimane prima, quindi la stanza era soffocante quasi quanto il bagno. Gettò un'occhiata alle due finestre e alla vetrata scorrevole che si apriva su un giardinetto rinsecchito. Avrebbe voluto spalancare tutto, invece controllò che fossero ben chiuse. Malgrado i nervi scossi, il suo fisico stava reagendo in fretta. L'appetito le era tornato alla grande, neanche fosse scocciato per il ritardo della cena; Beth si trasferì nel minuscolo angolo cottura. Gli avanzi del pollo di quattro giorni prima sembravano invitanti, ma quando aprì il cartoccio d'alluminio venne investita da una zaffata degna di un paio di calzini sporchi. Buttò via tutto e infilò nel microonde una confezione di Lean Cuisine. Divorò i maccheroni al formaggio in piedi, tenendo in equilibrio il piccolo vassoio di plastica sul palmo protetto da una presina. Ma ancora non le bastava, non aveva nemmeno intaccato la sua fame, quindi ne mangiò un'altra porzione. L'idea di metter su una decina di chili in una sola sera era parecchio allettante; senza scherzi. Non poteva fare niente per cambiare il proprio volto, ma era pronta a scommettere che quel cavernicolo misogino del suo aggressore prediligeva le vittime con un bel culetto sodo. Batté le palpebre nel tentativo di scacciare dalla mente la faccia del bastardo. Dio, sentiva ancora le sue mani, quei palmi repellenti che le strizzavano i seni. Doveva sporgere denuncia. Doveva andare alla stazione di polizia. Solo che non voleva lasciare il suo appartamento. Almeno non fino all'indomani mattina. Andò a raggomitolarsi sul futon che le serviva da divano e da letto insieme. Lo stomaco faticava a digerire i maccheroni, e alle ondate di nausea seguì una interminabile serie di brividi. Un miagolio soffocato le fece alzare la testa. «Ehi, Boo» chiamò, sfregando fiaccamente le dita. Il povero micio era scappato a nascondersi quando la padrona era entrata come una furia strappandosi i vestiti di dosso e gettandoli dall'altra parte della stanza. Miagolando di nuovo, il gatto nero avanzò con passo felpato. I suoi grandi occhi verdi sembravano preoccupati quando le saltò in grembo con un balzo aggraziato. «Spiacente per tutto questo dramma» mormorò Beth, facendogli spazio. Lui sfregò la testa contro la sua spalla, partendo con le fusa. Il corpo del felino era caldo, pesante. Beth non sapeva per quanto tempo fosse rimasta lì ferma ad accarezzare il suo pelo morbido, ma quando il telefono squillò trasalì con un balzo. Allungò la mano verso il ricevitore senza interrompere le coccole all'animale. Anni di convivenza con Boo avevano perfezionato le sue doti di coordinazione gatto-telefono. «Pronto?» disse. Era mezzanotte passata, il che escludeva gli operatori di telemarketing e suggeriva una chiamata di lavoro o qualche maniaco psicopatico. «Salve, bellezza. Infilati le scarpette da ballo. La macchina di uno è saltata in aria davanti a Screamer's. Con lui dentro.» Beth chiuse gli occhi. Le veniva voglia di mettersi a piangere. José de la Cruz era uno dei detective della polizia locale, e anche una specie di amico. Come la maggior parte degli agenti, a pensarci bene. Visto che passava tanto tempo alla stazione di polizia aveva finito per conoscerli tutti piuttosto bene, comunque José rimaneva uno dei suoi preferiti. «Ehi, ci sei?» Diglielo. Digli quello che è successo. Apri la bocca. La vergogna e il ricordo dell'orrore subito le paralizzavano le corde vocali. «Sì, José, ci sono» disse Beth scostandosi i capelli dal viso e schiarendosi la voce. «Però stasera non posso venire.» «Sì, come no. Quando mai hai lasciato perdere una soffiata?» rise allegramente lui. «Oh, ma fai pure con comodo, tanto sul caso c'è Ossoduro.» Ossoduro era il detective della Omicidi Brian O'Neal, meglio noto come Butch. O anche semplicemente come signore. «Non riesco proprio a... farcela, stasera. Davvero. » «Per caso ti stai dando da fare con qualcuno?» chiese il poliziotto. Nella sua voce c'era un pizzico di curiosità. José era sposato. Felicemente. Ma Beth sapeva che giù in centrale tutti facevano illazioni su di lei. Una donna così bella senza un uomo? Doveva esserci sotto qualcosa. «Allora?» «Santo cielo, no. No.» Seguì qualche secondo di silenzio, durante il quale il radar dell'amico piedipiatti entrò ovviamente in funzione. «Che cos'hai?» «Sto bene. Sono soltanto stanca. Passo in centrale domani.» Così avrebbe anche sporto denuncia. Il giorno dopo sarebbe stata in grado di ripensare a quello che era successo senza crollare. «Devo venire a dare una controllata?» «No, ma grazie. Sto bene.» E riattaccò. Un quarto d'ora dopo aveva indosso un paio di jeans freschi di lavanderia e una camicia oversize che le copriva abbondantemente il fondoschiena. Chiamò un taxi, poi frugò nell'armadio a muro finché trovò l'altra borsetta. Prese lo spray al pepe e lo tenne stretto in mano mentre usciva di casa. Nei tre chilometri che separavano il suo portone dalla scena dell'attentato esplosivo avrebbe ritrovato la voce. E avrebbe raccontato tutto a José. Per quanto detestasse l'idea di rivivere l'aggressione, non voleva certo che quello stronzo circolasse a piede libero. Anche se non l'avessero preso, lei quanto meno avrebbe fatto la sua parte nel tentativo di inchiodarlo. Wrath si materializzò nel soggiorno di Darius. Porca miseria, aveva scordato quant'era lussuoso lo stile di vita del vampiro defunto. Pur essendo un guerriero, D aveva i gusti di un aristocratico, e non c'era da stupirsene. Per nascita era un princeps altolocato e la bella vita aveva sempre rivestito un grande valore per lui. La sua magione ottocentesca era curatissima e ricca di antichità e di opere d'arte, oltre a essere sicura come il caveau di una banca. Ma le pareti giallo pastello del salotto non erano l'ideale per la vista di Wrath. «Che piacevole sorpresa, signore.» Dal salone d'ingresso giunse Fritz, il maggiordomo, che con un profondo inchino spense le luci per alleviare il fastidio agli occhi dell'ospite. Come al solito l'anziano domestico indossava una livrea nera. Era al servizio di Darius da un centinaio d'anni ed era un doggen, cioè poteva uscire di giorno ma invecchiava più velocemente dei vampiri. La sua sottospecie serviva da millenni aristocratici e guerrieri. «Il signore si tratterrà a lungo qui da noi?» Wrath scosse il capo. Non se poteva evitarlo. «Un'ora al massimo.» «La sua stanza è pronta. Se avesse bisogno di me, io sono qui.» Fritz si inchinò di nuovo e uscì indietreggiando dalla stanza, chiudendosi alle spalle la porta a due battenti. Wrath si avvicinò a un ritratto alto più di due metri raffigurante un re francese, così almeno gli era stato detto. Posò la mano sul lato destro della pesante cornice dorata e il quadro ruotò fino a rivelare un tenebroso passaggio segreto scavato nella pietra e illuminato da lampade a gas. Varcò la soglia e scese una scalinata che si addentrava nelle viscere della terra. In fondo c'erano due porte. Una conduceva ai sontuosi appartamenti di Darius, l'altra si apriva su quella che Wrath considerava una sorta di seconda casa. Per la maggior parte del tempo dormiva all'interno di un magazzino di New York, in un locale interamente di acciaio dotato di un sistema di serrature in tutto e per tutto simile a quello di Fort Knox. Ma non avrebbe mai invitato Marissa in quel luogo. E nemmeno i suoi fratelli. La sua privacy era preziosa. Non appena mise piede nella stanza, le candele alle pareti si accesero obbedendo alla sua forza di volontà. Il loro chiarore dorato scalfiva a malapena le tenebre circostanti. Per riguardo nei confronti della vista debolissima di Wrath, Darius aveva fatto dipingere di nero le pareti e il soffitto, alto più di sei metri. In un angolo torreggiava un enorme letto con lenzuola di raso nere e una montagna di cuscini. Di fronte c'era un divano di cuoio, un grande televisore e una porta che si apriva su una stanza da bagno in marmo nero. C'era anche un armadio a muro pieno di armi e vestiti. Per qualche oscuro motivo Darius voleva sempre che Wrath si fermasse a casa sua. Perché insistesse tanto era un mistero. Non era certo per una questione di difesa, Darius sapeva badare a se stesso, e l'idea che un vampiro come D potesse sentirsi solo era semplicemente ridicola. Avvertì la presenza di Marissa ancor prima che lei entrasse nella stanza. Il profumo dell'oceano, una brezza pulita, la precedeva sempre. Leviamoci anche questo pensiero, pensò Wrath. Era ansioso di tornare per strada. Quella sera sentiva il bisogno di una bella abbuffata di violenza e invece ne aveva avuto solo un piccolo assaggio. Si voltò. Marissa piegò l'esile corpo in un inchino e il vampiro avvertì un misto di devozione e disagio nell'aria intorno a lei. «Mio signore» disse. Da quel poco che Wrath riusciva a vedere, indossava una specie di morbido vestito di chiffon bianco e i lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle e lungo la schiena. Sapeva che si vestiva con cura nella speranza di piacergli, e avrebbe tanto preferito che si risparmiasse quella fatica. Si tolse il giubbotto di pelle e il fodero in cui teneva i pugnali. Accidenti ai suoi genitori. Perché gli avevano dato una femmina come quella? Così... fragile. D'altronde, considerata la sua forma fisica prima della transizione, forse si erano preoccupati che una femmina più robusta potesse fargli male. Wrath flette le braccia, i bicipiti si gonfiarono a dismisura e una spalla schioccò per la potenza dei muscoli. Se solo avessero potuto vederlo adesso. Il loro piccolo si era trasformato in un gelido assassino. Forse è meglio che siano morti, pensò. Non avrebbero approvato quello che era diventato. Però d'altra parte, se avessero potuto vivere fino in tarda età, lui sarebbe stato diverso. Marissa mostrava segni di nervosismo. «Mi dispiace disturbarti. Ma non posso più aspettare.» Wrath si diresse verso il bagno. «Hai bisogno di me e io arrivo.» Aprì il rubinetto e si arrotolò le maniche della camicia nera. Immerso nella nuvola di vapore che saliva dallo scroscio d'acqua si lavò via lo sporco, il sudore e la morte dalle mani. Poi si passò la saponetta su per le braccia, coprendo con la schiuma i tatuaggi rituali che correvano lungo l'interno degli avambracci. Si risciacquò, si asciugò e tornò in camera. Andò a sedersi sul divano e rimase in attesa, digrignando i denti. Da quanto tempo lo facevano? Secoli. E ogni volta Marissa ci metteva qualche minuto prima di riuscire ad avvicinarsi. Con chiunque altro la pazienza di Wrath si sarebbe esaurita nel giro di pochi secondi, ma con lei cercava di essere comprensivo. La verità era che gli dispiaceva per lei perché era stata costretta a diventare la sua shellan. Le aveva ripetuto un'infinità di volte che era disposto a scioglierla dal patto che li legava, a liberarla per permetterle di trovare un vero compagno, uno che l'amasse e la proteggesse. La cosa buffa era che, malgrado la propria fragilità, Marissa non voleva rinunciare a lui. Probabilmente temeva che nessun'altra femmina lo avrebbe voluto, così almeno supponeva Wrath, che all'occorrenza nessuno avrebbe nutrito la bestia e quindi la loro razza avrebbe perso la sua stirpe più forte. Il re. Il condottiero che non aveva voglia di comandare. Già, lui era un pessimo partito. Le stava lontano a meno che non avesse bisogno di bere il suo sangue, il che non succedeva molto spesso in virtù del suo lignaggio. Lei non sapeva mai dove fosse o cosa stesse facendo. Trascorreva lunghe giornate in solitudine a casa del fratello, sacrificando la propria esistenza per mantenere in vita l'ultimo vampiro purosangue, l'unico che non aveva nemmeno una goccia di sangue umano nelle vene. Francamente, non capiva come Marissa potesse sopportare tutto questo, o come potesse sopportare lui. All'improvviso fu colto dall'impulso di imprecare. Quella serata era una vera festa per il suo ego. Prima Darius e adesso lei. Wrath la seguì con lo sguardo mentre si muoveva per la stanza, girandogli intorno, facendosi più vicina. Si impose di rilassare il viso, di respirare in modo regolare, di stare perfettamente immobile. Quella era la parte più faticosa del rapporto con Marissa. Veniva assalito dal panico perché non era libero di muoversi, e quando lei cominciava a bere la sensazione di soffocamento peggiorava. Era sempre così. «Hai avuto da fare, mio signore?» chiese dolcemente Marissa. Lui annuì pensando che, con un pizzico di fortuna, avrebbe avuto ancor più da fare prima dell'alba. Ora finalmente Marissa era in piedi davanti a lui e Wrath sentì il suo appetito sovrastare il senso di disagio. Avvertì anche il desiderio. Lei lo voleva, ma lui bloccò subito quell'emozione in particolare. Mai e poi mai avrebbe fatto sesso con lei. Non poteva neppure immaginare di imporle il genere di cose che aveva fatto ad altre femmine. E poi non l'aveva mai voluta in quel senso. Nemmeno all'inizio. «Vieni qui» disse, facendole segno di avvicinarsi. Appoggiò l'avambraccio sulla coscia, il polso all'insù. «Stai morendo di fame. Non dovresti aspettare tanto per venire da me.» Marissa si inginocchiò ai suoi piedi e l'abito si allargò in una pozza intorno a lei. Wrath sentì sulla pelle il calore delle dita che scorrevano con delicatezza sopra i tatuaggi, accarezzando i caratteri neri che descrivevano il suo lignaggio nell'antico idioma. Era molto vicina, al punto che Wrath colse il movimento della sua bocca che si apriva, il candido fulgore delle zanne prima che gliele affondasse nella vena. Il vampiro chiuse gli occhi reclinando il capo all'indietro mentre lei beveva. Il panico lo assalì repentino e violento. Piegò il braccio libero intorno allo schienale del divano, i muscoli tesi mentre si afferrava all'angolo per rimanere fermo. Calmo, doveva stare calmo. Presto sarebbe finita, e poi sarebbe stato libero. Quando, dieci minuti dopo, Marissa sollevò il capo, Wrath balzò in piedi e si mise a camminare per dissipare l'ansia, pervaso dal malsano sollievo di potersi finalmente muovere. Non appena si fu calmato tornò da lei. Ormai sazia, Marissa assorbiva la forza che le derivava dalla mescolanza reciproca del loro sangue. Non gli piaceva vederla lì, stesa sul pavimento, quindi l'aiutò ad alzarsi, e stava pensando di chiedere a Fritz di riaccompagnarla a casa del fratello quando udì bussare ritmicamente alla porta. Wrath si voltò torvo verso l'altro capo della stanza, portò Marissa fino al letto e ve la adagiò con delicatezza. «Grazie, mio signore» mormorò lei. «Adesso me ne torno a casa.» Lui indugiò per un attimo, poi le coprì le gambe con il lenzuolo prima di andare a socchiudere l'uscio. Fritz era agitato. Wrath scivolò fuori dalla stanza richiudendo la porta con cura. Stava per chiedergli perché diavolo lo avesse disturbato quando l'odore del maggiordomo permeò la sua irritazione. Senza bisogno di fare domande, seppe che la morte aveva fatto un'altra visita. E che Darius se n'era andato. «Padrone...» «Com'è successo?» ringhiò Wrath. Con il dolore avrebbe fatto i conti più tardi, adesso aveva bisogno dei particolari. «La macchina...» Chiaramente il domestico faticava a mantenere la calma, la voce era stridula ed esile come il suo vecchio corpo. «Una bomba, mio signore. La macchina. Fuori dal club. È stato Tohrment a telefonare. Ha visto tutto.» Wrath pensò al lesser che aveva eliminato. Avrebbe tanto voluto sapere se era lui il responsabile dell'attentato. Quei bastardi non avevano più onore. Almeno i loro predecessori per secoli e secoli avevano combattuto come guerrieri; questa nuova generazione, invece, era fatta di codardi che si nascondevano dietro la tecnologia. «Chiama i membri della confraternita» ordinò a denti stretti. «Di' loro di venire qui subito.» «Sì, certo. E, padrone? Darius mi ha raccomandato di consegnarle questa» disse il maggiordomo porgendogli qualcosa, «se non fosse stato con lui al momento della sua morte.» Wrath prese la busta e tornò in camera. Non aveva alcuna compassione da offrire a Fritz né a nessun altro. Marissa se n'era già andata. Buon per lei. Infilò l'ultima missiva di Darius nella cintura dei pantaloni di pelle. E diede sfogo alla rabbia. Le candele esplosero e caddero sul pavimento mentre un turbine di violenza si scatenava intorno al vampiro, sempre più forte, più veloce, più tenebroso, finché i mobili si sollevarono da terra mettendosi a vorticare tutto intorno. Wrath reclinò il capo all'indietro e lanciò un urlo rabbioso. CAPITOLO 4 Quando il taxi depositò Beth davanti a Screamer's, la scena del crimine era già molto animata. Sulle autopattuglie della polizia bloccavano l'accesso al vicolo erano accesi i lampeggianti azzurri e bianchi, era arrivato il tozzo veicolo blindato della squadra artificieri e in giro era tutto un brulicare di poliziotti in uniforme e in borghese. Il consueto assembramento di ficcanaso ubriachi aveva piantato le tende ai margini di tutto quel movimento, intento a fumare e a chiacchierare. Da quando lavorava come cronista, Beth aveva imparato che a Caldwell l'omicidio era un evento comunitario. O quanto meno lo era per tutti tranne per l'uomo o la donna che ci avevano lasciato le penne. Per la vittima la morte era una faccenda solitaria, o così immaginava Beth, anche se lui, o lei, guardava in faccia l'assassino. Alcuni ponti vanno attraversati da soli, chiunque sia stato a spingerti oltre il limite. Beth si coprì la bocca con la manica. L'odore di metallo fuso, un penetrante tanfo chimico, le aveva invaso le narici. «Ehi, Beth!» Uno degli agenti la chiamò facendole cenno di avvicinarsi. «Se vuoi dare un'occhiata più da vicino entra da Screamer's e vai sul retro. C'è un corridoio...» «A dire il vero sono qui per vedere José. È nei paraggi?» Il poliziotto allungò il collo scrutando tra la folla. «Era qui un minuto fa. Forse è tornato in centrale. Ricky! Hai visto José?» Butch O'Neal andò a piazzarsi proprio di fronte a lei mettendo a tacere il collega con un'occhiata severa. «Ma guarda che sorpresa.» Beth arretrò di un passo. Ossoduro era un pezzo d'uomo. Grande e grosso, voce calda, grinta da vendere. In molte dovevano sentirsi attratte da lui perché di certo era bello, anche se in un modo ruvido, coriaceo, ma a lei non faceva né caldo né freddo. Non che con gli altri uomini fosse diverso. «Allora, Randall, che cosa ci fai da queste parti?» chiese O'Neal infilandosi in bocca una gomma da masticare e appallottolando la stagnola fino a ridurla a una pallina minuscola. La mascella cominciò a ruminare con forza come se il detective fosse in preda alla frustrazione; più che masticare sembrava digrignare i denti. «Sono qui per José, non per la scena del crimine.» «Certo, certo» disse lui, squadrandola bene in faccia a occhi socchiusi. Con quelle sopracciglia scure e gli occhi infossati sembrava sempre un po' in collera, ma all'improvviso assunse un'espressione ancora più infuriata. «Ti dispiacerebbe seguirmi un secondo?» «Sto davvero cercando José...» Lui le strinse il braccio in una morsa d'acciaio. «Vieni con me, per favore» insistette O'Neal, costringendola a indietreggiare fino a un angolo appartato del vicolo, lontano dalla confusione. «Che cosa diavolo è successo alla tua faccia?» Beth alzò la mano a coprirsi il labbro spaccato. Doveva essere ancora sotto shock perché se ne era completamente dimenticata. «Ti ripeto la domanda» disse il poliziotto. «Che cosa diavolo ti è successo?» «Io, uh...» Aveva la gola serrata. «Sono...» Non doveva mettersi a piangere. Non davanti a Ossoduro. «Voglio vedere José.» «Non c'è, quindi non puoi vederlo. Adesso parla.» O'Neal la bloccò con le spalle al muro puntellandosi con le braccia ai due lati del suo corpo, quasi presagisse che poteva scappare. Era solo cinque o sei centimetri più alto di lei, ma aveva almeno trenta chili di muscoli in più. La paura la trafisse al petto come un rompighiaccio, ma per quella sera ne aveva avuto abbastanza di farsi maltrattare. «Stai indietro, O'Neal» gli intimò decisa, appoggiando i palmi contro le sue spalle e spingendolo via con forza. Lui si mosse. Un pochino. «Beth, dimmi...» «Se non mi lasci andare» disse lei con gli occhi fissi nei suoi, «presento un bell'esposto a chi di dovere sulle tue tecniche di interrogatorio. Quelle che, quando hai finito, comportano radiografie e ingessature, hai presente?» Lui socchiuse di nuovo le palpebre. Poi si scostò alzando le braccia in segno di resa. «Come vuoi» disse, e tornò nella mischia. Beth si appoggiò al muro, aveva la sensazione che le gambe non sarebbero mai più state in grado di reggerla. Abbassò lo sguardo, sforzandosi di chiamare a raccolta tutte le energie, e sull'asfalto scorse qualcosa di metallico. Piegò le ginocchia accovacciandosi sui talloni. Era una stella Ninja, di quelle in uso nelle arti marziali. «Ehi, Ricky!» gridò. Il poliziotto si avvicinò a grandi passi e lei indicò per terra. «Una prova.» Lasciò l'agente a svolgere il suo lavoro e si affrettò in direzione di Trade Street per prendere un taxi. I nervi le stavano cedendo. L'indomani per prima cosa sarebbe andata da José a sporgere ufficialmente denuncia. Appena alzata. Quando Wrath ricomparve in soggiorno aveva riacquistato l'autocontrollo. Le armi erano tornate al loro posto e il giubbotto gli pesava in mano, pieno di stelle Ninja e dei coltelli che amava tanto usare. Il primo della confraternita ad arrivare fu Tohrment. Aveva uno sguardo di fuoco, il dolore e il desiderio di vendetta facevano brillare con tale vividezza l'azzurro dei suoi occhi che persino Wrath ne colse un lampo colorato. Mentre Tohr si appoggiava contro una delle pareti gialle del soggiorno di Darius, Vishous entrò nella stanza. Il pizzetto che si era fatto crescere di recente gli conferiva un'aria ancora più truce del solito, anche se era il tatuaggio intorno all'occhio sinistro la cosa che più lo collocava in territorio funesto. Quella notte si era calcato bene sulla fronte il berretto dei Boston Red Sox, infatti i complessi geroglifici sulla tempia si vedevano appena. Come sempre il guanto nero da pilota - gli serviva per evitare che la mano sinistra entrasse inavvertitamente in contatto con qualcuno - era al suo posto. Un'ottima cosa. Un autentico servizio pubblico. Poi arrivò Rhage, la consueta tracotanza tenuta a bada in segno di rispetto per il motivo che aveva determinato quella riunione. Rhage era un maschio imponente, massiccio, robusto, più forte di tutti gli altri guerrieri. Era anche una leggenda sessuale nel mondo dei vampiri: bello come un divo hollywoodiano, era dominato dall'impulso di rivaleggiare con un'intera scuderia di stalloni. Le femmine, sia di vampiro sia umane, erano disposte a calpestare i loro figli pur di accaparrarselo. Almeno finché non davano una sbirciatina al suo lato oscuro. Quando la bestia di Rhage veniva allo scoperto, tutti, fratelli compresi, cercavano riparo e si mettevano a pregare. Phury, l'ultimo ad arrivare, entrò dal portone claudicando leggermente. Di recente la protesi alla parte inferiore della gamba destra gli era stata sostituita con una più moderna e adesso sfoggiava un arto all'avanguardia in titanio e carbonio. L'insieme di aste, giunti e bulloni era saldamente fissato alla base dello stivale. Con la sua fantastica criniera multicolore, anche Phury era considerato dalle signore alla stregua di una star del cinema, lui però si atteneva rigorosamente al voto di castità. Nella sua vita c'era posto per un unico amore, che da anni lo stava uccidendo a poco a poco. «Dov'è il tuo gemello, amico?» chiese Wrath. «Z sta arrivando.» Che Zsadist fosse in ritardo non era una novità. Z era un gigantesco, violento «vaffanculo» al mondo intero. Un figlio di puttana ambulante, a volte parlante e in genere imprecante, che aveva portato l'odio, specialmente nei confronti delle femmine, a livelli sconosciuti. Per fortuna, tra la faccia sfregiata e il cranio rasato a zero, il suo aspetto terrificante ne rispecchiava l'essere, perciò la gente tendeva a stargli alla larga. Rapito alla famiglia quand'era ancora in fasce, aveva finito per diventare uno schiavo di sangue, e le molestie subite per mano della sua padrona erano state brutali a tutti i livelli. Phury ci aveva messo quasi un secolo a ritrovare il gemello, ma prima di essere tratto in salvo Z era stato ridotto in fin di vita a furia di torture. Un tuffo nell'acqua salata dell'oceano aveva rimarginato le numerose ferite. Oltre a quell'intrico di cicatrici, Zsadist conservava ancora sulla pelle i tatuaggi da schiavo, insieme a svariati piercing che aveva aggiunto lui stesso. Perché gli piaceva soffrire. Zsadist era il più pericoloso dei fratelli, senza dubbio. Dopo tutto quello che aveva passato, non gliene fregava un cazzo di niente e di nessuno. Nemmeno del suo gemello. Persino Wrath si guardava alle spalle quando aveva intorno quel guerriero. Già, la Confraternita del Pugnale Nero era un gruppo davvero formidabile. Il solo baluardo che si frapponeva tra la popolazione civile dei vampiri e i lesser. Incrociando le braccia al petto, Wrath si guardò intorno nella stanza e, soffermandosi su ciascuno dei fratelli, vide i loro punti di forza ma soprattutto le loro sventure. La morte di Darius gli ricordava che, per quanto i suoi guerrieri infliggessero dei duri colpi alle legioni di assassini della Lessening Society, erano troppo pochi per combattere degnamente contro quella inesauribile schiera di lesser in grado di autoriprodursi in continuazione. Perché gli umani dotati di un interesse e di un talento particolari per uccidere erano un'infinità. Molto semplicemente, i numeri non giocavano a favore della razza. Non poteva ignorare il fatto che i vampiri non vivevano in eterno, che i membri della confraternita potevano morire sul campo e che in un attimo l'equilibrio vigente poteva capovolgersi a vantaggio dei nemici. Anzi, quel capovolgimento si era già verificato. Sin da quando l'Omega aveva creato la Lessening Society, milioni e milioni di anni prima, la popolazione dei vampiri si era assottigliata al punto che adesso sopravviveva solo in poche enclave. La loro specie stava flirtando con l'estinzione. Anche se i fratelli erano abilissimi in quello che facevano. Se Wrath fosse stato un tipo diverso di re - uno come suo padre, che anelava a essere l'adorato, il riverito pater familias della specie -, forse il futuro sarebbe apparso più roseo. Ma il figlio non era come il padre. Wrath era un combattente, non un capo, e si sentiva più a suo agio in piedi con un pugnale in mano piuttosto che seduto a lasciarsi idolatrare. Il vampiro tornò a concentrarsi sui fratelli. I guerrieri ricambiarono lo sguardo, in attesa di ordini. La loro deferenza lo rendeva nervoso. «Ho deciso di considerare la morte di Darius un affronto personale» disse. Ci fu un basso grugnito di approvazione da parte dei fratelli. Wrath tirò fuori il portafogli e il cellulare sottratti al membro della Lessening Society che aveva ucciso. «Stanotte ho preso questi a un lesser, dietro Screamer's. Qualcuno di voi vuole fare gli onori di casa?» Gettò i due oggetti per aria. Phury li afferrò entrambi al volo e passò il telefono a Vishous. Wrath si mise a camminare avanti e indietro. «Dobbiamo ricominciare con le incursioni.» «Giustissimo» ringhiò Rhage. Ci fu un lampo metallico seguito dal rumore di un coltello che veniva conficcato in un tavolo. «Dobbiamo stanarli dove si addestrano. Dove vivono.» Ciò significava che i fratelli dovevano andare in avanscoperta. I membri della Lessening Society non erano stupidi. Cambiavano periodicamente i loro centri operativi trasferendo di continuo da un luogo all'altro le strutture di reclutamento e addestramento. Per questo motivo i vampiri guerrieri di solito trovavano più pratico trasformarsi in bersagli per colpire proprio i lesser che davano loro la caccia. Di tanto in tanto, in passato, la confraternita aveva effettuato raid notturni sterminando dozzine di lesser in una volta sola. Quel genere di tattica offensiva era rara, tuttavia. Gli attacchi a tutto campo erano efficaci, ma anche insidiosi. Le battaglie in grande stile, infatti, tendevano ad attirare l'attenzione dei poliziotti umani, e mantenere un basso profilo era nell'interesse generale. «Qui c'è una patente di guida» borbottò Phury. «Indagherò sull'indirizzo... è di queste parti.» «A che nome?» chiese Wrath. «Robert Strauss.» Vishous imprecò esaminando il cellulare. «Qui non c'è granché. Qualcosa nel registro chiamate, qualche numero memorizzato in rubrica. Mi metterò al computer per cercare di scoprire chi lo chiamava e quali telefonate ha fatto lui.» Wrath digrignò i denti. Impazienza e rabbia erano un cocktail terribile da mandare giù. «Non c'è bisogno che vi dica di fare in fretta. È impossibile sapere se il lesser che ho ammazzato stanotte è il responsabile dell'attentato, quindi sto pensando di dare una bella ripulita all'intera zona. Di eliminarli tutti, anche a costo di fare una carneficina.» Il portone si spalancò e Zsadist entrò con passo deciso. Wrath lo guardò truce. «Gentile da parte tua farti vivo, Z. Stanotte avevi da fare con qualche femmina?» «Che ne diresti di non cagarmi il cazzo?» ribatté Zsadist andando a mettersi in un angolo, lontano dal resto del gruppo. «E tu dove sarai, mio signore?» chiese in tono mellifluo Tohrment. Buon vecchio Tohr. Sempre ansioso di mantenere la pace, cambiando discorso con una battuta di spirito, con una domanda, oppure passando alle minacce belle e buone. «Qui. Io me ne starò qui. Se il lesser che ha liquidato Darius è vivo e ha voglia di giocare ancora un po', voglio essere disponibile e facile da rintracciare.» Dopo che i guerrieri se ne furono andati, Wrath si infilò il giubbotto. Fu allora che la lettera di Darius gli punzecchiò il fianco, e lui la sfilò dalla cintura. Sul davanti c'era una striscia di inchiostro che immaginò essere il nome. Aprì la busta strappandola. Mentre estraeva un foglio color crema, una fotografia svolazzò fino a terra. Wrath la raccolse ed ebbe una vaga visione di una lunga capigliatura nera. Una femmina. Rimase a fissare il foglio. La calligrafia era tutta appiccicata, uno scarabocchio indistinto e privo di significato che non aveva nessuna speranza di decifrare per quanto di sforzasse di metterlo a fuoco. «Fritz!» gridò. Il maggiordomo arrivò di corsa. «Leggi.» Fritz prese il foglio e chinò il capo, in silenzio. «Ad alta voce» sibilò spazientito Wrath. «Oh. Mi scusi, padrone.» Fritz si schiarì la gola. «"Se ancora non ho avuto modo di parlarti, chiedi i particolari a Tohrment. 1188 Redd Avenue, interno 1-B. Si chiama Elizabeth Randall. P.S. La casa e Fritz sono tuoi se lei non dovesse raggiungere l'età adulta. Spiacente che sia dovuta finire così presto. D."» «Figlio di puttana» bofonchiò Wrath. CAPITOLO 5 Beth si era già cambiata. Indossava la consueta tenuta notturna costituita da boxer e T-shirt e stava sistemando il futon quando Boo si mise a miagolare rivolto verso la vetrata scorrevole. Il gatto camminava nervosamente in circolo, gli occhi fissi su qualcosa all'esterno. «Stai ancora puntando la soriana della signora Di Gio? Ci siamo già passati una volta e non è andata bene, ricordi?» Qualcuno bussò con forza alla porta d'ingresso, Beth voltò la testa di scatto, il cuore in gola. Avvicinò l'occhio allo spioncino. Quando vide di chi si trattava si girò, appoggiandosi con la schiena contro i pannelli di legno scadente dell'uscio. Da fuori ricominciarono a bussare. «Lo so che ci sei» disse Ossoduro. «E non smetterò finché non mi aprirai.» Beth fece scattare le serrature e spalancò la porta. Prima che avesse il tempo di mandarlo all'inferno, il detective era già entrato come una furia. Boo inarcò la schiena soffiando. «Anch'io sono lieto di conoscerti, bel panterone.» La voce profonda e strascicata di O'Neal suonava del tutto fuori posto nell'angusto monolocale. «Come hai fatto a entrare nell'atrio?» chiese Beth chiudendo la porta. «Ho forzato la serratura.» «C'è un motivo particolare per cui hai scelto di scassinare il portone di questo palazzo, detective?» Con una scrollata di spalle O'Neal si sedette sulla malandata poltrona di Beth. «Ho pensato di fare una visitina a un'amica.» «E allora perché stai seccando proprio me?» «Bel posticino» disse lui guardandosi intorno. «Bugiardo.» «Ehi, per lo meno è tutto pulito. Il che è più di quanto possa dire del mio tugurio.» Gli occhi color nocciola del poliziotto si posarono sul viso di Beth e lì si fermarono. «Allora, parliamo un po' di quello che è successo quando sei uscita dal lavoro, stasera, ti va?» Lei incrociò le braccia al petto. Lui ridacchiò sottovoce. «Cristo, cos'ha José che io non ho?» «Vuoi carta e penna? L'elenco è lungo.» «Oh. Sei gelida, lo sai?» ribatté lui in tono divertito. «Di' un po', ti piacciono solo quelli già occupati?» «Senti, sono distrutta...» «Già, sei uscita tardi dal lavoro. Alle dieci meno un quarto o giù di lì. Ho parlato con il tuo capo. Dick ha detto che eri ancora alla tua scrivania quando lui è andato da Charlie's. Sei tornata a casa a piedi, giusto? Passando per Trade Street. Proprio come fai ogni sera, ci scommetto. Ed eri da sola. Per un po', almeno.» Beth deglutì quando un rumore soffocato attirò il suo sguardo verso la vetrata scorrevole. Boo aveva ripreso a camminare in circolo e a miagolare, gli occhi puntati nelle tenebre all'esterno dell'appartamento. «Allora, hai intenzione di dirmi o no che cosa è successo quando sei arrivata all'incrocio fra la Trade e la Decima?» Lo sguardo di O'Neal si ammorbidì. «Come fai a sapere...» «Tu dimmelo e basta. E io ti garantisco che quel gran figlio di puttana avrà quello che si merita. È una promessa.» In piedi nella notte immota, Wrath fissava la sagoma della figlia di Darius. Era alta, per essere una femmina umana, e aveva i capelli neri, ma questo era tutto quello che potevano dirgli i suoi occhi. Inspirò a fondo, ma non riuscì a percepirne l'odore. Le porte e le finestre di casa sua erano sbarrate e il vento che soffiava da ovest portava con sé un fetore dolciastro di spazzatura. Attraverso la porta chiusa, tuttavia, udiva il suono smorzato della sua voce. Stava parlando con qualcuno. Un uomo di cui all'apparenza non si fidava o che non le piaceva, perché rispondendogli si mangiava le parole. «Cercherò di essere il più delicato possibile» stava dicendo il tizio. Wrath rimase immobile mentre la ragazza si muoveva per andare a controllare fuori dalla vetrata. Guardava dritto nella sua direzione, ma lui sapeva che non poteva vederlo perché era immerso nella più fitta oscurità. La ragazza aprì la vetrata e mise fuori la testa, bloccando con il piede un gatto che tentava di uscire. Wrath rimase senza fiato quando venne investito dal suo odore. Era buonissimo. Faceva pensare a un fiore dal profumo intenso. Una rosa notturna, forse. Respirò a pieni polmoni chiudendo gli occhi mentre il suo corpo reagiva, il sangue si infiammava. Darius aveva ragione: era alle soglie della transizione. Lo capiva dall'odore. Mezzosangue o no, era pronta per il cambiamento. La ragazza chiuse la porta a zanzariera e tornò a voltarsi verso l'ospite. Con la vetrata aperta, la voce gli giungeva molto più chiara e a Wrath piacque la sua sfumatura leggermente roca. «Hanno attraversato la strada e sono venuti verso di me. Erano in due. Quello più alto mi ha trascinata dentro il vicolo e...» Tutt'a un tratto Wrath si fece più attento. «Io ho cercato di lottare, di respingerlo, davvero. Ma lui era più grosso di me, e poi il suo amico mi ha bloccato le braccia...» S'interruppe ansimante. «Ha detto che mi avrebbe tagliato la lingua se mi fossi messa a gridare e io credevo che mi avrebbe ammazzata, sul serio. Poi mi ha strappato la camicetta e ha tirato su il reggiseno. C'è mancato poco che... Sono riuscita a liberarmi e a scappare. Aveva gli occhi azzurri, i capelli castani e un orecchino, un diamante quadrato, al lobo sinistro. Indossava una polo blu scuro e dei pantaloncini color cachi. Non ho visto bene le scarpe. Il suo amico era biondo, capelli corti, niente orecchini; aveva una T-shirt bianca con stampato sopra il nome di quella band locale, i Tomato Eater.» L'uomo si alzò e le andò vicino. La circondò con un braccio cercando di stringerla al petto, lei però si scostò subito allontanandosi di qualche passo. «Pensi davvero di poterlo prendere?» chiese. L'uomo annuì. «Sì.» Quando uscì dall'appartamento di Beth Randall, il detective O'Neal era di pessimo umore. Vedere una donna picchiata era una parte del suo mestiere che non gli andava giù, e nel caso di Beth lo trovava particolarmente ripugnante perché la conosceva già da un po' e provava una certa attrazione nei suoi confronti. Il fatto che fosse una donna di rara bellezza non lo rendeva certo più grave, ma il labbro gonfio e i lividi sul collo spiccavano come difetti macroscopici nell'assoluta perfezione dei lineamenti. Beth Randall era un vero schianto, su questo non c'erano dubbi. Lunghi capelli neri, due occhi di un azzurro incredibile, candida pelle di pesca e una bocca fatta apposta per essere baciata. Ed era anche ben carrozzata. Gambe lunghe, vita sottile, seni perfettamente proporzionati. Gli uomini della stazione di polizia erano tutti innamorati di lei, ma a onor del vero Beth non aveva mai approfittato della propria avvenenza per carpire informazioni riservate. Lei manteneva tutto su un piano molto professionale. Non era mai uscita con nessuno dei ragazzi, anche se la maggior parte di loro avrebbero fatto carte false anche solo per tenerle la mano. Una cosa era sicura: il suo aggressore aveva commesso un errore madornale, quando aveva scelto lei. L'intero corpo di polizia della città avrebbe dato addosso a quell'idiota, una volta scoperto chi fosse. E O'Neal non sapeva tenere la bocca chiusa. Salì sull'auto civetta e si diresse verso il complesso del St. Francis Hospital, dall'altra parte della città. Parcheggiò lungo il marciapiede davanti al pronto soccorso e s'infilò nella porta girevole. La guardia all'ingresso lo accolse con un sorriso. «Sta andando alla camera mortuaria, detective?» «No. Vado a trovare un amico.» L'uomo lo invitò a passare con un gesto della mano. O'Neal attraversò la sala d'attesa con le sue piante di plastica, le riviste stropicciate e le persone in ansia. Con una spinta aprì una serie di porte a battenti inoltrandosi sempre di più in quell'ambiente asettico e immacolato, diretto al banco dove i pazienti venivano smistati in base alla priorità di urgenza. Lungo la strada salutò con un cenno del capo le infermiere e i dottori di sua conoscenza. «Ehi, Doug, sai qualcosa del tizio che abbiamo portato qui con il naso rotto?» Il medico di guardia alzò gli occhi dal grafico che stava esaminando. «Sì, stiamo per dimetterlo. È in fondo al corridoio, stanza ventotto.» L'internista si lasciò sfuggire una risatina. «Ti dirò, il naso era l'ultimo dei suoi problemi. Per un po' dovrà rinunciare a prendere le note basse.» «Grazie, amico. A proposito, come sta la mogliettina?» «Bene. Dovrebbe partorire la settimana prossima.» «Fammi sapere com'è andata.» O'Neal si diresse verso il fondo del reparto. Prima di entrare nella stanza numero ventotto guardò a destra e a sinistra nel corridoio. Era tutto tranquillo. In giro non c'era nessuno del personale medico, niente visitatori né ricoverati. Aprì la porta e infilò dentro la testa. Billy Riddle alzò gli occhi. Una fasciatura bianca gli correva sotto il naso, quasi servisse a tenergli il cervello dentro la zucca. «Che cosa c'è, agente? Avete trovato il tizio che mi ha conciato così? Sto per essere dimesso e mi sentirei molto meglio sapendo che l'avete arrestato.» O'Neal chiuse la porta e in silenzio fece scattare la serratura. Sorrideva mentre attraversava la stanza studiando il diamante quadrato che brillava al lobo sinistro del ragazzo. «Come va il naso, caro il mio Billy?» «Bene. E l'infermiera era un gran bel pezz...» O'Neal afferrò quel fichetto per il davanti della polo blu, sollevandolo di peso. Poi lo sbatté contro il muro talmente forte che i macchinari dietro il letto tremarono. Quindi avvicinò la faccia a quella dell'aggressore di Beth, così vicino che avrebbero potuto baciarsi. «Ti sei divertito, stasera?» Un paio di occhi azzurri sgranati incrociarono i suoi. «Di cosa sta parlando...» Il detective lo sbatté di nuovo contro il muro. «Qualcuno ti ha identificato senza ombra di dubbio. La donna che hai cercato di violentare.» «Non sono stato io!» «Sì, figuriamoci. E data la tua simpatica minaccia a proposito della sua lingua e del tuo coltello, potrei anche avere abbastanza elementi per sbatterti a Dannemora. Hai mai avuto un fidanzato, Billy? Scommetto che farai furore, in galera. Un bel ragazzo come te.» Riddle diventò bianco come le pareti della stanza. «Ma se non l'ho neanche toccata!» «Ti dirò una cosa, Billy. Se sarai sincero con me, e se mi dirai dov'è il tuo compare, forse potrai andartene da qui con le tue gambe. Altrimenti alla stazione di polizia ti ci porto in barella.» Riddle parve riflettere per un istante sulla proposta. Poi le parole gli uscirono di bocca come un fiume in piena. «È lei che lo ha voluto ! Mi implorava...» O'Neal sollevò il ginocchio premendolo contro l'inguine del ragazzo. Uno strillo acuto riecheggiò nell'aria. «È per questo che per una settimana dovrai fare pipì seduto?» Il fichetto cominciò a biascicare qualcosa e il poliziotto lo lasciò andare guardandolo scivolare giù fino al pavimento. Quando Riddle lo vide estrarre le manette, il piagnucolio aumentò di volume. O'Neal lo fece voltare in malo modo e fu tutt'altro che gentile anche quando gli avvicinò i polsi. Fece scattare le manette. «Sei in arresto. Hai il diritto di non parlare. Tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale. Hai diritto a un avvocato...» «Ha una vaga idea di chi è mio padre?» strillò Billy, come se tutt'a un tratto avesse ripreso fiato. «Le farà restituire il distintivo!» «Se non puoi permetterti di pagarne uno te ne verrà assegnato uno d'ufficio. Hai capito i tuoi diritti così come te li ho elencati?» «Vaffanculo!» O'Neal mise il palmo sulla nuca del ragazzo e gli premette il naso rotto contro il linoleum del pavimento. «Hai capito i tuoi diritti così come te li ho elencati?» Con un gemito Billy annuì, lasciando sul pavimento una scia di sangue fresco. «Bene. Adesso andiamo a compilare le scartoffie che ti riguardano. Non vorrei che poi qualcuno saltasse fuori a dire che non ho seguito la corretta procedura...» CAPITOLO 6 Boo! Vuoi piantarla, per favore?» Beth sprimacciò il guanciale e si rotolò su un fianco per guardare in faccia il gatto. L'animale ricambiò il suo sguardo e ricominciò a miagolare. Al chiarore della luce che aveva lasciato accesa in cucina, Beth lo vide raschiare con la zampa la porta a vetri. «Non credo proprio, caro il mio Boo. Tu sei un gatto casalingo. Gatto. Casalingo. Fidati di me, il mondo là fuori non è bello come sembra.» Beth chiuse gli occhi, ma all'ennesimo miagolio lamentoso gettò via le lenzuola, imprecando. Andò alla vetrata e guardò fuori. Fu allora che vide l'uomo. Era in piedi contro il muro nero del cortile, una sagoma scura molto più grossa delle altre familiari ombre proiettate dai bidoni della spazzatura e dal tavolo da picnic ricoperto di muschio. Con mani tremanti controllò che la porta fosse ben chiusa e poi andò a controllare le finestre. Erano chiuse tutte e due. Abbassò le tendine, afferrò il cellulare e tornò vicino a Boo. L'uomo si era mosso. Merda! Si stava avvicinando. Beth controllò di nuovo la serratura della porta e cominciò ad arretrare, colpendo con il piede il bordo del futon. Mentre inciampava all'indietro il telefono le sfuggì di mano rimbalzando fuori dalla sua portata. Cadde a peso morto sul materasso e, nell'impatto, prese un colpo di frusta al collo. Incredibile ma vero, la porta a vetri si aprì silenziosa, come se non fosse mai stata chiusa a chiave e lei non avesse mai fatto scattare la serratura. Ancora stesa sulla schiena, Beth si mise a scalciare selvaggiamente, aggrovigliando le lenzuola nel tentativo di spingersi lontano dall'intruso. Era un uomo enorme, con le spalle larghe come travi e le gambe che sembravano tronchi. Non riusciva a vederlo bene in faccia, ma la minaccia che trasudava da tutta la sua persona era una pistola puntata contro il suo petto. Mugolando rotolò sul pavimento strisciando lontano da lui, le ginocchia e i palmi che stridevano sul parquet. Alle sue spalle i passi dello sconosciuto risuonavano come rombi di tuono, sempre più forti. Acquattandosi, accecata dalla paura, Beth andò a sbattere contro il tavolo dell'ingresso ma non sentì alcun dolore. Le lacrime le rigavano le guance mentre implorava pietà, indietreggiando fino alla porta... Beth si svegliò di soprassalto. Aveva la bocca spalancata e un rumore assordante squarciava il silenzio dell'alba. Era lei. Stava urlando a squarciagola. Strinse le labbra con forza e le orecchie smisero subito di farle male. Trascinandosi fuori dal letto andò alla vetrata scorrevole e salutò i primi raggi di sole con un sollievo talmente intenso da restarne inebriata. Mentre il cuore rallentava, trasse un profondo respiro e controllò la porta. La serratura era chiusa e il cortile era deserto. Era tutto normale. Rise senza allegria. Era logico che avesse fatto un brutto sogno, dopo la brutta avventura della sera prima. La tremarella sarebbe durata per un bel pezzo, probabilmente. Decise di buttarsi sotto la doccia. Era distrutta, ma l'ultimo posto in cui voleva stare era nel suo appartamento, da sola. Le mancava la frenesia della redazione, voleva stare in mezzo a tutta quella gente, a quei telefoni e a quelle carte. Là si sarebbe sentita più al sicuro. Stava per entrare in bagno quando sentì una fitta al piede. Piegò il ginocchio e si tolse una scheggia di ceramica dalla spessa pelle del tallone. Si chinò e vide la ciotola che teneva sul tavolo dell'ingresso in frantumi sul pavimento. Accigliandosi, raccolse i cocci. Doveva averla fatta cadere quando era rincasata subito dopo l'aggressione. Via via che si addentrava nelle viscere della terra sotto la magione signorile di Darius, Wrath fu sopraffatto dallo sfinimento. Chiuse la porta a chiave dietro di sé, disarmato, e tirò fuori dall'armadio a muro un baule malconcio. Lo aprì e con un grugnito sollevò una lastra di marmo nero. Era un quadrato di un metro e venti spesso una decina di centimetri; Wrath lo depose al centro della stanza. Poi tornò verso il baule, prese un sacchetto di velluto e lo buttò sul letto. Si spogliò, fece una doccia e la barba, quindi tornò in camera da letto, nudo. Afferrò il sacchetto, sciolse il nastro di raso che lo teneva legato e versò sulla lastra di marmo una cascata di diamanti grezzi grossi come ciottoli. Il sacchetto vuoto gli cadde di mano fluttuando fino a terra. A capo chino, Wrath cominciò a parlare nella sua lingua madre. La voce si alzava e si abbassava sulle singole sillabe al ritmo del respiro, mentre rendeva omaggio al defunto. Alla fine, in silenzio, si inginocchiò sulla lastra di marmo sentendo le pietre che gli penetravano nella carne. Spostò il peso sui talloni, posò i palmi sulle cosce e chiuse gli occhi. Il rituale funebre prevedeva che passasse l'intera giornata immobile, sopportando il dolore, sanguinando in memoria dell'amico. Con gli occhi della mente rivide la figlia di Darius. Non sarebbe dovuto penetrare così in casa sua. L'aveva spaventata a morte, mentre tutto quello che voleva era presentarsi e spiegarle perché presto avrebbe avuto bisogno di lui. Voleva anche dirle che avrebbe dato la caccia all'umano che l'aveva molestata. Già, se l'era cavata magnificamente, come no. Non poteva andare peggio. Appena era entrato, lei era fuggita in preda al terrore e lui aveva dovuto cancellare i suoi ricordi e farla cadere in una leggera trance per calmarla. Dopo averla adagiata sul letto avrebbe voluto andarsene subito, ma non c'era riuscito. Era rimasto lì in piedi, immobile, a guardarla, valutando lo sfocato contrasto tra i suoi capelli neri e il candore del cuscino, respirandone il profumo. Divorato dal desiderio. Prima di uscire si era assicurato che porte e finestre fossero ben chiuse e poi si era voltato a guardarla un'ultima volta. Aveva pensato al padre, Darius. Wrath si concentrò sul dolore che si stava già insinuando nelle sue cosce. Mentre il sangue coloriva il marmo di rosso, vide il volto del guerriero defunto e sentì il legame che li aveva uniti in vita. Doveva onorare l'ultima richiesta del fratello. Gli doveva almeno questo per tutti gli anni in cui avevano servito insieme la razza. Anche se era per metà umana, la figlia di Darius non avrebbe più camminato di notte senza protezione. E non avrebbe affrontato la transizione da sola. Che Dio la aiutasse. Il detective O'Neal finì con gli incartamenti del caso Billy Riddle intorno alle sei di mattina. Il ragazzo non aveva gradito il gruppo di spacciatori e teppisti con cui gli era toccato condividere la cella di sicurezza, quindi Butch ce l'aveva messa tutta per infarcire quanto più possibile i rapporti di errori, e poi - chi l'avrebbe mai detto? l'amministrazione centrale continuava a fare confusione sui moduli da compilare. E le stampanti si erano inceppate. Tutte e ventitré. Ma anche così Riddle non sarebbe rimasto a lungo alla stazione di polizia. Suo padre era un uomo potente, in effetti, un senatore, perciò qualche avvocato di grido lo avrebbe fatto rimettere in libertà in quattro e quattr'otto. Probabilmente nel giro di un'ora. Perché quello era il sistema giudiziario. I soldi aprivano le porte e i delinquenti potevano andarsene in giro indisturbati. Non che O'Neal fosse amareggiato o roba del genere. Mentre si dirigeva verso l'atrio incappò in uno degli ospiti fissi della centrale, Cherry Pie. Dovevano averla appena rilasciata dalla sezione femminile. Il suo vero nome era Mary Mulcahy e, da quello che O'Neal aveva sentito, batteva il marciapiede da una ventina d'anni. «Ehi, detective» miagolò sensuale lei. Il rossetto scarlatto si era sciolto agli angoli della bocca e l'eyeliner nero era tutto sbavato. Sarebbe stata carina, pensò O'Neal, se non si fosse più fatta di crack e avesse dormito per almeno un mese di seguito. «Va a casa da solo?» «Come sempre.» Le tenne la porta aperta mentre uscivano insieme. «La sua mano sinistra non si stanca mai, dopo un po'?» O'Neal rise mentre entrambi si fermavano a guardare il cielo. «Allora come te la passi, Cherry?» «Io sto sempre bene.» Si infilò una sigaretta tra i denti e l'accese senza staccargli gli occhi di dosso. «Sa, se per caso i servizietti solitari le vengono a noia può sempre chiamarmi. Per lei lo farei gratis, perché è proprio un gran bel figlio di buona donna. Ma non lo dica a Big Daddy.» Sbuffò fuori una nuvola di fumo, massaggiandosi soprappensiero l'orecchio sinistro a cui mancava la metà superiore. Cristo, quel suo pappone doveva essere un cane rabbioso. Cominciarono a scendere i gradini di cemento della centrale. «Hai dato un'occhiata a quel programma di cui ti ho parlato?» chiese O'Neal quando arrivarono sul marciapiede. Stava aiutando un amico ad avviare un gruppo di sostegno per prostitute per incoraggiarle a liberarsi dei protettori e a smetterla di fare la vita. «Oh, sì, certo. Bello» disse Cherry con un sorriso. «Ci si vede.» «Sfammi bene.» La ragazza si voltò, dandosi una gran pacca sulla natica destra. «Ci pensi, questa roba potrebbe essere sua.» O'Neal la seguì per un po' con lo sguardo mentre camminava sculettando lungo la strada. Poi salì su un'auto civetta e, d'impulso, attraversò la città per tornare nella zona di Screamer's. Parcheggiò di fronte a McGrider's. Un quarto d'ora dopo una donna in blue-jeans attillati e maglietta nera che lasciava scoperto l'ombelico uscì dal locale; il cielo cominciava a rischiarare e lei batté le palpebre alla luce, come fanno i miopi. Quando vide l'auto del detective si diede una sistemata ai capelli castano ramati e si avvicinò. Lui abbassò il finestrino e lei si sporse all'interno baciandolo sulle labbra. «È un bel pezzo che non ti fai vedere. Ti senti solo, Butch?» disse contro la sua bocca. Odorava di birra e ciliegie al maraschino, il profumo di ogni barista alla fine di una lunga nottata. «Sali» disse lui. Lei girò davanti alla macchina e scivolò al posto del passeggero. Chiacchierarono di com'era andata la serata, mentre O'Neal si dirigeva verso il fiume. Lei era delusa dalle mance che anche stavolta erano state misere e i piedi le facevano un male cane per tutto quel correre su e giù dietro il bancone. Lui parcheggiò sotto il ponte a campata unica che attraversava l'Hudson collegando le due metà di Caldwell e si assicurò di essere abbastanza lontano dai senzatetto stesi sui loro giacigli di stracci. Non c'era motivo di avere un pubblico. Abby aveva un gran pregio, bisognava riconoscerlo, pensò O'Neal: era veloce. Non aveva ancora spento il motore che lei già gli aveva sbottonato i calzoni e si stava lavorando con vigore la sua erezione. Quando tirò giù il sedile lei gli montò sopra cominciando a sfregargli il naso sul collo. Oltre i ricci della permanente, Butch guardava l'acqua. La luce del sole era così bella, pensò, ammirando il modo in cui screziava la superficie del fiume. «Mi ami, baby?» gli sussurrò all'orecchio lei. «Sì, certo.» Le lisciò i capelli all'indietro e la guardò negli occhi. Erano assenti. Lui avrebbe potuto essere chiunque, ed era per questo che la loro relazione funzionava. Il suo cuore era vuoto come lo sguardo di Abby. CAPITOLO 7 Quando Mr X attraversò il parcheggio diretto alla Caldwell Marnai Arts Academy, l'Accademia di Arti Marziali di Caldwell, fu investito dal profumo di krapfen proveniente dal Dunkin' Donuts dall'altra parte della strada. Quell'effluvio, quel delizioso, penetrante odore di farina, zucchero e olio bollente era fortissimo, nell'aria mattutina. Si voltò e da sopra la spalla vide un uomo che usciva dal negozio con due scatole bianche e rosa sotto il braccio e un enorme bicchierone di caffè nell'altra mano. Quello sì che sarebbe un bel modo di cominciare la giornata, pensò Mr X. Salì sul marciapiede che correva sotto il tendone rosso e oro dell'accademia. Si fermò per chinarsi a raccogliere un bicchiere di plastica abbandonato; chi lo aveva usato era stato attento a lasciare due dita di soda sul fondo in modo che i suoi mozziconi di sigaretta potessero galleggiarvi in attesa che qualcun altro li buttasse via. Mr X gettò quello schifo nella spazzatura e aprì con la chiave le porte dell'accademia. La sera prima la Lessening Society aveva segnato una svolta nella guerra contro i vampiri, e il merito era tutto suo. Darius era una potenza, un membro della Confraternita del Pugnale Nero. Un trofeo eccezionale. Era un vero peccato che del cadavere non fosse rimasto nulla da esibire, ma la bomba piazzata da Mr X aveva fatto egregiamente il suo lavoro. Era a casa ad ascoltare la frequenza della polizia grazie allo scanner quando era giunta la notizia. L'operazione era andata in tutto e per tutto secondo i piani. Perfettamente eseguita, perfettamente anonima. Perfettamente letale. Cercò di ricordare l'ultima volta in cui un membro della confraternita era stato tolto di mezzo. Molto prima che lui entrasse a far parte nella Società, decenni fa, senza dubbio. In effetti si aspettava di ricevere delle congratulazioni, non che simili riconoscimenti servissero a motivarlo. Aveva persino pensato di ricavarne un premio, un'espansione della propria sfera di influenza, magari, oppure un allargamento dell'area geografica in cui operare. Ma la ricompensa... la ricompensa era stata superiore alle aspettative. L'Omega gli aveva fatto visita un'ora prima dell'alba conferendogli tutti i diritti e i privilegi di Fore-lesser, una sorta di Primo tra i minori. Capo della Lessening Society. Era una responsabilità spaventosa. E proprio quello cui ambiva MrX. Il potere era la sola forma di encomio che lo interessava. Si diresse a grandi passi verso il suo ufficio. Le lezioni non sarebbero cominciate prima delle nove, quindi aveva tutto il tempo di stabilire alcune nuove regole per i sottoposti all'interno della Società. Dopo che l'Omega se n'era andato, il suo primo impulso era stato quello di diramare un annuncio ufficiale, ma sarebbe stato poco saggio. Un capo doveva riordinare le idee prima di parlare, non si precipitava sul podio per farsi adorare. L'ego, dopotutto, era alla radice di ogni male. Perciò, invece di gongolare, era uscito e si era seduto su una sedia a sdraio a contemplare il prato dietro casa. Nel chiarore dell'alba aveva passato in rassegna i punti forti e i punti deboli dell'organizzazione, lasciando che l'istinto gli mostrasse la via per gestirli entrambi. Dall'iniziale groviglio di immagini e pensieri erano emersi alcuni modelli, e il futuro era diventato chiaro. Adesso, seduto dietro la scrivania, entrò nel sito web criptato della Società e mise in chiaro che c'era stato un cambio al vertice. Ordinò ai lesser di recarsi all'accademia alle quattro di quel pomeriggio, ben sapendo che alcuni avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio, mai comunque superiore alle otto ore di macchina. Chi non si fosse presentato sarebbe stato espulso e braccato come un cane. Radunare tutti i lesser in un unico luogo era un evento raro. In quel momento oscillavano tra le cinquanta e le sessanta unità in totale, a seconda delle uccisioni che la confraternita metteva a segno ogni notte e del numero di nuove reclute che entravano in servizio. I membri della Società vivevano tutti all'interno o nelle vicinanze del New England. Quella concentrazione nel nordest degli Stati Uniti era dettata dalla prevalenza di vampiri in quell'area. Qualora la popolazione dei vampiri si fosse spostata, altrettanto avrebbe fatto la Società. Così com'era sempre accaduto nel corso delle tante generazioni succedutesi durante la guerra tra lesser e vampiri. Mr X era consapevole del fatto che riunire in massa i lesser a Caldwell era rischioso. Per la maggior parte li conosceva già, e alcuni anche piuttosto bene, ma voleva che tutti lo vedessero, lo ascoltassero e lo valutassero. Specialmente adesso che intendeva ridefinire gli obiettivi. Convocare la riunione di giorno era ugualmente importante, se volevano essere sicuri di non subire imboscate da parte della confraternita. Tanto, con gli umani impiegati all'accademia, poteva facilmente farla passare per un seminario sulla tecnica delle arti marziali. Il raduno si sarebbe svolto nell'ampia sala conferenze al pianterreno, a porte chiuse, in modo da evitare interruzioni e interferenze da parte di estranei. Prima di uscire dal sito inviò a tutti un resoconto di come aveva eliminato Darius perché desiderava che gli assassini membri della Società lo vedessero per iscritto. Descrisse nel dettaglio il tipo di bomba utilizzata, il procedimento da seguire per confezionarne una a partire da zero e il metodo che consentiva di collegare il detonatore al sistema di accensione di un'automobile. Una volta piazzato l'ordigno, il resto era facilissimo. Bastava innescarlo e, non appena si avviava il motore, chiunque si trovasse all'interno dell'abitacolo veniva ridotto in cenere. Per quella frazione di secondo di gratificazione, Mr X era stato alle costole del guerriero Darius per un anno, osservandolo e studiandone i movimenti con cura. Poi, due giorni prima, si era introdotto nella concessionaria dei Fratelli Greene, dove il vampiro aveva portato la sua BMW serie 6 per una revisione. In quell'occasione aveva installato l'ordigno esplosivo; la sera, passando accanto all'automobile, aveva attivato l'innesco grazie a un radiotrasmettitore, senza neanche rallentare il passo. Decise però di tenere per sé il lungo sforzo di concentrazione necessario a pianificare l'attentato. Voleva che i suoi lesser lo credessero capace di eseguire una mossa tanto impeccabile per puro capriccio. L'immagine e la percezione giocavano un ruolo decisivo nel creare i fondamenti del potere, e lui voleva cominciare da subito a costruire la sua credibilità come comandante. Uscì dal sito e si appoggiò all'indietro sulla sedia, unendo le punte delle dita. Sin da quando vi era entrato, l'obiettivo della Società era stato quello di ridurre la popolazione dei vampiri eliminando i civili. Questo sarebbe rimasto lo scopo principale, naturalmente, ma con il suo primo decreto Mr X intendeva impostare una nuova strategia. La chiave per vincere la guerra era togliere di mezzo la confraternita. Senza quei sei guerrieri, i civili sarebbero rimasti completamente privi di difese di fronte ai lesser. Quella tattica non era una vera e propria novità, era già stata tentata più volte in passato e poi abbandonata quando i fratelli si erano rivelati troppo aggressivi o troppo sfuggenti per essere eliminati. Con la morte di Darius però la Società aveva ottime probabilità di successo. E poi si doveva pur introdurre qualche cambiamento. Per come andavano le cose al momento, la confraternita faceva fuori centinaia di lesser ogni anno costringendo la Lessening Society a rimpolpare le proprie fila con assassini novelli privi di esperienza. Le reclute costituivano un problema. Erano difficili da trovare, difficili da affiliare e meno efficienti dei membri anziani. Questo bisogno costante di reclutare sempre nuove leve costituiva una debolezza cruciale della Società. I centri di addestramento come la Caldwell Martial Arts Academy svolgevano un ruolo importante nell'identificare gli umani da arruolare, ma rappresentavano anche dei punti deboli. Evitare interferenze da parte della polizia umana - e al tempo stesso proteggersi dall'assedio della confraternita - richiedeva una vigilanza costante e frequenti traslochi. I continui trasferimenti da un luogo all'altro erano un'enorme seccatura, d'altronde in quale altro modo la Società avrebbe potuto mantenere alto il numero degli affiliati senza che le sue basi operative subissero degli attacchi a sorpresa? Mr X scosse la testa. Prima o poi avrebbe avuto bisogno di un luogotenente, anche se ancora per qualche tempo ne avrebbe fatto a meno. Per fortuna, nulla di ciò che si apprestava a fare era particolarmente complicato. Era tutta strategia militare di base. Schierare le proprie forze, coordinarle, acquisire informazioni sul nemico, avanzare in modo logico e disciplinato. Quel pomeriggio avrebbe schierato le sue forze. Quanto al coordinamento, avrebbe suddiviso gli assassini in squadroni insistendo affinché cominciassero a incontrarsi regolarmente con lui in piccoli gruppi. E le informazioni? Se volevano sgominare la confraternita dovevano sapere dove trovare i fratelli. Sarebbe stata un'impresa difficile, anche se non impossibile. Quei sei guerrieri erano un gruppo guardingo, sospettoso, riservato, ma avevano comunque dei contatti con la popolazione civile. Dopotutto i fratelli dovevano pur abbeverarsi, e non potevano farlo tra loro. Avevano bisogno di sangue femminile. E le femmine, anche se per la maggior parte venivano custodite come preziose opere d'arte, avevano dei fratelli e dei padri che potevano essere convinti a parlare. Con i giusti incentivi, i vampiri maschi avrebbero rivelato dove andavano le loro donne e con chi si incontravano. E allora la confraternita sarebbe stata smascherata. Semplice. Questa era la chiave di volta di tutta la sua strategia: un programma coordinato di cattura e motivazione, imperniato sui maschi civili e sulle rare femmine che circolavano liberamente, avrebbe finito per condurli ai membri della confraternita. Per forza di cose. I fratelli, inferociti per la grossolanità con cui venivano sfruttati i civili, sarebbero usciti allo scoperto sfoderando i loro pugnali, o qualcuno avrebbe parlato, svelando i loro nascondigli. La soluzione migliore sarebbe stata scoprire dove i guerrieri trascorrevano le giornate. Attaccarli quando splendeva il sole, nel momento in cui erano più vulnerabili, era la linea di condotta con la maggiore probabilità di successo e il minor rischio di perdite da parte della Società. Tutto considerato, uccidere i vampiri civili era solo leggermente più difficile che mettere fuori combattimento un umano medio. Sanguinavano se li tagliavi, e il loro cuore cessava di battere se gli sparavi. E se li esponevi alla luce del sole si riducevano in cenere. Uccidere un membro della confraternita, invece, era una cosa ben diversa. I confratelli erano mostruosamente forti, ben addestrati e guarivano in fretta; erano una sottospecie a parte. Con un guerriero avevi un solo colpo a disposizione. E se non era mortale non tornavi a casa. Mr X si alzò dalla scrivania concedendosi un attimo per studiare il proprio riflesso nella finestra dell'ufficio. Capelli di un biondo slavato, carnagione pallida, occhi sbiaditi. Prima di entrare nella Società era rosso di capelli, adesso non ricordava più che aspetto avesse, all'epoca. Il suo futuro, però, gli era molto chiaro. E anche quello della Società. Uscendo chiuse la porta a chiave e percorse il corridoio piastrellato fino all'arena principale. Attese vicino all'ingresso, salutando con un cenno del capo gli allievi via via che entravano per la lezione di jujitsu. Quella era la sua classe preferita, un gruppo molto promettente di ragazzi tra i diciotto e i ventiquattro anni. Mentre i giovani in tenuta da jujitsu, ovvero gis bianco stretto in vita da una cintura, sfilavano davanti a lui chinando il capo e chiamandolo sensei, Mr X li valutò a uno a uno, notando come si guardavano in giro, come si muovevano, di che umore apparivano. Con gli allievi già in fila e pronti a cominciare l'allenamento, continuò a studiarli con cura, sempre attento a individuare potenziali reclute per la Società. Cercava la giusta combinazione di forza fisica, acutezza mentale e odio represso. Quando, negli anni '50, era stato avvicinato con la proposta di entrare nella Lessening Society, lui era un teppistello diciassettenne inserito in un programma contro la delinquenza minorile. L'anno prima aveva pugnalato suo padre al petto, dopo che il bastardo lo aveva picchiato per l'ennesima volta colpendolo alla testa con una bottiglia di birra. Aveva sperato di ucciderlo, ma disgraziatamente il padre ce l'aveva fatta ed era vissuto abbastanza a lungo da tornare a casa e ammazzare la madre di Mr X. Dopo, però, il caro vecchio paparino aveva almeno avuto il buon senso di farsi saltare le cervella con un fucile da caccia. Mr X aveva trovato il cadavere in occasione di una delle sue visite a casa, appena prima di essere preso e fagocitato dal sistema assistenziale. Quel giorno, mentre indugiava accanto al corpo privo di vita del genitore, aveva imparato che sbraitare contro i morti non era neppure lontanamente gratificante. Alla fin fine non c'era più nulla da ricavare da qualcuno già andato al Creatore. Visto chi lo aveva generato, non era certo un caso che Mr X avesse violenza e odio nel sangue. E uccidere i vampiri era uno dei pochi sbocchi socialmente accettabili per una vocazione omicida come la sua. La carriera militare era una noia. Troppe regole, e poi bisognava aspettare che ci fosse un nemico dichiarato prima di poter entrare in azione. Quanto a fare il serial killer, era un'attività su scala troppo ridotta. La Società, invece, era diversa. Lì aveva trovato tutto quello che desiderava da sempre. Fondi illimitati, la possibilità di uccidere tutte le volte che tramontava il sole, e poi, naturalmente, l'opportunità fondamentale di forgiare le generazioni future. Per esservi ammesso aveva dovuto vendere l'anima. Non era stato un problema: dopo quello che gli aveva fatto il padre, non gliene restava comunque molta. Dal suo punto di vista ci aveva soltanto guadagnato, non aveva il minimo dubbio. Aveva la garanzia di restare giovane e in perfetta salute fino al giorno della morte, che sarebbe stata determinata non da qualche fallimento biologico, per esempio un cancro o una cardiopatia, ma dalla sua stessa capacità di restare tutto intero. Grazie all'Omega lui era fisicamente superiore agli umani, la sua vista era perfetta e poteva fare quello che più gli piaceva. All'inizio l'impotenza sessuale lo aveva infastidito un tantino, poi ci aveva fatto l'abitudine. E anche la faccenda di non mangiare e di non bere... be', tanto in ogni caso non era mai stato un buongustaio. Senza contare che far scorrere il sangue era molto meglio del cibo e del sesso. Quando la porta dell'arena si spalancò all'improvviso, Mr X si voltò truce. Era Billy Riddle, con tutti e due gli occhi neri e il naso fasciato. Mr X inarcò un sopracciglio. «Oggi resti fuori, Riddle?» «Sì, sensei» rispose Billy chinando il capo. «Ma sono voluto venire lo stesso.» «Bravo.» Mr X gli mise un braccio intorno alle spalle. «Mi piace il tuo impegno. Senti un po', ti andrebbe di mettere alla prova i tuoi compagni durante il riscaldamento?» Billy si piegò in un profondo inchino, la poderosa schiena quasi parallela al pavimento. «Sensei.» «Forza, allora» lo incoraggiò Mr X con una pacca sulle spalle. «E non essere troppo tenero, dacci dentro.» Billy alzò gli occhi: aveva uno sguardo di fuoco. Mr X annuì. «Lieto di vedere che hai capito l'antifona, ragazzo.» Quando Beth uscì di casa si accigliò nel notare l'auto civetta parcheggiata dall'altra parte della strada. José scese e trotterellò verso di lei. «Ho sentito quello che è successo.» Gli occhi del poliziotto indugiarono sul labbro della ragazza. «Come ti senti?» «Meglio.» «Vieni, ti do uno strappo fino al lavoro.» «Grazie, ho voglia di fare due passi a piedi.» José fece una faccia come se volesse mettersi a discutere, quindi Beth gli toccò il braccio. «Non voglio che questa cosa mi terrorizzi al punto da non poter più vivere la mia vita. Presto o tardi dovrò ripassare da quel vicolo, e allora tanto vale farlo di mattina, in piena luce.» José annuì. «Va bene. Però di sera chiama un taxi, altrimenti uno di noi passerà a prenderti.» «José...» «Mi fa piacere che la vediamo allo stesso modo» tagliò corto lui attraversando la strada. «Oh, immagino tu ancora non sappia cos'ha combinato Butch O'Neal, ieri sera.» Beth quasi non osava chiedere. «Che cosa?» «Ha fatto una visitina a quel fichetto. Da quel che ho capito il ragazzo ha dovuto farsi riaggiustare il naso dopo che il nostro bravo detective se lo è lavorato per benino.» José aprì la portiera dell'auto e si lasciò cadere pesantemente sul sedile. «Allora, oggi ti fai vedere?» «Certo, voglio saperne di più su quell'autobomba.» «Proprio come pensavo. A tra poco.» La salutò agitando la mano e si staccò dal marciapiede. Alle tre del pomeriggio, però, Beth non era ancora riuscita a fare un salto alla stazione di polizia. In ufficio tutti avevano voluto sapere quello che le era capitato, e poi Tony aveva insistito per portarla fuori a pranzo. Dopo essere tornata nel suo cubicolo rotolando, piena come un uovo, aveva passato il pomeriggio masticando Tums e gingillandosi con la posta elettronica. Sapeva di avere del lavoro da sbrigare, ma non era proprio giornata per finire l'articolo che aveva buttato giù su quelle armi rinvenute dalla polizia. E non aveva scadenze urgenti da rispettare. Dick non aveva nessuna fretta di affidarle la prima pagina della sezione Metropoli. No, quello che lui le dava era solo lavoro di revisione. Gli ultimi due pezzi che le aveva lasciato sulla scrivania erano già stati abbozzati dalle «grandi firme» del giornale e Dick voleva solo che lei verificasse i fatti. Attenersi agli standard cui si era abituato quando lavorava al «New York Times», dimostrandosi un maniaco della precisione, era in effetti uno dei suoi punti di forza. Peccato non gli importasse nulla dell'equità sul lavoro: per quante correzioni facesse, Beth non si era ancora guadagnata il diritto di firmare un articolo insieme a uno dei grandi vecchi del giornale. Erano quasi le sei quando terminò di rivedere i due pezzi; mentre li lasciava cadere nella vaschetta del lavoro in entrata sulla scrivania di Dick, pensò di saltare a pie pari il giro alla stazione di polizia. La sera prima Butch aveva raccolto la sua versione dei fatti e non c'era nient'altro che lei potesse fare per il caso. E, soprattutto, si sentiva a disagio all'idea di trovarsi sotto lo stesso tetto con il suo aggressore, anche se lui era rinchiuso in una cella di sicurezza. E per di più era stanca morta. «Beth!» Trasalì nel sentire la voce di Dick. «Non ho tempo, sto andando in centrale» gridò lei da sopra la spalla. La strategia di fuga non lo avrebbe scoraggiato per molto, pensò, ma almeno per quella sera evitava di sorbirselo. E poi voleva saperne di più sulla bomba. Uscì di volata dall'ufficio e camminò per sei isolati in direzione est. L'edificio della stazione di polizia era un tipico esempio dell'architettura municipale degli anni '60. A due piani, di forma irregolare, moderno per i suoi tempi, con un mucchio di cemento grigio pallido e una sfilza di strette finestrelle. Stava invecchiando senza nessuna grazia. Strisce nere correvano lungo i lati come se stesse sanguinando da una ferita sul tetto, e anche l'interno faceva pensare a un malato terminale. Soltanto orrendo linoleum verde pallido con striature più chiare, pareti rivestite in finto legno e rifiniture marroni scheggiate. Dopo quarant'anni di pulizie, lo sporco più ostinato si era infilato dentro ogni crepa e ogni fessura, e tutto quel sudiciume non sarebbe venuto via senza l'energico intervento di una pistola ad acqua o di uno spazzolino da denti. E magari anche di un ordine di sgombero da parte del tribunale. I poliziotti furono gentilissimi con lei. Non appena mise piede nell'edificio cominciarono a circondarla di attenzioni. Dopo averli tranquillizzati cercando di non commuoversi, Beth andò a scambiare due chiacchiere con un paio degli agenti al centralino. C'era stato qualche arresto per adescamento e per spaccio, per il resto era stata una giornata tranquilla. Stava per andarsene, quando dall'ingresso posteriore entrò O'Neal. Era in jeans e camicia e aveva in mano un K-way rosso. Gli occhi di Beth indugiarono sulla fondina assicurata alle spalle possenti e sul calcio nero della pistola che, mentre lui ciondolava le braccia camminando, mandava bagliori minacciosi. I capelli scuri erano umidi, come se avesse appena cominciato la giornata. Il che, considerato com'era stato impegnato la sera prima, era probabilmente la verità. Il detective andò dritto da lei. «Hai tempo per parlare?» Beth annuì. «Sì, certo.» Si diressero verso una delle stanze per gli interrogatori. «Tanto perché tu lo sappia, le telecamere e i microfoni sono spenti», disse lui. «Non è così che lavori di solito?» Lui sorrise e si sedette al tavolo, giungendo le mani. «Penso sia giusto informarti che Billy Riddle è fuori su cauzione. È stato rilasciato stamattina presto.» Beth si sedette. «Si chiama Billy Riddle? Vuoi scherzare.» Butch scosse la testa. «Ha diciott'anni. Nessun precedente da quando è maggiorenne, però trafficando con il computer sono riuscito a entrare di straforo nel suo fascicolo minorile e ho visto che il ragazzo si è dato da fare. Violenza sessuale, molestie, qualche furtarello. Il padre è un pezzo grosso, perciò l'amico ha un avvocato con i fiocchi, ma io ho parlato con il procuratore distrettuale. Cercherà di appioppargli dei capi d'accusa molto pesanti per evitarti di testimoniare al processo.» «Sono pronta a salire sul banco dei testimoni, se sarà necessario.» «Brava.» Butch si schiarì la voce. «Allora, come va?» «Bene.» Ossoduro non avrebbe fatto la parte del dottor Phil, con lei, non glielo avrebbe permesso. C'era qualcosa, nella durezza di Butch O'Neal, che le faceva venir voglia di apparire forte. «Dunque, a proposito di quell'autobomba, ho sentito che con ogni probabilità si trattava di plastico, e che il meccanismo di detonazione è saltato per aria con tutto il resto. Ha l'aria di essere un lavoro da professionisti.» «Hai già cenato, stasera?» Lei aggrottò la fronte. «No.» Considerato quello che aveva ingurgitato a pranzo, avrebbe fatto meglio a saltare anche la colazione del mattino dopo. Butch si alzò in piedi. «Bene. Stavo giusto per andare a mangiare da Tullah's.» Andò alla porta e la tenne aperta per lei. Beth rimase ferma. «Io non voglio cenare con te.» «Come vuoi. Allora immagino non ti interessi sapere quello che abbiamo trovato sull'altro lato del vicolo dov'era parcheggiata la macchina.» Uscì e la porta si richiuse lentamente dietro di lui. Non doveva cascarci per una cosa del genere, si disse Beth. Non doveva cascarci... Balzò su dalla sedia e lo seguì. CAPITOLO 8 In piedi nella sua immacolata camera da letto color panna, Marissa non sapeva come comportarsi. In quanto shellan di Wrath avvertiva la forza del suo dolore, sapeva che aveva perso un altro dei suoi fratelli guerrieri. Se il loro fosse stato un rapporto normale non avrebbe avuto dubbi: sarebbe andata da lui nel tentativo di alleviare la sua sofferenza, avrebbe parlato con lui oppure lo avrebbe abbracciato o avrebbe pianto insieme a lui. Scaldandolo con il proprio corpo. Perché era questo che le shellan facevano per i loro compagni. E anche quello che ricevevano in cambio. Lanciò un'occhiata all'orologio Tiffany sul comodino. Tra non molto Wrath sarebbe uscito nella notte. Se voleva vederlo doveva muoversi subito. Esitò, restia a illudersi. Non sarebbe stata la benvenuta. Quanto avrebbe voluto che fosse più facile dargli il suo appoggio, quanto avrebbe voluto capire quello che Wrath voleva da lei! Una volta, molto tempo prima, aveva parlato con la shellan di Tohrment: sperava che Wellsie fosse in grado di fornirle qualche suggerimento su come doveva comportarsi. Su come poteva convincere Wrath di essere degna di lui. Dopotutto, Wellsie aveva quello che anche Marissa voleva: un vero compagno, un uomo che tornava a casa da lei, che rideva e piangeva e condivideva la vita con lei. Che la teneva stretta. Un maschio che le restava accanto nei tormentosi momenti, rari per fortuna, in cui lei era fertile e alleviava con il suo corpo le terribili smanie che l'assalivano per tutta la durata del periodo del bisogno. Wrath non faceva nulla di tutto ciò per lei o con lei. In particolare non si curava dell'ultima parte. Per come stavano le cose, Marissa doveva andare dal fratello per cercare sollievo al suo bisogno. Havers allora l'anestetizzava, somministrandole dei tranquillanti fino a quando le voglie passavano. Era una pratica che imbarazzava entrambi. Per questo aveva sperato che Wellsie potesse aiutarla, ma la loro conversazione era stata un disastro. Gli sguardi addolorati dell'altra femmina e le sue risposte formulate con estrema cautela avevano messo a disagio tutte e due, ponendo ancor più in risalto tutto quello che Marissa non aveva. Dio, quanto si sentiva sola! Chiuse gli occhi, avvertendo ancora il dolore di Wrath. Doveva tentare di raggiungerlo. Perché lui stava soffrendo. E perché, cos'altro c'era nella sua vita, a parte lui? Sentiva che Wrath si trovava a casa di Darius. Trasse un profondo respiro e si smaterializzò. Wrath raddrizzò lentamente le ginocchia e si alzò in piedi sentendo le vertebre che tornavano a posto con uno scricchiolio. Con un gesto della mano si spazzolò via i diamanti dagli stinchi. Qualcuno bussò alla porta e lui la aprì, convinto che fosse Fritz. Quando sentì l'odore dell'oceano serrò le labbra. «Che cosa ti ha portata qui, Marissa?» chiese senza voltarsi. Andò in bagno e si coprì con un asciugamano. «Permettimi di lavarti, mio signore» mormorò lei. «Mi prenderò cura della tua pelle. Posso...» «Sto bene.» Lui guariva in fretta; i tagli sarebbero spariti quasi completamente prima dell'alba. Wrath andò all'armadio e passò in rassegna i vestiti. Scelse una camicia nera a maniche lunghe, un paio di calzoni di pelle e... oh, Gesù, e quello cos'era? Oh, no, per carità, per niente al mondo sarebbe andato a combattere con quella roba addosso. Meglio rinunciare alla biancheria intima piuttosto che farsi beccare dal nemico in mutande di marca. Per prima cosa doveva mettersi in contatto con la figlia di Darius. Sapeva che il tempo a sua disposizione era quasi scaduto, alla transizione mancava pochissimo. E poi doveva risentire Vishous e Phury per scoprire cos'era emerso dai resti di quel lesser morto. Stava per lasciar cadere l'asciugamano per prepararsi a entrare in azione quando ricordò che Marissa era ancora nella stanza. Si voltò verso di lei. «Vai a casa, Marissa» disse. Lei chinò il capo. «Mio signore, sento il tuo dol...» «Sto benissimo.» Lei esitò un istante. Poi in silenzio scomparve. Dieci minuti dopo Wrath entrò in soggiorno. «Fritz?» chiamò. «Sì, padrone?» Il maggiordomo pareva lieto di essere stato convocato. «Hai sottomano quei sigari rossi?» «Naturalmente.» Fritz si assentò un istante e tornò con un'antica scatola di mogano. Gliela mise davanti e sollevò il coperchio. Wrath prese un paio di sigaretti rollati a mano. «Se le piacciono posso procurargliene ancora.» «Non disturbarti, bastano questi.» Wrath non si drogava, ma quella sera era pronto a fare buon uso di quei sigari. «Gradisce mangiare qualcosa prima di uscire?» Wrath scosse la testa. «Magari quando rientrerà, allora?» chiese Fritz a bassa voce mentre richiudeva il coperchio. Wrath stava per zittire in malo modo l'anziano domestico quando gli tornò in mente Darius. D l'avrebbe trattato meglio. «Va bene. Sì. Grazie.» Il maggiordomo raddrizzò le spalle con fermezza. Santo Dio, sembrava che stesse sorridendo, pensò Wrath. «Le preparerò dell'agnello, padrone. Come le piace la carne?» «Al sangue.» «E le laverò gli altri vestiti. Vuole che le ordini anche un nuovo completo di pelle?» «Non...» Wrath ammutolì di colpo. «Ma certo. Sarebbe fantastico. E, uh, potresti procurarmi anche dei boxer? Neri? Taglia XXL?» «Con piacere.» Il vampiro si voltò, diretto verso la porta. Come accidenti aveva fatto a ritrovarsi con un domestico tra i piedi? «Padrone?» «Sì?» ringhiò Wrath. «Faccia attenzione, là fuori.» Wrath si fermò e guardò il maggiordomo da sopra la spalla. Fritz sembrava cullare la scatola contro il petto. Era strano avere qualcuno che aspettava di vederlo tornare a casa, pensò. Uscì dalla villa e s'incamminò per il lungo viale fino alla strada a tre corsie. Il cielo era attraversato da lampi, una promessa del temporale che stava per scoppiare verso sud, ne sentiva l'odore. Dove diavolo poteva essere la figlia di Darius in quel momento? Prima di tutto avrebbe provato al suo appartamento. Dopo essersi materializzato nel cortile dietro casa della ragazza, sbirciò dalle finestre ricambiando le fusa di benvenuto del gatto. Lei non c'era, quindi decise di sedersi sul tavolo da picnic. Le avrebbe concesso un'oretta, dopo doveva trovarsi con i fratelli. Poteva sempre tornare a fine nottata anche se, visto com'erano andate le cose la prima volta che si era presentato nel suo monolocale, forse svegliarla alle quattro del mattino non sarebbe stata una mossa particolarmente astuta. Si tolse gli occhiali da sole massaggiandosi la radice del naso. Come poteva spiegarle quello che stava per succederle? E quello che lei avrebbe dovuto fare per sopravvivere indenne al cambiamento? Aveva la sensazione che non avrebbe fatto salti di gioia nel sentire quelle novità. Wrath ripensò alla sua, di transizione. Un gran casino. Lui non era nemmeno preparato perché i suoi genitori avevano sempre voluto proteggerlo ed erano morti prima di potergli dire cosa doveva aspettarsi. I ricordi lo assalirono con una vividezza impressionante. Londra alla fine del Seicento era un posto terribile, specialmente per chi era solo al mondo. Gli avevano massacrato i genitori davanti agli occhi due anni prima e lui era scappato dalla sua specie, convinto che la vigliaccheria dimostrata in quella notte spaventosa fosse una vergogna di cui soltanto lui doveva portare il fardello. Mentre nella società dei vampiri era stato allevato e protetto come l'erede al trono, aveva scoperto che il mondo degli umani si basava soprattutto su una meritocrazia di tipo fisico. Per chi aveva una corporatura simile alla sua, questo equivaleva a occupare l'ultimo gradino della scala sociale. All'epoca, infatti, prima del cambiamento, Wrath era magro come un chiodo, scheletrico e debole, una facile preda per gli umani in cerca di divertimento. Nel periodo trascorso nei quartieri malfamati di Londra aveva preso talmente tante botte che alcune parti del suo corpo non funzionavano bene, ma ci aveva fatto l'abitudine. Per lui non era una novità avere una gamba che non si piegava perché la rotula si era fratturata o un braccio inservibile perché gli si era slogata la spalla mentre veniva trascinato per terra da un cavallo al galoppo. Si era cibato di rifiuti, tirando avanti sull'orlo della morte per inedia finché un giorno aveva finalmente trovato lavoro nelle scuderie di un mercante. Aveva pulito zoccoli, selle e briglie fino a spaccarsi la pelle delle mani, ma almeno gli avevano dato da mangiare. Dormiva nel fienile, sopra la stalla. Quel pagliericcio era più morbido del terreno a cui era abituato, ma non sapeva mai quando sarebbe stato svegliato da un calcio nelle costole perché uno degli stallieri voleva scoparsi una o due cameriere. All'epoca riusciva ancora a sopportare la luce del sole e l'alba era l'unica cosa che attendeva con ansia, nella sua miserabile esistenza. Sentire il tepore del sole sul viso, respirare a pieni polmoni la dolce foschia delle prime ore del mattino, godersi la luce... erano questi i suoi pochi piaceri, e gli erano cari. La vista, difettosa sin dalla nascita, già allora era molto debole, comunque di gran lunga migliore di adesso. Ricordava ancora con struggente chiarezza il sole. Era al servizio del mercante da quasi un anno quando tutto nella sua vita era stato sconvolto. La notte in cui si era manifestato il cambiamento, Wrath era crollato sul giaciglio di paglia, distrutto dalla stanchezza. Negli ultimi tempi si sentiva poco bene, faticava a svolgere il lavoro, ma non era certo una novità. Il dolore, quando lo aveva colpito, aveva devastato un fisico malaticcio: era partito dall'addome per poi irradiarsi verso l'esterno fino a che la punta delle dita delle mani e dei piedi, la punta di ogni singolo capello che aveva in testa avevano cominciato a fargli male. Nessuna frattura, nessuna commozione cerebrale, nessuna febbre o percossa erano lontanamente paragonabili a uno strazio del genere. Wrath si era raggomitolato su se stesso a occhi chiusi, ansimante, in preda all'agonia. Era convinto di stare per morire e aveva pregato perché le tenebre lo inghiottissero alla svelta. Voleva solo un po' di pace, e la fine di quelle atroci sofferenze. Ma poi davanti a lui era comparsa una bellissima fanciulla bionda. Era un angelo piovuto dal cielo per accompagnarlo all'altro mondo. Ne era convinto. Da quel patetico miserabile che era, Wrath aveva implorato pietà. Aveva proteso le braccia verso quell'apparizione e, quando lei lo aveva toccato, aveva capito che la fine era prossima. La fanciulla lo aveva chiamato per nome, e lui si era sforzato di sorriderle grato, ma le labbra si erano mosse senza emettere alcun suono. Lei gli aveva detto di essere la sua promessa sposa, di avere bevuto un sorso del suo sangue quando lui era un bambino per essere sempre in grado di sapere dove trovarlo al momento della transizione. Aveva detto che era lì per salvarlo. Poi Marissa aveva affondato i lunghi canini nel proprio polso e gli aveva avvicinato la ferita alle labbra. Lui aveva bevuto disperatamente, ma il dolore non era cessato. Era soltanto cambiato. Aveva sentito le giunture deformarsi, le ossa dislocarsi scricchiolando in modo orribile. I muscoli si erano tesi fino a lacerarsi e il cranio era sembrato sul punto di esplodere. Man mano che gli occhi gli uscivano dalle orbite, la vista era diminuita, finché gli era rimasto soltanto l'udito. Il respiro pesante, affannoso, gli raschiava la gola arrossata mentre tentava di resistere. A un certo punto, finalmente, era svenuto, ma quando aveva ripreso i sensi era precipitato in una nuova agonia. Il sole che aveva tanto amato filtrava attraverso le fessure tra le assi del fienile in infiniti pallidi raggi dorati. Una lama di luce lo aveva colpito al braccio e l'odore di carne bruciata era stato terrificante. Wrath aveva ritratto il braccio di scatto guardandosi intorno in preda al panico. Non era riuscito a vedere niente se non sagome indistinte. Accecato dalla luce era balzato in piedi, solo per ricadere subito dopo a faccia in giù in mezzo al fieno. Tutto il corpo si comportava come se non fosse più suo, e Wrath aveva dovuto fare due tentativi prima di riuscire a stare in piedi, barcollando sulle gambe in modo ridicolo. Aveva capito che doveva trovare riparo dalla luce del giorno e si era trascinato fino al punto in cui avrebbe dovuto esserci la scala a pioli. Ma aveva fatto male i calcoli ed era precipitato giù dal fienile. Ancora steso a terra, completamente frastornato, aveva pensato che forse ce l'avrebbe fatta a scendere nello scantinato dove c'era il deposito di granaglie. Lì sotto sarebbe stato al buio. Si era mosso a tentoni nella stalla, andando a sbattere contro i box dei cavalli e incespicando nei finimenti, cercando di tenersi alla larga dalla luce del sole e al tempo stesso di controllare braccia e gambe che non rispondevano più ai comandi. Mentre si