AICM
Journal
Giornale Italiano di Case Management
Volume 2 Numero 1 - Gennaio 2013
Cambiamento, Innovazione e Trasformazione
Emanuele Bascelli
L’Infermiere Case Manager:
professionalità e responsabilità
Giannantonio Barbieri
Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assistenziale (ICA):
dieci anni di sviluppo e sperimentazione
Bruno Cavaliere
Il Bed Management:
ottimizzare i percorsi di cura con una corretta logistica dei pazienti
Mirco Gregorini
La prassi del case management infermieristico in Emilia Romagna:
uno studio descrittivo sulle competenze
Lucia Berti
Giornale Italiano di Case Management
Edizione Italiana a cura dell’Associazione Italiana Case Manager - Sede Nazionale Bologna
Comitato di Redazione
A.I.C.M. Bologna
[email protected]
Direttore scientifico
Bascelli Emanuele
Coordinamento AICM
Biavati Catia
Bui Virna
Cagnazzo Roberto Paolo
De Biase Valentina
Lattanzi Antonella
Moresco Renato
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Editoriale
Cambiamento, Innovazione e Trasformazione
Gli elementi strutturali per una sanità sicura, competitiva e di qualità
In letteratura, per cambiamento organizzativo si intende l’adozione da parte di una organizzazione di un nuovo concetto o comportamento. L’Innovazione organizzativa consiste nell’adozione di un concetto o di un comportamento
che è nuovo per il settore, per il mercato o l’ambiente
generale relativi all’organizzazione.
La trasformazione è quel fenomeno definito di movimento
che deve avvenire perchè l’organismo possa cambiare e che nei sistemi sociali si tratta di un processo che
viene comunemente definito di ristrutturazione cognitiva.
La trasformazione può essere facilitata dall’attivazione di
due distinti meccanismi: l’individuazione di un ruolo-modello con cui identificarsi o la disponibilità di un contesto
che offra l’opportunità di confrontarsi con l’ambiente per
ricercare nuove possibilità.
Oggi sappiamo bene che le innovazioni sono tipicamente assimilate da un’organizzazione attraverso una serie
di passi o elementi.I membri di un’organizzazione vengono anzitutto a conoscenza della possibile innovazione,
ne valutano l’adeguatezza, quindi scelgono l’idea. Se
si spera che un cambiamento sia adottato, i manager
devono assicurarsi che nell’organizzazione si manifesti
ognuno degli elementi indicati: in assenza di uno di essi
il processo di cambiamento non riuscirà.
1. IDEA: consiste in un nuovo modo di fare le cose;
può essere rappresentata da un nuovo prodotto
o un servizio, da un nuovo concetto di gestione
o da una nuova procedura per il lavoro comune
all’interno dell’organizzazione. L’elemento cruciale è
la creatività o meglio il pensiero divergente definita proprio come la generazione di nuove idee che
possono soddisfare le esigenze percepite e rispondere a opportunità.
2. BISOGNO: le idee non sono generalmente considerate seriamente a meno che non ci sia una necessità percepita di cambiamento, la quale si verifica quando i manager osservano nell’organizzazione
un divario tra le prestazioni effettive e le prestazioni
desiderate.
3. ADOZIONE: si verifica quando chi detiene il potere
decisionale sceglie di portare avanti un’idea che era
stata proposta. I manager ed i dipendenti, quindi,
devono essere in accordo per poter sostenere il
cambiamento.
4. IMPLEMENTAZIONE: si verifica quando i membri
di una organizzazione utilizzano effettivamente una
nuova idea, una nuova tecnica, o un comportamento. Questa è spesso la fase più difficile del processo del cambiamento.
5. RISORSE: per realizzare un cambiamento sono necessarie energie e attività umane. Il cambiamento
non può avvenire da solo: richiede tempo e risorse,
sia per creare sia per realizzare una nuova idea.
Questi sforzi che tendono verso un nuovo modo di lavorare e che si incentrano su di una organizzazione fisica
rientrano nell’ampia categoria dello sviluppo organizzativo,
inteso proprio con tale espressione ad un cambiamento
pianificato e deliberato, compiuto proprio per modificare
il funzionamento dell’organizzazione nel suo insieme. In
una organizzazione un decisivo ruolo possono svolgerlo
gli agenti di cambiamento i quali cercano di aumentare la
capacità e la motivazione dei membri ad imparare, migliorare e cambiare attraverso i propri sforzi, enfatizzando
lo sviluppo attraverso la crescita umana e il miglioramento. Frohman, in una ricerca, ha potuto tracciare alcune
considerazioni sugli agenti di cambiamento:
• Gli agenti di cambiamento sono facilmente identificabili grazie alla loro energia e ad alcuni atteggiamenti,
quali la lealtà ed una rispettosamente messa in discussione dell’autorità;
• raramente sono una superstar dell’organizzazione.
In genere si tratta di persone indipendenti, con alta
reputazione, in grado di reagire velocemente alle
diverse situazioni;
• spesso sono persone guidate dall’idea di voler ottenere benefici per l’organizzazione nel suo insieme e
sono motivate più dal generare una differenza qualitativa che dall’ottenere una promozione;
• agiscono con un senso di urgenza e trovano stratagemmi per evitare la burocrazia;
• lavorano all’interno del contesto organizzativo e
sono caratterizzati da un forte commitment;
• si aspettano di avere successo;
• le loro azioni si incentrano su ottenere risultati e non
danno molta importanza al lavoro di gruppo. Sebbene lavorino all’interno del sistema e siano sensibili
ai bisogni altrui, agiscono spesso in modo indipendente.
Attraverso la strategia del coaching si può rendere responsabili dello sviluppo e della trasformazione tutti i
collaboratori, proprio nelle fasi di cambiamento organizzativo, attuando un processo di modelling dei comportamenti desiderati al fine di avere una maggiore aderenza
a quel nuovo approccio lavorativo.
In ambito manageriale gli strumenti per tentare di innovare sono sufficientemente consolidati, ma sappiamo anche bene che un cambiamento avviene più facilmente
in tutte quelle organizzazioni nelle quali sono presenti un
clima ed una cultura organizzativa che lo sostengono.
Probabilmente il cambiamento più complesso è tentare
di rimodellare le nostre organizzazioni obsolete decentralizzando le responsabilità, le risorse e i poteri verso chi
opera più vicino agli utenti colmando e riducendo i gap
assistenziali. Un graduale approccio al Case Management e le competenze intrinseche dei Case Manager,
intese anche come agenti di cambiamento, potrebbero
facilitare questo percorso verso un’innovativa trasformazione della dimensione organizzativa delle nostre attuali
Aziende Sanitarie in favore di un sistema nuovo, di qualità e maggiormente competitivo.
Bascelli Emanuele
AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management | Gennaio 2013 |
3
L’Infermiere Case Manager:
professionalità e responsabilità
a cura di Giannantonio Barbieri
Avvocato Foro di Bologna - Specialista in Diritto Sanitario e Bioetica - Consulente legale Federazione Nazionale IPASVI
I profondi mutamenti che hanno per così dire investito
la professione infermieristica dal punto di vista professionale e normativo negli ultimi due decenni hanno fatto sì che si sia venuta a creare una professione davvero
rinnovata o addirittura del tutto nuova rispetto al recente
passato. Il fondamentale passaggio da una condizione di “eteronomia” professionale a una condizione di
“autonomia” professionale, il passaggio dal concetto
di mansione al concetto di competenza, hanno fatto
sì che oggi l’infermiere sia un professionista intellettuale, laureato, sovente in possesso di percorsi formativi
post-universitari alle spalle (master). Ciò determina che
l’infermiere sia sempre di più un professionista specialista nell’ambito di un settore specifico della sua professione ma, soprattutto, a pieno titolo l’unico professionista responsabile dell’assistenza infermieristica erogata
a favore del paziente
E non solo. La professione infermieristica opera da
tempo come agente dei mutamenti e delle trasformazioni, molti dei quali tutt’ora in corso, che hanno e stanno investendo lo scenario sanitario nazionale. Questi
mutamenti hanno avuto e stanno avendo ancora ripercussioni importanti e significative nell’ambito delle organizzazioni e nei vari contesti assistenziali, anche alla
luce di nuovi modelli gestionali e organizzativi utilizzati;
basti considerare la gestione per processi, il superamento di un modello di assistenza per compiti a favore
di modelli che possano essere maggiormente in grado di garantire la personalizzazione e la continuità delle
cure per arrivare ai modelli per complessità/intensità di
cure, plasmati sui reali bisogni del’assistito e venendo
così ad abbandonare l’attuale centratura sul percorso
diagnostico-terapeutico e sulla disciplina medica.
L’infermiere che si sa confrontare con l’organizzazione
nella quale opera è consapevole che non deve più preoccuparsi di svolgere determinati compiti, ma è piuttosto cosciente del suo ruolo guida di professionista che
sviluppa le proprie competenze per guidare in direzione
degli obiettivi istituzionali altri operatori su cui esercita
un autorità formalmente riconosciuta. In altre parole,
l’infermiere di oggi è un professionista responsabile dei
processi assistenziali che deve essere in grado non
solo di prendersi cura della persona assistita, tale essendo il suo mandato prioritario, ma anche e sempre
di più deve essere capace di svolgere una funzione
fondamentale all’interno delle diverse articolazioni del
sistema salute/malattia.
Non potendo in questa sede entrare nel dettaglio e
approfondire temi che richiederebbero indagini approfondite, mi limito a osservare come l’infermiere Case
Manager (ICM) sia un importante agente di cambia4 - AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management
| Gennaio 2013 |
mento all’interno dei percorsi assistenziali, con il compito, avendone le competenze, di sperimentare, implementare e diffondere un nuovo sistema di assistenza al
paziente. Il case management, sperimentato dagli anni
’60 nei Paesi anglosassoni, rappresenta una modalità particolare di approccio pazienti, poiché attraverso
l’assegnazione di un case manager o “referente del
caso” viene facilitata la continuità delle cure ed il coordinamento degli interventi sanitari e sociali.
E’ infatti determinante il ruolo fondamentale svolto
dall’infermiere Case Manager, ruolo di coordinamento
degli interventi sanitari e di assistenza sociale in base
alla rilevazione dei bisogni della persona e della famiglia, garantendo una appropriata allocazione delle risorse, un contenimento dei costi, una responsabilità per
l’assistenza prestata al paziente. L’infermiere Case Manager, dunque, accompagna l’assistito durante l’intero
iter del ricovero, collaborando con i clinici sulle decisioni
operative e pianificando gli interventi in modo da evitare
duplicazioni, ridondanze, attese, con l’obiettivo di controllare la durata del ricovero al minimo indispensabile
Queste attività richiedono la diffusione del sistema al
paziente, ai medici, agli infermieri e al personale di supporto, agli operatori sociali e a tutto il personale della
struttura.
L’infermiere Case Manager assume la responsabilità
del coordinamento delle cure lungo un percorso che
contempla la salute, la prevenzione, la fase acuta, la
riabilitazione, le cure a lungo termine e quelle erogate
negli hospice, sia alla persona che ai gruppi di popolazione.
I ruoli del professionista sono diversi. Nello svolgimento
del ruolo clinico l’infermiere Case Manager è responsabile dell’accertamento dei problemi dei pazienti e delle
loro famiglie ogniqualvolta questi si presentino. Identifica i problemi esistenti o i problemi potenziali, valutando
le condizioni fisiche, psicosociali ed emotive del paziente. Successivamente, in collaborazione con gli altri
membri del team interdisciplinare, sviluppa un piano
assistenziale per rispondere alle necessità del paziente.