dirigeva verso il fondo della stalla aveva picchiato la testa contro una trave sotto la quale era sempre passato senza difficoltà. Il sangue sgorgato dalla ferita gli era colato negli occhi. Subito dopo era entrato uno dei garzoni di stalla e gli aveva chiesto chi fosse. Wrath si era voltato verso quella voce familiare, sperando di trovare aiuto. Aveva allungato una mano cominciando a parlare, ma la voce che gli era uscita di bocca non era più la sua. Poi aveva sentito un forcone fendere l'aria con l'intento di trafiggerlo. Voleva solo deviare il colpo, ma, quando aveva afferrato il manico dell'attrezzo per spingerlo via, aveva fatto volare per aria lo stalliere scaraventandolo contro la porta di uno dei box. L'uomo aveva lanciato un urlo strozzato ed era scappato a gambe levate, sicuramente in cerca di rinforzi. Alla fine Wrath era riuscito a trovare lo scantinato. Aveva preso due enormi sacchi di avena e li aveva addossati alla porta in modo che nessuno potesse entrare durante il giorno. Sfinito, dolorante, con il sangue che gli colava giù dal mento, era strisciato all'interno e aveva appoggiato la schiena nuda contro il muro grezzo. Aveva piegato le ginocchia al petto, consapevole di avere le cosce quattro volte più grosse del giorno prima. A occhi chiusi aveva posato la guancia sugli avambracci, rabbrividendo, lottando per non coprirsi di vergogna, per non piangere. Era rimasto sveglio tutto il giorno ascoltando il rumore dei passi sopra la sua testa, lo scalpiccio dei cavalli, il vociare delle persone. Era terrorizzato all'idea che qualcuno potesse aprire le doppie porte, scoprirlo, e lieto che Marissa se ne fosse andata perché così non sarebbe stata esposta alla minaccia degli umani. Wrath tornò al presente e udì la figlia di Darius entrare nel suo appartamento. Si accese una luce. Beth gettò le chiavi di casa sul tavolo dell'ingresso. La cena veloce con Ossoduro era stata sorprendentemente piacevole e le aveva fornito qualche altro dettaglio sull'attentato esplosivo. Nel vicolo avevano trovato una di quelle Magnum modificate e Butch aveva accennato alla stella Ninja in uso presso i patiti di arti marziali che Beth aveva indicato a Ricky. La Scientifica stava esaminando le armi nel tentativo di ricavarne impronte, fibre o qualunque altro elemento probatorio. La pistola non sembrava avere molto da offrire, ma la stella, e non c'era da stupirsene, era macchiata di sangue, che stavano sottoponendo all'analisi del DNA. Quanto alla bomba, la polizia la riteneva in qualche modo collegata al traffico di stupefacenti. La BMW era già stata notata in precedenza, parcheggiata sempre nello stesso posto dietro il club, e Screamer's era un covo di spacciatori particolarmente gelosi del loro territorio. Beth si stiracchiò e poi si cambiò infilandosi un paio di boxer. Era un'altra serata afosa e, mentre tirava fuori il futon, rimpianse con tutto il cuore che il condizionatore fosse rotto. Accese il ventilatore portatile e diede da mangiare a Boo, che subito dopo aver ripulito la ciotola del suo Fancy Feast si mise a camminare su e giù davanti alla porta scorrevole. «Non vorrai mica ricominciare da capo con questa storia, eh?» Il cielo fu illuminato da un lampo e Beth andò a spalancare la vetrata, quindi chiuse la porta a zanzariera fissandola con cura. Avrebbe lasciato aperto soltanto un pochino; una volta tanto l'aria della sera aveva un buon odore, non c'era nemmeno il solito tanfo di immondizia. Il caldo era feroce. Si infilò in bagno. Dopo essersi tolta le lenti a contatto, lavata i denti e sfregata bene la faccia, bagnò una pezzuola sotto l'acqua fredda e se la strofinò dietro il collo. Rivoletti gelati le colarono giù lungo la schiena e, tornando in soggiorno, Beth accolse con piacere i brividi che li accompagnarono. Si accigliò. Nell'aria c'era un odore stranissimo. Una fragranza intensa e aromatica... Andò alla vetrata e annusò l'aria un paio di volte. Mentre inspirava, sentì allentarsi la tensione alle spalle. Boo si era accovacciato sulle zampe e faceva le fusa come per dare il benvenuto a qualcuno. Cosa diav... L'uomo del sogno era dall'altra parte della porta a zanzariera. Beth balzò all'indietro lasciando cadere la pezzuola bagnata che toccò terra con un rumore lievissimo. La porta si aprì silenziosamente, in barba al fatto che poco prima lei l'avesse bloccata facendo scattare il fermo. E quel profumo meraviglioso divenne ancora più penetrante quando l'uomo entrò in casa. In preda al panico, Beth scoprì di non riuscire a muoversi. Oh, Cristo, quel tizio era mastodontico. Il suo monolocale era già piccolo di per sé ma lui lo faceva sembrare addirittura minuscolo, una scatola da scarpe. E tutta quella pelle nera lo faceva apparire ancora più gigantesco. Doveva essere alto quasi due metri. Un momento. Cosa stava facendo? Gli stava prendendo le misure per un vestito? Scappare, ecco cosa doveva fare, scappare. Doveva cercare di raggiungere l'altra porta, correndo all'impazzata. Invece continuava a fissarlo. Aveva un giubbotto da motociclista, malgrado l'afa, e anche i pantaloni erano di pelle. Ai piedi portava un paio di stivali pesanti con la punta rinforzata in acciaio. Si muoveva come un predatore. Beth allungò il collo per guardarlo in faccia. Dio, è un fico pazzesco. Mascella quadrata, labbra carnose, zigomi alti e guance scavate che proiettavano pesanti ombre scure. I capelli lisci e neri gli ricadevano sulle spalle da un'attaccatura a V sulla fronte e sulle guance aveva un'ombra di barba scura. Gli occhiali da sole neri, un modello avvolgente che si adattava alla perfezione al volto scolpito, gli davano un'aria da killer. Come se non fosse bastato il suo aspetto minaccioso a far capire che era un sicario. Fumava una specie di sottile sigaro rossastro; inspirò una lunga boccata e la punta del sigaro brillò di un vivido color arancione. Poi soffiò fuori una nuvola profumata e, non appena quel fumo le invase le narici, Beth sentì il proprio corpo rilassarsi ancora di più. Doveva essere venuto per ucciderla, pensò. Non sapeva che cosa avesse fatto per meritarsi quella fine, ma quando lui buttò fuori un'altra nuvola di quella roba, qualunque cosa fosse, Beth riusciva a malapena a ricordare dov'era. Barcollò mentre lui colmava la distanza fra loro. Era atterrita al pensiero di quello che sarebbe accaduto quando lui l'avesse raggiunta, ma per assurdo notò che Boo stava facendo le fusa, strusciandosi contro le caviglie dello sconosciuto. Il suo gatto era un traditore e, se per miracolo fosse sopravvissuta, lo avrebbe punito retrocedendolo a un cibo di serie B come il Tender Vitdes. Sollevò il collo di scatto e incrociò lo sguardo fermo, ferino dell'uomo. Con quelle lenti scure non riusciva a vedere il colore degli occhi. Aveva comunque uno sguardo di fuoco. E accadde l'impensabile. Quando lo sconosciuto si fermò davanti a lei, Beth fu travolta da un'ondata di desiderio sessuale allo stato puro. Per la prima volta in vita sua si sentì peccaminosamente calda. Calda e bagnata. La femminilità sbocciava per lui. Era tutta una questione di chimica, pensò inebetita. Pura e semplice chimica animale. Qualunque cosa avesse quell'uomo, lei la voleva. «Ho pensato di fare un altro tentativo» disse lui. La voce era profonda, un cupo rombo che saliva dal petto poderoso. Aveva un leggero accento straniero, ma Beth non seppe identificarlo con precisione. «Chi è lei?» gli chiese in un sussurro. «Sono qui per te.» In preda alle vertigini, Beth allungò un braccio verso il muro. «Per me? Dove...» per la confusione non riuscì a proseguire. «Dove vuole portarmi?» Al ponte? Dove avrebbe gettato il suo cadavere nel fiume? La mano di lui colmò la distanza tra i loro corpi, le prese il mento tra pollice e indice voltandole leggermente la testa di lato. «Pensa di lentamente?» ammazzarmi alla svelta» farfugliò lei, «oppure «Non voglio ammazzarti, solo proteggerti.» Quando lui chinò la testa, Beth si disse che avrebbe dovuto scacciarlo, malgrado quello che aveva appena detto. Doveva riuscire a mettere in moto le braccia, e anche le gambe. Il guaio era che non voleva respingerlo, non proprio. Trasse un profondo respiro. Dio santo, aveva un odore fantastico. Di sudore fresco e pulito. Un oscuro odore virile, muschiato. Era quel fumo. L'uomo le sfiorò il collo con le labbra e lei lo sentì inspirare a fondo. Il cuoio del giubbotto scricchiolò quando si riempì i polmoni, gonfiando il petto. «Sei quasi pronta» mormorò lui. «Non manca molto.» Se si riferiva al fatto che loro due dovevano spogliarsi nudi, lei era d'accordo su tutta la linea. Dio mio, pensò Beth, dev'essere questo quello di cui parla la gente quando si sdilinquisce a proposito del sesso. Lei non metteva nemmeno in discussione il bisogno di sentire quell'uomo dentro di sé. Sapeva solo che sarebbe morta se lui non si fosse tolto i calzoni. Subito. Allungò una mano, curiosa di toccarlo, ma quando si staccò dal muro cominciò a cadere. Con un unico movimento fluido l'uomo infilò il sigaro tra quelle sue labbra crudeli e l'afferrò senza il minimo sforzo. La sollevò da terra e Beth si lasciò andare contro di lui senza nemmeno preoccuparsi di fingere una qualche resistenza. Sorreggendola come se fosse priva di peso, lo sconosciuto attraversò la stanza in due falcate. Quando la depose sul futon, i capelli gli ricaddero sul viso e lei alzò una mano per toccare quelle onde nere. Erano folte, morbide. Gli posò il palmo sul viso e, per quanto sorpreso, lui non si ritrasse. Tutto in lui trasudava sesso, dalla prestanza del suo fisico al modo in cui si muoveva all'odore della sua pelle. Non assomigliava a nessun altro uomo che lei avesse mai conosciuto. E il suo corpo lo sapeva con la stessa chiarezza della sua mente, pensò Beth. «Baciami» disse. Lo sconosciuto torreggiava sopra di lei, una minaccia silenziosa. D'impulso le mani di lei si mossero verso i baveri del giubbotto tentando di tirarlo verso la sua bocca. L'uomo le afferrò i polsi con una mano sola. «Calma.» Calma? Lei non voleva stare calma. La calma non faceva parte del programma. Si divincolò nel tentativo di liberarsi dalla sua stretta e, non riuscendoci, inarcò la schiena. I seni si gonfiarono contro la T-shirt e lei sfregò le cosce, pregustando il momento in cui lo avrebbe sentito tra le sue gambe. Se solo le avesse messo le mani... «Cristo santo» mormorò lui. Beth gli sorrise, godendosi il lampo di desiderio comparso repentino sul suo viso. «Toccami.» Lo sconosciuto cominciò a scuotere la testa. Come se stesse cercando di schiarirsi le idee. Lei schiuse le labbra gemendo. «Tirami su la maglietta.» Si inarcò di nuovo, offrendogli il proprio corpo; moriva dalla voglia di sapere se c'era qualcosa di ancora più torrido dentro di lei, qualcosa che quell'uomo poteva portare allo scoperto. «Fallo.» Lui si tolse il sigaretto di bocca. Era accigliato e Beth ebbe la vaga sensazione che forse avrebbe dovuto sentirsi terrorizzata. Invece tirò su le ginocchia sollevando i fianchi dal futon. Se lo figurò mentre le baciava l'interno delle cosce fino a trovare la vulva con la bocca. E poi la leccava. Si lasciò sfuggire un altro gemito rovente. Wrath era senza parole. E non gli capitava molto spesso di rimanere a bocca aperta. Porca miseria. Quella mezzosangue era la cosa più bollente che avesse mai incrociato sulla propria strada. E sì che una volta o due gli era già successo di entrare nelle grazie di una specie di vulcano. Era tutta colpa del sigaro, doveva essere per forza così. E quella roba stava cominciando a fare effetto anche su di lui perché si sentiva prontissimo a fare sesso con lei. Guardò il sigaro. Be', questo sì che è un gran bel modo di razionalizzare ogni cosa, pensò. Peccato che la marijuana fosse un rilassante e non un afrodisiaco. Lei gemette di nuovo dimenandosi, spalancando le gambe. L'odore della sua eccitazione lo investì con violenza. Dio, sarebbe caduto in ginocchio se già non fosse stato seduto. «Toccami» mugolò lei. Il sangue gli pompava nelle vene come se stesse correndo a perdifiato, l'erezione palpitava, quasi avesse un battito tutto suo. «Non è per questo che sono venuto» disse. «Toccami lo stesso.» Wrath sapeva che avrebbe dovuto dire di no. Non era leale nei confronti della ragazza. E poi loro due dovevano parlare. Forse doveva tornare un po' più tardi. Lei inarcò la schiena spingendosi contro la mano con cui lui le teneva imprigionati i polsi. I seni le tendevano la T-shirt e lui dovette chiudere gli occhi. Era ora di tagliare la corda. Era proprio ora di... Però non poteva andarsene senza prima aver avuto almeno un assaggio. Già, ma se la toccava anche solo con un dito era un bastardo egoista. Un bastardo egoista e stronzo, se approfittava di quello che lei gli stava offrendo per effetto del fumo. Imprecando, Wrath aprì gli occhi. Cristo, era tutto gelato. Gelato fino al midollo. Lei invece era bollente. Bollente al punto da sciogliere tutto quel ghiaccio, almeno per un po'. Ed era passato così tanto tempo dall'ultima volta... Con la sola forza di volontà spense le luci nella stanza. Poi usò la mente per chiudere la porta sul retro, spingere il gatto in bagno e far scattare le serrature dell'appartamento. Con estrema attenzione posò il sigaro in bilico sul bordo del tavolo accanto al futon e le lasciò andare i polsi. Beth gli afferrò il giubbotto cercando di sfilarglielo dalle spalle. Wrath se lo tolse con gesti bruschi e, quando l'indumento cadde a terra con un tonfo sordo, lei rise soddisfatta. Il fodero dove teneva i pugnali fece la stessa fine del giubbotto, ma il vampiro lo tenne a portata di mano, vicino al futon. Finalmente si chinò sopra di lei. Il suo respiro era profumato e sapeva di menta quando le catturò le labbra con la bocca. La sentì trasalire e si ritrasse di colpo. Accigliandosi, le toccò l'angolo della bocca. «Non importa» disse lei, tirandolo per le spalle. Col cavolo, pensò Wrath. Che Dio aiutasse chi aveva osato farle del male. Lo avrebbe squartato lasciandolo per strada a morire dissanguato. Sfiorò con un bacio il livido ancora gonfio prima di far scivolare la lingua lungo il suo collo. Questa volta, quando Beth spinse in fuori i seni, lui fece scivolare la mano sotto la maglietta leggera per toccare la pelle liscia e calda. Aveva il ventre piatto, e Wrath ci fece scorrere sopra la mano. Ansioso di scoprire tutto di lei, le sfilò la T-shirt gettandola via. Il reggiseno era di un tenue color pastello e lui ne percorse i contorni con la punta delle dita, poi strinse tra le mani le morbide rotondità che nascondeva. I seni gli riempirono i palmi, i capezzoli due gemme turgide sotto il morbido raso. Wrath perse il controllo. Scoprendo le zanne, soffiò come un felino e morse la parte anteriore del reggiseno. L'indumento si aprì e lui si attaccò a uno dei capezzoli, risucchiandolo in bocca. Poi, sempre succhiando, si allungò sopra di lei, infilandosi tra le sue gambe. Beth accolse tutto quel peso con un sospiro strozzato. Infilò le mani tra i loro corpi avvinti per slacciargli la camicia, ma lui non ebbe la pazienza di lasciarsi spogliare. Se la strappò via facendo volare i bottoni da tutte le parti. Quando si riabbassò, i seni entrarono in contatto con il solido muro del suo petto e Beth si inarcò contro di lui. Voleva baciarla di nuovo sulla bocca, ma ormai aveva superato da un pezzo la soglia della dolcezza e della tenerezza, quindi le stuzzicò i seni con la lingua prima di scendere verso il basso. Arrivato all'elastico dei boxer, glieli sfilò dalle gambe lunghe e lisce. L'odore di lei lo investì come un'ondata fresca e travolgente, facendo scattare qualcosa nella sua testa. Era già pericolosamente vicino all'orgasmo, il seme in agguato nel suo membro, il corpo fremente per l'urgenza di possederla. Le infilò una mano tra le cosce. Era così calda e bagnata che gli sfuggì un grugnito. Per quanto fosse eccitato, doveva assolutamente assaggiarla prima di entrare dentro di lei. Si tolse gli occhiali da sole posandoli vicino al sigaro prima di baciarle i fianchi e la sommità delle cosce. Beth gli infilò le mani tra i capelli spronandolo a continuare. Wrath la baciò nel punto più delicato, risucchiando in bocca il fulcro della sua femminilità, e lei venne più e più volte finché lui non riuscì più a resistere alla smania che lo divorava. Si tirò su, si tolse in fretta e furia i pantaloni e si allungò ancora una volta sopra di lei. Beth gli cinse i fianchi con le gambe e, quando il calore del suo corpo entrò in contatto con l'erezione, Wrath soffiò come un gatto. Fece appello a quello che restava delle sue forze per scostarsi leggermente e guardarla in faccia. «Non fermarti» sussurrò lei. «Voglio sentirti dentro di me.» Il vampiro affondò la testa nell'incavo profumato del suo collo e lentamente tirò indietro i fianchi. La sommità del membro scivolò subito al posto giusto e Wrath la penetrò con un'unica, vigorosa spinta. Poi si abbandonò a un urlo estatico. Il paradiso. Adesso sapeva com'era il paradiso. CAPITOLO 9 In camera da letto Mr X si cambiò d'abito, infilandosi un paio di comodi pantaloni sportivi neri e una camicia di nylon nero. Era soddisfatto di come era andata la riunione della Società, quel pomeriggio. I lesser erano presenti al gran completo. Per la maggior parte si erano schierati con lui senza discussioni, alcuni avrebbero creato dei problemi e pochi altri avevano cercato di adularlo senza ritegno. Cosa che non li aveva portati da nessuna parte. Alla fine della sessione ne aveva scelti altri ventotto da destinare alla zona di Caldwell, in base alla loro reputazione e alle impressioni che aveva ricavato vedendoli da vicino. Dodici erano ai vertici nei rispettivi campi e lui li aveva suddivisi equamente in due squadroni principali; gli altri sedici erano stati ripartiti in quattro gruppi secondari. Nessuno aveva gradito la suddivisione. Erano tutti abituati a lavorare da soli, e i migliori, in particolare, non sopportavano le costrizioni. Pazienza. Il vantaggio della ripartizione in squadroni era che Mr X poteva assegnare loro diverse aree della città, stabilire delle quote e monitorare più da vicino i risultati. I restanti lesser erano stati rispediti ai loro avamposti. Adesso che aveva schierato le sue truppe distaccandole presso le diverse aree di competenza, poteva concentrarsi sulla procedura per la raccolta di informazioni. Aveva già un'idea su come farla funzionare, un'idea che intendeva testare quella sera stessa. Prima di uscire nella notte gettò ai suoi due pitbull un chilo di carne cruda a testa. Li voleva sempre un po' affamati, quindi li nutriva una volta ogni due giorni. Aveva quei cani, entrambi maschi, da cinque anni circa, e li teneva incatenati ai due lati opposti della casa, uno sul davanti e l'altro sul retro. Era una scelta logica dal punto di vista della sicurezza, ma era anche una questione di opportunità: una volta li aveva legati insieme e i due animali si erano avventati l'uno contro l'altro cercando di azzannarsi la gola a vicenda. Prese la borsa, chiuse a chiave la porta di casa e attraversò il prato. Il ranch era un mostro architettonico dei primi anni 70 con un orribile rivestimento esterno in finti mattoni che lui aveva mantenuto di proposito. Mr X aveva interesse a integrarsi nella comunità, e in quell'area rurale il livello dei prezzi era ancora accessibile, non avrebbe subito rialzi di rilievo nell'immediato futuro. Inoltre la casa non era fondamentale, quello che contava era il terreno circostante: dieci acri che gli consentivano di salvaguardare la privacy. In più, sul retro, c'era un vecchio fienile in mezzo agli alberi. Lui lo aveva trasformato in una camera di tortura e la macchia di querce e aceri che lo circondava aveva la sua importanza. Dopotutto le grida si sentivano anche da lontano. Armeggiò con il mazzo di chiavi finché trovò quella giusta. Quella sera doveva lavorare, quindi avrebbe lasciato in garage la sua unica concessione al lusso: un Hummer nero. Il minivan Chrysler Town and Country, vecchio di quattro anni, era una copertura molto migliore e ci metteva dieci minuti ad arrivare in centro. La Valle delle Puttane di Caldwell si estendeva su un'area di tre isolati, pieni di immondizia e male illuminati, nei pressi del ponte sospeso. Quella sera c'era molto traffico in quel covo di iniquità, e Mr X si fermò sotto un lampione rotto a studiare il movimento. Le macchine giravano per le strade buie con gli stop che si accendevano all'improvviso, mentre i potenziali clienti ispezionavano ciò che il marciapiede aveva da offrire. Con quell'afa insopportabile le ragazze erano tutte fuori a passeggiare sui loro trampoli, i seni e i fondoschiena in bella vista. Mr X aprì la cerniera della borsa ed estrasse una siringa ipodermica piena di eroina e un coltello da caccia. Li nascose entrambi nella tasca della portiera e abbassò il finestrino sul lato del passeggero, prima di accodarsi con cautela alla processione di automobili. Sono solo uno tra i tanti, pensò. Un altro idiota in cerca di un po' di piacere. «Cerchi una donna?» sentì gridare da una delle prostitute. «Vuoi farti un giretto?» disse un'altra, scuotendo il sedere come se fosse una latta di vernice. Al secondo giro trovò quello che cercava: una bionda con le gambe lunghe e un davanzale prosperoso. Proprio il tipo di puttana che avrebbe pagato se avesse avuto ancora un fallo funzionante. Sarebbe stato un vero spasso, pensò Mr X pigiando sul pedale del freno. Uccidere quello che non poteva più avere procurava una soddisfazione tutta particolare. «Ehi, dolcezza» lo apostrofò la donna avvicinandosi. Si appoggiò con il braccio alla portiera sporgendosi dentro il finestrino. Odorava di gomma da masticare alla cannella e di sudore. «Come te la passi, stasera?» «Potrei stare meglio. Quanto mi costa comprare un sorriso?» Lei studiò gli interni dell'auto e i suoi vestiti. «Con cinquanta puoi spassartela alla grande. Ti faccio tutto quello che vuoi.» «È troppo.» Ma era solo un gioco. Era lei che voleva. «Quaranta?» «Fammi vedere le tette.» Lei gli concesse una sbirciatina veloce. Lui sorrise, togliendo la sicura alle portiere. «Come ti chiami?» «Cherry Pie, ma puoi chiamarmi come preferisci.» Mr X svoltò l'angolo e si diresse verso un punto isolato sotto il ponte. Gettò i soldi ai piedi della ragazza e, quando lei si chinò per raccoglierli, le infilò l'ago dietro il collo spingendo fino in fondo lo stantuffo della siringa. Pochi istanti dopo lei si accasciò come una bambola di pezza. Mr X sorrise e la tirò su contro il sedile, mettendola seduta. Poi gettò la siringa fuori dal finestrino, dove andò ad aggiungersi a dozzine di altre, e mise in moto il minivan. Nella sua clinica sotterranea Havers alzò gli occhi dal microscopio perdendo la concentrazione. La pendola nell'angolo del laboratorio gli comunicò che era l'ora del pasto serale, ma lui non voleva smettere di lavorare. Riavvicinò l'occhio alla lente chiedendosi se quello che aveva visto era soltanto frutto dell'immaginazione. Dopotutto la disperazione poteva influenzare la sua obiettività. Invece no, le cellule ematiche erano vive. Rabbrividì senza fiato. La sua razza era quasi libera. Lui era quasi libero. Finalmente delle scorte di sangue ancora utilizzabili. Come medico aveva sempre avuto le mani legate, quando si trattava di sottoporre i pazienti a un intervento chirurgico o di affrontare determinate complicazioni in fase di travaglio o al momento del parto. Le trasfusioni in tempo reale da vampiro a vampiro erano possibili, ma dal momento che i membri della sua razza erano sparsi in tutto il mondo ed erano in numero molto limitato, poteva essere difficile trovare dei donatori in tempo utile. Da secoli desiderava costituire una banca del sangue. Il guaio era che, essendo il sangue dei vampiri altamente instabile, conservarlo al di fuori del corpo era sempre stato impossibile. L'aria, quella cortina invisibile ed essenziale alla vita che avvolgeva tutta la superficie terrestre, era una delle cause del problema; non servivano molte molecole per contaminare un campione di sangue, ne bastavano una o due e il plasma si disintegrava, costringendo i globuli rossi e quelli bianchi a cavarsela da soli. Cosa che, naturalmente, non erano in grado di fare. All'inizio gli sembrava una cosa assurda: il sangue conteneva ossigeno, per questo era rosso quando usciva dai polmoni. Quella contraddizione lo aveva condotto ad alcune scoperte affascinanti sul funzionamento dei polmoni nei vampiri, ma nella sostanza non lo aveva avvicinato all'obiettivo. Aveva tentato di estrarre il sangue trasferendolo subito dopo in un contenitore a tenuta d'aria. Una soluzione anche troppo ovvia che non aveva funzionato. La disintegrazione si era verificata comunque, solo più lentamente. Questo gli aveva suggerito di considerare un altro fattore, qualcosa di insito nell'ambiente corporeo che veniva a mancare quando il sangue veniva rimosso dal corpo. Havers aveva quindi tentato di isolare dei campioni a caldo, a freddo, in sospensioni di soluzione salina o di plasma umano. La frustrazione aveva mantenuto il suo cervello in continuo fermento nel corso delle infinite variazioni degli esperimenti. Aveva effettuato ulteriori test e sperimentato approcci diversi. Aveva tentato e ritentato. Aveva abbandonato il progetto per poi riprenderlo. Erano passati decenni. E ancora altri decenni. E poi la tragedia personale che lo aveva colpito gli aveva fornito una ragione molto intima per trovare una soluzione. In seguito alla morte per parto della sua shellan e del figlio appena nato, poco più di due anni prima, quel problema per Havers era diventato una vera e propria ossessione e aveva ricominciato da zero. La motivazione principale era costituita dal suo stesso bisogno di nutrirsi. Di solito aveva bisogno di bere soltanto ogni sei mesi perché aveva un sangue forte; dopo la morte della sua bellissima Evangeline aveva rimandato il più a lungo possibile quel momento, finché era stato costretto a letto in preda ai morsi della fame. Alla fine si era deciso a chiedere aiuto, però non sopportava l'idea che il desiderio di vivere fosse talmente forte da spingerlo ad abbeverarsi da un'altra femmina. Si era rassegnato a quella necessità solo perché era convinto che non sarebbe mai stato come con Evangeline. Non ne avrebbe tradito la memoria traendo piacere dal sangue di un'altra: di questo ne era sicuro. Aveva aiutato talmente tanta gente che non era stato difficile trovare una femmina disposta a offrirsi volontaria. Havers aveva scelto un'amica non sposata sperando di riuscire a tenere per sé la tristezza e l'umiliazione. Ma la cosa si era trasformata in un incubo. Si era trattenuto troppo a lungo e, non appena aveva sentito l'odore del sangue, il predatore che era in lui aveva avuto il sopravvento. Si era gettato addosso alla sua amica bevendo così avidamente che alla fine era stato costretto a suturarle il polso. Le aveva quasi staccato la mano con un morso. Quel comportamento era in palese contraddizione con l'idea che Havers aveva di se stesso. Lui era sempre stato un gentiluomo, uno studioso, un medico. Un maschio tutt'altro che schiavo dei più bassi istinti della sua razza. D'altronde era anche sempre stato ben nutrito. E l'amara verità era che il sapore del sangue gli era piaciuto tantissimo. Il flusso caldo e regolare che scendeva giù per la gola, la forza prepotente che ne derivava. Aveva provato piacere. E ne voleva ancora. Per la vergogna gli era venuto da vomitare, e aveva giurato a se stesso di non bere mai più da un'altra vena. Promessa mantenuta, anche se di conseguenza si era indebolito al punto che concentrarsi, ormai, per lui equivaleva a inoltrarsi in un banco di nebbia. La fame era un dolore costante allo stomaco, e il suo corpo, alla disperata ricerca di un sostegno che il cibo non poteva fornirgli, aveva cannibalizzato se stesso per mantenersi in vita. Havers era dimagrito tantissimo e in faccia era grigio, tirato. Ma lo stato in cui si trovava gli aveva indicato la strada giusta da seguire. La soluzione era ovvia. Bisognava dar da mangiare agli affamati. Un processo a tenuta d'aria affiancato da una sufficiente quantità di sangue umano e avrebbe ottenuto le sue preziose cellule ematiche viventi. Al microscopio osservò le cellule ematiche di vampiro, più grosse rispetto alle umane e di forma più irregolare, consumare lentamente ciò che aveva dato loro. Nel campione in esame i globuli umani stavano diminuendo e, una volta esauriti, Havers era pronto a scommettere che la vitalità della componente costituita dai globuli di vampiro sarebbe calata fino a ridursi a zero. Ora avrebbe condotto un esperimento clinico. Avrebbe estratto mezzo litro di sangue da una femmina di vampiro, lo avrebbe mescolato con una proporzione adeguata di sangue umano e poi si sarebbe sottoposto a una trasfusione. Se tutto fosse andato bene, avrebbe avviato un programma di donazione e conservazione del sangue. I pazienti bisognosi di trasfusioni si sarebbero salvati e chi avesse scelto di rinunciare all'intimità derivante dal bere sangue fresco avrebbe potuto vivere in pace. Havers sollevò gli occhi dal microscopio accorgendosi a un tratto che stava osservando i globuli da venti minuti buoni. L'insalata, il suo pranzo, lo attendeva già in tavola al piano di sopra. Si tolse il camice bianco e attraversò la clinica, fermandosi a scambiare due parole con alcuni membri del personale infermieristico e con un paio di pazienti. La struttura sanitaria occupava circa 200 metri quadrati ed era nascosta nelle viscere della terra sotto la lussuosa residenza del medico. C'erano tre sale operatorie, una quantità di sale visita e di rianimazione, il laboratorio, il suo studio e una sala d'attesa dotata di un ingresso indipendente che dava sulla strada. Havers visitava un migliaio di pazienti all'anno e, all'occorrenza, effettuava anche visite a domicilio per seguire i parti e altri casi di emergenza. Con l'assottigliarsi della popolazione, tuttavia, anche la sua attività era notevolmente diminuita. A paragone degli umani, dal punto di vista sanitario i vampiri godevano di enormi vantaggi. Guarivano molto rapidamente e non erano soggetti a patologie quali il cancro, il diabete o l'AIDS. Ma che Dio li aiutasse se avevano un incidente in pieno giorno, perché in tal caso nessuno poteva soccorrerli. I vampiri potevano morire anche nel corso della transizione o subito dopo. E la fertilità era un altro problema molto grave. In caso di concepimento, poi, le femmine spesso non sopravvivevano al parto a causa delle emorragie oppure in seguito a preeclampsia acuta. I feti nati morti erano tanti e la mortalità infantile era alle stelle. Per i malati, i feriti o i moribondi i medici umani non erano una buona alternativa, sebbene le due specie avessero molto in comune anatomicamente parlando. Se un medico umano avesse eseguito un esame del sangue su un vampiro, avrebbe trovato ogni sorta di anomalie e immaginato di trovarsi in presenza di un caso degno di essere segnalato sul «New England Journal of Medicine». Meglio evitare quel genere di attenzioni. Di tanto in tanto, tuttavia, capitava che un paziente finisse in un ospedale umano, un problema in aumento dall'istituzione del 911 e del servizio di ambulanze per il pronto intervento. Se un vampiro si feriva gravemente, al punto di perdere conoscenza lontano da casa, correva il rischio di essere raccolto e ricoverato in un normale pronto soccorso. Farlo dimettere da una struttura del genere contro il parere medico era sempre una lotta. Havers non era arrogante, ma sapeva di essere il miglior medico della sua specie. Aveva frequentato per ben due volte la Harvard Medicai School, la scuola di medicina di Harvard, la prima volta a fine Ottocento e poi di nuovo negli anni Ottanta del ventesimo secolo. In entrambi i casi nella sua domanda di iscrizione aveva dichiarato di essere disabile e la HMS gli aveva concesso delle facilitazioni speciali. Non aveva seguito le lezioni perché si tenevano di giorno, ma il suo doggen era stato autorizzato a frequentarle al posto suo, prendendo appunti, e aveva potuto consegnare ai docenti i propri esami scritti. Havers aveva letto tutti i libri di testo, tenuto una corrispondenza epistolare con i professori e persino frequentato seminari e corsi in orario serale. Gli era sempre piaciuto studiare. Una volta giunto al pianterreno, non si stupì di vedere che Marissa non era scesa in sala da pranzo, anche se il primo pasto della giornata veniva servito regolarmente all'una di notte. Andò quindi in camera della sorella. «Marissa?» chiamò quando fu davanti alla porta. Bussò una volta sola. «Marissa, è ora di mangiare.» Havers mise dentro la testa. Il candelabro in corridoio ritagliò una lama di luce dorata nell'oscurità della stanza. I tendaggi erano ancora tirati davanti alle finestre e Marissa non aveva ancora acceso neanche una lampada. «Marissa, cara?» «Non ho fame.» Havers entrò. Intravedeva il letto a baldacchino e l'esile sagoma del corpo sotto le coperte. «Ma già ieri sera hai saltato il pranzo. E la cena.» «Scendo più tardi.» Havers chiuse gli occhi, giungendo alla conclusione che la notte prima era andata a nutrirsi. Tutte le volte, dopo aver visto Wrath, si chiudeva in se stessa per giorni e giorni di seguito. Havers ripensò alle cellule ematiche vive in laboratorio. Wrath poteva anche essere il re della razza per diritto di nascita, e poteva anche avere il sangue più puro di tutti quanti loro, comunque era un gran bastardo. Sembrava non gliene importasse niente di quello che faceva a Marissa. O forse non si rendeva nemmeno conto di quanto la sua crudeltà la facesse soffrire. Era difficile decidere quale fra i due fosse il crimine peggiore. «Ho fatto dei progressi importanti» disse, avvicinandosi al letto e mettendosi seduto. «Vedrai, ti libererò.» «Da che cosa?» «Da quell’... assassino.» «Non parlare così di lui.» Havers digrignò i denti. «Marissa...» «Io non voglio liberarmi di lui.» «Come puoi dire una cosa del genere? Ti tratta senza nessun rispetto. Non sopporto l'idea che quel bruto si nutra grazie a te in qualche vicolo malfamato...» «Andiamo a casa di Darius. Wrath ha una stanza lì.» L'idea che sua sorella fosse in balia di un altro di quei guerrieri non lo tranquillizzava affatto. Erano tutti spaventosi, e alcuni erano francamente orridi. Havers sapeva che la Confraternita del Pugnale Nero era un male necessario per la difesa della razza, e sapeva anche che avrebbe dovuto essere riconoscente per la protezione che garantiva. Ma provava soltanto paura per l'esistenza di quella banda di assassini. Il fatto che il mondo fosse tanto pericoloso e che i nemici della razza fossero tanto potenti da giustificare la presenza di simili guerrieri era una tragedia. «Non sei tenuta a sopportare tutto questo.» Marissa rotolò su un fianco dandogli le spalle. «Lasciami sola.» Havers si piantò le mani sulle ginocchia alzandosi in piedi a fatica. I suoi ricordi della sorella, prima che cominciasse a servire il loro terrificante re, erano sfocati. Ricordava solo brandelli di com'era stata, e temeva che ormai quella femmina gioiosa e sorridente fosse perduta per sempre. E al suo posto cosa c'era? Un'ombra cupa e sottomessa che fluttuava silenziosa per casa, struggendosi per un maschio che la trattava senza il minimo riguardo. «Spero che cambierai idea, a proposito del pranzo» mormorò Havers. «Mi farebbe molto piacere poter stare un po' in tua compagnia.» Chiuse piano la porta alle sue spalle e scese la scalinata semicircolare riccamente decorata. In sala da pranzo la tavola, lustrata a specchio, era apparecchiata come piaceva a lui, con il servizio di porcellana, i bicchieri di cristallo e l'argenteria. Prese posto a capotavola e uno dei doggen entrò per versargli il vino. Abbassando lo sguardo sul piatto di lattuga che aveva davanti si sforzò di sorridere. «Questa insalata ha un aspetto magnifico, Karolyn.» La cameriera chinò il capo, gli occhi scintillanti per il complimento. «Oggi sono andata apposta al mercato, a un banco che fa vendita diretta dal produttore al consumatore, per cercare le foglie giuste per lei.» «Be', devo ammettere che apprezzo molto i tuoi sforzi.» Quando Karolyn uscì lasciandolo solo nella sontuosa stanza, Havers cominciò a tagliare le delicate foghe di insalata. Pensò a sua sorella, raggomitolata sul letto. Havers era un guaritore per indole e per professione, un maschio che aveva posto tutta la vita al servizio degli altri, ma se Wrath avesse mai avuto bisogno delle sue cure in seguito a una ferita grave sarebbe stato tentato di lasciarlo morire dissanguato, quel mostro. O di ucciderlo sul tavolo operatorio, fingendo che il bisturi gli fosse sfuggito di mano. CAPITOLO 10 Beth riprese lentamente coscienza. Le parve di tornare in superficie dopo un tuffo ad angelo eseguito alla perfezione. Provava una sensazione di benessere, una profonda soddisfazione mentre riemergeva dal mondo protetto del sonno. Aveva qualcosa sulla fronte. Alzò le palpebre di scatto. Lunghe dita maschili si stavano muovendo sul suo naso. Le sfiorarono la guancia e poi si spostarono verso la mascella. Dalla cucina filtrava abbastanza luce da permetterle di distinguere vagamente l'uomo sdraiato accanto a lei. Le esplorava il viso tutto concentrato. Aveva gli occhi chiusi, la fronte aggrottata, le folte ciglia allungate sugli alti zigomi aristocratici. Era disteso su un fianco, le spalle tanto possenti da impedirle la vista della porta a vetri. Dio, quant'era enorme! E che fisico. I bicipiti erano grossi come le cosce di Beth, le gambe robuste e muscolose e le costole molto rilevate, quasi che sotto la pelle dell'addome contrabbandasse rulli da imbianchino. E il membro era vistoso e magnifico. La prima volta che si era premuto contro di lei, nudo, e Beth aveva avuto la possibilità di toccarlo, ne era rimasta scioccata. Non aveva peli sul torace, sulle braccia o sulle gambe. Solo pelle liscia sopra muscoli d'acciaio. Beth si chiese come mai si depilasse dappertutto, persino là sotto. Forse era una specie di culturista. Il ricordo di quanto era successo tra loro era molto sfocato. Non riusciva a rammentare bene com'era entrato nel suo appartamento o quello che le aveva detto, ma tutto quello che avevano fatto in posizione orizzontale era fin troppo nitido nella sua memoria. Logico, visto che quest'uomo le aveva regalato il primo orgasmo della sua vita. Le punte delle dita le girarono intorno al mento e risalirono verso le labbra. Lui le accarezzò quello inferiore con il pollice. «Sei proprio bella» mormorò. Il modo in cui arrotava la R a causa del leggero accento straniero faceva pensare a un gatto che fa le fusa. Be', mi pare ovvio, pensò Beth. Quando lui la toccava, lei si sentiva bellissima. Lui posò la bocca sulla sua: un bacio che non era una pretesa, che era più simile a un grazie. Da qualche parte nella stanza trillò un cellulare. La suoneria non era la sua, pensò Beth. L'uomo si mosse così in fretta da farla sobbalzare. Un attimo prima era di fianco a lei e un attimo dopo era vicino al suo giubbotto. Aprì il telefonino di scatto. «Sì?» La voce con cui le aveva mormorato quant'era bella era scomparsa. Adesso ringhiava. Beth si avvolse il lenzuolo intorno al petto. «Ci vediamo da D. Dammi dieci minuti.» Chiuse la telefonata, rimise il cellulare dentro il giubbotto e raccolse i pantaloni. La minaccia di doversi rivestire riportò Beth alla realtà. Ma era proprio vero? Aveva appena fatto sesso - un sesso fantastico, grandioso, sconvolgente - con un perfetto sconosciuto? «Come ti chiami?» gli chiese. Mentre lui si tirava sulle cosce i calzoni di pelle nera, Beth colse un meraviglioso scorcio del suo sedere. «Wrath» rispose l'uomo. Poi andò al tavolo a prendere gli occhiali da sole. Quando tornò a sedersi accanto a lei, se li era già infilati. «Devo andare. Forse stasera non potrò tornare, ma ci proverò.» Beth non voleva che se ne andasse. Le piaceva sentire il suo corpo che occupava quasi tutto il futon. Alzò la mano verso di lui, ma la ritrasse. Non voleva dare l'impressione di essere appiccicosa. «No, toccami pure» disse Wrath chinandosi. Lei gli appoggiò il palmo sul torace. La pelle era calda, il cuore batteva a un ritmo regolare. Notò che aveva una cicatrice circolare sul pettorale sinistro. «Ho bisogno di sapere una cosa, Wrath.» Per quanto bizzarro, quel nome le dava una bella sensazione sulla lingua. «Cosa diavolo ci fai tu qui?» Lui le rivolse un mezzo sorriso, quasi compiaciuto dalla sua natura sospettosa. «Sono qui per prendermi cura di te, Elizabeth.» Be', questo l'aveva fatto di sicuro. «Beth. Tutti mi chiamano Beth.» Lui piegò la testa di lato. «Beth.» Si alzò in piedi e prese la camicia. Fece scorrere le mani sul davanti come per sentire se c'erano i bottoni. Non ne avrebbe trovati molti, pensò Beth: erano quasi tutti sparpagliati sul pavimento. «Hai un cestino per la carta straccia a portata di mano?» chiese infatti lui. «Laggiù nell'angolo.» «Dove?» Beth si alzò, sempre avvolta nel lenzuolo, e prese la camicia. Buttarla via sembrava un'occasione persa. Quando tornò a voltarsi verso di lui, Wrath si stava legando un fodero nero sulla pelle nuda. Due pugnali si incrociavano al centro del petto, con le impugnature rivolte verso il basso. Stranamente, mentre le guardava, quelle armi la calmarono. L'idea che ci fosse una spiegazione logica per la comparsa di quell'uomo in casa sua era un sollievo. «È stato Butch?» «Butch?» «Che ti ha messo di guardia.» Lui si infilò il giubbotto; con quello addosso le sue spalle sembravano ancora più larghe. Il cuoio dell'indumento era nero come i suoi capelli, su uno dei baveri c'era un intricato disegno in rilievo. «L'uomo che ti ha aggredita ieri sera» disse Wrath, «era uno sconosciuto?» «Sì» rispose Beth stringendosi le braccia intorno al corpo. «I poliziotti sono stati gentili con te?» «Sono sempre gentili con me.» «Ti hanno detto come si chiamava?» Lei annuì. «Sì, quasi non riuscivo a crederci. Quando Butch me l'ha detto credevo stesse scherzando. Billy Riddle sembra il nome di un personaggio del Muppet Show, ma aveva chiaramente un modus operandi e una certa pratica...» Si interruppe di colpo. Il viso di Wrath si era fatto così feroce che arretrò di un passo. Se O'Neal non era tenero con i delinquenti, questo tizio faceva venire i brividi. Ma poi lui cambiò espressione, quasi avesse deciso di mettere a tacere le sue emozioni perché sapeva di averla spaventata. Andò verso il bagno e aprì la porta. Boo gli saltò in braccio e un ronron basso e ritmico risuonò nell'aria soffocante del monolocale. Di sicuro non era il suo gatto a fare le fusa. Quel vibrato gutturale proveniva dall'uomo che lo stava accarezzando; Boo divorò tutta quell'attenzione, strofinandogli la testa contro il grosso palmo. «Adesso ti do il mio numero di cellulare, Beth. Chiamami subito, se ti senti in qualche modo minacciata» disse Wrath. Mise giù il gatto, recitò una serie di cifre e gliele fece ripetere finché lei non le ebbe memorizzate. «Se stasera non ci vediamo, domani mattina vieni all'816 di Wallace Avenue. Ti spiegherò tutto.» Poi si limitò a guardarla. «Vieni qui» disse. Il corpo di lei obbedì ancor prima che la sua mente avesse il tempo di inviarle l'ordine di muoversi. Quando gli fu vicina, lui le mise un braccio intorno alla vita attirandola contro il proprio fisico roccioso. Le sue labbra calarono calde e voraci su quelle di lei mentre le affondava l'altra mano tra i capelli. Attraverso i calzoni di pelle, Beth sentiva che era pronto a fare di nuovo sesso. E lei era pronta per accoglierlo. Lui alzò la testa e lasciò scorrere lentamente la mano sulla sua spalla. «Questo non faceva parte del programma.» «Wrath è il tuo nome o il tuo cognome?» «Tutti e due» rispose lui dandole un bacio sul collo che era un mezzo succhiotto. Lei reclinò il capo all'indietro e Wrath fece scivolare la lingua sulla pelle liscia e vellutata. «Beth?» «Hmm?» «Non preoccuparti di Billy Riddle. Avrà quello che si merita.» La baciò in fretta e uscì dalla vetrata scorrevole. Beth si mise la mano sul collo, nel punto in cui lui l'aveva leccata. Sentiva un formicolio dappertutto. Corse alla finestra e tirò su la tendina. Wrath era già sparito. Wrath si materializzò nel soggiorno di Darius. Non si aspettava che la serata finisse com'era finita, e quell'ulteriore complicazione non migliorava certo le cose. Lei era la figlia di Darius, e tutto il suo mondo stava per essere sconvolto. E, ancora peggio, la sera prima era stata vittima di una violenza sessuale. Se fosse stato un gentiluomo l'avrebbe lasciata stare. Già, ma quand'era l'ultima volta che si era dimostrato all'altezza del suo pedigree? Davanti a lui comparve Rhage. Indossava un lungo impermeabile nero sopra i calzoni di pelle e il contrasto con la sua bellezza bionda faceva colpo. Era risaputo che, con l'altro sesso, il vampiro approfittava senza il minimo scrupolo della propria avvenenza e che dopo una notte di battaglia il suo modo preferito per scaricare la tensione era stare in compagnia di una femmina. O anche due. Se il sesso fosse stato cibo, Rhage sarebbe stato patologicamente obeso. Ma non era soltanto bello. Quel guerriero era anche il miglior combattente della confraternita, il più forte, il più veloce, il più preciso. Nato con una forza fisica smisurata, preferiva scontrarsi con i lesser a mani nude tenendo in serbo i pugnali solo per la fine. Sosteneva che quello era l'unico modo per trarre una qualche soddisfazione dal lavoro, altrimenti gli scontri duravano troppo poco. Di tutti i fratelli, Hollywood era quello di cui i giovani maschi della specie parlavano con ammirazione, quello adorato e preso a modello. Peccato che il suo fan club vedesse solo la superficie smagliante e le movenze feline. Rhage era maledetto. Nel vero senso della parola. Subito dopo la transizione si era cacciato in qualche grosso guaio e la Vergine Scriba, la mistica forza della natura che dal Fado vegliava sulla loro specie, lo aveva punito con un castigo tremendo. Duecento anni di terapia dell'avversione che scattavano tutte le volte in cui il vampiro perdeva la calma. Il poveretto era da compatire. «Allora, come andiamo stasera?» chiese Rhage. Wrath chiuse gli occhi per un istante, trafitto da un'immagine sfocata del corpo di Beth che si inarcava, colta quando aveva alzato gli occhi dalle sue gambe spalancate. Immaginandosi di assaggiarla di nuovo, serrò le mani a pugno facendo schioccare le nocche. Sono affamato, pensò. «Bene, sono pronto a entrare in azione» disse. «Ehi, aspetta un momento. Che cos'è quella?» chiese Rhage. «Che cosa?» «Quell'espressione sulla tua faccia. E, Cristo, dov'è la tua camicia?» «Chiudi il becco.» «Cavol... Che io sia dannato!» Rhage scoppiò a ridere. «Stanotte ti sei fatto una scopata, giusto?» Beth non era una scopata. Proprio per niente, e non solo perché era la figlia di Darius. «Stai zitto, Rhage, non sono dell'umore adatto.» «Ehi, lungi da me l'idea di criticarti. Però devo chiedertelo... ci sapeva fare? Perché non sembri particolarmente rilassato, fratello. Forse dovrei insegnarle io un paio di cosette e convincerla a darti un'altra possibilità...» Con estrema calma, Wrath lo spinse indietro mandandolo a sbattere con la schiena contro il muro e facendo quasi cadere uno specchio. «Se non chiudi subito quella boccaccia rischi di ritrovarti più basso di una spanna. A te la scelta, Hollywood.» Rhage stava solo scherzando, ma c'era qualcosa di blasfemo nell’accostare anche solo lontanamente l'esperienza con Beth alla vita sessuale di quel donnaiolo. E forse Wrath si sentiva un tantino possessivo. «Allora, hai fatto la tua scelta?» chiese strascicando le parole. «Messaggio ricevuto» rispose l'altro vampiro con un sorriso, i denti un lampo accecante nel volto magnifico. «Però dai, su con la vita! Di solito tu non perdi tempo con le femmine, e sono contento di sapere che hai iniziato una storia, tutto qua.» Wrath decise di lasciar perdere. «Anche se, Cristo santo, quella tizia non può essere stata così...» Wrath sfoderò un pugnale e lo conficcò nella parete a un paio di centimetri dalla testa di Rhage. Il rumore dell'acciaio che trapassava l'intonaco era piacevole, pensò. «Non tirare troppo la corda, chiaro?» Hollywood annuì lentamente mentre il manico del pugnale vibrava vicino al suo orecchio. «Oh, sì, è chiaro. Eccome.» La voce di Tohrment giunse a spezzare la tensione. «Ehi, fermi! Non ti sarai impasticcato di nuovo, eh, Rhage?» Wrath rimase fermo qualche secondo, tanto per essere sicuro che il messaggio fosse stato recepito. Poi con uno strattone estrasse il coltello dal muro e indietreggiò di pochi passi, girando per la stanza in attesa che arrivassero gli altri fratelli. Quando entrò Vishous, Wrath lo prese da parte. «Ho bisogno di un favore.» «Parla.» «Maschio umano. Billy Riddle. Fai uno dei tuoi miracoli al computer. Ho bisogno di sapere dove abita.» V si accarezzò il pizzetto. «Vive qui in città?» «Penso di sì.» «Consideralo già fatto, mio signore.» Quando furono arrivati tutti, compreso Zsadist, che questa volta si era degnato di essere puntuale, Wrath prese la parola. «Che cosa è saltato fuori dal telefonino di Strauss, V?» Vishous si tolse il berretto dei Sox passandosi una mano tra i capelli scuri. Parlò mentre si rimetteva in testa il cappellino. «Al nostro amico piaceva farsela con gente tutta muscoli e niente cervello, militari mancati e fan di Jackie Chan. Abbiamo delle telefonate alla palestra Gold's Gym, a un'arena di paintball e in due posti dove si praticano arti marziali. Oh, e aveva la passione delle automobili. Nel registro chiamate c'era anche il numero di un'officina meccanica.» «Nessuna chiamata personale?» «Un paio. Una a una linea fissa che è stata scollegata due giorni fa. Gli altri erano cellulari, irrintracciabili, non della zona. Li ho provati tutti più di una volta, ma non ha risposto nessuno. L'identificatore di chiamata è una gran bella rogna, non trovate?» «Hai dato una controllata in rete ai suoi precedenti penali?» «Certo. Classiche stronzate giovanili con contorno di violenza. Si adatta perfettamente al profilo tipico di un lesser.» «E voi cosa mi dite di casa sua?» Wrath si voltò a guardare i due gemelli. Phury lanciò un'occhiata al fratello prima di parlare. «Un trilocale sul fiume. Viveva da solo. Non c'era molta roba. Un paio di pistole sotto il letto, qualche pallottola d'argento, un giubbotto antiproiettile in Kevlar. Una collezione di porno che ovviamente non usava più.» «Hai preso il suo vaso?» «Sì. Ce l'ho a casa mia. Lo porterò alla cripta più tardi, stanotte stessa.» «Bene.» Wrath guardò il gruppo. «Dividiamoci. Dobbiamo fare un salto nei luoghi di lavoro. Voglio entrare in quegli edifici. Cerchiamo il loro centro operativo in questa zona.» Divise i fratelli a coppie, prendendo con sé Vishous. Disse ai gemelli di andare da Gold's e all'arena di paintball e spedì Tohr e Rhage alle palestre di arti marziali. Lui e Vishous avrebbero ispezionato l'autofficina nella speranza di avere un colpo di fortuna. Perché se qualcuno voleva collegare una bomba a un'automobile un ponte sollevatore idraulico sarebbe stato utile, no? Prima di uscire Hollywood si fece avanti con un'aria insolitamente contrita. «Wrath, amico, lo sai che a volte so essere un vero stronzo» disse. «Non volevo offenderti. Non tornerò più sull'argomento.» Wrath sorrise. Il guaio con Rhage era che aveva un autocontrollo da far schifo, il che spiegava sia la sua lingua lunga sia la dipendenza dal sesso. E il problema era già abbastanza grave quando era in sé, figurarsi quando la maledizione lo trasformava di colpo e la bestia che era in lui si risvegliava ruggendo. «Sul serio, amico» insistette il vampiro. Wrath gli diede una pacca sulla spalla. Nel complesso, però, quel gran figlio di puttana era un collaboratore prezioso. «Mettiamoci una pietra sopra.» «Sei libero di massacrarmi quando vuoi.» «Non c'è bisogno che tu me lo dica.» Mr X guidò fino a un vicolo in centro privo di illuminazione e aperto su entrambi i lati. Dopo aver parcheggiato il minivan dietro a un cassonetto dell'immondizia, si issò in spalla Cherry Pie allontanandosi dalla macchina di una ventina di metri. La ragazza gemette un po' abbandonata contro la sua schiena, quasi infastidita da quel movimento che disturbava il suo sballo. Lui la depose per terra e lei non oppose resistenza mentre le tagliava la gola. Rimase a guardare per qualche istante il sangue che stillava, lucido, dal collo. Al buio sembrava l'olio lubrificante Quaker State. Mr X vi intinse la punta del dito. Il suo naso era in grado di identificare ogni sorta di malattia e si chiese se la prostituta sapesse di avere un'epatite C in fase avanzata. Le stava facendo un favore, pensò, risparmiandole una morte spiacevole, strisciante. Non che per lui ucciderla sarebbe stato un problema se anche fosse stata in ottima salute. Si pulì il dito sull'orlo della gonna della ragazza prima di dirigersi verso un cumulo di rifiuti. Un vecchio materasso era proprio quello che ci voleva. Sollevò quello schifo contro il muro di mattoni e si appostò dietro di esso, indifferente al nauseabondo tanfo di sudore di cui era impregnato. Tirò fuori la pistola a dardi e attese. Il sangue fresco richiamava allo scoperto i vampiri civili, come i corvi che si avventano sulle carogne degli animali investiti dalle automobili. Infatti. Poco dopo, in fondo al vicolo, comparve una figura che guardò a destra e a sinistra prima di lanciarsi in avanti. La cosa che si avvicinava era proprio quello a cui Mr X stava dando la caccia. Cherry era ben nascosta nelle tenebre, non c'era nulla in grado di attirare qualcuno verso di lei se non il sottile odore del sangue, qualcosa che i nasi umani non sarebbero mai stati in grado di percepire. Il giovane vampiro maschio era assetato e si gettò sopra Cherry come se avessero allestito un buffet in suo onore. Impegnato a bere, fu colto di sorpresa quando dalla pistola partì il dardo che andò a conficcarglisi nella spalla. Il primo impulso del vampiro fu di proteggere il suo cibo, quindi trascinò il cadavere della ragazza dietro a dei bidoni della spazzatura tutti ammaccati. Quando lo colpì il secondo dardo, si voltò di scatto balzando in piedi, gli occhi puntati sul materasso. Mr X si tese, all'erta, ma il vampiro avanzò con più aggressività che perizia. Si muoveva in modo scoordinato, evidentemente stava ancora imparando a controllare gli arti dopo la transizione. Altri due dardi non servirono a rallentarlo. Chiaramente il Demosedan, un sedativo per cavalli, non bastava a completare il lavoro. Costretto ad affrontare il vampiro, Mr X lo tramortì con facilità sferrandogli un calcio alla testa. Il maschio si lasciò sfuggire un ululato di dolore e stramazzò sull'asfalto lurido. Il trambusto attrasse l'attenzione dei passanti. Per fortuna si trattava solo di due lesser, non di umani incuriositi dalla confusione o, cosa ancora più seccante, della polizia. I lesser si fermarono all'imbocco del vicolo e, dopo una rapida consultazione, entrarono per indagare. Mr X imprecò. Non era pronto a rivelare la propria identità o quello che stava facendo. Doveva ancora perfezionare i dettagli della sua strategia di raccolta informazioni, prima di renderla nota ai propri lesser assegnando loro i ruoli più adatti. Dopotutto, un capo non doveva delegare ad altri quello che non aveva mai fatto, e bene, in prima persona. Ed era anche una questione di tornaconto personale. Impossibile sapere se tra gli assassini qualcuno avrebbe tentato di scavalcarlo per entrare nelle grazie dell'Omega, spacciando l'idea come propria oppure criticando i suoi insuccessi iniziali. L'Omega era sempre ben disposto nei confronti delle iniziative individuali e delle nuove strategie di sviluppo. E, quanto a lealtà, avrebbe tratto giovamento da un po' di Ritalin. Ma soprattutto ricevere l'equivalente di una lettera di licenziamento da parte dell'Omega era un'esperienza tanto repentina quanto terrificante, come aveva potuto constatare l'ex superiore di Mr X tre sere prima. Estrasse i dardi dal corpo del vampiro. Avrebbe preferito ucciderlo ma non c’era abbastanza tempo. Lo lasciò lì per terra, ancora gemente e si lanciò verso il fondo del vicolo correndo rasente al muro. Tenne spenti i fari del minivan fino a quando non si fu immesso nel flusso del traffico. CAPITOLO 11 La sveglia si mise a suonare e Beth la zittì con una manata. Quello squillo era superfluo. Aveva gli occhi aperti da almeno un'ora e il cervello le ronzava come un tosaerba. Con l'avvento dell'alba il mistero della torrida notte appena trascorsa era svanito e lei ora era costretta a fare i conti con quello che aveva fatto. Sesso non protetto con un perfetto sconosciuto. Un risveglio da incubo. Cosa le era saltato in mente? Non le era mai capitato prima. Era sempre stata attenta a certe cose. Grazie al cielo prendeva la pillola per regolare le sporadiche mestruazioni, ma quando pensò alle altre possibili conseguenze le venne il voltastomaco. La prossima volta che avesse visto quel tizio gli avrebbe chiesto se era pulito, pregando in cuor suo che la risposta fosse quella giusta. E sincera. Forse, con un po' più di pratica in fatto di incontri galanti avrebbe avuto sottomano qualche precauzione, ma quand'era stata l'ultima volta che era andata a letto con qualcuno? Era passato un mucchio di tempo. Più di quanto una confezione di preservativi rimaneva sullo scaffale. La prolungata parentesi di castità nella sua vita era dovuta a mancanza di interesse, oltre che a scrupoli morali di vario genere. Molto semplicemente gli uomini non occupavano un gradino molto elevato nella sua scala di priorità. Erano più o meno a pari merito con l’appuntamento dal dentista per la periodica pulizia dei denti e quello dal meccanico per far revisionare la macchina. E lei la macchina non ce l'aveva nemmeno più. Spesso si era chiesta se c'era qualcosa di sbagliato in lei, specialmente quando guardava le coppiette passeggiare per strada mano nella mano. La maggior parte dei suoi coetanei uscivano in continuazione a caccia del candidato giusto da portare all'altare. Lei no. Lei non aveva mai provato il bruciante desiderio di stare con un uomo, tutto qua. Aveva persino preso in considerazione la possibilità di essere lesbica. Il guaio era che non si sentiva attratta dalle donne. Quindi la notte prima era stata una rivelazione. Si stiracchiò, avvertendo una deliziosa tensione tra le cosce. A occhi chiusi lo sentì dentro di sé, il membro turgido che entrava e usciva fino all'attimo supremo in cui era esploso in lei con un fiotto potente, e poi le sue braccia che l'avevano quasi stritolata. Senza volerlo inarcò la schiena; la fantasia erotica era così travolgente che sentì una smania tra le gambe. Si morse il labbro al ricordo di quegli orgasmi. Con un gemito si alzò e andò in bagno. Quando vide nel cestino dei rifiuti la camicia che lui si era strappato di dosso, la raccolse e se la portò alle narici. La stoffa nera era impregnata del suo odore. Il palpito tra le cosce si fece ancora più intenso. Come facevano a conoscersi, lui e O'Neal? Era anche lui nella polizia? Lei non lo aveva mai visto, ma c'erano un sacco di poliziotti che non conosceva. Buoncostume, pensò. Doveva essere della Buoncostume. O magari il capo di qualche unità speciale. Perché era decisamente il tipo d'uomo che andava in cerca di guai e che, quando li trovava, serviva le palle dell'avversario su un piatto d'argento. Sentendosi come una sedicenne, infilò la camicia sotto il cuscino. Poi vide sul pavimento il reggiseno che lui le aveva tolto. Santo cielo! Il davanti era tranciato di netto, reciso da qualcosa di tagliente. Strano. Dopo una doccia veloce e una prima colazione ancora più veloce a base di due biscotti di farina d'avena, una manciata di cracker e un succo di frutta, uscì per andare in ufficio. Beth era nel suo cubicolo da una mezz'ora a fissare il salvaschermo del computer quando squillò il telefono. Era José. «Abbiamo avuto un'altra nottata impegnativa» disse sbadigliando il poliziotto. «Un'altra bomba?» «No. Un cadavere. Una prostituta è stata trovata sgozzata fra la Terza e la Trade. Se passi dalla centrale puoi dare un'occhiata alle foto e leggere i rapporti. In via informale, naturalmente.» Due minuti dopo avere riattaccato, Beth era già per strada. Pensava di fare prima un salto alla stazione di polizia per poi andare direttamente all'indirizzo di Wallace Avenue. Moriva dalla voglia di rivedere il suo visitatore notturno, non poteva far finta di niente. Il sole del mattino splendeva senza pietà mentre si avvicinava al distretto. Beth frugò nella borsetta in cerca degli occhiali scuri, ma si accorse che non bastavano; fu un sollievo entrare nell'edificio fresco e male illuminato della centrale. José non era in ufficio; in compenso O'Neal stava uscendo dal suo. Il detective le rivolse un sorriso asciutto e agli angoli degli occhi nocciola si formò un fitto reticolo di rughe sottili. «Dobbiamo smetterla di vederci così.» «Ho sentito che avete un nuovo caso.» «Non avevo dubbi.» «Qualche commento da fare, detective?» «Abbiamo emesso un comunicato stamattina.» «Che non avrà detto niente di niente. Avanti, non puoi dirmi qualcosa?» «Non se parliamo in via ufficiale.» «E in via ufficiosa?» O'Neal prese un chewing-gum dalla tasca e lo scartò in modo meticoloso, poi piegò la pallida striscia di gomma da masticare e se la infilò in bocca affondandovi i denti. A Beth pareva di ricordare che un tempo fumasse, ma di recente non lo aveva visto con la sigaretta in mano. Il che probabilmente spiegava tutte quelle Wrigley's. «Rimarrà confidenziale, O'Neal. Giuro» disse Beth. Lui accennò con la testa alle sue spalle. «Allora ci serve una porta chiusa.» Il suo ufficio era grande più o meno quanto il cubicolo di Beth al giornale, ma per lo meno aveva una porta e una finestra. I mobili però non erano in buono stato quanto i suoi. La scrivania di legno era vecchia e sembrava il banco da lavoro di un falegname, tanto era malridotta. Il piano era tutto scheggiato, mancavano addirittura dei pezzi, e la vernice era così scrostata che assorbiva la luce fluorescente come se morisse di sete. Prima di sedersi il poliziotto le lanciò un fascicolo. «È stata rinvenuta dietro a dei bidoni dell'immondizia. Quasi tutto il sangue è finito nelle fogne, ma il coroner pensa di aver trovato tracce di eroina nel suo organismo. Aveva fatto sesso, quella sera, ma questa non è propriamente una notizia.» «Oh, mio Dio, è Mary!» esclamò Beth guardando la macabra foto del cadavere e lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. «Ventun anni» brontolò O'Neal imprecando sottovoce. «Che razza di spreco.» «La conoscevo.» «L'hai incrociata qui al distretto?» «No, siamo cresciute insieme. Per un po' siamo state nello stesso orfanotrofio. Dopo mi è capitato di incontrarla per caso, ogni tanto. Di solito qui in centrale.» Mary Mulcahy era una bella bambina. Era stata all'orfanotrofio insieme a Beth solo per un annetto prima di essere rispedita alla madre naturale. Due anni più tardi era tornata sotto la custodia dello Stato dopo che, a sette anni, era stata lasciata da sola per una settimana intera. Aveva detto di aver mangiato farina cruda quando il resto del cibo era finito. «Avevo sentito che eri stata in orfanotrofio» disse O'Neal scrutandola pensieroso. «Ti dispiace se ti chiedo perché?» «E secondo te? Niente genitori.» Beth richiuse il fascicolo e lo fece scivolare sulla scrivania. «Avete trovato l'arma?» Lui socchiuse le palpebre, ma non con aria stizzita. Sembrava incerto se seguire il suo esempio, forse era meglio lasciar cadere l'argomento. «L'arma?» insistette lei. «Un'altra stella Ninja. C'erano tracce di sangue, ma non della vittima. Abbiamo anche rilevato dei residui di polvere pirica in due punti distinti, come se qualcuno avesse acceso dei fuochi di segnalazione piazzandoli a terra. Difficile però immaginare che l'assassino abbia voluto attirare l'attenzione sul cadavere.» «Pensi che quello che è successo a Mary e l'autobomba siano collegati?» Il detective scrollò con noncuranza le spalle poderose. «Può darsi. Ma se qualcuno avesse voluto prendersi una rivincita con Big Daddy avrebbe colpito più in alto, nella catena alimentare, rispetto a Mary. Avrebbe puntato direttamente al pappone.» Beth chiuse gli occhi, richiamando alla mente l'immagine di Mary a cinque anni, con sottobraccio una Barbie senza testa e il vestitino tutto stracciato. «Però, d'altra parte» riprese O'Neal, «forse siamo solo all'inizio.» Beth udì la sedia del detective grattare sul pavimento e alzò lo sguardo mentre lui girava intorno alla scrivania per andare verso di lei. «Hai qualche progetto per cena, stasera?» le chiese. «Per cena?» «Sì. Tu e io.» Ossoduro le stava chiedendo di uscire? Di nuovo? Beth si alzò in piedi, desiderosa di trovarsi su un piano di parità con lui. «Ah, sì... cioè no, grazie, preferisco di no.» Anche se avevano una specie di rapporto professionale, lei aveva altro per la testa. Da non crederci. Voleva tenersi libera nel caso l'uomo vestito di pelle volesse vederla anche quella sera, oltre che la mattina dopo. Maledizione! Una bella scopata e lei già pensava di avere una storia con quel tizio? Doveva assolutamente tornare con i piedi per terra. O'Neal sorrise con aria cinica. «Un giorno forse capirò perché non ti vado a genio.» «Ma tu mi vai a genio. Non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno e, anche se non approvo i tuoi metodi, devo riconoscere di aver apprezzato il fatto che hai rotto di nuovo il naso a Billy Riddle.» I duri lineamenti di O'Neal si ammorbidirono leggermente. Il poliziotto le scoccò uno sguardo penetrante e Beth si disse che doveva essere pazza a non sentirsi attratta da lui. «E grazie anche per aver mandato quel tuo amico a casa mia, ieri sera» aggiunse, mettendosi la tracolla in spalla. «Anche se devo ammettere che all'inizio mi ha fatto prendere un bello spavento.» Appena prima di mostrarmi con precisione qual era l'uso migliore e più sublime del corpo umano. O'Neal si accigliò. «Quale amico?» «Ma sì! Quello che sembra una specie di incubo dark. È della Buoncostume, vero?» «Di che accidenti parli? Io non ho mandato proprio nessuno a casa tua.» Beth ebbe l'impressione che il sangue le defluisse dal cervello. L'allarme e il sospetto crescenti sul volto di O'Neal la trattennero dal rinfrescargli la memoria. Si diresse verso la porta. «Mi sarò sbagliata.» Il detective l'afferrò per un braccio. «Chi diavolo c'era a casa tua ieri sera?» Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei, si disse Beth. «Nessuno. Te l'ho detto, mi sarò sbagliata. Ci vediamo.» Attraversò l'atrio di corsa con il cuore che batteva all'impazzata. Quando uscì all'aperto, il sole la colpì in pieno viso e lei fece una smorfia di dolore. Una cosa era certa: non sarebbe andata all'appuntamento con quell'uomo, quella mattina, anche se erano in pieno giorno e l'816 di Wallace Avenue era nella zona più elegante della città. Alle quattro del pomeriggio Wrath era sul punto di esplodere. Non era riuscito a tornare da Beth, la sera prima. E quella mattina lei non si era fatta viva. Il fatto che non fosse venuta poteva significare solo due cose: o le era successo qualcosa oppure gli aveva dato buca. Con la punta delle dita controllò l'orologio braille. Mancavano ancora parecchie ore al tramonto. Maledette giornate estive! Troppo lunghe. Decisamente troppo lunghe. Andò in bagno con passo deciso, si rinfrescò la faccia e appoggiò entrambe le braccia sul piano di marmo del lavandino. Al chiarore della candela posata lì accanto rimase a fissare il proprio riflesso allo specchio. Non vedeva altro che un'indistinta zazzera di capelli neri, due sopracciglia sfocate e i contorni del suo viso. Era distrutto. Era tutto il giorno che non dormiva e la notte prima era stata un vero disastro. Fatta eccezione per la parte con Beth. Che era stata... Imprecando si asciugò la faccia. Ma che accidenti aveva? Fare l'amore con quella femmina era la peggiore di tutte le sciagure delle ultime ore. Grazie a quel sorprendente piccolo interludio, la sua mente ora vagava impazzita, il suo corpo era in un perpetuo stato di eccitazione e l'umore era uno schifo. Quest'ultima cosa, almeno, per lui era normale amministrazione. Cristo, la sera prima era stata una catastrofe su tutta la linea. Dopo aver lasciato i fratelli, lui e Vishous avevano attraversato la città per dare una controllata all'officina meccanica. Era sprangata; avevano esaminato con attenzione l'esterno, poi si erano introdotti all'interno e avevano concluso che non veniva utilizzata come centro operativo da parte dei lesser. L'edificio cadente era troppo piccolo, tanto per cominciare, e non erano riusciti a trovare un sotterraneo nascosto. Inoltre il quartiere non era certo il massimo. Nelle vicinanze c'erano un paio di tavole calde alla buona aperte tutta la notte, una delle quali frequentata dai piedipiatti. Troppo rischioso. Wrath e Vishous stavano tornando a casa di Darius, dopo aver fatto una breve sosta da Screamer's per soddisfare la voglia di Grey Goose di V, quando erano incappati in un problema. Era stato a quel punto che le cose avevano cominciato ad andare di male in peggio. In un vicolo avevano visto un vampiro civile gravemente ferito con due lesser che lo stavano finendo. Uccidere i lesser aveva richiesto del tempo perché entrambi erano molto esperti, e alla fine della lotta il vampiro era già morto. Il giovane maschio era stato torturato con crudeltà; il suo corpo, usato come una sorta di puntaspilli, era coperto di tagli superficiali. A giudicare dalle ginocchia sbucciate e dalla ghiaia sui palmi, il vampiro aveva cercato di trascinarsi al riparo. Intorno alla bocca aveva del sangue umano fresco e il suo odore aleggiava ancora nell’aria, ma lui e Vishous non avevano potuto trattenersi abbastanza per controllare la femmina che aveva morso perché era arrivata compagnia. I lesser si erano appena dissolti nel nulla quando il silenzio era stato rotto dalle sirene della polizia: quell'assordante sinfonia stava a significare che qualcuno aveva chiamato il 911 dopo aver sentito il baccano della rissa o dopo aver visto i lampi luminosi dei lesser che si disintegravano. Loro due erano scappati giusto in tempo, con il cadavere del vampiro a bordo della Escalade di Vishous. Una volta giunti a casa di Darius, V aveva perquisito il corpo. Nel portafogli c'era una strisciolina di carta con sopra dei caratteri nell'antico idioma. Nome, indirizzo, età. Erano passati solo sei mesi dal momento della sua transizione. Era maledettamente giovane. Un'ora prima dell'alba avevano trasportato il cadavere ai confini della città, fino a una bella casetta nascosta in mezzo ai boschi. Un'anziana coppia di civili aveva aperto la porta e alle narici di Wrath il loro terrore nel trovarsi davanti due guerrieri aveva assunto il tanfo tipico di immondizia bruciata. Quando i due vecchi avevano confermato di avere un figlio, Vishous era tornato alla macchina a prendere i resti del vampiro. Il padre si era precipitato fuori per correre dal suo ragazzo e lo aveva strappato dalle braccia di Vishous. Wrath invece aveva sorretto la madre prima che si accasciasse al suolo. Sapere che la morte del figlio era stata vendicata era servito a calmare un po' il padre. Ma non era certo abbastanza. Non per Wrath. Lui si sarebbe messo il cuore in pace solo dopo aver visto morti tutti i lesser. A occhi chiusi, Wrath si concentrò sul Black Album di Jay-Z nel tentativo di dimenticare la notte appena passata. La musica venne interrotta da un bussare ritmico e il guerriero aprì la porta con la sola forza del pensiero. «Che cosa c'è, Fritz?» Il maggiordomo entrò reggendo un vassoio d'argento. «Mi sono preso la libertà di prepararle qualcosa da mangiare, padrone.» Il doggen depose il vassoio sul basso tavolino di fronte al divano. Quando sollevò il coperchio dal piatto, Wrath annusò un delizioso profumino di pollo alle erbe. Pensandoci bene, era affamato. Attraversò la stanza e si mise a sedere, prendendo la forchetta d'argento massiccio. Poi la squadrò da vicino. «Cristo, certo che a Darius piaceva la roba costosa, eh?» «Oh, sì, padrone. Soltanto il meglio per il mio princeps.» Fritz indugiò in disparte, mentre Wrath si concentrava sul difficile compito di staccare un pezzo di carne dall'osso con l'aiuto delle posate. Le abilità motorie non erano decisamente il suo forte, tanto che finì per prendere in mano la coscia. «Le piace il pollo, padrone?» Wrath annuì masticando con gusto. «Sei bravissimo ai fornelli.» «Sono così felice che abbia deciso di rimanere qui.» «Non per molto. Ma non preoccuparti, presto potrai prenderti cura di qualcun altro.» Wrath affondò la forchetta in quello che sembrava purè di patate. Era riso, e alcuni chicchi volarono fuori dal piatto sparpagliandosi tutt'intorno. Imprecando, cercò di raccoglierne qualcuno sui denti della forchetta aiutandosi con l'indice. «E sarà infinitamente più facile vivere con lei che con me.» «Io preferisco occuparmi di lei. E, padrone, non cucinerò più il riso. La prossima volta provvederò anche a tagliare la carne a pezzetti. Scusi, ma non ci ho pensato.» Wrath si pulì la bocca con il tovagliolo di lino. «Non sprecare il tuo tempo cercando di compiacermi, Fritz.» Ci fu una risatina soffocata. «Darius aveva proprio ragione a proposito di lei, padrone.» «Quando diceva che sono un miserabile figlio di puttana? Già, era davvero perspicace» disse Wrath, inseguendo un pezzo di broccolo con la forchetta. Maledizione! Odiava mangiare, specialmente se qualcuno lo stava a guardare. «Non sono mai riuscito a capire perché voleva che venissi a stare qui da lui.» «Lo faceva per lei.» Wrath socchiuse gli occhi dietro gli occhiali da sole. «Ah, sì?» «Era preoccupato che lei fosse troppo solo. Vivendo per conto suo. Senza nessuna vera shellan, nessun doggen. Secondo il mio princeps il suo isolamento era un castigo che lei si era autoimposto.» «Be', non è così» disse Wrath, interrompendo tagliente il tono affabile del maggiordomo. «E se vuoi continuare a restare qui farai meglio a tenere per te le teorie psicologiche, chiaro?» Fritz trasalì come se lo avessero schiaffeggiato. Si piegò all'altezza della vita e, sempre chino, cominciò a indietreggiare verso la porta. «Voglia accettare le mie scuse, padrone. È stato grossolanamente sconveniente da parte mia rivolgermi a lei in questo modo.» L'uscio si richiuse piano. Wrath si appoggiò contro lo schienale del divano stringendo nel Pugno la forchetta di Darius. Cristo. Quel maledetto doggen sarebbe stato capace di far perdere la pazienza a un santo. E poi lui non era solo. Non lo era mai stato. La vendetta era una coinquilina fantastica. Mr X scrutò con attenzione i due allievi impegnati nell'allenamento. Erano una coppia ben assortita, entrambi diciottenni ed entrambi di corporatura robusta, ma lui sapeva già chi avrebbe vinto. Come previsto, uno dei due sferrò un calcio laterale rapido e micidiale, facendo cadere sulla schiena l'avversario. Mr X dichiarò concluso l'incontro e non disse altro mentre il vincitore allungava una mano per aiutare lo sconfitto a rimettersi in piedi a fatica. Quell'esibizione di cortesia era irritante, e gli venne voglia di punirli entrambi. La prima regola della Società era chiara: se atterravi qualcuno lo dovevi prendere a calci finché non smetteva di muoversi. Semplicissimo. D'altra parte, però, quella era una lezione, non il mondo reale, e i genitori che permettevano ai figli di dilettarsi con la violenza avrebbero avuto qualcosa da ridire se i loro preziosi pargoli fossero tornati a casa pronti per finire al cimitero. Quando i due allievi si inchinarono davanti a lui, la faccia dello sconfitto era paonazza, e non solo per la fatica. Mr X consentiva a tutta la classe di assistere, sapendo che la vergogna e l'imbarazzo erano elementi importanti del processo correttivo. Rivolse un cenno del capo al vincitore. «Ottimo lavoro. Però la prossima volta buttalo giù più in fretta, va bene?» Poi si rivolse allo sconfitto. Lo squadrò da capo a piedi notandone il respiro affannoso, il tremito delle gambe. «Tu sai dove andare.» Lo sconfitto batté in fretta le palpebre sul punto di scoppiare a piangere e si diresse verso la vetrata che dava sull'ingresso. Rimase in piedi di fronte ai pannelli trasparenti, a testa alta, in modo che chiunque entrasse nell'edificio potesse vederlo bene in faccia. Se si fosse asciugato le lacrime avrebbe dovuto subire di nuovo la punizione nel corso dell'allenamento successivo. Mr X suddivise la classe in gruppi e cominciò a sottoporli ai consueti esercizi. Rimase a osservarli, correggendo le posture e la posizione delle braccia, ma aveva la mente altrove. La sera prima non era stata proprio perfetta. Tutt'altro. Una volta a casa, lo scanner sintonizzato sulle frequenze della polizia lo aveva informato dell'ora in cui era stato rinvenuto il cadavere della prostituta, poco dopo le tre del mattino. Non c'era stato il minimo accenno al vampiro. Forse i lesser si erano portati via il civile per giocarci un po'. Era un peccato che le cose non fossero andate come aveva sperato, e lui aveva voglia di tornare di nuovo in pista. Utilizzare come esca un'altra femmina assassinata stavolta avrebbe funzionato. Ma i dardi al tranquillante dovevano essere calibrati meglio. Aveva cominciato con una dose relativamente bassa, attento a non uccidere il civile prima di poterselo lavorare a dovere. Evidentemente il dosaggio della droga andava aumentato. Quella sera invece avrebbe fatto baldoria. Mr X guardò lo sconfitto. La seduta era dedicata al reclutamento. La Società aveva bisogno di rimpolpare un po' le fila in seguito alla disintegrazione della nuova recluta avvenuta due notti prima. Nei secoli, quando i vampiri erano molto più numerosi, la Società contava centinaia di membri sparsi su tutto il continente europeo e nei primi insediamenti del Nord America. Ora che la popolazione dei vampiri si era assottigliata, tuttavia, la medesima sorte era toccata ai ranghi della Società. Era una questione di ordine pratico. Un lesser annoiato e inattivo non era una bella cosa. I lesser venivano selezionati specificamente in base alla loro vocazione alla violenza e i loro impulsi omicidi non si potevano accantonare perché non c'erano abbastanza bersagli da colpire. Un buon numero di essi aveva già dovuto essere eliminato per aver ucciso altri lesser in una gara per conquistare la supremazia all'interno della Società; una reazione aggressiva potenzialmente più frequente se il carico di lavoro diminuiva. Oppure, cosa altrettanto grave, alcuni lesser avevano cominciato a prendere di mira gli umani per puro sfizio. Nel primo caso si trattava di una ignominia e di una seccatura, nel secondo di un fatto inaccettabile. Non che all'Omega importasse qualcosa delle vittime umane. Anzi. Ma agire con discrezione, muoversi nell'ombra, uccidere rapidamente per poi tornare nell'ombra erano i principi cardine degli assassini. Attirare l'attenzione degli umani era sempre sconsigliabile, e niente metteva in agitazione l'Homo sapiens più di una montagna di cadaveri. Un altro motivo per cui le nuove reclute erano insidiose: tendevano a lasciarsi andare all'odio più che a concentrarsi. La maturazione era un elemento decisivo per preservare la natura segreta della guerra millenaria tra i vampiri e la Società. Mr X squadrò lo sconfitto e sorrise, pregustando la serata che lo attendeva. Poco prima delle sette prese il fuoristrada e si diresse verso i sobborghi, localizzando con facilità il 3461 di Pillar Street. Parcheggiò l'Hummer e si mise ad aspettare. Ammazzò il tempo memorizzando i particolari della casa a due piani. Era la tipica abitazione del ceto medio bianco americano. Un centinaio di metri quadrati per piano al centro di un minuscolo pezzetto di terra con un unico, grosso albero. I vicini di casa erano abbastanza vicini da riuscire a leggere le scritte sulle confezioni di cereali dei bambini al mattino, e le etichette sulle lattine di birra degli adulti la sera. Una vita linda e felice. Almeno vista da fuori. La porta a zanzariera si spalancò di colpo e il perdente della lezione pomeridiana si lanciò fuori come se stesse scappando da una nave sul punto di affondare. La madre lo seguì, indugiando sul gradino d'ingresso e osservando il SUV davanti a casa sua neanche fosse una bomba pronta a esplodere. Mr X abbassò il finestrino e la salutò con la mano. Dopo qualche istante la donna ricambiò il saluto. Il perdente balzò all'interno dell'Hummer, gli occhi scintillanti di invidia mentre studiava con attenzione i sedili di pelle e le spie sul cruscotto. «'Sera» disse Mr X premendo il piede sull'acceleratore. Il ragazzo annaspò goffamente prima di riuscire ad alzare le mani e a chinare il capo. «Sensei.» Mr X sorrise. «Sono contento che alla fine tu sia riuscito a liberarti.» «Già, be', mia madre è una vera rompipalle.» Il perdente stava cercando di fare il disinvolto sottolineando con forza le parolacce. «Non dovresti parlare così di lei.» Il perdente ebbe un attimo di smarrimento, costretto a rivedere il suo comportamento da duro. «Uh, ha detto che devo essere a casa prima delle undici. E una sera feriale e domani mattina ho da fare.» «Ti riporto indietro per le dieci.» «Dove andiamo?» «Dall'altra parte della città. C'è una persona che voglio farti conoscere.» Poco più tardi Mr X imboccò un viale lungo e serpeggiante che si dipanava, una curva dopo l'altra, in mezzo ad alberi rari illuminati da faretti e sculture in marmo dall'aria antica. La strada era abbellita anche da alcuni esemplari di arte topiaria: cespugli di bosso potati a forma di animale, come tante decorazioni su una torta di marzapane verde. Un cammello, un elefante, un orso. Quando si dice la manutenzione, pensò Mr X. «Cavolo!» esclamò il perdente allungando il collo a destra e a sinistra. «Cos'è questo? Un parco? Ehi, guardi un po' quello! È un leone. Sa, credo di voler fare il veterinario. Forte! Sa, salvare gli animali.» Il perdente era in macchina da meno di venti minuti e già Mr X non ne poteva più di lui. Quel ragazzo era come un pelucco nel piatto: un fastidio che faceva venire voglia di vomitare. E non solo perché diceva «sa» in continuazione. Svoltarono una curva e davanti a loro comparve una maestosa villa in mattoni. Billy Riddle era già uscito di casa e li aspettava in piedi, appoggiato a una colonna bianca. I blue-jeans gli pendevano bassi sui fianchi, lasciando intravedere l'elastico delle mutande; in mano aveva un mazzo di chiavi legate con un cordoncino con cui giocherellava frustando l'aria avanti e indietro. Quando vide l'Hummer si raddrizzò, e il suo sorriso tese la benda che gli fasciava naso. Il perdente si agitò sul sedile come se si sentisse in trappola. Billy si avvicinò alla portiera anteriore, dal lato del passeggero, muovendo con disinvoltura il fisico muscoloso. Quando vide che il posto era già occupato dal perdente, lo fissò in cagnesco, inchiodandolo con uno sguardo cattivo. Il perdente sganciò la cintura di sicurezza e allungò la mano verso la maniglia. «No» disse Mr X. «Billy si siederà dietro di te.» Il perdente si appoggiò allo schienale, pizzicandosi il labbro. Vedendo che l'altro non accennava a cambiare posto, Billy spalancò di scatto la portiera posteriore e salì in macchina. Quando incrociò gli occhi di Mr X nello specchietto retrovisore, l'ostilità si tramutò in rispetto. «Sensei.» «Billy, come stai stasera?» «Bene.» «Perfetto. Fammi un favore, tirati su i calzoni.» Billy si tirò su i pantaloni spostando lo sguardo sulla nuca del perdente. Aveva l'aria di volergli trapanare il cranio e, a giudicare dal modo in cui si tormentava nervosamente le dita, l'altro lo sapeva. Mr X sorrise. È tutta questione di chimica, pensò. CAPITOLO 12 Beth si appoggiò all'indietro sulla sedia allargando le braccia. Lo schermo del computer occhieggiava luminoso. Dio, quanto era comodo Internet. Secondo la ricerca fatta in rete, il proprietario dell'immobile ubicato all'816 di Wallace Avenue si chiamava Fritz Perlmutter. Aveva acquistato la proprietà nel 1978 per una somma di poco superiore ai 200.000 dollari. Quando aveva cercato su Google il cognome Perlmutter, aveva trovato una quantità di persone il cui nome di battesimo iniziava per F, ma nessuna di loro abitava a Caldwell. Dopo aver consultato alcuni database governativi senza ricavarne niente di utile, aveva chiesto a Tony di fare un po' di pirateria informatica. Era venuto fuori che Fritz era un cittadino modello rispettoso della legge. La sua situazione debitoria era eccellente. Non aveva mai avuto guai con il fisco o con la polizia. Non era mai neanche stato sposato. E nella banca locale faceva parte della cosiddetta segmentazione di clientela private, cioè aveva una barca di soldi. E questo era praticamente tutto quello che Tony era riuscito a trovare. Facendo un po' di conti, Beth calcolò che l'onesto e rispettabile Perlmutter doveva essere sui settantanni. Perché diavolo un onesto cittadino avrebbe dovuto frequentare il suo predatore notturno? Forse l'indirizzo non era quello giusto? Be', notizia davvero sconvolgente. Un tizio completamente vestito di pelle nera e armato fino ai denti dava false informazioni? Guarda un po'! E tuttavia l’816 di Wallace Avenue e il nome Fritz Perlmutter erano tutto quello che lei aveva in mano. Spulciando gli archivi del «Caldwell Courier Journal» aveva scovato un paio di articoli sulla casa. La lussuosa abitazione era stata inclusa nel Registro Nazionale delle dimore storiche in quanto magnifico esempio di stile federale, in voga negli Stati Uniti dopo la Guerra d'indipendenza. Alcuni elzeviri e lettere di lettori vertevano sui lavori che l'edificio aveva subito dopo che Mr Perlmutter ne era entrato in possesso. Da anni, evidentemente, l'associazione storica locale scalpitava per entrare in quella casa a vedere cosa fosse cambiato, ma il padrone aveva sempre respinto ogni richiesta in tal senso. Nelle lettere al direttore la cocente frustrazione dei patiti di storia si mescolava alla riluttanza con cui essi mostravano di approvare l'accuratezza dei restauri eseguiti all'esterno del palazzo. Rileggendo una pagina, Beth si infilò in bocca un Tums, sgranocchiandolo fino a ridurlo a una polverina che andò a riempire le fessure tra i molari. Aveva di nuovo i bruciori allo stomaco. Ed era affamata. Accoppiata grandiosa. Forse era la frustrazione. In sostanza non aveva fatto alcun progresso. E il numero di cellulare che le aveva dato lo sconosciuto? Non rintracciabile. Vista la totale assenza di informazioni era sempre più determinata a stare alla larga da Wallace Avenue. E sentiva quasi l'eco dell'antico bisogno di confessarsi. Controllò l'ora. Quasi le sette. Decise di andare a mangiare. Meglio lasciar perdere la chiesa; al posto del nutrimento spirituale si sarebbe procurata un po' di nutrimento di tipo materiale. Piegandosi di fianco, sbirciò oltre la parete divisoria del suo cubicolo. Tony se n'era già andato. Non aveva nessuna voglia di restare da sola. Sull'onda di un impulso incontrollabile alzò il telefono e compose il numero della stazione di polizia. «Ricky? Sono Beth. Per caso c'è il detective O'Neal? Okay, grazie. No, nessun messaggio. No, io... non chiamarlo sul cercapersone, per favore. Non è niente di importante.» Meglio così. Ossoduro non era certo il genere di compagnia priva di complicazioni che stava cercando. Rimase a fissare l'orologio, smarrendosi nel lento giro della lancetta dei secondi sul quadrante. Le ore serali si stendevano davanti a lei come una lunga corsa a ostacoli, ore da schivare e da superare. In fretta, possibilmente. Magari poteva mangiare un boccone e poi andare al cinema. Qualunque cosa pur di ritardare il rientro a casa. Pensandoci bene, forse avrebbe fatto meglio a dormire in un motel. Caso mai quell'uomo tornasse di nuovo a cercarla. Aveva appena spento il computer che il telefono si mise a squillare. Alzò il ricevitore al secondo squillo. «Ho sentito che mi cercavi.» La voce di Butch O'Neal era cavernosa, pensò Beth. In senso buono. «Hmm. Sì» disse, spingendosi i capelli sulle spalle. «Sei ancora libero per cena?» La risata del detective era un rombo soffocato. «Sarò davanti al giornale tra un quarto d'ora.» Riattaccò prima che lei avesse il tempo di lasciar cadere con oculata noncuranza un commento del tipo «è-soltanto-una-cena». Dopo il tramonto Wrath riportò in cucina il vassoio d'argento con gli avanzi della cena. Anche lì tutto era il meglio del meglio, com'era tipico di Darius. Elettrodomestici industriali in acciaio inossidabile, una sfilza di armadietti e uno spazioso piano di lavoro in granito. Una quantità di finestre. Troppa luce. Fritz era al lavello intento a sfregare qualcosa. Lo guardò da sopra la spalla. «Padrone, non doveva disturbarsi.» «Sì, invece.» Wrath posò il vassoio sul bancone e vi si appoggiò con le braccia. Il maggiordomo chiuse il rubinetto. «Aveva bisogno di qualcosa?» Be' , tanto per cominciare gli sarebbe piaciuto non essere una così grande testa di cazzo. «Fritz, il tuo lavoro qui non è in discussione. Volevo fartelo sapere.» «Grazie, padrone.» La voce del domestico