Per quanto riguarda il ruolo manageriale, l’infermiere
Case Manager ha responsabilità di facilitare e coordinare l’assistenza di pazienti durante la loro presa in carico. Il professionista gestisce l’assistenza pianificando
le modalità di trattamento e gli interventi necessari per
soddisfare le necessità dei pazienti e delle loro famiglie.
Determina, in collaborazione con il team interdisciplinare, gli obiettivi del trattamento e la durata del soggiorno o della degenza e inizia il piano di dimissione
già al momento della presa in carico. Da ultimo, valuta
continuamente la qualità dell’assistenza fornita e le con-
L’Infermiere Case Manager: Professionalità e Responsabilità
seguenze dei trattamenti.
Infine, per quanto riguarda il ruolo finanziario, in collaborazione con i medici e con gli altri membri del team
assicura che i pazienti non ricevano cure inadeguate
e mantiene l’allocazione delle risorse più adatte per la
lunghezza della degenza o del soggiorno. Agisce per
evitare qualsiasi duplicazione inutile o frammentazione
dell’attività programmata, in modo da produrre la migliore allocazione e il migliore consumo di risorse.
E’ abbastanza intuitivo, scorrendo l’insieme delle sue
competenze e delle sue attribuzioni, come siano rilevanti le responsabilità attribuite all’infermiere Case Manager, intese nel significato proprio del termine, ossia
intese come l’insieme delle attribuzioni e delle competenze indispensabili per fornire “risposte” al paziente,
consapevoli che il principio della centralità dell’assistito è il perno attorno al quale ruota la professionalità di
ogni singolo infermiere, anche e soprattutto alla luce
del principio costituzionale contenuto nell’art. 32 della
Costituzione che fa di ciascun professionista il garante
della tutela dei percorsi di salute dei cittadini.
Il criterio generale, dal punto di vista strettamente normativo, per la valutazione dell’esecuzione della prestazione riferita all’attività dell’infermiere Case Manager,
come peraltro di ogni altro professionista, lo si rinviene
in base al contenuto dell’art. 1176 del codice civile,
che così recita: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
La diligenza indica in astratto la misura della cura e
dell’attenzione che il professionista deve adoperare per
eseguire la propria prestazione nel modo stabilito.
E la diligenza richiesta al professionista non è la diligenza comune, tipica del “buon padre di famiglia”, propria
del 1° comma dell’art. 1176 del codice civile, ma piuttosto la diligenza cosiddetta qualificata, che deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, 2° comma, cod. civ.). In altre parole,
il “debitore professionale”, il professionista, insomma,
deve eseguire la prestazione richiesta conoscendo e
applicando le regole tecniche richieste da talune specifiche attività professionali (c.d. perizia ed esecuzione a
regola d’arte: in questi casi al modello del buon padre
di famiglia si sostituisce quello del buon professionista
della specialità a cui si dichiara appartenente il debitore). La diligenza in senso tecnico di cui all’art. 1176, 2°
comma cod. civ., si applica soprattutto nel settore del
contratto d’opera professionale ed in questo ambito la
diligenza viene in considerazione in particolare come
misura dell’esattezza dell’adempimento contrattuale,
nel senso che, pur di fronte all’avvenuta esecuzione
della prestazione, il “cliente” può dimostrare che la prestazione è stata eseguita inesattamente, ossia non in
conformità a quelle regole tecniche cui fa riferimento
l’art. 1176, 2° comma, salva peraltro in questo caso
la prova del professionista che l’inesatto adempimento
è dovuto ad impossibilità della prestazione per causa
non imputabile. Nell’ambito specifico della responsabilità sanitaria, indifferentemente infermieristica o medica,
il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto
adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare
il contratto e/o il “contatto” e allegare l’inadempimento
del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza
di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando
a carico dell’obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata
eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e
imprevedibile.
L’infermiere Case Manager, quindi, sarà tenuto a quella
diligenza qualificata consistente nel rispetto di tutte le
regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione infermieristica
specialistica per la quale è puntualmente preparato in
relazione agli obiettivi da raggiungere.
Ma si consideri, inoltre, come si registra, allo stato attuale, un fenomeno di espansione della responsabilità
per attività sanitaria, che attinge sempre più frequentemente non tanto il paziente e il singolo operatore, bensì il paziente e la struttura sanitaria, con conseguente
coinvolgimento, per essa, anche del personale addetto
all’organizzazione del servizio. Si tende perciò ad addebitare responsabilità per danni ai pazienti non più a un
solo soggetto, ma all’équipe sanitaria. E, inoltre,occorre
tenere in considerazione che ormai i sanitari e gli amministratori della strutture sanitarie pubbliche sono necessariamente costretti, nelle loro scelte, dal limite dei fondi
economici disponibili e sono spesso di fronte a scelte
difficili, tenuto conto dei sempre più frequenti tagli alla
spesa pubblica. Questo comporta l’emergere di nuove
responsabilità sanitarie, tenuto conto che le scelte del
personale medico e infermieristico sono sempre più
spesso condizionate dalle concrete disponibilità di fondi e quindi di personale e di mezzi.
Un ultima considerazione è in relazione a quanto sostenuto nella legge 251/2000 laddove stabilisce che gli
infermieri devono utilizzare metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza. Ciò comporta che sia
preciso dovere degli infermieri, all’interno della struttura,
segnalare agli organi competenti tutte le necessità di
mezzi e personale indispensabili per un corretto adempimento dei compiti che competono direttamente alla
professione. Eventuali omissioni a questo compito di
informazione potrebbero far sorgere responsabilità dirette in ipotesi di danni ai pazienti dovuti a condizioni
operative non ottimali. Si potrebbe infatti ritenere – in
questi casi – che vi sia stata un’assunzione diretta e
colpevolmente consapevole di un rischio nell’espletamento delle attribuzioni in presenza di mezzi e strumenti
non adeguati, direttamente imputabile agli stessi infermieri coinvolti.
AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management | Gennaio 2013 |
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Metodo di determinazione degli Indici di
Complessità Assistenziale (ICA):
dieci anni di sviluppo e sperimentazione
1
a cura di Bruno Cavaliere
Dirigente Dipartimento delle Professioni Sanitarie, IRCCS San Martino IST di Genova
ABSTRACT
cazione delle attività semplificando e migliorando la creazione dei dizionari delle attività. E’ stato migliorato l’inserimento dei piani di assistenza attraverso i “modelli di
pianificazione”. La determinazione del carico di lavoro e
del fabbisogno di personale utilizza come fonte primaria
per i calcoli, i piani di assistenza, rendendo correlabile
il dato quantitativo agli standard di cura garantiti. Questa complessa operazione viene realizzata con estrema
semplicità.
E’ stato introdotto il criterio del “livello di priorità d’intervento” che è in grado di determinare il grado di urgenza
degli interventi da erogare. Questo indicatore migliora il
calcolo del carico di lavoro perché inserisce anche la
dimensione qualitativa.
È stato, infine, implementato un sistema per la determinazione del costo a livello di singolo ricovero o presa
in carico.
In quest’ottica il metodo ICA si pone come “sistema di
governo clinico” capace di facilitare numerosi meccanismi operativi. Per queste ragioni è più corretto definire
l’ICA un metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assistenziale a giustificazione dei cinque indicatori di misurazione forniti.
Il metodo ICA2 è un sistema integrato multidimensionale capace di rispondere efficacemente al problema
della misurazione della complessità assistenziale intesa
come: Classe di gravità (CdG) dell’utente (problema di
salute), complessità dell’offerta assistenziale (obiettivi e
interventi di cura ) (Ica) e grado di “criticità organizzativa”
(risorse necessarie e tipologia degli interventi) (ICS).
Fornisce un sistema completo d’informazioni per supportare i professionisti nella stesura dei “Piani di assistenza personalizzati”. In particolare fornisce informazioni per migliorare la qualità delle cure attraverso un
approccio managed care, impiegando lo strumento del
Clinical pathway, attraverso i “modelli di pianificazione”.
Questo approccio consente di definire con maggiore
precisione l’offerta assistenziale e il monitoraggio dell’esito del “prodotto” raggiunto (prescrizione, esecuzione
e raggiungimento degli obiettivi). Propone un metodo
di calcolo per analizzare il “carico di lavoro” e la determinazione del fabbisogno, proponendo un indicatore
rispetto alla “priorità d’intervento” (P1…. P5).
Valuta la tipologia dei “costi” fornendo informazioni
dettagliate che consentono di realizzare progetti di riorganizzazione dell’efficienza dei modelli organizzativi OBIETTIVI
rispetto agli standard di cura proposti rendendoli magIdentificare una metodologia di facile applicazione con
giormente sostenibili.
una adeguata attendibilità delle fonti primarie, verificabiParole chiave: complessità assistenziale, assistenza personalizzata, piano di le e capace di fornire gli elementi che soddisfino l’esiassistenza, sistemi di misurazione, indicatori sanitari, analisi del costo sanitagenza di spiegare meglio l’offerta assistenziale, descririo, determinazione del fabbisogno e carico di lavoro
vendone la ricaduta in termini di vantaggi qualitativi per
la collettività.
INTRODUZIONE
Standardizzare l’offerta assistenziale mediante “modelli
3
L’applicazione del metodo ICA, proposto già nel 1999 , di pianificazione” (clinical pathway) validati scientificasi è sviluppata con successive implementazioni pre- mente.
sentate nel 20064 e nel 2009 con il testo “misurare la Fornire un sistema di misurazione oggettivo e riproducicomplessità assistenziale”5. Questo articolo presenta bile che consenta la messa in atto di studi di correlaziogli ulteriori elementi d’innovazione realizzati negli ultimi ne dell’efficacia delle cure (audit clinico).
due anni. Nel 2010, attraverso la realizzazione di un Realizzare un sistema di comparazione tra quanto pronuovo software, si è potuto automatizzare completa- posto dalle normative, in merito alla determinazione del
mente la sequenza dei calcoli abbandonando definiti- fabbisogno, in rapporto alla reale domanda correlata ai
vamente l’impiego dei sistemi cartacei. Oggi la metodo- risultati attesi.
logia utilizza il piano di assistenza come fonte primaria Definire elementi organizzativi che influenzino qualitatiper tutti i calcoli degli indici. I valori prodotti sono corre- vamente l’offerta assistenziale, intesa come carico di
labili ai problemi, agli obiettivi e ai risultati attesi. E’ stato lavoro e i meccanismi operativi necessari per poterla
introdotto un algoritmo capace di pesare gli interventi governare con efficienza ed efficacia.
fornendo un livello di maggiore precisione nella stratifi- Fornire un sistema di determinazione del costo e di
comparazione delle strutture organizzative.
6 - AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management
| Gennaio 2013 |
Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
Fornire un meccanismo di coordinamento organizzativo
dell’equipe assistenziale capace d’integrare efficacemente l’equipe di supporto.
Fornire risposte efficaci (competenti) ed efficienti (numericamente corrette) alla gestione delle situazioni critiche derivanti dalle assenze non programmabili della
risorsa umana.
Costituire un sistema permanente di tracciabilità delle
attività in grado di intervenire sulla valutazione dell’appropriatezza degli interventi attraverso la continua revisione dei clinical pathway.
Strumenti operativi: pianificazione e esecuzione interventi, programmazione dei turni.
Campo d’applicazione
I campi d’applicazione della metodologia ICA sono
multidisciplinari. E’ stato già utilizzato nella professione
infermieristica, ostetrica, nella riabilitazione e nella diagnostica con i tecnici di laboratorio e di radiologia8. Viene utilizzato anche nell’ambito delle attività dell’equipe
di supporto. Per quanto riguarda gli ambiti operativi, il
metodo ICA è stato applicato: negli ospedali (degenza,
ambulatori, sala operatoria, area critica ed “osservaMETODI
zione breve” nell’emergenza) e nel territorio (assistenza
domiciliare, hospis e R.S.A.). Anche l’ambito della libera
Il metodo ICA6 fonda i suoi principi ispiratori nella “clini- professione ne potrebbe trarre un indiscutibile vantagcal governance” e sviluppa il suo pensiero nel rispetto gio9.
dei modelli di autonomia professionale delle diverse discipline .
Implementazione della metodologia
In quest’ottica il metodo proposto, si pone come “si- Questo metodo si fonda sui dizionari delle attività, senstema di governo clinico “ delle professioni sanitarie za questo elemento la metodologia non può essere
multidisciplinare attraverso la gestione dei seguenti implementata. Ogni disciplina (infermieristica, riabilitatisotto-sistemi:
va, ostetrica ecc..10) e/o settore di macroattività (inteso
come ambulatoriale, sala operatoria ecc..) ne definisce
• Sistema di classificazione delle cure da erogare uno proprio. I dizionari delle attività hanno la seguente
mediante “dizionari di attività” e “modelli di pianifica- struttura: un titolo, che ne definisce la disciplina di rifezione” per la standardizzazione di clinical pathway rimento e il campo di applicazione, le categorie, che
di comprovata efficacia;
consentono di definire le macro attività (come ad esem• Sistema di classificazione dello stato di “Gravità” pio: bisogni, modelli di salute, prestazioni infermieristidell’assistito;
che, i domini, ecc..). Per ogni categoria vengono definiti
• Sistema di classificazione della “priorità d’interven- gli interventi o azioni di assistenza.
to”;
Ogni intervento (derivante da una tassonomia validata,
• Sistema di classificazione delle competenze: map- come ad esempio i NIC11) è associato a diversi elemenpatura e portfolio;
ti che consentono di descriverne le caratteristiche [Fig.1].
• Sistema di misurazione della “criticità delle strutture Ad ogni intervento, viene attribuito un “peso intervenorganizzative”;
to” (PI). Il peso viene determinato attraverso un algorit• Sistema di determinazione del “costo ricovero”;
mo che impiega otto item che analizzano le seguenti
• Sistema di determinazione del “carico di lavoro”;
caratteristiche: livello di competenza, tempo, livello di
• Sistema di determinazione del “fabbisogno di per- priorità esecutiva, tecnica esecutiva, organizzazione e
sonale”;
logistica, rischio clinico, tecnologia/apparecchiature e
• Sistema d’integrazione dell’equipe di supporto;
tecnica relazionale (Fig.1). Ogni item può assumere un
valore da 0 a 5 attraverso una stratificazione codificata.
Nella Metodologia ICA la complessità assistenziale vie- Il valore massimo della “complessità intervento” è pari a
ne misurata indagando:
40 (5*8). Il punteggio realizzato è dato dalla sommatoria
a) l’utente che riceve le cure7;
dei valori assunti dagli otto item e consente di determib) il professionista che garantisce gli interventi;
nare il “PI” per classi d’intervallo. Il valore più elevato è
c) la struttura organizzativa in cui devono essere ga- rappresentato dal peso cinque così come rappresenrantite le cure.
tato nella tabella 1.
Gli elementi della metodologia sono costituiti da:
Strumenti di sistema: Dizionari delle attività e modelli di
Classi d’intervallo del valore
Peso Intervento
pianificazione degli interventi;
“Complessità d’intervento”
Indicatori: Indice di Complessità Assistenziale (ICA),
0-7
1
Classe di Gravità (CdG), Peso Intervento (PI), livello
8-15
2
di Priorità intervento (P) e Indice di Criticità di Struttura
16-23
3
(ICS);
24-31
4
Calcoli gestionali: carico di lavoro, determinazione del
32-40
5
fabbisogno di personale; costo interventi e costo ricovero;
TAB.1 Indici : Classi d’intervallo del peso intervento calcolato (PC)
AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management | Gennaio 2013 |
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Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
FIG.1 Dizionario delle attività struttura e algoritmo per il calcolo del Peso Intervento
consentono di definire anche la schedulazione della
durata e frequenza come richiesto nella definizione dei
clinical pathway. I modelli di pianificazione rappresentano
la standardizzazione di piani di assistenza tradizionali
assegnabili a molti malati. Questi modelli definiscono
attività cruciali e ampiamente validate che potranno
essere prescritte ad un singolo assistito.
Quest’ultimo elemento conclude la parte di classificazione
del sistema delle cure e consente di procedere alla fase
d’implementazione della pianificazione ed esecuzione.
Il sistema di classificazione, prima di essere impiegato,
viene validato dal gruppo disciplinare e diffuso al gruppo
interdisciplinare attraverso una specifica procedura
di validazione. I dizionari delle attività e i modelli di
pianificazione sono soggetti a verifica mediante
sistemi di revisione e approvazione. I dizionari delle
attività hanno tutti la stessa struttura (denominazione,
categorie ed interventi /azioni), il numero delle categorie
e degli interventi può variare sia per quantità che per
contenuto. La fase di pianificazione consente, dopo
l’accertamento, di definire per ogni assistito i problemi,
gli obiettivi, i risultati attesi ed i relativi interventi da
attuare. Procedendo alla definizione di questi elementi
si potranno calcolare tutti gli indicatori di complessità
assistenziale. L’ICA viene calcolato attraverso la
sommatoria degli interventi a maggior peso di ogni
categoria del dizionario delle attività impiegato15. Un
dizionario con 11 categorie ha un valore ICA massimo
pari a 55 mentre un dizionario con 5 categorie ha un
valore massimo pari a 25 ma tutti e due i dizionari
utilizzano la stessa codifica per determinare la classe
di gravità che può assumere un valore tra 1 e 5. La
classe di gravità (CdG) diviene quindi un indicatore
comune per tutti i dizionari e quindi per tutta l’equipe
assistenziale.