era pacata. «Non so cosa farei se non avessi nessuno di cui occuparmi. E questa per me è come se fosse casa mia.» «E lo è, infatti. Per tutto il tempo che vorrai.» Wrath si voltò, diretto alla porta. Era quasi uscito quando Fritz riprese a parlare. «Questa è anche casa sua, padrone.» Lui scosse la testa. «Io ho già un posto dove dormire, non me ne serve un altro.» Quindi uscì in corridoio, sentendosi particolarmente feroce. Cristo, Beth avrebbe fatto meglio a essere viva e a stare bene. In caso contrario, che Dio aiutasse chiunque le aveva fatto del male. E se invece aveva deciso di evitarlo? Non aveva importanza. Molto presto il suo corpo avrebbe avuto bisogno di qualcosa che soltanto lui poteva darle, perciò prima o poi lo avrebbe cercato. Altrimenti sarebbe morta. Ripensò alla morbida pelle del suo collo. Rivisse la sensazione provata passando la lingua sopra la vena che le saliva su dal cuore. Scoprì le fauci come se fosse lì davanti a lui, pronto ad affondare i canini nella sua carne per bere. Chiuse gli occhi, scosso da un tremito. Lo stomaco, sazio di cibo, si trasformò in un dolorante pozzo senza fondo. Cercò di ricordare l'ultima volta che si era nutrito con il sangue di Marissa. Era passato un po' di tempo, non tantissimo. Si sforzò di calmarsi, di riacquistare il controllo. Era come tentare di rallentare un treno con il freno a mano, ma alla fine un rinfrescante flusso di ragionevolezza prese il posto del raptus provocato dalla sete di sangue. Tornato alla realtà provò un senso di disagio. Il suo istinto reclamava a gran voce un po' di tregua. Quella femmina era pericolosa. Se riusciva a colpirlo così, senza nemmeno essere presente, forse era davvero la sua pyrocant. Il suo detonatore, per così dire. La corsia a scorrimento veloce verso l'autodistruzione. Wrath si passò una mano tra i capelli. Ironia della sorte, lui la desiderava più di qualunque altra femmina, dannazione! Ma forse non era un'ironia della sorte, forse era così che funzionava il sistema delle pyrocant. Il bisogno di legarsi proprio a ciò che aveva il potere di distruggerti permetteva al bastardo di mettertelo in quel posto. In fin dei conti, dove stava il divertimento se potevi evitare senza difficoltà la bomba a mano che avevi dentro di te? Accidenti a lui. Doveva eliminare Beth dalle sue responsabilità. E alla svelta. Subito dopo la transizione l'avrebbe messa nelle mani di un maschio adatto. Un civile. In una sorta di agghiacciante flashback, vide il cadavere insanguinato e straziato di quel maschio. Come diavolo poteva proteggerla, un civile? Wrath non conosceva la risposta, ma che alternative aveva? Lui non voleva tenerla. E affidarla a uno dei fratelli? Già, e chi scegliere del gruppo? Rhage? Che si sarebbe limitato ad aggiungerla al suo harem di femmine scopabili o, peggio, l'avrebbe sbranata per errore? V, con tutti i suoi problemi? Zsadist? E pensava davvero di riuscire a sopportare il fatto che uno dei suoi guerrieri se la facesse? Manco per le palle. Dio, com'era stanco! Vishous si materializzò davanti a lui. Quella sera il vampiro non portava il consueto cappellino da baseball, quindi Wrath riuscì vagamente a distinguere il complicato tatuaggio che gli girava intorno all'occhio sinistro. «Ho trovato Billy Riddle» gli annunciò accendendo una sigaretta rollata a mano, le dita guantate che si muovevano con sicurezza. Quando sbuffò fuori il fumo, la fragranza del tabacco turco saturò l'aria. «È stato arrestato per violenza sessuale quarantotto ore fa. Vive con il suo paparino che, guarda caso, è anche un senatore degli Stati Uniti.» «Origini altolocate.» «Difficile averne di più altolocate. E mi sono anche preso la liberta di fare qualche ricerca. Da minorenne, il nostro caro Billy ha continuato a cacciarsi nei guai. Roba tosta... reati sessuali. Chissà come sarà contento il responsabile della campagna elettorale di paparino adesso che il ragazzo ha compiuto diciott'anni. D'ora in avanti tutto quello che Billy combinerà sarà di dominio pubblico.» «Hai un indirizzo?» «Sì» rispose sogghignando Vishous. «Vuoi fargli male?» «Hai indovinato.» «Allora muoviamoci.» Wrath scosse la testa. «Con te e con gli altri ci vediamo qui più tardi. Prima devo andare in un posto.» Sentì gli occhi di V farsi più penetranti, l'acuta mente del vampiro rimuginare sulla situazione. Tra tutti i fratelli, Vishous era quello con le maggiori potenzialità intellettive, ma quel privilegio gli costava caro. Anche Wrath aveva i suoi demoni, e non erano certo una cosuccia da niente, però non avrebbe mai voluto portare la croce di Vishous. Riuscire a prevedere il futuro era un fardello terribile. V aspirò una boccata dalla sigaretta e sbuffò fuori il fumo lentamente. «Ieri notte ti ho sognato.» Wrath si irrigidì. In un certo senso se lo aspettava, prima o poi. «Non voglio sapere niente, fratello. Sul serio.» L'altro annuì. «Ricordati solo una cosa, okay?» «Spara.» «Due guardie sotto tortura saranno ben felici di scannarsi a vicenda.» CAPITOLO 13 È stata proprio una bella cena» disse Beth mentre Butch accostava davanti al suo caseggiato. Lui era perfettamente d'accordo. Quella ragazza era in gamba, simpatica e bella da morire. E se appena appena gli capitava di sgarrare prendendosi qualche libertà di troppo, lei non perdeva occasione per rimetterlo al suo posto. Quindi era anche incredibilmente sexy. Parcheggiò la macchina ma la tenne in moto. Spegnere il motore le avrebbe dato l'impressione che volesse estorcerle un invito a entrare. Vero, naturalmente. Ma non voleva metterla a disagio, se non era quello che lei aveva in mente. Cavolo, rischiava di trasformarsi in un bravo ragazzo. «Sembri sorpresa di esserti divertita» disse. «In effetti un po' sì.» Butch fece scorrere lo sguardo su di lei, a cominciare dalle ginocchia, appena visibili sotto l'orlo della gonna. Al debole chiarore del cruscotto intravedeva le linee armoniose del suo corpo, il collo lungo, bellissimo, le labbra assolutamente perfette. Aveva voglia di baciarla, lì, nella penombra, sui sedili dell'auto, quasi fossero due adolescenti. E poi aveva voglia di entrare in casa insieme a lei. Per uscirne non prima della mattina dopo. «Allora grazie» disse Beth con un sorriso, allungando la mano Verso la portiera. «Aspetta» la fermò lui. Si mosse in fretta, per non dare a nessuno dei due il tempo di pensare. Le prese il viso tra le mani e premette la bocca sulla sua. Quando Wrath si materializzò nel cortile dietro il monolocale di Beth avvertì subito un formicolio su tutta la pelle. Lei era nelle vicinanze, sebbene a casa sua le luci fossero spente. Seguendo un'intuizione girò intorno all'edificio. Di fronte al palazzo era parcheggiata una normalissima berlina. Lei era seduta lì dentro. Wrath proseguì lungo il marciapiede e, fingendo di fare quattro passi al buio, passò accanto alla macchina. Si fermò di colpo. I suoi occhi altrimenti inutili funzionavano abbastanza bene da comunicargli che un tizio le stava addosso. Come se l'irresistibile desiderio sessuale di quell'umano non fosse bastato a metterlo sull'avviso. Riusciva a sentire l'odore della libidine del bastardo malgrado il vetro e l'acciaio della berlina. Wrath si gettò in avanti. Il primo impulso fu quello di scardinare la portiera e ammazzare chi aveva osato metterle le mani addosso, chiunque fosse. Tirarlo fuori e squarciargli la gola. Ma all'ultimo istante si trattenne imponendosi di tornare indietro, nelle tenebre. Figlio di puttana. Wrath vedeva rosso, nel vero senso della parola, talmente era agitato. Che un altro maschio potesse baciare quella bocca, sentire quel corpo sotto le mani... Un ringhio soffocato gli vibrò nel petto sfuggendogli dalle labbra. Lei è mia. Imprecò. Già, ma in che razza di universo parallelo viveva? Beth era sotto la sua responsabilità temporanea, non era la sua shellan. Era libera di stare con chi voleva. Dove voleva. Quando voleva. Però, Cristo, il pensiero che potesse davvero piacerle quello che quel tizio le stava facendo, che preferisse il gusto del bacio di un umano, bastava a fargli pulsare le tempie. Benvenuto nel meraviglioso mondo della gelosia, pensò. Il prezzo del biglietto le dà diritto anche a un mal di testa da urlo, all'impulso quasi irresistibile di ammazzare qualcuno e a un bel complesso di inferiorità. Evviva. Maledizione! Non vedeva l'ora di tornare alla vita di prima. Un secondo dopo la transizione di Beth, lui avrebbe lasciato la città. Fingendo di non avere mai e poi mai conosciuto la figlia di Darius. Butch O'Neal era un gran baciatore. Le sue labbra, decise ma deliziosamente morbide, lasciavano intendere, senza forzare troppo, che era pronto a portarsela a letto e a dimostrarle le sue intenzioni serie. E da vicino aveva un buon odore, un misto di dopobarba e bucato appena fatto. Beth alzò le mani. Le spalle del poliziotto erano larghe e forti sotto i suoi palmi, il corpo teso come un arco verso di lei. Era tutto potenza compressa, e in quel momento avrebbe tanto voluto sentirsi attratta da lui. Veramente. Purtroppo non sentiva quel dolce sussulto di disperazione, quella smania selvaggia. Non come le era capitato la sera prima con... Certo che quello era il momento più sbagliato per pensarci. Quando Butch si ritrasse, il suo sguardo era imperscrutabile. «Non ti faccio impazzire, vero?» Beth ridacchiò. Lasciate fare a Ossoduro. Delicato come sempre. «Tu sì che sai baciare, O'Neal, questo te lo concedo. Quindi non è per carenza tecnica.» Lui si risedette al suo posto scrollando la testa. «Be', grazie infinite, davvero.» Ma non sembrava terribilmente offeso. E, adesso che riusciva a pensare con maggiore lucidità, era contenta che non fosse scattata la fatidica scintilla. Se le fosse piaciuto, se avesse voluto stare con lui, Butch le avrebbe spezzato il cuore. Ne era sicura. Nel giro di una decina d'anni, se mai fosse riuscito a resistere così a lungo, sarebbe crollato per lo stress, le brutture e le sofferenze legate al lavoro. Se lo stavano già mangiando vivo. Ogni anno sarebbe stato un po' più sotto pressione, e nessuno, nessuno al mondo sarebbe riuscito a impedirgli di andare in tilt. «Attenta, Randall» brontolò lui. «È già abbastanza seccante sapere che non ti mando su di giri, ma quell'aria di compatimento è dura da mandare giù.» «Scusa» disse sorridendo Beth. «Ti spiace se ti chiedo una cosa?» «Fai pure.» «Cosa c'è che non va tra te e gli uomini? Ti, hmm, ti piacciono? Voglio dire, ti piacciamo?» Lei scoppiò a ridere ripensando a quello che aveva fatto la notte prima con lo sconosciuto. I dubbi sul suo orientamento sessuale erano stati archiviati per sempre. Morti e sepolti. «Sì, gli uomini mi piacciono.» «Per caso qualcuno ti ha fatto qualche brutto scherzo? Sì, insomma, hai capito cosa intendo, ti ha fatto soffrire?» Beth scosse la testa. «È che sono un tipo riservato.» Butch abbassò lo sguardo sul volante, facendovi scorrere la mano. «È proprio un gran peccato. Perché sei fenomenale. Sul serio.» Si schiarì la gola quasi fosse in imbarazzo. Timido. Chi l'avrebbe mai detto. Ossoduro era timido, in realtà. D'impulso Beth si protese verso di lui e lo baciò sulla guancia. «Anche tu non sei per niente male.» «Sì, lo so» replicò lui, scoccandole uno di quei sorrisi beffardi che erano un po' il suo marchio di fabbrica. «Adesso però porta il tuo bel culetto dentro quel palazzo... È tardi.» Butch rimase a guardarla mentre passava davanti ai fari della macchina, i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle. Sì, era la donna giusta per lui. Una donna davvero fantastica. E, per la miseria, sapeva esattamente di che pasta era fatto. Quello sguardo triste nei suoi occhi di poco prima significava che aveva visto la tomba che lo stava prematuramente aspettando. Perciò tanto meglio se tra loro non si era creata la giusta alchimia. Altrimenti forse sarebbe stato tentato di farla innamorare, se non altro per il gusto di non andarsene all'inferno da solo. Mise in moto, ma tenne il piede pigiato sul freno mentre Beth saliva i gradini d'ingresso. Aveva la mano sulla porta e lo stava salutando per l'ultima volta quando qualcosa si mosse nell'ombra di fianco all'edificio. Butch spense di nuovo il motore. C’era un uomo vestito di nero che si stava dirigendo verso il retro del palazzo. Butch scese dall'auto e attraversò silenziosamente il giardinetto laterale. CAPITOLO 14 L’unica cosa che Wrath aveva in mente era raggiungere Beth. Quindi soltanto a metà del cortile udì l'umano alle sue spalle. «Polizia! Fermo!» Poi sentì un rumore anche troppo familiare: lo scatto del cane di una pistola che veniva puntata contro di lui. «Fammi vedere le mani!» Il vampiro percepì l'odore dell'uomo e sorrise. La lussuria aveva lasciato il posto all'aggressività e il desiderio di menare le mani era incalzante come poco prima lo era stato quello sessuale. L'amico era proprio su di giri, quella sera. «Ho detto fermo e mani in alto!» Wrath si fermò e infilò la mano nel giubbotto per prendere una delle sue stelle Ninja. Sbirro o meno avrebbe liquidato l'umano, gli avrebbe fatto un bel taglio al collo recidendogli l'arteria. Ma Beth spalancò la vetrata. Wrath sentì immediatamente il suo odore e, incredibile ma vero, ebbe un'erezione. «Le mani!» «Cosa sta succedendo?» gridò Beth. «Torna dentro» abbaiò l'umano. «Su le mani, stronzo! O ti faccio un buco in testa.» Ormai lo sbirro era a non più di tre metri di distanza e continuava ad avvicinarsi. Wrath sollevò i palmi. Non voleva ucciderlo davanti a Beth. E poi, altri tre secondi e la pistola sarebbe stata a distanza ravvicinata, e nemmeno lui poteva sopravvivere a un colpo a bruciapelo. «O'Neal...» «Beth, levati di lì, cazzo!» La mano dello sbirro calò con forza sulla spalla di Wrath, che si lasciò spingere contro il caseggiato. «Mi spieghi perché gironzoli qui intorno?» sbraitò l'umano. «Sono uscito a fare una passeggiata» rispose Wrath. «E lei?» Lo sbirro afferrò prima una e poi l'altra delle braccia di Wrath e gliele tirò dietro la schiena. Le manette scattarono in un baleno. L'amico ci sapeva fare, con i ferri del mestiere. Wrath si voltò verso Beth. Da quello che riusciva a vedere, teneva le braccia strette al petto. La paura aveva condensato l'aria intorno a lei, trasformandola in una sorta di coperta che l'avvolgeva da capo a piedi. Benone, pensò Wrath. Adesso era di nuovo spaventata a morte da lui. «Non guardarla» disse lo sbirro spingendogli la faccia contro il muro. «Come ti chiami?» «Wrath» rispose Beth. «Mi ha detto di chiamarsi Wrath.» L'umano ringhiò nel vero senso della parola. «Sei dura d'orecchio, tesoro? Ti ho detto di levarti di lì.» «Anch'io voglio sapere chi è.» «Domani mattina ti chiamo e ti faccio un bel rapporto, cosa ne pensi?» Wrath si trattenne a stento. Non poteva negare che farla tornare dentro era un'ottima idea, ma non gli piaceva il modo in cui il piedipiatti le parlava. L'umano infilò la mano dentro il suo giubbotto e cominciò a tirar fuori, una dopo l'altra, una sfilza di armi: tre stelle Ninja, un coltello a serramanico, una pistola, una catena. «Gesù Cristo» farfugliò, lasciando cadere a terra le maglie d'acciaio insieme al resto dell'arsenale. «Hai un documento d'identità? O non c'era più spazio per un portafogli, visto che ti porti dietro una quindicina di chili di armi illegali?» Quando trovò un grosso rotolo di banconote, lo sbirro imprecò di nuovo. «Ti porti dietro anche della droga oppure per stasera hai esaurito le scorte?» Wrath si lasciò voltare e sbattere di nuovo con forza contro il muro di mattoni. Mentre lo sbirro estraeva i due pugnali dal fodero che aveva sul petto, il vampiro abbassò lo sguardo su di lui. Quanto gli sarebbe piaciuto squarciargli la gola con i denti! Allungò la testa in avanti. Non potè farne a meno, era più forte di lui. «Attento, O'Neal!» gridò Beth, quasi gli avesse letto nel pensiero. Il piedipiatti premette la canna della pistola contro il collo di Wrath. «Allora, vuoi dirmi come ti chiami?» «Mi sta arrestando?» «Esatto.» «Per che cosa?» «Lasciami pensare. Violazione di proprietà privata. Porto abusivo d'armi. Hai il porto d'armi per quella pistola? Scommetto di no. Oh, e grazie a tutte queste stelle Ninja sto pensando di aggiungere anche omicidio. Sì, così dovrebbe bastare.» «Omicidio?» mormorò Beth. «Il tuo nome, dicevamo?» insistette il piedipiatti, guardandolo in cagnesco. Wrath fece un sorriso sarcastico. «Dev'essere chiaroveggente.» «Scusa?» «A proposito dell'accusa di omicidio.» Wrath rise piano abbassando la voce. «È mai stato dentro un sacco per cadaveri, agente?» Una rabbia cieca e vibrante trasudò da tutti pori dell'umano. «Non minacciarmi.» «Non lo sto facendo.» Il gancio sinistro fendette l'aria veloce come una palla da baseball e Wrath non fece nulla per schivarlo. Il pugno micidiale dello sbirro lo colpì alla mascella sbattendogli indietro la testa. Il dolore gli esplose in faccia come uno sprazzo di sole. «Butch! Basta!» Beth si lanciò in avanti, ma O'Neal la tenne a distanza usando le maniere forti. «Cristo, lo sai che sei proprio una rompipalle! Vuoi farti male?» sbraitò spingendola via. Wrath sputò sangue. «Ha ragione lui. Vai dentro.» Perché le cose stavano per mettersi male sul serio. Tanto per cominciare, per quel poco che aveva visto del suo tentativo di abbordaggio, quello sbirro non gli piaceva per niente. Ma se poi l'amico si fosse rivolto di nuovo a Beth con quel tono, Wrath avrebbe fatto conoscere ai suoi denti davanti la gioia della liberazione. E dopo avrebbe ammazzato quel gran figlio di puttana. «Torna dentro, Beth» disse. «Chiudi il becco!» gridò lo sbirro. «Mi picchierà di nuovo se non faccio come dice lei?» Lo sbirro spinse la faccia vicinissimo alla sua. «No, ti sparo.» «Per me va bene. Mi piacciono le ferite da arma da fuoco» ribatté Wrath. Poi abbassando la voce aggiunse, accennando a Beth: «Ma non davanti a lei». «Vaffanculo.» Lo sbirro coprì le armi e i soldi gettandoci sopra la sua giacca, quindi afferrò Wrath per un braccio e si mise a camminare. Quando Butch trascinò via Wrath, Beth si sentì sul punto di vomitare. L'aggressività scorreva tra quei due come acido di batteria e, anche se Wrath era ammanettato e tenuto sotto tiro, non era proprio certa che Butch fosse al sicuro. Aveva quasi la sensazione che Wrath volesse farsi arrestare. Butch deve averlo capito, pensò. Altrimenti avrebbe messo via la pistola invece di continuare a tenerla premuta contro la tempia del suo prigioniero. Sapeva che Ossoduro era violento con i criminali, ma era abbastanza matto da ucciderne uno? A giudicare dall'espressione letale in faccia, la risposta sembrava decisamente sì. E rischiava anche di farla franca. Chi viveva in modo violento spesso andava incontro anche a una morte violenta, e Wrath non era certo un damerino rispettoso della legge. Se fosse finito con un proiettile in testa in qualche vicolo buio o a galleggiare a faccia in giù nel fiume, chi si sarebbe sorpreso? Cedendo a un impulso irrefrenabile, svoltò di corsa l'angolo del palazzo. Butch marciava verso la sua auto come se stesse trasportando un carico instabile e Beth dovette accelerare il passo per raggiungerlo. «Aspetta. Ho bisogno di chiedergli una cosa.» «Vuoi sapere che numero di scarpe porta o roba del genere?» sbottò rabbioso il detective. «Quarantotto» rispose Wrath in tono strascicato. «Me ne ricorderò a Natale, stronzo.» Beth si piazzò davanti ai due uomini costringendoli a fermarsi. Alzò la testa guardando bene in faccia Wrath. «Perché sei venuto a cercarmi?» Era pronta a giurare che il suo sguardo si fosse addolcito, dietro gli occhiali da sole. «Non voglio dirtelo così.» Butch la respinse in malo modo. «Ho un'idea. Perché non mi lasci fare il mio lavoro?» «Non toccarla» ringhiò Wrath. «Sì, certo! Adesso ti do anche retta» brontolò Butch, trascinandolo avanti con uno strattone. Quando giunsero alla macchina il poliziotto spalancò con forza la portiera posteriore e spinse giù la gigantesca mole del prigioniero. «Chi sei!» gridò Beth. Wrath la guardò, perfettamente immobile malgrado Butch gli gravasse addosso con tutto il suo peso. «Mi ha mandato tuo padre» disse distintamente. Poi scivolò sul sedile di dietro. Beth smise di respirare. Si accorse vagamente che Butch sbatteva la portiera prima di correre dall'altra parte per mettersi al posto di guida. «Aspetta!» gridò. Ma l'auto era già partita a razzo, sgommando sull'asfalto. CAPITOLO 15 Butch prese il microfono e comunicò alla centrale di mandare subito qualcuno nel cortile del palazzo di Beth a recuperare le armi e il denaro nascosti sotto la sua giacca. Guidando teneva un occhio sulla strada e l'altro sullo specchietto retrovisore. Il sospettato ricambiava il suo guardo con un mezzo sorriso sulla faccia poco raccomandabile. Cristo, era proprio grosso! Occupava quasi tutto il sedile posteriore e teneva la testa piegata di lato per non picchiare contro il tettuccio mentre procedevano a tutta velocità sulla strada accidentata. Butch non vedeva l'ora di tirarlo fuori da quella maledetta auto. Meno di cinque minuti dopo, lasciò Trade Street entrando nel parcheggio della stazione di polizia e accostando il più possibile all'entrata sul retro. Scese e aprì la portiera. «Vediamo di fare i bravi, eh?» disse afferrando il tizio per il braccio. L'uomo si alzò in piedi e Butch gli diede uno strattone. Ma l'indiziato cominciò a indietreggiare allontanandosi dalla centrale. «Stai andando dalla parte sbagliata.» Butch gettò l'ancora, piantando i talloni nel marciapiede e tirando con tutte le forze. Ma l'altro fu irremovibile. Continuò a indietreggiare trascinandosi dietro il poliziotto. «Credi che non abbia il coraggio di spararti?» chiese Butch allungando la mano verso la pistola. Tutto accadde in un attimo. Butch non aveva mai visto nessuno muoversi così in fretta. Un attimo prima il tizio aveva le braccia dietro la schiena e un attimo dopo le manette erano per terra. E con una assoluta economia di movimenti, Butch venne disarmato, immobilizzato con una presa soffocante sotto il mento e trascinato nell'ombra. Le tenebre inghiottirono entrambi. Mentre si divincolava, Butch capì di trovarsi nello stretto vicolo fra la stazione di polizia e il palazzo di uffici. Il vicolo era largo un metro e mezzo soltanto, ma lungo una ventina di metri. Non era illuminato e non vi si affacciavano finestre. Quando il sospettato lo fece voltare a forza sbattendolo contro il muro, il poco fiato che Butch era riuscito a immagazzinare gli uscì dai polmoni in un colpo solo. Incredibilmente si ritrovò sollevato da terra: l'uomo lo teneva per il collo con una sola mano. «Avrebbe dovuto tenersi fuori da questa storia, agente» disse con voce profonda e un leggero accento straniero. «Avrebbe dovuto continuare per la sua strada e lasciare che la ragazza venisse da me.» Con le mani Butch cercava di liberarsi dalla presa d'acciaio. L'artiglio gigantesco stretto intorno alla sua gola gli stava letteralmente strizzando fuori la vita. Boccheggiava, in debito di ossigeno. Gli si annebbiò la vista e la coscienza scivolò fuori dalla sua portata. Capì senza ombra di dubbio che questa volta non se la sarebbe cavata. Lo avrebbero portato fuori da quel vicolo dentro un sacco, proprio come l'uomo gli aveva predetto. Un minuto dopo smise di opporre resistenza, le braccia ricaddero lungo i fianchi, inerti. Lui voleva lottare. Aveva la volontà di lottare. Ma non ne aveva più la forza. L'idea di morire non gli faceva paura. Sarebbe morto nel compimento del proprio dovere, anche se da perfetto idiota perché non aveva chiesto rinforzi. Ma era sempre meglio, e più veloce, che finire in un letto di ospedale con qualche brutta malattia che ti ammazzava a poco a poco. È più rispettabile che spararsi un colpo in testa, cosa che Butch aveva preso in considerazione già una volta o due. Con gli ultimi brandelli di vita si sforzò di mettere a fuoco la faccia dell'indiziato. L'espressione che ricambiò il suo sguardo era di controllo totale. Non è la prima volta che l'amico fa una cosa del genere, pensò. E ammazzare la gente non gli crea nessun problema. Cristo, Beth! Che cosa poteva fare, a Beth, un uomo così? Wrath sentì afflosciarsi il corpo dello sbirro. Era ancora vivo. Per un soffio. La totale mancanza di paura di quel piedipiatti era notevole. Si era incazzato per essere caduto nell'agguato e aveva reagito in modo ammirevole, ma non si era mai mostrato spaventato. E adesso che il Fado incombeva sopra di lui era rassegnato a morire. Forse persino sollevato. Maledizione. Wrath si riconosceva in quelle sensazioni. Era un vero peccato uccidere uno capace di morire come un guerriero. Senza paura né esitazioni. Maschi simili erano rarissimi, vampiri o umani che fossero. La bocca dello sbirro cominciò a muoversi. Stava cercando di dire qualcosa. Wrath si chinò verso di lui. «Non... farle... male.» Wrath si ritrovò a rispondere. «Sono qui per salvarla.» «No!» gridò una voce in fondo al vicolo. Wrath voltò la testa. Beth stava correndo verso di loro. «Lascialo andare!» Il vampiro allentò la stretta al collo dello sbirro. Non voleva ucciderlo davanti a lei. Voleva che Beth si fidasse di lui, e questo bisogno era più forte dell'esigenza di mandare lo sbirro al creatore. Quando Beth si fermò di colpo, Wrath lasciò andare la mano e l'umano cadde a terra. Ansiti strozzati e rochi respiri affannosi risuonarono nell'oscurità. Beth si inginocchiò accanto al poliziotto boccheggiante e alzò lo sguardo torva. «Lo hai quasi ammazzato!» Il vampiro imprecò, doveva assolutamente allontanarsi da quel posto. Da un momento all'altro potevano sopraggiungere altri piedipiatti. Guardò verso il fondo del vicolo. «Dove credi di andare?» La voce di lei era tagliente di rabbia. «Vuoi che resti qui per farmi arrestare di nuovo?» «Meriti di essere sbattuto in galera!» Barcollando, lo sbirro cercò di rimettersi in piedi, ma le gambe non lo reggevano, e tuttavia allontanò le mani di Beth quando lei fece per aiutarlo. Wrath doveva trovare un angolo buio dove smaterializzarsi. Se Beth era rimasta scossa nel vederlo quasi uccidere qualcuno, svanire nel nulla davanti a lei sarebbe servito solo a mandarla del tutto fuori di testa. Si voltò e cominciò ad allontanarsi a grandi passi. Non gli piaceva l'idea di lasciarla lì, ma che altro poteva fare? Se si fosse fatto ammazzare chi si sarebbe preso cura di lei? E non poteva farsi sbattere in galera. Le celle avevano le sbarre di acciaio, quindi, all'alba, non poteva mettersi in salvo smaterializzandosi. Davanti a quelle due alternative, se un branco di sbirri avesse cercato di arrestarlo lui avrebbe dovuto massacrarli tutti. E allora che cosa avrebbe pensato di lui, Beth? «Fermo lì!» strillò lei. Wrath continuò a camminare, e i passi di lei risuonarono nel silenzio del vicolo quando si mise a corrergli dietro. «Ho detto fermo!» Lo afferrò per un braccio dandogli uno strattone. Lui la guardò truce, frustrato per come erano andate le cose. Grazie allo scherzetto che aveva giocato al suo amico, adesso Beth era terrorizzata da lui e d'ora in avanti prendersi cura di lei sarebbe stato un bel casino. Dubitava di avere il tempo di riportarla dalla sua parte, convincendola a seguirlo docilmente ovunque. E probabilmente sarebbe stato costretto a ricorrere persino alla forza, al momento della transizione. E non sarebbe stato divertente per nessuno dei due. Quando l'odore di Beth raggiunse le sue narici, Wrath capì che era pericolosamente vicina al cambiamento. Forse doveva portarla subito via con sé. Si guardò in giro. Non poteva certo caricarsela in spalla lì, a una quindicina di metri dalla stazione di polizia. Non davanti a quel dannato sbirro. No, doveva tornare da lei appena prima dell'alba e rapirla. E poi l'avrebbe incatenata nella camera da letto di Darius, se necessario. Perché altrimenti lei sarebbe morta. «Perché diavolo hai mentito?» gridò lei. «Tu non conoscevi mio padre.» «Sì invece.» «Bugiardo» sibilò rabbiosa Beth. «Sei un assassino e un bugiardo.» «Almeno hai azzeccato la prima parte.» Lei sgranò gli occhi, inorridita. «Quelle stelle Ninja... che avevi in tasca. Hai ammazzato tu Mary. Giusto?» Lui si accigliò. «Io non ho ammazzato nessuno.» «Quindi ho azzeccato anche la seconda parte.» Wrath guardò lo sbirro: era ancora fuori combattimento ma si stava riprendendo. Dannazione, pensò. E se Beth non ce l'avesse fatta ad arrivare fino all'alba? E se fosse sparita e lui non fosse riuscito a trovarla? Abbassò la voce. «Ultimamente hai avuto molta fame, giusto?» Lei si voltò di scatto. «Che cosa?» «Hai avuto molta fame, ma non sei ingrassata. E ti sei sentita stanca. Stanca morta. E gli occhi hanno cominciato a bruciarti, soprattutto di giorno, giusto?» Si protese verso di lei. «Guardi la carne cruda e ti chiedi che sapore ha. I denti, quelli davanti, in alto, ogni tanto ti fanno male. Ti fanno male anche le giunture e la pelle ti tira. Sempre di più.» Lei batté le palpebre, a bocca spalancata. Dietro di lei lo sbirro si rimise in piedi a fatica, barcollò e ricadde per terra. Wrath riprese a parlare più in fretta. «Ti sembra di essere fuori posto, vero? Come se tutti gli altri si muovessero al rallentatore. Pensi di essere anormale, diversa, particolare. E sei irrequieta. Senti che sta per succedere qualcosa, qualcosa di decisivo, ma non sai cos'è né come fermarlo. Te ne stai lì sveglia nel tuo letto, spaventata da tuoi stessi sogni, smarrita negli ambienti più familiari.» Fece una pausa. «Provi pochissimo o nessun desiderio sessuale, ma gli uomini ti trovano incredibilmente attraente. Gli orgasmi che hai avuto con me ieri notte erano i tuoi primi in assoluto.» Quelle erano le uniche cose che Wrath riusciva a ricordare della sua vita nel mondo degli umani prima della transizione. Beth lo fissava esterrefatta. «Se vuoi sapere cosa diavolo ti sta succedendo devi venire via con me. Subito. Stai per sentirti male, Beth. E io sono il solo in grado di aiutarti.» Lei arretrò di un passo. Guardò Butch, che sembrava considerare i vantaggi di starsene sdraiato. Wrath alzò le mani. «Non ti farò male. Te lo prometto. Se avessi voluto ucciderti avrei potuto farlo ieri notte in dieci modi diversi, non credi?» Beth voltò di nuovo la testa verso di lui e il vampiro chiuse gli occhi nel sentire che stava ricordando con esattezza ciò che era successo. Il dolce profumo del suo desiderio gli invase le narici prima di dissolversi all'improvviso. «Poco fa stavi per uccidere Butch.» Per la verità Wrath non ne era così sicuro. Un buon avversario era difficile da trovare. «Però non l'ho fatto.» «Ma avresti potuto.» «Ha qualche importanza? Respira ancora.» «Solo perché sono arrivata io.» Ringhiando, Wrath decise di giocare la carta vincente. «Ti porterò a casa di tuo padre.» Beth sgranò gli occhi, poi li socchiuse, sospettosa. Si girò di nuovo verso Butch. Adesso si era rimesso in piedi, sorreggendosi con una mano contro il muro, la testa penzoloni come se fosse troppo pesante per il collo. «Mio padre, eh?» la voce grondava scetticismo. E anche un pizzico di curiosità. Quel tanto che bastava a fargli capire che la teneva in pugno. «Non c'è più tempo, Beth.» Ci fu un lungo silenzio. Lo sbirro alzò la testa e guardò in fondo al vicolo. Ancora un paio di minuti e l'amico avrebbe tentato di arrestarlo di nuovo. La sua determinazione era palpabile. «Adesso io vado» disse Wrath. «Vieni via con me.» Beth strinse la mano sulla borsetta. «Tanto per essere chiari, io non mi fido di te.» Lui annuì. «Perché dovresti?» «E quegli orgasmi non erano i primi, per me.» «Allora perché eri così sorpresa, quando li hai avuti?» mormorò lui. «Sbrigati» farfugliò Beth, dandole spalle al poliziotto. «Possiamo prendere un taxi sulla Trade. Non ho chiesto di aspettare al taxista che mi ha portata qui.» CAPITOLO 16 Mentre correva lungo il vicolo, Beth sapeva di giocare con la propria vita. C'era la seria possibilità che fosse stata ingannata. Da un assassino. Come faceva a sapere tutte quelle cose di lei? Prima di svoltare l'angolo, si girò ancora verso Butch. Il detective aveva allungato un braccio verso di lei, la mano protesa. Al buio non riusciva a distinguere il suo viso, ma quel richiamo disperato colmò la distanza che li separava. Esitò, rallentando il passo. Wrath la prese per un braccio. «Avanti, Beth.» Che Dio l'aiutasse! Si rimise a correre. Non appena sbucarono sulla Trade fece cenno a un taxi che, grazie al cielo, si fermò all'istante. Balzarono all'interno e Wrath diede al taxista un indirizzo un paio di isolati più in là rispetto a quello su Wallace Avenue che aveva dato a lei: si trattava di una tecnica di depistaggio? Deve conoscerne parecchi, di questi trucchetti, pensò la ragazza. Il taxi ripartì e Beth avvertì su di sé lo sguardo di Wrath. «Quello sbirro» disse il vampiro. «Significa qualcosa per te?» Lei prese il cellulare dalla borsetta e digitò il numero della stazione di polizia. «Ti ho fatto una domanda.» Il tono di Wrath era tagliente. «Va' all'inferno» replicò lei. Quando sentì la voce di Ricky trasse un profondo respiro. «C'è José?» Ci volle meno di un minuto per rintracciare l'altro detective: quando chiuse la telefonata, José era già uscito in cerca di Butch. Non aveva fatto molte domande, ma Beth sapeva che sarebbero arrivate in seguito. E come accidenti avrebbe fatto a spiegargli perché era scappata con un sospettato? Questo la rendeva complice in un tentato omicidio, giusto? Rimise il telefonino nella borsa. Le tremavano le mani, si sentiva frastornata. Non riusciva nemmeno a respirare, anche se il taxi aveva l'aria condizionata ed era piacevolmente fresco. Abbassò un filo il finestrino. La brezza che le scompigliò i capelli era calda e umida. Che cosa aveva fatto Wrath? Al suo corpo la notte prima. Alla sua vita adesso. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Dar fuoco al suo appartamento? Detestava l'idea che le avesse agitato davanti l'unica carota a cui lei non poteva resistere. Che fosse manifestamente un criminale. Che la terrorizzasse e che, nonostante tutto, lei si sentisse ancora eccitata al ricordo dei suoi baci. Aveva anche intuito che quelli erano stati i suoi primi orgasmi, e ciò le risultava insopportabile. «Ci lasci qui» disse Wrath al taxista, dieci minuti dopo. Beth pagò con un biglietto da venti dollari. Per fortuna aveva dei contanti con sé, pensò. I soldi di Wrath, quel grosso rotolo di banconote, erano rimasti per terra nel suo cortile. Stava davvero andando a casa di quell'uomo? Il taxi ripartì e loro due si incamminarono lungo un marciapiede in perfetto stato in un quartiere elegante. Era un cambiamento di scenario assurdo: dalla violenza in un vicolo squallido ai prati all'inglese e alle aiuole fiorite. Beth era pronta a scommettere che gli abitanti di queste case non fossero mai scappati dalla polizia. Si voltò verso Wrath, leggermente dietro di lei: si guardava intorno quasi si aspettasse di essere aggredito da un momento all'altro. Come facesse a vederci con quegli occhiali scuri era un mistero. Non riusciva proprio a capire perché li portasse. Oltre a impedirgli di vederci bene, lenti così vistose erano un elemento di identificazione decisivo. Chiunque lo avesse incrociato per strada sarebbe stato in grado di descriverlo con precisione. Senza parlare dei lunghi capelli neri e della sua stazza gigantesca... già solo quelle due caratteristiche lo rendevano inconfondibile. Beth si voltò dall'altra parte. Alle sue spalle i pesanti stivali di Wrath calpestavano il cemento del marciapiede con un rumore che faceva pensare al tonfo sordo dei pugni su una porta di legno massiccio. «Allora, quello sbirro.» La voce di Wrath era vicina, profonda. «È il tuo amante?» Beth per poco non scoppiò a ridere. Gesù, dal tono sembrava geloso. «Non ho intenzione di rispondere a una domanda del genere.» «Perché?» «Perché non sono tenuta a farlo. Non so tu, ma io non ti devo un bel niente.» «Mi hai conosciuto piuttosto bene, ieri notte» ribatté lui con un ringhio soffocato. «E io ti ho conosciuta molto bene.» Non tocchiamo questo tasto, pensò Beth, già bagnata tra le gambe. Dio, cosa sapeva fare quell'uomo con la lingua! A braccia conserte rimase a fissare l'edificio in stile coloniale assai ben tenuto che aveva davanti. Diverse finestre erano illuminate e gli conferivano un'aria invitante e per certi versi familiare. Forse perché i luoghi dall'aria accogliente erano universali. E universalmente amati. In quel momento avrebbe passato volentieri una settimana in un posto del genere. «Ieri notte è stato un errore» disse. «Io non ho avuto quest'impressione.» «Allora vuol dire che ti sei sbagliato. Ti sei sbagliato di grosso.» Wrath si protese verso di lei. Beth non si era neppure accorta che si era mosso: un attimo prima stava camminando e un attimo dopo si ritrovava tra le sue braccia. Le posò con forza una mano alla base del collo, mentre con l'altra l'attirava per i fianchi a sé. L'erezione sembrava una grossa fune contro il ventre di lei. Chiuse gli occhi. Ogni centimetro della sua pelle si risvegliò alla vita e la temperatura del corpo balzò alle stelle. Detestava reagire in quel modo ma, proprio come accadeva a lui, non riusciva a dominarsi. Attese di sentire la sua bocca sulla propria, Wrath però non la baciò. Invece accostò le labbra al suo orecchio. «Non fidarti di me. Non affezionarti a me. Non potrebbe fregarmene di meno. Ma attenta a non mentirmi. Mai e poi mai.» Poi inspirò a fondo, quasi volesse risucchiarla dentro di sé. «In questo preciso momento sento il tuo odore, odore di sesso. Potrei farti stendere qui, su questo marciapiede, e tirarti su la gonna in men che non si dica. E tu non mi respingeresti, giusto?» No, probabilmente non lo avrebbe respinto, pensò Beth. Perché era un'idiota. Chiaramente succube di una pulsione di morte. Lui le sfiorò il lato del collo con le labbra, poi con la lingua la lambì con delicatezza. «Ora, possiamo comportarci in modo civile e aspettare di essere arrivati a casa oppure possiamo farlo proprio qui, adesso. In un modo o nell'altro, io muoio dalla voglia di entrare di nuovo dentro di te e tu non mi dirai di no.» Beth lo afferrò per le spalle fasciate dal giubbotto di pelle. In teoria avrebbe dovuto respingerlo, ma non lo fece. Lo attirò invece ancora più vicino sfiorando con i seni il suo petto. Lui si lasciò sfuggire un gemito di virile disperazione, a metà tra un mugolio di piacere e un'oscura supplica. Bene, pensò lei, pervasa da un senso di potere. Interruppe quel contatto con tetro compiacimento. «La sola cosa che rende vagamente tollerabile questa situazione spaventosa è che tu mi desideri ancora di più.» Sollevò il mento di scatto e riprese a camminare. Sentiva letteralmente gli occhi di lui sul proprio corpo, mentre la seguiva, come se la stesse toccando con le mani. «Hai ragione» ammise Wrath. «Sarei pronto a uccidere per averti.» Beth si voltò di scatto, puntandogli il dito contro. «Allora è per questo. Hai visto Butch e me che ci baciavamo in macchina, giusto?» Il vampiro inarcò un sopracciglio con un sorriso tirato e non rispose. «È per questo che lo hai aggredito?» «Stavo solo opponendo resistenza a un arresto.» «Sì, certo» borbottò lei. «Allora, è così? Lo hai visto mentre mi baciava?» Wrath colmò la distanza che li separava trasudando minaccia da tutti i pori. «Sì, l'ho visto. E non mi è piaciuto per niente che ti toccasse. Saperlo ti eccita? Vuoi rifilarmi una palla dicendomi che lui è un amante migliore di me? Sarebbe una bugia, ma mi farebbe comunque soffrire da cani.» «Perché ti interessa tanto?» chiese lei. «Tu e io abbiamo passato un'unica notte insieme. Nemmeno! Un paio d'ore soltanto.» Lui serrò la mascella con forza. Beth capì che stava digrignando i denti dal modo in cui si muovevano le guance incavate. Ed era lieta che portasse gli occhiali da sole. Aveva il sospetto che i suoi occhi l'avrebbero spaventata a morte. Quando per strada passò un'auto, le tornò in mente che lui era un fuggiasco, e tecnicamente lo era anche lei. Cosa diavolo stavano facendo? Litigavano sul marciapiede... come due amanti? «Senti, Wrath, io non voglio essere arrestata, stanotte.» Non avrebbe mai immaginato che dalla bocca potesse uscirle una frase del genere. «Rimettiamoci a camminare. Prima che ci trovi qualcuno.» Si voltò, ma lui le afferrò il braccio in una stretta implacabile. «Tu ancora non lo sai» disse torvo. «Ma sei mia» Per una frazione di secondo, Beth vacillò verso di lui. Poi però scosse la testa e si coprì la faccia con le mani, quasi a volerlo tagliare fuori dalla sua vita. Si sentiva marchiata da lui, e la cosa folle era che non le dava nessun fastidio. Perché anche lei voleva quell'uomo. E questo non le avrebbe fatto vincere un premio nella categoria «sani di mente». Dio, quanto avrebbe voluto rivivere da capo gli ultimi due giorni. Se solo fosse potuta tornare indietro di quarantotto ore, fino al momento in cui era seduta alla scrivania con Dick che, come al solito, recitava la parte del capo sporcaccione. Di sicuro avrebbe agito diversamente: avrebbe chiamato un taxi invece di andare a piedi, così non avrebbe mai incontrato Billy Riddle. E, non appena giunta nel suo appartamento, avrebbe messo in valigia qualche vestito e si darebbe decisa per un motel. Così, quando quel dongiovanni vestito di pelle e con l'aria da boss della droga fosse andato a cercarla, non l'avrebbe trovata. Rivoleva la sua patetica, noiosa vita. Non era ridicolo, visto e considerato che solo pochi giorni prima aveva pensato che lasciarsela alle spalle fosse l'unico modo per salvarsi? «Beth.» Dal tono della voce adesso Wrath non sembrava più così irritato. «Guardami.» Lei scosse la testa, levandosi le mani dagli occhi. «Andrà tutto bene.» «Già. In questo preciso momento staranno spiccando un mandato di cattura a mio nome, e io sto girando per la città, in piena notte, con uno come te. E tutto questo perché desidero disperatamente conoscere i miei defunti genitori, perché sono pronta a mettere a rischio la mia vita per la remota possibilità di venire a sapere qualcosa su di loro. Dammi retta, dal punto in cui mi trovo adesso al "tutto bene" ce ne corre.» Lui fece scivolare la punta del dito lungo la sua guancia. «Io non voglio farti del male. Non permetterò che niente e nessuno possano farti del male.» Lei si massaggiò la fronte, chiedendosi se si sarebbe mai risentita normale. «Dio, vorrei che non ti fossi mai presentato alla mia porta. Vorrei non aver mai visto la tua faccia.» Lui lasciò ricadere la mano. «Siamo quasi arrivati» disse asciutto. Butch rinunciò all'impresa di stare in piedi e si accasciò al suolo. Rimase seduto lì per un po', limitandosi a inspirare ed espirare. Non sembrava in grado di muoversi. Non perché gli faceva male la testa, seppure gli facesse male. E neanche perché si sentiva le gambe molli, anche se se le sentiva così. Ma perché si vergognava. Il problema non era buscarle da un tizio più grosso di lui, sebbene il suo ego avesse sicuramente ricevuto un bel cazzotto. No, era la consapevolezza di avere incasinato tutto, mettendo a repentaglio la vita di una giovane donna. Quando aveva chiamato la centrale chiedendo di mandare qualcuno a recuperare le armi sequestrate, avrebbe dovuto anche aggiungere che voleva rinforzi all'ingresso della stazione di polizia. Sapeva che quel sospettato era particolarmente pericoloso, eppure era convinto di potersela cavare da solo. Be', aveva avuto per le mani un pezzo di merda e si era fatto prendere a calci nel culo. E adesso Beth era in compagnia di un assassino. Dio solo sapeva che fine avrebbe fatto. Chiuse gli occhi e appoggiò il mento sul ginocchio. La gola gli faceva un male cane, ma era la testa a preoccuparlo seriamente. Quella maledetta zucca non funzionava a dovere. Faceva pensieri incoerenti, i processi cognitivi erano andati a puttane. Forse era rimasto senza ossigeno tanto a lungo da giocarsi il cervello. Si sforzò di riprendersi, purtroppo riuscì soltanto a sprofondare ancora di più nella nebbia. Poi, visto che il suo lato masochistico aveva un tempismo straordinario, i fantasmi del passato rialzarono la testa. Un orrendo teschio coperto di spine. Dal magma indistinto di immagini che gli si accavallavano nella mente ne emerse con forza una che gli fece venire le lacrime agli occhi. Una ragazzina, sui quindici anni. Che saliva su un'auto sconosciuta. E che lo salutava con la mano dal finestrino mentre spariva in fondo alla strada dove abitavano. Era la sua sorella maggiore. Janie. Il suo cadavere era stato rinvenuto la mattina dopo nei boschi dietro al locale campo da baseball. Era stata stuprata, picchiata e strangolata. Non in quell'ordine. Dopo il rapimento di Janie, Butch non era più riuscito a dormire tutta una notte di seguito. A distanza di vent'anni non ce l'aveva ancora fatta a riprendersi. Pensò a Beth, che si voltava a guardarlo da sopra la spalla mentre scappava con l'indiziato. Il fatto che fosse sparita con quell'assassino gli diede la forza di piantare i piedi per terra e trascinarsi verso la stazione di polizia. «Ehi! O'Neal!» gridò José arrivando di corsa lungo il vicolo. «Che cosa ti è successo?» «Dobbiamo diramare un avviso generale.» Era la sua voce quella? Era roca, come dopo aver gridato per due ore di seguito alla partita di football. «Maschio, bianco, due metri, 120 chili. Vestito di pelle nera, occhiali da sole, capelli neri all'altezza delle spalle.» Butch allungò una mano contro l'edificio per non perdere l'equilibrio. «Il sospettato non è armato, perché l'ho disarmato. Nel giro di un'ora avrà comunque rifornito il suo arsenale, sicuro come l'oro.» Fece un passo in avanti e cominciò a barcollare. «Cristo!» José lo afferrò per un braccio, sorreggendolo. Butch cercò di non appoggiarsi al collega, ma aveva bisogno di aiuto. Non riusciva a muovere bene le gambe. «È una donna bianca.» La voce gli si incrinò. «Un metro e settantacinque, lunghi capelli neri. Indossava una gonna azzurra e una camicetta bianca.» Fece una pausa. «Beth.» «Lo so. Ha chiamato.» José era teso in volto. «Non ho chiesto i particolari. Dalla voce non sembrava intenzionata a fornirne.» A Butch cedettero le ginocchia. «Fermo là, detective» disse José, aiutandolo a raddrizzarsi. «Prendiamocela con calma.» Non appena ebbero varcato la soglia della stazione di polizia, Butch avanzò con passo malfermo. «Devo andare a cercarla.» «Prima riposiamoci un po'.» «No...» José allentò la stretta e Butch andò giù a peso morto, proprio mentre metà del distretto arrivava di corsa, impazzito. Quel gruppo di ragazzi preoccupati in uniforme blu e distintivo lo fece sentire patetico. «Sto bene» ringhiò rabbioso. Poi dovette infilarsi la testa tra le ginocchia. Come aveva potuto permettere che tutto ciò accadesse? Se la mattina dopo avessero ritrovato Beth morta... «Detective?» José si accovacciò sui talloni piazzando la testa nel campo visivo del collega. «Abbiamo chiamato un'ambulanza.» «Non ne ho bisogno. Avete diramato l'avviso di ricerca?» «Sì, ci sta pensando Ricky in questo preciso momento.» Butch tirò su la testa. Lentamente. «Cristo, che cosa diavolo ti è successo al collo?» esclamò inorridito José. «Quel colosso mi ha sollevato da terra» rispose Butch, deglutendo un paio di volte. «Sono andati a prelevare le armi all'indirizzo che avevo lasciato? » «Si. Le abbiamo recuperate, e anche i soldi. Chi cavolo è quel tizio? » «Non ne ho la più pallida idea.» CAPITOLO 17 Wrath salì i gradini d'ingresso della casa di Darius. Il portone si spalancò ancor prima che avesse il tempo di toccare la maniglia di ottone. Sulla soglia c'era Fritz. «Padrone, non sapevo che fosse...» Il doggen rimase impietrito nel vedere Beth. Sì, la conosci, pensò Wrath. Però calma e sangue freddo. Lei era già abbastanza agitata. «Fritz, permettimi di presentarti Beth Randall.» Il maggiordomo, immobile, continuava a fissarla. «Pensi di lasciarci entrare?» Fritz fece un profondo inchino e abbassò il capo. «Certo, padrone. Miss Randall, è un onore conoscerla finalmente di persona.» Beth sembrava perplessa, ma riuscì comunque a sorridere mentre il doggen si raddrizzava lasciando libero il passaggio. Quando la ragazza gli porse la mano Fritz ansimò, guardando Wrath per ottenere l'autorizzazione a stringergliela. «Fai pure» borbottò lui chiudendo il portone. Non era mai riuscito a capire le rigide tradizioni dei doggen. Fritz allungò le braccia con deferenza, stringendo il palmo di Beth con entrambe le mani e chinando la fronte fino a toccarle le dita. Parole nell'antico idioma vennero pronunciate in fretta e sottovoce. Beth rimase attonita. Non poteva certo sapere che, porgendogli la mano, aveva reso a Fritz il più grande onore della sua specie. In quanto figlia di un princeps lei era un'aristocratica d'alto rango, nel mondo dei vampiri. Il domestico avrebbe gongolato per giorni. «Se hai bisogno ci trovi in camera mia» disse Wrath quando la stretta di mano s'interruppe. Il doggen esitò. «Padrone, c'è qui Rhage. Ha avuto un... piccolo incidente.» Wrath imprecò. «Dov'è?» «Nel bagno al piano di sotto.» «Ago e filo?» «Li ha già presi.» «Chi è Rhage?» chiese Beth mentre attraversavano l'atrio. Wrath si fermò davanti alla porta del soggiorno. «Tu aspetta qui.» E riprese a camminare, con Beth sulla sua scia. Si voltò, indicando con il dito la stanza alle sue spalle. «Non era un invito, era un ordine.» «E io non ho intenzione di aspettare da nessuna parte.» «Maledizione! Fai come ti dico.» «No.» Il rifiuto venne pronunciato senza enfasi. Beth lo stava sfidando con calma e determinazione. Come se lui costituisse un ostacolo del tutto trascurabile sul suo cammino. «Oh, Cristo. E va bene, se proprio ci tieni a rimanere sconvolta.» Mentre percorreva a grandi passi il corridoio in direzione del bagno, sentiva già l'odore del sangue. Doveva essere una brutta ferita e avrebbe tanto voluto che Beth non si fosse intestardita a voler vedere la scena con i propri occhi. Aprì la porta con una spinta e Rhage alzò lo sguardo. Il braccio del vampiro era sollevato sopra il lavandino. C'era sangue dappertutto, una pozza scura sul pavimento, una più piccola sul ripiano del lavandino. «Rhage, cos'è successo?» «Affettato e fatto a pezzettini. Un lesser mi ha centrato in pieno, ha reciso la vena e poi è sceso giù fino all'osso. Perdo come un setaccio.» In una visione sfocata Wrath colse il movimento della mano di Rhage che scendeva giù fino alla spalla e poi saliva su per aria. Giù fino alla spalla e poi su per aria. «E tu l'hai beccato?» «Perbacco, certo.» «Oh... mio... Dio» esclamò Beth. «Oh, Dio santo, ma sta cucendo...?» «Ehi, chi è questo bel bocconcino?» domandò Rhage fermando la mano a mezz'aria. Si udì un suono strozzato e Wrath si spostò davanti a Beth per impedirle la vista. «Hai bisogno di una mano?» chiese a Rhage, sebbene entrambi sapessero perfettamente che non poteva essere d'aiuto in alcun modo. Ci vedeva troppo male per ricucire le proprie, di ferite, figurarsi quelle di un altro. Dover dipendere dai fratelli o da Fritz per eventuali cure era una debolezza che lo faceva infuriare. «No, grazie» rispose ridendo Rhage. «Me la cavo benino con i lavori di rammendo, come hai potuto constatare anche tu sulla tua pelle. Allora, chi è la tua amica?» «Beth Randall, ti presento Rhage. Un mio socio. Rhage, questa è Beth, e le star del cinema non le interessano, ricevuto il messaggio?» «Forte e chiaro» replicò Rhage, piegandosi di lato nel tentativo di vedere la ragazza alle spalle di Wrath. «Piacere di conoscerti, Beth.» «È sicuro di non voler andare in ospedale?» mormorò debolmente lei. «È tutta scena. Quando puoi usare l'intestino come passante per la cintura, allora sì che devi rivolgerti a dei professionisti.» Dalle labbra di Beth uscì un gemito. «La porto da basso» disse Wrath. «Oh, sì, per favore» sussurrò lei. «Mi piacerebbe proprio andare da... basso.» Wrath le cinse le spalle con il braccio e capì quanto era turbata dal modo in cui si lasciò andare completamente contro di lui. Era così bello sentire che si affidava a lui per farsi forza. Troppo bello, in realtà. «Tutto okay?» chiese Wrath al compagno. «Assolutamente. Me ne vado appena ho finito. Ho tre vasi da andare a recuperare.» «Ottimo punteggio.» «Sarebbe stato anche migliore se non mi fosse arrivato questo regalino per posta aerea. Non mi sorprende che quelle stelle Ninja ti piacciano tanto.» Rhage fece un movimento circolare con la mano quasi stesse annodando qualcosa. «Forse ti conviene sapere che Tohr e i gemelli stanno...» prese un paio di forbici dal ripiano del lavandino e tagliò il filo «... continuando il lavoro iniziato ieri sera. Dovrebbero essere di ritorno tra un paio d'ore per fare rapporto, come ci avevi chiesto.» «Digli di bussare, prima.» Rhage annuì ed ebbe l'accortezza di non aggiungere altro. Mentre scortava Beth lungo il corridoio, Wrath si ritrovò ad accarezzarle le spalle. La schiena. Poi le cinse la vita con la mano affondando le dita nella morbida carne del fianco. Lei gli arrivava all'altezza giusta e teneva la testa appoggiata sul suo petto mentre procedevano vicini. Troppo comodo. Troppo intimo, pensò Wrath. Decisamente troppo bello. Ma la tenne comunque stretta contro di sé. Avrebbe tanto voluto rimangiarsi quello che le aveva detto sul marciapiede. Riguardo al fatto che era sua. Perché non era vero. Lui non la voleva come shellan. Era agitato, geloso. Continuava a immaginarsi le mani di quello sbirro sopra di lei. Era arrabbiato, alla fin fine, per non aver fatto fuori l'umano. Quelle parole gli erano sfuggite di bocca. Ah, diamine, quella femmina faceva qualcosa al suo cervello. In qualche modo riusciva a mandargli in tilt lo sviluppatissimo autocontrollo mettendolo in contatto con il suo fottuto io più profondo. E lui lo voleva evitare. Dopotutto, i raptus di follia erano la specialità di Rhage. E nella confraternita non c'era bisogno di un'altra mina vagante pronta a esplodere da un momento all'altro. Beth chiuse gli occhi e si appoggiò contro Wrath, sforzandosi di cancellare dalla mente lo squarcio spaventoso che aveva appena visto. Era come cercare di bloccare la luce del sole con le mani: parte dell'immagine continuava a filtrare, malgrado gli sforzi. Tutto quel sangue rosso vivo, lucido, il muscolo di un rosa carico, il biancore scioccante dell'osso. E l'ago. Che penetrava nella pelle sollevando la carne nel punto in cui l'aveva infilzata per poi trapassarla con il doppio filo nero... Aprì gli occhi. Così andava meglio. Quello non era un taglietto da niente, checché ne dicesse quel tipo. Sarebbe dovuto andare in ospedale. E lei avrebbe insistito con più vigore in tal senso se non avesse avuto il suo bel da fare a tenere giù nello stomaco il pad thai che aveva mangiato per cena. Senza contare che quel tizio sembrava maledettamente bravo a ricucirsi da solo. Ed era anche un gran bel fico. Pur distratta da quel lago di sangue, Beth non aveva potuto fare a meno di notare che aveva una faccia e un fisico eccezionali. Corti capelli biondi, occhi di un azzurro iridescente, un volto degno del grande schermo. Era vestito come Wrath, in pantaloni di pelle nera e stivali, senza camicia. Sotto la luce del bagno i pettorali scolpiti risaltavano in una impressionante esibizione di forza fisica. E il tatuaggio multicolore di un drago che gli copriva la schiena era addirittura stupefacente. Ma, d'altronde, non era pensabile che Wrath frequentasse qualche checca pelle e ossa con l'aria da commercialista. Spacciatori di droga. Erano chiaramente spacciatori di droga. Pistole, armi, enormi quantità di contanti. E chi altri poteva rimanere coinvolto in una rissa a coltellate per poi giocare a fare il dottore su se stesso? Le tornò in mente che l'uomo nel bagno aveva sul petto una cicatrice circolare identica a quella di Wrath. Dovevano far parte della stessa banda, pensò. O della mafia. A un tratto sentì il bisogno di un po' di spazio, e Wrath la lasciò andare mentre entravano in una stanza con le pareti tinteggiate in giallo limone. Beth rallentò. Quel posto sembrava un museo o un ambiente che si sarebbe aspettata di vedere sulle pagine di una rivista tipo «Architectural Digest». Pesanti tendaggi color pastello incorniciavano ampi finestroni, pregiati dipinti a olio occhieggiavano dalle pareti, oggetti d'arte erano disposti con gusto in tutta la stanza. Abbassò lo sguardo sul tappeto. Quello da solo valeva probabilmente più di tutto il suo monolocale. Forse non trafficavano solo in crack, ecstasy ed eroina, pensò. Forse avevano le mani in pasta anche nel mercato nero dell' antiquato. Un'accoppiata in cui non ci si imbatteva molto spesso. «Bella» mormorò, toccando una scatola antica. «Molto bella.» Non ottenendo alcuna reazione, guardò Wrath. In piedi appena oltre la soglia, a braccia conserte, se ne stava sul chi vive malgrado fosse a casa sua. Del resto, le sembrava che non si rilassasse mai. «Sei sempre stato un collezionista?» chiese, cercando di guadagnare tempo per calmare i nervi. Si avvicinò a un dipinto della Scuola del Fiume Hudson. Accidenti, era un Thomas Cole! Del valore di centinaia di migliaia di dollari, come minimo. «Questo è bellissimo.» Guardò Wrath da sopra la spalla. Era concentrato su di lei e non prestava la minima attenzione al quadro. Sul suo viso non c'era neanche l'ombra dell'orgoglio tipico del proprietario. Quella non era l'espressione di chi gode quando qualcuno ammira i suoi tesori. «Questa non è casa tua» considerò Beth. «Qui abitava tuo padre.» Sì, certo. Che diamine! Ormai aveva fatto trenta, poteva anche fare trentuno. Tanto valeva stare al gioco. «Allora mi pare evidente che avesse un mucchio di soldi. Che cosa faceva per vivere?» Wrath attraversò la stanza puntando verso uno squisito ritratto a figura intera di quello che aveva tutta l'aria di essere un re. «Vieni con me.» «Come? Dovrei passare attraverso quel muro...?» Wrath spinse un lato del dipinto, che ruotò verso l'esterno rivelando un corridoio immerso nell'ombra. «Oh» esclamò Beth. Lui le fece cenno di avvicinarsi. «Dopo di te.» Beth mosse qualche passo con cautela. Alcune lanterne a gas diffondevano un chiarore tremolante sullo sfondo di pietra nera. Chinandosi leggermente infilò dentro la testa e vide una scalinata che scompariva nelle tenebre piegandosi in una curva, molto più in basso. «Che cosa c'è laggiù?» «Un posto dove possiamo parlare.» «Perché non stiamo qui?» «Perché tra poco avrai voglia di non avere troppa gente intorno. E i miei fratelli potrebbero arrivare da un momento all’altro» «I tuoi fratelli?» «Sì.» «E quanti sono?» «Cinque, adesso. E comunque stai solo cercando di tergiversare. Vai avanti. Laggiù non c’è niente che possa farti male, te lo prometto» Uh-oh Ma oltrepassò con il piede la cornice dorata del quadro. E penetrò nell’oscurità. CAPITOLO 18 Beth trasse un profondo respiro e con fare esitante allungò le mani verso i muri di pietra. L'aria non aveva odore di chiuso e non c'era nessuna disgustosa patina di umidità; niente del genere, era solo molto, molto buio. Scese le scale lentamente, procedendo a tentoni. Le lanterne sembravano lucciole, facevano luce a se stesse più che illuminare la strada a chi doveva usare le scale. Poi arrivò in fondo. Sulla destra c'era una porta aperta e Beth scorse il caldo chiarore delle candele. La stanza assomigliava al passaggio segreto, con i muri neri e immersa nella penombra, ma pulita. Le candele infilate nelle bugie, con le loro fiammelle tremolanti, avevano un effetto calmante. Mentre appoggiava la borsa su un tavolino si chiese se era lì che dormiva Wrath. Il letto era grande abbastanza per lui, questo era sicuro. Ed erano lenzuola di raso nero, quelle? Immaginò quante donne avesse portato, giù in quella tana. E non ci voleva un genio per capire cosa succedeva, una volta chiusa la porta. Udì lo scatto di una serratura ed ebbe un tuffo al cuore. «Allora, parlavamo di mio padre» disse brusca. Wrath la oltrepassò, togliendosi il giubbotto. Portava una maglietta attillata e lei non potè ignorare la forza bruta delle sue braccia, i bicipiti e i tricipiti che guizzavano sotto la pelle mentre posava in un angolo il giubbotto. Quando si sfilò dalle spalle il fodero vuoto Beth intravide i tatuaggi che correvano lungo tutto l'interno degli avambracci. Andò in bagno e lei udì lo scrosciare dell'acqua. Tornò mentre si passava sulla faccia un asciugamano. Prima di guardarla si infilò gli occhiali da sole. «Tuo padre, Darius, era un maschio di valore.» Wrath ributtò in bagno l'asciugamano con un gesto disinvolto e si diresse verso il divano. Si sedette proteso in avanti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. «Era un aristocratico del vecchio continente prima di diventare un guerriero. È... era mio amico. Mio fratello nel lavoro che faccio.» Fratello. Continuava a usare quella parola. Erano mafiosi. Decisamente. Wrath fece un mezzo sorriso, forse assalito da un ricordo piacevole. «D era pieno di doti. Era veloce, furbo come una volpe, abile con il coltello. Ma era anche colto. Un gentiluomo. Parlava otto lingue. Aveva studiato di tutto, dalle religioni alla storia dell'arte alla filosofia... Poteva stordirti a furia di parlare di Wall Street e poi spiegarti perché la volta della Cappella Sistina di fatto è un'opera manierista e non rinascimentale.» Si appoggiò all'indietro, facendo scorrere il braccio possente sullo schienale del divano. Sembrava perfettamente a suo agio mentre si scostava i lunghi capelli dalla fronte. Ed era sexy da morire. «Darius non perdeva mai la pazienza, per quanto le cose potessero mettersi male. Rimaneva concentrato sul lavoro da fare finché non era finito. È morto godendo del pieno rispetto dei fratelli.» Pareva che Wrath sentisse sinceramente la mancanza di suo padre. O comunque dell'uomo, chiunque fosse, che stava descrivendo allo scopo di... Già, di preciso dove voleva andare a parare? si chiese Beth. A che cosa gli serviva tirar fuori tante stronzate? Be', lei era nella sua camera da letto, giusto? «E Fritz mi ha detto che ti voleva un gran bene» proseguì Wrath. Beth increspò le labbra. «Anche ammesso che io mi beva qualcosa di tutta questa storia, e ho seri dubbi in proposito, se mio padre mi voleva così bene perché non si è preso il disturbo di venire da me a presentarsi?» «È complicato.» «Già, dev'essere dura andare da tua figlia, stringerle la mano e dirle come ti chiami. Roba tosta, sicuro.» Attraversò la stanza ma, quando si accorse di essere vicino al letto, si affrettò a spostarsi. «E poi che cosa c'entra tutta quella retorica sui guerrieri? Era un mafioso anche lui?» «Un mafioso? Noi non siamo mafiosi, Beth.» «Allora siete killer freelance e spacciatori di droga? Hmm... Pensandoci bene, la diversificazione degli affari dev'essere una buona strategia aziendale. Servono un bel po' di quattrini per mantenere una casa del genere, e per riempirla di questo ben di Dio degno del Metropolitan Museum.» «Darius ha ereditato i suoi soldi ed era molto bravo a farli fruttare.» Wrath reclinò il capo all'indietro quasi stesse contemplando la casa, sopra di lui. «Essendo sua figlia, adesso tutto questo è tuo.» Beth socchiuse gli occhi. «Non mi dire...» Lui annuì. Quante stupidaggini! pensò Beth. «E allora dov'è il testamento? Dov'è l'esecutore testamentario pronto a farmi firmare le carte? Aspetta, lasciami indovinare: il testamento è ancora in attesa di essere omologato. Da trent'anni a questa parte.» Si sfregò gli occhi doloranti. «Sai, Wrath, non ti serve mentire per portarmi a letto. Per quanto mi vergogni ad ammetterlo, basta che tu me lo chieda.» Beth trasse un profondo respiro colmo di tristezza. Fino a quel momento non si era resa conto che una piccola parte di lei aveva sperato di ottenere delle risposte. Finalmente. Comunque la disperazione faceva fare figuracce a chiunque. «Senti, adesso io levo le tende. Questa era solo...» In un batter d'occhio Wrath era già davanti a lei. «Non posso lasciarti andare.» Beth fu percorsa da un brivido di paura, benché ostentasse sicurezza. «Non puoi costringermi a restare.» Wrath sollevò le mani sul suo viso. Lei si scostò di scatto ma lui non la lasciò andare. Le accarezzò la guancia con il polpastrello del pollice. Tutte le volte che le si avvicinava, lei, stregata, si sentiva irrimediabilmente attratta da lui. Ed ecco che stava succedendo di nuovo. «Non ti sto mentendo» disse Wrath. «Tuo padre mi ha mandato da te perché avrai bisogno del mio aiuto. Fidati di me.» Beth si liberò con uno strattone. «Non voglio sentirti pronunciare ancora quella parola.» Eccolo lì, un criminale che aveva quasi ammazzato un poliziotto davanti ai suoi occhi. E si aspettava che lei si bevesse un mucchio di fandonie chiaramente inventate. Mentre le accarezzava il viso come un amante. Doveva averla presa per una ritardata mentale. «Ascolta, ho letto le pratiche che mi riguardano» affermò Beth in tono deciso. «Sul mio certificato di nascita c'è scritto che mio padre è ignoto, ma nel fascicolo c'era una nota. In sala parto mia madre disse a un'infermiera che mio padre era morto. Non è stata in grado di farne il nome perché subito dopo ha avuto un collasso a causa della grave emorragia ed è morta anche lei.» «Mi dispiace, ma non è quello che è successo.» «Ti dispiace! Già, ci scommetto.» «Non ti sto raccontando storie...» «Invece sì! Dio, pensare solo per un momento di poter conoscere uno di loro, anche soltanto in maniera indiretta...» Lo guardò con disgusto. «Sei troppo crudele.» Wrath imprecò, un ringhio rabbioso, colmo di frustrazione. «Non so come fare per convincerti a credermi.» «Risparmiati la fatica» disse Beth afferrando la borsetta. «Al diavolo, forse è meglio così. Meglio saperlo morto che criminale. O che per tutta la vita abbiamo vissuto nella stessa città, ma lui non è mai venuto a cercarmi, non ha nemmeno avuto la curiosità di vedere com'ero fatta.» «Lui lo sapeva.» La voce di Wrath era di nuovo molto vicina. «Ti conosceva.» Beth si voltò di scatto. Le era accanto e incombeva sopra di lei con la sua mole gigantesca. Si allontanò con un balzo. «Smettila subito.» «Lui ti conosceva.» «Smettila!» «Tuo padre ti conosceva» gridò Wrath. «Allora perché non mi ha voluta?» gridò di rimando lei. Wrath trasalì. «Invece ti voleva. Vegliava su di te da lontano. Per tutta la vita non è mai stato molto distante da te.» Lei chiuse gli occhi stringendosi le braccia intorno al corpo. Possibile che fosse ancora tentata di subire il suo fascino? «Beth, guardami. Per favore.» Lei sollevò le palpebre. «Dammi la mano» mormorò Wrath. «Dammela.» Lei non si muoveva. Allora il vampiro le prese il palmo e se lo appoggiò sul petto, all'altezza del cuore. «Sul mio onore. Non ti ho mentito.» Rimase perfettamente immobile, quasi a volerle dare la possibilità di interpretare ogni sfumatura del suo volto, del suo corpo. E se fosse vero? si chiese lei. «Lui ti voleva bene, Beth.» Non credergli. Non credergli. Non... «Allora perché non è venuto a cercarmi?» mormorò. «Sperava che tu non fossi costretta a conoscerlo. Che ti fosse risparmiato il suo stesso tipo di vita.» Wrath abbassò lo sguardo su di lei. «E poi non ha più avuto il tempo di farlo.» Ci fu un lungo silenzio. «Chi era mio padre?» chiese in un sussurro Beth. «Era come me.» E a quel punto Wrath spalancò la bocca. Zanne. Aveva delle zanne. Le venne la pelle d'oca per l'orrore. Lo respinse con forza. «Bastardo!» «Beth, ascoltami...» «Hai il coraggio di venire a dirmi che sei un fottutissimo vampiro?» Si avventò contro di lui tempestandogli il petto di pugni. «Razza di bastardo schifoso! Razza di... bastardo schifoso! Se vuoi inscenare le tue morbose fantasie, fallo con qualcun altro.» «Tuo padre...» Lei lo schiaffeggiò. In piena faccia. «Non azzardarti a dirlo. Non provarci nemmeno.» Le faceva male la mano e se la premette contro la pancia. Aveva voglia di mettersi a piangere. Perché soffriva. Perché aveva cercato di vendicarsi facendo soffrire anche lui, e invece Wrath sembrava del tutto indifferente. «Dio, eri quasi riuscito a fregarmi, davvero» continuò in tono lamentoso. «Ma hai voluto strafare con quei denti falsi.» «Sono veri. Guardali più da vicino.» La stanza venne illuminata da altre candele, candele che nessuno aveva acceso. A Beth mancò il respiro. All'improvviso ebbe la sensazione che nulla fosse come sembrava. Non c'erano più regole. La realtà stava scivolando in un'altra dimensione. Attraversò la stanza di corsa. Wrath la bloccò sulla porta e lei si accovacciò, quasi volesse pregare Dio di tenerlo lontano. «Non venirmi vicino.» Afferrò la maniglia. Vi si appoggiò con tutto il peso, ma non si mosse di un millimetro. Il panico scorreva come benzina nelle sue vene. «Beth...» «Lasciami andare!» La maniglia della porta quasi le penetrò nella pelle mentre cercava disperatamente di abbassarla. Quando Wrath le posò la mano sulla spalla lei si mise a strillare. «Non toccarmi!» Si allontanò da lui con un balzo. Barcollò per tutta la stanza. Lui la seguì, avvicinandosi lentamente, inesorabilmente. «Io voglio aiutarti.» «Lasciami stare!» Con uno scatto gli girò intorno gettandosi verso la porta. Questa volta l'uscio si aprì prima ancora che arrivasse a toccare la maniglia. Come se Wrath l'avesse aperto con la sola forza del pensiero. Beth si voltò verso di lui in preda al terrore. «Tutto questo non è reale.» Si precipitò su per le scale, incespicando una volta sola. Quando cercò di far scattare il meccanismo che faceva ruotare il quadro si spezzò un'unghia, ma alla fine ci riuscì. Attraversò il salotto di corsa. Uscì di casa come una furia e... Wrath era lì, in piedi sul prato di fronte. Beth si fermò di colpo. Fu sopraffatta dal terrore. Spavento e incredulità le strinsero il cuore in una morsa. La sua mente vacillò verso la follia. «No!» gridò Beth balzando via, correndo in tutte le direzioni purché lontano da lui. Sentiva che la stava seguendo e si mise a correre più forte, più veloce. Corse finché rimase senza fiato, finché fu accecata dalla fatica e le gambe cominciarono a farle male. Corse come una forsennata ma lui continuava a starle dietro. Cadde sull'erba scoppiando in singhiozzi. Raggomitolata su se stessa, quasi a proteggersi dalle percosse di qualcuno, pianse. Quando Wrath la prese in braccio non oppose resistenza. A cosa sarebbe servito? Se quello era un sogno, alla fine si sarebbe svegliata. E se era la verità... Avrebbe avuto bisogno di lui per farsi spiegare molto di più che la vita di suo padre. Mentre Wrath la riportava giù in camera, paura e confusione la sommersero in ondate d'angoscia. Lui la stese sul letto e liberò con uno strattone il lenzuolo per poterla coprire. Poi andò a sedersi sul divano, pensando che avrebbe gradito un po' di spazio. Alla fine Beth si voltò e Wrath sentì i suoi occhi su di sé. «Sto aspettando di svegliarmi, di sentire la sveglia che suona» disse con voce roca. «Ma non succederà, vero?» Lui scosse la testa. «Com'è possibile? Come...» Si schiarì la voce. «Vampiri?» «Siamo solo una specie diversa.» «Sanguisughe. Assassini.» «Prova con "minoranza perseguitata". Il reale motivo per cui tuo padre sperava che tu non dovessi subire la transizione.» «La transizione?» Lui annuì, serio. «Oh, Dio!» Beth si premette la mano sulla bocca, quasi fosse in procinto di dare di stomaco. «Non dirmi che sto per...» Il panico si sprigionò con la violenza di un'onda d'urto, generando un vortice che attraversò la stanza fino a investire Wrath in una folata d'aria gelida. Lui non riusciva a sopportare tanta angoscia e avrebbe davvero voluto fare qualcosa per alleviarla. Ma la compassione non era una sua dote. Se solo ci fosse stato qualcosa contro cui combattere, per lei. Purtroppo, al momento non c'era niente. Niente. La verità non era un bersaglio che poteva eliminare, e non era neppure il nemico di Beth, anche se la faceva soffrire. Era... così e basta. Si alzò e si avvicinò al letto. Vedendo che lei non si ritraeva si sedette. Le lacrime che le rigavano le guance avevano l'odore della pioggia in primavera. «Che cosa mi succederà?» mormorò Beth. La disperazione nella sua voce faceva supporre che stesse rivolgendosi a Dio, non a lui. Ma Wrath rispose lo stesso. «Il tuo cambiamento arriverà presto. Ci colpisce tutti intorno al venticinquesimo anno di età. Io ti insegnerò a badare a te stessa. Ti mostrerò cosa fare.» «Dio santo...» «Dopo che l'avrai superato, sentirai il bisogno di bere.» Lei si sentì soffocare e si raddrizzò di scatto. «Io non ho intenzione di uccidere nessuno!» «Non funziona così. Avrai bisogno del sangue di un vampiro maschio. Tutto qua.» «Tutto qua» ripetè lei con voce atona. «Noi non viviamo predando gli umani. Quella è una vecchia credenza popolare.» «Tu non hai mai catturato un... umano?» «Non per berne sangue» rispose evasivo lui. «Ci sono vampiri che lo fanno, ma la forza che ne traggono non dura a lungo. Per stare bene dobbiamo nutrirci con il sangue della nostra stessa razza.» «Fai sembrare tutto molto normale.» «Perché è così.» Beth rimase in silenzio. Poi, come se ci fosse arrivata solo allora, disse: «Tu mi lascerai...». «Tu berrai il mio sangue. Quando arriverà il momento.» Lei emise un suono strozzato, come se il grido che stava per lanciare fosse stato interrotto da un conato di vomito. «Beth, è dura, lo so...» «No, non lo sai.» «... perché ci sono passato anch'io.» Lei lo guardò. «Anche per te è stato un fulmine a ciel sereno scoprire che eri un vampiro?» Non lo disse in tono di sfida. Era più come se sperasse di avere qualcosa in comune con qualcun altro. Chiunque fosse. «Io sapevo chi erano i miei genitori» disse Wrath, «ma loro erano già morti quando ho subito la transizione. Ero solo. Non sapevo cosa aspettarmi. Quindi so quanto ci si può sentire confusi.» Lei si lasciò andare contro i cuscini. «Anche mia madre era una di voi?» «Lei era umana, da quello che mi ha detto Darius. Ogni tanto i vampiri si accoppiano con gli umani, anche se è raro che i neonati riescano a sopravvivere.» «Posso fermare il cambiamento? Impedire che si verifichi?» Lui scosse la testa. «Fa male?» «Ti sentirai...» «Non parlo di me. Ti farò male?» Wrath deglutì, sbigottito. Nessuno si preoccupava mai di lui. I vampiri e gli umani lo temevano in eguale misura. La sua razza lo venerava, ma nessuno stava mai in ansia per lui. Non sapeva come reagire a quel sentimento. «No, non mi farà male.» «Potrei ucciderti?» «Non te lo permetterò.» «Me lo prometti?» disse lei in tono pressante, rizzandosi a sedere e afferrandolo per un braccio. Incredibile, pensò Wrath, stava per promettere solennemente di proteggere se stesso. Su richiesta di Beth. «Te lo prometto» rispose, poi fece per posare la mano sulla sua, ma si fermò prima di stabilire un contatto. «Quando succederà?» «Non posso dirtelo con certezza, comunque presto.» Lei parve arrendersi. Poi si raggomitolò su un fianco, dandogli la schiena. «Forse mi sveglierò» sussurrò. «Forse prima o poi mi sveglierò.» CAPITOLO 19 Butch buttò giù tutto d'un fiato il primo scotch della giornata. Grosso errore. Aveva la gola irritata ed ebbe la sensazione di aver dato un bacio in bocca a una fiamma ossidrica. Quando smise di tossire, chiese ad Abby di portargliene un altro. «La troveremo» disse José, mettendo giù la birra. Stava bevendo solo roba leggera, ma d'altronde José doveva tornare a casa dalla sua famiglia mentre Butch era libero di comportarsi male quanto voleva. José giocherellava con il boccale tracciando cerchi sul bancone del bar. «Non dovresti prendertela con te stesso, collega.» Butch scoppiò a ridere scolandosi lo scotch numero due. «Già, infatti c'è una lunga lista di persone che stavano in macchina insieme a me e a quell'indiziato.» Alzò il dito per attirare l'attenzione di Abby. «Sono di nuovo a secco.» «Non per molto.» La barista si avvicinò sculettando con in mano la bottiglia di whisky di puro malto e gli sorrise mentre gli riempiva il bicchiere. José si agitò sullo sgabello; all'apparenza non approvava la velocità con cui Butch passava da uno scotch all'altro, e lo sforzo di tenere la bocca chiusa lo metteva a disagio. Quando Abby si allontanò per servire un altro cliente, Butch gli lanciò un'occhiata. «Stasera ho intenzione di prendermi una sbronza colossale. Non dovresti starmi intorno.» José si lanciò in bocca un paio di arachidi. «Non ti lascio qui da solo.» «Vado a casa in taxi.» «No. Mi fermo finché non hai finito. Poi ti riporto a casa, ti guardo vomitare per un'ora, ti metto a letto e prima di andare ti preparo la macchina per il caffè. L'aspirina sarà vicino alla zuccheriera.» «Non ho una zuccheriera.» «Allora sarà vicino alla borsa.» Butch sorrise. «Saresti stato una mogliettina fantastica, José.» «È quello che mi dice sempre anche la mia.» Rimasero in silenzio fino a quando Abby gli versò lo scotch numero quattro. «Le stelle Ninja che ho trovato addosso a quel tizio» disse Butch. «A che punto siamo?» «Sono identiche a quelle rinvenute sul luogo dell'attentato esplosivo e accanto al cadavere di Cherry. Tifoni. 85,30 grammi di acciaio inossidabile quattro e quaranta. Dieci centimetri di diametro. Peso centrale rimovibile. Si trovano su Internet per una dozzina di bigliettoni al pezzo, oppure si possono comprare tramite le accademie di arti marziali. E non c'erano impronte.» «E le altre armi?» «Un bell'assortimento di coltelli. Appena li hanno visti i ragazzi della Scientifica sono andati in fregola. Metallo composito, duro come il diamante, magnifica fattura artigianale. Impossibile identificare il fabbricante. La pistola è una Beretta standard nove millimetri, modello 92G-SD. Tenuta benissimo, e naturalmente il numero di matricola è stato cancellato. La cosa strana sono i proiettili. Mai visto niente di simile... cavi, pieni di un liquido non meglio identificato. I ragazzi pensano sia semplice acqua. Ma perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere?» «Mi stai prendendo in giro.» «Uh-uh.» «E niente impronte.» «No.» «O altro.» «No.» José svuotò la coppetta di noccioline e cercò di richiamare 1° sguardo di Abby con la mano. «Quel tizio è scaltro. Pulito che più pulito non si può. Un vero professionista. Vuoi scommettere che si è spostato al nord dalla Grande Mela? Non dà l'idea di essere cresciuto qui a Caldwell.» «Dimmi che mentre perdevo tempo con quei maledetti esami medici abbiamo controllato con la polizia di New York.» Abby arrivò con altre noccioline e altro scotch. «Stiamo completando le perizie balistiche sulla pistola, giusto per vedere se c'è qualcosa di insolito» disse José in tono piatto. «Stiamo controllando i soldi per vedere se scottano. Domani mattina, come prima cosa, manderemo ai colleghi di New York tutto quello che abbiamo in mano, ma non sarà granché.» Butch imprecò guardando la ciotola che veniva riempita. «Se succede qualcosa a Beth...» non terminò la frase. «Li troveremo» disse José. Dopo una pausa aggiunse: «E che Dio lo aiuti se le fa del male». Già, Butch avrebbe braccato personalmente quel tizio. «Che Dio lo aiuti» ripetè in tono solenne, vuotando il bicchiere prima di farsi versare un altro goccio. Seduto sul divano in attesa che Beth ricominciasse a parlare, Wrath si sentiva esausto. Gli sembrava che il suo corpo stesse implodendo, che le ossa stessero per cedere sotto il peso della carne e dei muscoli. Mentre ripercorreva mentalmente la scena che si era svolta nel vicolo di fianco alla stazione di polizia, si rese conto di non aver ripulito la memoria dello sbirro. Ragion per cui la polizia lo stava cercando con tanto di accurata descrizione. Maledizione! Si era lasciato coinvolgere troppo da quel fottuto dramma e aveva scordato di proteggersi. Stava diventando sdolcinato. E diventare sdolcinato era pericoloso. «Come facevi a sapere degli orgasmi?» chiese di punto in bianco Beth. Wrath si irrigidì. E altrettanto fece il suo uccello, solo a sentirle pronunciare quella parola. Cambiando leggermente posizione per fare un po' di posto nei calzoni, si chiese se poteva eludere la domanda. In quel preciso momento non aveva nessuna voglia di parlare di sesso. Non con lei sdraiata su quel letto così vicino. Pensò alla sua pelle. Morbida. Liscia. Calda. «Come facevi a saperlo?» insistette lei. «È la verità, giusto?» «Sì» mormorò lei. «Con te è stato diverso perché tu non sei...? Perché tu sei...? Accidenti, non riesco nemmeno a pronunciare quella parola.» «Forse.» Wrath unì i palmi intrecciando le dita con forza. «Non lo so.» Perché anche per lui era stato diverso, anche se tecnicamente lei era ancora un'umana. «Non è il mio amante. Butch. Il poliziotto. Non lo è.» Wrath si ritrovò a fare un sospiro di sollievo. «Mi fa piacere.» «Quindi se ti capita di rivederlo non ucciderlo.» «Va bene.» Ci fu una lunga pausa, poi lui la sentì agitarsi nel letto. Le lenzuola di raso facevano un leggero fruscio. Immaginò le sue cosce che si strusciavano l'una contro l'altra e vide se stesso aprirle con le mani. E spalancarle ancora di più con la testa. Un bacio dopo l'altro, tracciare un sentiero fino al punto in cui anelava disperatamente di arrivare. Deglutì. Aveva la pelle d'oca. «Wrath?» «Sì?» «Ieri notte in realtà non volevi venire a letto con me, vero?» Immagini sfocate di lei lo indussero a chiudere gli occhi. «No, non volevo.» «Allora perché lo hai fatto?» Come avrei potuto evitarlo? pensò lui a denti stretti. Non era riuscito a lasciarla da sola. «Wrath?» «Perché ho dovuto» rispose, allargando le braccia in cerca di un po’ di sollievo. Il cuore gli martellava nel petto, tutti i sensi erano all’erta, come in battaglia. Sentiva il fiato che usciva dalle labbra di lei, il suo cuore che pompava, il sangue che le scorreva nelle vene. «Perché?» sussurrò lei. Doveva andarsene. Doveva lasciarla sola. «Dimmi perché.» «Tu mi hai fatto capire quanto sono freddo.» Altri movimenti sul letto. «Mi è piaciuto scaldarti» disse lei con voce sensuale. «Mi è piaciuto sentirti.» Un oscuro appetito si risvegliò nelle viscere del vampiro, artigliandogli lo stomaco. Wrath smise di respirare in attesa che passasse, ma quella sensazione tormentosa divenne più forte. Merda, quel bisogno lascivo non c'entrava solo con il sesso. C'entrava con il sangue. Il sangue di lei. Si alzò in fretta, aumentando la distanza che li separava. Doveva assolutamente andarsene. Uscire per strada. Trovare da combattere. E doveva nutrirsi, bere sangue fresco. «Senti, io devo scappare. Ma voglio che tu resti qui.» «Non andare.» «Devo.» «Perché?» Wrath aprì la bocca, le zanne si allungarono palpitando. E i canini non erano l'unica cosa che reclamava di essere usata. L'erezione, rigida e dolente, premeva contro la patta. Si sentiva lacerato da quei due bisogni. Il sesso e il sangue. Il sesso di Beth. Il sangue di Beth. «Stai scappando?» sussurrò lei. Era più che altro una domanda. Un po' provocatoria. «Stai attenta, Beth.» «Perché?» «Sto per crollare.» Lei scese dal letto e gli si avvicinò. Gli posò una mano sul petto, con il palmo aperto, appena sopra il cuore. Con l'altra gli cinse la vita. Wrath soffiò come un felino quando lei gli salì in grembo. Ma almeno il desiderio sessuale ebbe il sopravvento sull'altro appetito. «Vuoi dirmi di no?» chiese Beth. «Non voglio approfittare di te» rispose lui a denti stretti. «Stasera ne hai già passate abbastanza.» Lei lo prese per le spalle. «Sono arrabbiata. Spaventata. Confusa. Voglio che tu faccia l'amore con me finché non sentirò più niente, fino a diventare insensibile. Se non altro sarò io a usare te.» Abbassò gli occhi. «Dio mio, suona come una cosa terribile.» Non proprio. Lui era più che disposto a farsi usare così! Le sollevò il mento con l'indice. Anche se il suo odore penetrante gli diceva con esattezza quello che il suo corpo pretendeva da lui, avrebbe tanto voluto leggerglielo in faccia. «Non andare via» mormorò Beth. Wrath si sarebbe allontanato, ma la sua sete di sangue la metteva in pericolo. Beth doveva essere forte per affrontare il cambiamento, e lui era talmente assetato che rischiava di prosciugarla completamente. La mano di lei si staccò dalla sua vita. E trovò il membro in erezione. Il corpo di lui reagì in modo incontrollato, il suo respiro ansimante ruppe il silenzio della stanza. «Tu mi vuoi» disse Beth. «E io voglio che tu mi prenda.» Fece scorrere il palmo su tutta la lunghezza del pene e quella carezza oltrepassò con tormentosa evidenza la seconda pelle dei pantaloni. Soltanto sesso. Poteva farcela, si disse Wrath. Poteva tenere a bada l'altro bisogno. Ma era davvero disposto a mettere in gioco la vita di Beth puntando tutto sulla propria capacità di dominarsi? «Non dire di no, Wrath» disse lei, poi si alzò in punta di piedi e posò le labbra sulle sue. Les jeux sont faits, pensò lui, premendola con forza contro di sé. Spinse la lingua dentro la sua bocca afferrandola per i fianchi e si dimenò contro la sua mano. Il gemito di soddisfazione con cui lei reagì lo eccitò ancora di più e, mentre le unghie di Beth gli affondavano nella schiena, si godette quelle piccole fitte di dolore. Stavano a significare che anche lei era divorata dal desiderio. Con un movimento fulmineo la portò sul letto e le salì sopra, sollevandole la gonna e strappandole via le mutandine con brutale impazienza. Camicetta e reggiseno non ricevettero un trattamento migliore. Più tardi ci sarebbe stato tempo per assaporare con calma quegli istanti. Adesso era il momento del sesso nudo e crudo. Mentre si lavorava i seni con la bocca, le mani di lei si mossero brusche per sfilargli la camicia dalle spalle. La lasciò andare solo il tempo necessario a slacciarsi i calzoni per liberare l'erezione, poi in filò il braccio sotto una delle sue ginocchia, le sollevò la gamba e affondò dentro di lei. La udì ansimare a quella vigorosa penetrazione e il suo umore caldo e viscoso lo avvolse, pulsando mentre lei veniva. Perfettamente immobile, lui assorbì la sensazione del suo orgasmo, la carezza della sua femminilità più intima. Fu sopraffatto da un incontenibile istinto di possesso. Spaventato, si rese conto che aveva voglia di marchiarla. Di marchiarla come sua. Voleva impregnarla del suo odore perché nessun altro maschio si avvicinasse a lei, perché tutti sapessero a chi apparteneva quella femmina e temessero le conseguenze del desiderio di possederla. Ma sapeva di non avere il diritto di fare una cosa del genere. Lei non era sua. La sentì immobilizzarsi sotto di sé, e abbassò lo sguardo. «Wrath?» mormorò lei. «Wrath, cosa c'è che non va?» Fece per uscire da lei, ma Beth gli prese il volto tra le mani. «Stai bene?» Quella preoccupazione nella sua voce fu ciò che lo fece capitolare. Con un soprassalto mostruoso, il suo corpo si sottrasse al dominio della sua mente. Prima di riuscire a pensare, prima di riuscire a fermarsi, Wrath si puntellò sulle braccia e la penetrò più e più volte, avanti e indietro, implacabile. La testata del letto sbatteva contro il muro al ritmo delle sue vigorose spinte, e lei gli si aggrappò ai polsi, tesi dallo sforzo, nel tentativo di restare ferma. Un suono soffocato risuonò nella stanza e crebbe, sempre più forte, finché Wrath si rese conto che il ringhio veniva da lui. Un fuoco rovente gli infiammava la pelle. Le sue narici registrarono l'oscura fragranza del possesso. Non riusciva a fermarsi. Le labbra si ritrassero scoprendo i denti, mentre i muscoli si gonfiavano e i fianchi si dimenavano. Madido di sudore, in preda al capogiro, immemore e senza fiato, prese tutto quello che lei aveva da offrirgli. Lo prese tutto, ma ne voleva ancora e ancora. Divenne un animale, al pari di lei, finché entrambi si tramutarono in due creature selvagge. Wrath venne con violenza inondandola con il proprio seme, pompando dentro di lei. Il suo orgasmo parve protrarsi all'infinito finché si rese conto che anche lei aveva raggiunto l'estasi. Ci erano arrivati insieme, avvinghiati l'uno all'altra per resistere con tutte le loro forze alle travolgenti ondate della passione. Era l'unione più perfetta che avesse mai conosciuto. Poi tutto si trasformò in un incubo. Quando anche l'ultimo fremito passò dal suo corpo a quello di lei, nell'attimo supremo, quando ormai aveva dato tutto se stesso, l'equilibrio tra i suoi due desideri si spezzò, capovolgendosi. La sete di sangue si risvegliò e prese il sopravvento in un impeto perverso e divorante, insaziabile com'era stato l'appetito sessuale. Wrath scoprì i denti cercando il collo di Beth, la vena appena sotto quella pelle candida. Stava già per affondare le zanne nella sua carne, la gola riarsa per la sete di lei, le viscere divorate dai morsi di una fame che gli penetrava fino in fondo all'anima. Ma si tirò su di colpo, inorridito da quello che stava per fare. Si scostò bruscamente, muovendosi carponi sul letto finché cadde per terra, atterrando sul fondoschiena. «Wrath?» Allarmata, Beth fece per andargli incontro. «No!» La sete del suo sangue era prepotente, l'istinto incontrollabile. Se si fosse avvicinata troppo... Con un gemito cercò di deglutire. Aveva la gola come carta vetrata, cominciò a sudare profusamente, questa volta in una vampata nauseabonda. «Che cosa è successo? Che cosa ho fatto?» chiese Beth. Wrath continuò a strisciare all'indietro, il corpo dolorante, la pelle in fiamme. L'odore del sesso di lei sul proprio corpo era una frustata al suo autocontrollo. «Beth, lasciami. Devo...» Ma lei stava già andando da lui. Wrath si lasciò cadere pesantemente sul divano. «Stai indietro, cazzo!» Il vampiro scoprì le zanne soffiando. «Se ti avvicini ancora ti mordo, capito?» Beth si fermò di colpo. Il terrore aleggiava nell'aria. Lei scosse la testa. «Non mi faresti mai del male» disse con una convinzione pericolosamente ingenua. Wrath si sforzò di parlare. «Vestiti. Torna di sopra. Chiedi a Fritz di accompagnarti a casa. Manderò qualcuno a fare la guardia.» Adesso ansimava, il dolore gli straziava le viscere, terribile quasi quanto la prima volta, la notte della sua transizione. Non aveva mai sentito con tanta forza il bisogno di Marissa. Che cosa gli stava succedendo? «Io non voglio andarmene.» «Devi farlo. Manderò qualcuno a proteggerti fino a quando non sarò in grado di tornare da te.» Gli tremavano le gambe, i muscoli erano tesi fino allo spasimo nel tentativo di liberarsi dalla stretta che lui stesso aveva imposto al proprio corpo. La sua mente e le sue necessità fisiche si erano dichiarate guerra, e adesso marciavano sul campo di battaglia con le spade sguainate. E Wrath sapeva quale dei due contendenti avrebbe vinto se Beth non fosse subito scappata via. «Beth, ti scongiuro. Sto male. E non so per quanto ancora sarò in grado di trattenermi.» Lei esitò. Poi si rivestì in fretta, a scatti. Arrivata alla porta si voltò a guardarlo. «Vai.» E lei andò. CAPITOLO 20 Erano da poco passate le nove quando Mr X arrivò da McDonald's. «Sono contento che il film sia piaciuto a tutti e due. E per stasera ho in mente qualcos'altro, anche se dovremo sbrigarci. Uno di voi deve essere a casa per le undici.» Billy imprecò sottovoce. Si fermarono davanti al menù illuminato del drive-in, lui ordinò il doppio di quello che aveva preso il perdente, il quale si offrì di pagare la propria parte. «Non c'è problema, offro io» disse Mr X. «Ma state attenti a non sporcare.» Mentre Billy mangiava di gusto e il perdente piluccava quello che aveva nel piatto, Mr X li condusse verso la cosiddetta Zona di Guerra. L'arena per i combattimenti con pistole al laser era il punto di ritrovo privilegiato per una folla di minorenni brufolosi che lì speravano di rimorchiare: l'interno immerso nella penombra era l'ideale per nascondere l'acne giovanile e le patetiche smanie adolescenziali. Quella sera l'esteso edificio a un piano era in gran fermento, pieno zeppo di teenager nervosi e annoiate ragazzine tutte in tiro su cui i primi tentavano di fare colpo. Mr X noleggiò tre pistole e tre bersagli da fissare al petto e ne passo uno ciascuno ai due ragazzi. In meno di un minuto Billy era già Pronto a cominciare, maneggiava l'arma con disinvoltura, come se rosse un'estensione delle braccia. Mr X guardò il perdente, ancora intento a regolare le bretelle ^1 pettorale per riuscire a infilarsele sulle spalle. Il ragazzo aveva un'aria sconsolata, il labbro inferiore pendulo mentre armeggiava con i fermagli di plastica. Anche Billy lo guardava. Come se fosse cibo. «Dunque, ho pensato di fare una piccola gara amichevole» disse Mr X quando finalmente ebbero varcato i tornelli. «Vediamo chi di voi due riesce a colpire più volte l'altro.» Una volta entrati nell'arena, gli occhi di Mr X si abituarono subito all'oscurità vellutata e ai lampi al neon provenienti dagli altri giocatori. Lo spazio era abbastanza grande per la trentina di persone che saltellavano intorno agli ostacoli, ridendo, gridando e sparando raggi luminosi. «Dividiamoci» ordinò Mr X. Il perdente batteva le palpebre, Billy prese il volo con la rapidità di un predatore. Un istante dopo il sensore al centro del petto del perdente segnalò che era stato colpito. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla lucina, quasi non capisse cosa fosse successo. Billy si ritirò nell'oscurità. «Meglio mettersi al riparo, figliolo» mormorò Mr X. Si teneva in disparte osservando le loro mosse. Billy colpì il perdente a ripetizione, da un'infinità di angolazioni diverse, uscendo allo scoperto e poi spostandosi dietro gli ostacoli, ora veloce, ora lento, ora sparando da lontano. La confusione e l'ansia del perdente crescevano ogni volta che la luce sul suo petto si metteva a lampeggiare, e la disperazione lo spingeva a muoversi come un bambino incapace di coordinare i movimenti. Lasciava cadere la pistola, inciampava nei suoi stessi piedi, andava a sbattere contro una barriera. Billy, al contrario, era magnifico: nonostante stesse avendo la meglio e il suo bersaglio vivente apparisse sempre più debole, non mostrava alcuna pietà. Persino quando il perdente abbassò la pistola lungo il fianco e si appoggiò a una parete, esausto, Billy lo colpì di nuovo. Quindi si ritirò nell'ombra. Questa volta Mr X lo seguì. Aveva in mente un obiettivo diverso da quello di valutarne la prestazione. Riddle si muoveva veloce, aggirando gli ostacoli di gommapiuma e doppiandoli per tornare al punto in cui si trovava il perdente in modo da sorprenderlo alle spalle. Mr X lo anticipò e, con un rapido spostamento sulla destra, gli tagliò la strada. E lo colpì a bruciapelo. Billy abbassò lo sguardo sul petto, scioccato. Era la prima volta che il suo sensore si illuminava. «Ottimo lavoro, stasera» disse Mr X. «Hai giocato bene, figliolo. Fino a questo momento.» Billy alzò gli occhi, posando la mano sul bersaglio lampeggiante. Sul cuore. «Sensei.» La parola venne pronunciata come avrebbe fatto un innamorato, con la stessa adorante soggezione di un innamorato. Beth non aveva intenzione di chiedere un passaggio al maggiordomo perché era troppo scossa per fare conversazione con chicchessia. Camminando lungo la strada prese il cellulare per chiamare un taxi. Stava già digitando il numero quando il ronzio sommesso di un motore la indusse ad alzare la testa. Il maggiordomo scese dalla Mercedes e chinò il capo. «Il padrone mi ha chiamato. Mi ha chiesto di portarla a casa, signorina. E a me... a me farebbe piacere accompagnarla in macchina.» Era così zelante, speranzoso, quasi; se gli avesse permesso di prendersi cura di lei gli avrebbe fatto un favore. Ma Beth aveva bisogno di restare da sola. Dopo tutto quello che era successo era completamente disorientata. «Grazie, preferisco di no.» Si sforzò di sorridere. «Voglio solo...» La faccia dell'uomo parve sgretolarsi. Aveva l'aria di un cane bastonato. Se le buone maniere le avevano fatto difetto, ecco giungere in suo soccorso il senso di colpa. «Ah, va bene.» Prima che Fritz avesse il tempo di girare intorno all'automobile, ^eth aprì la portiera dal lato del passeggero scivolando sul sedile anteriore. Il maggiordomo parve spiazzato da quella iniziativa, ma S1 riprese in fretta e un sorriso raggiante tornò a illuminare il volto avvizzito. Quando si sedette al volante e mise in moto l'automobile, lei disse «Abito in...» «Oh, lo so dove abita. Abbiamo sempre saputo dove stava. Prima al St. Francis Hospital, nell'unità di terapia intensiva neonatale. Poi è andata a casa con quell'infermiera... Avevamo tanto sperato che la tenesse con sé, ma l'ospedale la costrinse a restituirla. Poi è entrata nel sistema degli affidi famigliari, e la cosa non ci entusiasmava. Prima è stata data in affidamento ai McWilliams di Elmwood Avenue, ma si è ammalata ed è tornata in ospedale con la polmonite.» Mise la freccia e allo stop svoltò a sinistra. Beth riusciva a malapena a respirare, tanto era intenta ad ascoltarlo. «L'hanno mandata dai Ryan, ma lì c'erano troppi bambini. Allora è andata dai Goldrich, che abitavano in quella casa vicino a Raleigh Street. Pensavamo che i Goldrich l'avrebbero tenuta, purtroppo la signora è rimasta incinta. E alla fine in quell'orfanotrofio. Non ci è piaciuto per niente il periodo che ha passato lì dentro perché non la lasciavano uscire abbastanza a giocare.» «Continua a parlare al plurale» mormorò lei, timorosa di credere. Desiderosa di credere. «Certo. Suo padre e io.» Beth si coprì la bocca con il dorso della mano, catturando con gli occhi il profilo del maggiordomo come se fosse qualcosa da custodire. «Lui mi conosceva?» «Oh, sì, signorina. Sin dall'inizio, e l'ha seguita per tutto il tempo. Asilo, scuola elementare, superiori» disse Fritz, incrociando il suo sguardo. «Eravamo così fieri di lei quando è stata ammessa all'università grazie a una borsa di studio accademica. Io ero presente alla sua laurea. Ho fatto delle foto per mostrarle a suo padre.» «Lui mi conosceva.» Beth provò a pronunciare quelle parole ad alta voce, con la sensazione di parlare del genitore di qualcun altro. Il maggiordomo si volse verso di lei e sorrise. «Abbiamo tutti gli articoli che ha pubblicato. Anche quelli che ha scritto alle scuole superiori e all'università. Quando ha cominciato a lavorare per il «Caldwell Courier Journal», suo padre si rifiutava di andare a dormire, al mattino, se prima non gli portavo il giornale. Per quanto dura fosse stata la nottata, non voleva riposare prima di avere letto i suoi pezzi. Era orgoglioso di lei.» Beth frugò nella borsetta in cerca di un Kleenex. «Tenga» disse il maggiordomo porgendole un pacchetto di fazzolettini di carta. Lei si soffiò il naso il più delicatamente possibile. «Deve capire quanto è stato difficile per suo padre stare lontano da lei, signorina. Lui sapeva che sarebbe stato pericoloso avvicinarla, era solo per questo. Le famiglie dei guerrieri devono essere sorvegliate con particolare cura, e lei era priva di qualunque protezione perché era stata cresciuta come un'umana. Suo padre sperava che le fosse risparmiata la transizione.» «Lei conosceva mia madre?» «Non bene. Non sono stati insieme a lungo. Lei è sparita poco dopo che avevano cominciato a vedersi perché aveva scoperto che lui non era un umano. Non gli aveva detto di essere incinta e solo quando ormai stava per partorire si rimise in contatto con lui. Penso fosse spaventata da quello che stava per mettere al mondo. Disgraziatamente entrò in travaglio e venne ricoverata in un ospedale per umani prima che riuscissimo a raggiungerla. Ma suo padre l'amava. Moltissimo. È giusto che lei lo sappia.» Beth assimilò l'informazione, la sua mente la sorbì fino all'ultima goccia colmando le tante lacune del passato. «Mio padre e Wrath... erano molto amici?» Il maggiordomo esitò. «Suo padre voleva bene a Wrath. Tutti noi gliene vogliamo. È il nostro signore, il nostro re. Per questo suo padre lo ha mandato da lei. E lei non deve avere paura di lui. Wrath non le farà alcun male.» «Questo lo so.» Quando avvistarono il suo caseggiato, Beth rimpianse di avere avuto così poco tempo da trascorrere con il maggiordomo. «Eccoci arrivati» annunciò lui. «1188 Redd Avenue, interno 1-B. Anche se devo dire che né suo padre né io approvavamo il fatto che abitasse al pianterreno.» L'auto si fermò. Beth non aveva voglia di scendere. «Posso farle qualche altra domanda? Più avanti?» chiese lei. «Oh, certo, signorina, si figuri. Ci sono talmente tante cose che vorrei raccontarle» rispose Fritz scendendo dall'auto. Ma quando arrivò dalla sua parte, dopo aver fatto il giro, Beth stava già chiudendo la portiera. Pensò di stringergli la mano per ringraziarlo in modo formale. E invece gettò le braccia al collo dell'anziano ometto abbracciandolo forte. Non appena Beth uscì dalla stanza, la sete di sangue di Wrath la reclamò a gran voce e lo torturò senza pietà. Il vampiro si tirò su i pantaloni e si trascinò fino al telefono, chiamando prima Fritz e poi Tohrment. La voce continuava a incrinarsi e fu costretto a ripetere più volte per farsi capire. Subito dopo aver riagganciato con Tohr, cominciarono i conati a vuoto. Wrath barcollò fino al bagno invocando mentalmente Marissa. Si piegò sopra il water, ma nello stomaco non c'era granché. Aveva aspettato troppo, pensò, ignorando i segnali che il suo corpo gli inviava già da qualche tempo. E poi era comparsa Beth e la sua chimica interna aveva subito un'altra serie di contraccolpi. Non c'era da stupirsi che fosse a pezzi. Il profumo di Marissa aleggiò fino a lui dalla camera da letto. «Mio signore?» lo chiamò lei. «Ho bisogno di...» Beth, pensò, in preda alle allucinazioni. La vedeva davanti a sé, sentiva la sua voce nella testa. Allungò una mano toccando il nulla. «Mio signore? Vuoi che venga da te?» chiese Marissa dall'altra stanza. Wrath si asciugò il sudore dalla faccia e uscì, barcollando come un ubriaco. Protese le braccia nel vuoto, alla cieca, lanciandosi in avanti. «Wrath!» gridò Marissa precipitandosi verso di lui. Il vampiro si lasciò cadere sul letto trascinandola giù con sé. Marissa gli cadde addosso. Lui sentì il corpo di Beth. E affondò il viso nelle lenzuola impregnate dell'odore di Beth. Quando trasse un profondo respiro nel tentativo di calmarsi, fu il profumo di Beth che gli invase le narici. «Hai bisogno di nutrirti, mio signore.» La voce di Marissa gli giungeva da lontano, come se fosse ancora sulla scala. Wrath si volse verso quel suono e non vide nulla. Adesso era completamente cieco. Poi, curiosamente, la voce di Marissa risuonò con forza. «Ecco, mio signore. Prendi il mio polso. Presto.» Sentì nel palmo la pelle calda. Aprì la bocca, ma non riuscì a coordinare il movimento delle braccia. Allungò le mani e toccò una spalla, una clavicola, la curva di un collo. Beth. La fame ebbe il sopravvento e Wrath si sollevò sopra la femmina. Con un ruggito affondò i denti nella morbida carne sopra l'arteria. Bevve a lungo e avidamente, visitato da visioni della donna bruna che gli apparteneva, figurandosela mentre si offriva a lui, immaginando di avere lei tra le sue braccia. Marissa ansimò. Le braccia di Wrath rischiavano di spezzarla in due mentre beveva il suo sangue, il suo fisico mastodontico la imprigionava in una gabbia. Per la prima volta sentì ogni parte del suo corpo. Compresa quella che doveva essere un'erezione, una cosa che non era mai successa. Gli scenari che si aprivano davanti a lei erano eccitanti e insieme spaventosi. Si lasciò andare cercando di respirare. Questo era ciò che aveva sempre voluto da lui, anche se la sua passione era scioccante. Ma cosa poteva aspettarsi? Lui era un maschio all'ennesima potenza. Un guerriero. E finalmente aveva capito di avere bisogno di lei. La soddisfazione scacciò via ogni disagio. Con estrema cautela fece scorrere le dita sulle sue spalle possenti e nude, una libertà, questa, che si prendeva per la prima volta. Lui emise un suono gutturale, quasi spronandola a osare di più. Con una deliziosa sensazione di piacere, Marissa gli affondò le mani tra i capelli. Erano così morbidi! Chi l'avrebbe mai immaginato? Un uomo così duro, ma oh, come erano morbide quelle onde scure. Come gli abiti di raso che lei amava portare. Le venne voglia di leggergli nel pensiero, un'intrusione che non si era mai arrischiata a mettere in pratica per paura di offenderlo. Adesso però era diverso. Forse l'avrebbe anche baciata, una volta finito di bere. Forse avrebbe fatto l'amore con lei. Forse adesso sarebbe potuta restare con lui. Le sarebbe piaciuto vivere a casa di Darius con lui. O da qualunque altra parte, non aveva importanza. Chiuse gli occhi sforzandosi di afferrare i pensieri di Wrath. Ma ciò che vide fu la femmina a cui lui stava pensando in realtà, la femmina umana. Una bellezza bruna con le palpebre socchiuse, sdraiata sulla schiena con i seni scoperti. Wrath le accarezzava i capezzoli rosei e turgidi e intanto le baciava la pelle del ventre, scendendo sempre più in basso. Marissa lasciò cadere quell'immagine come se fosse un coccio di vetro. Wrath non era lì con lei. Non era al suo collo che si stava abbeverando. Non era il suo corpo che stringeva con forza a sé. E quella erezione non era dovuta a lei. Non era per lei. Mentre le succhiava il collo, mentre le sue braccia poderose la avvinghiavano, Marissa insorse contro quell'ingiustizia. L'ingiustizia delle sue speranze. Del suo amore. Di Wrath. Ma sì, che la prosciugasse pure! Quanto avrebbe voluto che portasse a compimento il lavoro e bevesse il suo sangue fino all'ultima stilla, lasciandola morire. Le ci erano voluti anni e anni, secoli, per rendersi conto della verità: lui non era mai stato suo, non lo sarebbe mai stato. Adesso che quell'illusione era svanita, non le rimaneva più nulla. CAPITOLO 21 Beth appoggiò la borsa sul tavolo dell'ingresso, salutò Boo e andò in bagno. Lanciò un'occhiata alla doccia, ma decise di evitarla. Anche se al suo corpo irrigidito avrebbe fatto bene stare per un po' sotto il getto bollente, le piaceva avere ancora sulla pelle l'odore di Wrath. Era un profumo meraviglioso, erotico, oscuro, intenso. Non aveva mai sentito niente di simile e non lo avrebbe mai dimenticato. Aprì il rubinetto del lavandino e si lavò con cura; in mezzo alle gambe era deliziosamente sensibile e non poco dolorante. Non le importava di soffrire. Wrath poteva farle quello che voleva tutte le volte che voleva... Lui era... Non le vennero in mente parole adeguate. Solo un'immagine di quando le era venuto dentro, le spalle e il torace poderosi e imperlati di sudore che si bloccavano all'improvviso mentre si abbandonava completamente a lei. E la marchiava a fuoco come sua. Ed era esattamente così che si sentiva. Le sembrava di essere stata dominata e segnata in modo indelebile. Posseduta. E voleva provare di nuovo quella sensazione. Subito. Voleva ancora quell'uomo. Scosse la testa. Doveva smetterla con il sesso non protetto. Era già abbastanza grave che lo avesse fatto in due occasioni. La prossima volta avrebbero preso delle precauzioni. Uscendo dal bagno scorse la sua immagine riflessa e si fermò di colpo. Si piegò all'altezza della vita avvicinando la faccia allo specchio. Era identica a quando era uscita di casa, quella mattina, eppure si sentiva estranea a se stessa. Spalancò la bocca e si esaminò i denti. Quando si passò la lingua sui canini sentì che effettivamente le facevano male. Dio santo, chi era lei? Che cosa era lei? Ripensò a Wrath, dopo che avevano fatto l'amore. A Wrath che si allontanava di scatto da lei, il corpo seminudo teso nello sforzo, i muscoli sul punto di lacerare la pelle. Quando aveva scoperto i denti, le zanne erano apparse più lunghe della prima volta che le aveva viste, quasi fossero cresciute. E il suo bel viso contorto dal dolore. Era questo che la aspettava? Dall'altra stanza provenne un rumore strano. Qualcuno stava bussando a una finestra? Udì Boo miagolare in segno di benvenuto. Si affacciò alla porta con cautela. Alla vetrata scorrevole c'era qualcuno. Qualcuno grande e grosso. «Wrath?» disse Beth precipitandosi verso la porta e aprendola senza guardare bene. Non era Wrath, anche se lo sconosciuto gli assomigliava un po'. Capelli neri tagliati corti. Lineamenti duri. Intensi occhi blu scuro. Tutto vestito di pelle. Lui dilatò le narici e si accigliò, fissandola intensamente. Poi parve riprendersi. «Beth?» Aveva una voce profonda ma cordiale. E quando sorrise mise in mostra le zanne. Beth non trasalì nemmeno. Accidenti, si stava già abituando alle cose più strane. «Sono Tohrment, un amico di Wrath» disse il tipo, porgendole la mano. «Puoi chiamarmi Tohr.» Lei gliela strinse, non sapendo bene cosa dire. «Mi fermo nei paraggi per un po'. Se hai bisogno di qualcosa mi trovi qua fuori.» L'uomo... il vampiro - oh, merda, qualunque cosa fosse - si voltò dirigendosi verso il tavolo da picnic. «Aspetta» disse Beth. «Perché non... Entra pure.» Lui si strinse nelle spalle. «Va bene.» Non appena varcò la soglia, Boo miagolò sonoramente grattandogli gli stivali con la zampa. I due si salutarono come due vecchi amici. E quando il vampiro si raddrizzò, il giubbotto si aprì. Pugnali. Identici a quelli di Wrath. Beth ebbe la sensazione che nelle sue tasche si nascondesse lo stesso tipo di armi che Butch aveva sequestrato a Wrath. «Vuoi qualcosa da bere?» Beth trasalì. Non sangue. Ti prego, non dire sangue. Lui sorrise divertito, quasi le avesse letto nel pensiero. «Hai della birra?» Birra? Beveva birra? «Oh, sì. O meglio, credo di sì.» Scomparve in cucina e tornò con in mano due lattine di Sam Adams. Aveva proprio bisogno anche lei di un goccetto per darsi la carica. In fin dei conti aveva appena invitato in casa sua un vampiro. Suo padre era un vampiro. Il suo amante era un vampiro. Si portò la lattina alle labbra e bevve una lunga sorsata. Tohrment rise piano. «Nottataccia, eh?» «Non ne hai idea» rispose lei, asciugandosi la bocca. «Oh, sì che ce l'ho.» Il vampiro si accomodò in poltrona, il fisico mastodontico che debordava dai braccioli. «Sono contento di averti finalmente conosciuta. Tuo padre parlava molto di te.» «Sul serio?» «L'hai reso orgoglioso. E devi sapere... che si è sempre tenuto in disparte per proteggerti, non perché non ti volesse bene.» «Me lo hanno detto anche Fritz e Wrath.» «Come ti trovi con lui?» «Con Wrath?» «Sì.» Beth si sentì avvampare e si rifugiò in cucina. Prese un sacchetto di biscotti in cima al frigorifero e ne mise alcuni su un piatto. «Lui è... è... come faccio a spiegarti?» Cercò di trovare una risposta accettabile. «Per la verità, credo di saperlo.» Beth tornò dall'ospite allungandogli il piatto. «Ti vanno dei biscotti?» «Farina d'avena e uvetta» disse lui prendendone tre. «I miei preferiti.» «Sai, credevo che i vampiri si nutrissero solo di sangue.» «No. Il sangue contiene alcuni elementi nutritivi necessari, ma abbiamo bisogno anche di cibo.» «E l'aglio?» «Squisito.» Tohr si appoggiò contro lo schienale della poltrona sgranocchiando con gusto. «Rosolato in olio d'oliva. Io ne vado pazzo.» Caspita. Quel tizio sembrava quasi un bonaccione, pensò Beth. No, non era così. I suoi occhi penetranti continuavano a scrutare le finestre e la porta a vetri come se stessero monitorando tutto quello che lo circondava. Se avesse notato qualcosa di sospetto sarebbe schizzato su dalla poltrona in un lampo. E non per andare a controllare le serrature, ma per attaccare. Tohr si mise in bocca un altro biscotto. Però era rilassante averlo per casa, da un certo punto di vista. «Tu non sei come Wrath» disse di punto in bianco Beth. «Nessuno è come Wrath.» «Già.» Beth diede un morso al biscotto e andò a sedersi sul futon. «Lui è una forza della natura» proseguì Tohr bevendo un sorso di birra. «Ed è micidiale, non ci sono dubbi. Ma nessuno meglio di lui saprebbe prendersi cura di qualcuno, sempre ammesso che lo voglia. Cosa che ha fatto, nel tuo caso.» «E tu come lo sai?» mormorò lei, chiedendosi cosa gli avesse detto Wrath. Tohr si schiarì la gola, arrossendo. «Ti ha marchiata.» Lei si accigliò, guardandosi. «Lo sento dall'odore» spiegò Tohr. «L'avvertimento ce l'hai addosso, su tutto il corpo.» «L'avvertimento?» «Come se tu fossi la sua shellan.» «La sua cosa?» «La sua compagna. L'odore che hai sulla pelle invia un messaggio inconfondibile agli altri maschi.» Allora ci aveva visto giusto. A proposito del sesso che avevano fatto e di quello che significava. Non dovrei sentirmi così lusingata, però, non è proprio il caso, pensò Beth. «A te non dispiace, vero?» chiese Tohr. «Essere sua, cioè.» Lei non aveva voglia di rispondere. Da una parte voleva appartenere a Wrath, dall'altra si sentiva molto più al sicuro rimanendo come era sempre stata. Da sola. «Tu ne hai una?» chiese invece. «Una compagna?» Il vampiro si illuminò e assunse un'aria adorante. «Si chiama Wellsie. Eravamo promessi sposi già prima della nostra transizione. È stata una vera fortuna che ci siamo innamorati. Per la verità se l'avessi incontrata per caso avrei scelto comunque lei. Cosa strana il destino, eh?» «Ogni tanto funziona così anche per noi» mormorò Beth. «Già. Alcuni maschi hanno più di una shellan, ma io non riesco neppure a immaginare di stare con un'altra femmina. Il che, evidentemente, è anche la ragione per cui Wrath ha chiamato me.» Beth lo guardò con aria interrogativa. «Scusa?» «Vedi, gli altri fratelli hanno delle femmine e bevono il loro sangue, ma non li lega nessun rapporto sentimentale. Niente impedirebbe loro di...» S'interruppe per dare un morso a un altro biscotto. «Insomma, dato che tu sei...» «Cosa?» Beth aveva la sensazione di non conoscersi quasi per niente e, a quel punto, era pronta ad accogliere suggerimenti persino da estranei. «Bella. Wrath non ti avrebbe mai affidata alle cure degli altri perché, se fossero stati tentati di farti avance, sarebbero stati guai grossi.» Tohr si strinse nelle spalle. «E poi, be', un paio di fratelli sono decisamente pericolosi. Nessuno lascerebbe mai una femmina da sola in loro compagnia, almeno non una a cui si è affezionati.» Beth non era sicura di voler conoscere gli altri fratelli. Aspetta un attimo, pensò. «Wrath ha già una shellan?» domandò. Tohr finì la birra. «Sarebbe meglio parlarne con lui.» Non era un «no». Un insano senso di delusione s'insinuò nel bel mezzo del suo petto. Beth tornò in cucina. Maledizione! Cominciava a provare qualcosa per Wrath. Avevano fatto sesso solo un paio di volte e lei si stava già facendo strane idee. Questa storia farà un male cane, pensò, aprendo un'altra birra. Quando tra loro due le cose avrebbero cominciato a non funzionare, lei ci sarebbe stata male da morire. Senza contare la faccenda «stai per trasformarti in un vampiro». Oh, Dio. «Altri biscotti?» gridò al suo ospite. «Sarebbe fantastico.» «Birra?» «No. Sono a posto così.» Beth tornò dalla cucina con il sacchetto dei biscotti e i due rimasero in silenzio mentre li facevano fuori tutti, anche quelli rotti sul fondo. «Non hai nient'altro da mettere sotto i denti?» indagò Tohr. Beth si alzò in piedi. In effetti aveva anche lei un certo languorino allo stomaco. «Vedo cosa riesco a trovare.» «Hai la TV via cavo?» chiese Tohr indicando il televisore con un cenno del capo. Lei gli lanciò il telecomando. «Certo. E, se ben ricordo, stasera alla TBS danno una maratona di film su Godzilla.» «Forte» esclamò il vampiro allungando le gambe. «Io faccio sempre il tifo per i mostri.» Beth sorrise. «Anch'io.» CAPITOLO 22 Butch si svegliò perché qualcuno gli stava trapanando il cervello. Socchiuse un occhio. No, era il telefono che squillava. Alzò il ricevitore e lo avvicinò all'orecchio. «Sì?» «Buongiorno, il sole splende alto nel cielo.» La voce di José rimise in funzione il trapano elettrico. «Che ora è?» gracchiò Butch. «Le undici. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere sapere la notizia... Beth ha appena chiamato. Ti cercava. Dalla voce sembrava che stesse bene.» Butch quasi svenne per il sollievo. «E quel tizio?» «Non ne ha fatto parola. Voleva parlare con te. Ho annullato l'avviso di ricerca perché chiamava da casa.» Butch si mise a sedere. E subito dopo tornò a sdraiarsi. Per un po' non sarebbe andato da nessuna parte. «Non mi sento troppo bene» farfugliò. «Me lo immaginavo. Infatti le ho detto che fino a oggi pomeriggio avevi da fare. Tanto perché tu lo sappia, sono uscito da casa tua sette di stamattina.» Oh, Cristo. Butch cercò di nuovo di mettersi in posizione verticale, sforzandosi di restare dritto. La stanza cominciò a ondeggiare. Era ancora ubriaco fradicio, oltre ai postumi della sbronza. Quando si dice la multiprogrammazione, pensò. Sbagliata. «Arrivo subito.» «Io lo eviterei, se fossi in te. Il capitano ti sta cercando con il fucile spianato per farti il culo. Gli Affari Interni si sono fatti vivi da queste parti facendo domande su te e Billy Riddle.» «Riddle? E perché?» «Dai, detective.» Già, lo sapeva il perché. «Ascolta, non sei in condizione di affrontare il capitano.» Il tono di José era neutro, pragmatico. «Prima devi tornare sobrio. Cerca di rimetterti in sesto e vieni più tardi. Ti copro io.» «Grazie.» «Ho lasciato l'aspirina vicino al telefono insieme a un bel bicchierone d'acqua. Ho pensato che non ce l'avresti fatta ad arrivare fino alla macchina del caffè. Prendine tre compresse, spegni il cercapersone e mettiti a dormire. Se succede qualcosa di eccitante vengo a prenderti io.» «Ti amo, tesoro.» «Allora regalami un visone e un bel paio di orecchini per il nostro anniversario.» «Garantito.» Riuscì a riagganciare il telefono al secondo tentativo e chiuse gli occhi. Ancora un pochino di sonno, giusto un pochino. E poi forse si sarebbe sentito di nuovo un essere umano. Beth scarabocchiò le ultime correzioni a un pezzo che parlava di un'ondata di furti d'identità. Con tutti quei segnacci rossi l'articolo sembrava sanguinare e lei aveva ormai il sospetto che si stesse instaurando una tendenza: più si affidavano a lei, più i grandi vecchi di Dick diventavano sciatti nel lavoro. E non si trattava solo di errori di contenuto, adesso facevano anche errori grammaticali e strutturali. Come se non avessero mai sentito parlare del Chicago Manual of Style, la guida stilistica dei giornalisti. A lei non dispiaceva rivedere gli articoli degli altri, quando era in vena di collaborare, a patto che l'autore avesse fatto almeno un minimo di attenzione. Depositò l'articolo nella vaschetta del lavoro in uscita e tornò a concentrarsi sullo schermo del computer. Richiamò un file a cui aveva lavorato per tutto il giorno a sprazzi, entrando e uscendo in continuazione. E va bene, cos'altro voleva sapere? Rilesse la lista di domande. Potrò uscire durante il giorno? Ogni quanto tempo avrò bisogno di bere sangue? Fino a che età vivrò? Le dita volarono sulla tastiera. Contro chi state combattendo? E poi: Hai una... Come si chiamava? Shellan? Al suo posto digitò moglie. Dio, rabbrividiva al pensiero di quello che Wrath avrebbe risposto. E comunque, anche se non ne aveva una, da chi andava quando aveva bisogno di bere sangue? E come sarebbe stato permettergli di soddisfare il suo appetito con lei? L'istinto le diceva che sarebbe stato come il sesso. Per metà selvaggio e per metà struggente. Qualcosa che l'avrebbe lasciata debole e tutta ammaccata, probabilmente. Oltre che in uno stato di assoluta beatitudine. «Sempre a sgobbare, Randall?» disse Dick nel suo tono strascicato. Beth cambiò subito schermata tornando sulla posta elettronica. «Sempre.» «Sai, mi sono giunte voci su di te.» «Sul serio?» «Sì. Ho sentito che sei uscita con quel detective della Omicidi, O'Neal. Due volte.» «E allora?» Dick si chinò sopra la scrivania. Beth indossava una maglietta a girocollo piuttosto abbondante, quindi c'era ben poco da vedere. Infatti lui si raddrizzò subito. «Allora buon lavoro. Cerca di fargli qualche incantesimo. Vedi cosa riesci a scoprire. Potremmo ricavarci una bella storia sulla violenza della polizia con lui come protagonista. Avanti così, Randall, e chissà che non mi convinca a promuoverti.» Dick si allontanò senza fretta, tutto fiero del suo ruolo di dispensatore di consigli e favori. Coglione! Il telefonò squillò e Beth abbaiò il suo nome nel ricevitore. Ci fu una pausa. «Signorina? Si sente bene?» Era il maggiordomo. «Oh, mi scusi... sì, sto bene» rispose lei appoggiando la testa sulla mano libera. Dopo aver avuto a che fare con gente tipo Wrath e Tohr, l'esangue versione di arroganza maschile incarnata da Dick sembrava quasi assurda. «Se posso fare qualcosa...» «No, no, sto bene» disse lei, ridendo. «Non è niente. Ci sono abituata.» «Be', forse non avrei dovuto chiamarla...» la voce di Fritz si affievolì in un bisbiglio «ma non volevo che la notizia la cogliesse di sprovvista. Il padrone mi ha ordinato di preparare una cena speciale, stasera. Per voi due, da soli. Magari potrei passare a prenderla per andare a cercare un abito adatto.» «Un abito?» Per una specie di appuntamento galante con Wrath? Le parve un'idea magnifica. Poi rammentò a se stessa che doveva stare attenta a interpretare tutto in chiave romantica. In realtà non sapeva come stavano le cose. O chi altri Wrath si portava a letto, tanto per essere chiari. «Signorina, lo so che è presuntuoso da parte mia. La chiamerà lui di persona...» In quel momento la seconda linea del telefono cominciò a squillare. «Volevo solo che fosse pronta per stasera.» L'identificatore di chiamata lampeggiò con il numero che Wrath le aveva fatto memorizzare. Beth sorrise come un'idiota. «Mi piacerebbe un sacco andare a comprare un vestito. Proprio un sacco.» «Bene. Allora andremo alla Galleria. Lì c'è anche un Brooks Brothers. Il padrone mi ha chiesto di prendergli qualcosa da mettersi. Credo che anche lui voglia fare un figurone.» Mentre riattaccava, quello stupido sorriso le rimase incollato in faccia. Wrath lasciò un messaggio nella casella vocale di Beth e si rotolò nel letto allungando una mano per controllare l'orologio braille. Le tre del pomeriggio. Aveva dormito all'incirca sei ore; più del solito, ma era quello che normalmente il suo fisico richiedeva dopo un pasto a base di sangue. Dio, quanto avrebbe voluto che Beth fosse lì con lui. Tohr aveva chiamato all'alba per fare rapporto. Lui e Beth erano rimasti alzati tutta la notte a guardare film su Godzilla e, dal tono della sua voce, si capiva che il vampiro si era preso una mezza cotta per lei. Cosa che Wrath non faticava a comprendere, ma che al tempo stesso gli dava un gran fastidio. In ogni caso aveva fatto la cosa giusta mandandole Tohr. Rhage si sarebbe messo di sicuro a fare il cascamorto, così poi Wrath sarebbe stato costretto a rompergli qualcosa. Un braccio, una gamba. O magari tutti e due. Vishous non era scandalosamente bello come Hollywood ma aveva molto del magnaccia. Il voto di castità di Phury era saldissimo, ma perché metterlo sulla via della tentazione? Zsadist? Wrath non lo aveva neppure preso in considerazione: la cicatrice che gli deturpava il volto avrebbe spaventato a morte Beth. Persino Wrath, malgrado fosse mezzo cieco, riusciva a vedere quell'orribile sfregio. E il terrore mortale di una femmina era la cosa che più mandava in fregola Z. Per lui era tanto eccitante quanto la biancheria intima di Victoria's Secret lo era per buona parte dei maschi «normali». No, in caso di bisogno Tohr si sarebbe fatto un altro turno di guardia. Wrath si stiracchiò. Sentire sulla pelle nuda le lenzuola di raso gli faceva venire una voglia matta di Beth. Dopo essersi rifocillato si sentiva una creatura potente, quasi che le sue ossa fossero barre al carbonio e i muscoli cavi d'acciaio. Era tornato in sé, e ogni centimetro del suo corpo bramava di essere sfruttato fino in fondo. Però rimpiangeva amaramente quello che era successo con Marissa. Ripensò alla notte appena trascorsa. Quando aveva sollevato la testa dal collo della sua shellan, aveva subito capito di averla quasi ammazzata. E non perché avesse esagerato nel bere. Lei si era scostata di scatto, tremante d'angoscia, ed era scesa goffamente dal letto. «Marissa...» «Mio signore, io ti sciolgo dal patto che ci lega. Sei libero.» Lui aveva imprecato, nauseato da quello che le aveva fatto. «Non capisco la tua collera» aveva detto debolmente lei. «È quello che hai sempre desiderato e adesso io te lo concedo.» «Io non ho mai voluto...» «Me» aveva mormorato lei. «Lo so.» «Marissa...» «Per favore, non parlare. Non sopporterei di sentire la verità dalle tue labbra, anche se la conosco bene. Ti sei sempre vergognato di essere legato a me.» «Cosa diavolo stai dicendo?» «Io ti disgusto.» «Che cosa?» «Credi che non l'abbia notato? Non vedi l'ora di liberarti di me. Io bevo e appena ho finito tu scatti subito in piedi; devi costringerti a forza a sopportare la mia presenza.» Poi era scoppiata in singhiozzi. «Ho sempre cercato di essere pulita, quando venivo da te. Passo ore intere nella vasca da bagno. Ma non riesco a trovare lo sporco che tu vedi in me.» «Marissa, basta. Smettila, per favore. Tu non c'entri niente.» «Sì, lo so. Ho visto quella femmina. Nella tua mente» aveva ribattuto lei, rabbrividendo. «Mi dispiace» aveva detto Wrath. «E comunque tu non mi hai mai disgustato. Sei bellissima...» «Non è necessario che tu lo dica. Non adesso.» A quel punto la voce di Marissa si era fatta più dura. «Se non altro, puoi dispiacerti perché mi ci è voluto troppo tempo per vedere quello che è vero da sempre.» «Ti proteggerò comunque» aveva promesso solennemente lui. «No, non lo farai. Ormai non sono più affar tuo. Anzi, non lo sono mai stata.» E se ne era andata; la fresca fragranza dell'oceano aveva indugiato per qualche istante ancora nell'aria prima di svaporare. Wrath si stropicciò gli occhi. Era deciso a farsi perdonare in qualche modo. Non sapeva bene come rimediare, considerato l'inferno che Marissa aveva dovuto sopportare, ma non era preparato a vederla dissolversi nell'aria, convinta di non essere mai stata nulla per lui. O che lui l'avesse trovata in qualche modo sporca. Non l'aveva mai amata, in effetti, ma non voleva farla soffrire; era questo il motivo per cui le aveva chiesto tanto spesso di lasciarlo da solo. Se però Marissa si tirava indietro, se metteva in chiaro che era lei a non volerlo più come compagno, poteva ancora andare a testa alta nella perfida cerchia aristocratica da cui proveniva. Nella classe a cui Marissa apparteneva, una shellan respinta dal maschio era vista alla stregua di merce avariata. Essendo stata lei a lasciarlo, le sarebbe stata risparmiata ogni ignominia. E Wrath aveva la sensazione che, quando si fosse sparsa la voce, nessuno ne sarebbe rimasto sorpreso. Buffo, non aveva mai pensato al modo in cui lui e Marissa si sarebbero separati, forse perché, dopo tanti secoli passati insieme, aveva dato per scontato che non sarebbe più successo. Di sicuro non si sarebbe mai aspettato che accadesse perché lui cominciava in qualche modo ad affezionarsi a un'altra femmina. Come stava capitando con Beth. Dopo averla marchiata, non poteva più fingere di non sentirsi sentimentalmente legato a lei. Imprecò ad alta voce; conosceva abbastanza il comportamento e la psicologia dei vampiri per sapere che era nei guai. Diamine, erano nei guai tutti e due, adesso. Un maschio innamorato era una cosa pericolosa. Specialmente se era costretto a lasciare la sua femmina per affidarla alla tutela di un altro. Sforzandosi di scacciare dalla mente le conseguenze di quella situazione, Wrath allungò la mano verso il telefono per chiamare il Piano di sopra; aveva bisogno di mangiare qualcosa. Sentendo che squillava a vuoto, immaginò che Fritz fosse andato al negozio a fare la spesa. Ottimo. Aveva chiesto ai fratelli di tornare, più tardi, e a loro piacevano le grandi abbuffate. Era tempo di andare in ricognizione, di mettersi in pari con le indagini. Il bisogno di vendicare Darius era bruciante. E più Wrath si avvicinava a Beth, più quel fuoco divampava dentro lui. CAPITOLO 23 Butch uscì dall'ufficio del capitano. Senza la pistola la fondina gli sembrava troppo leggera. E senza il distintivo il portafogli gli sembrava troppo piatto. Era come essere nudi. «Che cosa è successo?» chiese José. «Mi prendo una vacanza.» «Cosa diavolo significa?» Butch si avviò lungo il corridoio. «La polizia di New York aveva qualcosa su quel sospettato?» José lo afferrò per un braccio trascinandolo dentro una stanza per gli interrogatori. «Allora?» «Sono stato sospeso senza paga fino alla conclusione dell'indagine interna. E tutti e due sappiamo l'esito: ho agito con violenza ingiustificata.» José si passò una mano tra i capelli. «Te l'avevo detto di andarci piano con quegli indiziati, amico.» «Riddle meritava anche di peggio.» «Non è questo il punto.» «Buffo, è quello che ha detto anche il capitano.» Butch andò davanti al finto specchio e si guardò. Dio, stava invecchiando. O forse era soltanto stufo marcio dell'unico mestiere che avesse mai voluto fare. Poliziotti violenti. Tutte cazzate. Lui era un protettore degli innocenti, non una specie di energumeno esaltato che andava in giro a spaccare la testa alla gente e si eccitava all'idea di fare il duro. Il guaio era che c'erano troppe leggi a favore dei delinquenti. Le vittime, la cui vita veniva sconvolta dalla violenza, avrebbero dovuto essere fortunate almeno la metà degli aggressori. «Comunque sia, il mio posto non è più qui» mormorò. «Cioè?» fece José. Nel mondo non c'era più posto per uomini come lui, pensò Butch. Si voltò verso il collega. «Allora, dicevamo, la polizia di New York... Abbiamo scoperto qualcosa?» José, immobile, rimase a squadrarlo a lungo. «Sospeso dal servizio, eh?» «Almeno finché non mi licenziano ufficialmente.» José si mise le mani sui fianchi e abbassò lo sguardo, scuotendo la testa come se si stesse lamentando con le sue scarpe. «Nada. È come se quel tizio fosse spuntato dal nulla.» Butch imprecò. «Quelle stelle Ninja... lo so che si trovano in rete, ma si possono comprare anche da queste parti, giusto?» «Sì, tramite le accademie di arti marziali.» «Ce ne sono un paio, qui in città.» José annuì lentamente. Butch tirò fuori le chiavi della macchina. «Ci si vede.» «Aspetta un attimo! Calma! Abbiamo già mandato qualcuno a fare domande in giro. In tutte e due le accademie sostengono di non ricordare nessun cliente che corrisponda alla descrizione del sospettato.» «Grazie della soffiata» brontolò Butch avviandosi deciso verso la porta. «Detective... Ehi, O'Neall» José lo afferrò per un braccio. «Maledizione, vuoi fermarti un secondo?» Butch lo guardò in cagnesco da sopra la spalla. «Cos'è, è arrivato il momento in cui mi avverti di non immischiarmi nel lavoro della polizia? Puoi anche risparmiare il fiato.» «Cristo, Butch, non sono io il tuo nemico.» Gli occhi marrone scuro di José erano penetranti. «I ragazzi e io siamo dalla tua parte. Per quanto ci riguarda tu hai sempre fatto quello che andava fatto e non hai mai sbagliato. Tutti quelli che hai malmenato se lo meritavano. Ma forse sei stato solo fortunato, non credi? Cosa sarebbe successo se avessi pestato qualcuno che non era...» «Piantala con la solita predica. Non mi interessa» lo interruppe Butch, calando la mano sulla maniglia. José gli strinse il braccio fin quasi a stritolarglielo. «Al momento sei fuori dalla polizia, O'Neal. E buttarti allo sbaraglio in un'indagine da cui sei stato appena sollevato non servirà a riportare indietro Janie.» Butch soffiò fuori l'aria con forza quasi avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco. «Adesso mi mollerai anche un bel calcio nelle palle, magari?» José ritirò la mano con l'aria di voler gettare la spugna. «Scusa, amico. Ma devi renderti conto che ficcarti ancora di più nei guai servirà solo a fotterti del tutto. Non aiuterà tua sorella. Non l'ha mai aiutata.» Butch scrollò lentamente la testa. «Lo so anch'io, cazzo.» «Ne sei proprio sicuro?» Sì, lo era. Gli era piaciuto un casino menare selvaggiamente Billy Riddle, ma era stata una specie di vendetta per quanto aveva dovuto subire Beth. Non c'entrava niente con il desiderio di riportare in vita sua sorella. Janie era morta. E lo era da molto, moltissimo tempo. Gli occhi tristi di José, però, lo facevano sentire come un malato terminale. «Andrà tutto bene» si ritrovò a dire. Anche se non ci credeva granché. «Vedi di non... di non sfidare la sorte, là fuori, detective.» Butch spalancò la porta. «Sfidare la sorte è la sola cosa che so fare bene, José.» Nel suo ufficio Mr X si appoggiò all'indietro sulla sedia ripensando alla sera precedente. Era pronto a ritentare, anche se la zona del centro era pericolosa, al momento, un po' per l'autobomba e un po' per la scoperta del cadavere della prostituta. Andare a caccia di vampiri nelle vicinanze di Screamer's sarebbe stato un azzardo, ma il rischio eli venire catturati rendeva più esaltante la sfida. E poi, cosa ancora più rilevante, se si voleva prendere uno squalo non aveva senso pescare in acqua dolce. Quindi doveva per forza ritornare dov'era sicuro di trovare dei vampiri. Al pensiero di quello che si apprestava a fare, sentì una sferzata di adrenalina in corpo. Aveva dato una ripassata alle tecniche di tortura, e quella mattina, prima di recarsi all'accademia, aveva fatto una visitina al laboratorio che aveva allestito nel fienile di casa. Gli attrezzi c'erano tutti, pronti e scintillanti: un set di trapani da dentista, coltelli di vario tipo, un martello a testa tonda, uno scalpello e una sega elettrica. E anche uno di quegli aggeggi che servono per fare le palline con la polpa del melone, uno scavino. Per gli occhi. Il trucco era, naturalmente, mantenersi in equilibrio sulla sottile linea di confine che separava il dolore dalla morte. Il dolore si poteva dilatare, prolungare per ore, addirittura per giorni. La morte era l'interruttore estremo, quello con cui si spegneva definitivamente la vita. Qualcuno bussò alla porta. «Avanti» disse. Era l'addetta alla reception, la drogata con le braccia muscolose come quelle di un uomo e un seno che non era degno di tal nome. Le contraddizioni di quella donna non smettevano mai di sorprenderlo. Malgrado un conclamato caso di invidia del pene la spingesse ad assumere steroidi in gran quantità e a darsi al sollevamento pesi, insisteva a truccarsi. E anche ad andare dal parrucchiere. In T-shirt all'ombelico e fuseaux sembrava una brutta drag queen. La trovava repellente. Uno dovrebbe sempre sapere chi è, pensò Mr X. E chi non è. «C'è qui un tizio che vuole parlarle.» La voce della donna era di un'ottava e mezzo troppo bassa. «O'Neal... mi pare si chiami cosi. Dà l'idea di essere un poliziotto, però non mi ha mostrato il distintivo.» «Digli che arrivo subito.» Razza di scherzo della natura, aggiunse tra sé Mr X. Tuttavia gli venne da ridere quando lei - o lui, o qualunque cosa fosse - si chiuse la porta alle spalle. Eccolo lì, un uomo senz'anima che viveva uccidendo vampiri. E aveva anche il coraggio di dire che il mostro era lei? Be', almeno lui aveva uno scopo, nella vita. E un piano. Lei invece quella sera sarebbe tornata in palestra, la Gold's Gym. Subito dopo essersi fatta la barba. Erano le sei passate da poco quando Butch parcheggiò l'auto civetta davanti al caseggiato dove abitava Beth. Prima o poi avrebbe dovuto restituire anche quella maledetta macchina, ma sospeso non significava licenziato. Il capitano avrebbe dovuto chiedergliela, se la rivoleva indietro. Prima era andato in tutte e due le accademie di arti marziali e aveva parlato con i rispettivi direttori. Uno dei due era semplicemente odioso. Il classico tipo che adorava circondarsi di leccapiedi, maniaco dell'autodifesa e convinto di essere un asiatico. Malgrado fosse bianco come Butch. L'altro tizio, invece, era strano e basta. Sembrava un lattaio anni Cinquanta: capelli biondi chiaramente impomatati e sorrisone fastidioso che da mezzo secolo o giù di lì sentiva la mancanza della pubblicità del Pepsodent. L'amico si era mostrato quanto mai disponibile a collaborare, eppure qualcosa non quadrava. Il radar specializzato in stronzate di Butch era andato in fibrillazione non appena Mr Mayberry aveva aperto bocca. Inoltre profumava come una checca. Butch salì di corsa i gradini d'ingresso del palazzo e suonò il citofono di Beth. Le aveva lasciato un messaggio nella casella vocale del computer sia al lavoro sia a casa, dicendole che sarebbe passato a trovarla. Stava per suonare di nuovo quando, attraverso la porta a vetri, la vide entrare nell'atrio. Cristo santo! Indossava un vestito nero molto attillato che quasi gli fece tornare il mal di testa, tanto le stava a pennello. La scollatura a V scopriva le sommità dei seni, la vita stretta metteva splendidamente in risalto i fianchi torniti e il profondo spacco laterale lasciava intravedere la coscia a ogni passo. I tacchi alti valorizzavano le caviglie, facendole apparire sottili, bellissime. Beth alzò gli occhi dalla borsetta in cui stava frugando e parve sorpresa di vederlo. Si era raccolta i capelli in uno chignon. Butch pensò a come sarebbe stato bello scioglierglieli. Lei aprì la porta. «Butch.» «Ciao.» Faceva fatica a parlare, sembrava un ragazzino. «Ho ricevuto i tuoi messaggi» mormorò lei. Lui si fece da parte per permetterle di uscire. «Possiamo parlare? Hai tempo?» Ma conosceva già la risposta. «Non in questo momento.» «Dove stai andando?» «Ho un appuntamento.» «Con chi?» Lei incrociò il suo sguardo con una calma troppo studiata. E Butch ebbe la certezza che quanto stava per dire era una bugia. «Nessuno di speciale.» Sì, come no. «Che ne è stato dell'uomo di ieri sera, Beth? Dov'è finito?» «Non lo so.» «Stai mentendo.» Lei sostenne il suo sguardo senza alcuna esitazione. «Se vuoi scusarmi...» Butch l'afferrò per un braccio. «Non andare da lui.» Il ronzio soffocato di un motore ruppe il silenzio sceso tra loro. Una grossa Mercedes nera con i vetri oscurati accostò davanti al palazzo. In perfetto stile «boss della droga», pensò Butch. «Oh, cazzo, Beth!» Il detective le strinse il braccio cercando disperatamente di catturare la sua attenzione. «Non farlo. Quello è un indiziato... così diventi colpevole di favoreggiamento.» «Lasciami andare, Butch.» «Quel tizio è pericoloso.» «E tu no, invece?» Lui la lasciò andare. «Domani» disse lei, arretrando di qualche passo. «Parleremo domani. Vediamoci qui dopo il lavoro.» Non sapendo più cosa fare, lui le tagliò la strada. «Beth, non posso lasciarti...» «Vuoi arrestarmi?» In quanto poliziotto, no, non poteva. Almeno finché non lo reintegravano nei ranghi. «No. Non ti porto dentro.» «Grazie.» «Non è un favore» aggiunse amareggiato mentre lei gli girava intorno. «Beth, per piacere.» Lei si fermò. «Niente è come sembra.» «Non lo so, io mi sono fatto un quadro piuttosto chiaro, cazzo. Tu stai proteggendo un assassino e c'è la seria possibilità che ti ritrovi in una bella cassa di pino. Lo capisci o no? Io l'ho guardato bene in faccia quando aveva la mano intorno al mio collo e stringeva, stringeva con l'intenzione di strangolarmi. Un uomo del genere ha l'omicidio nel sangue. È nella sua natura. Come puoi andare da lui? Dannazione, come puoi permettergli di girare per strada indisturbato?» «Lui non è così.» Ma la frase suonava più come una domanda. La portiera della macchina si aprì e scese un ometto anziano in smoking. «Qualche problema, signorina?» chiese premuroso, scoccando al tempo stesso un'occhiataccia a Butch. «No, Fritz, nessun problema» rispose Beth; poi sorrise, un sorriso titubante. «A domani, Butch.» «Se sarai ancora viva.» Lei impallidì, ma corse giù per le scale scivolando dentro l'auto in sosta. Un attimo dopo Butch salì sulla sua e li seguì. Quando Havers udì dei passi avvicinarsi alla sala da pranzo, alzò seccato lo sguardo dal piatto. Aveva sperato di arrivare in fondo al pasto senza interruzioni. Ma non era uno dei doggen venuto a informarlo dell'arrivo di un Paziente bisognoso di cure. «Marissa!» esclamò, alzandosi dalla sedia. Lei si sforzò di sorridergli. «Ho pensato di scendere. Sono stanca di passare tanto tempo in camera mia.» «Sono contento di poter stare in tua compagnia.» Marissa si avvicinò al tavolo e Havers le scostò la sedia per farla accomodare. Pur avendo perso ogni speranza di pranzare insieme a lei, aveva insistito affinché il posto della sorella venisse sempre apparecchiato, ed era felice di averlo fatto. Quella sera, poi, sembrava che Marissa avesse compiuto uno sforzo notevole, non limitandosi semplicemente a venire a mangiare. Indossava un magnifico abito di seta nera completo di un giacchino con il colletto alto e rigido. I capelli, sciolti sulle spalle, risplendevano dorati alla luce delle candele. Era incantevole, e Havers fu assalito da un impeto di rabbia. Era un vero affronto che Wrath non sapesse apprezzare tutto quello che Marissa aveva da offrire, che non considerasse alla sua altezza quella squisita creatura di sangue nobile. Se non per usarla come mangiatoia. «Come procede il lavoro?» chiese lei mentre un doggen le versava del vino. Un altro le mise davanti un piatto colmo di vivande. «Ti ringrazio, Phillip. Karolyn, questo roast beef ha l'aria di essere squisito.» Prese la forchetta e infilzò con delicatezza la carne nel piatto. Buon Dio, pensò Havers. Sembrava tutto quasi normale. «Il lavoro? Bene. Benissimo, anzi. Come ti avevo accennato, ho fatto notevoli progressi nelle mie ricerche. La pratica di bere sangue fresco potrebbe ben presto diventare una cosa superata.» Alzò il bicchiere e bevve un sorso di vino. Il Borgogna in teoria si accompagnava magnificamente alla carne di manzo, ma lui trovava che avesse un gusto sgradevole. Tutto quello che aveva nel piatto sapeva di acido. «Oggi pomeriggio mi sono sottoposto io stesso a una trasfusione con del sangue prelevato tempo fa e conservato in apposite scorte, e mi sento bene.» In realtà era un'esagerazione. Non che si sentisse male, ma qualcosa non andava. L'ondata di energia che di norma avrebbe dovuto investirlo non si era ancora manifestata. «Oh, Havers» mormorò Marissa. «Senti ancora la mancanza di Evangeline, vero?» «Da morire. E bere il sangue di un'altra è una cosa che semplicemente non... non trovo adatta a me.» No, non si sarebbe più mantenuto in vita seguendo tradizioni antiquate. D'ora in avanti sarebbe stato tutto molto asettico: un ago sterile nel braccio collegato a una sacca di sangue. «Mi dispiace davvero tanto» disse Marissa. Havers allungò il braccio verso la sorella, posando la mano sul tavolo con il palmo all'insù. «Grazie.» Lei mise la mano nella sua. «E scusami se sono stata così... in ansia. Ma adesso andrà meglio.» «Sì» replicò con foga lui. Wrath era proprio il genere di barbaro desideroso di abbeverarsi direttamente alla vena di una femmina, ma almeno Marissa avrebbe potuto risparmiarsi quella mortificazione. «Potresti provare anche tu con le trasfusioni. Renderanno libera anche te.» Lei ritrasse la mano di scatto prendendo il bicchiere di vino. Mentre si portava il Borgogna alle labbra, ne rovesciò un po' sulla giacca. «Oh, che pasticciona» farfugliò, spazzolandosi via le gocce con le mani. «Sono terribilmente scoordinata, vero?» Si tolse il giacchino di seta e lo appoggiò sulla sedia vuota accanto a sé. «Sai, Havers, mi piacerebbe provare. Nemmeno io trovo più di mio gradimento l'abitudine di bere sangue fresco.» Lui fu sopraffatto da un piacevole sollievo, da un senso di speranza. Era una sensazione del tutto insolita poiché da tantissimo tempo non la provava più. L'idea che qualcosa potesse cambiare per il meglio era diventata per lui un concetto estraneo. «Veramente?» sussurrò. Marissa annuì, gettandosi i capelli dietro le spalle e afferrando la forchetta. «Sì, veramente.» E Havers vide i segni sul collo. Due fori, due ferite infiammate. Un alone rosso fuoco nel punto in cui era stata succhiata. Lividi violacei sulla pelle della clavicola, nel punto in cui era stata afferrata da una mano poderosa. L'orrore gli tolse l'appetito, annebbiandogli la vista. «Come ha potuto trattarti in modo tanto brutale?» disse in un sussurro. Marissa si portò la mano al collo prima di affrettarsi a coprire la ferita con una ciocca di capelli. «Non è niente. Davvero, non è... niente.» Lui non le staccava gli occhi di dosso. «Havers, per favore. Mangiamo e basta» disse lei prendendo di nuovo la forchetta, quasi a voler fornire una dimostrazione pratica dell'uso. «Su, coraggio. Mangia.» «Ma come faccio?» protestò lui gettando sul tavolo le posate d'argento. «Perché è finita.» «Che cosa?» «Ho rotto il patto che mi legava a Wrath. Non sono più la sua shellan. Non lo vedrò più.» Per qualche istante Havers riuscì solo a fissarla, ammutolito. «Perché? Cos'è cambiato?» «Ha trovato un'altra femmina. La desidera.» Havers si sentì rimescolare il sangue nelle vene. «E chi sarebbe questa femmina che lui ha preferito a te?» «Non la conosci.» «Conosco tutte le femmine della nostra classe. Di chi si tratta?» insistette. «Non appartiene alla nostra classe.» «È una delle Elette della Vergine Scriba, allora?» Nella gerarchia sociale dei vampiri, erano le uniche femmine al di sopra delle aristocratiche. «No. È umana. O almeno per metà umana, da quello che ho capito dai pensieri di Wrath.» Havers rimase di sasso. Umana. Una umana? Marissa era stata abbandonata per un esemplare di... Homo sapiens? «La Vergine Scriba è stata avvisata?» chiese con voce stridula. «Questo è compito suo, non mio» rispose Marissa. «Ma non temere, Wrath andrà da lei. È... finita.» Marissa tagliò un pezzettino di roast beef e se lo infilò in bocca. Masticò con cura, quasi avesse dimenticato come si faceva. O forse faticava a deglutire a causa dell'umiliazione. Havers strinse con foga i braccioli della sedia. Sua sorella, la sua pura, bellissima sorella, era stata ignorata. Usata. E addirittura brutalizzata. E tutto ciò che le restava, dopo essere stata la compagna del loro re era la vergogna di essere stata accantonata per un'umana. L’amore di Marissa non aveva mai significato niente per Wrath, cosi come il suo corpo o le sue impeccabili origini aristocratiche. E adesso il guerriero aveva distrutto anche il suo onore. No, non era finita. CAPITOLO 24 Wrath si infilò la giacca di Brooks Brothers. Tirava un po' sulle spalle, ma lui era difficile da vestire, e poi aveva avvertito Fritz all'ultimo momento. D'altro canto, se anche fosse stata confezionata su misura da un sarto, si sarebbe comunque sentito imprigionato. Era molto più a suo agio vestito di pelle e armato fino ai denti piuttosto che con addosso quella merdosa sciccheria in lana pettinata. Andò in bagno e cercò di guardarsi allo specchio. L'abito era nero, la camicia pure. Questo era più o meno tutto quello che riusciva a vedere con chiarezza. Doveva avere l'aria di un avvocato. Si tolse la giacca e la posò sul piano in marmo del lavandino. Poi, con gesti impazienti, si tirò indietro i lunghi capelli legandoli con un cordoncino di pelle. Che fine aveva fatto Fritz? Era uscito da quasi un'ora per andare a prendere Beth. Ormai avrebbero dovuto essere di ritorno tutti e due, e invece, sopra la sua testa, la casa sembrava ancora deserta. Ah, dannazione! Se anche il doggen fosse uscito da meno di un minuto lui sarebbe stato ugualmente irrequieto. Era euforico, distratto e impaziente di vedere Beth. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era affondare la faccia nei suoi capelli mentre spingeva con forza la parte più dura di sé dentro di lei. Dio, i gemiti di Beth quando veniva tra le sue braccia... Diede un'altra occhiata alla propria immagine riflessa nello specchio. Si rimise la giacca. Ma il sesso non era tutto. Voleva trattarla con rispetto, non semplicemente sbatterla sulla schiena e saltarle addosso. Voleva rallentare. Mangiare con lei. Parlare con lei. Che diamine, voleva darle quello che piaceva tanto alle femmine: un po' di coccole. Provò a fare un sorriso. Lo allargò. Aveva la sensazione che le guance stessero per spaccarsi. Sì, d'accordo, non era esattamente il tipo che mandava bigliettini sdolcinati, ma poteva lo stesso tirare fuori un po' di romanticismo. O no? Si sfregò la mascella. Cosa diavolo ne sapeva, lui, dell'amore romantico? Tutt'a un tratto si sentì stupido. No, ancora peggio. Quell'elegante completo nuovo di zecca lo metteva a nudo, e quel poco che vedeva era una brutta sorpresa. Stava cambiando per una femmina, unicamente per farle piacere. Ecco che effetto facevano i legami sentimentali, pensò. Questa era precisamente la ragione per cui non avrebbe mai dovuto marchiare Beth, la ragione per cui mai e poi mai si sarebbe dovuto avvicinare tanto a lei. Per l'ennesima volta rammentò a se stesso che, dopo la sua transizione, lui avrebbe chiuso con Beth. Sarebbe tornato alla sua vita. Invece lei... Cristo, perché si sentiva come se gli avessero sparato in pieno petto? «Wrath, ci sei?» il richiamo di Tohrment rimbombò in tutta la stanza. La voce baritonale del compagno fu un sollievo e riportò Wrath con i piedi per terra. Uscito dal bagno, si rabbuiò nel sentire il fischio prolungato dell'altro vampiro. «Guarda guarda» disse Tohr, girandogli intorno. «Mordimi pure, se vuoi.» «No, grazie. Preferisco le femmine» ribatté l'altro scoppiando a ridere. «Anche se devo ammettere che non te la cavi male con le pulizie di casa.» Wrath incrociò le braccia al petto, ma la giacca gli tirava al punto che temette di strapparla lungo la cucitura sulla schiena. Lasciò ricadere le braccia. «Perché sei da queste parti?» «Ti ho chiamato sul cellulare ma non hai risposto. Avevi detto che ci volevi vedere tutti qui, stasera. A che ora?» «Ho da fare fino all'una.» «Fino all'una?» ripetè Tohr strascicando le parole. Wrath si piantò le mani sui fianchi, assalito da una sensazione di profondo disagio: come se qualcuno si fosse introdotto in casa avvicinandosi di soppiatto. Era tutto sbagliato, pensò. L'appuntamento con Beth... Ma ormai era troppo tardi per annullarlo. «Facciamo mezzanotte» disse. «Avviserò gli altri di tenersi pronti.» Benché la voce fosse ferma, aveva l'impressione che Wrath stesse sogghignando. Ci fu una pausa. «Ehi, Wrath?» «Sì?» «Lei è bella. Pensavo ti avrebbe fatto piacere saperlo.» Se chiunque altro avesse detto una cosa del genere Wrath gli avrebbe cambiato i connotati. E, pur trattandosi di Tohr, gli andò comunque il sangue alla testa. Gli dava fastidio che qualcuno rammentasse quanto fosse irresistibile Beth. Lo faceva pensare al maschio a cui doveva affidarla per il resto della vita. «Hai qualcosa di intelligente da dire o parli solo perché hai la bocca?» Non era un invito a proseguire, eppure Tohr si infilò dritto in quel varco. «Sei molto preso da lei.» Era meglio limitarsi a mandarlo a fare in culo, pensò Wrath. «E secondo me vale anche per lei» aggiunse Tohr. Oh, grandioso. Adesso sì che si sentiva meglio. Così alla fine rischiava anche di spezzarle il cuore o roba del genere. Comunque, la faccenda dell'appuntamento era stata veramente una pessima idea. Ma cosa credeva di fare con tutte quelle stronzate della serie cuori-e-fiori? Wrath scoprì le zanne. «Le starò vicino solo finché avrà superato il cambiamento. Tutto qua.» «Sì, certo.» Quando Wrath emise un ringhio gutturale, l'altro vampiro si strinse nelle spalle. «È la prima volta che ti metti in ghingheri per una femmina, che io sappia.» «È la figlia di Darius. Mi dovrei comportare come Zsadist con una delle sue puttane?» «Santo cielo, no. E vorrei tanto che la piantasse anche lui, maledizione. Ma quello che vedo tra te e Beth mi piace. Sei solo da troppo tempo.» «Questo è quello che pensi tu.» «Non sono l'unico.» La fronte di Wrath si imperlò di sudore. La sincerità di Tohr lo metteva con le spalle al muro. Come il fatto che lui in teoria dovesse solo proteggere Beth, mentre invece stava facendo di tutto per farla sentire speciale, più di quanto non fosse in realtà. «Non devi andare da qualche altra parte?» disse. «No.» «La mia solita fortuna.» Aveva un disperato bisogno di muoversi. Raggiunse il divano e prese il giubbotto da motociclista. Doveva rifornirlo di armi e, visto che Tohr non sembrava aver fretta di muovere le chiappe, meglio quella distrazione che non mettersi a urlare. «La notte in cui è morto» riprese Tohr, «Darius mi ha detto che, quando ti aveva chiesto di prenderti cura di lei, ti eri rifiutato.» Wrath aprì l'armadio e affondò le braccia in una cassa piena di stelle Ninja, pugnali e catene. Operò la selezione con gesti bruschi. «E allora?» «Perché hai cambiato idea?» Sul punto di esplodere, Wrath serrò le mascelle con forza facendo stridere i molari. «È morto. Glielo dovevo.» «Glielo dovevi anche da vivo.» Wrath si voltò di scatto. «Hai bisogno di qualcos'altro? Sennò vedi di levarti dai piedi.» Tohr alzò le mani. «Calma, fratello.» «Calma un cazzo. Non ho intenzione di parlare di lei né con te ne con nessuno. Capito? E vedi di tenere la bocca chiusa con i fratelli.» «Va bene, va bene» disse Tohr indietreggiando verso la porta. «Ma fai un favore a te stesso. Stai attento a quello che sta succedendo con questa femmina. Non riconoscere una debolezza può essere fatale.» Con un ringhio, Wrath assunse la posa di attacco. «Debolezza? E devo sentirlo da un maschio così stupido da amare la sua shellan? Vorrai scherzare.» Ci fu un lungo silenzio. Poi Tohr disse in tono pacato: «Io sono fortunato ad avere trovato l'amore. Ringrazio ogni giorno la Vergine Scriba per aver fatto entrare Wellsie nella mia vita». L'ira di Wrath esplose, scatenata da qualcosa che non riusciva a identificare con precisione. «Sei patetico.» Tohr soffiò come un felino. «E tu sei già morto da secoli. Sei solo troppo meschino per trovare una tomba dove giacere per sempre.» Wrath gettò per terra il giubbotto di pelle. «Almeno io non sono schiavo della fica.» «Bel. Vestito. Del cazzo.» In due falcate Wrath coprì la distanza che li separava mentre l'altro vampiro si preparava allo scontro senza spostarsi di un millimetro. Tohrment era un maschio alto e massiccio, con le spalle larghe e lunghe braccia possenti. Tra i due la tensione era palpabile. Wrath sogghignò gelido, le zanne che si allungavano. «Se per difendere la nostra razza avessi impiegato metà del tempo che sprechi correndo dietro alla tua femmina, forse non avremmo perso Darius. Ci hai mai pensato?» L'angoscia del guerriero sgorgò come sangue da una ferita al petto; il suo strazio impregnò l'aria, rendendola più densa. Wrath inspirò quell'odore, respirando fino in fondo all'anima il dolore cocente. La consapevolezza di aver offeso con un vile colpo basso un compagno valoroso e degno di rispetto lo riempiva di disprezzo verso se stesso. In attesa che Tohr attaccasse, diede il benvenuto all'odio che lo rodeva. «Come ti permetti di dirmi una cosa del genere?» La voce di Tohr fremeva di rabbia. «Tu hai bisogno di...» «Tieni per te i tuoi inutili consigli, ne faccio volentieri a meno.» «Fottiti» sbottò Tohr, dandogli una pacca sulla spalla. «Uno te lo beccherai lo stesso. Farai meglio a imparare chi sono i tuoi veri nemici, brutto stronzo arrogante. Prima di ritrovarti da solo.» Wrath udì a malapena sbattere la porta. Una voce nella testa gli gridava che era uno spregevole pezzo di merda. Trasse un profondo respiro e poi svuotò i polmoni con un urlo terrificante. Il suono riecheggiò per tutta la stanza, facendo tremare le porte, le armi, lo specchio del bagno. Le candele guizzarono selvaggiamente in risposta a quello sfogo, le fiammelle si innalzarono fino a lambire le pareti, impazienti di liberarsi dagli stoppini per distruggere. Wrath ruggì a squarciagola, fino ad avere il petto in fiamme. Quando alla fine chiuse la bocca, non provò alcun sollievo. Soltanto rimorso. Raggiunse l'armadio a passo di carica e prese una Beretta nove millimetri. Dopo averla caricata si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni, dietro, all'altezza delle reni. Poi andò alla porta e salì i gradini a due a due, divorando la distanza che lo separava dal pianterreno. Quando uscì in salotto si mise in ascolto. Il silenzio era un'ottima cosa per tutti. Aveva bisogno di calmarsi, di riprendere il controllo. Aggirandosi come un predatore, si fermò davanti al tavolo della sala da pranzo. Era stato apparecchiato secondo le sue disposizioni. Due posti uno di fronte all'altro, alle due estremità. Cristalli e argenteria. Candele. E aveva avuto il coraggio di accusare Thor di essere patetico? Se non fosse stato per l'inestimabile valore del ciarpame di Darius, avrebbe spazzato via tutto quello che c'era sul tavolo con un gesto del braccio. La mano scattò in avanti, pronta a seguire l'impulso distruttivo, ma la giacca troppo stretta lo fermò. Wrath l'afferrò per i baveri, impaziente di strapparsela via dalla schiena e bruciarla. Proprio in quel momento il portone si aprì. Si voltò di scatto. Eccola varcare la soglia ed entrare nell'ingresso. Wrath lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Era vestita di nero, si era raccolta i capelli e aveva un profumo... di rose notturne. Lui inspirò a fondo, subito eccitato, tutti i suoi istinti che gli urlavano di saltarle addosso. Ma poi fu colpito dalle sue emozioni. Beth era cauta, nervosa. Wrath percepiva con chiarezza la sua mancanza di fiducia, e provò una perversa soddisfazione nel vederla esitare prima di guardarlo. La rabbia lo assalì di nuovo, cieca, irrefrenabile. Fritz stava ancora armeggiando con la porta e già la sua felicità era manifesta nell'aria, abbagliante come il sole. «Ho stappato una bottiglia di vino, in salotto. Servirò la prima portata fra una trentina di minuti, va bene?» «No» replicò imperioso Wrath. «Mangiamo subito.» Il maggiordomo parve confuso, ma colse con chiarezza il flusso di emozioni del padrone. «Va bene, signore. Provvedo immediatamente.» E scomparve, come se in cucina stesse andando a fuoco qualcosa. Wrath rimase a fissare Beth. Lei arretrò di un passo. Probabilmente a causa del suo sguardo truce. «Sembri... diverso» mormorò. «Vestito così.» «Se credi che questi vestiti bastino a civilizzarmi, ti sbagli di grosso.» «Non lo credo.» «Bene. E adesso vediamo di levarci il pensiero» disse Wrath trasferendosi in sala da pranzo. Se voleva, lei lo avrebbe seguito. E se sceglieva di non farlo, diamine, forse era meglio così. In ogni caso non aveva nessuna premura di rimanere incastrato a tavola. CAPITOLO 25 Beth seguì con lo sguardo Wrath che si allontanava con tutta calma, come se non gliene importasse un accidente se cenava con lui oppure no. Se lei stessa non avesse avuto dei ripensamenti, si sarebbe offesa a morte. Era stato lui a invitarla, dunque perché adesso che era arrivata aveva la luna storta? Era tentata di girare sui tacchi e tornarsene subito a casa. Invece lo seguì perché le sembrava di non avere altra scelta. C'erano troppe cose che voleva sapere, e soltanto lui aveva le risposte. Dio le era testimone: se ci fosse stato un altro modo per ottenere quelle informazioni, lo avrebbe piantato in asso su due piedi. Mentre il vampiro la precedeva in sala da pranzo, Beth scoccò un'occhiataccia alla sua nuca sforzandosi di ignorare la sua andatura maestosa. Ma fallì miseramente. Wrath si muoveva in modo a dir poco superbo. Ogni volta che il tallone toccava terra con forza, le spalle si spostavano leggermente sotto la costosa giacca per controbilanciare la spinta delle gambe; le braccia dondolavano con grazia, le cosce si contraevano e si distendevano a ogni passo. Se lo figurò nudo, i muscoli che si flettevano sotto la pelle. La voce di Butch le risuonava ancora nella testa. Un uomo come quello ha l'omicidio nel sangue. È nella sua natura. Eppure Wrath l'aveva mandata via, la sera prima, quando si era reso conto di essere un pericolo per lei. Si disse che era impossibile tentare di conciliare tante contraddizioni. Con tutti quei contorcimenti mentali stava solo cercando di leggere il proprio destino nelle foglie del tè. Doveva fidarsi del suo istinto, e l'istinto le diceva che Wrath era l'unico aiuto a disposizione. Quando mise piede in sala da pranzo, la splendida tavola apparecchiata per l'occasione fu una sorpresa. C'erano un centrotavola floreale di tuberose e orchidee e candele color avorio e argenteria e porcellane scintillanti. Wrath girò intorno al tavolo e, in attesa che Beth si accomodasse, scostò una sedia incombendo minaccioso sopra di lei. Dio, era fantastico con quel completo. Il colletto aperto della camicia metteva in risalto la gola, e la seta nera lo faceva sembrare abbronzato. Un vero peccato che fosse incazzato. Aveva la faccia scura come il suo umore e, con i capelli legati in una coda, la piega aggressiva della mascella era ancora più evidente. Qualcosa lo aveva mandato in bestia. Alla grande. Proprio il soggetto ideale per un appuntamento galante, pensò Beth. Un vampiro con l'equivalente umano dello stress da traffico. Si avvicinò con cautela. Quando lui le fece scivolare la sedia sotto il fondoschiena, avrebbe potuto giurare che si era chinato sopra i suoi capelli inspirando a fondo. «Come mai così in ritardo?» chiese Wrath sedendosi a capotavola. Vedendo che lei non rispondeva, inarcò un sopracciglio e l'arcata scura si sollevò al di sopra del bordo degli occhiali da sole. «Fritz ha dovuto convincerti a venire?» Per tenersi occupata, Beth prese il tovagliolo e lo aprì in grembo. «Niente affatto.» «Allora perché?» «Butch ci ha seguiti. Abbiamo dovuto aspettare finché non siamo riusciti a seminarlo.» Ebbe la sensazione che lo spazio intorno a Wrath si oscurasse, come se la collera del vampiro avesse risucchiato tutta la luce. Fritz arrivò con due piattini di insalata che posò sul tavolo. «Gradite del vino?» chiese. Wrath annuì. Dopo che il maggiordomo ebbe terminato di versare e se ne fu andato, Beth prese la pesante forchetta d'argento e si sforzò di mangiare. «Perché adesso hai paura di me?» la voce di Wrath era sardonica, quasi fosse annoiato da quel sentimento. Lei infilzò una foglia di insalata. «Hmm. Forse perché hai l'aria di voler strangolare qualcuno?» «Quando hai messo piede in questa casa avevi di nuovo paura di me. Eri spaventata ancora prima di vedermi. Voglio sapere perché.» Lei tenne gli occhi sul piatto. «Forse mi è tornato in mente che ieri notte hai quasi ammazzato un mio amico.» «Oh, Cristo! Basta con questa storia.» «Sei stato tu a chiedere perché ero spaventata» ribatté lei. «Non prendertela con me se non ti piace la risposta.» Wrath si pulì la bocca con gesto impaziente. «Sbaglio o non l'ho ucciso?» «Solo perché io ti ho fermato.» «E questo ti dà fastidio? A quasi tutti piace fare gli eroi.» Lei posò la forchetta. «Sai una cosa? In questo momento non ho voglia di stare qui con te.» Lui continuò a mangiare. «Allora perché sei venuta?» «Perché me lo avevi chiesto tu!» «Credimi, ce la faccio a sopportare un rifiuto.» Come se non gli importasse un bel niente di lei. «È stato un errore.» Beth posò il tovagliolo accanto al piatto e si alzò. Lui imprecò. «Siediti.» «Non dirmi cosa devo fare.» «Permettimi di rimediare. Siediti e stai zitta.» Lei lo guardò a bocca aperta. «Brutto stronzo arrogante...» «Qualcun altro mi ha già chiamato così, stasera, grazie mille.» Fritz scelse quel momento per entrare come se niente fosse con degli involtini caldi. Beth guardò torva Wrath fingendo di allungare la mano per prendere la bottiglia di vino. Non voleva andarsene davanti a Fritz. E poi tutt'a un tratto aveva cambiato idea. Così poteva litigare ancora un po' con Wrath. Quando furono di nuovo soli sibilò: «Non ti permettere di parlarmi in questo modo, capito?». Lui mangiò un ultimo boccone di insalata, posò la forchetta sul bordo del piatto e si tamponò gli angoli della bocca con il tovagliolo. Nemmeno avesse preso lezioni di etichetta da Emily Post in persona. «Mettiamo bene in chiaro una cosa» disse. «Tu hai bisogno di me. Quindi vedi di superare la fissazione circa quello che avrei potuto fare a quello sbirro. Il tuo amichetto, Butch, è ancora in circolazione, giusto? Allora qual è il problema?» Beth lo fissò a lungo sforzandosi di penetrare oltre gli occhiali da sole, cercando una qualche traccia di tenerezza, qualcosa con cui stabilire un contatto. Ma le lenti scure la tagliavano completamente fuori dal suo sguardo e i severi tratti del viso non le offrivano alcun appiglio a cui aggrapparsi. «Come può la vita significare così poco per te?» si chiese ad alta voce. Il sorriso che lui le rivolse era gelido. «Come può la morte significare così tanto per te?» Beth si accasciò sulla sedia. O, per meglio dire, cercò di ritrarsi il più possibile da lui. Non riusciva a credere di aver fatto l'amore - no, di aver fatto sesso - con questo tizio. Era di una insensibilità sconvolgente. All'improvviso provò una fitta al cuore. Non perché Wrath si mostrava così freddo, ma perché era delusa. Aveva davvero sperato che fosse diverso, aveva voluto credere che gli sprazzi di calore che le aveva mostrato fossero una parte importante di lui, al pari dei lati più spigolosi del suo carattere. Si massaggiò il décolleté all'altezza dello sterno. «Vorrei andare via, se non ti dispiace.» Seguì una lunga pausa. «Ah, diavolo...» bofonchiò lui, espirando con forza. «Non è giusto.» «No, non lo è.» «Pensavo che tu meritassi... non so, un appuntamento o roba de genere. Qualcosa di normale, insomma.» Rise amaramente mentre lei lo guardava sorpresa. «Idea balzana, lo so. Dovrei limitarmi a fare quello che mi riesce meglio. Farei più bella figura insegnandoti come si fa a uccidere.» Sotto un orgoglio smisurato, Beth avvertì la presenza di qualcos'altro. Insicurezza? No, non proprio. Uno così non poteva che manifestare un sentimento molto più intenso della semplice insicurezza. Odio verso se stesso. A quel punto entrò Fritz. Raccolse i piattini dell'insalata e degli involtini e ricomparve con la minestra, un passato di patate e porri freddo. Interessante, pensò distrattamente Beth, di solito veniva prima la minestra e poi l'insalata, no? Mah, probabilmente i vampiri avevano una quantità di usanze diverse. Come gli uomini che avevano più di una donna. Il suo stomaco si ribellò. No, non voleva pensarci. Si rifiutava di farlo. «Senti, per tua informazione» disse Wrath prendendo il cucchiaio, «io combatto per proteggere, non perché ho la fissa di uccidere. Ma ne ho ammazzati a migliaia. A migliaia, Beth, capisci? Quindi, se vuoi che finga imbarazzo nei confronti della morte, be', non posso farlo solo per compiacerti. Non posso e basta.» «A migliaia?» farfugliò lei, sconvolta. Lui annuì. «Contro chi stai combattendo, in nome del cielo?» «Contro quei bastardi che vorrebbero ucciderti non appena avrai subito la transizione.» «Cacciatori di vampiri?» «Lesser. Umani che hanno ceduto la loro anima all'Omega, barattandola con un libero regno del terrore.» «Chi - o che cosa - è l'Omega?» Quando pronunciò quel nome le fiammelle delle candele guizzarono selvaggiamente, quasi fossero attizzate da mani invisibili. Wrath esitò. Sembrava a disagio. Proprio lui che non aveva paura di niente. «Vuoi dire il diavolo?» suggerì Beth. «Peggio. Non si possono paragonare. Uno è solo una metafora mentre l'altro è molto, molto reale. Fortunatamente l'Omega ha un equivalente positivo, la Vergine Scriba.» Sorrise sarcastico. «Be', forse fortunatamente è una parola troppo grossa, però c'è un equilibrio.» «Dio e Lucifero.» «Forse in base al tuo lessico. Secondo la nostra mitologia i vampiri furono creati dalla Vergine Scriba come sua unica discendenza, i suoi figlioli prediletti. L'Omega era infastidito dalla capacità della Vergine Scriba di generare la vita e non tollerava i poteri speciali che lei aveva conferito alla nostra specie. La sua reazione difensiva fu la fondazione della Lessening Society. Lui si serve degli umani perché non è in grado di creare niente e perché loro costituiscono una fonte di aggressività subito disponibile.» Tutto questo è davvero stranissimo, pensò Beth. Barattare le anime. I non morti. Quella roba non esisteva nel mondo reale. Ma d'altra parte stava cenando con un vampiro. Quindi cosa c'era di veramente impossibile? Le tornò alla mente il fusto biondo che si stava ricucendo il braccio da solo. «Ci sono altri che combattono insieme a te, giusto?» «I miei fratelli» confermò Wrath, bevendo un sorso di vino. «Non appena i vampiri capirono di essere sotto assedio, i maschi più forti e robusti vennero selezionati, addestrati a combattere e scatenati contro i lesser. Quei primi guerrieri furono poi fatti accoppiare per generazioni con le femmine più forti finché emerse una sottospecie distinta di vampiri. I più prestanti di questa classe vennero affiliati alla Confraternita del Pugnale Nero.» «Sono tuoi fratelli di sangue?» Lui le rivolse un sorriso teso. «In un certo senso.» Poi fu come se il suo volto si chiudesse, quasi che quella fosse una faccenda privata. Beth ebbe la sensazione che non avrebbe aggiunto altro sulla confraternita, ma era ancora incuriosita dalla guerra che stava combattendo. Soprattutto perché stava per trasformarsi in uno degli esseri che lui proteggeva. «Quindi quelli che uccidi sono umani.» «Sì, anche se di fatto sono già morti. Per poter dare ai suoi guerrieri la longevità e la forza di cui hanno bisogno per combatterci, l'Omega ha dovuto privarli dell'anima.» Una smorfia di disgusto distorse i lineamenti duri di Wrath. «Non che avere un'anima abbia mai impedito agli umani di darci la caccia.» «Non hai un debole per... noi, giusto?» «Innanzitutto quello che scorre nelle tue vene viene per metà da tuo padre e, secondariamente, perché mai dovrei amare gli umani? Prima della transizione mi hanno ridotto in fin di vita a furia di botte e il solo motivo per cui adesso non mi danno più fastidio è che li spavento a morte. E se si diffondesse la notizia dell'esistenza dei vampiri? Comincerebbero a perseguitarci anche quelli che non fanno parte della Lessening Society. Gli umani si sentono minacciati da chi è diverso e la loro reazione è combattere. Sono dei bulli che se la prendono con i deboli ma se la fanno sotto davanti ai più forti.» Wrath scrollò la testa. «E poi mi irritano. Pensa a come il loro folclore dipinge la nostra specie. C'è Dracula, per l'amor del cielo, una malvagia sanguisuga che si approfitta degli indifesi. Ci sono film di serie B e squallida pornografia. E lasciamo perdere tutta la robaccia legata a Halloween. Zanne di plastica. Mantelli neri. Le uniche cose che quegli idioti hanno azzeccato sono che beviamo sangue e non possiamo uscire di giorno, il resto sono sciocchezze inventate apposta per suscitare la paura nelle masse. Oppure, cosa altrettanto ripugnante, per creare una sorta di mistica a uso e consumo degli umani annoiati, convinti che il lato oscuro della realtà sia un piacevole luogo di svago.» «Ma tu non dai veramente la caccia a noi, giusto?» «Non usare quella parola. Sono loro, Beth, non noi. Già adesso non sei completamente umana e tra non molto non sarai più umana del tutto.» Fece una pausa. «E comunque no, non do la caccia agli umani. Ma se mi capitano tra i piedi, allora sì che hanno un grosso problema.» Beth rifletté su quelle parole, sforzandosi di ignorare il panico che la assaliva al pensiero della transizione che in teoria stava per affrontare. «Quando hai aggredito Butch in quel modo... Lui non è di sicuro un... quella roba che hai detto, un lesser.» «Ha cercato di tenermi lontano da te» disse Wrath serrando la mascella. «E io questo non lo permetterò mai; toglierò di mezzo chiunque o qualunque cosa possa impedirmelo. E che lui sia o meno il tuo amante, se ci riprova di nuovo...» «Mi hai promesso che non lo avresti ucciso.» «Non lo farò fuori, però non ho nemmeno intenzione di trattarlo con i guanti.» Ecco qualcosa su cui valeva la pena di mettere in guardia Ossoduro, pensò Beth. «Perché non mangi?» chiese Wrath. «Hai bisogno di cibo.» Lei abbassò lo sguardo. Cibo? La sua vita si era trasformata dall'oggi al domani in un romanzo di Stephen King e lui si preoccupava della sua dieta. «Mangia» ordinò Wrath accennando con il capo al suo piatto. «Devi essere forte per affrontare il cambiamento.» Beth prese il cucchiaio tanto per accontentarlo. Il passato di verdura sapeva di colla, anche se di sicuro era stato cucinato e condito a regola d'arte. «In questo momento sei armato, giusto?» chiese. «Sì.» «Non ti liberi mai delle armi?» «No.» «Ma quando stavamo...» s'interruppe prima di lasciarsi sfuggire le parole facendo l'amore. Lui si protese in avanti. «Tengo sempre qualcosa a portata di mano. Anche quando sono a letto con te.» Beth deglutì. Pensieri torridi si scontrarono con l'orribile consapevolezza che o Wrath era paranoico o il male era davvero sempre in agguato. Diamine, pensò. Di Wrath si potevano dire un'infinità di cose, ma non che fosse un tipo isterico. Ci fu un lungo silenzio mentre Fritz portava via i piatti fondi e serviva l'agnello. Beth notò che la carne di Wrath era stata tagliata a pezzettini della grandezza di singoli bocconi. Strano. «C'è una cosa che voglio mostrarti dopo cena» disse lui prendendo la forchetta; gli ci vollero due tentativi prima di riuscire a infilzare un pezzo di carne. Soltanto allora Beth si rese conto che Wrath non si prendeva neppure il disturbo di guardare nel piatto. Il suo sguardo era fisso sul tavolo. Sentì un brivido gelido lungo la schiena. Qualcosa non quadrava. Guardò con attenzione gli occhiali da sole da cui non si separava mai. Ricordò come aveva perlustrato il suo viso con la punta delle dita, la prima notte passata insieme, quasi cercasse di vederla attraverso il tatto. Poi pensò al fatto che portava sempre lenti scure come se non gli servissero solo per proteggersi dalla luce ma anche per nascondere gli occhi. «Wrath?» mormorò. Lui allungò il braccio verso il bicchiere da vino, la mano non si chiuse intorno allo stelo finché il cristallo non entrò in contatto con il palmo. «Sì?» Si portò il bicchiere alle labbra, poi lo rimise giù. «Fritz? Il rosso è finito.» «Eccomi, signore.» Il maggiordomo entrò subito con un'altra bottiglia. «Signorina?» «Oh, sì, grazie.» Quando la porta della cucina si chiuse sbatacchiando, Wrath disse: «Volevi chiedermi qualcos'altro?». Lei si schiarì la voce. No, doveva essersi immaginata tutto. Nel disperato tentativo di trovare una qualche debolezza in lui, adesso stava cercando di convincersi che fosse cieco. Se era una ragazza sveglia, e la cosa era seriamente discutibile, doveva esaurire alla svelta la sua lista di domande. Così poi sarebbe tornata a casa. «Beth?» «Sì... oh, è vero che non potete uscire durante il giorno?» «Noi vampiri evitiamo la luce del sole.» «Perché, che cosa succede altrimenti?» «Non appena ci esponiamo alla luce subiamo ustioni di secondo o terzo grado. E nel giro di pochi secondi possiamo rimanere inceneriti. Con il sole non c'è da scherzare.» «Però io adesso posso uscire.» «Perché non hai ancora subito il cambiamento. Anche se... chissà? Dopo, forse, sarai ancora in grado di tollerare la luce del sole. Per chi ha un genitore umano è diverso. Le caratteristiche tipiche dei vampiri possono risultare diluite.» Bevve un sorso, leccandosi le labbra. «Però è anche vero che stai per affrontare la transizione, e questo significa che il sangue di Darius è forte, nelle tue vene.» «Ogni quanto tempo dovrò... bere sangue?» «All'inizio piuttosto spesso. Forse due, tre volte al mese. Anche se, ancora una volta, al momento non c'è modo di saperlo con esattezza.» «Dopo che tu mi avrai aiutata la prima volta, come farò a trovare un maschio da cui bere?» Il ringhio di Wrath la interruppe. Beth alzò lo sguardo e rabbrividì. Era di nuovo incazzato nero. «Penserò io a trovarti qualcuno» sibilò lui con un accento più marcato del solito. «Fino ad allora, userai me.» Speriamo non debba durare per molto, si disse Beth. Wrath aveva un'aria tutt'altro che felice alla prospettiva di trovarsi impelagato con lei. Il vampiro storse la bocca, guardandola. «Sei così ansiosa di trovare qualcun altro?» «No, solo pensavo che...» «Cosa? Cosa pensavi?» Il suo tono era duro, duro come lo sguardo con cui la stava fulminando da dietro gli occhiali. Il fatto che a quanto pareva Wrath non volesse essere legato a lei era difficile da esprimere a parole. Quel rifiuto la faceva soffrire, anche se senza dubbio sarebbe stata molto meglio senza di lui, pensò. «Io... uh, Tohr ha detto che sei il re dei vampiri, e questo ti dà molto da fare, immagino.» «Quel ragazzo dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa.» «Ma è vero? Sei il re?» «No» sbottò rabbioso lui. Be', se quella non era una porta sbattuta in faccia! «Sei sposato? Cioè, hai una compagna? O magari due?» chiese in fretta Beth. Tanto valeva tirar fuori tutto. Lui era di nuovo di umore nero, difficile potesse peggiorare la situazione. «No.» Oh, un minimo di sollievo. Anche se era chiaro cosa ne pensava delle relazioni sentimentali. Beth bevve un sorso di vino. «Non c'è nessuna donna nella tua vita?» «No.» «E da chi ti nutrì?» Lungo silenzio. Per nulla incoraggiante. «Qualcuno c'era.» «C'era?» «C'era.» «E quando è finita?» «Da poco.» Wrath si strinse nelle spalle. «Non siamo mai stati molto intimi. Non era un'unione bene assortita.» «E adesso da chi vai?» «Sei proprio una cronista, eh?» «Da chi?» insistette lei. Lui la fissò a lungo. Poi, all'improvviso, cambiò espressione e l'aggressività parve fluire via come sangue dal suo volto. Posò delicatamente la forchetta sul piatto e appoggiò l'altra mano sul tavolo, con il palmo all'insù. «Oh, diamine.» Malgrado l'imprecazione, la tensione nell'aria parve tutt'a un tratto allentarsi. All'inizio Beth non si fidò di quel repentino cambiamento d'umore, poi Wrath si tolse gli occhiali di scatto stropicciandosi gli occhi. Quando se li rimise lei vide il suo petto espandersi, quasi stesse cercando di riaversi. «Dio, Beth, pensavo di venire da te, credo. Anche se non potrò starti vicino per molto, dopo il cambiamento.» Scosse la testa. «Cristo, sono proprio uno stupido figlio di puttana.» Lei batté le palpebre, pervasa da una sorta di eccitazione erotica al pensiero che Wrath bevesse il suo sangue per sopravvivere. «Ma non preoccuparti» si affrettò ad aggiungere lui. «Non succederà. Ti troverò alla svelta un altro maschio.» Spinse via il piatto di porcellana con gli avanzi dell'agnello mangiato per metà. «Quand'è stata l'ultima volta che hai bevuto il sangue di una femmina?» indagò Beth, pensando alla smania incontrollabile contro cui lo aveva visto lottare. «Ieri notte.» Lei provò un senso di oppressione al petto, quasi avesse i polmoni intasati. «Però non mi hai morsa.» «È stato dopo che te ne sei andata.» Beth se lo immaginò con un'altra donna tra le braccia. Fece per prendere il bicchiere del vino e le tremò la mano. Caspita. Quella sera le sue emozioni stavano battendo ogni record di velocità. Prima era stata terrorizzata, poi incavolata e adesso era follemente gelosa. C'era da chiedersi come si sarebbe sentita tra poco. Non felice, probabilmente. CAPITOLO 26 Beth rimise giù il bicchiere, rimpiangendo di non essere dotata di un maggiore autocontrollo. «Non ti piace, vero?» mormorò Wrath. «Che cosa?» «Che io beva il sangue di un'altra femmina.» Lei se ne uscì con una risata cupa, odiando se stessa. Lui. L'intera situazione. «Vuoi forse rinfacciarmelo?» «No» disse Wrath. Fece una pausa prima di aggiungere: «L'idea che un giorno inciderai la pelle di un altro maschio con i denti per succhiargli il sangue mi fa venire voglia di ammazzare qualcuno». Beth lo fissò allibita. Allora perché non resti con me? pensò. Wrath scosse la testa. «Ma non posso permettermi di pensarla così.» «Perché no?» «Perché tu non puoi essere mia. Qualunque cosa ti abbia detto prima.» Fritz entrò, portò via i piatti sporchi e servì il dessert. Fragole intere su un piattino dal bordo dorato, con a parte una specie di crema al cioccolato dove intingerle. E un biscottino. In circostanze normali, Beth avrebbe ripulito di corsa tutto quanto, ma era troppo scossa per riuscire a mangiare. «Le fragole non ti piacciono?» chiese Wrath infilandosene in bocca una. I denti, di un bianco scintillante, affondarono nella polpa rossa del frutto. Lei si strinse nelle spalle, imponendosi di non guardarlo. «Sì, mi piacciono.» «Ecco» disse Wrath prendendo un frutto dal proprio piatto e sporgendosi verso di lei. «Lasciati imboccare.» Le lunghe dita stringevano sicure il gambo, il braccio a mezz'aria. Beth moriva dalla voglia, eppure ribatté: «Posso mangiarla da sola». «Lo so» disse piano lui. «Non è questo il punto.» «Hai fatto sesso con lei?» chiese Beth. Lui inarcò le sopracciglia. «Ieri sera?» Lei annuì. «Quando bevi il suo sangue, fai l'amore con lei?» «No. E risponderò anche alla tua prossima domanda... Al momento non vado a letto con nessuno, a parte te.» Al momento, pensò lei. Beth abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sentendosi stupidamente offesa. «Lasciati imboccare» ripetè in un sussurro lui. «Per favore.» Oh, avanti, cresci, si impose Beth. In fondo erano due adulti e a letto insieme facevano faville. Questo era molto più di quanto lei avesse mai ottenuto da un uomo. Voleva davvero finirla qui solo perché stava per perderlo? E poi, se anche Wrath le avesse promesso un futuro roseo, non era tipo da mettere radici. Era un guerriero che se ne andava in giro con una banda di cloni. Roba tipo «il focolare domestico» sarebbe stata una noia mortale, per lui. Lei ce l'aveva adesso. E lo voleva adesso. Si protese in avanti sulla sedia, aprì le labbra e le chiuse intorno alla fragola, prendendola in bocca. Wrath dilatò le narici guardandola masticare. Quando qualche goccia del succo zuccherino le scivolò sul mento, lui si lasciò sfuggire un sibilo. «Voglio pulirtelo io» bisbigliò. Allungò il braccio e le afferrò il viso. Sollevò il tovagliolo. Lei posò la mano sulla sua. «Usa la bocca.» Un gemito soffocato dal fondo del petto di lui risuonò nella stanza. Wrath si protese verso Beth piegando la testa di lato. Quando schiuse le labbra e tirò fuori la lingua, lei scorse per un attimo le zanne. Con delicatezza le leccò via il succo di fragola e poi si ritrasse. Rimase a fissarla. Lei ricambiò il suo sguardo. Le fiammelle delle candele tremolarono. «Vieni con me» disse lui, porgendole la mano. Beth non ebbe esitazioni. Mise il palmo nel suo e si lasciò tirare su dalla sedia. Wrath la guidò in salotto, verso il quadro e oltre il muro. Scesero insieme la scalinata di pietra, la figura di lui mastodontica nell'oscurità. Arrivati in fondo, il vampiro la condusse in camera e Beth guardò il letto: era stato rifatto, i cuscini ordinatamente allineati contro la spalliera, le lenzuola di raso lisce come uno specchio d'acqua stagnante. Avvampò al ricordo di com'era stato averlo sopra di sé. Sentirlo muoversi dentro di sé. Ancora una volta era quella la loro meta, pensò. E lei non vedeva l'ora di arrivarci. Un ringhio profondo la indusse a voltare la testa. Lo sguardo di Wrath era puntato su di lei quasi fosse un bersaglio. Le aveva letto nel pensiero. Sapeva quello che lei voleva ed era pronto a darglielo. Le si avvicinò e Beth udì scattare la serratura della porta. Si guardò intorno, chiedendosi se ci fosse qualcun altro nella stanza. Non c'era nessuno. Wrath le posò la mano sul collo e con il pollice le reclinò la testa all'indietro. «È tutta la sera che ho voglia di baciarti.» Lei si preparò a un bacio focoso, pronta a ricevere tutto quello che lui aveva da darle, invece le labbra di Wrath si posarono languide sulle sue. Sentiva la passione nel suo corpo teso, ma chiaramente, volutamente, lui si rifiutava di cedere alla fretta. Quando alzò la testa le sorrise. Ormai si era abituata alle zanne, pensò Beth. «Stasera ce la prenderemo con calma» disse lui. Stava per baciarla di nuovo quando lei lo fermò. «Aspetta. Ho qualcosa da... Hai dei preservativi?» Lui si accigliò. «No. Perché?» «Perché? Mai sentito parlare di sesso sicuro?» «Io non trasmetto quel genere di malattie, e tu non puoi attaccarmi niente.» «E perché? » «I vampiri non sono soggetti ai virus umani.» «Quindi puoi fare sesso quanto vuoi? Senza doverti preoccupare di niente?» Wrath annuì, e lei ebbe un attimo di mancamento. Dio, quante donne doveva aver... «E poi tu non sei fertile» aggiunse lui. «Come fai a saperlo?» «Fidati di me. Lo sapremmo tutti e due, se lo fossi. Senza contare che il tuo primo bisogno non arriverà prima di cinque anni o giù di lì dopo il cambiamento. E anche quando ci sei dentro il concepimento non è garantito perché...» «Aspetta un attimo. Che cos'è questa storia del bisogno?» «Le femmine sono fertili solo ogni decina d'anni, più o meno. Ed è una fortuna.» «Perché?» Wrath si schiarì la gola. Sembrava imbarazzato. «È un momento pericoloso. Tutti i maschi reagiscono in un modo o nell'altro, quando si trovano nelle vicinanze di una femmina in quella fase delicata. È più forte di loro. Possono scaturirne delle lotte. E la femmina, dal canto suo, uh... le sue voglie sono insaziabili. O almeno così ho sentito dire.» «Tu non hai figli?» Lui scosse la testa e si accigliò. «Dio mio!» «Cosa c'è?» «Pensare a come sarai nel periodo del bisogno.» Wrath vacillò. «Essere il maschio che porterai allo sfinimento.» Il desiderio sessuale si sprigionò da lui come una corrente impetuosa. Beth sentì una folata calda agitare l'aria. «Quanto dura?» chiese con voce sensuale. «Due giorni. Se la femmina è... montata a dovere e nutrita in modo adeguato, si riprende in fretta.» «E l'uomo?» «Il maschio è stremato, alla fine. Prosciugato. Anche del sangue. I maschi ci mettono di più a riprendersi, ma non ne ho mai sentito uno lamentarsi. Neppure una volta.» Ci fu una pausa. «Mi piacerebbe essere quello che ti arrecherà sollievo.» All'improvviso Wrath fece un passo indietro. Beth percepì una corrente d'aria gelida quando il suo umore mutò, e il calore del desiderio si disperse. «Ma questo sarà compito, e privilegio, di qualche altro maschio.» Il suo cellulare cominciò a suonare. Wrath lo strappò fuori con un ringhio dalla tasca interna della giacca. Beth provò compassione per chi aveva chiamato, chiunque fosse. «Cosa c'è?» Ci fu una pausa. Beth andò in bagno per lasciarlo solo. E perché lei stessa sentiva il bisogno di starsene sola per un po'. Le immagini che si accavallavano nella sua testa bastavano a darle le vertigini. Due giorni. Con lui e soltanto con lui? Quando tornò in camera da letto, trovò Wrath seduto sul divano con i gomiti sulle ginocchia, pensieroso. Si era tolto la giacca e, fasciate dalla camicia nera, le spalle sembravano smisurate. Avvicinandosi intravide una pistola sotto la giacca. Rabbrividì. Si sedette accanto a lui e il vampiro alzò la testa. Avrebbe tanto voluto vederlo bene in faccia, capire meglio quello che provava, e se la prese con gli occhiali scuri. Allungò la mano verso il suo viso e accarezzò il duro profilo della guancia, la mascella volitiva. Wrath schiuse le labbra come se quel tocco gli togliesse il respiro. «Voglio vedere i tuoi occhi» disse Beth. Lui si ritrasse leggermente. «No.» «Perché no?» «Perché ti interessano i miei occhi?» Beth si accigliò. «Mi è difficile capire quello che hai dentro. E in questo momento non mi dispiacerebbe sapere a cosa stai pensando.» O, cosa ancora più importante, quello che provi. Alla fine lui si strinse nelle spalle. «Accomodati.» Però non accennò a toglierseli. Allora Beth alzò le mani verso le stanghette e fece scivolare via gli occhiali da sole. Wrath aveva le palpebre abbassate, le ciglia scure contro la pelle pallida. Non aprì gli occhi. «Non vuoi farmeli vedere?» Lui serrò la mascella. Le lenti erano talmente scure che, quando Beth li sollevò controluce, al chiarore delle candele, riuscì a stento a distinguere qualcosa. «Sei cieco, vero?» Wrath storse le labbra, non in un sorriso. «Sei preoccupata che non possa prendermi cura di te?» Tanta ostilità non la sorprese. Immaginava che un uomo come lui odiasse qualunque forma di debolezza. «No, non sono affatto preoccupata per questo. Però mi piacerebbe lo stesso vedere i tuoi occhi.» In un lampo Wrath se la mise in grembo tenendola in bilico con la sola forza delle braccia per impedirle di cadere. Aveva un'espressione truce. Poi lentamente sollevò le palpebre. Beth ansimò. Le iridi erano di un colore a dir poco straordinario, un luminescente verde pallido, così pallido da rasentare il bianco. Incorniciati dalle folte ciglia scure, i suoi occhi, leggermente sporgenti, brillavano come illuminati di luce propria. Poi Beth notò le pupille. Strane. Due minuscoli puntini neri e sfocati. Gli accarezzò il viso. «Sono bellissimi.» «Inutili.» «Bellissimi.» Rimase a guardarlo mentre la scrutava in volto. Si stava sforzando al massimo nel vano tentativo di far funzionare la vista. «Sono sempre stati così?» chiese in un sussurro. «Quando sono nato la mia vista era già molto debole, dopo la transizione è peggiorata ulteriormente e, invecchiando, probabilmente degenererà ancora di più.» «Quindi riesci a vedere qualcosa?» «Sì.» Wrath alzò la mano verso i suoi capelli. Quando sentì alcune ciocche ricaderle sulle spalle, Beth capì che le stava togliendo le forcine dallo chignon. «Per esempio so che mi piaci con i capelli sciolti. E so che sei molto bella.» Seguì i contorni del suo viso con la punta delle dita scendendo con delicatezza lungo il collo, fino alla clavicola. Poi le dita continuarono a scendere, tracciando un sentiero in mezzo ai seni. Il cuore le martellava nel petto. I pensieri rallentarono. Il resto del mondo cominciò a sfumare finché rimase solo Wrath. «D'altronde la vista è molto sopravvalutata» mormorò il vampiro appoggiando il palmo aperto sullo sterno di Beth. Era pesante. Caldo. Un assaggio di come sarebbe stato sentire il suo corpo che la premeva contro il materasso. «Tatto, gusto, olfatto, udito. Gli altri quattro sensi sono altrettanto importanti.» Si chinò verso di lei sfregandole il naso sul collo e Beth sentì qualcosa che la grattava leggermente. Le zanne, pensò. Che scorrevano su per la gola. Anelava un morso. Wrath inspirò a fondo. «La tua pelle ha un profumo che mi eccita. All'istante. Mi basta annusarti.» Lei si inarcò tra le sue braccia, strusciandosi contro le sue cosce, protendendo i seni verso l'alto. Con un gemito soffocato reclinò il capo all'indietro. «Dio, quanto mi piace quel suono» disse Wrath spostando la mano verso l'alto, verso la base della sua gola. «Fallo di nuovo per me, Beth.» Le succhiò il collo e lei lo accontentò. «Sì, così» gemette lui. «Oh, Dio! Sì, proprio così.» Le sue dita ripresero a muoversi, questa volta verso il fiocco sul davanti dell'abito. Sciolsero il nodo. «Non volevo che Fritz cambiasse le lenzuola.» «Come?» farfugliò lei. «Del letto. Dopo che te ne sei andata, volevo sentire ancora il tuo odore quando mi sdraiavo.» Il vestito si aprì e Beth avvertì sulla pelle l'aria fresca mentre lui le faceva scivolare la mano lungo il torace. Quando giunse al reggiseno, tracciò un cerchio intorno ai bordi di una delle coppe di pizzo procedendo a poco a poco verso l'interno, fino a sfregarle il capezzolo. Scossa da un fremito Beth si aggrappò alle sue spalle. I muscoli erano duri come la roccia, tesi nello sforzo di tenerla in equilibrio sulle ginocchia. Lei alzò lo sguardo su quel viso spaventoso e magnifico insieme. Gli occhi risplendevano nel vero senso della parola, le iridi proiettavano una luce sui suoi seni. La promessa di un sesso primitivo, selvaggio, e il feroce appetito che lo divorava erano evidenti nella mascella contratta, nel calore che promanava dal suo fisico ciclopico, nella tensione delle gambe e del torace. Tuttavia Wrath manteneva il pieno controllo su se stesso. E su di lei. «Sai, sono stato troppo ingordo, con te» disse chinando il capo sulla sua spalla. La mordicchiò con delicatezza, senza ferirle la pelle. Quindi lambì quello stesso punto con la lingua, in una carezza più morbida della seta. Scese più in basso, verso lo sterno. «Non ti ho ancora posseduta come si deve.» «Non ne sarei così sicura» mormorò lei con voce sensuale. Wrath rise, una risata che era come un rombo, il fiato caldo e umido sulla pelle di lei. Le baciò la sommità dei seni, poi, attraverso il pizzo del reggiseno, prese in bocca un capezzolo. Beth si inarcò di nuovo, con la sensazione che tra le sue gambe si fosse rotta una diga. Lui sollevò la testa: un sorriso compiaciuto gli increspava le labbra. Con delicatezza fece scivolare giù la spallina del reggiseno, scostò il pizzo. Il capezzolo si inturgidì ancora di più e Beth lo guardò chinare la testa bruna sulla sua pelle candida. La lingua, lucida e rosea, guizzò fuori dalla bocca per leccarla. Quando Beth spalancò le cosce senza che lui glielo chiedesse, Wrath rise di nuovo, un virile, roco segnale di soddisfazione. Infilò le mani tra le pieghe dell'abito accarezzandole i fianchi per poi scendere lentamente verso l'inguine. Trovò il bordo delle mutandine e fece scivolare l'indice sotto il pizzo. Soltanto un poco. Mosse avanti e indietro la punta del dito solleticando la pelle a pochi centimetri dal punto in cui lei voleva che andasse, spinta da un bisogno divorante. «Di più» supplicò Beth. «Voglio di più.» «E lo avrai.» La mano di lui sparì completamente sotto il pizzo nero. Lei gemette quando lo sentì entrare in contatto con il fulcro, umido e caldo, della sua femminilità. «Beth?» Lei era in uno stato di semincoscienza, consumata da quel tocco. «Hmm?» «Vuoi sapere che sapore hai?» le chiese con le labbra contro il seno. Intinse il lungo dito dentro di lei per farle capire che non si stava riferendo alla sua bocca. Beth si avvinghiò alla sua schiena, graffiandolo con le unghie attraverso la seta della camicia. «Sai di pesca» disse Wrath, spostandola leggermente e scivolano verso il basso con la bocca, baciandole il ventre. «Sembra di mangiare una pesca matura. Polpa liscia come seta sulle labbra e sulla lingua mentre ti succhio, dolce e vellutata in gola quando deglutisco.» Lei mugolò, vicina all'orgasmo e lontana, lontanissima dalla ragionevolezza. Con un movimento fulmineo lui la prese tra le braccia e la portò sul letto. Quando la mise giù, le aprì le gambe con la testa e posò le labbra sul pizzo nero tra le sue cosce. Ansimando, lei gli infilò le mani tra i capelli e lui strappò via il cordoncino di cuoio che li teneva legati. Lunghe onde nere le ricaddero sul ventre, simili alle ali di un falco in volo. «Proprio una pesca» disse lui, levandole le mutandine. «E io vado matto per le pesche.» La bellissima luce soprannaturale emanata dai suoi occhi la inondava. Poi lui abbassò di nuovo la testa. CAPITOLO 27 Havers scese in laboratorio e si mise a camminare in circolo, i mocassini che calpestavano nervosamente il linoleum bianco del pavimento. Dopo due giri intorno alla stanza, si fermò davanti alla postazione di lavoro. Accarezzò l'elegante collo smaltato del microscopio, alzò gli occhi sulle flotte di becher di vetro e sui battaglioni di fiale schierati sulle mensole sopra la sua testa. Udì il ronzio dei frigoriferi, il monotono ronfare dell'impianto di ventilazione incassato nel soffitto. Annusò lo spettro medicinale del disinfettante al lisolo nell'aria. L'ambiente gli rammentò le sue ricerche scientifiche. L'orgoglio che traeva dalla forza della mente. Si considerava civilizzato, capace di tenere a bada le emozioni, abituato a reagire agli stimoli in maniera razionale. Ma quell'odio, quella collera non erano facili da accettare. Erano sentimenti troppo violenti, eccessivi. Nella testa gli frullavano certi piani, piani che implicavano uno spargimento di sangue. Ma chi voleva prendere in giro? Se avesse osato alzare anche solo un coltellino svizzero contro Wrath, sarebbe stato lui a uscirne sanguinante. Aveva bisogno di qualcuno che sapesse uccidere, qualcuno in grado di avvicinare il guerriero. Quando gli venne in mente la soluzione, gli parve ovvia. Adesso aveva ben chiaro a chi rivolgersi e dove trovarlo. Si voltò verso la porta con un sorriso di soddisfazione sulle labbra. Ma quando scorse il proprio riflesso nello specchio sopra il grande lavandino del laboratorio, rimase impietrito. Gli occhi, mobilissimi, erano troppo lucidi, troppo accesi, per la prima volta vide il ghigno malvagio. E il rossore febbrile sulla sua faccia preludeva a un esito ignobile. Non si riconobbe in quella maschera vendicativa. Odiava la propria espressione. «Oh, Dio!» Come poteva anche solo pensare a cose del genere? Lui era un medico, un guaritore. Si era interamente dedicato a salvare la vita ai suoi simili, non a togliergliela. Marissa aveva detto che era finita. Aveva rotto il patto, non avrebbe mai più rivisto Wrath. Tuttavia non meritava forse di essere vendicata per il modo in cui era stata trattata? E il momento giusto per agire era quello, perché avvicinare Wrath non comportava più il rischio che Marissa potesse rimanere vittima del fuoco incrociato. Un brivido lo percorse da capo a piedi e Havers immaginò fosse dovuto all'orrore per l'enormità di quello che stava progettando. Subito dopo il suo corpo fu scosso da un sussulto e lui fu costretto ad allargare le braccia per non perdere l'equilibrio. La vertigine precipitò il mondo circostante in una sorta di frullatore e il medico incespicò fino a una sedia. Sciogliendo il nodo della cravatta a farfalla, boccheggiò in cerca di aria. Il sangue, pensò. La trasfusione. Non stava funzionando. In preda alla disperazione, cadde dalla sedia ritrovandosi in ginocchio. Prostrato dal fallimento chiuse gli occhi e si lasciò sprofondare nelle tenebre. Wrath rotolò su un fianco senza staccarsi da Beth. Con l'erezione ancora palpitante dentro di lei, le accarezzò i capelli, lisciandoglieli all’indietro. Erano umidi del suo delicato sudore. Mia. Mentre la baciava sulle labbra notò con soddisfazione che aveva ancora il respiro affannoso. Questa volta aveva fatto l'amore con lei nel modo giusto, pensò. Lento, deliberato. «Resti qui?» le chiese. Beth rise, sensuale. «Non sono sicura di essere in grado di camminare, al momento. Quindi sì, penso che rimanere sdraiata sia un'ottima alternativa.» Le premette le labbra sulla fronte. «Tornerò appena prima dell'alba.» Mentre usciva dal caldo bozzolo del suo corpo, lei lo guardò. «Dove vai?» «Ho una riunione con i fratelli e poi dobbiamo uscire.» Scese dal letto e si avvicinò all'armadio; si mise i calzoni di pelle e si assicurò il fodero sulle spalle, vi infilò un pugnale da entrambi i lati e afferrò il giubbotto. «In casa c'è Fritz» disse. «Se hai bisogno di qualcosa, prendi il telefono e digita asterisco quaranta: serve a chiamare di sopra.» Beth si avvolse un lenzuolo intorno al corpo e si alzò dal letto. «Wrath» mormorò, toccandogli il braccio. «Resta.» Lui si chinò per un bacio frettoloso. «Torno presto.» «Vai a combattere?» «Sì.» «Ma come fai? Sei...» S'interruppe di colpo. «E pensa che sono cieco da trecento anni!» Beth trattenne il respiro, allibita. «Sei così vecchio?» Lui non potè fare a meno di ridere. «Sì.» «Be', devo ammettere che te la cavi ancora a meraviglia» commentò lei; poi il suo sorriso svanì. «E io quanto vivrò?» Una gelida fitta di terrore lo trafisse, fermandogli il cuore per un attimo. E se non ce l'avesse fatta a superare la transizione? Fu assalito da un senso di nausea. Lui, gran frequentatore della Dama dalla lunga falce, tutt'a un tratto fu colpito allo stomaco da una paura tremenda, vile. Ma lei ce l'avrebbe fatta, giusto? Giusto? Si accorse che stava guardando il soffitto e si chiese con chi diavolo stesse parlando. Con la Vergine Scriba? «Wrath?» Lui trasse Beth a sé stringendola forte, quasi a sottrarla fisicamente al suo destino, se era un destino crudele. «Wrath» rantolò lei contro la sua spalla. «Tesoro, non riesco... non riesco a respirare.» Lui allentò subito la stretta e la guardò negli occhi sforzandosi di mettere a fuoco la sua immagine, la pelle che si stendeva sulle tempie. «Wrath? Cosa c'è che non va?» «Niente.» «Non hai risposto alla mia domanda.» «Perché non conosco la risposta.» Lei parve colta alla sprovvista, ma poi si alzò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra. «Be', qualunque sia il tempo a mia disposizione, vorrei tanto che stanotte tu rimanessi qui con me.» Qualcuno bussò alla porta. «Ehi, Wrath?» La voce di Rhage riecheggiò nella stanza oltre l'acciaio dell'uscio. «Noi ci siamo tutti.» Beth indietreggiò, stringendo le braccia intorno al corpo. Wrath sentì che si stava di nuovo chiudendo a riccio. Fu tentato di chiuderla dentro a chiave, ma non sopportava l'idea di tenerla prigioniera. Inoltre l'istinto gli diceva che, per quanto Beth potesse desiderare che le cose fossero diverse, ormai era rassegnata al proprio destino, e al ruolo che lui avrebbe avuto. Per il momento, poi, era al sicuro dai lesser, perché loro l'avrebbero vista solo come un'umana. «Ti trovo qui quando torno?» chiese, infilandosi il giubbotto. «Non lo so.» «Se te ne vai, ho bisogno di sapere dove trovarti.» «Perché?» «Per il cambiamento, Beth, il cambiamento. Ascolta, è più sicuro se rimani qui.» «Forse.» Lui si trattenne dall'imprecare. Non aveva intenzione di supplicarla. «L'altra porta, qui fuori in corridoio» aggiunse, «è quella della camera da letto di tuo padre. Pensavo che magari ti avrebbe fatto piacere vedere com'è.» Poi uscì prima di fare una figuraccia. I guerrieri non si mettevano a supplicare. Accadeva di rado che si abbassassero addirittura a chiedere. Prendevano ciò che volevano e, se necessario, uccidevano per ottenerlo. Ma lui sperava veramente di trovare Beth lì, al suo ritorno. Gli piaceva pensarla addormentata nel suo letto. Beth andò in bagno a fare una doccia, lasciando che l'acqua bollente le calmasse i nervi. Dopo si asciugò e notò un accappatoio nero appeso a un gancio. Se lo infilò. Annusò i baveri e chiuse gli occhi. L'odore di Wrath era rimasto sull'indumento, un misto di sapone, dopobarba e... Vampiro maschio. Dio santo. Stava davvero vivendo tutto questo? Tornò in camera da letto. Wrath aveva lasciato aperto l'armadio e lei andò a dare un'occhiata ai suoi vestiti. Trovò un deposito di armi che la lasciò impietrita. Guardò la porta che dava sulla scala. Pensò di andarsene ma, per quanto avesse voglia di farlo, doveva ammettere che Wrath aveva ragione. Restare era più sicuro. E la camera da letto di suo padre era una tentazione proprio irresistibile. Decise di andare a curiosare. Qualunque cosa vi avesse trovato, sperava non le facesse venire le palpitazioni. Ci pensava già il suo amante a procurarle uno shock dopo l'altro. Uscì sul pianerottolo stringendosi addosso l'accappatoio. Mentre fissava la porta che aveva di fronte, le lanterne a gas guizzarono, dando l'impressione che le pareti fossero vive. Prima di perdersi d'animo attraversò il corridoio, afferrò la maniglia e spinse. Dall'altra parte venne accolta dall'oscurità, un muro nero che faceva pensare a un pozzo senza fondo oppure a uno spazio infinito. Varcò la soglia tastando la parete con cautela, nella speranza di trovare un interruttore e non qualcosa pronto a morderla. Non ebbe fortuna per l'interruttore, in compenso la sua mano era ancora attaccata al braccio. Avanzando alla cieca, si mosse lentamente verso sinistra finché non andò a cozzare contro qualcosa di grosso. Uno sbatacchiare di maniglie di ottone e l'odore di cera al limone le suggerirono che si trattava di un alto comò. Continuò a camminare procedendo a tastoni e trovò una lampada, che si accese con un clic. Beth batté le palpebre al suo chiarore. La base della lampada era un bel vaso orientale, e il tavolo su cui poggiava era di mogano e riccamente decorato. La stanza era arredata nello stesso stile favoloso del piano di sopra. Quando la vista cominciò ad adattarsi alla penombra, si guardò intorno. «Oh... mio... Dio!» C'erano foto di lei dappertutto. In bianco e nero, a colori, primi piani. Lei vi compariva a tutte le età, dalla primissima infanzia fino all'adolescenza. E poi all'università. Una era molto recente, scattata mentre usciva dal suo ufficio al «Caldwell Courier Journal». Ricordava quel giorno: era caduta la prima neve dell'inverno e lei rideva, gli occhi al cielo. Otto mesi prima. Il pensiero di aver mancato il padre per uno scarto di qualche stagione la colpì come una tragedia. Quando era morto? Com'era vissuto? Una cosa era chiara: aveva un gusto squisito, un grande stile, ed era evidente che gli piacevano le cose belle. L'ampio spazio privato di suo padre era magnifico. Il rosso carico delle pareti metteva in risalto un'altra spettacolare collezione di paesaggi della Scuola del Fiume Hudson, con tanto di cornici dorate. Il pavimento era coperto da tappeti orientali azzurri, rossi e dorati che risplendevano come vetrate istoriate. Ma la cosa più sontuosa della stanza era il letto: un massiccio pezzo d'antiquariato lavorato a mano con tanto di baldacchino da cui pendevano drappeggi di un rosso scuro. Sopra il comodino, sulla sinistra, c'era una lampada e un'altra sua fotografia. Sulla destra c'erano un orologio, un libro e un bicchiere. Lui dormiva da quel lato. Beth si avvicinò e prese il libro in edizione rilegata. Era in francese. Sotto il libro c'era una rivista. «Forbes». Rimise a posto entrambi e guardò il bicchiere. Dentro c'erano ancora due dita d'acqua. O qualcuno dormiva ancora lì... oppure suo padre era morto molto di recente. Si guardò intorno, in cerca di vestiti o di una valigia che tradissero la presenza di un ospite. La sua attenzione venne catturata dalla scrivania in mogano all'altro capo della stanza. Si avvicinò e prese posto sulla sedia simile a un trono, quasi fagocitata dai braccioli intagliati. Vicino al tampone di cuoio c'era un piccolo fascio di fogli. Erano le bollette di casa: luce, telefono, televisione via cavo. Tutte a nome di Fritz. Quindi... tutto normale. Lei aveva le stesse cose sulla sua scrivania. Guardò di nuovo il bicchiere sul comodino. La vita del padre era stata interrotta bruscamente, pensò. Sentendosi un po' un'intrusa, ma incapace di resistere, aprì il cassettino sotto il ripiano della scrivania. Stilografiche Montblanc, graffette, una cucitrice. Lo richiuse. Si spostò verso il basso e aprì un cassetto più grande. Era pieno di fascicoli. Ne tirò fuori uno. Erano rendiconti finanziari... Porca miseria. Suo padre era ricco. Ricco sfondato. Diede un'occhiata a un altro foglio. Ricco in termini di milioni e milioni e milioni di dollari. Rimise a posto il fascicolo e chiuse il cassetto. Questo di certo spiegava la casa. Le opere d'arte. L'automobile. Il maggiordomo. Vicino al telefono c'era una fotografia di lei in una cornice d'argento. La prese, cercando di immaginarsi il padre che la guardava. Dove poteva essere una foto di lui? si chiese. Si poteva scattare una fotografia a un vampiro? Fece ancora il giro della stanza passando in rassegna con attenzione tutte le foto incorniciate. Lei. Sempre lei. Soltanto lei. Soltanto... Beth si chinò. E con mano tremante prese una cornice dorata. Dentro c'era una foto in bianco e nero di una donna bruna che guardava timidamente verso l'obiettivo. Aveva una mano sulla faccia, come se fosse imbarazzata. Quegli occhi, pensò incantata Beth. Ogni giorno della sua vita ne aveva visto un paio identico allo specchio. Sua madre. Fece scorrere delicatamente l'indice lungo il vetro. Si sedette a tentoni sul letto e avvicinò la foto agli occhi quanto più possibile senza che la vista le si offuscasse. Come se la vicinanza a quell’immagine potesse annullare la distanza di tempo e di circostanze, riportandola alla bella donna nella cornice. Sua madre. CAPITOLO 28 A desso si che ci siamo, pensò Mr X caricandosi in spalla il vampiro civile privo di sensi. Trasportò in fretta il maschio dall'altra parte del vicolo, aprì il portellone del minivan e vi scaricò la preda come un sacco di patate. Poi ebbe cura di nasconderlo bene sotto una coperta nera di lana. Sapeva che il suo sistema di approvvigionamento avrebbe funzionato, e scegliere un tranquillante più forte, passando dal Demosedan all'acepromazina, aveva fatto la differenza. L'intuizione di utilizzare sedativi per cavalli, anziché calmanti calibrati sugli umani, si era rivelata corretta. Prima di far crollare il vampiro c'erano voluti comunque due dardi. Mr X si lanciò un'occhiata alle spalle e si mise al volante. La prostituta uccisa giaceva in un collettore di acque pluviali, il sangue saturo di eroina che colava nel sistema fognario. La cara ragazza lo aveva persino aiutato con la siringa. Naturalmente non si aspettava una pera di eroina pura al cento per cento. O che le venisse iniettata in vena una dose sufficiente a mettere fuori combattimento un alce. La polizia l'avrebbe trovata la mattina dopo. Lui comunque aveva fatto un lavoretto molto pulito, proprio come la volta precedente. Guanti di lattice, cappello calato sulla fronte, vestiti di nylon a trama fitta che non avrebbero lasciato fibre. Anche se non ce ne sarebbe stato bisogno: la ragazza non aveva assolutamente lottato. Con calma Mr X accese il motore e si immise con cautela su Trade Street. Un sottile velo di sudore gli imperlò il labbro superiore al pensiero di quello che lo attendeva. L'eccitazione dovuta all'adrenalina che aveva in corpo gli fece sentire la mancanza dei tempi in cui poteva ancora fare sesso. Anche se il vampiro non aveva informazioni da dargli, il resto della serata prometteva di essere una goduria. Avrebbe cominciato con il martello, pensò. No, meglio il trapano da dentista. Sotto le unghie delle dita. Quello avrebbe dovuto svegliarlo subito. Dopotutto non aveva senso torturare qualcuno svenuto. Come sferrare calci a un cadavere, sarebbe stato un semplice esercizio di aerobica, e nemmeno troppo impegnativo. Lui ne sapeva qualcosa. Visto e considerato quello che aveva fatto al corpo di suo padre quando lo aveva trovato morto stecchito. Dal retro udì provenire un tonfo soffocato. Voltò la testa. Sotto la coperta il vampiro si stava muovendo. Bene. Era vivo. Mr X tornò a concentrarsi sulla strada e si accigliò. Piegandosi in avanti sul sedile, strinse il volante con forza. Dopo un po', vide un bagliore di stop accesi. C'erano delle auto ferme in coda. Lungo la strada erano stati disposti dei coni arancioni e i lampeggianti blu e bianchi annunciavano la presenza della polizia. Un incidente? No. Un blocco stradale. Due piedipiatti muniti di torce ispezionavano l'interno delle macchine. Un cartello diceva CONTROLLO TASSO ALCOLICO. Mr X premette il piede sul freno. Allungò la mano verso la borsa nera, tirò fuori la pistola a dardi e ne sparò altri due al prigioniero per impedirgli di fare rumore. Con i finestrini oscurati e la coperta nera che lo nascondeva potevano ancora farcela. Purché il vampiro non si muovesse. Quando arrivò il suo turno, Mr X abbassò il finestrino mentre nno dei due piedipiatti si avvicinava all'auto. La torcia dell'uomo colpì il cruscotto con il suo fascio di luce. «'Sera, agente» lo salutò Mr X assumendo un'espressione cordiale. «Ha bevuto stasera, signore?» Lo sbirro era il classico signor nessuno. Mezza età, pancetta, baffi irsuti che avevano bisogno di una regolata. Capelli grigi che spuntavano come erbacce da sotto il berretto. Presentava tutte le caratteristiche tipiche di un cane da pastore, eccezion fatta per il collare antipulci e la coda. «No, agente, non ho bevuto.» «Ehi, ma io la conosco.» «Sul serio?» Mr X si produsse in un sorriso ancora più smagliante fissando la gola dell'uomo. La frustrazione lo fece pensare al coltello nascosto nella tasca della portiera. Abbassò la mano e lasciò scorrere il dito lungo il manico, nel tentativo di calmarsi. «Sì, lei insegna jujitsu a mio figlio.» Quando il poliziotto si piegò all'indietro, la torcia ondeggiò di lato e la luce colpì la borsa nera sul sedile del passeggero. «Darryl, vieni! Ti presento il sensei di Phillie.» Mentre l'altro sbirro si avvicinava con tutta calma, Mr X controllò che la lampo della borsa fosse ben chiusa. Non aveva senso lasciare in bella vista la pistola a dardi o la Glock nove millimetri che c'erano dentro. Per cinque minuti buoni chiacchierò amabilmente con i due poliziotti fantasticando sul modo di metterli a tacere. Quando finalmente rimise in moto il minivan si accorse di avere il coltello in mano e già quasi in grembo. Aveva un bel po' di aggressività da sfogare. Wrath fissava intensamente i contorni sfocati dell'edificio a un solo piano. Nelle ultime due ore lui e Rhage avevano tenuto d'occhio la Caldwell Martial Arts Academy per controllare eventuali movimenti sospetti. La struttura si trovava alla fine di una lunga fila di negozi, ai margini di una distesa boscosa. La notte prima, durante un'ispezione, Rhage aveva calcolato che si estendeva su oltre seicento metri quadrati. Più che abbastanza per essere una base operativa per i lesser. Nel parcheggio di fronte all'accademia c'erano dai dieci ai quindici posti auto per lato. L'edificio aveva due ingressi: una vetrata a due battenti sul davanti e un'entrata laterale priva di finestre. Dal loro punto di osservazione in mezzo al bosco, i vampiri potevano vedere sia il parcheggio vuoto sia le entrate e le uscite dell'edificio. Gli altri due posti si erano rivelati buchi nell'acqua. La Gold's Gym aveva messo in luce soltanto un avvicendarsi di teste di cavolo palestrate. Chiudeva a mezzanotte, apriva alle cinque del mattino e nelle due notti precedenti era sempre stata tranquilla. Lo stesso valeva per l'arena di paintball, che rimaneva deserta dal momento in cui chiudeva i battenti. Le alternative migliori su cui puntare erano le due accademie, e infatti Vishous e i gemelli erano dall'altra parte della città a controllare la seconda. Anche se i lesser potevano uscire di giorno, di solito andavano a caccia di notte perché era allora che i loro bersagli uscivano allo scoperto. Nelle ore precedenti l'alba i centri di reclutamento e di addestramento della Società venivano spesso, anche se non sempre, utilizzati come punti di ritrovo. Inoltre, visto che i lesser avevano l'abitudine di spostarsi, un posto poteva essere «caldo» per un mese, una stagione o anche per un anno e poi venire abbandonato. Darius era morto da pochi giorni, quindi Wrath sperava che la Società non si fosse ancora trasferita altrove. Controllò l'orologio braille. «Maledizione, sono quasi le tre.» Rhage cambiò posizione contro l'albero dietro il quale si era appostato. «Allora per stanotte Tohr non si farà vivo.» Wrath si strinse nelle spalle, sperando in cuor suo che l'argomento venisse lasciato cadere. Così non fu. «Non è da lui» commentò Rhage. E dopo una pausa aggiunse: «Però tu non sei sorpreso». «No.» «E perché?» Wrath fece schioccare le nocche delle dita. «Gli ho dato una strigliata. E non avrei dovuto.» «Eviterò di fare altre domande.» «Molto saggio da parte tua» disse Wrath. Poi, per qualche motivo inspiegabile, continuò: «Devo scusarmi con lui». «Sarebbe una novità.» «Sono così terribile?» «No» rispose Rhage senza la sua solita spavalderia. «Solo non capita spesso che tu abbia torto.» Quel candore era una sorpresa, venendo da uno come Hollywood. «Be', con Tohr ho esagerato di sicuro» ammise Wrath. Rhage gli diede una pacca sulle spalle. «Dall'alto della mia esperienza di vampiro che offende regolarmente gli altri, ti dirò un segreto: non sono molte le cose a cui non si può porre rimedio.» «Ho tirato in ballo anche Wellsie.» «Pessima idea.» «E quello che lui prova per lei.» «Oh, cazzo!» «Già. Proprio un bel casino.» «Perché?» «Perché io...» Perché si era sentito un idiota quando aveva cercato di fare anche in minima parte quello che a Tohrment riusciva tanto bene da due secoli. Malgrado la sua missione di guerriero, Tohr aveva mantenuto vivo il rapporto con una femmina di valore. E la loro era un'unione bella, solida, piena di amore. Tra i fratelli lui era stato l'unico capace di realizzare una cosa del genere. Wrath pensò a Beth. La rivide mentre si avvicinava a lui per chiedergli di restare. Dio, sperava con tutto il cuore di trovarla nel suo letto, al ritorno. E non per possederla, ma perché così avrebbe potuto dormirle accanto. Riposarsi un po', sapendo che lei era al sicuro, lì vicino a lui. Ah, cavolo. Aveva la terribile sensazione che non sarebbe stato capace di staccarsi da quella femmina. Almeno per un po'. «Perché?» insistette Rhage. Wrath sentì un formicolio al naso. Una lieve ventata di qualcosa di dolce, molto simile al talco per bambini, aleggiava nell'aria trasportata dalla brezza. «Preparati a dare il benvenuto ai nostri amici» disse aprendo il giubbotto. «Quanti sono?» chiese Rhage, voltandosi di scatto. Schiocchi di ramoscelli spezzati e un leggero fruscio di foglie ruppero il silenzio della notte. Erano sempre più forti. «Minimo tre.» «Evviva.» I lesser venivano dritti verso di loro attraverso una radura tra i boschi. Facevano chiasso, chiacchieravano e camminavano senza fare attenzione finché uno di loro non si fermò. Gli altri lo imitarono, ammutolendo. «'Sera, ragazzi» disse Rhage, uscendo con calma allo scoperto. Wrath invece decise di restare nascosto. Mentre i lesser giravano in cerchio intorno al vampiro, piegandosi sulle ginocchia con i coltelli in pugno, lui girò al largo costeggiando furtivo il bosco. Poi allungò un braccio fuori dall'ombra e sollevò di peso un lesser, dando inizio allo scontro. Gli tagliò la gola, ma non c'era tempo per finirlo: Rhage aveva attaccato due avversari, ma il terzo stava per colpirlo alla testa con una mazza da baseball. Wrath si avventò contro il non morto Sammy Sousa, gettandolo a terra e pugnalandolo alla gola. Gorgoglii strozzati si levarono nell'aria. Il vampiro si guardò intorno per controllare se c'erano altri lesser o se il suo compagno aveva bisogno di aiuto. Rhage se la cavava alla grande. Nonostante la vista debolissima, Wrath ammirò il guerriero: era una meraviglia da guardare, quando combatteva. Tutto pugni e calci, mosse scattanti, riflessi animaleschi, forza e resistenza. Era un maestro, negli scontri corpo a corpo, e i lesser contro cui stava lottando in quel momento continuavano a stramazzare al suolo e facevano sempre più fatica a rialzarsi. Wrath tornò al primo lesser e gli si inginocchiò sopra. Quello si contorse convulsamente mentre il vampiro gli frugava nelle tasche prendendo tutti i documenti d'identità che riuscì a trovare. Stava per pugnalarlo al petto quando udì uno sparo. CAPITOLO 29 «Allora, Butch, stasera ti fermi fino a quando stacco?» chiese Abby con un sorriso versandogli l'ennesimo scotch. «Può darsi.» Per ora non ne aveva voglia, ma dopo un altro paio di bicchieri forse avrebbe cambiato idea. Sempre ammesso che da ubriaco fosse ancora in grado di rizzarlo. Spostandosi a sinistra, la barista guardò alle spalle del poliziotto in direzione di un altro cliente, a cui fece l'occhiolino lasciandogli intravedere la scollatura. Si teneva aperte tutte le possibilità. Ottima strategia, probabilmente. Il cellulare attaccato alla cintura cominciò a vibrare. Butch l'afferrò subito. «Sì?» «Abbiamo un'altra prostituta morta» disse José. «Ho pensato di avvertirti.» «Dove?» chiese Butch balzando giù dallo sgabello del bar come se dovesse correre da qualche parte. Poi si rimise a sedere lentamente. «Fra la Trade e la Quinta. Non venire. Dove sei?» «Da McGrider's.» «Tra dieci minuti?» «Ci sarò.» Butch allontanò il bicchiere di scotch in preda alla frustrazione. Sarebbe finito così? Tutte le sere a ubriacarsi? Magari a fare l'investigatore privato oppure la guardia giurata o roba del genere, finché non lo avrebbero licenziato perché era un relitto della società? A vivere solo come un cane in quel bilocale finché il fegato non gli scoppiava? Non era mai stato bravo a fare progetti, forse però era giunto il momento di cominciare. «Quello non ti piaceva?» chiese Abby incorniciando il bicchierino con i seni. Di riflesso Butch allungò la mano verso il dannato whisky, lo portò alle labbra e lo buttò giù tutto d'un fiato. «Adesso sì che ti riconosco.» Ma quando fece per versargliene un altro, il detective coprì il bicchiere con la mano. «Credo di avere chiuso, per stasera.» «Certo, come no» disse sorridendo Abby mentre lui scuoteva la testa. «Be', sai dove trovarmi.» Già, per mia sfortuna. José ci mise ben più di dieci minuti ad arrivare. Passò una buona mezz'ora prima che Butch lo vedesse aprirsi un varco tra la folla di bevitori, una figura severa in abiti borghesi. «Conosciamo la donna?» chiese prima ancora che il collega si fosse seduto. «È un'altra della scuderia di Big Daddy. Carla Rizzoli. Altrimenti nota come Candy.» «Stesso modus operandi?» José ordinò una vodka liscia. «Sì. Gola tagliata, sangue dappertutto. C'erano dei residui sulle labbra, come se avesse la schiuma alla bocca.» «Eroina?» «Probabile. Il medico legale eseguirà l'autopsia domani mattina presto.» «Trovato niente sulla scena del crimine?» «Una freccetta. Come quelle con cui si spara agli animali. La stiamo facendo analizzare.» José mandò giù la vodka tirando indietro la testa di scatto. «E ho sentito che Big Daddy è incazzato nero. Vuole vendicarsi.» «Già, be', speriamo che se la prenda con il ganzo di Beth. Forse una guerra tra bande farà uscire allo scoperto quel bastardo.» Butch appoggiò i gomiti sul bancone sfregandosi gli occhi doloranti. «Maledizione, non riesco ancora a credere che lo protegga.» «Non me lo sarei mai aspettato. Finalmente ne trova uno...» «Ed è un malavitoso.» José guardò il collega. «Dovremo convocarla in centrale.» «Me lo immaginavo.» Butch strizzò gli occhi nel tentativo di metterlo a fuoco. «Senti, domani dovrei vederla. Fammici parlare per primo.» «Non posso, O'Neal. Tu non sei...» «Invece puoi. Basta che la metti in lista per il giorno dopo.» «L'indagine sta facendo progressi...» «Per favore...» Davvero lo stava implorando? «Dai, José. Io ho più possibilità di chiunque altro di convincerla a parlare.» «E perché mai?» «Perché lei ha visto tutto quando quello ha cercato di ammazzarmi.» José abbassò lo sguardo sul bancone sudicio. «Ti concedo un giorno. E sarà meglio per te che non lo venga a sapere nessuno, perché altrimenti il capitano chiederà la mia testa. Poi, comunque vada, sarò costretto a interrogarla in centrale.» Butch annuì mentre Abby si avvicinava tutta allegra con una bottiglia di scotch in una mano e una di vodka nell'altra. «Avete l'aria di essere a secco, ragazzi» disse con una risatina. Il messaggio insito nel sorriso lascivo e nello sguardo assente della barista diventava sempre più forte e più disperato via via che la notte si avviava verso la conclusione. Butch pensò al suo portafogli vuoto. Alla sua fondina vuota. Al suo appartamento vuoto. «Devo andare via da lei» bofonchiò scivolando giù dallo sgabello. «Via da qui, volevo dire.» Il braccio di Wrath assorbì il colpo della doppietta e, nell'impatto, il suo petto si torse come una fune. La violenza della fucilata gli fece perdere l'equilibrio scaraventandolo a terra, ma lui non rimase giù. Muovendosi in fretta e tenendosi curvo, riuscì a togliersi di mezzo per non dare a chi aveva sparato la possibilità di colpirlo di nuovo. Un quinto lesser era spuntato dal nulla e stava ricaricando il fucile a canne mozze. Dietro un pino, Wrath esaminò in fretta la ferita. Niente di grave, un po' di pelle e di muscolo strappati via dal bicipite. L'osso era intatto. Poteva ancora combattere. Afferrò una stella Ninja e uscì allo scoperto. Fu allora che un lampo accecante illuminò la radura. Wrath tornò nell'ombra con un balzo. Oh, Cristo! Adesso erano casini per tutti. La bestia che era dentro Rhage stava uscendo allo scoperto. E ne avrebbero viste delle belle. Gli occhi di Rhage brillavano come fari mentre il suo corpo si trasformava in un'agghiacciante sequenza di lacerazioni e metamorfosi. Qualcosa di orribile prese il suo posto, le squame che scintillavano al chiaro di luna, gli artigli che fendevano l'aria. I lesser non sapevano cosa li aspettava quando la creatura spalancò le fauci braccandoli, azzannandoli, finché il loro sangue prese a scorrere a fiumi giù dal suo petto gigantesco. Wrath si tenne in disparte. Non era la prima volta che assisteva a quello spettacolo e la bestia non aveva nessun bisogno di aiuto. Anzi, se ci si avvicinava troppo si rischiava di venire squartati. Quando fu tutto finito la creatura lanciò un ululato così assordante che gli alberi attorno si piegarono e i rami furono sbriciolati dall'onda d'urto. Un assoluto massacro. Non c'era la minima speranza di identificare i lesser perché i corpi non esistevano più. Wrath uscì nella radura. La creatura si voltò di scatto, ansimante. Wrath tenne la voce bassa e le braccia lungo i fianchi. Rhage era lì dentro, da qualche parte, ma finché non riemergeva non si poteva dare per scontato che ricordasse chi erano i suoi fratelli. «Stiamo calmi» disse Wrath. «Ci siamo già passati altre volte, tu e io.» Il petto della bestia si alzava e si abbassava con forza, le narici fremevano mentre annusava l'aria. Due occhi scintillanti si fissarono sul sangue che colava dal braccio di Wrath. Si udì uno sbuffo. Gli artigli si sollevarono. «Lascia perdere. Hai fatto quello che dovevi fare, ormai sei sazio. Adesso lascia tornare Rhage.» La grossa testa si scosse avanti e indietro, le scaglie cominciarono a vibrare. Un'energica protesta si levò dalla gola della creatura, poi ci tu un altro lampo. Rhage cadde al suolo, nudo, atterrando a faccia in giù nella polvere. Wrath si precipitò in avanti gettandosi in ginocchio accanto al compagno. Era madido di sudore e tremava come un neonato al freddo. Quando lo toccò, Rhage si ritrasse. Tentò di alzare la testa, ma non ci riuscì. Wrath gli prese la mano e gliela strinse. Quel rientro a razzo era sempre una bella botta. «Rilassati, Hollywood. Buono. Stai andando alla grande» disse Wrath, poi si tolse il giubbotto e lo coprì con delicatezza. «Adesso stai qui tranquillo e lascia che sia io a prendermi cura di te, capito?» Rhage biascicò qualcosa raggomitolandosi su se stesso. Wrath prese il cellulare e digitò un numero. «Vishous? Ci serve una macchina. Subito. Scherzi? No, devo spostare il nostro amico. Abbiamo appena avuto una visitina dal suo alter ego. Tu di' a Zsadist di non fare lo stronzo.» Chiuse la comunicazione e guardò Rhage. «Odio tutto questo» mormorò l'altro vampiro. «Lo so.» Wrath scostò dalla faccia del compagno i capelli imbrattati di sangue. «Adesso ti portiamo a casa.» «Non mi è piaciuto vederti ferito.» Wrath sorrise dolcemente. «Chiaro.» Beth si stiracchiò, affondando ancora di più la testa nel cuscino. Qualcosa non andava. Aprì gli occhi proprio mentre una profonda voce maschile rompeva il silenzio. «Che cosa cazzo abbiamo qui?» Lei si tirò su di colpo voltandosi tutta agitata in direzione della voce. L'uomo che le torreggiava sopra aveva due occhi neri privi di vita, una faccia feroce percorsa da una cicatrice frastagliata, capelli praticamente rapati a zero, tanto erano corti. E due lunghe zanne bianche in piena vista. Beth si mise a strillare. Lui sorrise. «Il mio suono preferito, in assoluto.» Lei si tappò la bocca con la mano. Dio, quella cicatrice. Partiva dalla fronte, scendeva lungo il naso, attraversava la guancia e poi tornava indietro verso la bocca. La coda di quella S deformava il labbro superiore, tirandoglielo di lato in un ghigno permanente. «Stai ammirando la mia opera d'arte?» disse l'uomo strascicando le parole. «Dovresti vedere il resto.» Gli occhi di Beth schizzarono verso l'ampio torace dello sconosciuto. Indossava una camicia nera attillata a maniche lunghe. Su entrambi i pettorali, sotto la stoffa, si distinguevano due piccoli anelli, forse dei piercing ai capezzoli. Quando riportò lo sguardo sul suo viso, notò che aveva una fascia nera tatuata intorno al collo e un grosso piercing al lobo sinistro. «Sono carino, non trovi?» Il suo sguardo gelido era degno di un incubo, parlava di luoghi tenebrosi senza speranza, dell'inferno stesso. Lascia perdere la cicatrice, si disse Beth. La cosa più spaventosa erano gli occhi. Ed erano puntati su di lei come se le stesse prendendo le misure per un sudario. O per fare sesso. Beth si scostò il più possibile e cominciò a guardarsi intorno in cerca di qualcosa da usare come arma. «Non ti piaccio?» Lei guardò la porta e lui scoppiò a ridere. «Credi di riuscire a correre abbastanza in fretta?» disse, sfilando la camicia dai pantaloni di pelle. Le mani si spostarono verso la patta. «Io sono sicurissimo che non ce la farai.» «Stai lontano da lei, Zsadist.» La voce di Wrath fu un enorme sollievo. Finché Beth non vide che era senza camicia e aveva un braccio al collo. Lui la guardò appena. «È ora di andare, Z.» Zsadist sorrise gelido. «Non hai voglia di dividere la femmina con me?» «A te piace solo se lo fai a pagamento.» «Be', le darò un biglietto da venti. Sempre ammesso che sopravviva al sesso con me.» Wrath continuò ad avvicinarsi all'altro vampiro finché i due non si trovarono faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza. L'aria intorno a loro crepitava, sovraccarica di aggressività. «Tu non devi toccarla, Z. Non devi nemmeno guardarla. Adesso dirai buonanotte e porterai il culo fuori di qui.» Wrath si tolse il bendaggio intorno al braccio mostrando il bicipite fasciato. Al centro c'era una macchia rossa, come se stesse sanguinando, ma lui sembrava comunque pronto ad affrontare l'altro vampiro. «Scommetto che sei incazzato perché stanotte hai dovuto chiedere un passaggio fino a casa» disse Zsadist. «E perché io ero il più vicino con la mia auto.» «Non farmelo rimpiangere.» Zsadist si spostò a sinistra di un passo e Wrath lo imitò, impedendogli la vista di Beth con il proprio corpo. Zsadist ridacchiò, un rombo cupo, malvagio. «Sei davvero pronto a combattere per un'umana?» «È la figlia di Darius.» La testa di Zsadist scattò di lato e i due pozzi neri che aveva al posto degli occhi la scrutarono con intensità. Un attimo dopo la sua faccia arcigna si ammorbidì leggermente e il ghigno parve svanire. Con ostentazione si infilò la camicia nei calzoni, mentre guardava Beth negli occhi quasi a volersi scusare. Wrath, a ogni buon conto, non si mosse. «Come ti chiami?» le chiese Zsadist. «Si chiama Beth» rispose Wrath ostruendo con la testa la visuale dell'altro vampiro. «E adesso tu te ne vai.» Ci fu una lunga pausa. «Come vuoi.» Zsadist si avviò verso la porta, muovendosi con la stessa letale andatura da predatore di Wrath. Prima di uscire si fermò, voltandosi a fissarla di nuovo. Doveva essere stato davvero bello, una volta, pensò Beth. Non era la cicatrice a renderlo brutto. Erano le fiamme dell'inferno che aveva dentro. «Piacere di averti conosciuta, Beth.» Lei espirò sollevata quando la porta si chiuse e udì lo scatto dei chiavistelli. «Stai bene?» chiese Wrath. Beth sentiva il suo sguardo su di sé; la scrutò con attenzione prima di sfiorarla con delicatezza. «Non ti ha... non ti ha toccata, vero? Ti ho sentita gridare.» «No. No, mi ha solo spaventata. Mi sono svegliata e lui era qui in camera.» Wrath si mise a sedere sul letto continuando a passarle i palmi sul corpo, quasi non riuscisse a credere che lei stesse bene. Quando parve soddisfatto, si scostò i capelli dal viso. Gli tremavano le mani. «Sei ferito» disse lei. «Che cosa è successo?» Lui le circondò le spalle con il braccio sano stringendola al petto. «Non è niente.» «Allora perché hai il braccio al collo? E perché hai bisogno di una fasciatura? Perché continui a sanguinare?» «Shhh» fece lui, appoggiandole il mento in cima alla testa. Beth lo sentiva tremare. «Non stai bene?» «Ho bisogno di stringerti per un minuto. D'accordo?» «Certo.» Non appena sentì che non tremava più, Beth si scostò. «Che cosa c'è?» Lui le prese il volto tra le mani. Premette le labbra sulle sue. «Non l'avrei sopportato se lui ti avesse... portata via da me.» «Quel tizio? Non preoccuparti, non ho intenzione di andare da nessuna parte con lui.» Poi si rese conto che Wrath non si stava riferendo a un appuntamento. «Voleva uccidermi?» Non che lo trovasse impossibile. Così gelidi. Quegli occhi erano così gelidi. Invece di rispondere, Wrath avvicinò la bocca alla sua, ma Beth lo fermò. «Chi è? E che cosa gli è successo?» «Non devi più stare vicina a Z. Mai più. Non voglio.» Le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Il suo tocco era tenero. La voce no. «Mi stai ascoltando?» Lei annuì. «Cosa...» «Se entra di nuovo in una delle stanze e io sono in casa, vieni a cercarmi. Se invece io non ci sono ti chiudi a chiave in una delle stanze qua sotto... hanno le pareti d'acciaio, quindi lui non può materializzarsi all'interno. E attenta a non toccarlo mai. Nemmeno per sbaglio.» «È un guerriero?» «Hai capito?» «Sì, ma se sapessi qualcosa di più non guasterebbe.» «È uno dei fratelli, ma è quasi senz'anima. Disgraziatamente abbiamo bisogno di lui.» «Perché, se è tanto pericoloso? O lo è solo con le donne?» «Lui odia tutti. Salvo forse il suo gemello.» «Oh, fantastico. Ce ne sono due uguali?» «Grazie a Dio, Phury è l'unico in grado di far ragionare Z, anche se non sempre ci riesce.» Wrath la baciò sulla fronte. «Non voglio spaventarti, però devi prendere sul serio questa cosa. Zsadist è un animale, ma credo che rispettasse tuo padre, quindi può darsi che ti lasci in pace. Non posso correre rischi, con lui. O con te. Promettimi che gli starai alla larga.» «Va bene.» Beth chiuse gli occhi e si appoggiò contro di lui. Wrath le circondò le spalle con il braccio, per ritrarsi subito dopo. «Dai» disse, facendola alzare in piedi. «Vieni in camera mia.» Quando entrarono nella stanza di Wrath, Beth udì qualcuno chiudere l'acqua della doccia. Un istante dopo la porta del bagno si aprì. Il guerriero che aveva incontrato in precedenza, quello bello come una star del cinema che si stava ricucendo il braccio, uscì lentamente. Aveva un asciugamano legato in vita e i capelli gocciolanti. Si muoveva come un vecchio di ottant'anni, come se ogni muscolo gli facesse male. Santo cielo, pensò Beth. Aveva l'aria di non stare bene e c'era qualcosa di decisamente strano nel suo stomaco: era gonfio come se avesse ingoiato una palla da basket. Perplessa, Beth si chiese se per caso gli si fosse infettata la ferita. Sembrava febbricitante. Guardò la sua spalla e si accigliò; si intravedeva a malapena un segnetto. Era come se la ferita risalisse a molti mesi prima. «Rhage, amico, come andiamo?» s'informò Wrath, staccandosi da lei. «Mi fa male la pancia.» «Già. Lo immagino.» Rhage si guardò intorno barcollando, faticava a tenere gli occhi aperti. «Vado a casa. Dove sono i miei vestiti?» «Li hai persi.» Wrath gli cinse la vita con il braccio sano. «E non vai da nessuna parte, ti fermi a riposare in camera di D.» «No.» «Adesso non cominciare. Qui non c'è niente da scherzare. Vuoi appoggiarti a me, per favore?» L'altro vampiro si lasciò andare e i muscoli della schiena di Wrath si tesero nello sforzo di sostenerne il peso. Insieme, i due guerrieri si avviarono lentamente lungo il corridoio e quindi nella stanza di Darius. Mantenendosi a una discreta distanza, Beth rimase a guardare Wrath che aiutava il compagno a infilarsi a letto. Rhage si appoggiò contro i guanciali stringendo gli occhi con una smorfia di dolore. Si portò una mano allo stomaco, poi la lasciò ricadere lungo il fianco, rabbrividendo, come se il minimo tocco fosse un'autentica tortura. «Ho la nausea.» «Già, l'indigestione è una brutta bestia.» «Vuoi dei Tums?» intervenne Beth. «Un Alka-Seltzer?» I due vampiri si voltarono a guardarla e lei si sentì una specie di terzo incomodo. Di tutte le stupidaggini che poteva dire... «Sì» farfugliò Rhage mentre Wrath annuiva. Beth tornò nell'altra stanza a cercare la borsetta e optò per l'AlkaSeltzer: conteneva aspirina, forse poteva servire ad alleviare i dolori del vampiro. Andò nel bagno di Wrath, prese un bicchiere e vi sciolse un paio di compresse. Quando tornò accanto al letto di suo padre porse il bicchiere a Wrath, ma lui scosse la testa. «Tu ne rovescerai meno di me.» Lei arrossì. Era così facile dimenticare che era quasi cieco! Si chinò sopra Rhage, ma non riuscì ad arrivare alla bocca. Sollevando l'accappatoio, si arrampicò sopra il materasso mettendosi in ginocchio accanto al vampiro. Stare così vicina a un maschio nudo e virile, proprio davanti a Wrath, la metteva a disagio. Visto e considerato quello che era toccato a Butch. Per favore! si disse, strisciando verso Rhage. Wrath non aveva niente da temere, in questo caso. Per quanto Rhage fosse sexy, lei non provava alcuna attrazione. E lui di sicuro non minacciava di saltarle addosso, visto lo stato in cui era. Con delicatezza gli sollevò la testa e appoggiò il bordo del bicchiere contro le belle labbra. Il vampiro ci mise cinque minuti buoni a sorseggiare tutto il contenuto del bicchiere. Quand'ebbe terminato, Beth fece per scendere dal letto. Ma non andò molto lontano. Con una specie di sbandamento lui si rovesciò su un fianco posandole il capo in grembo e circondandola con il braccio muscoloso. Cercava conforto. Beth non sapeva bene cosa fare. Posò il bicchiere e gli accarezzò la schiena, facendo scorrere la mano sopra l'inquietante tatuaggio. Mormorò le cose che lei stessa voleva sentirsi dire quando stava poco bene. Canticchiò, a bocca chiusa, qualche dolce nenia. Dopo qualche minuto la tensione abbandonò i muscoli e le ossa del vampiro, che cominciò a respirare profondamente. A quel punto, Beth si liberò con delicatezza dalla sua stretta. Poi si fece forza per guardare Wrath. Lui sapeva senz'altro che non c'era niente... Rimase impietrita dallo stupore. Wrath non era arrabbiato. Tutt'altro. «Grazie» disse con voce strozzata chinando il capo quasi con umiltà. «Grazie per esserti presa cura di mio fratello.» Si tolse gli occhiali da sole. E le rivolse uno sguardo di assoluta adorazione. CAPITOLO 30 Mr X buttò la sega elettrica sul banco da lavoro e si pulì le mani con uno strofinaccio. Be', al diavolo, pensò. Quel maledetto vampiro era morto. Aveva provato di tutto per svegliarlo, persino lo scalpello, e così facendo aveva conciato il fienile da sbatter via. C'era sangue di vampiro dappertutto. Per fortuna pulire sarebbe stato facile. Mr X andò alla porta a due battenti e la spalancò. Dritto davanti a lui, all'orizzonte, il sole stava cominciando a sorgere oltre la cresta dei monti e una bella luce dorata inondava il paesaggio. Mr X si fece da parte lasciando che l'interno del fienile venisse illuminato. Il cadavere del vampiro esplose in una vampata di fuoco e la pozza di sangue sotto il tavolo svanì in una nuvola di fumo. La dolce brezza mattutina spazzò via il tanfo di carne bruciata. Mr X uscì nel chiarore del giorno, contemplando la foschia sospesa sopra il prato dietro casa. Non era ancora pronto a darsi per vinto. Il piano avrebbe funzionato se non fosse incappato in quei due piedipiatti e se non fosse stato costretto a sparare altri due dardi nel corpo del prigioniero. Aveva bisogno di tornare ancora là fuori. Non stava più nella pelle, doveva assolutamente sfogare il suo desiderio di tortura. Per il momento, comunque, era il caso di darsi una calmata con le Prostitute. Quegli stupidi sbirri servivano a ricordargli che non operava nel vuoto assoluto, che potevano arrestarlo. Non che rimanere invischiato nelle maglie della legge fosse una cosa irrimediabile. Ma lui si faceva un vanto del fatto che le sue operazioni andassero lisce come l'olio. Che poi era il motivo per cui aveva scelto le puttane come esca. Prima di tutto, anche se un paio di loro venivano trovate morte, non si sarebbe creato nessuno scompiglio. Era poco probabile che avessero dei parenti pronti a piangerle, quindi la polizia non avrebbe subito pressioni eccessive per inchiodare il colpevole. Quanto alle indagini, purtroppo inevitabili, grazie ai papponi e ai delinquenti che pullulavano nei quartieri malfamati c'era già bell'e pronto un nutrito gruppo di sospettati a cui dare la caccia. C'era solo l'imbarazzo della scelta. Ciò non significava che lui potesse lavorare in modo sciatto, o esagerare nello sfruttare la Valle delle Puttane. Tornò nel fienile, ripose gli attrezzi e si avviò verso casa. Prima di andare a farsi una doccia controllò i messaggi. Ce n'erano parecchi. Il più importante era di Billy Riddle. La sera prima doveva essere rimasto turbato da qualcosa perché gli aveva telefonato poco dopo l'una di notte. Era un bene che cercasse conforto, pensò Mr X. E forse era giunto il momento di fare una bella chiacchierata a tu per tu sul suo futuro. Un'ora più tardi Mr X prese la macchina e andò all'accademia, aprì le porte e non le richiuse a chiave. Poco dopo cominciarono ad arrivare i lesser a cui aveva ordinato di presentarsi a rapporto. Poteva sentirli parlottare sottovoce nel corridoio davanti al suo ufficio. Non appena uscì per riceverli, quelli ammutolirono e rimasero a guardarlo. Erano tutti in tuta nera, seri in volto; ce n'era uno solo i cui colori non si erano ancora sbiaditi. I capelli castani a spazzola di Mr O si facevano notare, così come i suoi occhi marrone scuro. Più a lungo un lesser stava nella Società, più perdeva le caratteristiche fisiche individuali. Il castano, il nero e il rosso dei capelli si trasformavano in uno spento color cenere; le sfumature gialle, rosa o brune della pelle impallidivano fino a ridursi a un bianco uniforme. Il processo in genere durava un decennio circa. E non aveva ancora visto comparire ciocche di capelli grigiastri sulla testa di O. Fece una rapida conta. Tutti i membri dei due squadroni principali erano presenti; chiuse a chiave la porta esterna dell'accademia e guidò il gruppo nel seminterrato. Sulla scala di metallo gli stivali dei lesser producevano un rumore forte e penetrante, una sorta di rullo di tamburo in onore della loro forza fisica. La sala operativa allestita da Mr X era una normalissima, vecchia aula scolastica con dodici sedie, una lavagna, un televisore e un podio. L'arredamento neutro e banale non era un semplice sotterfugio. Mr X non voleva distrazioni tecnologiche. Le dinamiche di gruppo erano l'obiettivo e il fulcro di quegli incontri. «Allora, ditemi di ieri notte» li spronò, guardando gli assassini. «Com'è andata?» Rimase ad ascoltare i rapporti senza lasciarsi impietosire da qualsivoglia giustificazione. La notte precedente c'erano state solo due uccisioni. Lui aveva stabilito una quota minima di dieci. Ed era una vergogna che O, la recluta più recente, fosse responsabile di entrambe le morti. Mr X incrociò le braccia al petto. «Qual è il problema?» «Non abbiamo trovato nessun vampiro» disse Mr M. «Io ne ho trovato uno» ribatté con rabbia Mr X. «E con una certa facilità, aggiungerei. E Mr O ne ha trovati ben due.» «Be', noi non ne abbiamo trovati.» M guardò gli altri. «In questa zona i vampiri si sono ridotti al lumicino.» «Il problema non è la geografia» bofonchiò una voce dal fondo. Gli occhi di Mr X si spostarono tra le file dei lesser fermandosi sulla testa bruna di O, in fondo alla stanza. Non era sorpreso che l'assassino avesse preso la parola. Malgrado fosse l'ultimo arrivato, O si stava dimostrando uno dei migliori del gruppo. Dotato di resistenza e riflessi eccezionali, era un grande combattente ma, come tutte le cose potenti, difficile da tenere sotto controllo. Motivo per cui Mr X lo aveva inserito in un gruppo composto da altri lesser con secoli di esperienza: altrimenti O avrebbe rischiato di dominare qualunque gruppo di individui inferiori a lui. «Le dispiacerebbe sviluppare il suo pensiero, Mr O?» Mr X non era minimamente interessato alla sua opinione, comunque era prontissimo a mettere in risalto la nuova recluta di fronte agli altri. O si strinse nelle spalle con noncuranza, il tono strascicato era quasi offensivo. «Il problema è la motivazione. Se si fallisce non ci sono conseguenze.» «E lei che cosa suggerirebbe, con esattezza?» chiese Mr X. O si sporse in avanti, afferrò M per i capelli e gli tagliò la gola con un coltello. Gli altri lesser balzarono via, accovacciandosi in posizione di attacco, mentre O tornava a sedersi pulendo con calma il pugnale con le dita. Mr X scoprì i denti, ma riuscì a dominarsi. Attraversò la stanza in direzione di M. Il lesser, ancora vivo, boccheggiava nel tentativo di respirare, cercando di tamponare l'emorragia con le mani. Mr X si inginocchiò accanto a lui. «Tutti gli altri escano. Subito. Ci riuniremo di nuovo domani mattina, quando avrete notizie migliori per me. Lei rimanga, Mr O.» Quando O tentò di disobbedire accennando ad alzarsi, Mr X lo bloccò sulla sedia, privandolo del controllo sulla sua poderosa muscolatura. Sul momento O parve scioccato e cercò in tutti i modi di sciogliersi dalla stretta che gli immobilizzava braccia e gambe. Battaglia persa. L'Omega forniva sempre alcuni privilegi extra al Forelesser, e quel genere di dominio mentale sui compagni assassini era uno di essi. Non appena la stanza si fu svuotata, Mr X estrasse un coltello e pugnalò al petto M. Ci fu un bagliore luminoso, un gorgoglio strozzato e il lesser si disintegrò. Ancora accovacciato a terra, Mr X scoccò un'occhiata torva a O. «Azzardati di nuovo a fare una pagliacciata del genere e ti consegno all'Omega.» «No, non lo farà.» Malgrado fosse in balia di qualcun altro, l'arroganza di O era senza limiti. «Altrimenti darebbe l'impressione di non riuscire a controllare i suoi uomini, e questo lei non lo vorrebbe mai.» Mr X si alzò in piedi. «Attento, O. Tu sottovaluti la passione dell'Omega per i sacrifici. Se decidessi di darti in regalo a lui, me ne sarebbe infinitamente grato.» Mr X avanzò e fece scorrere un dito lungo la guancia di O. «Se ti legassi mani e piedi confezionandoti come un bel pacco dono e poi glielo facessi pervenire, l'Omega si divertirebbe un mondo a spacchettarti. E io mi godrei lo spettacolo.» O tirò indietro la testa di scatto, più in collera che spaventato. «Non mi tocchi.» «Io sono il tuo capo, posso farti tutto quello che voglio.» Mr X afferrò con la mano la mascella di O e gli infilò a forza il pollice in bocca, tra i denti, poi con uno strattone gli tirò la faccia in avanti. «Quindi vedi di comportarti bene. Non azzardarti mai più a far fuori un altro membro della Società senza la mia espressa autorizzazione e andremo d'amore e d'accordo.» Gli occhi marroni di O fiammeggiavano di rabbia. «Adesso come si dice?» mormorò Mr X allungando una mano e accarezzandogli i capelli. Erano di un bel color cioccolato. O farfugliò qualcosa. «Non ho sentito.» Mr X affondò il pollice nella morbida membrana carnosa sotto la lingua di O, continuando a premere finché gli occhi del lesser si riempirono di lacrime. Quando mollò la presa, diede una veloce carezza bagnata al labbro inferiore di O. «Ho detto che non ho sentito.» «Sì, sensei.» «Bravo.» CAPITOLO 31 A letto Marissa non riusciva a trovare pace. Da qualunque parte si voltasse e comunque sistemasse i cuscini, non c'era verso di mettersi comoda. Il materasso sembrava imbottito di sassi e le lenzuola erano ruvide come carta vetrata. Gettò via le coperte, si alzò e andò alla fila di finestre sbarrate nascoste dietro i pesanti tendaggi di raso. Moriva dalla voglia di una boccata d'aria fresca, ma aprirle era impensabile. Era mattina. Sistemandosi sulla chaise longue, si coprì i piedi nudi con l'orlo della camicia da notte di seta. Wrath. Non riusciva a smettere di pensare a lui. E ogni volta che le tornava in mente un'altra immagine di loro due insieme, si imponeva di non imprecare. Il che era scioccante. Lei era quella docile, quella adorabile. Tutta perfezione e leggiadria femminile. La collera era contraria alla sua natura. Ma più pensava a Wrath più le veniva voglia di prendere a pugni qualcosa. Sempre ammesso che riuscisse a stringere un pugno. Abbassò lo sguardo sulla propria mano. Sì. Anche se era un pugno pateticamente piccolo. Specialmente se paragonato a quello di Wrath. Dio, quante cose aveva sopportato! E lui non aveva mai mostrato il minimo apprezzamento per le difficoltà della sua vita. Essere la shellan zitella e illibata del vampiro più potente di tutti era un inferno. I fallimenti di femmina avevano distrutto la sua autostima, l'isolamento aveva compromesso la sua sanità mentale e l'imbarazzo di dover vivere con il fratello perché non aveva una casa solo per sé l'aveva punta sul vivo. Inoltre, il pensiero che gli altri la additassero incuriositi sparlando di lei di nascosto la faceva inorridire. Sapeva benissimo di essere un inesauribile argomento di conversazione: invidiata, compatita e spiata, proprio come nelle favole. Alle giovani femmine veniva narrata la sua storia... meglio ignorare se a mo' di monito o stimolo. Wrath era del tutto inconsapevole di quanta sofferenza le avesse procurato. In parte la colpa era sua, doveva ammetterlo. Recitare la parte della femminuccia buona e cara le era parsa la cosa più giusta, il solo modo per mostrarsi degna del suo hellren, l'unica possibilità di condividere finalmente una vita insieme. E invece com'era finita? Con Wrath che trovava un'umana bruna che gli stava più a cuore di lei. Dio, il risultato di tutti quegli inutili sforzi era troppo ingiusto, troppo crudele! E non era l'unica ad avere sofferto. Per secoli Havers si era preoccupato da morire per lei. Wrath, al contrario, se ne era sempre fregato. E con ogni probabilità in quel preciso momento giaceva nudo accanto a quella femmina facendo buon uso del suo membro. Marissa chiuse gli occhi. Ripensò al momento in cui Wrath l'aveva attirata contro di sé, stringendola fra le sue braccia poderose, consumata. Era talmente scioccata da non provare alcuna eccitazione. Lei se lo era sentito addosso dappertutto: le sue mani tra i capelli, la sua bocca che le succhiava avidamente la giugulare. E quella sua grossa verga l'aveva spaventata un po'. Ironia della sorte. Per tanto tempo aveva sognato come sarebbe stato essere posseduta da lui, lasciarsi alle spalle lo status di vergine per scoprire cosa significasse avere un maschio dentro di sé. Ogni qualvolta si immaginava loro due insieme, aveva sentito una sorta di fuoco, di formicolio sulla pelle. Ma la realtà era stata troppo sconvolgente. Lei era totalmente impreparata, e adesso rimpiangeva che non fosse durato più a lungo e che il tutto non fosse stato un po' meno intenso. Aveva la sensazione che, se Wrath si fosse mosso con più calma, le sarebbe piaciuto. Ma, d'altra parte, in quel momento non stava pensando a lei. Marissa strinse di nuovo le dita a pugno. Avrebbe fatto a meno di Wrath. Però voleva che lui avesse un assaggio del dolore che lei aveva dovuto sopportare. Wrath circondò Beth con le braccia e la strinse forte a sé, guardando Rhage oltre la sommità della sua testa. Vederla alleviare le sofferenze del compagno aveva abbattuto ogni sua resistenza. Affetto per i fratelli, affetto per lui, pensò. Era il codice più antico nella classe dei guerrieri. «Vieni nel mio letto» le sussurrò all'orecchio. Lei gli permise di prenderla per mano e di guidarla verso la sua stanza. Una volta dentro, Wrath chiuse la porta a chiave e spense tutte le candele tranne una. Poi sciolse la cintura dell'accappatoio che Beth aveva indosso e le fece scivolare giù dalle spalle la camicia da notte di raso. La pelle nuda di lei riluceva alla luce dell'unica fiammella accesa. Lui si tolse i calzoni di pelle. E poi insieme si stesero sul letto. Non voleva sesso. Non ora. Voleva solo avere un po' di conforto, sentire la pelle calda di lei contro la sua, il respiro che gli accarezzava lieve il petto, i loro cuori che battevano all'unisono. E voleva ricambiarla con la stessa pace. Le accarezzò i lunghi capelli, morbidi come seta, e inspirò a fondo. «Wrath?» La voce di lei risuonava armoniosa nel silenzio; gli piaceva sentire la sua gola vibrare contro i pettorali. «Sì?» disse lui, baciandola sulla testa. «Chi hai perso?» chiese Beth cambiando posizione e appoggiando il mento contro il suo torace. «Perso?» «Chi ti hanno portato via, i lesser?» Quella domanda giungeva inaspettata, un fulmine a ciel sereno. Ma poi Wrath capì. Beth aveva visto con i suoi occhi le conseguenze di uno scontro fra un vampiro e i suoi nemici e in qualche modo aveva intuito che lui non combatteva solo per la sua razza, ma anche per se stesso. Passarono parecchi minuti prima che riuscisse a rispondere. «I miei genitori.» Sentì le emozioni di lei passare dalla curiosità al dolore. «Mi dispiace.» Ci fu un lungo silenzio. «Che cosa è successo?» Domanda interessante, pensò lui. Perché esistevano due versioni. Nel folclore dei vampiri quella notte sanguinosa aveva assunto ogni sorta di implicazioni eroiche, essendo vista come il preludio alla nascita di un grande guerriero. Quel racconto fantastico non era opera di Wrath. La sua gente aveva bisogno di credere in lui, perciò aveva creato quello che le serviva per sostenere una fede malriposta. Soltanto lui conosceva la verità. «Wrath?» Il vampiro posò gli occhi sulla bellezza sfocata del volto di lei. Era difficile resistere alla gentilezza del suo tono. Beth voleva offrirgli compassione e, per qualche arcano motivo, lui aveva voglia di accettarla. «È stato prima della mia transizione» mormorò. «Molto tempo fa.» La sua mano si fermò tra i capelli di lei, i ricordi lo assalirono, vividi e raccapriccianti. «Eravamo la Prima Famiglia e credevamo di essere al sicuro dai lesser. Le nostre case erano ben protette, ben nascoste nelle foreste, e ci trasferivamo in continuazione.» Continuò a parlare accarezzandole i capelli. «Era inverno, una gelida notte di febbraio. Uno dei nostri domestici ci tradì svelando il luogo in cui vivevamo. I lesser piombarono nella nostra tenuta massacrando tutti quelli che incontrarono sulla loro strada prima di abbattere le mura di pietra che la circondavano. Erano un manipolo di quindici o venti. Non dimenticherò mai il fracasso che fecero quando tempestarono di pugni la porta dei nostri alloggi privati. Mio padre gridò per farsi portare le armi, costringendomi a strisciare in una sorta di intercapedine sotto il pavimento. Mi chiuse dentro appena prima che i lesser abbattessero la porta con un ariete. Era bravo con la spada, ma loro erano troppi.» Beth gli accarezzò il viso. Wrath udì appena le parole dolci che uscivano dalle sue labbra. Chiuse gli occhi, rivedendo le macabre immagini che avevano ancora la capacità di strapparlo al sonno. «Trucidarono la servitù, poi uccisero i miei genitori. Io ho visto ogni cosa attraverso un foro nel legno. Come ti ho detto, a quei tempi i miei occhi funzionavano meglio.» «Wrath...» «Mentre succedeva tutto questo, il frastuono era tale che non mi sentirono gridare» proseguì lui, rabbrividendo. «Lottavo per liberarmi, spingevo come un pazzo, ma il chiavistello era solido e io ero debole. Grattavo il legno, l'ho graffiato fino a spezzarmi le unghie e a sanguinare. Scalciavo...» Il respiro si fece sempre più irregolare, la pelle si coprì di un velo di sudore freddo, il corpo reagiva al ricordo dell'orrore di ritrovarsi prigioniero in uno spazio tanto angusto. «Dopo che se ne furono andati, mio padre cercò di trascinarsi fino a me. Lo avevano pugnalato al cuore e lui era... Spirò a meno di un metro dal mio nascondiglio, con le braccia protese verso di me. Io continuai a chiamarlo, senza mai smettere, finché persi la voce. Lo supplicavo di resistere... anche se dal buco nel pavimento vedevo la luce nei suoi occhi smorzarsi fino a spegnersi del tutto. Sono rimasto intrappolato là dentro per ore. La notte successiva arrivarono dei vampiri civili e mi liberarono.» Sentì una carezza tenerissima sulla spalla e si portò alle labbra la mano di Beth, baciandola sul palmo. «Prima di andarsene, i lesser avevano spalancato i tendaggi alle finestre. Quando il sole sorse inondando la stanza, i cadaveri dei vampiri presero fuoco e si ridussero in cenere. Non mi è rimasto niente da seppellire.» Sentì qualcosa sulla faccia. Una lacrima. Di Beth. Allungò una mano per accarezzarle la guancia. «Non piangere.» Ma era commosso dalla sua compassione. «Perché no?» «Perché non cambia niente. Io ho pianto mentre assistevo a quel massacro, e loro sono morti lo stesso.» Si voltò su un fianco e la trasse più vicina a sé. «Se solo avessi potuto... Mi capita ancora di sognare quella notte. Sono stato un vigliacco. Avrei dovuto essere là fuori con la mia famiglia, a combattere.» «Ma saresti morto.» «Come dovrebbe morire un maschio. Proteggendo i suoi cari. Questo sì che è onorevole. Invece io frignavo nascosto sotto il pavimento» sibilò disgustato. «Quanti anni avevi?» «Ventidue.» Lei si accigliò, quasi avesse dato per scontato che fosse molto più giovane. «È successo prima della tua transizione, vero?» «Sì.» «Com'eri, a quel tempo?» chiese Beth, lisciandogli i capelli. «È difficile immaginarti nascosto in un posto così piccolo, grande e grosso come sei adesso.» «Ero diverso.» «Hai detto che eri debole.» «Esatto.» «Quindi forse avevi bisogno di essere protetto.» «No!» gridò Wrath montando su tutte le furie. «Un maschio deve proteggere, mai il contrario.» Lei si ritrasse di colpo. Mentre il silenzio si prolungava, Wrath capì che Beth stava riflettendo su quello che lui aveva fatto. La vergogna lo indusse a staccarsi da lei. Rotolò via, sdraiandosi sulla schiena. Non avrebbe dovuto dirle niente. Riusciva a immaginare quello che pensava adesso. In fin dei conti, come poteva non essere disgustata dal suo fallimento? Dal fatto che si era mostrato debole proprio quando la sua famiglia aveva più bisogno di lui? Con un senso di umiliazione si chiese se Beth lo avrebbe ancora voluto, se lo avrebbe ancora accolto di buon grado dentro la sua calda carne. O invece per lei era finita, ora che sapeva? Attese che si rivestisse e se ne andasse. Ma lei non si mosse. Logico, pensò Wrath. La transizione era imminente e lei aveva bisogno del suo sangue. Era una questione di forza maggiore. La udì sospirare, al buio, quasi arrendendosi a qualcosa di superiore. Rimasero a lungo immobili così, sdraiati l'uno accanto all'altra, vicini ma senza toccarsi; non avrebbe saputo dire per quanto, ma dovevano essere passate ore. Wrath si assopì brevemente; si svegliò di soprassalto quando Beth si spostò contro di lui, le gambe nude che si muovevano sopra le sue. Fu scosso da un impeto di desiderio, che però represse con rabbiosa determinazione. La mano di Beth gli sfiorò il petto leggera, poi scese verso il ventre e l'inguine. Lui trattenne il respiro, subito eccitato, l'erezione tormentosamente prossima al punto in cui lei lo stava toccando. Il corpo di lei era sempre più vicino, i seni gli accarezzavano il costato, il monte di Venere gli sfregava contro la coscia. Forse era ancora addormentata. Poi lei lo prese in mano. Con un gemito, Wrath inarcò la schiena. Le sue dita si muovevano sicure mentre lo accarezzava. Istintivamente Wrath cercò di toccarla, impaziente di prendere quello che lei sembrava offrirgli, e lei lo fermò. Si mise in ginocchio e, premendogli i palmi sulle spalle, lo fece ridistendere sul materasso. «Questa volta è per te» sussurrò, baciandolo con tenerezza. Lui quasi non riusciva a parlare. «Tu mi vuoi... ancora?» Lei inarcò le sopracciglia, confusa. «Perché non dovrei?» Con un patetico mugolio misto di sollievo e gratitudine, Wrath fece per prenderla di nuovo, e di nuovo lei gli impedì di avvicinarsi. Lo spinse giù e gli afferrò i polsi, sollevandogli le braccia sopra la testa. Lo baciò sul collo. «L'ultima volta che siamo stati insieme tu sei stato molto... generoso. Meriti lo stesso tipo di trattamento.» «Ma il tuo piacere è anche il mio.» La voce di lui era velata di desiderio. «Non puoi sapere quanto mi piace farti venire.» «Io non ne sarei così sicura.» La sentì muoversi, poi la mano di lei gli sfiorò l'erezione. Con un gemito soffocato nel petto, lui si inarco sul materasso. «Forse una vaga idea ce l'ho» disse Beth. «Non sei tenuta a farlo» disse con voce strozzata lui, cercando ancora una volta di afferrarla. Lei si appoggiò con tutto il peso sui suoi polsi, tenendolo fermo. «Rilassati. Lascia che sia io a condurre il gioco.» Wrath rimase a fissarla incredulo, in spasmodica attesa di quello che sarebbe seguito, mentre lei premeva le labbra sulle sue. «Voglio farti mio» mormorò Beth. Con una pressione vellutata gli infilò la lingua in bocca, penetrandolo. Scivolò dentro e fuori come se lo stesse scopando. Lui si irrigidì. A ogni nuova spinta, lei affondava sempre più dentro di lui, dentro il suo corpo, dentro il suo cervello. Dentro il suo cuore. Lo stava possedendo, lo stava facendo suo, gli stava lasciando il suo marchio addosso. Quando si staccò dalla sua bocca passò a leccargli il collo. Gli succhiò i capezzoli. Fece scorrere con delicatezza le unghie sul ventre. Gli mordicchiò le ossa del bacino. Lui si aggrappò alla testata del letto e tirò con forza, facendo vibrare e scricchiolare l'intelaiatura. Ondate di calore rovente lo indussero a credere che stesse per perdere i sensi. Sudava a più non posso. Il cuore gli martellava nel petto con tale violenza che cominciò a saltare dei battiti. Dalle labbra gli uscirono delle parole, un flusso di coscienza nell'antico idioma, un'espressione gutturale di quello che lei gli stava facendo. Di quanto fosse bella ai suoi occhi. Nell'attimo in cui gli prese in bocca il membro in erezione, lui fu sul punto di venire. In preda agli spasmi, gridò. Lei si ritrasse, dandogli il tempo di riprendersi. Quindi lo sottopose a un'autentica tortura. Sapeva esattamente quando fermarsi e quando ricominciare. La combinazione di quella bocca umida sulla turgida sommità del pene e delle mani che si muovevano su e giù lungo la verga era un attacco incrociato che lui riuscì a reggere a stento. Più e più volte lo portò sull'orlo dell'orgasmo, finché fu ridotto a supplicarla. Alla fine Beth si mise a cavallo del suo inguine, rimanendo sospesa sopra di lui. Wrath abbassò lo sguardo sui loro corpi avvinti. Le cosce di lei erano completamente divaricate sopra l'erezione turgida, palpitante, e lui rischiò di perdere il controllo. «Prendimi» mugolò, implorante. «Ti prego.» Beth lo fece scivolare dentro di sé, una sensazione che lui percepì in tutto il corpo. Tesa, bagnata e calda, lei lo avviluppò completamente. Cominciò a muoversi avanti e indietro a un ritmo lento, regolare, e lui non resistette a lungo. Quando venne, gli parve di spezzarsi in due: l'esplosione di energia che si sprigionò generò un'onda d'urto che investì l'intera stanza, scuotendo i mobili e spegnendo l'unica candela accesa. Quella era la prima volta che qualcuno si prendeva tanto disturbo per farlo godere, si rese conto Wrath; gli sembrava di librarsi lentamente sopra la terra. Gli veniva voglia di piangere al solo pensiero che lei lo volesse ancora. Al buio Beth sorrise nell'udire il gemito di Wrath quando il suo corpo venne scosso dai fremiti. La violenza dell'orgasmo la fece venire a sua volta; si lasciò cadere sopra il suo petto ansimante, mentre deliziose ondate di piacere le toglievano il respiro. Temendo di essere troppo pesante, fece per spostarsi, ma lui la bloccò tenendola per i fianchi. Le parlò in una bellissima cascata di suoni che lei non capì. «Come?» «Resta dove sei» disse in inglese Wrath. Beth si sistemò meglio sopra di lui, rilassandosi completamente. Ora stava bene. Si chiese che cosa le avesse detto mentre facevano l'amore, ma il tono della sua voce, rispettoso, adorante, era già abbastanza eloquente. Qualunque cosa fosse, erano le parole di un innamorato. «La tua lingua è bellissima» mormorò. «Non ci sono parole degne di te.» La sua voce suonava diversa. Lui le sembrava diverso. Niente più barriere, pensò Beth. In quel momento tra loro non c'erano più barriere. Quella sua abitudine di stare sempre in guardia, sempre all'erta, sempre sul chi vive, quelle sue difese da predatore erano scomparse. In modo del tutto inaspettato, lei sentì crescere dentro di sé un istinto protettivo nei suoi confronti. Era strano provare un sentimento simile per qualcuno fisicamente tanto più forte di lei. Ma lui aveva bisogno di essere salvaguardato. In quell'attimo di pace, nel buio fitto, lei percepiva tutta la sua vulnerabilità. Il suo cuore era quasi a portata di mano. Dio, che storia terrificante la morte dei suoi genitori! «Wrath?» «Hmm?» Voleva ringraziarlo per avergliela raccontata, ma temeva di rovinare la fragile comunione che si era creata tra loro. «Ti ha mai detto nessuno quanto sei bello?» Lui ridacchiò. «I guerrieri non sono belli.» «Invece tu lo sei. Per me sei bellissimo.» Lui smise di respirare. Poi la scostò da sé. Con un movimento repentino scese dal letto e, qualche istante dopo, in bagno si accese una luce fioca. Beth udì scorrere l'acqua. Doveva saperlo che non sarebbe durata, ma aveva lo stesso voglia di piangere. Cercò a tentoni i suoi abiti, li trovò e si vestì. Quando Wrath uscì dal bagno lei si stava già avviando verso la porta. «Dove stai andando?» «Al lavoro. Non so che ora sia, ma di solito attacco verso le nove, quindi sono certa di essere in ritardo.» In quell'oscurità non ci vedeva bene, comunque alla fine trovò la porta. «Non voglio che tu te ne vada.» Wrath le era già accanto, la sua voce la fece trasalire. «Io ho una vita. Ho bisogno di tornare alla mia vita.» «La tua vita è qui.» «No.» Cercò a tastoni i chiavistelli, ma non riuscì a spostarli di un solo millimetro, nemmeno spingendo con tutte le forze. «Vuoi lasciarmi uscire sì o no?» farfugliò. «Beth...» Le prese le mani tra le sue costringendola a fermarsi. Le candele si accesero all'improvviso, assecondando il suo desiderio di farsi vedere bene da lei. «Mi dispiace di non avere... un carattere più facile.» Lei si liberò dalla stretta. «Non era mia intenzione metterti in imbarazzo. Volevo solo che sapessi cosa provavo, tutto qua.» «E io trovo difficile credere che tu non mi trovi disgustoso.» Beth lo guardò incredula. «Santo cielo! E perché mai dovrei trovarti disgustoso?» «Perché sai cosa è successo.» «Con i tuoi genitori?» Lei lo guardò a bocca aperta. «Vediamo di chiarirci su questo punto. Tu pensi che io debba essere disgustata perché sei stato costretto ad assistere impotente al massacro di tua madre e di tuo padre?» «Io non ho fatto nulla per salvarli» ringhiò lui. «Ma eri chiuso a chiave sotto il pavimento.» «Sono stato un vigliacco.» «Niente affatto.» Spazientirsi era ingiusto, probabilmente, ma perché Wrath non riusciva a vedere il passato con maggiore lucidità? «Come fai a dire...» «Ho smesso di gridare!» La sua voce riecheggiò per tutta la stanza, facendola sobbalzare. «Come?» sussurrò Beth. «Ho smesso di gridare. Quando i lesser hanno finito di massacrare i miei genitori e i doggen, io ho smesso di gridare. Loro hanno cercato dappertutto, hanno perlustrato in ogni stanza. Stavano cercando me. E io sono rimasto zitto. Mi sono tappato la bocca con la mano e ho pregato che non mi trovassero.» «Ma è naturale» disse con dolcezza lei. «Tu volevi semplicemente vivere.» «No» ribatté con forza lui. «Io avevo paura di morire.» Beth avrebbe voluto toccarlo, ma era certa che lui l'avrebbe respinta. «Ma perché non capisci, Wrath? Tu eri solo una vittima, proprio come il resto della tua famiglia. L'unica ragione per cui oggi sei qui è che tuo padre ti amava a tal punto da metterti in salvo. Sei rimasto zitto perché volevi sopravvivere. Non c'è niente di cui vergognarsi.» «Mi sono comportato da vigliacco.» «Non essere ridicolo! Avevi appena assistito all'assassinio dei tuoi genitori!» Beth scosse la testa; la frustrazione rendeva tagliente il tono della sua voce. «Stammi bene a sentire... tu devi riesaminare quello che è successo. Hai lasciato che quelle ore terribili ti segnassero, e chi potrebbe fartene una colpa? Però vedi le cose in modo completamente sbagliato. Completamente sbagliato. Lascia perdere le stupidaggini sull'onore del guerriero e cerca di essere più indulgente con te stesso.» Silenzio. Oh, cavolo. L'aveva combinata grossa. Wrath si era finalmente aperto con lei e lei gli aveva risbattuto in faccia tutta la sua vergogna. Bel modo di incoraggiare l'intimità tra loro due. «Wrath, scusami, non avrei dovuto...» Lui la interruppe bruscamente. La voce e il volto erano duri come la pietra. «Nessuno mi ha mai parlato come hai fatto tu.» Oh, merda. «Mi dispiace davvero. È solo che proprio non riesco a capire perché...» Wrath la prese tra le braccia e la strinse forte, ricominciando a parlare in quella sua lingua misteriosa. Quando si staccò da lei concluse