Come si può vedere in Figura1, la compilazione
dell’algoritmo ha generato un punteggio tra 32 e 40 (36)
di conseguenza il peso intervento calcolato è pari a 5.
Il peso intervento è il valore che viene utilizzato come
base di calcolo per l’ICA.
Per realizzare i dizionari delle attività, si costituiscono
dei gruppi disciplinari. I componenti assumono la
diretta responsabilità nelle scelte strategiche rispetto
al modello assistenziale e alla determinazione degli
interventi e le caratteristiche di ognuno di essi. I gruppi
possono rappresentare un dipartimento, un’azienda,
una associazione scientifica ecc…
Il successivo passaggio dopo la realizzazione dei
“dizionari delle attività”, è rappresentato dalla stesura
dei “modelli di pianificazione” . I modelli di pianificazione
sono dei clinical pathway non ancora associati ad un
utente, sono costituiti da: una denominazione (titolo),
due livelli di raggruppamento (classificazione , codifica
per una migliore identificazione nel momento della
pianificazione) e un insieme d’interventi (non ancora
associati ad un assistito ). Nel momento d’inserimento
degli interventi è possibile definire, per ogni intervento La classe di gravità (CdG) viene calcolata mediante la
e/o insiemi d’interventi , il problema, l’obiettivo e il corrispondenza della classe d’intervallo del valore ICA
risultato atteso14.
come indicato nella tabella n.2.
FIG.2 Struttura di un “modello di panificazione”
come si evidenzia nella figura 2 i modelli di pianificazione
8 - AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management
| Gennaio 2013 |
(es: ICA valore 31 contenuto nell’intervallo 23-33 (terza colonna),
ICA valore 12 contenuto nell’intervallo11 - 16 (4° colonna)
rappresentano la stessa Classe di Gravità 3 (colonna 1).
Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
Classe di Gravità
Descrizione
Classi d’intervallo del valore ICA per
dizionario a 11 categorie
Classi d’intervallo del
valore ICA per
dizionario a 5 categorie
0-11
0–5
0-7
Gravità molto lieve
8-15
Gravità lieve
12 – 22
6 – 10
16-23
Gravità moderata
23 – 33
11 – 16
24-31
Gravità elevata
34 – 44
17 – 21
32-40
Gravità molto elevata
45– 55
22 – 25
TAB.2 Calcolo Classi di Gravità
La dimensione assistenziale: determinazione della
domanda /offerta assistenziale.
La rilevazione dell’ICA e della CdG deriva direttamente
dalla pianificazione degli interventi per singolo assistito
e quindi il valore prodotto è facilmente verificabile . La
pianificazione degli interventi (Fig.3) viene realizzata
impiegando i modelli di pianificazione e o i dizionari delle
attività. La pianificazione può essere programmata per
più giorni in modo da abbattere i tempi d’inserimento.
Questa caratteristica è di fondamentale importanza
perché questi sistemi presentano una forte criticità
legata al tempo di esecuzione. I modelli di pianificazione
risolvono questa criticità e non impediscono di
personalizzare il piano di assistenza con ulteriori
inserimenti di altri interventi.
FIG.4 Punteggio per intervallo denominato andamento ICA e CdG
FIG.3 Pianificazione degli interventi
FIG.3 Punteggio e rappresentazione grafica dell’ ICA e del GdG
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Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
Il professionista utilizzando questa metodologia trova
un concreto supporto alla fase di pianificazione ed
esecuzione degli interventi per ogni singolo assistito
e percepisce questo metodo come utile alla propria
attività17.
Nella figura 5 viene rappresentato il risultato finale di
una pianificazione che impiegando i dizionari delle
attività e i modelli di pianificazione produce il piano di
assistenza strutturato per problemi, obiettivi, risultati
attesi e interventi.
FIG.5 Piano di Assistenza
Dopo la programmazione si può passare alla fase di
esecuzione. Le attività da eseguire possono essere
visualizzate per malato, per gruppo di malati, per
giorno/i, per fasce orarie specifiche. La cosa più
importante della fase di esecuzione è rappresentata
dal livello di priorità d’intervento. Ogni intervento, in
fase di costruzione del dizionario delle attività viene
codificato per il suo livello di priorità d’urgenza [Fig.6].
Questo indicatore viene impiegato per definire il livello
d’urgenza dell’attività. Ogni intervento eseguito è
tracciato con il riferimento all’esecutore, alla data, all’ora
e all’esito che a volte può risultare “non eseguito”, in
questo caso viene documentata anche la motivazione.
Nella dimensione assistenziale viene quindi realizzata
la domanda assistenziale e l’offerta assistenziale
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e vengono prodotti gli indicatori di ICA (indice di
complessità assistenziale), CdG (classe di gravità) e P
(livello di priorità d’intervento).
Dimensione organizzativa
Questa dimensione consente di realizzare importanti
analisi e non necessita di ulteriori rilevazioni in quanto i
dati utilizzati derivano dalla dimensione assistenziale. Ora
passeremo in rassegna gli ulteriori indici e calcoli forniti
dalla metodologia ICA che analizzano prevalentemente
la dimensione del Management Information System.
L’Indice di Criticità di Struttura (ICS) : consente di
comparare la complessità tra diverse strutture e
discipline aggregate tra loro per dipartimento/distretto
o area organizzativa per intervallo di tempo.
Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
FIG.6 Esecuzione interventi con livello di priorità
FIG.6 Indice di criticità di struttura (ICS)
L’ ICS consente di superare gli ormai obsoleti criteri
stereotipati di criticità di struttura (area critica, area
medica, area chirurgica, ecc..). Nelle rilevazioni
effettuate è stato riscontrato che ICS è un valore che
varia nel tempo e nei luoghi. Accade quindi che in
alcuni periodi o in particolari condizioni la criticità nelle
rianimazioni sia eguale a quella delle aree mediche.
Determinazione del carico di lavoro
Il metodo ICA consente di correlare il “carico di lavoro”
direttamente alla base dati dei piani di assistenza
(domanda assistenziale). Questa caratteristica rende il
metodo di calcolo attendibile e verificabile. La bibliografia
di riferimenti sui carichi di lavoro ci ha insegnato che
le raccolte dati “ad hoc” possono essere fortemente
influenzate dagli stessi operatori.
Unico limite di questa modalità è rappresentato da
una errata definizione degli standard che però come
abbiamo visto nell’implementazione del sistema
vengono redatti dagli stessi professionisti e possono
essere costantemente revisionati mediante l’utilizzo di
sistemi validati scientificamente. Questo passaggio è di
grande importanza perché rende questa informazione
trasparente e facilmente leggibile. La sommatoria
degli interventi ci consente di determinare un dato
estremamente preciso ed associato ad ogni singolo
evento ricovero o di presa in carico.
Il calcolo che viene realizzato è il seguente: sommatoria
di tutti gli interventi per i quali è stato definito un tempo
nel dizionario delle attività, per la loro frequenza (quante
volte al giorno deve essere garantito), per la loro durata
(per quanti giorni) , per la loro competenza (quale
ruolo ha le competenze per svolgere quell’intervento).Il
risultato che si ottiene è il “volume di attività disciplinare
per singolo assistito, per un’insieme di assistiti di un
reparto, di un ambulatorio, di un distretto o di un’area di
assistenza domiciliare.
Questo dato viene ulteriormente stratificato attraverso il
“livello di priorità di intervento”.
La figura n.7 rappresenta, nell’asse delle ordinate, gli
operatori per profilo di competenza e sulle ascisse le
giornate di lavoro. Nel riquadro più piccolo, vengono
rappresentate la fasce orarie per specifico giorno
(mattina, pomeriggio e notte) e la distribuzione del tempo
(minuti), per livello di priorità intervento (P1 …. P5). Il
livello di priorità intervento è una caratteristica che viene
definita nel “dizionari delle attività” attraverso l’algoritmo
di calcolo della complessità intervento. Questo item
consente di identificare il criterio “Priorità” così codificato:
P1 intervento rinviabile, P2 intervento eseguibile in altro
giorno, P3 intervento eseguibile nell’arco delle 24 ore,
P4 intervento eseguibile nell’arco della stessa fascia
oraria e P5 intervento da eseguire - la non esecuzione
produce danno. Questo tipo di programmazione
consente, in un unico quadro riepilogativo, il governo
del carico di lavoro ovvero la domanda e l’offerta con i
relativi scarti di carenza e/o eccedenza. Per ogni fascia
oraria (mattina, pomeriggio e notte) vengono stratificate
le attività con Priorità P1 - P5 e il tempo previsto per
ciascuna di esse. Se il tempo operatori competenti
rispetto a quella fascia oraria non è adeguato il livello di
priorità d’intervento segnalerà l’anomalia determinando
una criticità di carenza (in figura 7 nel riquadro piccolo
è presente una criticità P5, P4 nella fascia matutina) o
viceversa segnalerà una eccedenze di risorsa (in figura
7 evidenziata nell’ultima colonna del pomeriggio e della
notte). Questa rappresentazione assolve alla definizione
del carico di lavoro inteso come rapporto che si
costituisce tra domanda reale (visibile, contingente)
e/o potenziale (in divenire, non ancora palesemente
manifesta) di prestazioni e risorse (finanziarie, materiali
e umane) necessarie per soddisfarla.”
Nei casi di carenza consente di provvedere alla
modifica della programmazione in base ai livelli di
priorità d’intervento con la possibilità di modificare la
programmazione degli interventi (modifica dei piani
di assistenza) in altro momento. Nel caso in cui ciò
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Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
non fosse possibile, (gli interventi con priorità alta 4 e d’emergenza come ad esempio l’assenza imprevista di
5 e quindi non rinviabile) l’attivazione di provvedimenti personale.
straordinari che in questo caso sarebbero giustificati da
un’esigenza precisa e motivata.
FIG.6 Programmazione turni e calcolo del fabbisogno di presenza di unità
per competenza, giorno e fascia oraria
I livelli di priorità d’intervento rappresentano un
adeguato standard di sicurezza e di qualità delle cure
per orientare scelte organizzative molto complesse
anche in situazioni di estrema criticità.
Questo approccio determina una precisa assunzione
di responsabilità a tutela dell’assistito. Quando non
sussistono condizioni di sicurezza adeguate è dovere e
responsabilità del professionista non operare.
Questa modalità consente, al variare delle condizioni
organizzative, di rispondere in modo più efficacie
all’erogazione degli interventi anche in situazioni
A
Posti Letto
B
Determinazione del fabbisogno di personale
Il metodo ICA calcola la determinazione del fabbisogno
di personale utilizzando la stessa base dati impiegata
per i carichi di lavoro, ma elabora le informazione su
base media per intervallo di tempo. Si consiglia di
operare per almeno un semestre significativo ed
eterogeneo dell’anno solare (meglio se per tutto il
periodo dell’anno). Il prodotto che si ottiene è il “tempo
medio per fascia oraria” della domanda assistenziale
per ogni dizionario delle attività. Questo consente di
determinare tempi medi per competenza specifica ivi
compresa anche quella dell’equipe di supporto19.
C
D
E
22
Infermieri
Equipe di supporto
N°di unità
Totale Minuti Medi
N°di unità
Totale Minuti Medi
2
840
4
1680
2
840
4
1680
1
660
2
1320
Tot. Min.medi 24h.