il suo monologo con qualcosa tipo leelan. «È la parola che i vampiri usano per dire "stronza"?» domandò Beth. «No, tutto il contrario» rispose lui, baciandola. «Diciamo solo che io ti rispetto enormemente, anche se non posso essere d'accordo con l'interpretazione che dai del mio passato.» Lei gli mise la mano sul collo. «Però dovrai accettare il fatto che tutto quello che ti è successo non cambia in alcun modo la stima che nutro nei tuoi confronti. Sebbene io sia profondamente addolorata per te, per la tua famiglia e per quello che tutti voi avete dovuto passare.» Lunga pausa. «Wrath? Ripeti dopo di me: "Sì, Beth, capisco, e credo nella sincerità dei sentimenti che provi per me". Forza!» Altra pausa. «Subito, senza aspettare.» «Sì» brontolò a denti stretti lui. Dio, se avesse serrato ancora un po' la mascella gli sarebbero saltati via i denti davanti. «Sì che cosa?» «Sì, Beth.» «"Credo che tu sia stata sincera quando hai detto quello che provi per me." Avanti, dillo.» Mugugnando, Wrath arrivò in fondo alla frase. «Bravo.» «Sei tosta, lo sai?» «Farò meglio a esserlo, se devo starti vicina.» All'improvviso lui le prese il volto tra le mani. «Lo voglio» disse con forza. «Che cosa.» «Che tu mi stia vicina.» Lei trattenne il respiro. Un barlume di speranza si accese nel suo petto. «Veramente?» Lui chiuse quei suoi occhi luminosi scrollando il capo. «Sì. È stupido, cazzo. È pazzesco. È pericoloso.» «Quindi s'inserisce perfettamente nella storia della tua vita.» Wrath riaprì gli occhi, scoppiò a ridere e la guardò. «Sì, più o meno.» Quello sguardo le spezzava il cuore tanto era tenero. «Beth, io voglio stare con te, ma tu devi capire che così diventerai un bersaglio. E io non so come fare a proteggerti. Non so come accidenti...» «Troveremo una soluzione» lo interruppe lei. «Possiamo farcela, insieme.» Lui la baciò. A lungo. Lentamente. Con tenerezza infinita. «Allora adesso rimani?» le chiese. «No. Devo proprio andare al lavoro.» «Non voglio che tu te ne vada» disse Wrath prendendole il mento fra le dita. «Detesto non poter uscire con te di giorno.» Ma i chiavistelli si sbloccarono e la porta si aprì. «Mi spieghi come fai?» chiese Beth. «Devi tornare prima che faccia buio.» Non era un invito, tutt'altro. Era un ordine. «Tornerò a una cert'ora dopo il tramonto.» Lui ringhiò. «E prometto di chiamarti se dovesse succedere qualcosa di strano». Roteò gli occhi. Cribbio, doveva rivedere il significato di quella parola. «O meglio, di più strano.» «Non sono tranquillo.» «Starò attenta» promise Beth. Poi lo baciò e si avviò su per le scale. Sentiva ancora su di se gli occhi di Wrath quando spinse il quadro e uscì in salotto. CAPITOLO 32 Beth andò a casa, diede da mangiare a Boo e arrivò in ufficio subito dopo mezzogiorno. Per una volta non stava morendo di fame e lavorò durante la pausa pranzo. Be', più o meno. Non riuscì veramente a concentrarsi e per lo più si limitò a spostare da un punto all'altro della scrivania le pile di fogli che vi erano ammucchiati. Nel corso della giornata Butch le lasciò due messaggi in cui confermava l'appuntamento da lei, quella sera, intorno alle otto. Alle quattro Beth decise di annullare l'incontro. Non ne sarebbe venuto fuori niente di buono. Lei non avrebbe mai consegnato Wrath alla polizia, e se credeva che Ossoduro l'avrebbe trattata con i guanti solo perché lei gli piaceva e perché erano a casa sua, be', si stava illudendo. Tuttavia non aveva intenzione di fare lo struzzo nascondendo la testa nella sabbia. Sapeva che la polizia l'avrebbe chiamata per interrogarla. Come poteva essere diversamente? Fino a quando Wrath restava un sospettato lei si trovava in una posizione delicata. Doveva cercarsi un buon avvocato e aspettare di essere convocata. Di ritorno dalla fotocopiatrice guardò fuori dalla finestra. Il cielo del tardo pomeriggio era nuvoloso, e nell'aria pesante, biancastra, aleggiava la promessa di un violento temporale. Fu costretta a distogliere lo sguardo. Gli occhi le facevano male e il fastidio non diminuì nemmeno quando batté ripetutamente le palpebre. Tornata alla sua scrivania, buttò giù due aspirine e chiamò la centrale in cerca di Butch. Quando seppe da Ricky che era stato messo in congedo non retribuito chiese di parlare con José. Il detective prese subito la chiamata. «La sospensione di Butch. Quando è successo?» indagò Beth. «Ieri pomeriggio.» «Lo licenzieranno?» «In via ufficiosa? È probabile.» Quindi alla fine Butch non si sarebbe presentato a casa sua. «Dove sei, adesso, bellezza?» volle sapere José. «Al lavoro.» «È una bugia?» Il tono di José era triste, non polemico. «Controlla sul tuo identificatore di chiamata.» Il poliziotto fece un profondo sospiro. «Devo chiederti di venire qui.» «Lo so. Puoi lasciarmi un po' di tempo per cercare un avvocato?» «Pensi di averne bisogno?» «Sì.» José imprecò. «Devi mollare quel tizio.» «Ti richiamo dopo.» «Ieri notte è stata ammazzata un'altra prostituta. Stesso modus operandi.» La notizia la indusse a riflettere. Non avrebbe saputo dire cosa aveva combinato Wrath quando era uscito. Ma che utilità poteva avere per lui una prostituta morta? Va be', due prostitute morte. L'ansia schizzò alle stelle facendole pulsare le tempie. Però proprio non ce lo vedeva, Wrath, a sgozzare una povera donna indifesa per poi lasciarla a morire in un vicolo. Lui era micidiale, non malvagio. D'accordo, operava al di fuori della legge, eppure Beth non riusciva a immaginarselo mentre toglieva la vita a qualcuno che non lo aveva minacciato. Specialmente dopo quanto era accaduto ai suoi genitori. «Ascolta, Beth» sospirò José. «Non c'è bisogno che ti dica quanto è seria la situazione. Quell'uomo è il nostro principale sospettato in tre casi di omicidio, e ostacolare la giustizia è un'accusa grave. Mi dispiace, ma dovrò metterti dietro le sbarre.» «Ieri sera non ha assassinato nessuno» ribatté Beth. Aveva il voltastomaco. «Quindi ammetti di sapere dove si trova.» «Adesso devo andare, José.» «Beth, per favore, non proteggerlo. È pericoloso...» «Non ha ucciso lui quelle donne.» «Lo pensi tu.» «Sei stato un vero amico, José.» «Maledizione!» sbottò il detective, poi aggiunse un paio di imprecazioni in spagnolo. «Trovati alla svelta un avvocato, Beth.» Lei riattaccò, afferrò la borsa e spense il computer. L'ultima cosa che voleva era vedere José piombarle lì in ufficio e trascinarla via in manette. Doveva correre a casa, prendere dei vestiti e tornare da Wrath al più presto possibile. E sparire insieme? Così, semplicemente. Forse quella era la sola alternativa a loro disposizione. Perché presto o tardi la polizia li avrebbe rintracciati. Quando uscì in Trade Street aveva un nodo allo stomaco e l'afa le risucchiò subito tutta l'energia. Non appena mise piede nel suo appartamento si versò un bicchiere d'acqua ghiacciata; provò a berla, ma il suo intestino si chiuse. Probabilmente si era beccata un qualche virus. Prese due Tums e le tornò in mente Rhage. Forse era stato lui ad attaccarle qualcosa. Dio, gli occhi le facevano un male terribile. Doveva cominciare subito a preparare i bagagli, lo sapeva, eppure si liberò della tenuta da lavoro, si infilò una T-shirt e un paio di pantaloncini corti e si sedette sul futon. Voleva solo tirare un po' il fiato ma, una volta seduta, non riuscì più a muoversi. Con la mente annebbiata, come se i circuiti del suo cervello fossero sul punto di andare in tilt, rammentò la ferita di Wrath. Alla fine non le aveva detto come se l'era procurata. E se aveva veramente aggredito la prostituta e la donna aveva reagito? Si premette le dita sulle tempie mentre un'ondata di nausea le riempiva la gola di bile. Davanti agli occhi le baluginavano delle luci. No, non era influenza. Si era beccata un'emicrania da guinness dei primati. Wrath rifece il numero per l'ennesima volta. Evidentemente Tohrment stava controllando l'identificatore di chiamata ed evitava di rispondere. Maledizione. Scusarsi gli faceva schifo, ma questa volta voleva farlo sul serio. Perché sarebbe stata una vera bomba. Si portò il cellulare a letto e si appoggiò contro la testiera. Aveva voglia di chiamare Beth. Così, tanto per sentire la sua voce. Già, e lui era quello convinto di poter levare tranquillamente le tende dopo la sua transizione? Riusciva a malapena a starle lontano per un paio d'ore! Cristo santo, si era preso proprio una cotta in piena regola per quella femmina. Era incredibile quello che gli era uscito di bocca l'ultima volta che avevano fatto l'amore. E non contento di tante smancerie le aveva pure detto che lei era la sua leelan, proprio la ciliegina sulla torta. Tanto valeva ammetterlo. Tutto lasciava pensare che si stesse innamorando. E, se questo non fosse già abbastanza scioccante, lei era per metà umana. Oltre a essere la figlia di Darius. Ma come poteva non adorarla? Era dotata di una forza di volontà che non aveva niente da invidiare alla sua. Ripensò al modo in cui gli aveva tenuto testa, discutendo con lui del suo passato. In pochissimi avrebbero osato tanto, e lui sapeva da dove le derivava tanto coraggio. Suo padre probabilmente avrebbe fatto lo stesso. Quando il cellulare squillò, rispose senza esitare. «Sì?» «Abbiamo un problema.» Era Vishous. «Ho appena letto il giornale: un'altra prostituta morta in un vicolo, dissanguata.» «E allora?» «Sono entrato nel database del coroner. In entrambi i casi le femmine presentano dei segni di morsi sul collo.» «Cazzo! Zsadist.» «L'ho pensato anch'io. Continuo a ripetergli che deve cercare di trattenersi... Devi fargli un discorsetto.» «Lo farò stanotte stessa. Di' agli altri di venire subito qui. Ho intenzione di rimetterlo in riga davanti a tutti.» «Ottimo piano. Così poi noi potremo staccarti le mani dalla sua gola quando comincerà a prenderti a male parole.» «Ehi, sai per caso dov'è Tohr? Non riesco a trovarlo.» «Non ne ho idea, ma se vuoi passo da casa sua prima di venire. Tanto è sulla strada.» «Fallo. Stasera lo voglio qui» disse Wrath, e riattaccò. Dannazione. Qualcuno doveva mettere una museruola a Zsadist. O conficcargli un pugnale nel petto. Butch fermò la macchina con tutta calma. Non aveva nessuna vera speranza di trovare Beth in casa, comunque si avvicinò lo stesso al portone principale e suonò il citofono. Nessuna risposta. Ma che sorpresa. Girò intorno al palazzo e attraversò il cortile. Era già buio, quindi il fatto che nell'appartamento di Beth le luci fossero spente non era incoraggiante. Facendosi schermo con le mani, cercò di sbirciare all'interno dalla porta a vetri. «Beth! Oh, Dio!» Beth era riversa a faccia in giù sul pavimento, un braccio allungato davanti a sé verso un telefono fuori dalla sua portata. Le gambe in una posa scomposta, come se si fosse contorta in preda al dolore. «No!» gridò il poliziotto, picchiando sul vetro. Lei si mosse leggermente, come se lo avesse sentito. Butch si avvicinò a una finestra, si tolse una scarpa e si mise a batterla sul vetro finché non si incrinò e andò in frantumi. Quando infilò la mano all'interno per sbloccare la serratura si tagliò, ma per soccorrere Beth era pronto anche a perdere un braccio. Si precipitò all'interno andando a sbattere contro un tavolo. «Beth! Mi senti?» Lei aprì la bocca. Le labbra si muovevano con estrema lentezza, ma non ne usciva alcun suono. Butch controllò se c'era del sangue ma non ne vide, quindi con cautela la fece rotolare sulla schiena. Era pallida come un morto, sudaticcia, in stato di semincoscienza. Quando aprì gli occhi, notò che aveva le pupille completamente dilatate. Le spalancò le braccia in cerca di segni di punture. Niente, ma non aveva intenzione di perdere tempo a levarle le scarpe per controllare fra le dita dei piedi. Prese il cellulare e chiamò il 911. Non appena il servizio d'emergenza rispose non si perse in chiacchiere. «Ho qui una probabile overdose.» Beth alzò faticosamente un braccio scuotendo la testa. Stava cercando di levargli il telefono di mano. «Stai ferma, piccola. Adesso ci penso io...» La voce dell'operatore lo interruppe. «Signore? Pronto?» «Portami da Wrath» mugolò Beth. «Scordatelo.» «Mi scusi?» disse l'operatore. «Signore, può dirmi che cosa sta succedendo?» «Un caso di overdose, credo eroina. Ha le pupille fisse e dilatate. Non ha ancora vomitato...» «Wrath, devo andare da Wrath.» «... ma entra ed esce dallo stato di incoscienza...» A quel punto Beth si sollevò dal pavimento di scatto e gli strappò di mano il cellulare. «Sto per morire...» «Neanche per sogno!» gridò Butch. Lei lo afferrò per la camicia. Tremava tutta, aveva il davanti della maglietta macchiato di sudore. «Ho bisogno di lui.» Il poliziotto la guardò dritto negli occhi. Si era sbagliato. Sbagliato di grosso. Quella non era un'overdose, era una crisi di astinenza. Scosse la testa. «No, piccola.» «Ti prego. Ho bisogno di lui. Morirò.» All'improvviso si raggomitolò in posizione fetale, come se una fitta di dolore l'avesse piegata in due. Il cellulare le scivolò di mano. «Butch... ti prego.» Cazzo. Stava proprio male. Se la portava al pronto soccorso rischiava di morire per strada o mentre aspettava di essere visitata. E il metadone serviva a placare i dolori da crisi d'astinenza, non a salvare un drogato che stava precipitando in caduta libera. Cazzo. «Aiutami.» «Che Dio lo stramaledica» sbottò Butch. «È lontano?» «Wallace.» «Avenue?» Lei annuì. Butch non poteva permettersi di pensare, la prese in braccio e la portò fuori attraversando il cortile. Lo avrebbe inchiodato, quel bastardo. Wrath incrociò le braccia al petto e si appoggiò contro il muro del salotto. In piedi, tutt'intorno a lui, i membri della confraternita aspettavano che parlasse. C'era anche Tohr, che però, da quando era entrato insieme a Vishous, si era rifiutato di incrociare lo sguardo del capo. E va bene, pensò Wrath, allora sistemeremo la cosa in pubblico. «Fratelli miei, abbiamo due faccende da sistemare» esordì guardando in faccia Tohr. «Ho offeso gravemente uno di voi. Quindi, in conformità alla tradizione, offro un rytho a Tohrment.» Di colpo Tohr si fece attento. Gli altri erano ugualmente sorpresi. Era un gesto senza precedenti, e Wrath lo sapeva bene. Un rytho era essenzialmente un tiro libero, e il vampiro a cui veniva offerto poteva scegliere l'arma: pugno, pugnale, pistola o catene. Era una maniera rituale di ripristinare l'onore leso, valida sia per la vittima sia per il responsabile dell'offesa. Entrambi potevano uscirne purificati. Lo shock, palpabile nella stanza, non derivava tanto dall'atto in sé. I fratelli conoscevano bene il rituale. Data la loro natura aggressiva, ciascuno di loro, prima o poi, aveva offeso a morte qualcun altro. Wrath, però, per quanti peccati avesse commesso non aveva mai offerto un rytho a nessuno. Perché, secondo la legge dei vampiri, chiunque levasse un braccio o un'arma contro di lui poteva essere condannato a morte. «Ascoltami bene, Tohrment. Di fronte a questi testimoni» disse forte e chiaro Wrath, «io ti assolvo da ogni conseguenza. Accetti?» Tohr chinò il capo, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle e scosse lentamente la testa. «Io non posso colpirti, mio signore.» «E non puoi neppure perdonarmi, giusto?» «Non lo so.» «Non ti biasimo per questo.» Quanto avrebbe voluto che Tohr accettasse! Avevano bisogno entrambi di rappacificarsi. «Ti farò di nuovo la stessa offerta in un altro momento.» «E io rifiuterò sempre.» «Così sia» disse Wrath, fulminando poi Zsadist con un'occhiataccia torva. «E adesso veniamo alla tua stramaledetta vita amorosa.» Z, in piedi dietro il suo gemello, si fece avanti con tutta calma. «Se c'è qualcuno che si è scopato la figlia di Darius, quello sei tu, non io. Qual è il problema?» Un paio dei fratelli imprecarono sottovoce. Wrath scoprì le zanne. «Questa te la farò passare, Z, solo perché so quanto ti piace essere picchiato, e non sono dell'umore adatto per farti felice» ribatté, e si mise in posizione di attacco, nel caso l'altro vampiro gli si fosse avventato contro. «Voglio che tu ti dia una calmata con le puttane. O per lo meno vedi di non lasciare tracce in giro, dopo che hai finito.» «Cosa stai farneticando?» «Non abbiamo bisogno di attirare l'attenzione.» Zsadist si voltò a guardare Phury, il quale disse: «I cadaveri. La polizia li ha trovati». «Quali cadaveri?» Wrath scosse la testa. «Cristo, Z, pensi davvero che gli sbirri sorvoleranno su due donne lasciate a morire dissanguate in un vicolo?» Zsadist avanzò verso Wrath; adesso i due vampiri erano talmente vicini che i loro petti si toccavano. «Io non ne so un cazzo di niente di tutta questa storia. Annusami. Sto dicendo la verità.» Wrath inspirò a fondo. Sentì l'odore dello sdegno, un'ondata penetrante che gli invase le narici come se qualcuno gli avesse spruzzato addosso deodorante agli agrumi. Non c'era traccia di ansia, nessun sotterfugio emotivo. Il guaio era che Z non era solo un assassino spietato e brutale, era anche un bugiardo matricolato. «Ti conosco troppo bene» sibilò Wrath, «per credere a una sola parola di quello che dici.» Z cominciò a ringhiare e allora Phury si mosse in fretta, stringendo un braccio poderoso intorno al collo del gemello e trascinandolo indietro. «Calma, Z» lo ammonì. Zsadist afferrò il polso del gemello e, con uno strattone, si liberò. Trasudava odio da tutti i pori. «Uno di questi giorni, mio signore, io ti...» Venne interrotto da un fragore di cannonate che colpivano il muro. Qualcuno stava tempestando il portone di pugni. I fratelli uscirono dal soggiorno trasferendosi tutti insieme nell'ingresso, i loro passi pesanti accompagnati dal clangore delle armi che venivano estratte e caricate. Wrath controllò il monitor sulla parete. Quando vide Beth tra le braccia dello sbirro trattenne il respiro. Spalancò il portone e fece per afferrarla, mentre l'umano si precipitava dentro. Ci siamo, pensò. Beth era in piena transizione. Il poliziotto fremeva di rabbia mentre il peso della ragazza veniva trasferito dall'uno all'altro. «Maledetto figlio di puttana! Come hai potuto farle questo?» Wrath non si prese la briga di rispondere. Stringendo Beth tra le braccia, si aprì in fretta un varco in mezzo al gruppo compatto di vampiri. Avvertiva il loro stupore, ma non aveva la minima intenzione di fermarsi a dare spiegazioni. «Nessuno deve uccidere l'umano a parte me» sbraitò. «E non lasciatelo uscire da questa casa finché non sarò tornato.» Poi attraversò in poche falcate il salotto, spinse da parte il quadro e corse giù per le scale il più in fretta possibile. Era essenziale non perdere tempo. Butch guardò lo spacciatore sparire con in braccio Beth. La testa della ragazza ballonzolava su e giù mentre si allontanavano in tutta fretta, i lunghi capelli di lei come un drappo di seta che sventolava. Per un attimo rimase paralizzato, combattuto tra la voglia di mettersi a urlare e il bisogno di piangere. Che spreco. Che spreco terribile. Poi alle sue spalle udì scattare la serratura della porta e si rese conto di essere circondato da cinque tra i più grossi e pericolosi bastardi che avesse mai visto. Una mano pesante come un'incudine gli calò sulla spalla. «Cosa ne direbbe di restare per cena?» Butch alzò gli occhi. Il tizio che aveva parlato portava un berretto da baseball e aveva un segno - un tatuaggio? - sulla faccia. «Cosa ne direbbe di essere lei la cena?» disse un altro che sembrava una specie di modello. La rabbia lo vinse di nuovo, gonfiandogli i muscoli. Si tirò su i calzoni. Questi qui hanno voglia di giocare? pensò. Benone. Già che siamo in ballo, balliamo. Li guardò dritti negli occhi uno dopo l'altro. Prima i due che avevano parlato, poi un terzo dall'aspetto relativamente normale che si teneva in disparte, quindi uno con una criniera di capelli incredibile, il genere di roba per cui una donna avrebbe pagato centinaia di bigliettoni da qualche parrucchiere alla moda. E l'ultimo. Butch fissò la faccia deturpata dalla cicatrice. Due occhi neri lo fissavano torvi, sostenendo il suo sguardo. Quello là, pensò, è l'unico da tenere d'occhio sul serio. Con una scrollata di spalle si liberò dalla stretta del tizio con il berretto. «Ditemi una cosa, ragazzi» disse strascicando le parole. «Tutto quel cuoio lo portate per eccitarvi a vicenda? È una specie di roba da macho, per voi?» Venne subito sbattuto con estrema violenza contro la porta. Il modello spinse la faccia perfetta contro la sua sibilando: «Se fossi in te, starei molto attento a quello che dici». «Perché prendersi tanto disturbo, visto che ci siete già voi a farlo al posto mio? Vuoi baciarmi, adesso?» L'altro emise un ringhio come Butch non ne aveva mai sentiti in vita sua. «Okay, okay» intervenne quello che sembrava il più normale del gruppo, facendo un passo avanti. «Stai indietro, Rhage. Ehi, vediamo di darci una calmata.» Ci volle un minuto buono prima che il modello si convincesse a lasciar perdere. «Ecco, così va bene. Stiamo calmi» bofonchiò Mr Normal dando una pacca sulla schiena del compare prima di guardare Butch. «E tu fai un favore a te stesso: chiudi il becco.» Il detective si strinse nelle spalle. «Il biondino muore dalla voglia di mettermi le mani addosso. Non posso farci niente.» Il biondino si scagliò di nuovo contro Butch e questa volta Mr Normal lo lasciò fare, alzando gli occhi al cielo. Il pugno che lo colpì all'altezza della mascella gli fece voltare la testa dall'altra parte. Il dolore che ne scaturì fece esplodere in tutta la sua violenza la rabbia. La paura per Beth, l'odio accumulato contro quei malviventi, la frustrazione per il suo lavoro... venne fuori tutto insieme. Il poliziotto agguantò l'avversario, ben più robusto, e lo gettò sul pavimento. Per un attimo l'altro rimase interdetto, quasi non si aspettasse una mossa così veloce e potente, e Butch approfittò dell'esitazione. Prima si vendicò colpendolo alla bocca, quindi lo afferrò per la gola. Un istante dopo si ritrovò sdraiato sulla schiena con il biondino seduto sul petto. Il vampiro prese tra le mani la faccia del poliziotto e cominciò a stringere, a stritolare. Era quasi impossibile respirare e Butch boccheggiò a vuoto. «Forse andrò a cercare tua moglie» disse il biondino «e me la farò un paio di volte. Cosa ne dici?» «Io non ho moglie.» «Allora andrò a cercare la tua ragazza.» Butch riuscì a inspirare un po' d'aria. «Non ho nessuna donna.» «Allora se le pollastre non vogliono scoparsi uno come te, che cosa ti fa pensare che voglia farlo io?» «Speravo di farti incazzare.» Due occhi di un incredibile blu elettrico si socchiusero in una fessura. Dovevano essere lenti a contatto, pensò Butch. Nessuno poteva avere gli occhi di quel colore. «E perché mai?» indagò il biondino. «Se ti avessi attaccato per primo» Butch si riempì i polmoni d'aria, «i tuoi compari non ci avrebbero lasciato il tempo di fare a botte. Mi avrebbero fatto fuori subito, senza neppure darmi il tempo di sfiorarti.» Il biondino allentò leggermente la presa e scoppiò a ridere mentre toglieva all'avversario il portafogli, le chiavi e il cellulare. «Sapete, questo scemo mi sta quasi simpatico» disse con voce strascicata. Qualcuno si schiarì la gola in modo alquanto forzato. Il biondino si rimise in piedi con un balzo e Butch rotolò su se stesso, ansimando. Quando guardò in su credette di avere le allucinazioni. In piedi nell'atrio c'era un ometto anziano in livrea con in mano un vassoio d'argento. «Domando scusa, signori. La cena verrà servita tra una quindicina di minuti.» «Ehi, quelle sono le crespelle agli spinaci che mi piacciono tanto?» chiese il biondino allungando le mani verso il vassoio. «Sì, signore.» «Cavolo, scottano.» Gli altri si raggrupparono intorno al maggiordomo prendendo gli stuzzichini insieme a dei tovagliolini da cocktail, come se non volessero sbriciolare per terra. Dove accidenti era finito? «Posso chiedervi un favore?» aggiunse il maggiordomo. Mr Normal annuì con vigore. «Portaci un altro vassoio di questa roba e ti ammazziamo tutti quelli che vuoi.» Già, c'era da aspettarselo che quel tizio non fosse normale. Non del tutto. Il domestico sorrise, quasi commosso. «Se avete intenzione di far sanguinare l'umano, sareste così cortesi da spostarvi nel cortile sul retro?» «Nessun problema» rispose Mr Normal infilandosi in bocca un'altra crespella. «Caspita, Rhage, hai proprio ragione. Questa roba è da urlo.» CAPITOLO 33 Wrath stava perdendo ogni speranza. Non riusciva a far rinvenire Beth. E la pelle della ragazza diventava ogni minuto più fredda. La scosse di nuovo sul letto. «Beth! Beth! Riesci a sentirmi?» Le mani di lei si contrassero, ma lui ebbe la sensazione che fossero spasmi involontari. Avvicinò un orecchio alla sua bocca. L'aria continuava a uscire, ma a intervalli lunghi. Troppo lunghi. E la forza dell'espirazione era debole. Troppo debole. «Maledizione!» Si scoprì il polso e stava per affondarvi le zanne quando si rese conto che voleva tenerla stretta, se era in grado di bere. Quando fosse stata in grado di bere. Si slacciò il fodero, estrasse un pugnale e si tolse la camicia. Si tastò il collo finché trovò la giugulare. Premette la punta del coltello sulla pelle e si tagliò. Il sangue sgorgò subito, docile, in un fiotto abbondante. Avvicinò la punta di un dito al taglio, la intinse nel sangue e poi la portò alle labbra di Beth. Quando gliela infilò delicatamente in bocca, la lingua di lei non ebbe nessuna reazione. «Beth» bisbigliò. «Torna da me.» Ripetè l'operazione cercando di farle bere il suo sangue. «Non morire, maledizione!» Le candele guizzarono nella stanza. «Io ti amo, accidenti a te! Accidentaccio a te, non arrenderti!» Adesso Beth aveva la pelle cianotica, persino lui riusciva a vedere che il suo colorito stava cambiando. Dalle labbra gli uscirono preghiere angosciate, antiche preghiere nella lingua dei suoi avi. Preghiere che credeva di avere dimenticato. Lei non si muoveva. Il Fado stava per inghiottirla. Wrath gridò in preda a una rabbia cieca, afferrandola con forza e scuotendola fino a ridurle i capelli in un groviglio. «Beth! Io non ti lascerò andare! Ti seguirò anch'io, piuttosto...» Con un gemito la strinse a sé. Mentre cullava avanti e indietro quel corpo gelido, i suoi occhi ciechi fissavano il muro nero che aveva davanti. Marissa si vestì con particolare cura, decisa a dare il meglio di sé per il primo pasto serale. Dopo aver passato in rassegna il guardaroba, scelse un lungo abito di chiffon color panna. Lo aveva acquistato la stagione precedente dalla collezione Givenchy, ma non lo aveva mai indossato. Il corpetto era aderente e un po' troppo scollato per i suoi gusti, anche se il taglio in stile impero garantiva un effetto complessivo assolutamente castigato. Si ravviò i capelli con vigorosi colpi di spazzola lasciandoli ricadere sciolti sulle spalle. Erano molto lunghi, ormai, e le arrivavano ai fianchi. Quella vista le riportò alla mente Wrath. Una volta lui aveva accennato a quanto fossero morbidi i suoi capelli, e lei li aveva fatti crescere sulla base del presupposto che più lunghi fossero stati più gli sarebbero piaciuti. E più gli sarebbe piaciuta lei. Forse adesso si sarebbe liberata di quelle lunghe ciocche bionde e ondulate. Una bella sforbiciata e via. La collera, che prima si era leggermente placata, si riaccese di nuovo. Marissa giunse a una decisione. Basta, non voleva più tenersi tutto dentro. Era giunto il momento di condividere quello che provava. Ma poi le tornò in mente la statura gigantesca di Wrath, i suoi lineamenti gelidi, duri, quella spaventosa presenza che incuteva tanta soggezione. Sarebbe stata in grado di affrontarlo? Non lo avrebbe mai saputo, se non ci avesse provato. E non aveva intenzione di lasciarlo veleggiare allegramente verso il futuro che lo attendeva, qualunque esso fosse, senza dirgli quello che pensava. Lanciò un'occhiata al suo orologio Tiffany. Se non si fosse presentata per cena e poi non avesse dato una mano in clinica, come promesso, Havers si sarebbe insospettito. Meglio aspettare qualche altra ora prima di andare da Wrath. Avrebbe atteso il momento più opportuno, al suo rientro a casa. Per certe cose valeva la pena di aspettare. «Grazie per avere accettato di vedermi, sensei.» «Billy, come stai?» Mr X mise da parte il menù che stava consultando tanto per passare il tempo. «Quando ho ricevuto la tua telefonata mi sono preoccupato. E poi non sei neanche venuto a lezione.» Mentre si lasciava scivolare nel séparé, Riddle non sembrava più così bello e sicuro di sé. Aveva gli occhi pesti e la stanchezza gli pendeva dalla faccia come pelle flaccida. «Qualcuno mi sta dando la caccia, sensei» disse incrociando le braccia al petto. Poi fece una pausa, forse domandandosi fin dove spingersi con le confidenze. «Questa storia per caso c'entra con il tuo naso rotto?» «Mah, non lo so.» «Be', sono contento che tu sia venuto da me, figliolo.» Altra pausa. «Puoi fidarti di me, Billy.» Riddle inspirò a fondo, quasi fosse in procinto di tuffarsi in piscina. «Papà è a Washington, come al solito, quindi ieri sera ho invitato a casa alcuni amici. Ci stavamo fumando una canna...» «Non dovresti farlo. Le droghe sono da evitare.» Billy si agitò, a disagio, giocherellando con la catenina di platino che portava al collo. «Lo so.» «Vai avanti.» «Dunque, io e i miei amici siamo vicino alla piscina e uno di loro vuole appartarsi con la sua ragazza. Io gli dico che possono usare il capanno, ma quando loro ci vanno la porta è chiusa a chiave. Io mi alzo per andare in casa a prendere la chiave e, quando torno, un tizio mi taglia la strada. Sembrava spuntato dal nulla. Era un caz… ehm, una specie di gigante. Lunghi capelli neri. Vestito di pelle da capo a piedi...» La cameriera arrivò tutta pimpante. «Che cosa posso port...» «Dopo» la interruppe brusco Mr X. Mentre la ragazza spariva in tutta fretta, Mr X annuì a Billy facendogli segno di continuare. Riddle prese il bicchier d'acqua di Mr X e bevve. «Insomma, mi ha spaventato a morte, mi guardava come se volesse mangiarmi per pranzo. Ma poi il mio amico mi chiama perché si sta chiedendo che fine ho fatto con la chiave. L'uomo ha detto il mio nome ed è svanito, proprio mentre il mio amico arrivava dal giardino.» Billy scosse la testa. «Mi chiedo come abbia fatto a scavalcare il muro di cinta. L'anno scorso papà ne ha fatto costruire uno tutto intorno ai terreni, dietro, perché aveva ricevuto delle minacce terroristiche o roba del genere. È alto tipo tre metri e mezzo e anche di più. E la casa era tutta chiusa sul davanti, con l'allarme inserito.» Mr X abbassò lo sguardo sulle mani di Billy. Le stringeva con forza. «Io... io sono un po' spaventato, sensei.» «E fai bene.» Riddle parve vagamente nauseato nel sentire confermati i suoi timori. «Allora, Billy, sentiamo un po', ti è mai capitato di uccidere?» Riddle si accigliò a quel repentino cambio di argomento. «Scusi?» «Ma sì, hai capito. Un uccello. Uno scoiattolo. Magari anche un gatto o un cane?» «No, sensei.» «No?» Mr X lo guardò dritto negli occhi. «Non ho tempo per le bugie, figliolo.» Billy si schiarì la gola. «Sì, be'. Forse. Quand'ero più giovane.» «E che cosa hai provato?» Un rossore salì lungo il collo di Billy. Le mani si staccarono. «Nada. Non ho sentito niente.» «Coraggio, Billy. Devi fidarti di me.» Gli occhi di Riddle scintillarono. «E va bene. Forse mi è piaciuto.» «Sì?» «Sì.» Riddle sputò fuori la parola a fatica. «Bene.» Mr X alzò la mano incrociando lo sguardo della cameriera. Lei se la prese comoda prima di avvicinarsi. «Di quell'uomo parleremo dopo. Prima voglio che mi racconti un po' di tuo padre.» «Mio padre?» «Adesso siete pronti a ordinare?» chiese la ragazza in tono stizzito. «Tu che cosa prendi, Billy? Offro io.» Riddle recitò metà del menù. Quando la cameriera se ne andò, Mr X riprese il discorso. «Allora, dicevamo, tuo papà?» Billy si strinse nelle spalle. «Non lo vedo molto. Ma lui è... sa... sì, insomma, un papà. Cioè, chi se ne importa di com'è?» «Ascolta, Billy.» Mr X si protese in avanti. «So che sei scappato di casa tre volte prima di compiere dodici anni, so che tuo padre ti ha mandato in una scuola privata subito dopo i funerali di tua madre e * so anche che quando ti sei fatto sbattere fuori dalla Northfield Mount Hermon lui ti ha spedito a Groton, e che quando ti hanno buttato fuori anche da lì lui ti ha messo in un'accademia militare. A me sembra che negli ultimi dieci anni abbia fatto di tutto per liberarsi di te.» «È molto impegnato.» «E tu gli hai dato del filo da torcere, eh?» «Può darsi.» «Allora ho ragione se dico che tu e il tuo adorato paparino non avete un rapporto propriamente idilliaco?» Mr X rimase in attesa di una risposta. «Dimmi la verità.» «Io lo odio» sbottò Riddle. «Perché?» Billy incrociò di nuovo le braccia al petto. I suoi occhi si fecero gelidi. «Perché lo odi, figliolo?» «Per il semplice fatto che esiste.» CAPITOLO 34 Beth contemplava uno sconfinato spazio bianco in lontananza. Era in una sorta di paesaggio onirico dai contorni indistinti, illimitati. Una figura solitaria, illuminata da dietro, si avvicinò emergendo dalla caligine. Lei avvertì che, qualunque cosa fosse, era di genere maschile, e non si sentì minacciata. Ebbe la sensazione di conoscerlo. «Padre?» mormorò, non sapendo bene se si riferisse al proprio padre oppure a Dio. Sebbene l'uomo fosse ancora piuttosto lontano, sollevò una mano in segno di saluto, come se l'avesse udita. Lei fece un passo avanti, sentendosi all'improvviso la bocca inondata da un sapore sconosciuto. Si toccò le labbra con la punta delle dita. Quando abbassò lo sguardo su di esse, vide rosso. La figura abbassò il braccio, come se sapesse cosa significava quella macchia. Beth ripiombò nel proprio corpo. Era come essere catapultata in aria e poi precipitare sulla nuda terra. Le faceva male dappertutto. Gridò. Quando aprì la bocca avvertì ancora quel sapore. Istintivamente deglutì. E accadde qualcosa di miracoloso. Come un pallone che torni a gonfiarsi, la sua pelle si riempì di vita, i sensi si risvegliarono. Si afferrò alla cieca a qualcosa di duro. Si aggrappò alla fonte di quel sapore. Wrath sentì Beth sobbalzare quasi fosse rimasta fulminata da una scossa elettrica. Poi cominciò a bere dal suo collo a grandi sorsate impazienti. Le braccia di lei lo strinsero per le spalle, le unghie gli affondarono nella carne. Con un ruggito di trionfo, lui si lasciò scivolare all'indietro, sul letto, sdraiandosi in modo da agevolare il flusso sanguigno. Tenne la testa girata di lato, esponendo il collo alle sue labbra, e lei gli strisciò addosso, i lunghi capelli che si riversavano in una cascata sopra di lui. L'umido risucchio con cui sorbiva il suo sangue, la consapevolezza che le stava dando la vita, gli provocò una mostruosa erezione. La sorresse con delicatezza, accarezzandole le braccia. Incoraggiandola a prendere da lui ancora di più. A prendere tutto quello di cui aveva bisogno. Molto più tardi Beth sollevò la testa. Si leccò le labbra. Aprì gli occhi. Wrath la stava fissando. Aveva una brutta ferita al collo. «Oh, Dio... che cosa ti ho fatto?» esclamò lei, allungando la mano per tamponargli il sangue che sgorgava dalla vena. Lui le afferrò le mani e se le portò alle labbra. «Vuoi che io sia il tuo hellren?» «Che cosa?» La mente faticava a rimettersi in moto. «Sposami.» Lei guardò il foro nella sua gola ed ebbe il voltastomaco. «Io... io...» Il dolore la colpì repentino e con violenza inaudita, atterrandola, trascinandola in un'atroce lotta contro un avversario invisibile. Si piegò su se stessa, rotolando sul materasso. Wrath si tirò su di scatto prendendola in braccio. «Sto morendo?» mugolò lei. «Oh, no, leelan. Non stai morendo. Passerà» sussurrò lui. «Ma non sarà divertente.» L'intero apparato digestivo di Beth si contorceva, a ondate successive, e lei si lasciò andare sulla schiena, priva di energie. Gli spasmi le impedivano di distinguere chiaramente il volto di Wrath, ma vedeva i suoi occhi sgranati per la preoccupazione. Quando le prese la mano nella sua, lei gliela strinse, sopraffatta dall'ennesimo, straziante attacco. La vista divenne sfocata. Tornò. Divenne di nuovo sfocata. Il sudore grondava da tutto il suo corpo, impregnando le lenzuola. A denti stretti inarcò la schiena. Si voltò da una parte e poi dall'altra, nel tentativo di scappare. Non sapeva da quanto andava avanti così. Ore. Giorni. Wrath rimase sempre con lei. Wrath ricominciò a respirare solo dopo le tre del mattino. Finalmente Beth era immobile. E non era l'immobilità della morte, ma l'immobilità della calma. Era stata coraggiosa. Aveva sopportato il dolore senza mai lamentarsi, senza piangere. Persino lui, ai tempi, aveva invocato la fine della sua transizione. Beth emise una sorta di gemito gracchiarne. «Che cosa c'è, mia leelan?» chiese Wrath avvicinando la testa alla sua bocca. «Doccia.» «Giusto.» Scese dal letto, andò ad aprire l'acqua e tornò a prenderla. Sollevandola con estrema delicatezza, la portò in bagno. Beth non riusciva a reggersi in piedi, quindi la fece sedere sul piano di marmo del lavandino, la spogliò e poi la riprese in braccio. Entrò sotto il getto d'acqua facendole scudo con la propria schiena per evitare che le desse fastidio il cambiamento di temperatura. Vedendo che non protestava, lasciò che il getto dapprima le colpisse i piedi, poi, a poco a poco, la mise interamente sotto la doccia. Beth parve apprezzare: allungava il collo, apriva la bocca. Lui vide le sue zanne, e gli parvero bellissime. Di un bianco scintillante. Acuminate, taglienti. Rivisse la sensazione provata mentre lei si abbeverava al suo collo. La trasse per un attimo contro di sé, tenendola stretta. La rimise con i piedi per terra sorreggendola con un braccio. Con la mano libera prese lo shampoo e gliene spremette un po' in cima alla testa. Le strofinò i capelli fino a ottenere una morbida schiuma, quindi li risciacquò. Ripetè l'operazione su tutto il corpo. Riprendendola in braccio, chiuse il rubinetto, uscì dalla doccia e afferrò un asciugamano. Glielo avvolse intorno al corpo e la mise di nuovo seduta sul ripiano del lavandino, facendola appoggiare contro lo specchio. Con cura le asciugò i capelli, il viso, il collo, le braccia, i piedi, i polpacci e le ginocchia. Per qualche tempo avrebbe avuto la pelle ipersensibile, così come gli occhi e l'udito. Durante la transizione, Wrath era stato attento a individuare qualunque indizio di cambiamento nel fisico di Beth: non ne aveva notato nessuno. Beth era alta come prima, gli arrivava sempre al petto. Si chiese se sarebbe stata in grado di uscire durante il giorno. «Grazie» mormorò lei. Lui la baciò e la portò sul divano. Poi tolse dal letto le lenzuola bagnate e il coprimaterasso imbottito. Lottò un po' nel tentativo di rifare il letto, ebbe qualche difficoltà a trovare delle lenzuola pulite e sistemarle nel modo giusto fu un'impresa a dir poco ardua. Quando finalmente ci riuscì prese in braccio Beth e la adagiò sul raso fresco di bucato. Il suo profondo sospiro di sollievo fu il più bel complimento che Wrath avesse mai ricevuto. Si inginocchiò accanto al letto accorgendosi tutt'a un tratto che i pantaloni di pelle e gli stivali erano bagnati fradici. «Sì» mormorò lei. Lui la baciò sulla fronte. «Sì che cosa, mia leelanì» «Voglio sposarti.» CAPITOLO 35 Butch fece un altro giro del salotto fermandosi davanti al camino. Guardò i ceppi accatastati nel focolare e immaginò come dovesse essere bello un bel fuoco, lì, in inverno. Ci si poteva sedere sui divani foderati di seta a guardare le fiamme guizzare, mentre il maggiordomo serviva punch caldi o roba del genere. Che cosa diavolo ci faceva quel branco di delinquenti in un posto così? Dal fondo del corridoio provenivano i rumori dei commensali. Da ore ormai si trovavano in quella che doveva essere una sala da pranzo, semplicemente a far andare le bocche. Il sottofondo scelto per la cena era azzeccato: un rap duro che riempiva la casa di ritmi martellanti, 2Pac, JayZ, D-12. Ogni tanto la musica veniva sovrastata da fragorosi scoppi di risa. Barzellette e battute stile macho. Guardò per la milionesima volta la porta d'ingresso. Quando quegli uomini lo avevano spinto dentro il salotto prima di dirigersi in fondo al corridoio, secoli prima, il suo primo pensiero era stato quello di fuggire, anche a costo di fracassare una finestra con una sedia. Avrebbe chiamato José, avrebbe fatto accorrere tutta la polizia davanti al portone. Ma prima che potesse agire d'impulso, una voce gli aveva assordato l'orecchio. «Spero che tu decida di scappare.» Si era voltato di scatto piegandosi sulle ginocchia. Lo sfregiato con la testa rasata era lì, vicino a lui, eppure Butch non lo aveva udito avvicinarsi. «Dai, forza.» Due inquietanti occhi neri fissavano il poliziotto con l'immota intensità di uno squalo. «Apri la porta. Corri fuori. Corri come un matto, corri più veloce del vento, vai a chiamare aiuto. Ma sappi che io verrò a prenderti. Come un carro funebre.» «Lascialo stare, Zsadist.» Il tizio con l'enorme criniera di capelli aveva fatto capolino nella stanza. «Wrath vuole l'umano vivo. Almeno per il momento.» Lo sfregiato aveva scoccato a Butch un'ultima occhiata. «Provaci. Tu azzardati solo a provarci. Preferisco dare la caccia a te piuttosto che cenare con loro.» Detto ciò si era allontanato con calma. Malgrado la minaccia, il poliziotto aveva perlustrato la casa, per quanto possibile. Non era riuscito a trovare un telefono, e, a giudicare dal pannello che aveva intravisto nell'atrio, porte e finestre erano tutte collegate a un sistema di allarme. Impossibile scappare senza attirare l'attenzione. E poi non voleva lasciare Beth lì da sola. Dio, se fosse morta... Butch annusò l'aria aggrottando la fronte. E quel profumo che cosa diavolo era? Faceva pensare ai tropici, all'oceano. Si voltò. Ferma sulla soglia c'era una femmina mozzafiato. Snella, elegante, con un'aria fragile e smarrita; indossava un abito semitrasparente e la magnifica chioma bionda e ondulata le ricadeva sulle spalle fino all'altezza dei fianchi. Il viso era di un'assoluta, delicata perfezione e gli occhi erano di un azzurro chiarissimo, cristallino. Indietreggiò di un passo, impaurita. «No!» Butch si lanciò in avanti pensando agli uomini rintanati nella stanza in fondo al corridoio. «Non vada da quella parte.» Lei si guardò intorno con l'aria di voler chiamare aiuto. «Non voglio farle del male» si affrettò ad aggiungere lui. «Come faccio a esserne sicura?» Aveva un leggero accento straniero. Come tutti loro. Russo, forse? Lui allungò le mani con il palmo all'insù per mostrarle che non era armato. «Sono un poliziotto.» Sì, va bene, non era proprio la verità - non più, almeno - ma voleva rassicurarla. Lei raccolse lo strascico del vestito, quasi volesse prendere il volo. Dannazione, non doveva dire che era un poliziotto. Se era l'amante di uno di quei ceffi, adesso avrebbe tagliato la corda. «Non sono qui in veste ufficiale» precisò Butch. «Niente pistola né distintivo.» Tutt'a un tratto lei lasciò ricadere la gonna e raddrizzò le spalle, facendo appello a tutto il suo coraggio, almeno all'apparenza. Avanzò di qualche passo muovendosi eterea, con grazia. Butch tenne la bocca chiusa tentando di apparire più piccolo di quello che era in realtà, meno minaccioso. «Lui di solito non lascia girare per casa quelli come lei», disse la donna. Già, si disse Butch, c'era da immaginarsi che gli sbirri non bazzicassero troppo spesso quel posto. «Sto aspettando... un'amica.» Lei piegò la testa di lato, continuando ad avvicinarsi. Butch rimase quasi accecato da tanta bellezza. Il viso era degno di una rivista di moda, il corpo, lungo e flessuoso... la sconosciuta avrebbe potuto benissimo sfilare in passerella. E quel profumo! Gli penetrava nelle narici, nel cervello. Era così buono che gli venivano le lacrime agli occhi. Era irreale, pensò Butch. Così pura, pulita. Sentì quasi il bisogno di lavarsi i denti e farsi la barba prima di dirle anche solo un'altra parola. Cosa accidenti ci faceva con quei malviventi? Gli si strinse il cuore al pensiero di quanto potesse essere utile, una donna del genere, a quei farabutti. Cristo santo. Sul mercato del sesso si potevano ricavare migliaia e migliaia di dollari per un'ora in compagnia di una femmina come quella. Non c'era da stupirsi che la casa fosse tanto ben arredata. Marissa era restia a fidarsi di quell'uomo, specialmente vista la sua mole. Aveva sentito troppe storie sugli umani che odiavano la razza dei vampiri e perseguitavano la sua specie. Ma questo qui sembrava fare di tutto per non spaventarla. Non si muoveva e respirava appena. La fissava, e basta. Il che era snervante, e non solo perché lei non era abituata a essere guardata. Quegli occhi color nocciola la scrutavano da capo a piedi senza lasciarsi sfuggire niente. Era un umano sveglio. Sveglio e... triste. «Come si chiama?» sussurrò lui. Le piaceva la sua voce. Bassa e profonda. Con una sfumatura lievemente aspra, come se fosse sempre un po' rauco. Adesso erano vicinissimi, a pochi centimetri di distanza, quindi si fermò. «Marissa. Mi chiamo Marissa.» «Butch» disse lui toccandosi l'ampio petto. «Ehm... Brian. O'Neal. Tutti però mi chiamano Butch.» Le porse la mano. Poi la ritrasse, la sfregò vigorosamente sulla gamba dei pantaloni e gliela offrì di nuovo. Lei fu colta dal panico. Toccarlo era davvero troppo; arretrò di un passo. Lui lasciò ricadere lentamente la mano, per nulla sorpreso dal rifiuto. Ma continuò a fissarla. «Che cosa sta guardando?» Marissa alzò le mani sul corpetto dell'abito, coprendosi. Una vampata di rossore si allargò sul collo e sulle guance di Butch. «Mi scusi. Non ne potrà più di uomini che la ammirano a bocca spalancata.» Lei scosse la testa. «Nessun maschio mi guarda mai.» «È difficile da credere.» Invece era vero. Erano tutti atterriti al pensiero di quello che Wrath avrebbe potuto fare. Cielo, se solo avessero saputo quanto poco era stata desiderata. «Perché...» La voce dell'umano si spense. «Dio, lei è così... assolutamente... bella.» Si schiarì la gola, quasi volesse rimangiarsi tutto. Marissa inclinò il capo, studiandolo con attenzione. Nel suo tono c'era qualcosa che non riusciva a decifrare. Una nota dolente. Lui si passò una mano tra i folti capelli bruni. «Giuro, adesso me ne starò zitto. Prima di metterla ancora di più in imbarazzo.» I suoi occhi però erano sempre fissi sul suo viso. Erano proprio belli, quegli occhi, pensò Marissa. Caldi. E, mentre l'umano la guardava, comunicavano una sorta di brama struggente. Quasi gli fosse impossibile avere qualcosa che desiderava. Lei conosceva benissimo quella sensazione. L'umano scoppiò a ridere, un'esplosione sonora che gli salì dal fondo del petto. «E se provassi anche a non fissarla? Non sarebbe una cattiva idea, eh?» Affondò le mani nelle tasche dei calzoni e si concentrò sulla porta. «Mi guardi. Non la sto fissando. Non la guardo nemmeno. Ehi, che bel tappetino! Lo aveva mai notato?» Marissa sorrise timidamente e si avvicinò di un altro passo. «Penso che mi piaccia il modo in cui mi guarda.» Gli occhi color nocciola tornarono di colpo sul suo viso. «È che non ci sono abituata» spiegò lei. D'impulso si portò la mano al collo, ma poi la lasciò ricadere. «Dio, lei non può essere vera» disse in tono sommesso l'umano. «Perché no?» «Non può e basta.» Lei fece una risatina. «Be', invece lo sono.» Lui si schiarì di nuovo la voce. Poi con un sorrisetto domandò: «Le dispiace dimostrarmelo?». «E come?» «Mi permette di toccarle i capelli?» Il primo pensiero di Marissa fu di indietreggiare di nuovo. Ma perché avrebbe dovuto? In fondo non era legata a nessun maschio. Se quell'umano voleva toccarla, perché no? Specialmente visto che, in un certo senso, anche lei ne aveva voglia. Chinò la testa e i capelli le ricaddero in avanti. Pensò di porgergliene una ciocca, ma cambiò idea. Doveva essere lui ad avvicinarsi. L'umano si avvicinò. E protese verso di lei una mano grande. Marissa trattenne il respiro, ma lui non cercò di toccare l'onda bionda davanti al viso. La punta delle sue dita entrò in contatto con una ciocca sulla spalla. Marissa sentì sulla pelle una vampata di calore, come se lui l'avesse sfiorata con un fiammifero acceso. In un baleno la sensazione la percorse da capo a piedi, quasi fosse stata colpita da una febbre improvvisa. Che cosa le stava succedendo? Con il dito l'umano le scostò i capelli di lato, poi le sfiorò la spalla con la mano. Aveva il palmo caldo. Solido. Forte. Marissa alzò gli occhi su di lui. «Non riesco a respirare» sussurrò. Butch rischiò di cadere per terra. Cristo santo, pensò. Lei lo voleva. E lo stupore innocente con cui aveva reagito al tocco era meglio del miglior sesso che avesse mai fatto. Il suo corpo partì in quarta; l'erezione gli tirava i jeans, reclamando di essere liberata. Non può essere vero, pensò. Lo stava sicuramente prendendo in giro. Nessuna creatura tanto magnifica poteva bazzicare certi tipacci senza essere una furbetta. E senza esserseli portati a letto quasi tutti. La osservò mentre inspirava a fatica e si passava la lingua sulle labbra. La punta della sua lingua era rosa. Forse era solo un'attrice strepitosa, o la più grande sgualdrina mai esistita, ma, quando alzò lo sguardo su di lui, ce l'aveva in pugno. Butch era pronto a bersi senza fiatare tutto quello lei gli avrebbe raccontato. Le fece scorrere il dito lungo il collo. Aveva un pelle così vellutata e diafana che ebbe paura di lasciarle qualche segno. «Abiti qui?» le chiese. Lei scosse la testa. «Vivo con mio fratello.» Lui si sentì sollevato. «Bene.» Le sfiorò con delicatezza la guancia, poi rimase a fissare la sua bocca. Chissà che sapore ha. Poi spostò lo sguardo più in basso, sui seni, che premevano contro il corpetto del suo bell'abito elegante. La voce di lei tremava. «Mi guardi come se avessi sete.» Oh, Dio. Ci aveva azzeccato. Moriva di sete. «Pensavo che gli umani non avessero bisogno di bere» aggiunse lei. Butch aggrottò la fronte. Aveva uno strano modo di usare le parole, d'altronde l'inglese era sicuramente la sua seconda lingua. Spostò le dita verso la sua bocca. Esitò. Se le avesse sfiorato le labbra si sarebbe ritratta? Probabilmente sì, pensò. Tanto per stare al gioco. «Il tuo nome» disse lei. «Butch, vero?» Lui annuì. «Cosa vorresti bere, Butch?» sussurrò. Lui chiuse gli occhi con forza, barcollando. «Butch?» disse lei. «Ti senti male?» Sì, se questo desiderio selvaggio si può considerare una specie di dolore, pensò lui. CAPITOLO 36 Wrath scese dal letto e si infilò un paio di pantaloni di pelle puliti e una T-shirt nera. Beth dormiva profondamente sdraiata su un fianco. Quando le si avvicinò per baciarla, lei si mosse. «Salgo di sopra» disse lui, accarezzandole la guancia. «Ma non esco di casa.» Beth annuì, gli sfiorò il palmo con le labbra e sprofondò di nuovo nel sonno ristoratore di cui aveva estremo bisogno. Wrath si infilò gli occhiali da sole, chiuse a chiave la porta dietro di sé e salì le scale. Sapeva di avere stampato in faccia uno stupido sorriso soddisfatto e che per questo i fratelli lo avrebbero sfottuto alla grande. Ma non gliene importava. Stava per avere una vera shellan. Stava per sposarsi. E loro potevano andare all'inferno. Fece scorrere il dipinto e uscì in salotto. Non riuscì a credere a ciò che vide. Marissa in un lungo abito color panna. Lo sbirro di fronte a lei che le accarezzava il viso, palesemente incantato. E, nell'aria tutt'intorno a loro, un delizioso odore di sesso. Poi, all'improvviso, nella stanza irruppe Rhage con il pugnale sfoderato, pronto a sbudellare l'umano per aver osato toccare quella che supponeva essere la shellan di Wrath. «Toglile le mani...» Wrath balzò in avanti. «Rhage! Fermo!» Il vampiro si fermò di colpo, mentre Butch e Marissa si guardavano intorno frenetici. Con un sorriso Rhage gettò il pugnale al suo capo. «Accomodati pure, mio signore. L'umano merita la morte per averle messo le mani addosso, ma prima possiamo divertirci un po' con lui?» Wrath afferrò il coltello al volo. «Tornatene a tavola, Hollywood.» «Oh, dai! Lo sai che è più divertente se c'è un pubblico.» Wrath sogghignò. «Soltanto per te, fratello. Adesso lasciaci soli.» Gli lanciò il pugnale e, uscendo, Rhage lo rimise nel fodero. «Cristo, Wrath, a volte sei proprio un guastafeste, lo sai? Un grandissimo guastafeste del cazzo.» Wrath si voltò a guardare Marissa e lo sbirro. Approvava il modo in cui l'umano le faceva scudo con il proprio corpo. Forse l'amico era qualcosa di più che un semplice avversario con i fiocchi. Butch guardò torvo il sospettato e allargò le braccia nel tentativo di proteggere Marissa. Lei però si rifiutò di ripararsi dietro di lui e gli girò intorno, piazzandogli davanti. Lo voleva forse proteggere? Butch afferrò l'esile braccio della ragazza, ma lei non cedette. Quando quell'assassino venne avanti, Marissa gli si rivolse in tono tagliente e i due si misero a parlare in una lingua incomprensibile. Lei si accalorò. L'uomo continuava ad annuire e, a poco a poco, lei si calmò. Poi l'uomo le mise una mano sulla spalla e voltò la testa per guardare Butch. Su un lato del collo aveva una ferita ancora aperta, come se qualcuno lo avesse morso. L'uomo parlò. La risposta di Marissa fu esitante, ma poi lei la ripetè con maggiore convinzione. «Allora così sia» disse il bastardo, con un sorriso tirato. Marissa si spostò di fianco a Butch. Lo guardò e arrossì. Quei due avevano deciso qualcosa. Qualcosa... Con una mossa repentina, l'uomo afferrò Butch per la gola. Marissa si mise a strillare. «Wrath!» Oh, merda, non ricominciamo da capo, pensò Butch cercando di divincolarsi. «Lei sembra affascinata da te» gli mormorò l'assassino all'orecchio. «Quindi ti lascerò vivere. Ma se la farai soffrire ti scuoierò vivo.» Marissa intanto parlava a raffica in quella lingua straniera, senza alcun dubbio insultando l'uomo. «Ci siamo capiti?» chiese il sospettato. Butch socchiuse gli occhi fissando gli occhiali da sole. «Lei non ha niente da temere da me.» «Vedi di non cambiare idea.» «Tu però sei un altro paio di maniche.» L'uomo lo lasciò andare. Gli rassettò la camicia. Sorrise. Butch si accigliò. C'era qualcosa di decisamente strano nei denti di quel tizio. «Dov'è Beth?» chiese. «È salva. E sta bene.» «Non grazie a te.» «Soltanto grazie a me.» «Voglio vederla con i miei occhi.» «Più tardi. E soltanto se lei vorrà.» Butch sentì la collera montare e il bastardo parve presagire quell'accesso d'ira prima ancora che esplodesse. «Attento, sbirro. Adesso sei nel mio mondo.» Sì, come no, 'fanculo, amico. Stava per aprire bocca, quando sentì qualcosa afferrargli il braccio. Si girò. La paura brillava negli occhi di Marissa. «Butch, ti prego» mormorò lei. «Non farlo.» Lo strano essere grande e grosso annuì. «Sii gentile e potrai stare con lei» disse guardando Marissa; la sua voce sembrava più dolce. «Lei è felice in tua compagnia, e si merita una buona dose di felicità. Poi penseremo anche a Beth. Più tardi.» Mr X riaccompagnò Billy alla tenuta dei Riddle, dopo aver passato ore a parlare con lui mentre giravano in macchina per la città. Il passato di Billy era perfetto, e non solo per le violenze commesse ai danni dei suoi simili. Il padre incarnava esattamente il modello di comportamento maschile prediletto da Mr X. Un matto da legare convinto di essere Dio. L'amico era un ex giocatore di football americano, grande e grosso, aggressivo e competitivo, e tormentava Billy sin dalla nascita. Niente di quello che faceva il figlio andava mai bene. Mr X era rimasto affascinato dal racconto della morte della madre del ragazzo. Un pomeriggio la donna era caduta in piscina dopo aver esagerato con l'alcol e Billy l'aveva trovata che galleggiava a faccia in giù. L'aveva tirata fuori dall'acqua e, prima di chiamare il 911, aveva tentato di rianimarla. All'ospedale, mentre il cadavere veniva trasferito all'obitorio, l'illustre senatore del grande Stato di New York aveva suggerito senza mezzi termini che il figlio l'aveva ammazzata. Billy doveva chiamare subito un'ambulanza invece di giocare a fare il paramedico, e in modo così maldestro, poi. Avrebbe dovuto saperlo, era evidente. Mr X non metteva in discussione i meriti del matricidio ma, nel caso di Billy, il ragazzo aveva frequentato un corso per bagnini e aveva veramente tentato di salvare la donna. «Odio questa casa» bofonchiò Riddle alzando gli occhi sulla magnifica villa in mattoni, con tanto di colonne e illuminazione a effetto. «Peccato che tu sia stato buttato fuori da tante scuole. L'università ti avrebbe permesso di vivere altrove.» «Sì, be', in una o due sarei anche potuto entrare. Se lui non mi avesse costretto a iscrivermi a quelle più esclusive.» «Allora cosa pensi di fare?» Billy si strinse nelle spalle. «Lui vuole che vada a vivere per conto mio. Che mi trovi un lavoro. Purtroppo... non so dove andare.» «Dimmi una cosa, Billy, tu hai una ragazza?» Il ragazzo sorrise, una piccola smorfia agli angoli delle labbra. «Ne ho un paio.» Sì, Mr X poteva immaginare che ce le avesse, bello com'era. «Qualcuna in particolare?» Billy distolse lo sguardo. «Vanno bene per una scopata ogni tanto, per il resto mi danno il tormento. Non mi lasciano respirare. Chiamano e tutto il resto, vogliono sempre sapere dove sono, che cosa sto facendo. Pretendono troppo e io, uh...» «Tu cosa?» Billy socchiuse gli occhi. «Continua, figliolo. A me puoi dire tutto.» «Io preferisco quando fanno le difficili...» Si schiarì la gola. «A dire il vero, mi piace quando cercano di scappare.» «Ti piace acchiapparle?» «Mi piace possederle. Capisce cosa intendo?» Mr X annuì, pensando che quello era un altro punto a favore di Riddle. Nessun legame famigliare, nessun legame con una ragazza. E la sua disfunzione sessuale sarebbe stata risolta durante la cerimonia di affiliazione. Riddle afferrò la maniglia della portiera. «Comunque, grazie, sensei. È stato bello, davvero.» «Billy...» Riddle si fermò, voltandosi speranzoso. «Sì, sensei?» «Cosa ne diresti di venire a lavorare per me?» Gli occhi di Riddle si illuminarono. «Vuole dire all'accademia?» «Più o meno. Adesso ti dirò un paio di cose su quello che dovresti fare, così potrai rifletterci su.» CAPITOLO 37 Beth rotolò su se stessa in cerca di Wrath, poi ricordò che era salito al piano di sopra. Si mise a sedere, facendosi forza caso mai il dolore tornasse. Quando si accorse che non le faceva male niente, si alzò in piedi. Era nuda e guardò il proprio corpo. Tutto sembrava identico a prima. Fece un piccolo balletto. All'apparenza ogni parte di lei funzionava a dovere. Però non ci vedeva bene. Andò in bagno e si tolse le lenti a contatto. Adesso sì che ci vedeva alla perfezione. Be', è un bel vantaggio. Ehi, fermi tutti. Zanne. Aveva le zanne. Si protese verso lo specchio toccandole. Mangiare con quei due dentacci avrebbe richiesto un po' di pratica, pensò. D'impulso alzò le mani, piegò le dita ad artiglio e soffiò come un gatto. Fico. D'ora in poi Halloween sarebbe stato un vero sballo. Si spazzolò vigorosamente i capelli, si infilò l'accappatoio di Wrath e si avviò su per le scale. Arrivata in cima, si accorse che non le mancava per niente il fiato. La ginnastica quotidiana sarebbe diventata un gioco da ragazzi. Quando uscì da dietro il quadro, vide Butch seduto sul divano di fronte a una bionda da urlo. In lontananza udì delle voci maschili e musica a tutto volume. Butch alzò gli occhi. «Beth!» esclamò, precipitandosi da lei per stringerla in un abbraccio caloroso. «Ti senti bene?» «Sto bene. Davvero, sto bene.» Il che era sorprendente, considerato come si era sentita solo qualche ora prima. Butch si scostò leggermente prendendole il volto fra le mani. La guardò negli occhi. Si accigliò. «Non sembri fatta.» «E perché dovrei?» Lui scrollò tristemente la testa. «Non tenermelo nascosto. Sono stato io a portarti qui, ricordi?» «Io vado» disse la bionda alzandosi in piedi. Butch si voltò di scatto verso di lei. «No. Non andare» la pregò tornando subito al divano. Quando la guardò, aveva un'espressione che Beth non gli aveva mai visto. Sembrava stregato. «Marissa, voglio presentarti la mia amica» disse il poliziotto, sottolineando con forza l'ultima parola «Beth Randall. Beth, Marissa.» Beth alzò una mano. «Salve.» Dall'altro capo della stanza la bionda la squadrò da capo a piedi. «Tu sei la femmina di Wrath» sussurrò con una sorta di soggezione, quasi che Beth si fosse cimentata in qualche impresa eroica. «Quella che lui desidera.» Beth aveva le guance in fiamme. «Ehm, sì. Immagino di sì.» Seguì un silenzio imbarazzato. Butch spostò più volte lo sguardo dall'una all'altra delle due donne, corrucciato, ansioso di essere messo a parte del segreto. Anche Beth avrebbe tanto voluto sapere di cosa si trattava. «Sapete dov'è Wrath?» chiese alla fine. Butch si rabbuiò; l'idea di Beth vicino a quell'uomo proprio non gli andava giù. «È in sala da pranzo.» «Grazie.» «Ascolta, Beth, noi due dobbiamo...» «Io non vado da nessuna parte.» Lui trasse un profondo respiro, poi soffiò fuori l'aria con un lento sibilo. «Chissà perché, ma me lo immaginavo che avresti detto una cosa del genere.» Guardò la bionda. «Comunque, se hai bisogno di me, io... sono qui.» Beth sorrise tra sé mentre il poliziotto si rimetteva seduto sul divano insieme alla bionda. Imboccò il corridoio, il rumore delle chiacchiere e il cupo rombo della musica rap che diventavano via via più forti. «E allora che cosa hai fatto a quel lesser!» chiese una voce maschile. «Gli ho acceso la sigaretta con un fucile a canne mozze» rispose un'altra voce maschile. «Non è sceso per colazione, afferrato il concetto?» Seguì un fragoroso coro di risate e poi un paio di colpi, come se qualcuno avesse picchiato il pugno sul tavolo. Beth si strinse addosso l'accappatoio. Sarebbe stato più intelligente vestirsi, prima, ma lei moriva dalla voglia di vedere Wrath. Girò l'angolo. Nell'attimo stesso in cui comparve sulla soglia, ogni conversazione s'interruppe. Tutte le teste si voltarono, tutti gli occhi la fissarono. Il rap duro si dilatò fino a colmare il silenzio, il basso che martellava implacabile, i testi recitati come una litania. Mio Dio. In vita sua non aveva mai visto tanti giganti vestiti di pelle. Fece un passo indietro, proprio mentre Wrath balzava in piedi dal suo posto a capotavola per andarle incontro con aria seria. Doveva aver interrotto un qualche sacro momento riservato ai soli maschietti, pensò Beth. Cercò di farsi venire in mente qualcosa da dirgli. Era probabile che volesse fare lo spaccone, in presenza dei fratelli, recitare la solita scena della serie io-sono-un-duro, questa-tipa-è-solo-una... Invece Wrath l'avvolse nel suo abbraccio affondandole il viso tra i capelli. «Mia leelan» le sussurrò all'orecchio, facendole scorrere le mani su e giù lungo la schiena. «Mia bellissima leelan.» Si scostò leggermente e la baciò sulle labbra. Il suo sorriso era tenero mentre le accarezzava i capelli. Beth sorrise beata. Evidentemente il suo uomo non aveva problemi a manifestare in pubblico il proprio affetto. Buono a sapersi. Piegò il capo di lato per guardare oltre la sua spalla. Perché erano decisamente in pubblico. Non uno dei presenti che non li guardasse a bocca spalancata. Beth quasi scoppiò a ridere. Vedere una banda di loschi figuri che avevano tutta l'aria di essersi macchiati dei crimini più efferati seduti intorno a una tavola apparecchiata con tanto di argenteria e porcellane era uno spettacolo già abbastanza incongruo. Vederli interdetti era a dir poco assurdo. «Non mi presenti ai tuoi amici?» disse accennando con il capo al gruppo di vampiri. Wrath le mise un braccio intorno alle spalle, attirandola contro di sé. «Questa è la Confraternita del Pugnale Nero. I miei compagni guerrieri. I miei fratelli» dichiarò Wrath. Poi indicò lo strafico. «Rhage lo conosci già. Tohr anche. Quello con il pizzetto e il berrettino dei Sox è Vishous. Il capellone laggiù in fondo, che sembra Raperonzolo, è Phury.» A quel punto abbassò la voce fino a farla diventare un ringhio. «E Zsadist si è già presentato da solo.» I due con cui Beth aveva già trascorso un po' di tempo le sorrisero, gli altri la salutarono con un cenno del capo, tranne lo sfregiato che si limitò a fissarla. Quel tizio aveva un gemello, ricordò Beth. Ma non avrebbe saputo dire chi fosse. Anche se in effetti il tipo con una capigliatura assolutamente deliziosa e fantastici occhi gialli gli assomigliava un pochino. «Signori» disse Wrath. «Questa è Beth.» E cominciò a parlare in quella lingua che lei non capiva. Quand'ebbe terminato, si udì chiaramente un'esclamazione soffocata. Wrath la guardò, sorridendo. «Hai bisogno di qualcosa? Hai fame, leelan?» Lei si mise una mano sullo stomaco. «In effetti sì. Ho una voglia matta di pancetta affumicata e cioccolato. Figurati un po'.» «Ti servo subito. Tu intanto accomodati» la invitò Wrath, indicandole la sua sedia prima di uscire dalla porta. Lei squadrò gli uomini presenti. Grandioso. Eccola lì, quasi nuda, con addosso un semplice accappatoio, sola in compagnia di una congrega di vampiri. Fare la disinvolta era impossibile, quindi si limitò a dirigersi verso il posto di Wrath. Ma non andò lontano. Cinque sedie scivolarono all'indietro grattando rumorosamente il pavimento. I vampiri si alzarono all'unisono e cominciarono ad avvicinarsi. Lei guardò in faccia i due che conosceva, ma le loro espressioni gravi non erano incoraggianti. Poi comparvero i coltelli. Con un fruscio metallico cinque pugnali neri vennero sfoderati. Beth indietreggiò in preda al panico, alzando le mani davanti a sé. Andò a sbattere contro il muro e stava per mettersi a urlare quando i cinque uomini si lasciarono cadere in ginocchio ai suoi piedi, in cerchio. In un unico movimento, quasi seguendo una coreografia prestabilita, piantarono i pugnali nel pavimento intorno a lei chinando il capo. Il tonfo sordo dell'acciaio che si conficcava nel legno suonò come una promessa solenne e, insieme, un grido di battaglia. I manici dei coltelli vibravano. Il rap continuava a martellare. I membri della confraternita sembravano in attesa di una qualche reazione da parte sua. «Hmm. Grazie» disse Beth. Gli uomini alzarono la testa. Scolpita nei duri lineamenti dei loro volti c'era una reverenza assoluta. Persino lo sfregiato aveva un'espressione di rispetto. Wrath ricomparve con in mano una bottiglia di sciroppo Hershey al cioccolato. «La pancetta è in arrivo» annunciò con un sorriso. «Ehi, gli piaci» disse, accennando ai suoi amici. «Sia ringraziato il cielo» mormorò Beth, abbassando lo sguardo sui pugnali. CAPITOLO 38 Marissa sorrise; più lo guardava, più quell'umano le sembrava bello. «E così ti guadagni da vivere proteggendo i tuoi simili. È una grande cosa.» Butch, seduto accanto a lei, si agitò sul divano. «Be', per la verità non so bene che cosa farò, adesso. Ho la sensazione che dovrò cercarmi un altro lavoro.» Il rintocco di un orologio la indusse a chiedersi quanto tempo avessero trascorso insieme. E quando sarebbe sorto il sole. «Che ora è?» «Le quattro di mattina appena passate.» «Devo andare.» «Quando posso rivederti?» Lei si alzò. «Non lo so.» «Che ne diresti per cena?» Butch balzò in piedi. «Per pranzo? Che cosa fai domani?» Lei non potè fare a meno di ridere. «Non lo so.» Non era mai stata corteggiata. Era bello. «Ah, diamine» borbottò lui. «Sto rovinando tutto con questa cazz... con questa cavolo di insistenza, vero?» Si mise le mani sui fianchi e fissò il tappeto con aria disgustata. Marissa avanzò di un passo. Lui alzò la testa di scatto. «Mi piacerebbe toccarti, adesso» mormorò lei. «Prima di andare.» Gli occhi di lui si illuminarono. «Posso, Butch?» «Certo» rispose lui in un sussurro, «tutto quello che vuoi.» Marissa alzò una mano con l'intenzione di appoggiargliela sulla spalla, ma le sue labbra la affascinavano. Le aveva osservate muoversi mentre lui parlava e si chiedeva come sarebbe stato toccarle. «La tua bocca» disse. «È molto...» «Cosa?» chiese lui con voce roca. «Bella.» Posò la punta dell'indice sul suo labbro inferiore. L'ansito con cui lui accolse quel gesto le soffiò un po' d'aria sulla pelle, e quando Butch espirò fremente il suo fiato la colpì, umido e caldo. «Sono morbide» sussurrò Marissa, facendo scorrere l'indice avanti e indietro. Butch chiuse gli occhi. Il suo corpo emanava un odore che dava alla testa. Marissa aveva colto quella fragranza inebriante nell'attimo stesso in cui Butch l'aveva vista. Adesso l'aria ne era satura. Incuriosita, gli fece scivolare il dito in bocca. Lui aprì gli occhi di colpo. Gli toccò i denti davanti, trovando strana l'assenza di zanne. Quando si spinse più a fondo, lo trovò viscido, bagnato, caldo. Lentamente Butch chiuse le labbra intorno al suo dito, poi fece scorrere la lingua intorno alla punta dell'indice. Lei fu sopraffatta da un violento sussulto. «Oh...» Sentiva uno strano formicolio ai capezzoli e le stava succedendo qualcosa in mezzo alle gambe. Sentiva una sorta di smania. Di appetito. «Voglio...» non sapeva completare la frase. Lui le coprì la mano con la sua e reclinò il capo all'indietro, succhiandole il dito in tutta la sua lunghezza finché non gli uscì di bocca. Poi, con gli occhi fissi nei suoi, le voltò il palmo all'insù, lo lambì al centro con la lingua e premette le labbra sulla sua pelle. Marissa si protese verso di lui. «Che cosa vuoi?» domandò sottovoce Butch. «Dimmelo, piccola. Dimmi quello che vuoi.» «Io... non lo so. È la prima volta che mi sento così.» Quella risposta parve rompere l'incantesimo. Rabbuiandosi, Butch le lasciò andare la mano. Mentre si allontanava di qualche passo, gli sfuggì un'imprecazione soffocata e rabbiosa. Sentendosi respinta, Marissa lo fulminò con lo sguardo. «Ho fatto qualcosa di male? Ti è dispiaciuto quello che ho detto?» Che Dio l'aiutasse, quella era una cosa in cui sembrava eccellere, quando si trattava di maschi. «Di male? No, anzi, stai andando benissimo. Sei una vera professionista» disse Butch passandosi una mano tra i capelli. Sembrava in lotta con se stesso, quasi cercasse di tornare alla normalità da qualche remota lontananza. «È solo che la commedia della santarellina mi manda un po' in paranoia.» «Quale commedia?» «Ma sì, sai, la classica scena della vergine-con-gli-occhi-da-cerbiatta.» Marissa avanzò di qualche passo cercando qualcosa da dire; lui però tese le braccia in avanti. «Non avvicinarti più di così.» «Perché?» «Per favore, piccola, dacci un taglio.» Il volto di lei parve sgretolarsi. «Non riesco a capire.» «Ma pensa» disse lui. «Senti, tu mi mandi su di giri anche solo standotene lì in piedi, non devi fingere di essere quello che non sei. E io... uh, per me non è un problema il tuo mestiere. Non ho nemmeno intenzione di arrestarti, se è per questo.» «Perché mai dovresti arrestarmi?» Butch alzò gli occhi al cielo. Davvero lei non aveva la più pallida idea di quello che stava dicendo? «Adesso me ne vado» disse di punto in bianco Marissa. L'esasperazione di Butch cresceva ogni minuto di più. «Aspetta» esclamò afferrandola per il braccio. Nell'attimo in cui entrò in contato con lei, però, lasciò ricadere la mano. «Io ho ancora voglia di vederti.» Lei si accigliò guardando la mano con cui l'aveva toccata. Butch se la stava sfregando quasi volesse liberarsi da una sensazione sgradevole. «E perché?» chiese Marissa. «È evidente che in questo preciso momento non ti piace toccarmi.» «Uh-uh. Sì, certo.» Lui le scoccò un'occhiata cinica. «Senti, quanto mi verrà a costare convincerti a comportarti in modo normale?» Lei lo guardò torva. Prima di mettere le cose in chiaro con Wrath avrebbe potuto tirarsi indietro. Ma ora non più. «Non ti capisco» disse. «Non importa, piccola. Dimmi solo una cosa... certi polli sono davvero così allupati da bersi tutta questa recita pur di trombare una vergine?» Marissa non capiva quel gergo, però alla fine colse il succo di quello che pensava l'umano. Inorridita, raddrizzò la schiena di scatto. «Domando scusa?» Lui la guardò allibito, a denti stretti. Poi espirò con forza. «Ah, diavolo» brontolò sfregandosi la faccia con la mano. «Senti, lasciamo perdere, okay? Facciamo finta di non esserci mai incontrati...» «Io non sono mai stata posseduta da nessuno. Il mio hellren non gradiva la mia compagnia, quindi non sono mai stata baciata né toccata e nemmeno abbracciata da un maschio che provasse passione per me. Mai. Ma non sono... non sono una poco di buono.» La voce le si incrinò. «È solo che nessuno mi ha mai voluta.» Butch sgranò gli occhi, come se lei lo avesse schiaffeggiato o qualcosa di simile. Marissa distolse lo sguardo. «E non ho mai toccato un maschio» sussurrò. «Non so proprio come si fa.» L'umano emise un lungo sospiro, quasi volesse espellere tutto l'ossigeno dai polmoni. «Oh, Maria santissima» mormorò. «Scusami. Mi dispiace davvero tanto, tantissimo. Io sono... sono un emerito imbecille e ho sbagliato completamente nel giudicarti.» Le aveva rivolto delle frasi orribili e l'imbarazzo che provava era così palpabile che lei fece un mezzo sorriso. «Sei sincero.» «Sì, cazzo, cioè, voglio dire, sì, certo. Spero di non averti offesa in modo irreparabile. Be', l'ho fatto, ovvio. Che razza di idiota... scusami, davvero, non volevo.» Era pallido come un morto. Lei gli mise una mano sul braccio. «Ti perdono.» Butch rise, incredulo. «Be', non dovresti. Dovresti piantarmi il muso per un bel po'. Una settimana, almeno, o magari un mese. Probabilmente anche di più. Ho esagerato.» «Ma io non voglio essere arrabbiata con te.» Ci fu una lunga pausa. «Vuoi ancora vedermi, domani?» «Sì.» Lui sembrava esterrefatto per la sua buona stella. «Sul serio? Dovrebbero farti santa, lo sai?» Allungò una mano e le accarezzò la guancia con la punta del dito. «Dove, piccola? Dove ti è più comodo?» Marissa ci pensò su un momento. Havers sarebbe montato su tutte le furie se avesse saputo che si vedeva con un umano. «Qui. Troviamoci qui domani sera.» Butch sorrise. «Bene. E adesso come torni a casa? Ti serve un passaggio? Un taxi?» «No, mi arrangio da sola.» «Aspetta... prima di andare» la fermò Butch muovendosi verso di lei. Quel suo buon odore le invase le narici e Marissa lo inspirò a fondo. «Posso darti il bacio della buonanotte? Anche se non me lo merito?» Per abitudine, lei gli porse il dorso della mano. Lui la prese e la attirò a sé. Marissa sentì ancora quel palpito nel sangue e in mezzo alle gambe. «Chiudi gli occhi» sussurrò Butch. Lei ubbidì. Le labbra di lui le sfiorarono la fronte, la tempia. Marissa aprì la bocca, nuovamente sopraffatta da un dolce senso di soffocamento. «Tu non potresti mai dispiacermi» disse lui con la sua voce cavernosa. Poi le sue labbra le sfiorarono la guancia. Lei rimase in attesa di qualcosa di più. Sentendo che non arrivava, aprì gli occhi. Butch la contemplava incantato. «Vai» la spronò. «Ci vediamo domani.» Marissa annuì. E si smaterializzò mentre ancora lui la teneva per mano. Con un grido Butch fece un balzo indietro. «Merda!» Si guardò la mano. Sentiva ancora il palmo di Marissa nel suo, aveva ancora il suo profumo nelle narici. Eppure lei era svanita nel nulla. Puf! Un attimo prima era lì davanti a lui, e un attimo dopo... Beth arrivò di corsa. «Stai bene?» «No, non sto bene, cazzo» sbottò lui. Il sospettato entrò con passo deciso. «Dov'è Marissa?» «E io cosa ne so? È sparita! Qui davanti... era... la tenevo per mano e poi lei...» parlava come un idiota schizzato e decise di chiudere il becco. Ma perché poi non avrebbe dovuto sbarellare? Le leggi della fisica gli piacevano così come le aveva imparate a scuola, con la gravità che teneva tutto bene attaccato al pianeta, la Terra che girava su se stessa, com'era giusto che fosse, e l'equazione E = mc2 che gli diceva in quanto tempo poteva arrivare al bar più vicino. La gente non spariva così, in un puf, da una stramaledetta stanza del cavolo. «Posso dirglielo?» chiese Beth al suo uomo. Lui si strinse nelle spalle. «In circostanze normali te lo vieterei, perché è meglio che loro non lo sappiano, ma considerato quello che ha appena visto...» «Dirmi che cosa? Che siete un branco di...» «Vampiri» mormorò Beth. Butch la guardò, seccato. «Sì, certo. Prova ancora, dolcezza.» Ma poi Beth cominciò a parlare, raccontandogli cose che lui si rifiutava di credere. Quando rimase zitta, Butch riuscì solo a fissarla. L'istinto gli diceva che non stava mentendo, ma era davvero troppo dura da mandare giù. «Non ci credo» mormorò. «Anche per me è stato difficile da accettare.» «Vorrei ben vedere.» Si mise a camminare su e giù per la stanza, divorato dalla voglia di bere qualcosa di forte. Gli altri due si limitarono a fissarlo. Alla fine si fermò davanti a Beth. «Apri la bocca.» Udì un rumore cupo e minaccioso alle sue spalle e una ventata gelida lo investì alla schiena. «Va tutto bene, Wrath» disse lei. «Calmati.» Dischiuse le labbra rivelando due lunghi canini che prima di sicuro non c'erano. Con le ginocchia tremanti, Butch fece per toccarli. Una mano poderosa gli strinse il braccio in una morsa fin quasi a stritolargli le ossa del polso. «Non ci pensare nemmeno» ringhiò l'uomo di Beth. «Lascialo andare» intimò con dolcezza lei, ma, dopo che l'uomo ebbe abbandonato la presa, non ripetè l'offerta. «Sono veri, Butch. E anche il resto... è tutto vero.» Butch alzò lo sguardo su Wrath. «E così tu saresti un vampiro, eh?» «Farai meglio a crederci, sbirro.» Il grosso bastardo sorrise lasciandogli intravedere per un attimo un mostruoso paio di zanne. Questa sì che è un'arma come Dio comanda, pensò Butch. «Le hai dato un morso e l'hai trasformata in una di voi?» «Non funziona così. O nasci vampiro oppure non lo sei.» Be', tutti quei fan di Dracula sarebbero rimasti parecchio delusi. Non bastavano due bei fori nel collo per diventare vampiri. Il poliziotto si lasciò cadere sul divano. «Hai ucciso tu quelle donne? Per bere il loro...» «Sangue? No. Quello che scorre nelle vene degli umani non mi terrebbe in vita per molto.» «Quindi non c'entri con gli omicidi? Insomma, sulla scena del crimine abbiamo trovato delle stelle Ninja identiche a quelle che avevi addosso la sera in cui ti ho arrestato.» «Non le ho uccise io, sbirro.» «E quello in macchina?» Il tizio scosse la testa. «Le mie prede non sono umane. Quello contro cui combatto io non ha niente a che vedere con il vostro mondo. Vuoi sapere dell'autobomba? Abbiamo perso uno dei nostri, dentro quella macchina.» Beth emise un gemito soffocato. «Mio padre» disse in un sussurro. L'uomo la prese tra le braccia. «Sì. E stiamo cercando il bastardo che l'ha fatto saltare per aria.» «Nessuna idea su chi ha premuto il pulsante?» chiese Butch, dando voce allo sbirro dentro di lui. Il tizio si strinse nelle spalle. «Stiamo seguendo una pista. Ma questi sono affari nostri, non tuoi.» Già, e lui in ogni caso non aveva motivo di fare altre domande perché non faceva più parte della polizia. Il vampiro accarezzò la schiena di Beth scuotendo la testa. «Non voglio mentirti, sbirro. Ogni tanto capita che un umano ci finisca tra i piedi, e se qualcuno minaccia la nostra razza io lo uccido, chiunque sia. Ma adesso non intendo più tollerare che si facciano altre vittime umane, come accadeva un tempo, e non solo perché questo rischierebbe di farci scoprire.» Baciò sulle labbra Beth, guardandola negli occhi. A quel punto il resto della banda sfilò all'interno della stanza. Scrutato da quegli sguardi gelidi, Butch si sentì come uno scarafaggio imprigionato sotto un bicchiere. O come un arrosto pronto per essere tagliato a fette. Mr Normal si fece avanti offrendogli una bottiglia di scotch. «Hai l'aria di averne bisogno.» Non mi dire! Butch ne bevve in sorso. «Grazie.» «Allora adesso possiamo ammazzarlo?» chiese quello con il pizzetto e il berretto da baseball. L'uomo di Beth parlò in tono aspro. «Stai indietro, V» «E perché? È solo un umano.» «Anche la mia shellan è per metà umana. Lui non deve morire solo perché non è uno di noi.» «Gesù, hai proprio cambiato musica.» «Allora vedi di adeguarti, fratello.» Butch si alzò in piedi. Se si doveva discutere della sua morte voleva avere voce in capitolo. «Apprezzo il tuo appoggio» disse a quello che doveva essere il capo. «Ma non ne ho bisogno.» Si avvicinò al tizio con il cappellino stringendo con discrezione la presa sul collo della bottiglia nel caso dovesse spaccargliela sulla testa. Gli andò proprio sotto, i loro nasi che quasi si toccavano. Sentiva che il vampiro si stava scaldando, preparandosi alla lotta. «Sarò ben lieto di fare a botte con te, stronzo» sibilò Butch. «Probabilmente ci lascerò le penne, ma sappi che gioco sporco, quindi se anche mi uccidi ti farò molto male.» Guardò il berretto che il vampiro aveva in testa e aggiunse: «Anche se non mi esalta l'idea di far sputare sangue a un altro tifoso dei Red Sox». Qualcuno sghignazzò. Qualcun altro disse: «Ci sarà da ridere». Il tizio di fronte a Butch socchiuse gli occhi riducendoli a due fessure. «Hai detto la verità sui Sox?» «Sono nato e cresciuto a Southie, il quartiere irlandese di Boston. È dal 2004 che non smetto di ghignare.» Ci fu una lunga pausa. Il vampiro tirò su con il naso. «Gli umani non mi piacciono.» «Sì, be', nemmeno io vado pazzo per i succhiasangue come voi.» Altro silenzio. Il tipo si accarezzò la barbetta. «Come si chiamano venti tizi che guardano il campionato di baseball?» «New York Yankees» rispose Butch. Il vampiro scoppiò in una fragorosa risata, si levò il berretto e se lo batté sulla coscia. Bastò quello a spezzare la tensione. Butch tirò un lungo sospiro di sollievo; si sentiva come se un autocarro lo avesse appena schivato. Bevve un'altra sorsata di scotch pensando che era stata una nottata davvero strana. «Dimmi che Curt Schilling non era un dio» disse il vampiro. Dai suoi compagni si levò un grugnito collettivo. Uno di loro bofonchiò: «Se adesso attacca con la solita solfa su Varitek, io me la batto». «Schilling era un vero guerriero» sentenziò Butch bevendo un altro goccio di whisky di puro malto. Poi offrì la bottiglia al vampiro, che la afferrò e buttò giù una lunga sorsata. «Amen» brontolò il vampiro. CAPITOLO 39 Quando entrò in camera sua Marissa fece una piccola giravolta su se stessa, sentendo la gonna dell'abito che si allargava a ruota. «Dove sei stata?» Si bloccò a metà giro e la sottana si sgonfiò, ricadendo con un fruscio intorno alle caviglie. Havers era seduto sulla chaise longue con la faccia in ombra. «Ti ho chiesto: dove sei stata?» «Per favore, non assumere quel tono...» «Hai visto quel bruto.» «Non è un...» «Non difenderlo!» Non aveva intenzione di difenderlo. Stava per dire al fratello che Wrath aveva ascoltato le sue recriminazioni e aveva accettato di assumersi tutta la responsabilità per il passato. E poi si era scusato con lei e il suo rimorso era tangibile. E comunque, anche se le parole di Wrath non bastavano a compensare quello che era successo, lei per lo meno sentiva di essere stata ascoltata. Sì, il suo ex hellren era il motivo per cui era andata a casa di Darius, ma non era per lui che si era trattenuta così a lungo. «Havers, per favore. Adesso le cose sono molto diverse.» Dopotutto Wrath le aveva annunciato che stava per sposarsi. E lei aveva... conosciuto qualcuno. «Devi starmi a sentire.» «No, non devo. So che vai ancora da lui e tanto mi basta.» Havers si alzò, muovendosi senza la consueta grazia. Quando fu colpito dalla luce, Marissa rimase inorridita. Suo fratello aveva la pelle grigia, le guance scavate. Ultimamente dimagriva a vista d'occhio e adesso era ridotto a uno scheletro. «Tu sei malato» mormorò. «Sto benissimo.» «La trasfusione non ha funzionato, vero?» «Non cercare di cambiare discorso!» gridò lui, fissandola truce. «Dio, non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo punto. Non avrei mai pensato che mi tenessi nascoste certe cose.» «Io non ti ho nascosto niente!» «Mi avevi detto di aver rotto il patto con Wrath.» «Ed è così.» «Tu menti.» «Havers, ascoltami...» «Basta!» la interruppe brusco lui, evitando di incrociare il suo sguardo quando aprì la porta. «Tu sei tutto quello che mi resta, Marissa. Non chiedermi di starmene seduto con le mani in mano ad assistere come se niente fosse alla tua distruzione.» «Havers!» La porta si chiuse sbattendo. Con cocciuta determinazione lei corse fuori in corridoio. «Havers!» Lui era già arrivato in cima alle scale e si rifiutò di voltarsi. Agitò con forza la mano dietro di sé, quasi a volerla liquidare. Marissa tornò in camera sua e si sedette alla toeletta. Passò parecchio tempo prima che riuscisse a respirare normalmente. La collera di Havers era comprensibile, ma spaventosa per la violenza e la sua eccezionalità. Non aveva mai visto il fratello in uno stato simile: sarebbe stato impossibile ragionare con lui finché non si fosse calmato. L'indomani gli avrebbe parlato. Gli avrebbe spiegato tutto, gli avrebbe detto anche del nuovo maschio che aveva conosciuto. Si guardò allo specchio e ripensò a come l'aveva toccata l'umano. Alzò la mano, rivivendo la sensazione di quando le aveva succhiato il dito. Voleva di più da lui. Le zanne le si allungarono leggermente. Chissà che sapore aveva il suo sangue . Dopo aver sistemato Beth nel letto di suo padre, Wrath andò in camera sua e si cambiò d'abito indossando una camicia e un paio di comodi pantaloni bianchi. Tirò fuori da una scatola di ebano un filo di enormi perle nere e si inginocchiò sul pavimento accanto al letto, sedendosi sui talloni. Si infilò la collana, posò le mani sulle cosce con i palmi all'insù e chiuse gli occhi. Mentre controllava il respiro, i suoi sensi si risvegliarono. Sentì Beth agitarsi nel letto, dall'altra parte del corridoio, e poi affondare la testa nei cuscini con un sospiro. Il resto della casa era silenzioso, gli giungevano solo leggere vibrazioni. Alcuni dei fratelli avevano deciso di fermarsi a dormire nelle camere da letto al primo piano, quindi si udiva un rumore di passi. Era pronto a scommettere che Butch e V stavano ancora discutendo di baseball. Non potè fare a meno di sorridere. Quel tipo era un vero sballo, uno degli uomini più aggressivi che avesse mai incontrato. E Marissa si era infatuata dello sbirro? Be', bisognava aspettare per vedere come sarebbe andata a finire. Avere una relazione di qualunque tipo con un membro dell'altra specie era pericoloso. Certo, i fratelli andavano a letto con una notevole quantità di umane, ma erano avventure di una sola notte, per cui i ricordi erano facili da cancellare. Se però entravano in ballo le emozioni e il rapporto si prolungava nel tempo, diventava difficile fare un buon lavoro di ripulitura del cervello. Le cose restavano sospese, riemergevano anche a distanza di tempo, mettevano nei guai. Al diavolo! Forse Marissa si sarebbe limitata a giocare un po' con quel tizio prima di succhiargli tutto il sangue. Non c'era niente di male, in fin dei conti. Ma finché lei non decideva se ucciderlo o tenerlo per sé, Wrath avrebbe tenuto d'occhio la situazione. Imbrigliò i pensieri e si mise a salmodiare nell'antico idioma, utilizzando i suoni per ripulire i processi cognitivi. All'inizio era un po' arrugginito e incespicava nelle parole. L'ultima volta che aveva recitato le preghiere aveva diciannove, vent'anni. Il ricordo di suo padre che, seduto accanto a lui, gli suggeriva cosa dire era un diversivo allettante, ma Wrath si sforzò di fare tabula rasa della sua mente. Le perle cominciarono a scaldarsi contro il suo petto. E si ritrovò in un cortile. L'architettura in stile italiano era bianca: la fontana di marmo, le colonne di marmo, il pavimento di marmo, tutto era avvolto in un pallido chiarore. L'unica macchia di colore era costituita da uno stormo di uccelli canterini appollaiati sopra un albero bianco. Wrath smise di pregare e si alzò in piedi. «Ne è passato di tempo, guerriero.» La regale voce femminile che aveva parlato veniva dalle sue spalle. Wrath si voltò. La minuscola figura che si stava avvicinando era drappeggiata in una veste di seta nera che non lasciava trapelare nulla, né la testa né il viso né le mani né i piedi. Scivolava verso di lui; non camminava, si muoveva semplicemente nell'aria immota. La sua presenza lo mise a disagio. Wrath chinò il capo. «Vergine Scriba, come state?» «Non divaghiamo, come stai tu, guerriero? Sei venuto a chiedere un cambiamento, giusto?» Lui annuì. «Io...» «Tu desideri che il patto che ti lega a Marissa venga sciolto. Hai trovato un'altra e vorresti prenderla come tua shellan.» «Sì.» «Questa femmina è la figlia di tuo fratello Darius, che adesso si trova nel Fado.» «Lo avete visto?» Lei fece una risatina. «Tu non puoi chiedermi niente. Lascerò correre questa tua prima domanda perché cercavi solo di essere gentile, ma non dimenticare le buone maniere, guerriero.» Merda. «Vi prego di accettare le mie scuse, Vergine Scriba.» «Dichiaro te e Marissa liberi dal patto che vi legava.» «Grazie.» Ci fu una lunga pausa. Wrath attese che la Vergine Scriba si pronunciasse sulla seconda parte della sua richiesta. Si guardava bene dall'incalzarla con ulteriori domande. «Dimmi una cosa, guerriero, credi forse che la tua specie sia indegna?» Lui aggrottò la fronte, ma subito si affrettò a rilassare il viso assumendo un'espressione neutra. La Vergine Scriba non avrebbe mai tollerato un'occhiataccia. «Ebbene, guerriero?» Wrath non capiva dove volesse andare a parare. «La mia è una razza valorosa e fiera.» «Non ti ho chiesto di darmi una definizione, ti ho chiesto che cosa pensi della tua gente.» «Io la proteggo a costo della vita.» «E tuttavia non vuoi assumere la guida del tuo popolo. Dunque posso presumere che non lo stimi e che, quindi, combatti perché ti piace o perché desideri morire. Quale delle due?» Questa volta Wrath mantenne il cipiglio. «La mia razza sopravvive grazie a quello che i miei fratelli e io facciamo.» «Sopravvive a stento. Il numero dei vampiri diminuisce a vista d'occhio, in effetti. La razza non prospera. L'unica colonia è quella insediatasi sulla costa orientale degli Stati Uniti, ma è circoscritta, e anche lì i vampiri vivono isolati gli uni dagli altri. Non esistono comunità, non si celebrano più le festività, i rituali si osservano solo in privato, sempre che questo accada. Non c'è nessuno incaricato di mediare le dispute, nessuno che infonda coraggio ai propri simili. E la Confraternita del Pugnale Nero è maledetta. Tra i suoi membri superstiti non ce n'è uno che non soffra.» «I fratelli hanno i loro... problemi. Ma sono forti.» «E dovrebbero esserlo ancora di più.» La Vergine Scriba scrollò il capo. «Tu hai tradito la tua stirpe, guerriero, hai tradito la tua missione. Dunque dimmi, perché dovrei esaudire il tuo desiderio di prendere come regina la mezzosangue?» La tunica della Vergine Scriba si agitò. «È meglio continuare a soddisfarla con la tua verga piuttosto che gravare la tua gente con l'ennesima, insignificante figura puramente rappresentativa. Adesso vai, guerriero. Abbiamo finito.» «Vorrei dire una parola in mia difesa» replicò Wrath a denti stretti. «E io non te lo concedo» dichiarò la Vergine Scriba, voltandosi. «Imploro pietà.» Detestava pronunciare quelle parole e, a giudicare dalla risata che le accolse, lei ne era consapevole. La Vergine Scriba tornò da lui. Quando parlò il suo tono era duro come i profili neri della sua veste cerimoniale sullo sfondo di tutto quel marmo bianco. «Se vuoi implorare, guerriero, fallo come si conviene. Inginocchiati.» Wrath si impose di genuflettersi, odiandola. «Ti preferisco così» mormorò lei, tornando relativamente gradevole. «Allora, che cosa stavi dicendo?» Wrath ingoiò le parole ostili, affettando una calma che non provava. «Io la amo. Voglio onorarla, non usarla solo per scaldare il mio letto.» «Allora trattala bene. Ma non c'è alcun bisogno di celebrare una cerimonia.» «Non sono d'accordo» insistette lui, «con rispetto parlando.» Calò il silenzio. «In tutti questi secoli non mi hai mai chiesto consiglio.» Lui alzò il capo. «È questo che vi infastidisce?» «Nessuna domanda!» sbottò lei. «Altrimenti ti farò portare via quella mezzosangue in men che non si dica.» Wrath chinò il capo premendo i pugni contro il marmo. Rimase in attesa. Aspettò così a lungo che a un certo punto fu tentato di sollevare la testa per vedere se la Vergine Scriba se n'era andata. «Ho un favore da chiederti» disse lei. «Parlate.» «Tu guiderai il tuo popolo.» Wrath la guardò con la gola serrata. Non era stato capace di salvare i suoi genitori, riusciva a malapena a comportarsi in modo decente con Beth, e la Vergine Scriba voleva che si assumesse la responsabilità di comandare tutta la sua stramaledetta razza? «La tua risposta, guerriero?» Già, come se fosse possibile rispondere di no. «Come desiderate, Vergine Scriba.» «Questo è un ordine, guerriero, non è un desiderio e nemmeno il favore che voglio chiederti» ribatté lei, sbuffando esasperata. «Alzati in piedi. Le tue nocche stanno sanguinando sul mio marmo.» Wrath si alzò e la guardò. Rimase in silenzio, convinto che lei stesse per imporgli qualche altra condizione. La Vergine Scriba lo apostrofò in tono tagliente. «Tu non hai alcun desiderio di diventare re. È evidente. Ma per nascita questo e un tuo obbligo, e sarebbe ora che vivessi all'altezza del tuo lignaggio.» Wrath si passò una mano tra i capelli, i muscoli tesi da un'ansia strisciante. La voce della Vergine Scriba si addolcì leggermente. «Non preoccuparti, guerriero, non ti lascerò da solo a cercare la tua strada. Verrai da me e io ti aiuterò. Essere tua consigliera rientra fra i miei compiti.» Il che era un bene, pensò Wrath, perché di sicuro avrebbe avuto bisogno di aiuto. Non aveva la minima idea di come si facesse a governare. Sapeva uccidere in un centinaio di modi diversi, era in grado di affrontare ogni genere di battaglia e di conservare il sangue freddo quando tutto lo stramaledetto mondo andava a fuoco. Ma al solo pensiero di rivolgersi a un migliaio dei suoi gli veniva il voltastomaco. «Guerriero?» «Sì, mi farò sentire.» «Questo però non è ancora il favore che mi devi.» «Allora...» Wrath si passò di nuovo la mano tra i capelli. «Ritiro quello che ho detto.» Lei ridacchiò. «Hai sempre imparato alla svelta.» «Sarà meglio che continui così.» Visto che doveva diventare re... La Vergine Scriba gli si avvicinò fluttuando nell'aria e lui sentì profumo di lillà. «Dammi la mano.» Wrath obbedì. I neri panneggi della veste cerimoniale si agitarono. Qualcosa gli cadde nel palmo. Un anello. Un anello d'oro massiccio con incastonato un rubino grosso come una noce. Scottava, tanto che Wrath quasi lo lasciò cadere. Il Rubino Saturnino. «Dalle questo da parte mia. E io sarò presente alla cerimonia.» Wrath strinse il dono così forte che l'anello gli si conficcò nella pelle. «Voi ci fate un grande onore.» «Sì, ma ho un altro motivo per venire.» «Il favore.» Lei rise. «Buona, questa. Una domanda formulata come un'affermazione. Non ti sorprenderai, naturalmente, se non ti rispondo. Adesso vai, guerriero, torna dalla tua femmina. Speriamo che tu abbia scelto bene.» La figura si voltò e si allontanò. «Vergine Scriba?» «Abbiamo finito.» «Grazie.» Lei si fermò vicino alla fontana. I drappeggi neri della tunica si mossero quando allungò un braccio verso lo zampillo d'acqua. La seta ricadde all'indietro e si vide una luce accecante, come se le sue ossa risplendessero e la pelle fosse traslucida. La Vergine Scriba toccò l'acqua e subito da quel contatto scaturì un arcobaleno che riempì di colori il cortile immacolato. Wrath soffiò scioccato, accorgendosi tutt'a un tratto che gli era tornata la vista. Il cortile, le colonne, i colori, lei, tutto era chiarissimo, perfettamente a fuoco. Si concentrò sull'arcobaleno. Giallo, arancione, rosso, viola, azzurro, verde. I colori erano così brillanti che sembravano quasi fendere l'aria, eppure la loro vivida bellezza non gli feriva gli occhi. Assaporò lo spettacolo, lo abbracciò con la mente e vi si tenne aggrappato. La Vergine Scriba si voltò verso di lui, abbassando la mano. All'istante i colori svanirono e la vista del vampiro tornò debolissima. La Vergine Scriba gli aveva fatto un piccolo regalo, si rese conto Wrath, proprio come quando gli aveva messo in mano l'anello per Beth. «Hai ragione» disse in tono pacato lei. «Avevo sperato che noi due potessimo essere più vicini. Tuo padre e io eravamo legati, e questi secoli passati in solitudine sono stati lunghi e ardui. Nessuno che pratichi il culto, nessuno che preghi, nessuna storia da tramandare. Io sono inutile. Dimenticata. «Ma il peggio» proseguì, «è che io vedo il futuro, ed è fosco. La sopravvivenza della razza non è garantita. Tu non sarai in grado di compiere l'impresa da solo, guerriero.» «Imparerò a chiedere aiuto.» Lei annuì. «Ricominceremo da capo, tu e io. E lavoreremo insieme, com'è giusto che sia.» «Com'è giusto che sia» ripetè Wrath in un sussurro, quasi a voler provare il suono di quelle parole. «Stanotte verrò da te e dai tuoi fratelli» disse lei. «E la cerimonia verrà celebrata secondo le regole. Stabiliremo per te un patto adeguato, guerriero, e lo faremo secondo giustizia. Sempre ammesso che la femmina ti accetti come compagno.» Wrath ebbe la sensazione che la Vergine Scriba stesse sorridendo. «Mio padre mi ha rivelato il vostro nome» disse il vampiro. «Mi farebbe piacere usarlo, se siete d'accordo.» «Te lo concedo.» «Allora ci vediamo, Analisse. Daremo subito inizio ai preparativi.» CAPITOLO 40 Mr X guardò Billy Riddle entrare in ufficio. Era vestito con una polo blu scuro e un paio di calzoncini color cachi, era abbronzato e aveva un aspetto sano, forte. Un bel pezzo di marcantonio, per usare un'espressione antiquata di quando Mr X era giovane. «Sensei» disse Billy chinando il capo. «Come va, figliolo?» «Ci ho pensato.» Mr X attese con ansia la sua risposta, sorpreso dalle aspettative che riponeva in quella decisione. «Voglio lavorare per lei.» Mr X sorrise. «Bene, figliolo. Molto bene.» «Allora cosa devo fare? Compilare qualche modulo per l'accademia?» «È un po' più complicato. E poi non lavorerai proprio per l'accademia.» «Ma non aveva detto...» «Billy, ci sono alcune altre cose che devi capire. E c'è il piccolo particolare di un'iniziazione.» «Tipo gli scherzi che si fanno alle matricole? Non c'è problema. Mi è già toccato subirli un altro paio di volte. Per il football.» «È un po' più impegnativo, temo. Ma non preoccuparti, ci sono passato anch'io e sono sicuro che ti farai onore. Ti dirò quello che devi portare e ti starò vicino. Dall'inizio alla fine.» Dopotutto, guardare l'Omega all'opera era uno spettacolo da non perdere. «Sensei, io, uh...» Riddle si schiarì la gola. «Volevo solo dirle che non la deluderò.» Mr X sorrise sornione, pensando che questo era il lato migliore del suo lavoro. Si alzò in piedi e si avvicinò a Billy. Gli mise una mano sulla spalla e la strinse con forza, guardandolo dritto nei grandi occhi azzurri che non si abbassarono. Billy scivolò subito in uno stato di trance. Mr X si protese in avanti e gli tolse con cautela l'orecchino di diamanti. Poi prese tra pollice e indice il morbido lobo, massaggiandolo. Parlò in tono sommesso e pacato. «Adesso chiamerai tuo padre e gli dirai che stai per traslocare seduta stante perché hai trovato lavoro e stai per entrare in un programma di addestramento intensivo.» Mr X gli tolse il Rolex d'acciaio inossidabile e gli sbottonò il colletto della polo. Infilò una mano per prendere la catenina di platino che Billy portava al collo e ne seguì le maghe fino alla chiusura. Slacciò il fermaglio e se la fece scivolare nel palmo. Il metallo era caldo per il contatto con la pelle. «Quando parlerai con tuo padre resterai calmo, qualunque cosa lui ribatta. Lo rassicurerai raccontandogli del tuo futuro promettente. Gli dirai che sei stato selezionato tra numerosi candidati per un ruolo di grande prestigio, che gli sarà impossibile vederti perché tu sarai spesso in viaggio ma che potrà raggiungerti al cellulare.» Mr X fece scorrere le dita sul petto di Billy, tastando i muscoli dei pettorali, il calore della vita, il vibrare della gioventù. Che potenza in quel corpo, pensò. Che forza meravigliosa. «Non farai cenno all'accademia, non rivelerai la mia identità e non gli dirai che verrai a stare da me.» Adesso Mr X parlava all'orecchio di Billy. «Dirai a tuo padre che ti dispiace per tutte le cose cattive che hai fatto e che gli vuoi bene. Poi io verrò a prenderti e ti porterò via.» Mentre Billy respirava a fondo in segno di pacifica resa, Mr X rammentò la propria cerimonia di affiliazione. Per un breve, fuggevole istante rimpianse di non aver riflettuto con maggiore attenzione sull'offerta che aveva accettato decenni prima. Adesso sarebbe stato un uomo anziano. Un vecchio con dei nipotini, forse, sempre che fosse riuscito a trovare e a sopportare una donna per un periodo di tempo sufficientemente lungo. E avrebbe avuto una vita nella media, magari lavorando in una delle cartiere della zona o in un distributore di benzina. Sarebbe stato uno dei cento milioni di uomini anonimi assillati dalle mogli, che uscivano a bere con gli amici e trascorrevano le loro preziose giornate nello stordimento di una insoddisfazione generalizzata perché non erano niente di speciale. Però sarebbe stato vivo. Guardando i vividi occhi azzurri di Billy, Mr X si chiese se era stato un buon affare quel baratto di tanto tempo prima. Perché non era più padrone di se stesso. Era un servo in balia dei capricci dell'Omega. Il servo principale, per così dire, ma pur sempre un servo. E nessuno avrebbe mai pianto la sua morte. O perché lui non avrebbe mai smesso di respirare... o perché nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, quando avesse esalato l'ultimo respiro. Si accigliò. Non che niente di tutto ciò avesse importanza, tuttavia, dal momento che tornare indietro era impossibile. E Riddle lo avrebbe imparato in prima persona, quella notte stessa. Mr X liberò la mente e il corpo di Billy. «Allora, ci siamo capiti?» disse piano. Billy annuì, frastornato. Poi si guardò, quasi chiedendosi che cosa fosse successo. «Bene, adesso dammi il tuo cellulare.» Dopo che Billy gli ebbe allungato il telefonino, Mr X sorrise. «Come si dice, figliolo?» «Sì, sensei.» CAPITOLO 41 Beth si svegliò nel letto di Wrath. A un certo punto, durante il giorno, doveva averla trasferita in camera sua. Sentiva il petto di lui contro la schiena. Aveva un braccio piegato intorno a lei e una mano in mezzo alle sue gambe. La sua erezione, calda e pesante, le premeva contro il fianco. Rotolò su se stessa. Wrath aveva gli occhi chiusi, il respiro lento e regolare. Beth sorrise, pensando che anche nel sonno la desiderava. «Ti amo» bisbigliò. Lui sollevò le palpebre. Era come essere colpiti da due fari. «Come, leelan? Stai bene?» farfugliò, poi tirò via la mano di scatto, quasi si fosse appena accorto di dove l'aveva infilata. «Scusa. Io, uh... Forse non sei ancora pronta per... così presto dopo...» Lei gli prese la mano e la guidò tra le proprie cosce, premendogli le dita contro la vulva. Wrath affondò le zanne nel labbro inferiore, inspirando a fondo. «Sono più che pronta per te» mormorò Beth, stringendo nel palmo il membro turgido. Quando Wrath si spostò verso di lei con un gemito, Beth sentì il battito del suo cuore, il sangue che scorreva veloce nelle vene, i polmoni che si riempivano d'aria. Stranissimo. Sentiva con esattezza quanto lui la desiderava, e non solo perché gli stava accarezzando l'erezione. Quando mosse le dita facendole scivolare dentro di lei, il corpo di Beth reagì andando ancor più su di giri. Ogni bacio, ogni carezza, ogni leccata o fremito le sembrava ingigantito. Wrath impose a entrambi un ritmo lento. Quando Beth fece per montargli sopra la costrinse a sdraiarsi sulla schiena e la fece godere, anche se moriva dalla voglia di venire a sua volta. Fu delicatissimo, tenerissimo. Alla fine rimase sospeso sopra le sue cosce spalancate, le braccia vigorose che sorreggevano il suo peso sopra di lei, i lunghi capelli neri che le ricadevano addosso, confondendosi con quelli di lei. «Mi piacerebbe poter vedere bene la tua faccia» disse, aggrottando la fronte nel vano tentativo di metterla a fuoco. «Almeno una volta, mi piacerebbe...» Beth gli mise le mani sulle guance ispide di barba. «Ti dirò io quello che vedresti» mormorò. «Io ti amo... questo vedresti.» Lui chiuse gli occhi e sorrise. Un'espressione che lo trasfigurò. Rifulgeva di gioia. «Ah, leelan, tu mi riempi di un piacere infinito.» La baciò e, lentamente, la penetrò. Dopo averla riempita, invasa, dopo essersi fuso completamente con lei, rimase immobile. Parlò nella sua lingua e poi in quella di lei. Al «ti amo, moglie» Beth ricambiò raggiante il suo sorriso. Nel dormiveglia, Butch tastò intorno a sé. Quello non era il suo letto. Era un letto singolo, non matrimoniale. E i cuscini non erano i suoi. Erano morbidissimi, gli sembrava di avere la testa appoggiata su una specie di brioche. Anche le lenzuola erano decisamente troppo belle. E il rumore di qualcuno che russava vicino a lui glielo confermava con assoluta certezza. Non era a casa, poco ma sicuro. Aprì gli occhi. Pesanti tendaggi erano tirati davanti alle finestre, ma il chiarore di una luce accesa in bagno bastava a fargli distinguere qualcosa. La stanza era lussuosissima fin nei minimi particolari. Mobili antichi, quadri, carta da parati supersciccosa. Si voltò verso quel ronfare insistente. Nel letto gemello un uomo era profondamente addormentato, la testa bruna affondata nel guanciale, lenzuola e coperte rimboccate fin sotto il mento. Tutto gli tornò in mente all'improvviso. Vishous. Il suo nuovo amico. Anche lui tifoso dei Red Sox. Un vero e proprio mago dell'informatica. Un cazzo di vampiro. Butch si mise una mano sulla fronte. Molte altre volte si era girato nel letto, ed era rimasto impressionato dalla persona che aveva trovato al suo fianco. Ma questa le batteva proprio tutte: nella sua hit parade personale era lo stramaledetto numero uno. Come diavolo... Ah, giusto. Erano crollati dopo essersi scolati fino all'ultima goccia la bottiglia di scotch di Tohr. Tohr. Abbreviazione di Tohrment. Gesù, sapeva anche i loro nomi. Rhage. Phury. E quel tizio terrificante, Zsadist. Già, niente nomi tipo Tom, Dick o Harry, per i vampiri. D'altra parte, un micidiale succhiasangue mica poteva chiamarsi Howard o Eugene, giusto? Oh, no, Wallie, per favore non mordermi sul... Dannazione, stava dando i numeri. Che ora era? «Ehi, sbirro, che ora è?» chiese Vishous, ancora intontito. Butch allungò la mano verso il comodino. Vicino al suo orologio c'era un berretto dei Red Sox, un accendino d'oro e un guanto da pilota nero. «Le cinque e mezzo.» «Fico.» Il vampiro si girò dall'altra parte. «Non aprire le tende per altre due ore altrimenti prendo fuoco. I miei fratelli ti concerebbero per le feste. Ti ritroveresti a farla in un sacchetto.» Butch sorrise. Vampiri o no, quei tipi li capiva. Parlavano la sua stessa lingua. Il loro modo di relazionarsi con il mondo era identico al suo. Si sentiva a proprio agio in loro compagnia. Era una cosa stranissima. «Stai sorridendo» brontolò Vishous. «E tu come fai a saperlo?» «Ho un talento speciale per le emozioni. Non sarai mica uno di quei tizi insopportabili tutti allegri già di prima mattina...» «Cavolo, no. E poi non è mattina.» «Per me sì, sbirro.» Vishous si girò su un fianco e lo guardò. «Sai, ti sei fatto onore, ieri sera. Non conosco molti umani capaci di prendere di petto Rhage, oppure me. Tantomeno davanti agli altri fratelli.» «Ehi, adesso non sdilinquirti, non usciamo mica insieme.» Per la verità Butch era quasi commosso da quell'apprezzamento. Ma poi Vishous socchiuse gli occhi. L'intelletto del vampiro era così acuto che essere radiografati da lui era come farsi beccare nudi a fare le sabbiature. «Tu hai un incredibile desiderio di morte.» Non era una domanda. «Già, forse» disse Butch. Attese di sentirsi chiedere perché, e quando la domanda non arrivò rimase sorpreso. «Ce l'abbiamo tutti» mormorò Vishous. «Ecco perché non mi interessa scendere nei particolari.» I due rimasero in silenzio per qualche secondo. Vishous socchiuse di nuovo gli occhi. «Non potrai più tornare alla tua vecchia vita, sbirro. Lo sai, vero? Perché hai visto troppo. Di noi. Non riusciremmo a spazzare via tutti i tuoi ricordi.» «Mi stai dicendo di scegliermi una bara?» «Spero di no. Ma non dipende da me. Molto dipende da te.» Ci fu una pausa. «Non hai granché a cui tornare, o sbaglio?» Butch guardò il soffitto. Quando i fratelli gli avevano permesso di controllare i messaggi in segreteria, quella mattina, ne aveva trovato uno solo. Era del capitano, che gli diceva di presentarsi per conoscere i risultati dell'indagine interna. Già, come se quello fosse un appuntamento imperdibile. Sapeva anche troppo bene quale sarebbe stato l'esito. Lo avrebbero licenziato e servito in pasto all'opinione pubblica come agnello sacrificale per contrastare l'immagine di una polizia violenta. Oppure lo avrebbero relegato in qualche ufficio a riempire scartoffie. E la sua famiglia? Mamma e papà, che fossero benedetti, abitavano sempre nella villetta a schiera di Southie, Boston, circondati dall'adorata prole. Piangevano ancora la morte di Janie, ma vivevano comunque sereni gli anni della pensione. I suoi fratelli e le sue sorelle, invece, erano legati mani e piedi ai loro impegni, presi a mettere al mondo marmocchi, tirare su marmocchi e progettare di avere altri marmocchi. Nel clan degli O'Neal, Butch era una semplice nota a pie di pagina. Il «caso disperato che non era riuscito a procreare» Amici? José era l'unico che poteva vagamente considerare tale. Abby non era nemmeno quello. Era solo una scopata una volta ogni tanto. E dopo aver conosciuto Marissa, la sera prima, Butch aveva perso ogni interesse per il sesso occasionale. Si voltò verso il vampiro. «No, non ho niente a cui tornare.» «So come ci si sente» commentò Vishous rigirandosi nel letto, quasi cercasse di mettersi comodo. Alla fine si sdraiò sulla schiena, coprendosi gli occhi con il braccio muscoloso. Butch aggrottò la fronte nel vedere la mano sinistra del vampiro. Era coperta di tatuaggi, fittissimi disegni intricati che correvano sul dorso, sul palmo e intorno a ogni dito. Doveva aver sentito un male cane quando se li era fatti fare. «V?» «Sì?» «Che cosa sono quei tatuaggi?» «Io non ti ho mica scocciato chiedendoti delle tue disgrazie, sbirro» ribatté Vishous abbassando il braccio. «Se non sono in piedi per le otto svegliami, intesi?» «Okay, intesi» disse Butch, e chiuse gli occhi. CAPITOLO 42 Nella camera da letto in fondo alle scale, Beth chiuse il rubinetto della doccia, fece per prendere un asciugamano e sbatté rumorosamente l'anello di fidanzamento contro il piano di marmo del lavandino. «Oh, male. Molto male...» mormorò, stringendosi la mano. Per fortuna Wrath era salito di sopra a seguire i preparativi per la cerimonia. Anche se forse il rumore della botta si era sentito fino al pianterreno. Si fece coraggio prima di guardare il gioiello, convinta di avere allentato il rubino dall'incastonatura o di aver scalfito la pietra preziosa: era tutto a posto. Naturalmente non aveva intenzione di urtare contro qualche altra cosa. Non aveva mai avuto una gran passione per gli anelli, comunque si sarebbe dovuta abituare a portarlo. Magari tutti i piccoli cambiamenti della vita fossero così, pensò caustica. Un fidanzato che ti infila all'anulare un inestimabile pezzo di geologia. Che rottura. Mentre si asciugava, non potè fare a meno di sorridere. Wrath era stato così fiero di infilarle quell'anello al dito. Le aveva detto che era un regalo da parte di una persona che lei avrebbe conosciuto quella sera stessa. Alle sue nozze. Smise di asciugarsi per un attimo. Dio, quella parola. Nozze. Chi l'avrebbe mai immaginato... Qualcuno bussò alla porta della camera. «Ehi, Beth? Sei lì?» La voce femminile sconosciuta le giungeva soffocata. Beth si infilò l'accappatoio di Wrath e uscì dal bagno, ma non aprì la porta. «Sì?» «Sono Wellsie. La shellan di Tohr. Ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere avere qualcuno che ti aiutasse ad arrivare in fondo alla serata, e ti ho anche portato un vestito, caso mai tu non ne avessi uno adatto. Be', sono anche la tipica femmina impicciona, quindi avevo voglia di conoscerti.» Beth socchiuse la porta. Accipicchia. Non c'era niente di «tipico» in Wellsie. Aveva una chioma rosso fuoco, un viso da dea greco-romana e un'aura di totale padronanza di sé. L'abito azzurro vivo metteva in risalto i colori della sua persona, come fa il cielo autunnale con le foglie dalle tinte cangianti. «Uh, ciao» disse Beth. «Ciao anche a te.» Gli occhi color sherry di Wellsie erano tutt'altro che freddi, specialmente quando cominciò a sorridere. «Sei un vero schianto. Non mi stupisce che Wrath sia innamorato cotto.» «Vuoi entrare?» Wellsie entrò a passo di carica, reggendo una lunga scatola piatta e una grossa borsa. Aveva l'aria di chi pensa di dover prendere in pugno la situazione, senza per questo risultare invadente. «Tohr quasi non mi ha detto quello che stava succedendo. Tra lui e Wrath c'è in ballo qualcosa.» «Qualcosa?» Wellsie fece roteare gli occhi, chiuse la porta con la forza del pensiero e posò la scatola sul tavolino. «I maschi come loro ogni tanto perdono la pazienza e litigano di brutto. È inevitabile. Tohr non vuole dirmi di cosa si tratta, ma io posso arrivarci anche da sola. Onore, prodezza in battaglia, oppure noi, le loro femmine.» Wellsie aprì la scatola con un colpetto della mano mettendo in mostra un tessuto di raso rosso. «Hanno il cuore grande, i nostri ragazzi, però capita che perdano le staffe e salti fuori qualche stupidaggine.» Si voltò e sorrise. «Adesso basta parlare di loro. Allora, ti senti pronta per il grande passo?» Di solito Beth era riservata con gli estranei, ma questa donna senza peli sulla lingua e dallo sguardo diretto sembrava una persona su cui valeva la pena di scommettere. «Forse no» rispose ridendo. «Cioè, non lo conosco da molto, Wrath, eppure in qualche modo lo sento mio. In queste cose io vado a istinto, non ragiono con la testa.» «Per me è stata la stessa cosa con Tohr.» Il viso di Wellsie si addolcì. «È bastato uno sguardo e ho capito che ero fregata.» Soprappensiero si portò la mano al ventre. È incinta, pensò Beth. «Quanto manca?» Wellsie avvampò, ma più per l'ansia, sembrava, che per la felicità. «Ancora parecchio. Un anno, se tutto va bene.» Poi si chinò e tirò fuori il vestito. «Allora, ti va di provarti questo? Noi due abbiamo più o meno la stessa taglia.» Era un abito d'epoca, con un corpetto ornato da una decorazione di perline nere su pizzo e una magnifica sottana che ricadeva in un'ampia cascata di stoffa. Il raso rosso sembrava ardere, catturando la luce delle candele e trattenendola nelle pieghe del ricco panneggio. «È... spettacolare» esclamò Beth allungando una mano per accarezzare la gonna. «Mia madre l'aveva fatto confezionare per me. L'avevo indosso quando mi sono sposata, quasi duecento anni fa. Puoi fare a meno del corsetto, se vuoi, però ho portato le sottogonne... sono così divertenti. E, senti, se non ti piace o se preferisci metterti qualcos'altro non mi offendo. Assolutamente.» «Sei matta? Vuoi che rifiuti questa meraviglia per sposarmi in pantaloncini corti?» Beth prese il vestito e andò in bagno quasi di corsa. Entrare in quell'abito era come fare un salto indietro nel tempo, e quando tornò in camera da letto non riusciva a smettere di gonfiare la sottana. Il corpino le andava un po' stretto, ma non aveva importanza, era pronta a trattenere il fiato per tutta la serata. «Sei uno splendore» disse Wellsie. «Sì, perché questa è la cosa più bella che abbia mai messo. Per favore, mi allacci gli ultimi bottoni sulla schiena?» Le dita di Wellsie si muovevano sicure e veloci. Quand'ebbe finito, piegò la testa di lato unendo le mani. «Ti sta una meraviglia. La combinazione di rosso e nero s'intona perfettamente ai tuoi capelli. A Wrath piglierà un colpo.» «Sei sicura di volermelo prestare?» chiese Beth. E se ci avesse rovesciato sopra qualcosa? «I vestiti sono fatti per essere indossati, e quest'abito non è più stato messo dal 1814.» Wellsie controllò il suo orologio tempestato di diamanti. «Adesso vado di sopra a vedere come procedono i preparativi. Probabilmente Fritz avrà bisogno di aiuto. I fratelli sono buone forchette, ma quanto a capacità culinarie lasciano parecchio a desiderare. E sì che dovrebbero cavarsela alla grande con i coltelli, considerato quello che fanno per vivere.» Beth si voltò. «Dammi una mano a sbottonarmi, così salgo di sopra con te.» Dopo averla aiutata a sfilarsi il vestito, Wellsie esitò. «Ascolta, Beth... io sono felice per te. Veramente. Ma mi sembra giusto essere sincera... Avere per compagno uno di questi maschi non è un'impresa facile. Spero che mi chiamerai, se mai avrai bisogno di sfogarti con qualcuno.» «Grazie» disse Beth, pensando che in effetti non era da escludere. Ce la vedeva bene, Wellsie, a dispensare buoni consigli. Forse perché dava l'idea di avere tutto sotto controllo nella sua vita. Sembrava così... competente. Wellsie sorrise. «E, chissà, magari ti chiamerò anch'io, una volta ogni tanto. Dio, da quanto aspetto di avere qualcuno con cui parlare e che sia in grado di capirmi!» «Nessuno degli altri fratelli è sposato, giusto?» «Tu e io siamo le uniche due mogli, mia cara.» Beth sorrise. «Allora faremo meglio a restare unite.» Wrath salì al piano di sopra chiedendosi chi avesse deciso di fermarsi a dormire. Bussò a una delle camere per gli ospiti e venne ad aprire Butch. L'umano si stava asciugando i capelli con un asciugamano e ne aveva un altro avvolto intorno alla vita. «Sai dov'è V?» chiese Wrath. «Si sta facendo la barba.» Lo sbirro accennò con la testa alle sue spalle e si fece da parte. «Hai bisogno di me, capo?» gridò dal bagno V. Wrath ridacchiò. «Be', che bella scenetta intima.» Da entrambi gli uomini partì un «vaffanculo», mentre Vishous entrava con calma in camera da letto con i boxer bassi sui fianchi. Aveva le guance coperte di schiuma e si stava passando un rasoio di foggia antiquata sulla mascella. La mano sinistra di V era bene in vista, i tatuaggi sacri che la ricoprivano spiegavano con chiarezza le terribili conseguenze cui sarebbe andato incontro chiunque fosse entrato in contatto con essa. Wrath si chiese se l'umano avesse una vaga idea di ciò che V poteva fare con quella mano. Probabilmente no, altrimenti non si sarebbe messo a girare mezzo nudo per la stanza con aria tanto rilassata. «Allora, V» disse Wrath, «devo sistemare una faccenduola prima di sposarmi.» Di solito lavorava da solo, ma se doveva occuparsi di Billy Riddle voleva poter contare sull'appoggio del compagno. Gli umani non avevano la cortesia di disintegrarsi, quando venivano pugnalati, ma ci avrebbe pensato la mano sinistra di Vishous a sbarazzarsi del cadavere. In quattro e quattr'otto il corpo si sarebbe dissolto nell'aria. V sogghignò. «Dammi cinque minuti e sono da te.» «D'accordo.» Wrath sentiva su di sé gli occhi di Butch. L'amico voleva sapere cosa bolliva in pentola, chiaramente. «È meglio che tu resti fuori da questa faccenda, sbirro. Specialmente data la tua vocazione.» «Sono stato sospeso dalla polizia, tanto perché tu lo sappia.» Interessante, pensò Wrath. «E per quale ragione?» «Ho rotto il naso a un sospettato.» «Nel corso di una rissa?» «Durante un interrogatorio.» Per certi versi non era una sorpresa. «E perché avresti fatto una cosa del genere?» «Aveva tentato di violentare la tua futura moglie, vampiro. Non mi andava di essere gentile quando ha detto che lei se l'era cercato.» Wrath sentì un ruggito premergli in gola. Quando emerse dalle viscere, quel verso era una cosa viva. «Billy Riddle.» «Beth ti ha detto del ragazzo?» Wrath andò alla porta con passo deciso. «Muovi le chiappe, V» ordinò brusco. Quando scese da basso, avvertì la presenza di Beth e la vide uscire da dietro il quadro. Le andò incontro e l'abbracciò, stringendola con forza. L'avrebbe vendicata prima che fossero uniti in matrimonio. Era il minimo che il suo hellren potesse fare per lei. «Stai bene?» gli chiese Beth. Lui annuì contro i suoi capelli, poi si rivolse alla shellan di Tohr. «Ehi, Wellsie. Sei stata gentile a venire.» Lei sorrise. «Ho pensato che Beth avesse bisogno di un po' di sostegno morale.» «Sono contento che tu sia qui» disse Wrath, staccandosi da Beth il tempo necessario per fare il baciamano a Wellsie. In quel mentre Vishous entrò nella stanza armato fino ai denti. «Allora, Wrath, leviamo le tende?» «Dove vai?» chiese Beth. «Devo sistemare una cosa» rispose lui, facendo scorrere la mano sul suo braccio. «Gli altri fratelli resteranno qui ad aiutare nei preparativi. La cerimonia avrà inizio a mezzanotte, e per allora io sarò di ritorno.» Beth aveva tutta l'aria di volersi mettere a discutere, ma poi guardò Wellsie. Le due parvero scambiarsi un'occhiata d'intesa. «Stai attento» disse alla fine. «Per favore.» «Non preoccuparti» la rassicurò lui baciandola teneramente e a lungo. «Ti amo, leelan.» «Che cosa significa quella parola?» «Qualcosa di simile a "mia adorata"» rispose Wrath, poi prese il giubbotto appoggiato a una sedia e, prima di uscire, le schioccò un altro piccolo bacio sulle labbra. CAPITOLO 43 Butch si pettinò, si spruzzò un po' di acqua di colonia e s'infilò in un completo non suo. Proprio come l'armadietto dei medicinali in bagno era zeppo di dopobarba e creme da barba di vario tipo, in camera da letto i guardaroba erano pieni di abiti da uomo nuovi di zecca, di taglie diverse anche se tutte abbondanti. Tutta alta moda, roba da stilisti. Era la prima volta in vita sua che Butch sfoggiava un Gucci. Non gli andava di fare lo scroccone, ma non poteva certo presentarsi all'appuntamento con Marissa con addosso gli stessi vestiti della sera prima. Se anche fossero stati particolarmente sciccosi - e non lo erano adesso erano impregnati del tipico lezzo da bar: un misto di alcol e del tabacco turco di V. Voleva essere fresco come una rosa, per lei. Lo voleva veramente. Incapace di trattenersi, fece un giro davanti allo specchio a figura intera sentendosi un finocchio. Il completo gessato nero gli stava a pennello, la camicia immacolata con il colletto aperto metteva in risalto l'abbronzatura e lo splendido paio di mocassini Ferragamo che aveva scovato in una scatola davano all'insieme il giusto tocco di lusso. Era quasi bello, pensò. Almeno finché Marissa non avesse guardato troppo da vicino i suoi occhi iniettati di sangue. Le quattro ore di sonno e lo scotch ingurgitato si notavano. Qualcuno bussò con discrezione alla porta. Butch andò ad aprire. Gli sembrava di essere uno di quei vanesi sempre pronti a darsi un sacco di arie e sperò di non trovarsi davanti uno dei fratelli. Il maggiordomo lo guardò con un largo sorriso. «Com'è elegante, signore. Ottima scelta, ottima scelta.» Butch si strinse nelle spalle, sistemandosi a disagio il colletto della camicia. «Sì, be'...» «Però le manca un fazzoletto nel taschino. Posso?» «Oh, certo.» L'anziano ometto filò dritto verso un comò, aprì uno dei cassetti e si voltò di scatto. «Questo dovrebbe essere perfetto.» Le mani nodose del domestico piegarono con perizia il bianco quadrato di stoffa fino a ricavarne una sorta di capolavoro di origami, che poi venne infilato al suo posto sul petto del detective. «Adesso è pronto per la sua ospite. È già arrivata. Desidera riceverla?» Riceverla? «Diamine, sì.» Quando uscirono in corridoio, il maggiordomo rise sommessamente. «Ho un'aria stupida, vero?» disse Butch. Fritz si fece subito serio. «No, niente affatto, signore. Stavo solo pensando che Darius avrebbe gradito molto tutto questo. Gli piaceva avere la casa piena di gente.» «Chi è Dar...» «Butch?» La voce di Marissa li fece fermare di colpo entrambi. Era in cima alle scale e Butch rimase senza fiato. Aveva raccolto i capelli in un alto chignon e indossava un tubino rosa pallido. Il suo timido piacere nel vederlo gli fece gonfiare il petto d'orgoglio. «Ehi, piccola!» Butch le andò incontro, notando che il maggiordomo era raggiante di gioia. Lei continuava a stropicciare il vestito, nervosa. «Forse avrei dovuto aspettare di sotto, ma sono tutti così indaffarati. Mi sembrava di dare fastidio.» «Vuoi che ci fermiamo qui per un po'?» Lei annuì. «Se non ti dispiace. È più tranquillo.» Il maggiordomo intervenne assentendo. «Al primo piano c'è una veranda dove potete sedervi. Seguite il corridoio. È laggiù in fondo.» Butch le offrì il braccio. «Per te va bene?» Marissa lo prese sottobraccio. Quando distolse in fretta lo sguardo da quello di lui, il suo rossore era incantevole. «Sì. Sì, va bene.» E così voleva rimanere da sola con lui. Buon segno, pensò Butch. Mentre portava in sala da pranzo un vassoio traboccante di cruditè, Beth si disse che Fritz e Wellsie avrebbero potuto mandare avanti un intero paese. Agli ordini di quei due, i fratelli si davano un gran da fare correndo per tutta la casa; avevano apparecchiato la tavola in sala da pranzo, tirato fuori delle candele nuove, aiutato con le vivande. E Dio solo sapeva cosa stava succedendo in camera di Wrath. Era lì, infatti, che la cerimonia si sarebbe svolta, e Rhage era giù da più di un'ora. Beth posò il vassoio sul buffet e tornò in cucina, dove Fritz stava cercando di raggiungere una grossa ciotola di cristallo su uno scaffale in cima alla credenza. «Lascia, faccio io.» «Oh, grazie, signorina.» Beth posò la ciotola sul bancone e rimase a guardare il maggiordomo che la riempiva di sale. Qui rischiamo una bella ipertensione, pensò. «Beth?» la chiamò Wellsie. «Puoi andare nella dispensa a prendere tre vasetti di marmellata di pesche per guarnire il prosciutto?» Beth entrò nell'angusto stanzino e accese la luce. Barattoli e vasi di ogni sorta e qualità erano impilati dal pavimento al soffitto in un assortimento che lasciava senza fiato. C'era solo l'imbarazzo della scelta. Stava cercando la sezione riservata alle pesche, quando udì la porta aprirsi. «Fritz, sai dove...» Si voltò di scatto. E andò a sbattere contro la figura massiccia di Zsadist. Il vampiro soffiò ed entrambi balzarono all'indietro mentre la porta della dispensa si richiudeva. Il guerriero chiuse gli occhi quasi con sofferenza, le labbra si ritrassero scoprendo le zanne e i denti. «Scusa» mormorò lei cercando di scostarsi il più possibile. Non c'era molto spazio e non c'erano altre vie di fuga, con lui in piedi davanti alla porta. «Non ti ho visto. Mi dispiace davvero tanto.» Zsadist indossava una camicia aderente a maniche lunghe, e quando serrò i pugni i muscoli delle braccia e delle spalle, flettendosi, si gonfiarono in modo evidente sotto la stoffa. Era già grande e grosso, ma la prestanza del suo fisico lo faceva sembrare addirittura gigantesco. Sollevò le palpebre e, quando quei suoi occhi neri si posarono sul viso di Beth, lei rabbrividì. Erano così gelidi. Troppo gelidi. «E va bene, sono brutto» sbottò lui. «Ma non devi avere paura di me. Non sono un selvaggio.» Poi afferrò qualcosa e uscì. Beth si accasciò contro le scatolette e i vasi di conserva guardando lo spazio vuoto che il vampiro aveva lasciato sullo scaffale. Chutney. Aveva preso la salsa agrodolce indiana. «Beth, hai trovato... ?» Wellsie si fermò di colpo sulla soglia. «Che cosa è successo?» «Niente. Non è... successo niente.» Wellsie la squadrò con attenzione, aggiustandosi il grembiule sopra il vestito azzurro. «Non mi stai dicendo la verità, ma è il giorno del tuo matrimonio quindi per questa volta lascerò correre.» Localizzò la marmellata e ne tirò giù alcuni vasi. «Ehi, perché non scendi in camera di tuo padre a fare un riposino? Rhage ha finito, di sotto, quindi puoi tirare un po' il fiato. Devi coccolarti un po' prima di prendere marito.» «Sai, penso sia un'ottima idea.» Butch si appoggiò allo schienale della sedia a dondolo in vimini, incrociando le gambe e spingendosi avanti e indietro con il piede posato sul pavimento. La sedia emise uno scricchiolio. In lontananza il cielo era solcato da lampi di calore. La notte profumava delle fragranze provenienti dal giardino sottostante. E di mare. All'altro capo dello stretto porticato, Marissa piegò la testa all'indietro per scrutare il cielo. Una leggera brezza estiva accarezzò le ciocche intorno al suo viso. Butch giunse alla conclusione che poteva restare a guardarla per tutta una vita senza mai stancarsi. «Butch?» «Scusa. Che cosa hai detto?» «Ho detto che sei bellissimo con quel vestito.» «Questo vecchio straccio? Ho messo su la prima cosa che mi è capitata tra le mani.» Lei rise, proprio come lui aveva sperato, ma mentre quel suono argentino gli risuonava nelle orecchie si fece serio. «Sei tu quella bellissima.» Lei si portò una mano al collo. All'apparenza non sapeva reagire ai complimenti, quasi non ne avesse ricevuti molti. Lui lo trovava incredibile. «Ho raccolto i capelli per te» disse Marissa. «Ho pensato che forse ti sarebbero piaciuti così.» «Mi piacciono sempre e comunque.» Lei sorrise. «Anche questo vestito l'ho scelto per te.» «Mi piace. Ma sai una cosa, Marissa? Non devi farti bella per me.» Lei abbassò gli occhi. «Ci sono abituata.» «Be', allora sarà il caso che cominci a disabituarti. Tu sei perfetta così come sei.» Lei era raggiante. Assolutamente raggiante. E lui non potè fare altro che restare a guardarla. La brezza cominciò a soffiare un po' più forte sollevandole la sottana di chiffon intorno all'armoniosa curva dei fianchi. E, all'improvviso, Butch non pensò più solo a quanto lei era incantevole. Fu quasi sul punto di scoppiare a ridere. Non aveva mai considerato la lussuria un elemento capace di rovinare l'atmosfera, ma le esigenze del suo corpo erano una cosa che preferiva accantonare, per quella sera. O anche più a lungo. Ci teneva davvero a trattare Marissa nel modo migliore. Lei era una donna degna di essere venerata, coccolata e resa felice. Si accigliò. Già, e come pensava di riuscirci? Quella era la parte più facile, tutto sommato. Finché si trattava di adorarla e coccolarla nessun problema. Quelle erano cose alla sua portata, le conosceva a menadito. Però... una vampira vergine era una categoria femminile di cui non sapeva proprio niente. «Marissa, tu sai che io non sono come te, vero?» Lei annuì. «Dal primo momento che ti ho visto.» «E questo non ti...» - smonta? - «... secca?» «No. Mi piace come mi fai sentire, quando sto con te.» «E come ti senti?» chiese lui, un po' più tranquillo. «Al sicuro. Carina.» Si interruppe e gli guardò le labbra. «E a volte sento anche altre cose.» «Del tipo?» A dispetto delle buone intenzioni, Butch aveva una gran voglia di sentire quelle altre cose. «Sento un gran caldo. Specialmente qui» e si toccò i seni, «e qui.» Con le mani si sfiorò la giuntura tra le cosce. Butch ci vedeva doppio dal batticuore. Soffiò fuori una boccata d'aria rovente, sicuro che la testa stesse per scoppiargli. «Senti qualcosa anche tu?» chiese lei. «Farai meglio a credermi sulla parola.» La voce di lui sembrava arrochita dallo scotch. Che poi è proprio l'effetto che fa la disperazione a un povero ragazzo come me. Marissa attraversò il portico, andando verso di lui. «Adesso vorrei baciarti. Se non ti dispiace.» Se non gli dispiaceva? Era pronto a supplicarla in ginocchio anche solo per continuare a guardarla. Butch distese le gambe e raddrizzò la schiena; l'eventualità che qualcuno potesse sorprenderli da un momento all'altro lo avrebbe aiutato a non perdere la testa, si disse. Stava per alzarsi in piedi quando Marissa si inginocchiò davanti a lui. Infilandosi in mezzo alle sue gambe. «Ehi, ferma. Piano» esclamò lui, bloccandola prima che entrasse a contatto con la sua erezione. Non era sicuro che fosse pronta per quello. Diamine, nemmeno lui era sicuro di essere pronto. «Se vogliamo. .. dobbiamo fare le cose con calma. Voglio che per te sia un piacere.» Marissa sorrise, e lui scorse la punta delle zanne. L'erezione palpitava nei suoi calzoni. Chi l'avrebbe mai detto che l'avrei trovato eccitante? «Ieri notte ho sognato di fare questo» mormorò lei. Butch si schiarì la voce. «Sul serio?» «Ho sognato che eri vicino al mio letto. Ti sei chinato sopra di me.» Oh, Dio! Non stentava a immaginarlo. Però nelle sue fantasie loro due erano nudi. «Tu eri nudo» sussurrò Marissa, protendendosi verso di lui. «E anch'io. La tua bocca premeva con forza sulla mia. Avevi un sapore forte, di scotch. Mi piaceva.» Le sue labbra erano a pochi centimetri da quelle di lui. «Mi piacevi.» Cristo santo. Stava per venire, altro che. E non si erano neppure ancora baciati. Marissa si mosse per colmare la distanza che li separava, ma all'ultimo momento Butch la trattenne. Lei era troppo, per lui. Troppo bella. Troppo sexy. Troppo, decisamente troppo ingenua. Aveva già deluso un'infinità di persone nel corso della sua vita. Non voleva aggiungerla alla lista. E poi lei meritava un principe, per la sua prima volta, non un ex sbirro fallito con addosso l'armatura da gigolò di qualcun altro. Non aveva idea di come fosse la vita privata dei vampiri, ma era sicurissimo che Marissa potesse aspirare a un compagno molto migliore di lui. «Marissa?» «Hmm?» Lei non staccava gli occhi dalle sue labbra. Malgrado la mancanza di esperienza sembrava pronta a divorarlo. E lui voleva essere mangiato. «Tu non lo desideri?» sussurrò Marissa, tirandosi indietro con un'aria preoccupata. «Butch?» «Oh, no, piccola. Non dire così. Non dirlo mai.» Spostò le mani dalle sue spalle al collo, tenendole ferma la testa. Poi piegò la propria di lato e posò le labbra su quelle di lei. Marissa ansimò, inspirando a pieni polmoni il suo respiro, prendendo dentro di sé qualcosa di lui. Butch gongolava soddisfatto ma riuscì a dominarsi, sfiorandole la bocca con delicatezza, accarezzandola dolcemente. Quando Marissa barcollò verso di lui, Butch fece scorrere la lingua lungo il contorno delle sue labbra. Doveva avere un sapore dolcissimo, pensò, preparandosi a spingersi più a fondo, pur sempre attento a non perdere il controllo. Ma fu lei a bruciare le tappe. Gli catturò la lingua con la bocca e si mise a succhiarla. Butch mugolò, sollevandosi di scatto dalla sedia. Lei interruppe subito il bacio. «Non ti è piaciuto? A me è piaciuto, quando lo hai fatto al mio dito, ieri sera.» Lui si allargò il colletto con uno strattone. Che fine aveva fatto tutta l'aria, in quella zona del Nord America? «Butch?» «Mi è piaciuto» mormorò lui in un gracchio gutturale. «Fidati. Mi è piaciuto eccome.» «Allora vorrei farlo di nuovo.» E si lanciò in avanti imprigionandogli la bocca in un bacio torrido, spingendolo all'indietro contro la sedia di vimini. Butch ebbe l'impressione di essere finito sotto una tonnellata di mattoni; era talmente scioccato che riuscì solo a tenersi aggrappato ai braccioli della sedia. Fu un assalto potente. Erotico. Più rovente delle fiamme dell'inferno. In pratica Marissa gli strisciò sopra il petto continuando a esplorargli la bocca, e lui si puntellò con le gambe facendo gravare tutto il peso sui palmi. All'improvviso si udì uno schianto assordante. E subito dopo Butch rotolò per terra con lei. «Cosa caz...» esclamò lui sollevando la mano sinistra. E con essa si alzò anche il bracciolo di vimini a cui era rimasto aggrappato. Aveva strappato via un lato della sedia a dondolo. «Stai bene?» chiese senza fiato Butch, buttando via il pezzo di sedia. «Oh, sì» rispose Marissa con un sorriso. Aveva il vestito aggrovigliato tra le gambe di lui e il corpo premuto contro il suo. Più o meno nel punto preciso in cui lui agognava che fosse. Quando la guardò, Butch era pronto ad andare fino in fondo, pronto a infilarsi sotto quel meraviglioso vestito, a spalancarle le cosce per affondare dentro la sua calda vulva fino a smarrirsi completamente in lei. Solo che, nello stato in cui era al momento, rischiava di possederla in modo brutale, di non fare l'amore con la dovuta delicatezza. Era arrapato al punto da volerlo fare lì, sulla veranda, all'aperto. Quindi era giunto il momento di una pausa. Decisamente. «Aspetta, ti aiuto a tirarti su» disse brusco. Marissa fu più veloce di lui; in pratica scattò in piedi come una molla e, quando gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi, lui la afferrò pensando di fare lo spiritoso. Invece si ritrovò sollevato da terra come un fuscello. Sorrise, spazzolandosi la giacca con la mano. «Sei più forte di quello che sembri.» A disagio, Marissa si concentrò sul proprio vestito, controllando che non si fosse strappato. «Non proprio.» «Non è una brutta cosa, Marissa.» Lei tornò a guardarlo negli occhi, poi lentamente fece scorrere lo sguardo verso il basso, lungo il suo corpo. In preda all'imbarazzo, lui si accorse che l'erezione gli tirava i calzoni in modo vistoso. Subito le diede le spalle per sistemarsi. «Che cosa stai facendo?» «Niente» rispose Butch. Poi si voltò verso di lei. Chissà se il suo cuore sarebbe mai più riuscito a rallentare, ricominciando a battere in modo normale. Cristo, per qualche tempo poteva risparmiarsi i test di resistenza allo stress. Se il suo cuore riusciva a reggere a un bacio di Marissa, era pronto per correre la maratona. Trascinandosi dietro un'automobile legata alla schiena. Sul ciglio della strada. «Mi è piaciuto» sussurrò lei. Butch non potè fare a meno di ridere. «Anche a me. Ma è difficile credere che tu sia ancora verg...» Chiuse la bocca di scatto. E si sfregò le sopracciglia con il pollice. Non c'era da stupirsi che nessuno volesse mai uscire con lui. Aveva i modi di uno scimmione. «Tanto perché tu lo sappia» farfugliò, «a volte mi capita di fare delle magre. Ma vedrò di lavorarci su, per te.» «Delle magre?» «Figuracce. Sì, insomma, roba tipo... Oh, cavolo!» Guardò verso la porta. «Senti, cosa ne dici di scendere a vedere a che punto sono con la festa?» Perché se restava lì un minuto di più rischiava di saltarle addosso. «Butch?» Lui si voltò a guardarla. «Sì, piccola?» Gli occhi di Marissa fiammeggiarono mentre lei si passava la lingua sulle labbra. «Io voglio di più, da te.» Butch trattenne il fiato e si chiese se Marissa stava pensando al suo sangue. Guardando il suo bel viso rivisse quello che aveva provato quando lo aveva spinto all’indietro, contro la sedia. E immaginò che, invece di baciarlo, Marissa gli affondasse nel collole zanne di un bianco perlaceo. Non gli venne in mente un modo migliore di andarsene che tra le sue braccia. «Qualunque cosa tu voglia da me» mormorò, «l'avrai.» CAPITOLO 44 Wrath guardò Billy Riddle uscire dalla sontuosa villa e mettersi in posa sullo sfondo del colonnato anteriore. Il ragazzo appoggiò per terra una sacca di tela e alzò gli occhi verso il cielo. «Perfetto» commentò. «Abbiamo tutto il tempo di ammazzarlo e tornarcene a casa.» Ma prima che lui e Vishous uscissero dall'ombra, un Hummer nero risalì il viale d'accesso circolare. Quando passò davanti ai due vampiri, da uno dei finestrini fluttuò fuori un dolce profumo di talco per neonati. «Non ci posso credere» mormorò Wrath. «Quello è un lesser, fratello.» «E vuoi scommettere che sta facendo un po' di reclutamento?» «Ottimo candidato.» Billy saltò in macchina e il SUV si mise in moto. «Dovevamo prendere la mia macchina» sibilò V «Almeno adesso potevamo seguirli.» «Non c'è tempo per un inseguimento... la Vergine Scriba arriva a mezzanotte. Lo facciamo subito. Qui.» Wrath balzò davanti all'Hummer piantando le mani sopra il cofano e fermando il SUV con una spinta. Guardò torvo attraverso il parabrezza mentre Vishous avanzava di lato, strisciando a ridosso del veicolo fino alla portiera del conducente. Wrath sorrise mentre il motore veniva messo in folle. All'interno dell'auto percepiva paura ed eccitazione insieme. Sapeva quale delle due emozioni apparteneva a Billy Riddle. Il ragazzo era nervoso. Il lesser, al contrario, era pronto a combattere. E c'era anche qualcos'altro. Qualcosa che non quadrava. Wrath si guardò intorno in fretta. «Attento, V» Il ruggito del motore di un'automobile lacerò il silenzio della notte e tutti loro vennero colpiti in pieno dalla luce accecante dei fari. Una berlina americana priva di contrassegni frenò di colpo e due uomini balzarono a terra con le pistole in pugno. «Polizia! Mani in alto. Voi due in macchina, uscite fuori.» Wrath teneva d'occhio la portiera dal lato del guidatore. Ciò che ne emerse era grosso e determinato. E, sotto il profumo di talco per neonati, il lesser puzzava di malvagità. Mentre alzava le mani, il membro della Lessening Society fissò i distintivi sul giubbotto di Wrath. «Mio Dio, credevo fossi solo un personaggio leggendario. Il Re cieco.» Wrath scoprì le zanne. «Niente di quello che hai sentito sul mio conto è inventato.» Gli occhi del lesser fiammeggiarono. «Sono assolutamente ispirato.» «E a me si spezza il cuore separarci proprio adesso. Ma ci rivedremo presto, anche con la tua nuova recluta.» Con un cenno del capo a Vishous, Wrath fece piazza pulita dei ricordi degli umani e si smaterializzò. Mr X era impressionato. Il Re cieco era vivo. Per secoli erano circolate storie sul suo conto - leggende, in realtà -, ma da quando Mr X era entrato a far parte della Società nessuno poteva confermare con certezza di averlo visto. Anzi, si era persino sparsa la voce che il regale guerriero fosse morto, illazioni basate in primo luogo sulla disintegrazione della società dei vampiri. Invece no, il re era vivo. Cristo santo. Quella sì che sarebbe stata un'offerta degna di essere deposta sull'altare dell'Omega. «Vi avevo avvertiti che stava arrivando» stava dicendo intanto Billy ai due poliziotti. «È il mio maestro di arti marziali. Perché ci avete fatti accostare?» Gli agenti rimisero le pistole nella fondina concentrandosi su Mr X. «Posso vedere un suo documento, signore?» chiese uno dei due. Mr X sorrise, porgendogli la patente di guida. «Billy e io stiamo andando fuori a cena, tutto qua. Magari anche a vedere un film.» L'uomo studiò prima la fotografia e poi la faccia di Mr X. «Ecco la sua patente, Mr Xavier. E scusi il disturbo.» «Nessun problema, agente.» Mr X e Billy risalirono sull'Hummer. Riddle imprecò. «Che idioti. Perché ci hanno fermati?» Perché siamo stati aggrediti da due vampiri, pensò Mr X. Però tu non te lo ricordi, e nemmeno quei due ragazzi con i distintivi. Ingegnosi giochetti mentali. Ingegnosi, molto ingegnosi. «Che cosa ci fa qui la polizia?» chiese Mr X mettendo in moto il SUV. «Mio padre ha ricevuto un'altra minaccia da parte dei terroristi e ha deciso di lasciare Washington per un po'. Torna a casa stasera, e quelli invaderanno la tenuta finché non sarà tornato nella capitale.» «Hai parlato con lui?» «Sì. Sembrava sollevato, in effetti.» «Ne ero sicuro.» Billy rovistò dentro la sacca. «Ho preso quello che mi aveva detto di portare.» Così dicendo, sollevò un vaso di ceramica dall'imboccatura larga e con tanto di coperchio. «Ottimo, Billy. Misura perfetta.» «Che cosa ci dobbiamo mettere?» Mr X sorrise. «Lo scoprirai presto. Hai fame?» «No. Sono troppo carico per mangiare.» Billy batté i palmi l'uno contro l'altro e li strinse con forza, flettendo i muscoli. «Tanto perché lei lo sappia, io non mollo facilmente. Qualunque cosa accada stanotte, terrò duro.» Staremo a vedere, pensò Mr X dirigendosi verso casa sua. Avrebbero celebrato la cerimonia nel fienile, e il tavolo da tortura sarebbe stato di grande aiuto. Così poteva legare Billy con più facilità. Mentre si lasciavano alle spalle la città e la campagna con le sue fattorie si stendeva a poco a poco ai due lati della strada, Mr X si scoprì a sorridere. Il Re cieco. Lì a Caldwell. Lanciò un'occhiata a Riddle. A Caldwell e sulle tracce di Billy. Chissà come mai? CAPITOLO 45 Beth si era rimessa il vestito. E le piaceva un mondo. «Mi mancano le scarpe» disse. Wellsie si tolse un'altra forcina dalla bocca e la infilò nello chignon della futura sposa. «Non ce n'è bisogno, puoi farne a meno. Okay, fammi un po' vedere come stai» disse con un sorriso guardando Beth che volteggiava per la camera da letto di suo padre, con il raso rosso della sottana che sembrava divampare in un incendio intorno a lei. «Mi metterò a piangere» mormorò coprendosi la bocca con la mano. «Lo so già. Non appena lui ti vedrà io scoppierò a piangere. Sei troppo bella, e questa è la prima occasione felice da quando... oh, non so più neanch'io da quando.» Beth si fermò di colpo e l'ampio panneggio dell'abito da sposa si afflosciò dopo un'ultima giravolta. «Grazie. Di tutto.» Wellsie scosse la testa. «Non essere gentile con me, altrimenti mi scioglierò subito in lacrime.» «Sul serio. Mi sembra come... non so, come se con questo matrimonio entrassi a far parte di una famiglia. Io che non ne ho mai avuta una vera.» Il naso di Wellsie divenne rosso. «Ma noi siamo la tua famiglia. Tu sei una di noi. Però adesso smettila, per favore, prima che mi commuova.» Qualcuno bussò vigorosamente alla porta. «Ehi, va tutto bene lì dentro?» chiese una voce maschile dall'altra parte. Wellsie mise la testa fuori socchiudendo appena l'uscio. «Sì, Tohr. I fratelli sono già tutti schierati?» «Ma cosa diav... Hai pianto?» chiese Tohrment. «Stai bene? Oh, Dio! È per il bambino?» «Rilassati, Tohr. Sono una femmina e ai matrimoni mi viene da piangere. E tutto nella norma.» Si udì lo schiocco di un bacio. «Niente deve turbarti, leelan.» «Allora dimmi che i fratelli sono pronti.» «Siamo pronti.» «Bene. Adesso la accompagno fuori.» «Leelan?» «Sì?» Ci fu uno scambio di battute sussurrate nella loro bella lingua. «Sì, Tohr» sussurrò Wellsie. «E a distanza di duecento anni ti risposerei di nuovo. Anche se russi e lasci le armi in giro per tutta la camera da letto.» La porta si chiuse e Wellsie si voltò. «Ti stanno aspettando. Vogliamo andare?» Beth si lisciò il corpetto e abbassò lo sguardo sul rubino che aveva al dito. «Non avrei mai pensato di fare una cosa del genere.» «La vita è piena di sorprese meravigliose, non trovi?» «E proprio vero.» Uscirono dalla camera da letto del padre di Beth ed entrarono in quella di Wrath. La stanza era stata svuotata e, nel punto in cui prima c'era il letto, i membri della confraternita erano allineati contro il muro. Erano uno spettacolo magnifico: tutti vestiti allo stesso modo, in giacca di raso nero e pantaloni ampi, con dei pugnali adorni di pietre preziose alla cintola. Quando videro Beth, trattennero il respiro con un'esclamazione soffocata. I fratelli strusciavano i piedi, agitati, abbassando lo sguardo. Poi tornarono a guardarla. Su quei volti duri sbocciarono sorrisi imbarazzati. Be', fatta eccezione per Zsadist. Lui la squadrò una volta sola e poi tenne gli occhi fissi sul pavimento. Butch, Marissa e Fritz erano in piedi in un angolo. Beth li salutò con un cenno della mano. Fritz tirò fuori un fazzoletto. E nella stanza c'era qualcun altro. Una persona minuscola vestita di nero da capo a piedi. Persino il volto era invisibile. Beth si accigliò. Sul pavimento, sotto i neri drappeggi della lunga veste cerimoniale, si allargava una pozza luminosa. Come se la figura risplendesse di luce propria. Ma dov'era Wrath? Wellsie la invitò a proseguire, finché la futura sposa si trovò in piedi di fronte ai fratelli. Quello con la chioma da capogiro, Phury, si fece avanti. Beth abbassò lo sguardo nel tentativo di riprendersi e notò che il vampiro aveva una protesi al posto di un piede. Per evitare di fissare l'arto artificiale rialzò subito lo sguardo e incrociò i suoi occhi gialli. Quando lui le sorrise, Beth ritrovò un po' di calma. Con la sua voce profonda Phury pronunciò le parole in modo chiaro e distinto. «Per quanto possibile, celebreremo la cerimonia in inglese, in modo che tu possa capire. Sei pronta?» Lei annuì. «Vieni avanti, mio signore» disse a voce alta Phury. Beth si voltò a guardare da sopra la spalla. Wrath si materializzò sulla soglia e lei si portò una mano alla bocca. Era splendido. Indossava una tunica nera legata in vita da una fusciacca impreziosita da un ricamo di colore scuro. Al suo fianco pendeva un lungo pugnale dal manico dorato e in testa aveva una corona di rubini incastonati in un metallo dalla finitura opaca. Mentre avanzava deciso, muovendosi con la grazia che lei tanto amava, i lunghi capelli gli ricadevano in morbide onde sulle spalle poderose. Aveva occhi solo per lei. Quando le si fermò davanti sussurrò: «Mi lasci senza fiato». Beth scoppiò a piangere. Con un'espressione preoccupata, Wrath allungò le braccia verso di lei. «Che cosa c'è, leelan?» Lei scosse il capo e sentì che Wellsie le metteva in mano un Kleenex. «Sta bene» rispose la donna. «Fidati di me, sta benissimo. Vero, cara?» Beth annuì asciugandosi gli occhi. «Sì.» Wrath le sfiorò la guancia. «Possiamo interrompere qui, se vuoi.» «No!» si affretto a dire lei. «Io ti amo, e noi due ci sposeremo. Subito.» Dal gruppo dei fratelli si levarono alcune risatine soffocate. «Questo mi pare assodato» disse uno di loro con una sfumatura di rispetto nella voce. Quando Beth si fu ripresa, Wrath guardò Phury e annuì. «Per prima cosa procederemo con le presentazioni alla Vergine Scriba» disse il vampiro. Wrath prese per mano Beth e la condusse verso la figura coperta dalla lunga tunica nera. «Vergine Scriba, questa è Elizabeth, figlia di Darius, guerriero della Confraternita del Pugnale Nero, nipote del princeps Marklon, pronipote del princeps Horusman...» L'elenco proseguì per qualche secondo. Quando Wrath tacque, Beth d'impulso allungò un braccio verso la figura velata, porgendole la mano. Ci fu un grido di allarme e Wrath l'afferrò per il braccio, tirandola indietro mentre alcuni fratelli balzavano in avanti. «È colpa mia» si scusò Wrath allargando le braccia quasi a voler proteggere Beth. «Non l'ho preparata in modo adeguato. Non voleva recare offesa a nessuno.» Una risata - sommessa, calda, femminile - si levò dai panneggi della veste cerimoniale. «Non temere, guerriero. Lei è a posto. Vieni qui, femmina.» Wrath si fece da parte, pur rimanendo vicino alla futura sposa. Beth si avvicinò alla figura velata, timorosa di fare una qualunque mossa. Si sentiva sotto esame. «Questo maschio ti chiede di accettarlo come tuo hellren, figliola. Lo vuoi come tuo sposo, sempre che lui sia degno di diventarlo?» «Oh, sì» rispose lei guardando Wrath. Era ancora teso. «Sì, lo voglio.» La figura velata annuì. «Guerriero, questa femmina ha accettato di prendere in considerazione la tua proposta. Sei pronto a cimentarti per lei?» «Sì.» La voce profonda di Wrath riecheggiò per tutta la stanza. «Sei pronto a sacrificarti per lei?» «Sì.» «Sei pronto a proteggerla da chiunque tenti di farle del male?» «Sì.» «Dammi la mano, figliola.» Beth allungò la mano, incerta. «Con il palmo all'insù» bisbigliò Wrath. Lei girò il polso. Le pieghe della veste cerimoniale si mossero coprendole la mano. Beth sentì uno strano formicolio, una sorta di leggera scossa elettrica. «Guerriero.» Wrath protese la mano e anche la sua venne oscurata dai panneggi della tunica nera. All'improvviso, Beth si sentì pervadere da un gran calore che l'avvolse completamente. Si girò verso Wrath. Lui la guardava sorridente. «Ah» disse la figura. «Questa è una buona unione. Un'ottima unione.» La Vergine Scriba lasciò andare le mani dei due sposi e allora Wrath abbracciò Beth e la baciò. Gli invitati applaudirono. Qualcuno si soffiò il naso. Beth si tenne aggrappata più forte che potè al suo nuovo marito. Era fatta. Era vero. Erano... «È quasi finita, leelan.» Wrath arretrò di un passo, slacciando la fusciacca della tunica. Poi si spogliò, rimanendo a petto nudo. Wellsie si fece avanti e prese la mano di Beth. «Andrà tutto bene. Respira insieme a me.» Beth si guardò nervosamente intorno, mentre Wrath si inginocchiava davanti ai fratelli e chinava il capo. Fritz portò un tavolino con sopra la ciotola di cristallo colma di sale, una brocca d'acqua e una scatolina laccata. Phury si avvicinò allo sposo. «Qual è il nome della tua shellan, mio signore?» «Elizabeth.» Con un fruscio metallico, Phury sfoderò il suo pugnale nero e si piegò sopra la schiena nuda di Wrath. Con un ansito, Beth si gettò in avanti mentre la lama calava con decisione. «No!» la ammonì Wellsie, tenendola ferma. «Resta qui.» «Ma che cosa sta...» «Tu stai sposando un guerriero» bisbigliò con forza Wellsie. «E lui deve dimostrare il suo onore davanti ai fratelli.» «No!» «Ascoltami... Wrath ti sta offrendo il suo corpo, tutto se stesso. Tutto questo è tuo, adesso. È questo lo scopo della cerimonia.» Phury indietreggiò e Beth scorse un rivolo di sangue colare lungo il fianco di Wrath. Poi fu la volta di Vishous. «Qual è il nome della tua shellan?» «Elizabeth.» Quando anche il secondo guerriero si piegò in avanti Beth chiuse gli occhi stringendo con forza la mano di Wellsie. «Non c'è bisogno che faccia questo per me, non deve dimostrarmi quanto è coraggioso.» «Lo ami?» chiese Wellsie. «Sì.» «Allora accetta le sue usanze.» Zsadist fu il terzo a farsi avanti. «Vacci piano, Z» bisbigliò Phury tenendosi vicino al gemello. Oh, Dio, basta così! Uno dopo l'altro tutti i fratelli avanzarono verso Wrath, pronunciando sempre la stessa domanda. Alla fine Phury prese la caraffa e versò l'acqua dentro la ciotola con il sale, quindi rovesciò il liquido viscoso e salmastro sulla schiena dello sposo. Beth scalpitava impaziente mentre vedeva i muscoli del suo hellren contrarsi. Non riusciva nemmeno a immaginare che razza di tortura fosse. Wrath, tuttavia, curvo sul pavimento, non si lasciò sfuggire un gemito. Vedendolo sopportare tanto stoicamente il dolore, i fratelli emisero un grugnito di approvazione. Phury si chinò ad aprire la scatola laccata e ne estrasse un panno di un candore immacolato. Deterse le ferite dello sposo, quindi arrotolò il pezzo di stoffa riponendolo nella scatola. «Alzati, mio signore» disse. Wrath si alzò in piedi. Sulle sue spalle, in un arco tracciato in caratteri gotici, c'era inciso il nome di Elizabeth. Phury gli offrì la scatola. «Porta questa alla tua shellan quale simbolo della tua forza, così saprà che sei degno di lei e che il tuo corpo, il tuo cuore e la tua anima adesso sono ai suoi ordini.» Wrath si girò. Mentre avanzava verso di lei, Beth lo scrutò ansiosa in volto. Stava bene. Più che bene, anzi. Era letteralmente raggiante d'amore. Inginocchiandosi davanti alla sua shellan, Wrath chinò il capo e le porse la scatola. «Mi vuoi come tuo sposo?» chiese, guardandola da sopra il bordo degli occhiali da sole. I pallidi occhi ciechi brillavano. Le mani di Beth tremavano mentre accettava la scatola. «Sì.» Wrath si rimise in piedi e lei gli gettò le braccia al collo, attenta a non toccargli la schiena. I fratelli intonarono una sorta di canto liturgico, una sommessa sequenza di parole che Beth non fu in grado di decifrare. «Stai bene?» le bisbigliò all'orecchio lui. Lei annuì, chiedendosi perché diavolo non poteva chiamarsi Mary. O magari Sue. Invece no, doveva chiamarsi Elizabeth, un nome di ben nove lettere. «Solo, possiamo non ripeterlo un'altra volta?» disse, affondando la testa nella sua spalla. Wrath rise piano. «Temo che dovrai farti coraggio, se avremo dei figli.» Il volume del canto si alzò, le profonde voci maschili dei coristi ce la stavano mettendo tutta. Beth si volse verso di loro, uomini prestanti e intrepidi che adesso facevano parte della sua vita. Wrath si girò circondandola con un braccio. Insieme i due sposi ondeggiarono al ritmo del canto che si gonfiava, riempiendo l'aria. I fratelli cantavano all'unisono, come un'indissolubile, poderosa entità, rendendo omaggio alla coppia nell'antico idioma dei vampiri. A un certo punto, in un'accorata invocazione, una voce si levò alta sopra le altre, sempre più forte. Il timbro tenorile era così terso, così puro da far venire la pelle d'oca, e riempiva i petti di un calore struggente. Le dolci note musicali sollevavano il soffitto con la loro gloriosa magnificenza, trasformando la stanza in una cattedrale e i fratelli in un tabernacolo. Il paradiso era lì, a portata di mano. Sembrava quasi di poter toccare il cielo con un dito. Era Zsadist. A occhi chiusi, con il capo reclinato all'indietro e la bocca spalancata, cantava. Lo sfregiato, quello senz'anima, aveva la voce di un angelo. CAPITOLO 46 Durante il ricevimento nuziale Butch ci andò piano con l'alcol. Non fu un'impresa ardua: era troppo preso a godersi la compagnia di Marissa. E anche a guardare Beth insieme al suo nuovo marito. Dio, era così felice! E la stessa identica cosa valeva per quel vampiro dall'aria terrificante che aveva deciso di sposare. Non la mollava un secondo, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: per tutta la serata l'aveva tenuta in braccio, a tavola, imboccandola con le proprie mani mentre le accarezzava il collo. Sul finire della festa Marissa si alzò. «Devo tornare da mio fratello. Mi aspetta per cena, in effetti.» Ecco perché non aveva toccato cibo. Butch si accigliò. Non voleva lasciarla andare. «Quando torni?» «Domani sera?» Maledizione, mancava un'eternità. Mise giù il tovagliolo. «Be', io sarò qui ad aspettarti.» A proposito di uomini sottomessi, pensò. Marissa salutò tutti e scomparve. Butch prese il bicchiere di vino mascherando il tremito della mano. Tutta la faccenda della serie sangue-e-zanne poteva quasi reggerla, ma abituarsi a quel modo di svanire nel nulla avrebbe richiesto un po' più di tempo. Dieci minuti dopo si accorse di essere seduto a tavola da solo. Non aveva voglia di tornare a casa. Nel giro di un solo giorno era riuscito ad archiviare la sua vita vera, semplicemente spingendola in un angolo della mente. E, come un giocattolo rotto, non gli interessava più tirarla fuori, esaminarla, usarla di nuovo. Fece scorrere lo sguardo su tutte le sedie pensando alle persone - ai vampiri - che le avevano occupate. Lui era un estraneo nel loro mondo. Un intruso. Anche se per lui non era una novità sentirsi fuori posto. Gli altri poliziotti erano bravi ragazzi, ma li aveva sempre visti come semplici colleghi di lavoro, niente di più. Compreso José. Non era mai andato fuori a cena con loro al de la Cruzes', o roba del genere. Mentre fissava i piatti vuoti e i bicchieri mezzi pieni di vino si rese conto che non aveva nessun posto dove andare, nessun posto dove aveva voglia di stare. Starsene per conto suo non gli aveva mai dato fastidio, anzi, in qualche modo lo aveva fatto sentire al sicuro, quindi per certi versi era buffo che adesso la solitudine non gli apparisse più come una cosa così fantastica. «Ehi, sbirro, noi facciamo un salto da Screamer's. Ti va di venire?» Butch alzò gli occhi verso la porta. In corridoio c'era Vishous con alle spalle Rhage e Phury. Tutti e tre avevano un'espressione speranzosa, come se avessero davvero voglia di passare un po' di tempo in sua compagnia. Butch si ritrovò a sorridere. «Sì, mi andrebbe proprio un bel giro per i bar.» Mentre si alzava, si chiese se fosse il caso di cambiarsi d'abito e di infilarsi qualcosa di sportivo. I fratelli indossavano già i soliti vestiti di pelle, ma lui non se la sentiva di rinunciare a quel completo. Gli piaceva da matti. 'Fanculo. Aveva un debole per i vestiti eleganti, sì, e allora? D'ora in poi si sarebbe messo sempre in tiro, anche se non era proprio nel suo stile. Si abbottonò la giacca, lisciandola sul davanti, poi controllò che il fazzoletto fosse ancora piegato alla perfezione nel taschino. «Dai, sbirro, sei favoloso» disse Rhage con un sorriso smagliante. «E io muoio dalla voglia di trovare un po' di compagnia, non so se mi spiego.» Già, poteva immaginarlo, pensò Butch. Girò intorno al tavolo. «Però mi tocca avvertirvi, ragazzi. Dei tizi che ho sbattuto al fresco bazzicano proprio Screamer's. Potrebbe mettersi male.» Rhage gli diede una pacca sulla schiena. «Già, e perché credi che vogliamo farti venire?» «Esatto, proprio così» brontolò sogghignando V, calcandosi sulla fronte il berretto dei Sox. «Una bella rissa è quello che ci vuole prima di un goccetto di Grey Goose.» Butch alzò gli occhi al cielo, poi guardò serio Phury. «Dov'è il tuo gemello?» Il vampiro si irrigidì. «Z non viene.» Bene. Butch non aveva problemi a uscire con gli altri. Era sicuro che, se avessero voluto ucciderlo, a quel punto sarebbe già stato sottoterra, ma Zsadist... non si capiva mai quando stava per dare fuori di matto. E che arma avrebbe fatto comparire in quel caso. In compenso cantava da Dio. Mentre si avviavano verso il portone d'ingresso Butch mormorò: «Certo che quel figlio di buona donna ha un'ugola d'oro. Una voce davvero bellissima». Gli altri annuirono e Rhage fece scivolare un braccio poderoso intorno alle spalle di Phury, che per un attimo chinò il capo, quasi stesse trasportando qualcosa di molto pesante e non vedesse l'ora di far riposare la schiena. Una volta fuori, si avviarono verso una Escalade nera ESV. I fari lampeggiarono quando il sistema di allarme venne disattivato. «Oh, maledizione, l'ho dimenticato» esclamò Butch, bloccandosi di botto. I vampiri si fermarono lanciandogli uno sguardo interrogativo. «Il fucile a pallettoni !» Mentre girava intorno alla macchina, Phury e Rhage lo seguirono mandandolo all'inferno. Butch aveva già la mano sulla portiera ma non riusciva ad aprirla. «Gli umani devono stare dietro!» «Nel baule!» «Sentite, razza di sanguisughe, ho solo detto...» «Adesso lo mordo, V!» La risata di Vishous fendette l'afosa aria notturna, mentre il vampiro si metteva al volante. La sua prima mossa fu di accendere lo stereo a tutto volume. Il SUV si mise a vibrare. Era Hypnotize, un pezzo di Notorious BIG. E con il volume a palla potevano sentirlo fin su a Montreal, il buon vecchio Biggie, pensò Butch salendo in macchina. «Cazzo, fratello» esclamò Rhage mentre si accomodava sul sedile posteriore. «È una radio nuova, quella?» «Sono o non sono un dio, signori miei? Forza, adoratemi» replicò Vishous accendendosi una sigaretta rollata a mano. Poi, con un colpetto del dito, chiuse l'accendino dorato. «E forse vi lascerò giocare con i pulsanti.» «Varrebbe quasi la pena di leccarti il culo.» I fari si accesero e illuminarono in pieno Zsadist che stava venendo avanti. Phury aprì immediatamente la portiera facendogli posto. «Allora alla fine hai deciso di venire a fare un giro con noi?» Mentre scivolava sul sedile posteriore, Zsadist scoccò un'occhiataccia a Butch, che però non la prese sul personale. Il vampiro non sembrava entusiasta di vedere nessuno degli altri. V ingranò la retromarcia e partì in quarta. La conversazione proseguì malgrado la musica assordante, però l'atmosfera era cambiata. Logico, visto che adesso in macchina c'era una bomba a mano in carne e ossa. Butch si voltò verso Zsadist. Due occhi neri scintillanti sostennero il suo sguardo. Il sorriso sulla faccia del vampiro era smanioso di peccato e pronto a qualunque malvagità. Quando Marissa fece il suo ingresso in sala da pranzo, Havers posò la forchetta. Non vedendola a tavola si era preoccupato, ma per paura aveva evitato di controllare se era in casa. Nell'attuale stato d'animo, se avesse scoperto che era uscita non l'avrebbe presa affatto bene. «Scusa il ritardo» disse lei dandogli un bacio sulla guancia. Poi si appollaiò sulla sedia come un uccellino, sistemando il vestito con grazia. «Adesso possiamo parlare, spero.» Cos'era quell'odore che aveva addosso? si chiese Havers. «L'agnello ha un aspetto meraviglioso» mormorò Marissa mentre Karolyn portava in tavola un altro piatto. Dopobarba, pensò Havers. Sua sorella profumava di dopobarba. Era stata con un maschio. «Dove hai passato la serata?» chiese. Lei esitò. «A casa di Darius.» Lui posò il tovagliolo sul tavolo e si alzò in piedi. Provava una rabbia così cieca da renderlo curiosamente inebetito. «Perché te ne vai, Havers?» «Ho finito di mangiare. Ti auguro buon riposo, sorella.» Lei lo afferrò per la mano. «Non vuoi proprio restare?» «Devo fare una cosa.» «Sono certa che può aspettare» ribatté lei, implorandolo con gli occhi. «No, non più.» Havers andò nell'ingresso, orgoglioso della calma di cui stava dando prova. Poi, facendo appello al proprio sangue freddo, si smaterializzò. Quando riprese di nuovo forma, rabbrividì. Alcune zone del centro città erano squallide. Davvero squallide. Il vicolo che aveva scelto era proprio accanto a uno dei locali, Screamer's. Da alcuni vampiri civili che avevano richiesto le sue cure aveva sentito che i membri della Confraternita del Pugnale Nero frequentavano quel posto. Mentre studiava la folla di umani in fila per entrare, capì il perché. Erano un branco di gente aggressiva che puzzava di lussuria. Di depravazione. Perfettamente in linea con gli infimi livelli di frequentazione tipici dei fratelli, senza dubbio. Fece per appoggiarsi contro il palazzo, poi cambiò idea. I muri di mattoni erano sudici e trasudavano una specie di condensa. Poteva facilmente immaginare quali e quanti batteri si annidassero in quella viscida patina disgustosa. Guardò su e giù per il vicolo. Prima o poi avrebbe trovato quello che cercava. O quello che cercava avrebbe trovato lui. Mr X chiuse a chiave il portone principale e uscì nella notte. Era soddisfatto di com'era andata la cerimonia. Billy era rimasto terribilmente scioccato, per usare un eufemismo, ma aveva resistito fino alla fine dell'iniziazione. Specialmente quando aveva capito che o teneva duro o sarebbe stato ammazzato lì, sul tavolo del granaio. Dio, l'espressione sulla faccia di Billy quando aveva visto l'Omega era stata impagabile. Nessuno si aspettava che il male avesse un aspetto simile. Rischiavi di andare fuori di testa. Be', almeno fino a quando lo sguardo dell'Omega non si posava su di te, perché allora avevi un assaggio della tua stessa morte. Un piccolo sorso, con la promessa di ricevere la confezione completa da sei lattine. Alla fine Mr X aveva portato Billy in casa, dove adesso stava riposando nella stanza per gli ospiti. Più o meno. In quel preciso momento stava vomitando e avrebbe continuato a farlo per altre due ore almeno, mentre il sangue dell'Omega finiva di soggiogare quello che, nel corso dei suoi diciott'anni di vita, era scorso nelle vene di Billy. Riddle aveva anche una ferita al petto, un brutto squarcio dalla gola allo sterno. La pelle era stata saldata dalla punta del dito dell'Omega. Quel taglio gli avrebbe fatto un male del diavolo almeno fino al mattino dopo. Prima del calar della notte, tuttavia, sarebbe stato abbastanza forte da uscire. Mr X salì sull'Hummer diretto verso sud. Aveva ordinato a uno degli squadroni principali di coprire la zona del centro città e voleva osservarlo all'opera. Detestava ammetterlo, ma forse Mr O non aveva tutti i torti a proposito della motivazione. Inoltre voleva vedere con i propri occhi come funzionava il gruppo in una situazione di conflitto. Dopo la dipartita di Mr M, si stava baloccando con l'idea di rimpiazzarlo con Riddle, ma prima di prendere qualunque decisione voleva capire quali erano le attuali dinamiche dello squadrone. Anche Billy doveva essere valutato. Avendolo addestrato nelle arti marziali, Mr X era fiducioso nelle sue doti di combattente, ma non era sicuro di come avrebbe reagito al primo assassinio. Mr X aveva il sospetto che ne sarebbe stato eccitato, però non si poteva mai sapere. Di certo sperava che Riddle lo rendesse orgoglioso. Mr X sorrise, correggendosi. Sperava che Mr R lo rendesse orgoglioso. Havers cominciava a innervosirsi. Gli umani nottambuli non costituivano una minaccia per lui, ma non digeriva i loro vizi. In fondo al vicolo due stavano pomiciando, o forse anche qualcosa di più, e un altro stava fumando crack. Tra i grugniti e il fetore nauseabondo, moriva dalla voglia di tornare a casa. «Ma che bel tipo.» Havers si ritrasse. La femmina umana davanti a lui era vestita per il sesso, una strisciolina di tessuto elasticizzato sui seni e una gonna talmente corta da coprirle a malapena l'inguine. Una pubblicità ambulante per la penetrazione. Gli venne la pelle d'oca. «Cerchi una donna?» chiese la femmina, passandosi una mano sullo stomaco e poi tra i capelli corti e bisunti. «No, grazie.» Havers cominciò a indietreggiare, addentrandosi nel vicolo. «Grazie mille. No.» «E sei anche un gentiluomo.» Dio del cielo, stava per toccarlo. Lui alzò le mani continuando ad allontanarsi. Più si spingeva dentro il vicolo più la musica diventava assordante, come se si stesse avvicinando a un ingresso posteriore. «Mi lasci stare, per favore» disse mentre dal locale partiva un'orrenda canzone infarcita di oscenità. All'improvviso la donna impallidì e se la diede a gambe, quasi stesse scappando dalla scena di un crimine. «Che cosa diavolo ci fai tu qui?» La voce maschile alle sue spalle era cupa, minacciosa. Havers si voltò lentamente, con il cuore che batteva all'impazzata. «Zsadist.» CAPITOLO 47 A Wrath non interessava minimamente chi stava tempestando di pugni la porta della sua camera da letto, chiunque fosse. Aveva un braccio intorno alla vita della sua shellan e la testa affondata nel suo collo. Non aveva intenzione di andare da nessuna parte, a meno che qualcuno non fosse mezzo morto. «Maledizione!» Balzò giù dal letto, afferrò gli occhiali da sole e, nudo, attraversò la stanza infuriato. «Non maltrattarli, Wrath» disse divertita Beth. «Se ti scocciano proprio stanotte avranno un ottimo motivo.» Lui inspirò a fondo prima di spalancare la porta. «Sarà meglio che tu stia sanguinando...» cominciò a dire, poi si accigliò. «Tohr!» «Abbiamo un problema, mio signore.» Imprecando, Wrath annuì, ma non lo invitò a entrare. Beth era nuda a letto. Indicò un punto dall'altra parte del corridoio. «Aspettami lì.» Si infilò un paio di boxer, diede un bacio a Beth e uscì, chiudendo la porta a chiave. Poi andò nella stanza di Darius. «Che cosa c'è, fratello?» Non era felice dell'interruzione, ma era positivo che Tohr avesse deciso di venire. Forse tra loro le cose cominciavano ad appianarsi. Tohrment si appoggiò all'indietro contro la scrivania di D. «Avevo appuntamento con gli altri da Screamer's. Sono arrivato sul tardi.» «E così ti sei perso Rhage che si lavorava qualche pollastrella in un angolo buio? Peccato.» «Ho visto Havers in un vicolo.» Wrath aggrottò la fronte. «Che cosa ci faceva il nostro buon dottore in quella zona della città?» «Stava chiedendo a Zsadist di ucciderti.» Wrath chiuse piano la porta. «Lo hai sentito con le tue orecchie? Sei proprio sicuro?» «Sì. C'erano un mucchio di soldi sul tavolo.» «Qual è stata la risposta di Z?» «Ha detto che l'avrebbe fatto gratis, e io mi sono precipitato qui. Sai come lavora. Non se la prenderà comoda.» «Già, è efficiente. È uno dei suoi punti di forza.» «E manca solo mezz'ora prima del sorgere del sole. Non abbastanza per lanciare una controffensiva, stanotte, a meno che lui non si faccia vivo entro i prossimi dieci minuti.» Con le mani sui fianchi, Wrath teneva lo sguardo fisso sul pavimento. Secondo la legge dei vampiri, adesso su Z pendeva una condanna a morte per aver minacciato la vita del re. «Dovrà essere eliminato, per questo.» Se non ci avesse pensato la confraternita, l'avrebbe fatto la Vergine Scriba. Cristo, Phury. Il gemello non l'avrebbe presa bene. «Phury non reggerà il colpo» mormorò Tohr. «Lo so.» Poi Wrath pensò a Marissa. Anche Havers era morto a tutti gli effetti; la perdita del fratello l'avrebbe distrutta. Scosse la testa, temendo di essere costretto a uccidere una persona che lei amava tanto dopo tutto quello che aveva già dovuto sopportare quando era la sua shellan. «Bisogna informare gli altri» decise alla fine. «Adesso li chiamo.» Con una spinta, Tohr si staccò dalla scrivania. «Ascolta, vuoi che Beth venga a stare con me e Wellsie fino a quando questa storia sarà finita? Forse a casa nostra sarà più al sicuro.» Wrath alzò lo sguardo. «Grazie, Tohr. Accetto. Ve la mando stasera stessa, subito dopo il tramonto.» Tohrment annuì avviandosi alla porta. «Tohr?» Il guerriero si voltò a guardarlo da sopra la spalla. «Sì?» «Prima di sposare Beth mi ero già pentito di quello che ti avevo detto. Di te e Wellsie e di quanto le sei devoto. Adesso... io, be', lo capisco in prima persona. Beth è tutto, per me. È ancora più importante della confraternita.» Wrath si schiarì la voce, incapace di proseguire. Tohr gli andò vicino porgendogli la mano. «Sei perdonato, mio signore.» Wrath afferrò il palmo che l'altro aveva allungato e lo attirò tra le sue braccia. I due vampiri si scambiarono vigorose pacche sulle spalle. «E ti svelerò un'altra cosa, ma per il momento non devi dire niente agli altri: dopo che avremo vendicato la morte di Darius io mi farò da parte.» Tohr aggrottò la fronte. «Come, scusa?» «Non voglio più combattere.» «Ma cosa diavolo dici? Hai intenzione di dedicarti ai lavori a maglia o roba del genere?» Tohr si passò una mano tra i capelli corti. «E noi come faremo a...» «Voglio che sia tu a guidare i fratelli.» Tohr lo guardò a bocca spalancata. «Che cosa?» «Occorre riorganizzare completamente la confraternita. Voglio che sia centralizzata e gestita come un'unità militare, basta con queste stronzate da guerrieri solitari. E abbiamo anche bisogno di reclutare nuovi elementi. Voglio degli altri soldati, interi battaglioni di soldati, e campi di addestramento, il meglio di ogni cosa.» Wrath lo guardò serio. «Tu sei l'unico all'altezza di un compito simile. Sei il più equilibrato e affidabile del gruppo.» Tohr scosse la testa. «Non posso... non posso farlo. Mi dispiace...» «Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando. E quando lo annuncerò alla mia prima udienza, diventerà legge.» Tohr espirò in un sibilo soffocato. «Mio signore?» «Sì, be', sono stato un pessimo re. In realtà ho trascurato i miei doveri. Ma adesso le cose cambieranno. Tutto cambierà. Edificheremo una civiltà tutta nostra, fratello. O meglio, la edificheremo di nuovo.» Gli occhi di Thor luccicavano; il guerriero distolse lo sguardo sfregandosi le palpebre con i pollici con finta disinvoltura. Si schiarì la gola. «Stai per salire al trono.» «Sì.» Tohr piegò un ginocchio a terra chinando il capo. «Sia ringraziato il cielo» disse con voce roca. «La nostra razza è di nuovo unita. Sarai tu a guidarci.» Wrath aveva la nausea. Proprio quello che voleva evitare. Non riusciva a sopportare il peso di tanta responsabilità. Tohr ignorava che lui non era all'altezza? Che non era abbastanza forte? Aveva lasciato morire i suoi genitori, aveva agito come una donnicciola, non come un maschio degno di rispetto. Cos'era cambiato, alla fine? Soltanto il suo corpo. Non la sua anima. Aveva voglia di lasciarsi alle spalle il fardello dei suoi nobili natali, di andarsene a basta... Tohr rabbrividì. «Da tanto tempo aspettavamo che tu ci salvassi.» Wrath chiuse gli occhi. L'enorme sollievo nella voce del fratello gli diceva quanto era necessaria la presenza di un re: troppi erano ormai privi di speranza. E, per legge, fino a quando Wrath era in vita nessun altro poteva ricoprire quel ruolo. Allungò un braccio e posò la mano sulla testa china di Tohr. Il peso di quello che lo attendeva, che attendeva tutti loro, era troppo grande per poter essere compreso appieno. «Salveremo la razza insieme» mormorò. «Noi tutti.» Alcune ore dopo, Beth si svegliò affamata. Scivolando da sotto il pesante braccio di Wrath, si infilò una T-shirt e si buttò sulle spalle l'accappatoio di suo marito. «Dove stai andando, leelan?» La voce di Wrath era profonda, pigra, rilassata. Beth udì la sua spalla schioccare, come accadeva quando si stiracchiava. Considerato il numero di volte che aveva fatto l'amore con lei, era sorpreso che riuscisse ancora a muoversi. «Vado a prendere qualcosa da mangiare.» «Chiama Fritz.» «Ha già lavorato abbastanza, ieri sera, adesso merita di riposare. Torno subito.» «Beth» la voce di Wrath era tagliente, «sono le cinque del pomeriggio. Il sole è ancora alto nel cielo.» Lei si fermò. «Avevi detto che forse sarei stata in grado di uscire anche di giorno.» «In teoria è possibile...» «Allora meglio scoprirlo subito.» Era già arrivata alla porta quando Wrath le comparve davanti in un baleno. Aveva uno sguardo feroce. «Non c'è nessun bisogno che tu lo scopra proprio adesso.» «Ma non è niente di eccezionale, salgo solo di sopra...» «Tu non vai da nessuna parte» ringhiò lui, il corpo massiccio che trasudava aggressività da tutti i pori. «Ti proibisco di uscire da questa stanza.» Beth chiuse lentamente la bocca. Mi proibisce? Lui proibisce qualcosa a me? Questo atteggiamento sarà meglio stroncarlo sul nascere, pensò, puntandogli l'indice dritto in faccia. «Stai indietro, Wrath, e cancella quella parola dal tuo vocabolario quando parli con me. Saremo anche sposati, ma io non sono una bambina e non ho intenzione di prendere ordini da te. Ci siamo capiti?» Wrath chiuse gli occhi. La preoccupazione segnava i duri lineamenti del suo viso. «Ehi, andrà tutto bene» aggiunse lei, abbracciandolo. Gli sollevò le braccia per mettersele intorno alle spalle. «Farò capolino in soggiorno e, se succede qualcosa, torno subito giù. Va bene?» Lui la afferrò, stringendola forte. «Non sopporto di non poterti stare vicino.» «Non potrai mai proteggermi da tutto e da tutti.» Il ringhio tornò. Lei lo baciò sotto il mento e salì le scale prima che lui ricominciasse a discutere. Arrivata in cima, si fermò con la mano sul quadro. Al piano di sotto udì la suoneria di un cellulare. Wrath, fermo sulla soglia della camera da letto, la osservava. Beth spinse il dipinto per aprire appena uno spiraglio. La luce bucò subito le tenebre. Ai piedi delle scale udì Wrath imprecare e chiudere la porta. Wrath guardò torvo il cellulare fino a quando il telefono non smise di suonare. Cominciò a camminare su e giù per la stanza. Si sedette sul divano. Si rialzò e riprese a camminare avanti e indietro. Poi la porta si aprì. Beth sorrideva. «Sto bene» disse. «Posso uscire.» Lui si precipitò verso di lei tastandole la pelle. Era fresca, in perfetto stato. «Bruciava? Hai sentito caldo?» «No. La luce mi ha solo fatto un po' male agli occhi quando sono andata fuori...» «Sei andata fuori?» «Sì. Ehi, attento !» Beth lo afferrò per un braccio mentre gli si piegavano le ginocchia. «Santo cielo, sei pallido! Ecco, sdraiati.» Lui obbedì. Dannazione. Era uscita di casa in pieno giorno. La sua Beth era uscita tranquillamente alla luce del sole. Dove lui non avrebbe mai e poi mai potuto raggiungerla. Se almeno fosse rimasta in salotto, forse avrebbe avuto una possibilità... Aveva rischiato di rimanere incenerita. Due mani fresche gli scostarono i capelli dalla fronte. «Wrath, sto bene.» Lui la guardò in faccia. «Sto per svenire.» «Il che è fisiologicamente improbabile, visto che sei sdraiato.» «Maledizione, leelan. Ti amo talmente tanto che ho avuto una paura del diavolo.» Quando lei premette le labbra sulle sue, Wrath le mise una mano sul collo per tenerla ferma. «Non credo di poter vivere senza di te.» «Con un po' di fortuna non sarai costretto a farlo. Adesso dimmi una cosa, come si dice "marito" nella tua lingua?» «Hellren, immagino. La forma abbreviata è soltanto hell, come "inferno".» «Pensa un po'» commentò lei con una risatina. Il cellulare di Wrath ricominciò a suonare e il vampiro scoprì le zanne maledicendo quel dannato arnese. «Rispondi, mentre io vado in cucina» disse Beth. «Vuoi qualcosa?» «Te.» «Io sono già tua.» «Ringraziando il cielo.» La seguì con lo sguardo mentre usciva, ammirando il modo in cui muoveva i fianchi. Quando sarebbe tornata giù voleva possederla di nuovo. Non era mai sazio di lei. Far godere quella femmina era la prima dipendenza della sua vita, una vera droga. Afferrò il cellulare senza curarsi di controllare l'identificatore di chiamata. «Cosa c'è?» Ci fu una pausa. Poi il ringhio di Zsadist gli risuonò nell'orecchio. «Come, non ti hanno coccolato abbastanza? Il tuo primo giorno di nozze non sta andando alla grande?» Senti senti. Le cose si facevano interessanti. «Avevi in mente qualcosa, Z?» «Da quel che ho capito hai chiamato i fratelli, stamattina presto. Tutti tranne me. Hai perso il mio numero? Sì, dev'essere andata così.» «So esattamente come raggiungerti.» Zsadist emise un sospiro frustrato. «Dio, sono stufo marcio di essere trattato come un cane, sul serio.» «Allora non comportarti come un cane.» «Vai a farti fottere.» «Sì. La sai una cosa, Z? Siamo arrivati al capolinea, tu e io.» «E come mai?» chiese Zsadist con una risata stridula. «Anzi, guarda, lascia perdere, non mi interessa. E, ehi, in ogni caso non abbiamo tempo per sparare cazzate, giusto? Tu devi tornare dalla tua femmina e io non volevo certo rompere perché mi hai tagliato fuori dal giro.» «E allora perché hai chiamato?» «Perché devi sapere una cosa.» «Da te?» disse Wrath strascicando le parole. «Già, da me» sibilò Zsadist. «Il fratello di Marissa vuole la tua testa. Ed era pronto a pagarmi un paio di milioni per farti la pelle. Ci si vede.» La comunicazione venne interrotta. Wrath lasciò cadere il cellulare sul letto e si massaggiò la fronte. Sarebbe stato bello credere che Zsadist avesse chiamato perché voleva farlo. Perché forse aveva assunto un impegno che non voleva mantenere. Perché forse dopo un secolo, anno più anno meno, di totale immoralità, aveva finalmente trovato una coscienza. Però aveva atteso per ore, prima di farsi sentire: probabilmente Phury lo aveva messo sull'avviso e lo aveva convinto a cantare. Altrimenti in quale altro modo Zsadist avrebbe potuto sapere che gli altri fratelli erano stati contattati? Wrath afferrò il cellulare e digitò il numero di Phury. «Il tuo gemello ha appena chiamato.» «Davvero?» disse il vampiro con un enorme sollievo nella voce. «Questa volta non ce la farai a salvarlo, Phury.» «Io non gli ho detto che sapevi già tutto. Devi credermi, Wrath.» «Io so che faresti qualunque cosa pur di tirarlo fuori dai guai.» «Ascolta, amico, tu mi hai ordinato esplicitamente di non dire una parola e io ho obbedito. È stata durissima per me, ma non ho aperto bocca. Z ti ha chiamato di sua iniziativa.» «Allora come faceva a sapere che gli altri erano stati contattati?» «Il mio telefono ha squillato e il suo no. Avrà tirato a indovinare.» Wrath chiuse gli occhi. «Sono costretto a liquidarlo, lo sai. È il minimo che la Vergine Scriba pretenderà per il suo tradimento.» «Ma non è colpa sua se è stato avvicinato! Ti ha raccontato quello che è successo. Se c'è qualcuno che merita di morire, è Havers.» «E morirà, infatti. Ma il tuo gemello ha accettato del denaro per uccidermi. E se l'ha fatto una volta può farlo di nuovo. E magari la prossima volta non si farà avanti dopo che tu te lo sarai lavorato per benino, mi segui?» «Sul mio onore, Wrath, Z ti ha chiamato di sua spontanea volontà.» «Phury, amico, mi piacerebbe tanto poterti credere, ma hai già sacrificato un piede per salvarlo. Quando si tratta del tuo gemello saresti disposto a fare e a dire qualunque cosa.» La voce di Phury era vibrante, quando parlò. «Non farlo, Wrath, ti supplico. Ultimamente Z è migliorato.» «E cosa mi dici di quelle donne morte ammazzate, fratello?» «Lo sai, è l'unica maniera in cui riesce a nutrirsi... deve pur sopravvivere in qualche modo. E poi, malgrado le voci che circolano, Z non ha mai ammazzato gli umani da cui beve. Non so cosa sia successo a quelle due prostitute.» Wrath imprecò. «Mio signore, Z non merita di morire per qualcosa che non ha fatto. Non è giusto.» Wrath chiuse gli occhi. Alla fine disse: «Portalo qui con te, stanotte. Gli offrirò l'opportunità di parlare al cospetto della confraternita». «Grazie, mio signore.» «Non essermi riconoscente. Se anche dovesse aprire bocca, non significa che si salverà.» E Wrath chiuse la comunicazione. Di sicuro non aveva deciso di concedere quell'udienza per il bene di Z. Lo aveva fatto per Phury. Avevano bisogno di lui nella confraternita, e Wrath aveva la sensazione che Phury non sarebbe rimasto se non avesse avuto la certezza che il suo gemello era stato trattato in modo equo. E, anche in quel caso, poteva sempre decidere di andarsene. Wrath ripensò a Zsadist, evocandone l'immagine nella mente. Havers aveva scelto bene il suo killer. Era risaputo che Z non era legato a niente e a nessuno, perciò il buon dottore aveva ragione a supporre che il guerriero non avrebbe avuto problemi a tradire la confraternita. Era altrettanto chiaro a chiunque che Zsadist era uno dei pochi maschi del pianeta in grado di eliminare Wrath. Una sola cosa non gli quadrava. A Z non importava niente di possedere beni materiali. In quanto schiavo non ne aveva mai avuti e in quanto guerriero non ne aveva mai desiderati, quindi era difficile immaginare che il denaro potesse servire a motivarlo. Ma, d'altro canto, era perfettamente capace di uccidere per puro divertimento. Wrath rimase impietrito avvertendo un formicolio al naso. Accigliandosi, si avvicinò a una delle bocche di aerazione che servivano a ventilare la stanza. Inspirò a fondo. Un lesser era entrato nella proprietà. Lo stesso che era alla guida dell'Hummer a casa di Billy Riddle. Beth infilò gli avanzi di filet mignon e un po' di salsa al rafano tra due fette di pane. Quando affondò i denti nel panino si sentì al settimo cielo. Adesso il cibo aveva un sapore ancora più buono. Mentre mangiava, guardò un acero fuori dalla finestra della cucina. Le sue foghe verde scuro erano completamente prive di vita, immote nella calura estiva. Non c'era un filo di vento, come se l'aria stessa fosse esausta a causa dell'afa. No, qualcosa si muoveva. Un uomo stava oltrepassando la siepe di confine con la proprietà dei vicini e si avvicinava alla casa. La pelle di Beth cominciò a formicolare in segno di allarme. Ridicolo! Il tizio indossava un'uniforme grigia della Caldwell Gas & Electric, l'azienda municipale per la fornitura di gas e di energia elettrica, e aveva in mano uno di quei portablocchi con molla che gli addetti alla lettura del contatore portano sempre con sé. Non aveva un'aria particolarmente minacciosa e procedeva con fare rilassato. Era grande e grosso, con i capelli biondicci, e si muoveva con disinvoltura, uno dei tanti operai del gas annoiati che, con quel caldo, rimpiangevano di non avere un lavoro d'ufficio. Il telefono a parete squillò, facendola sobbalzare. Beth allungò il braccio e staccò il ricevitore, controllando sempre l'uomo che, quando la vide, si fermò. «Pronto?» disse Beth. Il tizio della CG&E ricominciò a camminare avvicinandosi alla porta sul retro. «Beth, torna giù immediatamente» sbraitò Wrath. In quel momento l'uomo del gas spiò attraverso i vetri della porta della cucina. I loro sguardi si incrociarono, lui sorrise e alzò una mano. A Beth venne la pelle d'oca. Non è vivo, pensò. Non capiva come facesse a saperlo, lo sapeva e basta. Lasciò andare il ricevitore e si mise a correre. Ci fu un rumore di vetri infranti alle sue spalle, quando la porta sul retro andò in frantumi, poi Beth udì degli scoppi soffocati. Qualcosa la punse alla spalla, poi sentì un'altra leggera fitta di dolore. Il suo corpo cominciò a rallentare. Cadde a faccia in giù sulle piastrelle della cucina. Wrath lanciò un urlo quando sentì Beth cadere per terra. Salì la scala in un lampo e irruppe nel salotto. Il sole colpì la sua pelle ustionandola come una sostanza chimica e costringendolo a rifugiarsi nell'oscurità. In un baleno scese in camera sua, prese il cellulare e chiamò il piano di sopra. Il telefono andò avanti a squillare senza risposta. L'aria entrava e usciva dalla sua bocca, il petto si sollevava e si abbassava in una serie di brusche contrazioni. In trappola. Era in trappola. Era in trappola nel sotterraneo mentre lei era... Con un ruggito la chiamò. L'aura di Beth si stava affievolendo, lo sentiva. La stavano portando via, la stavano portando da qualche parte lontano da lui. Una furia selvaggia traboccò dal suo cuore, un gelo nero e profondo che incrinò lo specchio del bagno in una successione di schiocchi sonori. Fritz alzò il ricevitore. «Qualcuno è penetrato in casa! Butch sta...» «Passami lo sbirro!» gridò Wrath. Un istante dopo Butch era al telefono. Era senza fiato. «Non sono riuscito a prenderlo, chiunque fosse...» «Hai visto Beth?» «Non è lì con te?» Wrath emise un altro ruggito, sentendosi come schiacciato dalle pareti della stanza. Era impotente, costretto in gabbia dalla luce del sole. Si impose di respirare a fondo, ma riuscì a farlo una sola volta prima di riprendere ad ansimare. «Sbirro, ho bisogno di te. Ho bisogno... di te.» CAPITOLO 48 Mr X guidava il minivan a tutta velocità. Non riusciva a crederci. Assolutamente. Aveva la regina. Aveva rapito la regina. Era un colpo di fortuna più unico che raro, un'occasione irripetibile per un lesser. Ed era filato tutto liscio come l'olio, quasi fosse destino. Quando si era avvicinato alla casa era solo in avanscoperta. Gli era parsa una coincidenza troppo strana che l'indirizzo che gli aveva dato quello strano vampiro la sera prima nel vicolo fosse lo stesso del guerriero che aveva fatto saltare per aria. Dopotutto, perché mai il Re cieco avrebbe dovuto bazzicare la villa di un guerriero morto? E come ogni ricognizione che si rispetti, si era recato a casa di Darius quand'era ancora giorno, armato fino ai denti. Voleva esaminare l'esterno della casa, vedere se qualcuna delle finestre era oscurata e controllare le auto nel vialetto. Ma era stato notato dalla donna bruna in cucina. Con il Rubino Saturnino al dito. L'anello della regina. Mr X non riusciva ancora a spiegarsi come mai la donna potesse andarsene in giro in pieno giorno. A meno che non fosse in parte umana... In ogni caso, non aveva avuto esitazioni. Malgrado non avesse in programma di introdursi all'interno, aveva buttato giù la porta, piacevolmente sorpreso che il sistema d'allarme non fosse scattato. La donna era stata svelta a scappare, ma non abbastanza, e i dardi avevano funzionato a meraviglia adesso che aveva calibrato il giusto dosaggio di anestetico. Lanciò un'occhiata alle sue spalle. La donna era stesa sul fondo del minivan, priva di sensi. Si preannunciava una serata intensa. Il suo maschio sarebbe andato a cercarla, non c'erano dubbi. E dato che lei aveva sicuramente nelle vene il sangue del Re cieco, lui sarebbe stato in grado di trovarla ovunque Mr X l'avesse portata. Grazie a Dio era ancora chiaro e aveva il tempo di fortificare il fienile. Era anche tentato di chiamare rinforzi. Per quanto fosse fiducioso nella propria abilità, sapeva di cosa era capace il Re cieco. Come minimo avrebbe distrutto da cima a fondo la proprietà e raso al suolo la casa e il fienile con tutto ciò che contenevano. Purtroppo, se avesse convocato altri membri della Società la sua infallibilità sarebbe stata messa in discussione. Comunque poteva sempre contare sulla nuova recluta. No, meglio sistemare la faccenda senza tanti tirapiedi. Chiunque respirasse poteva essere ucciso, persino quel formidabile guerriero. E Mr X era pronto a scommettere che, con in mano la femmina come arma di contrattazione, aveva un ottimo argomento su cui fare leva. Il re si sarebbe sicuramente offerto in cambio della salvezza della sua regina. Mr X ridacchiò. Mr R avrebbe avuto una prima notte indimenticabile. Butch uscì dalla stanza di Wrath e corse di sopra, nella camera per gli ospiti in cui lui e Vishous avevano dormito anche quella notte. V camminava nervosamente avanti e indietro, intrappolato al primo piano perché non c'era modo di scendere da basso senza essere colpiti dalla luce. La villa era stata concepita solo come residenza privata, non era un posto di combattimento. E in casi di emergenza quel difetto era un problema serio. «Che cosa sta succedendo?» s'informò V. «Il tuo amico Wrath è in uno stato pietoso, ma è riuscito lo stesso a raccontarmi del tizio che avete sorpreso nell'Hummer, ieri sera. Quel biondo mi ricorda tanto un istruttore che ho conosciuto un paio di giorni fa in un'accademia di arti marziali. Adesso sto andando là.» Butch prese le chiavi dell'auto civetta. «Tieni questa, amico» disse Vishous lanciandogli una cosa. Butch afferrò la pistola al volo. Controllò la camera di scoppio. La Beretta era carica, ma con qualcosa che non aveva mai visto prima. «Che razza di proiettili sono questi?» Erano neri con la punta trasparente e luccicavano come se all'interno ci fosse dell'olio. «Non stai dando la caccia a un umano, sbirro. Se uno di quei lesser ti aggredisce, tu devi sparargli al petto, chiaro? Non stare a perdere tempo anche se è pieno giorno. Punta dritto al petto.» Butch alzò gli occhi. Prendere quella pistola equivaleva a oltrepassare una linea di confine passando dall'altra parte della barricata, lo sapeva. «Come faccio a riconoscerli, V?» «Hanno un buon profumo, di talco per neonati, e sembra che il loro sguardo ti attraversi, che vada dritto alla tua anima. Di solito, ma non sempre, hanno i capelli di un biondo slavato, gli occhi chiarissimi, la carnagione pallida.» Butch si infilò la semiautomatica nella cintura. E seppellì per sempre la sua vecchia vita. Buffo, era stata una decisione facile da prendere. «Hai capito tutto, sbirro?» chiese Vishous dandogli una pacca sul braccio. «Sì.» Mentre Butch scattava verso la porta, V disse qualcosa in una lingua straniera. «Come?» chiese Butch. «Prendi bene la mira, okay?» «Finora non ho mai sbagliato un colpo.» CAPITOLO 49 Marissa non stava più nella pelle, aveva una voglia matta di vedere Butch. Era tutto il giorno che pensava a lui e adesso finalmente era giunto il momento di incontrarlo. Ma, anche se era di fretta, prima di uscire voleva fermarsi a parlare con Havers. La sera prima aveva atteso che il fratello ritornasse; aveva ingannato il tempo dando una mano alle infermiere in clinica e poi leggendo in camera sua. Alla fine si era arresa e gli aveva lasciato sul letto un messaggio in cui gli chiedeva di passare da lei, al suo rientro. Lui non si era fatto vivo. Quella mancanza di comunicazione era durata anche troppo. Andò alla porta e, quando non riuscì ad aprirla, rimase molto sorpresa. Si accigliò. La maniglia d'ottone non si muoveva. Riprovò di nuovo, prima scuotendola lievemente, poi premendo con tutte le forze. O era incastrata o era chiusa a chiave. E le pareti della sua camera da letto erano foderate di acciaio, quindi non poteva smaterializzarsi. «Ehi!» gridò, picchiando sull'uscio. «Ehi, Havers! C'è qualcuno? Potete farmi uscire, per cortesia? Aiuto!» Alla fine rinunciò, con un senso di gelo nel petto. Non appena Marissa tacque, la voce del fratello risuonò nella stanza, quasi che per tutto il tempo il medico avesse aspettato dall'altra parte. «Mi dispiace che debba andare così.» «Havers, cosa stai combinando?» disse lei contro il legno della porta. «Non ho altra scelta. Non posso più lasciarti andare da lui.» Lei si assicurò di parlare ad alta voce e in modo chiaro. «Ascoltami. Wrath non è la ragione per cui sono uscita. Lui si è sposato con la femmina che ama e io non nutro alcun rancore nei suoi confronti. Io ho... ho conosciuto una persona. Un uomo che mi piace. Un uomo che mi vuole.» Ci fu un lungo silenzio. «Havers?» gridò Marissa dando un pugno alla porta. «Havers! Hai sentito? Wrath si è sposato e io l'ho perdonato. Non ero con lui.» Quando finalmente suo fratello parlò sembrava che qualcuno lo stesse soffocando. «Perché non me lo hai detto prima?» «Non me ne hai data la possibilità! Sono due notti che ci provo!» rispose Marissa picchiando di nuovo sulla porta. «Adesso fammi uscire. Ho appuntamento con il mio... uomo a casa di Darius.» Havers bisbigliò qualcosa. «Come?» chiese lei. «Cosa hai detto?» «Non posso permetterti di andare in quella casa.» L'angoscia nella voce del fratello spense la collera di Marissa; la nuca le si irrigidì in segno di allarme. «Perché no?» «Non saresti al sicuro in quella casa. Io... Oh, Dio santo.» Marissa allargò le mani sulla porta. «Havers, che cosa hai fatto?» Ci fu solo un lungo silenzio. «Havers! Cosa hai fatto!» Beth sentì qualcosa che la colpiva forte in faccia. Una mano. Qualcuno l'aveva schiaffeggiata. Trasalendo, aprì gli occhi. Era in un fienile, distesa sopra un tavolo con delle bande di metallo intorno ai polsi e alle caviglie. E in piedi accanto a lei c'era Billy Riddle. «Svegliati, puttana.» Lei si divincolò, facendo forza sui ferri che la bloccavano. Mentre la guardava, il ragazzo indugiò sui suoi seni serrando le labbra in una linea dura. «Mr R?» disse un'altra voce maschile. «Ricordati che hai chiuso con gli stupri.» «Sì, lo so.» Lo sguardo di Billy divenne ancora più truce. «Al solo pensiero mi viene voglia di farle male.» Il biondo che l'aveva rapita entrò nel campo visivo di Beth. Su ogni spalla aveva un fucile da caccia, con le canne rivolte verso l'alto. «Ti do il permesso di ucciderla, cosa ne dici? Lei può essere la tua prima vittima.» Billy sorrise. «Grazie, sensei.» Il biondo si voltò verso la porta a due battenti del fienile, spalancata sulla luce sempre più fioca della sera. «Non dobbiamo perdere la concentrazione, Mr R» disse. «Voglio questi fucili carichi e allineati su quel banco insieme a scatole di munizioni. Sarà meglio tirare fuori anche qualche coltello. E vai in garage a prendere la tanica di benzina e anche la fiamma ossidrica vicino all'Hummer.» Prima di eseguire gli ordini, Billy diede un altro ceffone a Beth. La mente della ragazza lavorava al rallentatore. Aveva ancora in corpo le droghe che le avevano somministrato e che le facevano apparire tutto come in un sogno, ma a ogni nuovo respiro la nebbia si diradava e lei diventava più forte. La violenza di Wrath era così estrema, così incontrollabile che le pareti della sua camera si coprirono di un velo di brina; il fiato gli usciva dalle narici in nuvolette di vapore. Le candele tremolavano lente nell'aria densa, diffondendo luce ma nessun calore percepibile. Aveva sempre saputo di essere capace di una rabbia cieca, ma quello che avrebbe fatto ai rapitori di Beth sarebbe stato ricordato nei libri di storia. Qualcuno bussò alla porta. «Wrath?» Era lo sbirro. Il vampiro aprì la porta con la forza del pensiero. Sul momento l'umano parve stupito dalla temperatura della stanza. «Io... uh, sono andato all'accademia di arti marziali. Il tizio si chiama Joseph Xavier. Oggi non si è visto. Ha chiamato per farsi sostituire da un supplente. Mi hanno dato il suo indirizzo di casa e ci ho fatto un giro. Un condominio nella zona ovest della città. Ho forzato la porta. Era pulito. Troppo pulito. Niente nel frigo, niente nel garage. Niente posta, niente riviste. Niente dentifricio in bagno. E nessun indizio che qualcuno fosse scappato in tutta fretta. L'appartamento sarà anche di sua proprietà, ma lui non ci abita di sicuro.» Wrath faticava a concentrarsi. La sola cosa a cui riusciva a pensare era uscire da quello stramaledetto buco sottoterra per localizzare Beth. Una volta fuori avrebbe sentito subito dov'era. Il sangue che scorreva nelle vene di Beth funzionava come il chip di un navigatore GPS. Fiutando il proprio sangue, Wrath sarebbe stato in grado di trovarla in qualunque angolo del pianeta. Afferrò il cellulare e digitò un numero. Butch fece per uscire ma il vampiro gli ordinò: «Non andare». Il poliziotto si sistemò sul divano di pelle, sguardo attento, fisico rilassato. Pronto a tutto. Quando Tohrment rispose al telefono, Wrath chiamò a raccolta la confraternita. «Stasera alle dieci. Chiama gli altri fratelli. Dovete andare alla Caldwell Martial Arts Academy. Entrate e perquisitela da cima a fondo, poi fate scattare il sistema di allarme. Aspettate che arrivino i lesser, quindi massacrateli tutti e date fuoco all'edificio. Dovete raderlo al suolo. Mi hai capito bene? In cenere, Tohr, voglio che lo riduciate in cenere.» Non ci fu la minima esitazione. «Sì, mio signore.» «Non perdere di vista Zsadist. Stagli sempre vicino, anche a costo di incatenarlo al tuo fianco.» Wrath lanciò un'occhiata a Butch. «Lo sbirro terrà d'occhio l'accademia da adesso fino al tramonto. Se dovesse notare qualcosa di significativo ti chiamerà.» Butch annuì, già in piedi e diretto alla porta. «Volo» disse da sopra la spalla. Ci fu una pausa al cellulare. «Mio signore, ti serve il nostro aiuto per trovare...» «Penserò io alla nostra regina.» CAPITOLO 50 Nell'ora che seguì, Beth osservò i due aguzzini correre in giro per il fienile quasi fossero convinti che Wrath sarebbe piombato lì da un momento all'altro. Ma come avrebbe potuto Wrath scoprire dove la tenevano prigioniera? Il biondo non aveva lasciato nessuna richiesta di riscatto, almeno per quanto ne sapeva lei. Dando l'ennesimo strattone alle bande di metallo che la tenevano bloccata, guardò all'altro capo del fienile. Il sole stava tramontando e le ombre sull'erba e sul viale di ghiaia si allungavano. Mentre Billy chiudeva le doppie porte, Beth diede un'ultima occhiata al cielo sempre più buio e al ragazzo che faceva scorrere una serie di robusti chiavistelli. Wrath si sarebbe messo subito sulle sue tracce, non aveva dubbi in proposito, ma ci avrebbe messo delle ore prima di ritrovarla, e lei non era sicura di avere tutto quel tempo a disposizione. Billy Riddle la fissava con un odio tale che presto o tardi sarebbe scoppiato. Più presto che tardi, ne era convinta. «E adesso aspettiamo» disse il più anziano controllando l'orologio. «Non dovrebbe mancare molto. Ti voglio armato... Infilati una pistola nella cintura e legati un coltello alla caviglia.» Billy fu anche troppo contento di bardarsi; aveva solo l'imbarazzo della scelta: c'erano abbastanza semiautomatiche, fucili da caccia e armi da taglio da rifornire un'intera unità militare. Il ragazzo afferrò un coltello da caccia lungo una quindicina di centimetri e si voltò verso Beth. I palmi della ragazza, già appiccicaticci, si coprirono di un velo di sudore. Lui avanzò di un passo. Accigliandosi, Beth si voltò verso destra in contemporanea con gli altri due. Cos'era quel rumore? Un rombo. Un tuono? Un treno? Qualunque cosa fosse, diventava sempre più forte. Poi udì uno strano tintinnio che le rammentò le campanelle cinesi che risuonano al vento. Guardò dall'altra parte del fienile: sul tavolo dove erano state sistemate le munizioni, le pallottole sciolte saltellavano sbattendo l'ima contro l'altra. Billy guardò il suo capo. «Che cosa cavolo succede?» L'uomo trasse un profondo respiro mentre la temperatura precipitava di una buona ventina o trentina di gradi. «Preparati, figliolo.» Ormai il rumore era un ruggito, e il fienile tremava con tale violenza che dalle travi del soffitto cadeva un pulviscolo sottile. Billy alzò le braccia per proteggersi la testa. Le porte del fienile andarono in mille pezzi, quasi esplosero, investite da una gelida ventata di rabbia, poi l'intero fabbricato ondeggiò sotto la potenza dell'impatto, e travi e assi si assestarono scricchiolando. Wrath si stagliò sulla soglia; l'aria intorno a lui era deformata dalla sete di vendetta, dalla minaccia, dalla promessa di morte. Beth sentì i suoi occhi su di sé, poi il vampiro lanciò un tonante grido di battaglia, un urlo talmente forte che lei temette le avesse sfondato i timpani. Da quel momento Wrath regnò sovrano. Con una mossa fulminea, così repentina che Beth quasi non se ne rese conto, il guerriero si scagliò contro il biondo, afferrandolo e sbattendolo contro la porta di uno dei box per i cavalli. Per nulla sorpreso, il lesser sferrò un montante alla mascella dell'avversario. I due si picchiarono selvaggiamente, andando a sbattere contro i muri, sfondando finestre, fracassando tavoli. Pur essendo entrambi armati, continuarono a battersi in un corpo a corpo senza esclusione di colpi, i volti inferociti, i denti scoperti, i fisici possenti che di volta in volta ferivano o riportavano ferite. Per quanto atterrita, Beth non riuscì a distogliere lo sguardo. Specialmente quando Billy afferrò un coltello gettandosi contro la schiena di Wrath. Con una rotazione micidiale il vampiro si scrollò il ragazzo di dosso catapultandolo per aria: Riddle volò dall'altra parte del fienile atterrando in un groviglio di braccia e di gambe. Si rimise in piedi a fatica, frastornato, con la faccia insanguinata. Malgrado i calci tremendi che riceveva, Wrath non cedette di un millimetro, riuscendo persino a tenere a bada il biondo abbastanza a lungo da scardinare una delle bande metaniche che imprigionavano i polsi di Beth. Lei si mise subito ad armeggiare dalla parte opposta liberando l'altra mano. «I cani! Libera i cani!» gridò il biondo. Billy uscì barcollando dal fienile. Un attimo dopo due pitbull svoltarono l'angolo al galoppo. Gli animali si avventarono subito contro le caviglie di Wrath, proprio mentre il biondo sfoderava un coltello. Beth riuscì a liberarsi i piedi e saltò giù dal tavolo. «Scappa!» le gridò Wrath, strappandosi via un cane dalla gamba e parando al tempo stesso un pugno in faccia. Te lo puoi scordare, pensò lei afferrando la prima cosa che le capitò a tiro. Era un martello a testa tonda. Si diresse contro il biondo proprio mentre Wrath perdeva l'equilibrio cadendo per terra. Brandì quel maledetto arnese e lo calò con tutte le forze colpendo il lesser da dietro, in piena nuca. Ci fu uno schianto di ossa rotte e un fiotto di sangue. Poi uno dei due pitbull si voltò di scatto mordendola alla coscia. Beth lanciò un urlo mentre i denti del cane le laceravano la pelle affondando nei muscoli. Wrath si tolse di dosso il cadavere del lesser e balzò in piedi. Uno dei cani aveva attaccato Beth, azzannandola alla gamba. L'animale tentava di farla rotolare per terra in modo da potersi avventare alla gola. Il vampiro si gettò subito in avanti ma si fermò di colpo. Se avesse cercato di staccare il pitbull a forza, il cagnaccio sarebbe stato capace di portarsi via un pezzo di coscia stretto fra le fauci. All'improvviso ricordò la premonizione di Vishous: Due guardie sotto tortura saranno ben felici di scannarsi a vicenda. Wrath strappò via il secondo cane che gli si era avvinghiato alla caviglia, scaraventandolo addosso a quello che aveva aggredito Beth. investito dal compagno, l'altra belva lasciò subito la gamba della ragazza. E i due pitbull si avventarono l'uno contro l'altro. Wrath si precipitò in avanti mentre Beth cadeva per terra. Sanguinava. «Beth...» Ci fu uno sparo. Wrath udì prima un sonoro sibilo e poi sentì un bruciore al collo, come se qualcuno lo avesse colpito con una torcia. Beth si mise a gridare mentre il vampiro si voltava di scatto. Billy Riddle riposizionò il fucile sulla spalla. In preda a una furia cieca Wrath dimenticò tutto. Avanzò a grandi falcate verso la nuova recluta, senza fermarsi nemmeno quando il fucile fu in posizione e puntato contro il suo petto. Billy premette il grilletto e il vampiro si gettò di lato prima di tuffarsi in avanti. Prese il collo del lesser tra le fauci e lo squarciò, poi sbatacchiò la testa a destra e a sinistra finché non si staccò dal collo con uno schiocco sordo. Infine si voltò per tornare da Beth. Invece cadde in ginocchio. Confuso, abbassò lo sguardo su di sé. Nell'addome aveva un foro grosso come un melone. «Wrath!» Beth avanzò zoppicando. «Mi ha... colpito, leelan.» «Oh, Dio!» Lei si strappò la vestaglia di dosso tamponandogli la ferita allo stomaco. «Dov'è il tuo cellulare?» Lui sollevò debolmente una mano cadendo su un fianco. «Tasca.» Beth afferrò il cellulare e compose il numero di casa. «Butch? Butch! Aiuto! Wrath è stato colpito allo stomaco! Io... io non so dove siamo...» «Strada 22» mormorò Wrath. «Ranch con davanti un Hummer nero.» Beth ripetè le sue parole premendo la vestaglia contro la ferita. «Siamo nel fienile. Fai in fretta! Sta sanguinando.» Un basso ringhio si levò alla loro sinistra. Wrath e Beth si voltarono contemporaneamente. Il pitbull sopravvissuto, coperto di sangue e ancora inferocito, stava avanzando verso di loro. Beth non ebbe un attimo di esitazione. Estrasse dal fodero uno dei pugnali di Wrath e si accovacciò sui talloni. «Corri qui, Butch. Subito» ordinò perentoria, poi chiuse la comunicazione e lasciò cadere il cellulare per terra. «Avanti, bestiaccia, fatti sotto!» Il pitbull girava in circolo attorno a Wrath. Per qualche motivo l'animale voleva lui, forse perché sanguinava abbondantemente. Beth si muoveva insieme alla bestia, tenendo le braccia spalancate. La voce le tremava quando parlò. «Vuoi lui? Prima dovrai passare sul mio cadavere.» Il cane si lanciò contro Beth che, quasi fosse stata addestrata a uccidere, si abbassò affondando il coltello nella cavità toracica della belva che cadde a terra come un sasso. Beth lasciò il pugnale dov'era e strisciò indietro a quattro zampe. Tremava talmente tanto che le sue mani sembravano due uccellini spaventati mentre sollevava il pezzo di stoffa sopra lo stomaco di Wrath. «Non fa male» bisbigliò lui, fiutando l'odore delle sue lacrime. «Oh, Wrath!» esclamò lei, afferrandogli la mano e stringendogliela forte. «Sei sotto shock.» «Sì, è probabile. Non riesco a vederti... dove sei?» «Sono qui» disse Beth, portandosi sul viso le dita di lui. «Mi senti?» Appena appena, ma era abbastanza per infondergli coraggio. «Vorrei tanto che fossi incinta» mormorò roco Wrath. «Non devi restare sola.» «Non dire certe cose!» «Chiedi a Tohr e a Wellsie di accoglierti in casa loro.» «No.» «Promettimelo.» «No, non lo farò» ribatté con forza lei. «Tu non andrai da nessuna parte.» Quanto si sbagliava, pensò il vampiro. Già sentiva che stava scivolando via. «Ti amo, leelan.» Beth scoppiò in singhiozzi. Le sue grida strozzate furono l'ultimo rumore che Wrath udì mentre lottava contro la marea, uscendone sconfitto. Beth non alzò gli occhi quando il cellulare si mise a suonare. «Wrath?» ripetè di nuovo. «Wrath...» Appoggiò l'orecchio contro il suo petto. Il cuore reggeva, con un battito debolissimo, e respirava ancora, anche se a fatica. Voleva disperatamente aiutarlo, ma non poteva praticargli la respirazione bocca a bocca. Non prima che cedessero le sue funzioni vitali. «Oh, Dio...» Il telefono continuava a squillare. Lei lo afferrò, sforzandosi di ignorare la pozza di sangue che si allargava intorno al corpo di Wrath. «Cosa c'è!» «Beth! Sono Butch. Sono in macchina con V. Saremo lì tra poco, ma lui ha bisogno di parlarti.» In sottofondo si udì l'urlo di un motore che andava su di giri. La voce di Vishous era serissima. «Beth, hai un coltello?» Lei guardò il pugnale ancora infilato nel fodero sul petto di Wrath. «Sì.» «Prendilo e tagliati il polso. Fallo in senso verticale lungo l'avambraccio, non in senso orizzontale, altrimenti finirai solo contro l'osso. Poi avvicinalo alla bocca di Wrath. È la sua sola possibilità di sopravvivenza fino a quando non riusciremo a soccorrerlo.» Ci fu una pausa. «Metti giù il telefono, cara, e prendi il coltello. Io resto in linea.» Beth si protese in avanti e sfilò il coltello dal fodero. Non ebbe esitazioni nel tagliarsi il polso sinistro. Il dolore le strappò un ansito, ma non indugiò sul bruciore e avvicinò subito la ferita alle labbra di Wrath. Con la mano libera afferrò il cellulare. «Non beve.» «Ti sei già tagliata? Brava.» «Lui non... non manda giù niente.» «Con un po' di fortuna qualche goccia gli scenderà in gola.» «Sanguina anche da lì.» «Cristo... Sto guidando più in fretta che posso.» Butch vide l'Hummer. «Là in fondo!» Vishous attraversò il prato e i due balzarono giù dal fuoristrada, correndo a perdifiato verso il fienile. Butch non riusciva a credere alla scena che gli si presentò. Un paio di cani massacrati. Sangue dappertutto. Un corpo decisamente morto... Gesù, era Billy Riddle! E poi vide Beth. Indossava una T-shirt nera tutta coperta di sangue e sporca di terra, aveva gli occhi spiritati ed era in ginocchio vicino al corpo di Wrath, con un polso accostato alle sue labbra. Quando notò la loro presenza alzò il coltello soffiando, pronta a combattere. Vishous fece un passo avanti, ma Butch lo afferrò per un braccio. «Lasciami andare per primo.» Lentamente, il poliziotto avanzò verso la ragazza. «Beth? Beth, lo sai chi siamo?» Più lui si avvicinava a Wrath, più gli occhi di lei sembravano quelli di una matta. Allontanò il polso dalla bocca del vampiro, pronta a difenderlo. «Ehi, calma. Non vogliamo fargli del male... Sono io.» Beth batté le palpebre. «Butch?» «Sì, piccola. Siamo io e Vishous.» Lei lasciò cadere il pugnale e scoppiò a piangere. «Va bene, va tutto bene.» Butch cercò di prenderla tra le braccia, ma lei si gettò di nuovo verso Wrath. «No, piccola. Adesso lascia che sia V a occuparsi di lui, d'accordo? Coraggio, ci vorrà solo un minuto.» Beth obbedì. Mentre si strappava la camicia di dosso e gliela avvolgeva intorno al polso, Butch annuì in direzione di V. Vishous si inginocchiò vicino a Wrath. Quando alzò gli occhi dallo stomaco del guerriero ferito, aveva le labbra serrate. Beth si accasciò al suolo, riavvicinando il polso alle labbra del marito. «Guarirà, vero? Dobbiamo portarlo da un medico. In un ospedale. Giusto? Giusto, Vishous?» La disperazione la faceva parlare in tono stridulo. Poi all'improvviso non furono più soli. Marissa e un uomo dall'aspetto distinto e dall'aria agitata comparvero dal nulla. Lo sconosciuto si avvicinò a Wrath e sollevò il tampone di raso intriso di sangue. «Dobbiamo portarlo subito nella mia sala operatoria.» «Ho la macchina sul prato qui davanti» disse V. «Tornerò a sistemare le cose quando lui sarà al sicuro.» L'uomo imprecò esaminando la ferita al collo di Wrath. Guardò Beth. «Il tuo sangue non è abbastanza forte. Marissa, vieni qui.» Beth si sforzava di trattenere le lacrime mentre sollevava il polso dalla bocca di Wrath e alzava lo sguardo sulla donna bionda. Marissa esitò. «Sei d'accordo che gli faccia bere il mio sangue?» Beth le passò il pugnale del marito. «Non mi interessa da chi beve, basta che si salvi.» Marissa si tagliò il polso con facilità, come se lo avesse fatto un'infinità di altre volte, poi sollevò la testa del guerriero premendogli la ferita sulle labbra. Lui ebbe un sussulto, come se fosse stato collegato alla batteria di un'automobile. «Va bene, spostiamolo» disse l'uomo che aveva preso in pugno la situazione. «Marissa, tieni il polso dov'è.» Beth prese la mano di Wrath mentre gli uomini lo sollevavano. Lo trasportarono il più delicatamente possibile sul SUV di Vishous adagiandolo sul sedile posteriore. Marissa e Beth salirono dietro insieme al ferito, mentre Butch e Vishous presero posto davanti. L'altro uomo scomparve. Mentre la Escalade procedeva rombando per le viuzze secondarie, Beth accarezzava il braccio di Wrath, su e giù lungo i tatuaggi. La pelle del vampiro era fredda. «Lo ami davvero tantissimo» mormorò Marissa. Beth alzò gli occhi. «Sta bevendo?» «Non lo so.» CAPITOLO 51 Nell'anticamera della sala operatoria Havers si tolse i guanti di lattice e li gettò nel contenitore per i rifiuti biologici. Gli faceva male la schiena dopo aver passato ore chino sopra Wrath, a ricucire intere sezioni del suo intestino e a suturargli la ferita al collo. «Se la caverà?» chiese Marissa uscendo dalla sala operatoria. Era debole per tutto il sangue che aveva donato al guerriero. Pallida, ma concentrata. «Lo sapremo presto. Spero di sì.» «Anch'io» disse lei. Poi oltrepassò il fratello, evitando di incrociare il suo sguardo. «Marissa...» «Lo so, ti dispiace. Ma non sono io quella a cui dovresti presentare le tue scuse. Forse potresti cominciare da Beth, sempre che sia disposta ad ascoltarti.» Mentre la porta si richiudeva con un sibilo, Havers chiuse gli occhi. Oh, cielo, il dolore al petto lo opprimeva. Dolore per cose fatte che non si potevano più disfare. Si accasciò contro il muro, togliendosi la cuffia chirurgica. Grazie al cielo il Re cieco aveva una costituzione da autentico guerriero, un fisico robusto e una volontà di ferro. Anche se non sarebbe sopravvissuto senza il sangue quasi puro di Marissa. O senza la presenza della sua bruna shellan, sospettava Havers. Beth, così si chiamava, era rimasta al suo fianco per tutta la durata dell'intervento, e, pur essendo privo di sensi, il guerriero aveva tenuto la testa sempre voltata verso di lei. Beth gli aveva parlato per ore, finché la sua voce si era ridotta a un roco sussurro. E adesso era ancora là dentro con lui, sebbene fosse tanto esausta da riuscire a malapena a restare dritta sulla sedia. Si era rifiutata di farsi medicare le ferite e non aveva voluto mangiare niente. Voleva soltanto rimanere insieme al suo hellren. Con uno sforzo estremo, Havers raggiunse la fila di lavandini dove venivano lavati i ferri chirurgici. Si aggrappò al lavello di acciaio inossidabile e rimase a fissare lo scarico. Aveva voglia di vomitare, anche se non aveva niente nello stomaco. I membri della confraternita erano lì fuori. In attesa di ricevere notizie. E sapevano quello che aveva fatto. Prima che Havers entrasse in sala operatoria per all'intervento, Tohrment lo aveva afferrato per la gola. Se morto sul tavolo operatorio, aveva giurato il guerriero, avrebbero appeso per i piedi e lo avrebbero massacrato di farlo morire dissanguato. dare inizio Wrath fosse i fratelli lo pugni fino a Proprio lì, in casa sua. Zsadist doveva aver raccontato tutto ai compagni. Dio, se solo potessi tornare in quel vicolo! pensò Havers. Se solo non ci avessi mai messo piede. Non avrebbe mai dovuto avvicinare un membro della confraternita con una richiesta tanto sovversiva. Nemmeno quello senz'anima. Avrebbe dovuto saperlo. Dopo aver ascoltato la sua offerta, Zsadist lo aveva squadrato dall'alto in basso con quei suoi terrificanti occhi neri, e Havers aveva capito subito di avere commesso un errore madornale. Zsadist poteva anche essere pieno d'odio, ma non avrebbe mai tradito il suo re, e quella richiesta scellerata lo aveva offeso profondamente. «Sono pronto a uccidere gratis» aveva ringhiato. «Ma solo per fare fuori te. Levati di torno, prima che tiri fuori il coltello.» Scosso, Havers era scappato via e si era ritrovato braccato da un lesser. Era la prima volta che incappava in uno dei non morti, e subito aveva intuito che quell'essere era il male allo stato puro, un essere pronto a uccidere. Intrappolato in un angolo del vicolo, atterrito, Havers aveva cominciato a parlare, un po' per portare a termine il lavoro che aveva in mente e un po' per non farsi ammazzare. All'inizio il lesser si era mostrato scettico, però Havers era sempre stato un tipo convincente, e la parola «re» usata con liberalità aveva finito con il catturare la sua attenzione. C'era stato un passaggio d'informazioni e il lesser si era allontanato. Il dado era tratto. Havers respirò a fondo, raccogliendo tutte le forze prima di uscire in corridoio. Almeno poteva garantire ai fratelli che in sala operatoria aveva fatto il possibile. Ma non per salvarsi la vita. Un'assoluzione era impensabile. Sarebbe stato messo a morte per le sue esecrabili azioni, restava solo da sapere quando. No, in sala operatoria si era prodigato al meglio perché era l'unico modo per rimediare all'atrocità commessa. E perché quei cinque maschi armati fino ai denti e quell'umano dall'aria feroce che aspettavano lì fuori sembravano sul punto di morire di crepacuore. E c'era una motivazione ancora più profonda. A galvanizzarlo oltre ogni dire era stato il dolore straziante negli occhi della ragazza bruna, Beth. Conosceva bene quell'espressione impotente. Era la stessa che aveva anche lui mentre assisteva alla morte della sua shellan. Havers si lavò la faccia e uscì in corridoio. I fratelli e l'umano alzarono gli occhi su di lui. «È sopravvissuto all'intervento. Adesso dobbiamo vedere se ce la farà a tenere duro» disse. Poi si avvicinò a Tohrment. «Mi vuoi adesso?» Il guerriero lo fissò con due occhi severi e carichi di violenza. «Ti lasceremo vivere in modo che tu possa prenderti cura di lui. Dopo ti ucciderà lui stesso.» Il medico annuì. Udì un debole pianto soffocato. Si guardò intorno e vide Marissa che si premeva una mano sulla bocca. Stava per raggiungerla, quando l'umano le si avvicinò. L'uomo esitò prima di porgerle un fazzoletto. Marissa lo prese e si allontanò da tutti loro. Beth posò la testa all'estremità del cuscino di Wrath. Dal tavolo operatorio il guerriero era stato spostato in un letto, anche se non lo avrebbero trasferito in una delle stanze dove di solito venivano ricoverati i pazienti. Havers aveva deciso di tenerlo in sala operatoria nell'eventualità di dover intervenire una seconda volta con urgenza. La clinica dalle pareti bianche era fredda, ma qualcuno le aveva messo sulle spalle una felpa pesante. Dovevano averle anche avvolto una coperta intorno alle gambe. Beth non riusciva a ricordare chi fosse stato così gentile. Quando udì un leggero schiocco, alzò gli occhi sulla montagna di apparecchiature a cui era collegato Wrath. Le scrutò con attenzione l'una dopo l'altra, senza avere idea di cosa indicassero i vari monitor. Fintanto che nessuno dei dispositivi di allarme scattava, doveva supporre che tutto andasse bene. Il suono ricominciò. Beth abbassò lo sguardo su Wrath. E balzò in piedi. Stava cercando di parlare, ma aveva la bocca troppo secca e la lingua impastata. «Shhh» mormorò lei afferrandogli la mano. Poi si spostò nel suo campo visivo nel caso aprisse gli occhi. «Sono qui.» Le dita di lui si contrassero tra le sue, quindi il vampiro perse di nuovo i sensi. Dio, che aspetto orribile aveva! Era pallido come le mattonelle di ceramica sul pavimento della sala operatoria, gli occhi profondamente infossati nel cranio. Sulla gola aveva una grossa benda e la pancia era avvolta in tamponi di garza e di cotone, con cannule di drenaggio che fuoriuscivano dalla ferita. Una flebo gli pompava fluidi e analgesici nel braccio e, di fianco al letto, era appesa la sacca del catetere. Sul torace aveva un groviglio di fili collegati a un elettrocardiografo e al dito medio era agganciato un sensore di ossigeno. Ma almeno era vivo. Per il momento. E aveva ripreso i sensi, anche se per un attimo soltanto. Andò avanti così per altri due giorni. Wrath entrava e usciva in continuazione dallo stato di incoscienza, quasi volesse assicurarsi che la sua shellan fosse lì con lui prima di tornare all'impresa disperata di guarire. Alla fine Beth dovette arrendersi al bisogno di dormire; i fratelli le procurarono una sedia più comoda e qualcuno le diede un cuscino e una coperta. Si svegliò un'ora dopo, sempre aggrappata alla mano di Wrath. Mangiò quando vi fu costretta, perché Tohrment o Wellsie le ordinarono di farlo. E fece una doccia in fretta e furia nell'anticamera della sala operatoria. Quando tornò, Wrath agitava frenetico gambe e braccia e Wellsie aveva già mandato a chiamare Havers. Non appena Beth gli prese la mano, lui si calmò. Non sapeva per quanto sarebbe durata l'attesa ma, ogni volta che Wrath tornava da lei, Beth si sentiva un po' più rinvigorita. Poteva aspettare. Se necessario avrebbe aspettato un'eternità. La mente di Wrath riprese a funzionare a pieno ritmo. Un attimo prima non era consapevole di niente, un attimo dopo tutti i suoi circuiti erano accesi. Non sapeva dove si trovava e le palpebre erano troppo pesanti per riuscire ad alzarle, quindi si diede una rapida controllata. La metà inferiore del suo corpo sembrava tutta intera, le dita dei piedi si muovevano, le gambe erano ancora attaccate al tronco. Ahia, fermi tutti. Qualcuno doveva avergli spappolato lo stomaco a furia di mazzate. Ma il torace era robusto. Il collo gli bruciava. La testa gli faceva male. Le braccia erano a posto. Le mani... Beth. Era abituato a sentire il palmo di lei nel proprio. Dov'era finita? Aprì gli occhi di scatto. Beth era lì al suo fianco, seduta su una sedia, la testa appoggiata sul letto, addormentata. Il suo primo pensiero fu che non doveva svegliarla. Evidentemente era stremata. Però aveva voglia di toccarla. Sentiva il bisogno di farlo. Cercò di allungare la mano libera, ma il braccio sembrava pesare duecento chili. Lottò con tutte le forze nel tentativo di spostarlo, trascinandolo sopra il copriletto un centimetro dopo l'altro. Non sapeva quanto ci aveva messo. Forse ore. Ma alla fine riuscì a toccare una ciocca dei capelli di Beth. Sentire di nuovo la loro morbidezza vellutata era un miracolo. Era vivo, ed era viva anche lei. Wrath scoppiò a piangere. Nell'istante in cui sentì tremare il letto, Beth si svegliò in preda al panico. Vide subito la mano di Wrath. Intorno alle dita si era attorcigliato una lunga ciocca dei suoi capelli. Lo guardò in faccia. Era in lacrime. «Wrath! Oh, amore!» Si protese verso di lui lisciandogli i capelli sulla fronte. Sembrava angosciato. «Ti fa male?» Lui aprì la bocca ma non ne uscì niente. In preda al panico, spalancò gli occhi fino a mostrare il bianco della sclera. «Calma, amore, fai con calma. Rilassati» disse lei. «Voglio che tu mi stringa la mano, una volta per dire sì, due volte per dire no. Senti dolore?» No. Con delicatezza lo accarezzò, asciugandogli le lacrime dalle guance ispide di barba. «Sei sicuro?» Si «Vado a chiamare Havers?» No. «Hai bisogno di qualcosa?» Sì. «Da mangiare? Da bere? Sangue?» No. Wrath cominciava ad agitarsi, i pallidi occhi selvaggi la fissavano imploranti. «Shhh, va tutto bene» lo rassicurò lei dandogli un bacio sulla fronte. «Calmati, adesso. Vedrai, riusciremo a capire quello che ti serve. Abbiamo un mucchio di tempo.» Lui puntò lo sguardo sulle loro mani intrecciate e poi lo riportò sul viso di lei. Fissò ancora le loro mani e quindi guardò di nuovo in faccia Beth. «Me?» mormorò lei. «Hai bisogno di me?» Lui le strinse la mano con forza, senza mai smettere. «Oh, Wrath... Io sono già tua. Noi due siamo insieme, amore.» Le lacrime sgorgarono in un fiotto inarrestabile dagli occhi del guerriero, il petto squassato dai singhiozzi, il respiro rotto e ansimante. Lei gli prese la faccia tra le mani cercando di rassicurarlo. «Va tutto bene. Io non vado da nessuna parte. Non ti lascio. Te lo prometto. Oh, amore...» Alla fine, il vampiro si rasserenò un poco. Le lacrime cessarono. Un suono gracchiante gli uscì dalla bocca. «Come?» Beth si chinò sopra di lui. «Volevo... salvarti.» «L'hai fatto, Wrath. Mi hai salvata.» Gli tremavano le labbra. «Amo. Te.» Lei lo baciò teneramente sulla bocca. «Ti amo anch'io.» «Tu. Vai. Dormire. Adesso.» E chiuse gli occhi per lo sfinimento. Con la vista appannata, Beth si mise una mano sulla bocca e sorrise. Il suo bel guerriero era tornato. E cercava di impartirle ordini da un letto d'ospedale. Con un sospiro, Wrath parve sprofondare nel sonno. Quando fu certa che stava riposando pacificamente, Beth si stiracchiò. Pensò ai fratelli: sarebbero stati felici di sapere che il loro capo si era svegliato e che era anche in grado di pronunciare qualche parola. Forse sarebbe riuscita a trovare un telefono per chiamare casa. Quando fece capolino in corridoio non riuscì a credere ai propri occhi. Proprio davanti alla porta della sala operatoria, come un'insormontabile barriera vivente, i fratelli e Butch erano sdraiati scompostamente sul pavimento. Dormivano della grossa e avevano la stessa aria distrutta che anche lei si sentiva addosso. Vishous e Butch erano appoggiati contro il muro, vicini, separati solo da due pistole e da un piccolo televisore. Rhage, disteso sulla schiena, russava sommessamente con il pugnale stretto in mano. Tohrment teneva la testa in equilibrio sulle ginocchia. Sdraiato su un fianco, Phury stringeva al petto una stella Ninja, quasi trovasse rassicurante il contatto con l'arma. E Zsadist? «Sono qui» mormorò lui. Trasalendo, Beth guardò alla sua destra. Armato fino ai denti, pistola alla cintola, pugnali incrociati sul petto, catena in mano, Zsadist la fissava con gli scintillanti occhi neri. «Tocca a me stare di guardia. Abbiamo fatto i turni.» «E così pericoloso, qui dentro?» Lui si accigliò. «Non lo sai?» «Che cosa?» Il vampiro si strinse nelle spalle controllando il corridoio. Guardò prima da una parte e poi dall'altra con molto scrupolo. «La confraternita protegge ciò che le appartiene.» Gli occhi tornarono a concentrarsi su di lei. «Non lasceremmo mai te o lui senza protezione.» Beth intuiva che il guerriero stava eludendo la domanda, ma non aveva voglia di insistere. La cosa importante era che lei e Wrath fossero al sicuro mentre suo marito pensava a guarire. «Grazie» mormorò. Zsadist abbassò in fretta lo sguardo. Rifugge da ogni calore umano, pensò Beth. «Che ore sono?» chiese. «Le quattro del pomeriggio. È giovedì, a proposito» rispose Zsadist passandosi una mano sulla testa rapata a zero. «Allora, uh, come sta?» «Si è svegliato.» «Ero sicuro che ce l'avrebbe fatta.» «Davvero?» Le labbra del vampiro si sollevarono in un ghigno, quasi fosse in procinto di uscirsene con una battuta, poi parve trattenersi. Rimase a fissarla, invece, il volto sfregiato assorto e remoto. «Proprio così, Beth. Nessuna fucilata riuscirà mai a tenerlo lontano da te.» Quindi il guerriero distolse lo sguardo. Gli altri cominciarono a svegliarsi. In un attimo erano tutti in piedi e la studiavano dall'alto della loro imponente statura. Butch sembrava perfettamente a proprio agio in mezzo a quei vampiri, notò Beth. «Come sta?» chiese Tohr. «Abbastanza bene da cercare di dirmi cosa devo fare.» I fratelli scoppiarono a ridere. Era una risata di sollievo, di orgoglio. D'amore. «Avete bisogno di qualcosa, voi due?» s'informò Tohr. Beth li fissò in faccia, l'uno dopo l'altro. Erano pieni di aspettativa, quasi sperassero di potersi rendere utili. Questa è veramente la mia famiglia, pensò. «Stiamo bene così» rispose sorridendo. «E sono sicura che presto lui vorrà vedervi tutti.» «E tu?» domandò Tohr. «Ce la fai a resistere ancora per un po'? Vuoi prenderti una pausa?» Beth scosse la testa e, con una spinta, aprì la porta della sala operatoria. «Fino a quando lui non uscirà di qui sulle sue gambe, non ho intenzione di lasciare il suo capezzale.» Quando la porta si richiuse alle spalle di Beth, Butch udì Vishous fischiare sottovoce. «Quella sì che è una femmina tosta, vero?» disse V. Ci fu un generale borbottio affermativo. «Ed è una a cui è meglio non dare fastidio» proseguì il guerriero. «Dio, avreste dovuto vederla quando siamo arrivati in quel fienile. Era in piedi vicino a Wrath, pronta ad affrontare lo sbirro e me a mani nude, se necessario. Come se Wrath fosse il suo cucciolo, non so se mi spiego.» «Mi chiedo se per caso abbia una sorella» brontolò Rhage. Phury rise. «Non sapresti neanche da che parte cominciare, se ti capitasse a tiro una femmina di valore.» «Proprio tu parli, Mr Castità?» Ma poi Hollywood si sfregò il mento ispido di barba, quasi riflettendo su come andava il mondo. «Ah, cavolo, Phury, forse hai ragione. Comunque si può sempre sognare, no?» «Già» mormorò V. Butch pensò a Marissa. Continuava a sperare che scendesse: non l'aveva più vista da quando se n'era andata, la mattina dopo l'intervento chirurgico. Sembrava così sfinita, così sconvolta. D'altronde aveva tanti pensieri per la testa. La morte di suo fratello era imminente. Ancora più imminente, adesso che Wrath era sulla via della guarigione. Voleva raggiungerla con tutto se stesso, ma non era sicuro che lei avrebbe accolto con piacere la sua compagnia. In fondo non la conosceva ancora abbastanza, avevano passato troppo poco tempo insieme. Lo vedeva forse come un tipo stravagante che solleticava la sua curiosità? Come del sangue fresco che aveva voglia di assaggiare? Qualcosa di più? Butch guardò in fondo al corridoio, forse sperando che questo bastasse a farla comparire. Dio, moriva dalla voglia di rivederla. Se non altro per sapere che stava bene. CAPITOLO 52 Un paio di giorni dopo, Wrath cercava a fatica di mettersi a sedere prima che i fratelli entrassero in camera. Non voleva farsi vedere steso sulla schiena. L'ago della flebo infilato nel braccio e tutte le apparecchiature mediche alle sue spalle erano uno spettacolo già abbastanza deprimente. Però almeno dal giorno prima era senza catetere, era riuscito a radersi e a farsi una doccia. Avere i capelli puliti era già una gran cosa. «Che cosa stai facendo?» chiese Beth quando lo sorprese girato su un fianco. «Mi metto seduto...» «Oh no, non puoi» protestò lei, afferrando il telecomando del letto e inclinando leggermente la testata. «Ah, diavolo, leelan, adesso sono sdraiato anche da seduto.» «Va bene così» stabilì Beth; poi si chinò a rimboccargli le lenzuola e lui intravide la curva del seno. Il suo corpo si rianimò nel punto giusto. Ma quel sussulto lo fece ripensare alla scena che si era trovato davanti quando era piombato nel fienile. Beth legata al tavolo, supina. Non gli importava un accidente che i lesser non fossero più in grado di drizzare il pisello. Le prese la mano. «Leelan?» «Sì?» «Sei sicura di stare bene?» Avevano parlato di quello che era successo, ma lui era sempre preoccupato. «Te l'ho detto, la coscia sta guarendo...» «Non dico solo fisicamente» la interruppe lui, sopraffatto dalla voglia di uccidere un'altra volta Billy Riddle. Il viso di lei si rabbuiò per un attimo. «Tranquillo, andrà tutto bene. Perché mi rifiuto di pensare che le cose vadano diversamente.» «Sei così coraggiosa. Hai una notevole capacità di ripresa. Sono esterrefatto.» Beth gli sorrise e si chinò a dargli un bacetto frettoloso. Lui la tenne ferma, parlando contro le sue labbra. «E grazie per avermi salvato la vita. Non solo in quel fienile, ma per tutto il resto dei miei giorni e delle mie notti.» La baciò con maggiore trasporto e fu lieto di sentirla ansimare di piacere. Quel rantolo risvegliò la sua erezione e Wrath fece scorrere la punta delle dita sul collo e sulla spalla della moglie. «Perché non salti qua sopra insieme a me?» «Non credo proprio che tu sia già pronto.» «Vuoi scommettere?» Le prese la mano e la infilò sotto le lenzuola. La risatina sensuale che Beth fece stringendogli con delicatezza il membro fu l'ennesimo motivo di meraviglia, per lui. Proprio come la sua costante presenza in quella stanza d'ospedale e il feroce istinto protettivo dimostrato nei suoi confronti, il suo amore, la sua forza. Lei era tutto per lui. Tutto il suo mondo. Era passato da un atteggiamento fatalistico nei confronti della morte al disperato desiderio di vivere. Per lei. Per loro due. Per il futuro. «Che cosa ne dici di aspettare un altro giorno?» propose Beth. «Un'altra ora.» «Finché non sarai in grado di metterti seduto da solo.» «Affare fatto.» Grazie a Dio guariva alla svelta. Lei staccò la mano dal suo corpo. «Faccio entrare i tuoi compagni?» «Sì.» Wrath trasse un profondo respiro. «Aspetta. Devi sapere quello che sto per dire.» La tirò giù a forza, costringendola a sedersi sulla sponda del letto. «Sto per lasciare la confraternita.» Lei chiuse gli occhi, quasi a nascondergli quanto era sollevata. «Veramente?» «Sì. Ho chiesto a Tohr di assumere il comando. Ma non vado in vacanza. Devo cominciare a governare la nostra gente, Beth. E ho bisogno che tu lo faccia insieme a me.» Lei sollevò le palpebre di scatto. Lui le toccò il viso. «Sto dicendo che per noi è giunta l'ora di fare il re e la regina. E, sarò sincero, non so bene da che parte cominciare. Qualche idea ce l'avrei, ma avrò bisogno del tuo aiuto.» «Qualunque cosa» disse Beth. «Qualunque cosa, per te.» Wrath riuscì solo a guardarla ammirato. Dio, quella femmina lo lasciava davvero allibito. Eccola lì, pronta a sfidare il mondo intero al suo fianco anche se lui era immobilizzato in un letto. La fiducia che riponeva in lui era stupefacente. «Ti ho mai detto che ti amo, leelan?» «Più o meno cinque minuti fa, ma non mi stanco mai di sentirlo.» Lui la baciò. «Fa' entrare i fratelli e di' a Butch di aspettare in corridoio. Tu rimarrai qui mentre parlo con loro.» Beth fece entrare i guerrieri e poi tornò al fianco del marito. I membri della confraternita si avvicinarono al letto con cautela. Pur avendo avuto un breve incontro con Tohr, quella mattina, era la prima volta che Wrath vedeva il resto dei suoi guerrieri, e la prima volta che i fratelli vedevano il loro capo. Quasi tutti cominciarono a tossicchiare, come se avessero un groppo in gola. Wrath sapeva cosa provavano. Si sentiva allo stesso modo. «Fratelli miei...» In quel momento entrò Havers, ma si fermò di colpo. «Ah, il nostro buon dottore» disse Wrath. «Entra pure. Abbiamo una faccenda in sospeso, tu e io.» Havers era entrato e uscito con regolarità dalla sala operatoria, ma fino a quel momento Wrath non se l'era sentita di affrontare la questione. «È giunta l'ora» dichiarò adesso in tono perentorio. Con un profondo sospiro, Havers si avvicinò al letto chinando il capo. «Mio signore.» «Da quel che ho capito hai tentato di farmi uccidere.» A onor del vero il medico non provò a scappare né a tergiversare, e, anche se la pena e il rimorso che provava erano evidenti, non invocò alcuna clemenza. «Sì, mio signore, sono stato io ad avvicinarlo» confermò indicando Zsadist. «E quando è stato chiaro che il tuo confratello non ti avrebbe tradito, mi sono rivolto al lesser.» Wrath annuì. Aveva già parlato con Tohrment di quanto era effettivamente accaduto quella notte: Tohr aveva colto soltanto parte della risposta di Z. «Mio signore, devi sapere che tuo fratello era pronto a uccidermi per il solo fatto di avere osato chiedergli una cosa simile.» Wrath guardò Zsadist, che fissava il dottore come se volesse attaccargli la testa al muro. «Sì, ho sentito che non ti è andata troppo bene. Ti devo delle scuse, Z.» Il guerriero si strinse nelle spalle. «Non importa. Le scuse sono una pizza.» Wrath sorrise. Tipica reazione di Z. Incavolato sempre e comunque. Havers guardò i fratelli intorno a lui. «Davanti a questi testimoni, accetto la mia condanna a morte.» Wrath lo fissò serio e pensò ai tanti anni in cui sua sorella aveva sofferto. Anche se non era mai stata sua intenzione rovinarle la vita, l'esito finale era stato tutto colpa sua, pensò. «L'hai fatto per Marissa, vero?» disse. Havers annuì. «Sì, mio signore.» «Allora non ti ucciderò. Hai agito spinto dal modo in cui ho trattato una persona a te cara. La vendetta è una cosa che posso capire.» Havers parve barcollare per lo shock. Lasciò cadere il foglio che teneva in mano e si gettò ai piedi del letto, afferrando quella di Wrath e posandovi sopra la fronte. «Mio signore, la tua misericordia non conosce limiti.» «Neppure per sogno. Ti concedo di vivere come dono nei confronti di tua sorella. Ma se mai dovessi azzardarti a fare un'altra bravata del genere, verrò a cercarti personalmente armato di pugnale. Intesi?» «Sì, mio signore.» «Adesso lasciaci, potrai visitarmi più tardi. Bussa prima di entrare, capito?» «Sì, mio signore.» Mentre Havers guadagnava in tutta fretta l'uscita, Wrath baciò la mano di Beth. «Nel caso noi due fossimo impegnati» sussurrò malizioso. Nella stanza risuonò un coro di risatine soffocate. Wrath scoccò un'occhiata truce ai fratelli per metterli a tacere e fece la sua dichiarazione. Capì di averli scioccati enormemente quando il suo annuncio fu accolto da un silenzio prolungato. «Allora, siete d'accordo per Tohr o che cosa?» chiese al gruppo di guerrieri. «Sì» rispose Rhage. «Per me va bene.» Vishous e Phury annuirono. «Z?» Il vampiro alzò gli occhi al cielo. «E dai, amico, cosa vuoi che me ne importi? Tu, Tohr. Britney Spears.» Wrath rise. «Era una battuta, Z? Dopo tanto tempo hai finalmente ritrovato il senso dell'umorismo? Diamine, mi stai dando un'altra ragione per vivere.» Z arrossì, ringhiando sommessamente mentre i compagni lo rimproveravano. Wrath trasse un profondo respiro. «Fratelli miei, c'è qualcos'altro. Sto per salire al trono. Come ho già detto a Tohr, abbiamo bisogno di ricostruire. Abbiamo bisogno di ridare slancio alla nostra razza.» Il fratelli lo fissarono attoniti. Poi, l'uno dopo l'altro, si avvicinarono al letto per giurare fedeltà nell'antico idioma prendendogli la mano e baciandola all'interno del polso. La rispettosa gravità di quel gesto lo lasciò turbato e commosso. La Vergine Scriba aveva ragione, pensò. Quella era la sua gente. Come poteva rifiutarsi di assumerne la guida? Quando i guerrieri ebbero finito il rito del giuramento, Wrath guardò Vishous. «Hai preso i vasi dei due lesser nel fienile?» V aggrottò la fronte. «C'era un solo lesser, la recluta che tu e io abbiamo incontrato la notte del tuo matrimonio. Sono tornato lì e ho pugnalato il suo cadavere mentre tu eri sotto i ferri. E ho preso il vaso che era in casa.» Wrath scosse la testa. «Erano in due. Erano decisamente in due. L'altro era il lesser alla guida dell'Hummer.» «Sicuro che fosse morto?» «È stramazzato al suolo dopo aver ricevuto un colpo in testa.» All’improvviso Wrath percepì l'inquietudine di Beth e le strinse la mano. «Ma ora basta, ne riparleremo più tardi.» «No, va tutto bene...» cominciò a dire lei. «Più tardi» insistette lui baciandole il dorso della mano e sfregandosela sulla guancia. Poi, con gli occhi fissi nei suoi, tentò di rassicurarla, odiando il mondo in cui l'aveva fatta entrare. Quando lei gli sorrise, Wrath la fece chinare per darle un bacio veloce prima di riportare lo sguardo sui fratelli. «Ancora una cosa» disse. «Andrete a vivere tutti insieme. Voglio che la confraternita sia localizzata in un posto solo, almeno per il prossimo paio d'anni.» Tohr trasalì. «Cristo, Wellsie non gradirà molto. Abbiamo appena finito di installare la sua cucina da sogno.» «Troveremo una soluzione per voi due, specialmente perché c'è un bambino in arrivo. Ma gli altri vivranno tutti nella stessa casa.» Ci furono dei mugugni di protesta. «Ehi, potrebbe anche andarvi peggio» aggiunse Wrath. «Potrei costringervi a vivere insieme a me.» «Ottima obiezione» concordò Rhage. «Cribbio, Beth, se mai sentissi il bisogno di prenderti una pausa dal tuo maritino...» Wrath ringhiò. «Quello che stavo per dire» precisò Hollywood strascicando le parole, «era che potrebbe venire a stare per un po' con noi. Ci prenderemo sempre cura di lei.» Wrath lanciò un'occhiata a Beth. Dio, quanto era bella. La sua compagna. La sua amante. La sua regina. Sorrise, incapace di staccarle gli occhi di dosso. «Adesso lasciateci, signori. Voglio rimanere da solo con la mia shellan.» I guerrieri uscirono in fila indiana ridacchiando, un modo come un altro per mostrare il loro apprezzamento tipicamente virile. Quasi sapessero con esattezza quello che gli frullava per la testa. Wrath si dimenò nel letto nel tentativo di stare seduto diritto, facendo gravare sui fianchi il peso della parte superiore del corpo. Beth rimase a guardarlo per tutto il tempo, rifiutandosi di aiutarlo. Quando finalmente riuscì a stabilizzarsi, il vampiro si sfregò le mani pregustando ciò che lo attendeva. Gli sembrava già di sentire la pelle vellutata della sua shellan. «Wrath» disse Beth in tono ammonitore mentre lui le sorrideva raggiante. «Sali qua sopra, leelan. I patti vanno rispettati.» Anche se non poteva fare altro che abbracciarla, sentiva il bisogno di tenerla stretta. CAPITOLO 53 José de la Cruz strinse la mano al perito esperto in incendi dolosi. «Grazie. Non vedo l'ora di leggere il suo rapporto scritto.» Il vigile del fuoco scrollò la testa voltandosi a guardare i resti carbonizzati della Caldwell Martial Arts Academy. «Mai visto niente del genere. Verrebbe da pensare che sia scoppiata una specie di bomba nucleare. Francamente, non so cosa mettere nel fascicolo.» José lo osservò dirigersi verso l'autocarro della contea e allontanarsi. «Torni in centrale?» chiese Ricky salendo sulla sua volante. «Non subito. Prima devo andare dall'altra parte della città.» Ricky lo salutò con la mano puntando verso l'uscita. Rimasto da solo sul luogo dell'incendio, José trasse un profondo respiro. L'odore del rogo era pungente anche a quattro giorni di distanza. Mentre si dirigeva verso l'auto civetta, abbassò lo sguardo sulle scarpe. Erano grigio pallido a causa della trentina di centimetri di fuliggine che ricopriva tutto il sito. Quella roba assomigliava più a cenere vulcanica che a qualunque altra cosa lasciata da un normale incendio. E anche le macerie erano strane: di solito alcune parti della struttura sopravvivevano, per quanto alte fossero le temperature sprigionate dalle fiamme. Qui invece non era rimasto in piedi niente. L'intero edificio era stato raso al suolo. Proprio come il vigile del fuoco, non aveva mai visto niente di simile. José si sedette al volante, infilò la chiave nell'accensione e mise in moto. Guidò per tredici chilometri in direzione est addentrandosi in una zona piuttosto squallida della città. All'orizzonte comparve una fila di palazzoni anonimi, erbacce urbane che crescevano sul cemento e sull'asfalto. Si fermò davanti a uno di essi. Parcheggiò e spense il motore. Passò parecchio tempo prima che riuscisse a scendere dall'auto. Facendosi coraggio si avviò verso l'entrata principale. Una coppia stava uscendo e gli tenne la porta aperta. Dopo aver salito tre rampe di scale, imboccò un corridoio fatiscente coperto da una passatoia sudicia e appiattita dalle migliaia di passi che l'avevano calpestata. La porta che stava cercando era stata ridipinta talmente tante volte che i pannelli incassati erano quasi a filo con gli altri. Bussò, ma non si aspettava nessuna risposta. Forzare la serratura fu questione di un attimo. Aprì l'uscio con una spinta. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. Un cadavere vecchio di quattro o cinque giorni ormai doveva puzzare, anche con il condizionatore acceso. Non sentì niente. «Butch?» chiamò. Chiuse la porta alle sue spalle. Il divano era coperto dalle pagine sportive del «Caldwell Courier Journal» e del «New York Post» della settimana prima. Sul tavolo lattine di birra vuote. In cucina dei piatti nel lavello. Sul ripiano altre confezioni vuote di cibo. José andò in camera. Tutto ciò che trovò fu un letto sfatto e un mucchio di vestiti sul pavimento. Si fermò davanti alla porta del bagno. Chiusa. Il cuore cominciò a martellargli nel petto. L'aprì con una spinta, ormai convinto di trovare un cadavere che penzolava nella doccia. Niente. Il detective della Omicidi Butch O'Neal era scomparso senza lasciare traccia. CAPITOLO 54 Darius si guardò intorno. La rilassante foschia del Fado si era dissolta rivelando un immacolato cortile di marmo. Da una fontana al centro, l'acqua zampillava in una danza tintinnante catturando la luce soffusa per poi rifletterla in lampi accecanti. Uccelli canori cinguettavano dolcemente, quasi a voler dare il benvenuto al guerriero e, al tempo stesso, annunciare il suo arrivo. Allora questo posto esiste veramente, pensò. «Buongiorno, Darius, figlio di Marklon.» Lui si inginocchiò senza voltarsi e chinò il capo. «Vergine Scriba, voi mi onorate concedendomi questa udienza.» Lei rise sommessamente. Quando si spostò davanti a lui, l'orlo della tunica entrò nel campo visivo di Darius. La luce che filtrava da sotto la seta nera splendeva come il sole. «Come potevo rifiutare, Darius? È il primo incontro che mi chiedi.» Lui sentì qualcosa sfiorargli la spalla e un formicolio ai capelli, sulla nuca. «Alzati, adesso. Voglio guardarti in faccia.» Il guerriero si alzò in piedi, torreggiando sopra l'esile figura. Tenne le mani allacciate davanti a sé. «Dunque il Fado non è di tuo gradimento, princeps?» chiese lei. «E vuoi che ti rimandi indietro?» «Vi presento umilmente tale richiesta, sempre che la cosa non vi offenda. Ho atteso il periodo prescritto. Vorrei poter vedere mia figlia. Soltanto una volta, sempre che la cosa non vi offenda.» La Vergine Scriba rise di nuovo. «Devo dire che ti presenti molto meglio del tuo re. Hai una padronanza di linguaggio ignota a quel guerriero.» Ci fu una pausa. Darius utilizzò quel tempo per ripensare ai fratelli. Quanto gli mancava Wrath! E quanto gli mancavano tutti quanti i fratelli. Ma quella che voleva vedere era Beth. «Si è sposata» disse di punto in bianco la Vergine Scriba. «Tua figlia è innamorata di un maschio di valore.» Darius chiuse gli occhi. Sapeva che non doveva fare domande. Moriva dalla voglia di saperne di più. Sperava che la sua Elizabeth fosse felice, chiunque fosse il compagno scelto. La Vergine Scriba parve deliziata dal suo silenzio. «Ma guarda, mai una domanda. Quanto autocontrollo! Grazie alla tua squisita educazione ti dirò quello che brami di sapere. Il suo compagno è Wrath, che sta per salire al trono. Tua figlia è regina.» Darius chinò il capo non volendo svelare le proprie emozioni, non volendo mostrarle le lacrime, altrimenti lei avrebbe potuto pensare che lui fosse un debole. «Oh, princeps» mormorò la Vergine Scriba. «Quanta gioia e quanta tristezza nel tuo petto. Dimmi, la compagnia dei tuoi figli maschi, nel Fado, non è sufficiente a nutrire il tuo cuore?» «Ho la sensazione di averla abbandonata.» «Ma lei non è più sola.» «Ed è un bene.» Ci fu un'altra pausa. «Però tu desideri ancora vederla?» Lui annuì. La Vergine Scriba si allontanò, diretta verso lo stormo di uccelli appollaiati, trillanti e felici, su un albero bianco coperto di fiori candidi. «Che cosa desideri, princeps? Pensavi a un'apparizione? Qualcosa di fugace, in sogno?» «Se la cosa non vi offende.» Darius manteneva un tono formale perché lei meritava reverenza. E perché in tal modo sperava di convincerla. La veste cerimoniale nera si mosse e ne emerse una mano sfolgorante. Uno degli uccelli, una cincia, le saltò su un dito. «Sei stato ucciso in maniera disdicevole» disse la Vergine Scriba, accarezzando il petto del minuscolo uccellino. «E dopo avere servito la razza con onore per secoli. Sei stato un princeps degno di rispetto e un valoroso guerriero.» «Sono lusingato che le mie imprese abbiamo riscosso la vostra approvazione.» «È così, infatti» disse la Vergine Scriba. Poi fece un fischio e la cincia fischiò a sua volta, quasi in risposta. «Che cosa diresti, princeps, se ti offrissi più di quanto hai chiesto?» Il cuore di Darius prese a battere all'impazzata. «Direi che va bene.» «Senza nemmeno conoscere il dono? O il sacrifìcio?» «Mi fido di voi.» «Già, perché non aspirare a essere re?» chiese beffarda lei, rimettendo l'uccellino al suo posto sul ramo. Si voltò verso il guerriero. «Ecco cosa ti offro. Una nuova vita. Un incontro con tua figlia. La possibilità di combattere ancora una volta.» «Vergine Scriba...» Darius si inginocchiò di nuovo. «Io accetto, ben sapendo di non meritare simili favori.» «Non ti vincolerò a questa risposta. Ecco cosa dovrai sacrificare... non avrai ricordi consapevoli di tua figlia, non sarai come sei adesso. E, infine, esigo un pegno di facoltà.» Darius non sapeva cosa fosse quell'ultima cosa, ma non poteva chiedere spiegazioni. «Accetto.» «Sei sicuro? Non vuoi altro tempo per riflettere?» «Grazie, Vergine Scriba, ormai ho fatto la mia scelta.» «Così sia.» La Vergine Scriba gli si avvicinò e quelle mani spettrali emersero dalla tunica nera. Al tempo stesso il velo che le copriva il viso si sollevò, quasi fosse dotato di volontà propria. La luce era così accecante che Darius non vide nulla dei suoi lineamenti. Quando sentì che gli afferrava la mascella e la nuca, il guerriero tremò al cospetto di tanta forza. Avrebbe potuto schiacciarlo per puro capriccio. «Io ti rido la vita, Darius, figlio di Marklon. Che tu possa trovare quello che cerchi in questa incarnazione.» Così dicendo, la Vergine Scriba premette le labbra sulle sue e Darius subì lo stesso shock di quando era morto. Tutte le sue molecole esplosero, il suo corpo si polverizzò nell'aria e la sua anima si alzò in volo. Libera. Capitolo 55 Mr X aprì gli occhi e vide una fila di sfocate linee verticali. Sbarre? No, erano gambe di sedia. Era disteso su un pavimento di pino grezzo, sdraiato scompostamente a pancia in giù sotto un tavolo. Alzò il mento e la vista gli si annebbiò di nuovo. Dio, la testa mi fa male come se qualcuno me l'avesse spaccata in due… All'improvviso gli tornò in mente tutto. Lo scontro con il Re cieco, la femmina che lo aveva colpito con qualcosa di pesante, lui che stramazzava al suolo. Mentre il Re cieco lottava contro le ferite procurategli dalle fucilate di Billy Riddle e la femmina si concentrava sul compagno, lui era strisciato fuori verso il minivan. Si era allontanato dalla città, fino a raggiungere le montagne all'estremo confine di Caldwell, Per miracolo aveva trovato il suo capanno, al buio, ed era riuscito a trascinarsi dentro appena prima di crollare svenuto. Dio solo sapeva per quanto tempo era rimasto lì, privo di sensi. Piccole finestrelle intagliate nelle pareti di tronchi lasciavano filtrare le prime luci dell'alba. Era la mattina dopo? Per qualche motivo pensava di no. Aveva l'impressione di avere perso giornate intere. Muovendo il braccio, con cautela si tastò la nuca. La ferita era ancora aperta, ma cominciava a rimarginarsi. Con grande sforzo e concentrazione riuscì a mettersi dritto in modo da appoggiarsi contro il tavolo. Con la testa sollevata si sentiva un pochino meglio. Era stato fortunato. I lesser potevano rimanere invalidi in modo permanente in seguito a gravi ferite da arma da fuoco o di altro genere. Non morivano, pur rimanendo rovinati per sempre. Nel corso dei decenni aveva visto una quantità di compagni ridotti a marcire in luoghi nascosti, incapaci di guarire per tornare a combattere e troppo deboli per pugnalarsi sprofondando nell'oblio. Si guardò le mani. Erano macchiate del sangue ormai rappreso del Re cieco e della sporcizia sul pavimento del fienile. Non rimpiangeva di essere scappato. A volte la mossa migliore concessa a un capo era sottrarsi alla battaglia. Quando il tuo esercito veniva decimato e la sconfitta era virtualmente sicura, la manovra più intelligente era scegliere la ritirata per ricominciare a combattere un altro giorno. Mr X lasciò ricadere le braccia. Aveva bisogno di più tempo per ristabilirsi, ma doveva riprendere il comando dei suoi uomini. I vuoti di potere, nella Società, erano pericolosi. In particolare per il Fore-lesser in carica. La porta del capanno si spalancò di colpo e lui guardò in su, chiedendosi come difendersi prima ancora di rendersi conto che ormai il giorno era troppo vicino perché l'intruso potesse essere un vampiro. Ciò che si stagliò sulla soglia raggelò il suo sangue nero. L'Omega. «Sono venuto per aiutarti a guarire» annunciò con un sorriso. Mentre la porta si richiudeva, Mr X tremava da capo a piedi. Qualsiasi aiuto da parte dell'Omega era più terrificante di una condanna a morte. Epilogo La casa della Tomba. Dammi retta, è lì che dovremmo andare a stare» disse Tohr, infilzando un pezzo di roastbeef dal vassoio d'argento che Fritz gli porgeva. «Grazie, amico.» Beth guardò Wrath pensando che, nel mese trascorso da quando gli avevano sparato, si era rimesso completamente. Era sano e forte, formidabile come sempre. Arrogante e affettuoso, impossibile e irresistibile. Appoggiandosi allo schienale della sedia a capotavola, lui le prese la mano accarezzandole il palmo con il pollice. Lei gli sorrise. Durante la convalescenza avevano vissuto a casa del padre di Beth, facendo progetti per il futuro, e tutte le sere la confraternita si riuniva lì per cena. Fritz era fuori di sé dalla gioia per tutto quell'andirivieni di gente. «Sai, è proprio una splendida idea» disse V. «Potrei blindare quel posto con un sistema di sicurezza a prova di bomba. È piuttosto isolato, in cima a una montagna. E poi la casa è di pietra, quindi niente incendi. Se chiudiamo tutte le finestre con tapparelle di metallo potremmo muoverci anche di giorno. Che poi era il principale punto debole di questa casa quando...» Si interruppe di colpo. «E nel sotterraneo non ci sono locali spaziosi? Potremmo utilizzarli per tenerci in allenamento.» Rhage annuì. «È anche grande a sufficienza. Potremmo andarci ad abitare tutti insieme senza rischiare di ammazzarci a vicenda.» «Questo dipende più dalla tua boccaccia che dalla planimetria della casa» disse sogghignando Phury. Il guerriero cambiò posizione per permettere a Boo di saltargli in grembo. «Tu che cosa ne pensi?» chiese Thor rivolto a Wrath. «Non spetta a me decidere. Tutti quegli immobili e strutture annesse erano di proprietà di Darius e, come tali, adesso sono passati in eredità a Beth» rispose Wrath guardando la moglie. «Leelan? Saresti d'accordo a mettere a disposizione dei fratelli una delle tue case?» Una delle sue case. Delle sue case. Non avendo mai posseduto nemmeno un appartamento, Beth aveva qualche problemino a fare i conti con quello che possedeva adesso. E non si trattava solo di proprietà immobiliari. Il patrimonio comprendeva anche opere d'arte, terreni, automobili, gioielli. Possedeva una quantità di denaro addirittura spropositata. Per fortuna V e Phury avevano accettato di condividere con lei la loro profonda conoscenza del mercato azionario, oltre a insegnarle i segreti di obbligazioni, buoni del tesoro, oro, beni mobili e immobili. Quei due erano straordinariamente bravi con i soldi. E molto, molto bravi anche con lei. Beth guardò gli uomini seduti intorno al tavolo. «La confraternita può avere tutto ciò di cui ha bisogno.» Ci fu un borbottio di riconoscenza e molti levarono i bicchieri in un brindisi alla sua salute. Zsadist lasciò il suo sul tavolo, ma le rivolse un cenno del capo. Beth lanciò un'occhiata a Wrath. «Ma non sarebbe meglio anche per noi trasferirci lì?» «Ti andrebbe davvero?» chiese lui. «La maggior parte delle femmine preferirebbe avere una casa tutta sua.» «Quella casa è mia, ricordi? E questi sono i tuoi più stretti collaboratori, i tuoi consiglieri, le persone di cui più ti fidi al mondo. Perché mai dovreste vivere separati?» «Un momento» intervenne Rhage. «Credevo fossimo d'accordo sul fatto che non saremmo stati costretti a vivere con lui.» Wrath scoccò un'occhiataccia a Hollywood prima di riportare lo sguardo su Beth. «Ne sei proprio sicura, leelan?» «Più siamo, più saremo al sicuro, giusto?» Lui annuì. «Però saremo anche più esposti.» «Ma saremo in ottima compagnia. Nessuno sarebbe in grado di proteggerci meglio di questi uomini meravigliosi.» «Scusate» intervenne Rhage. «Anche voialtri siete innamorati di lei?» «Diamine, sì» disse V dando un colpetto al suo berretto dei Red Sox. «Perdutamente.» Anche Phury annuì. «E poi, se verrà a vivere con noi potremo tenere il gatto.» Wrath la baciò e, guardando Tohr, disse: «Mi sa che abbiamo trovato casa». «E verrà anche Fritz» chiarì Beth quando il maggiordomo entrò nella stanza. «Vero, Fritz? Per favore...» Il domestico, felice come una pasqua per non essere stato escluso, guardò i fratelli raggiante. «Sarei disposto ad andare ovunque, per lei e per il re, signora. E poi, più saranno le persone di cui dovrò occuparmi, meglio sarà.» «Be', sarà il caso di cercare qualcuno che ti dia una mano.» V prese la parola rivolgendosi a Wrath. «Ascolta, per quanto riguarda lo sbirro, che cosa intendi fare con lui?» «Me lo chiedi perché è un tuo amico o perché costituisce una minaccia per noi?» «Entrambe le cose.» «Come mai ho la sensazione che tu stia per suggerire qualcosa?» «Perché è così. Secondo me dovrebbe venire con noi.» «Per qualche motivo in particolare?» «L'ho sognato.» La tavolata sprofondò nel silenzio. «Aggiudicato» disse Wrath. «Comunque, sogni o no, vale la pena di tenerlo d'occhio.» V annuì. «Mi assumo io la responsabilità.» Mentre i fratelli cominciavano a fare progetti, Beth guardò la mano del marito nella sua, provando l'assurdo impulso di mettersi a piangere. «Leelan?» mormorò Wrath. «Stai bene?» Lei annuì, meravigliata che lui riuscisse a leggerle nel pensiero con tanta facilità. «Sto benissimo» rispose sorridente. «Sai? Appena prima di conoscerti ero in cerca di un'avventura.» «Sul serio?» «E ho avuto molto di più. Ho trovato un passato e un futuro. Un'intera... vita. A volte non so come prendere tutta questa fortuna, non so proprio come comportarmi.» «Buffo, anch'io mi sento così.» Wrath le prese il viso tra le mani e posò le labbra sulle sue. «Ed è per questo che ti bacio tanto spesso, leelan.» Lei circondò con le braccia le spalle poderose del marito strofinando le labbra sulle sue. «Oddio» esclamò Rhage. «Non ci toccherà stare tutto il tempo a guardare questi due che si sbaciucchiano...» «Non è il tuo giorno fortunato» borbottò V. «Già» sospirò Rhage. «Tutto ciò che voglio è una femmina in gamba. Ma credo che, finché non l'avrò trovata, in mancanza della qualità dovrò accontentarmi della quantità. La vita è un vero schifo, non trovate?» Ci fu un fragoroso scroscio di risa e qualcuno gli tirò addosso il tovagliolo. Fritz servì il dessert. «Potreste evitare di lanciare i tovaglioli, per favore?» disse il maggiordomo. «Pesche per tutti?» Glossario dei nomi comuni e dei nomi propri Confraternita del Pugnale Nero. Vampiri guerrieri altamente qualificati incaricati di proteggere la loro specie dagli attacchi della Lessening Society. In seguito a una riproduzione selettiva all'interno della razza, i membri della confraternita sono dotati di una forza fisica e mentale eccezionale e della capacità di guarire rapidamente. In genere non sono imparentati fra loro e vengono arruolati nella confraternita tramite nomina da parte degli altri fratelli. Aggressivi, orgogliosi, indipendenti e riservati per natura, conducono esistenze separate dai vampiri civili e hanno pochissimi contatti con i membri delle altre classi, eccetto quando devono nutrirsi del loro sangue. Sono protagonisti di leggende e oggetto di venerazione all'interno del mondo dei vampiri. Possono morire solo in seguito alle ferite più gravi, per esempio una pugnalata o un colpo di arma da fuoco al cuore. A parte Darius, i nomi dei vampiri membri della Confraternita del Pugnale Nero richiamano la caratteristica peculiare della loro natura: Wrath, «ira», in inglese; Tohrment, che rimanda all'inglese torment, «tormento»; Vishous, variante di vicious, ovvero «vizioso»; Rhage, variante dell'inglese rage, «rabbia»; Phury, che rimanda a un'idea di purezza, e infine Zsadist, ispirato all'inglese sadistic, «sadico» (N.d.X). Doggen. Nel mondo dei vampiri questo termine designa un membro della classe dei servitori. Nel servire i loro padroni, i doggen sono fedeli ad antiche tradizioni conservatrici, osservano un rigido codice di comportamento e regole molto formali in fatto di vestiario. Possono uscire durante il giorno, ma invecchiano relativamente in fretta. La loro aspettativa di vita si aggira intorno ai cinquecento anni. Elette. Vampire femmine allevate allo scopo di servire la Vergine Scriba. Sono considerate membri dell'aristocrazia, anche se la loro esistenza è focalizzata più su questioni spirituali che mondane. Hanno pochissimi o nessun contatto con i maschi, ma per volere della Vergine Scriba possono accoppiarsi con i guerrieri per propagare la loro classe. Sono dotate della capacità di predire il futuro. In passato i membri della confraternita privi di una compagna potevano servirsi di loro per soddisfare il periodico bisogno di bere sangue; ma in seguito questa pratica è stata abbandonata. Fado. Regno atemporale dove i defunti si riuniscono per l'eternità con i loro cari. Hellren. Vampiro maschio sposato con una femmina. I maschi possono avere più di una compagna. Leelan. Termine affettuoso liberamente traducibile con «mia diletta», «mia adorata». Lessening Society. Società dei minori. Ordine di assassini fondato dall'Omega allo scopo di annientare la specie dei vampiri, Lesser. Essere umano privato dell'anima che, in quanto membro della Lessening Society, ha come obiettivo lo sterminio dei vampiri. Per uccidere un lesser, o «minore», bisogna pugnalarlo al petto, altrimenti non invecchia e vive in eterno. I lesser non mangiano, non bevono e sono sessualmente impotenti. Con il tempo perdono la pigmentazione originaria di capelli, pelle e iridi fino a diventare di un biondo slavato, molto pallidi e con gli occhi chiarissimi. Profumano di talco per neonati. Una volta ammessi all'interno della Lessening Society da parte dell'Omega, essi conservano un vaso di ceramica in cui viene custodito il loro cuore, dopo che è stato rimosso. Omega. Figura mistica e malvagia che ha come obiettivo l'estinzione dei vampiri a causa del risentimento che cova nei confronti della Vergine Scriba. Esiste in una dimensione atemporale ed è dotato di ampi poteri, ma non della facoltà di procreare. Periodo del bisogno. Periodo di fertilità di un vampiro femmina. In genere dura due giorni ed è accompagnato da un forte desiderio sessuale. Si verifica grosso modo cinque anni dopo la transizione e, in seguito, si ripresenta una volta ogni dieci anni. Tutti i vampiri maschi reagiscono in qualche misura quando si trovano nelle vicinanze di una femmina che attraversa questa fase. Si tratta di un periodo potenzialmente pericoloso, caratterizzato da lotte e conflitti tra maschi in competizione, in particolare se la femmina non ha un compagno. Prima Famiglia. Il re e la regina dei vampiri e tutti i figli da essi generati. Princeps. Supremo rango dell'aristocrazia dei vampiri, secondo soltanto ai membri della Prima Famiglia e alle Elette della Vergine Scriba. È un titolo nobiliare che si eredita alla nascita e che non può essere conferito in seguito. Pyrocant. Termine che si riferisce a una debolezza cruciale di un individuo. Si può trattare di una debolezza interna, per esempio una dipendenza, oppure esterna, per esempio un amante. Rytho. Maniera rituale di fare ammenda. Viene offerto da chi ha ferito nell'onore un altro vampiro. Se lo accetta, la vittima ha il diritto di colpire con un'arma a sua scelta il responsabile dell'offesa, il quale deve presentarsi privo di difese. Schiavo di sangue. Vampiro, maschio o femmina, soggiogato da un altro vampiro allo scopo di soddisfare il suo bisogno di bere sangue. La pratica di tenere degli schiavi di sangue è largamente in disuso, pur non essendo stata dichiarata illegale. Shellan. Vampira sposata. Le shellan, in genere, hanno un solo compagno a causa della natura spiccatamente territoriale dei vampiri maschi sentimentalmente legati. Tomba. Cripta sacra della Confraternita del Pugnale Nero, utilizzata come luogo cerimoniale nonché come magazzino dove vengono custoditi i vasi contenenti i cuori dei lesser. Tra le cerimonie ivi celebrate figurano affiliazioni alla confraternita, funerali e azioni disciplinari nei confronti dei fratelli. Nessuno vi è ammesso eccetto i membri della confraternita, la Vergine Scriba o i candidati all' affiliazione. Transizione. Momento critico nella vita di un vampiro, maschio o femmina, che segna il suo passaggio all'età adulta. In genere si verifica intorno ai venticinque anni di età. Dopo la transizione i vampiri sono costretti, per sopravvivere, a bere il sangue di un vampiro dell'altro sesso e non sopportano più la luce del sole. Alcuni vampiri, in particolare i maschi, non sopravvivono al cambiamento. Prima della transizione i vampiri sono fisicamente deboli, non attivi sessualmente o comunque indifferenti e incapaci di smaterializzarsi. Vampiro. Membro di una specie distinta da quella dell'Homo sapiens. Per sopravvivere i vampiri devono bere il sangue di un vampi-ro del sesso opposto. Il sangue umano li mantiene in vita, anche se la forza fisica che ne ricavano non dura a lungo. Dopo la transizione, che in genere si verifica intorno ai venticinque anni, i vampiri non possono più uscire alla luce del sole e sono costretti a bere con regolarità sangue fresco. I vampiri non sono in grado di "convertire" gli umani, trasformandoli a loro volta in vampiri tramite un morso o una trasfusione di sangue, anche se in rari casi possono riprodursi accoppiandosi con la specie umana. I vampiri riescono a smaterializzarsi a piacimento, anche se per farlo devono essere calmi e concentrati e non possono portare con sé nulla di pesante. Sono anche in grado di cancellare i ricordi degli umani, a patto che si tratti di ricordi a breve termine. Alcuni vampiri sono inoltre dotati della facoltà di leggere nel pensiero. La loro aspettativa di vita è pari, e in alcuni casi superiore, al migliaio di anni. Vergine Scriba. Forza mistica consigliera del re nonché custode degli archivi dei vampiri e dispensatrice di privilegi. Esiste in una dimensione atemporale ed è dotata di ampi poteri. Capace di un unico atto creativo, che ha utilizzato per dare vita ai vampiri.