2340
4680
Organico di base
7,572816
15,14563
Organico totale
9,087379
18,17476
Minuti tot /pp.ll.
106,3636
212,7273
FIG.6 Calcolo della determinazione del fabbisogno di personale
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Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
Nelle colonne C ed E vengono rappresentati i valori
(espressi in minuti) del tempo medio, calcolato per un
determinato intervallo di tempo e per fascia oraria”. Il
dato può essere aggregato per dipartimento/distretto ,
centro di responsabilità e centro di costo.
E’ importante ricordare che i tempi sono direttamente
collegati agli obiettivi e risultati attesi dei piani di
assistenza è quindi possibile esplicitare le ragioni della
richiesta. Questa condizione ci consente di spiegare
l’esito di una eventuale riduzione di questi tempi.
Le colonne B e D ci restituiscono il numero di unità,
necessarie per fascia oraria, attraverso una semplice
divisione. Il tempo di lavoro medio viene diviso per
la durata del servizio. Nell’esempio in tabella n. 3 la
mattina e il pomeriggio hanno una durata di 360 minuti
equivalenti a sei ore. Il calcolo delle unità si ottiene con
il seguente calcolo: 840/360 = 2,3 questo risultato
rappresenta la quantità (media) di unità, per competenze
specifica, necessarie a soddisfare la programmazione
dei piani di assistenza svolti in un determinato intervallo
di tempo nella struttura presa in esame.
Nella riga otto della tabella n.3 vengono sommati i
minuti totali medi nelle 24 ore . Questa informazione
ci consente di calcolare il fabbisogno con la seguente
formula 2340/309 = 7,572816. A questo risultato, per
calcolare l’organico totale, deve essere aggiunto l’indice
di assenteismo con la seguente formula 7,572816 *
1,2 = 9,087379 .
Determinazione del costo paziente per evento ricovero
Il metodo ICA fornisce un’analisi del costo ricovero o
presa in carico. Il calcolo viene realizzato attraverso
la sommatoria degli interventi svolti. Il report fornisce
il costo unitario e il tempo (tratti dall’anagrafica dei
dizionari attività), la frequenza (tratta dalla pianificazione
delle attività) ed i relativi prodotti come illustrato in figura
n.8.
FIG.8 Costo paziente per singolo ricovero
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Metodo di determinazione degli Indici di Complessità Assisteziale (ICA): dieci anni i sviluppo e sperimentazione
RISULTATI
I dizionari delle attività consentono di implementare lo
sviluppo condiviso dei sistemi di classificazione delle
attività e l’introduzione della pianificazione assistenziale
personalizzata su ampia scala.
I modelli di pianificazione concorrono alla
standardizzazione della qualità delle cure assistenziali
favorendo il miglioramento degli outcome e della
sicurezza delle cure.
Attraverso il metodo ICA è possibile identificare, con
una adeguata attendibilità, l’offerta assistenziale,
attraverso la definizione di report in grado di quantificare
qualitativamente e quantitativamente standard di
competenza e di risorsa.
La comparazione della domanda assistenziale, fornita
dal metodo ICA, in rapporto ai tempi e/o numero di
risorse identificate dalle normative nazionali e regionali,
consente di determinare preventivamente lo scarto
qualitativo delle ricadute rispetto ai risultati attesi. Ne
deriva la capacità di determinare gli standard d’offerta
assistenziale in riferimento alle risorse assegnate.
Il “Livello di priorità d’intervento” consente di definire
standard di sicurezza che influenzano l’offerta
assistenziale e i meccanismi operativi ad essa associati.
Esso fornisce risposte efficaci ed efficienti alla gestione
delle situazioni critiche derivanti dalle assenze non
programmabili della risorsa umana.
L’analisi e la continua revisione delle attività (audit
clinico) associate agli outcome, consentono di
monitorare costantemente l’appropriatezza
degli
interventi influenzando direttamente il “carico di lavoro”
e la conseguente determinazione delle risorse.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONE
La presentazione di questa metodologia propone una
via possibile per realizzare un sistema di governo clinico
delle professioni sanitarie. Ovvero in grado di agire in
modo efficace rispetto alla responsabilizzazione del
gruppo disciplinare. Le professioni si misurano in base
al loro grado di utilità sociale che si conquista attraverso
i risultati. La qualità è un processo basato sulla capacità
di sapersi misurare continuamente al fine di mettere in
atto costantemente i cambiamenti necessari a rendere
il proprio agire efficace, efficiente e più sicuro per gli
assistiti e per gli stessi professionisti. La chiave sembra
risiedere nel contenuto stesso dell’agire quotidiano.
La ricerca svolta nelle università e dalle società
scientifiche, dovrà cercare di proporre “modelli di
pianificazione” adeguati alla domanda assistenziale
nazionale e locale.
Il punto di debolezza delle professioni sanitarie
sembra risiedere proprio nella definizione dell’offerta
assistenziale . Il fatto che i modelli proposti siano
stranieri sembra favorire l’alibi per soprassedere a
questa imperativa necessità. Realizzarla bene non è
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ancora semplice, questo processo presenta ancora
evidenti criticità scientifiche e metodologiche interne
alle professioni sanitarie. Il metodo proposto supporta
bene questo aspetto favorendo la crescita dei
professionisti attraverso la definizione dei dizionari delle
attività e i modelli di pianificazione. Questi due strumenti
sembrano soddisfare molto bene la necessità di
migliorare la definizione dell’offerta assistenziale. E’
auspicabile per il futuro che la ricerca ne promuova un
maggiore sviluppo.
Il metodo rappresenta una piattaforma sulla quale
sviluppare studi di miglioramento.
Auspico che la comunità scientifica italiana si occupi
al più presto della necessità di definire sistemi di
classificazioni che vengano riconosciuti al pari del
sistema della disciplina medica. Non esiste ancora un
sistema paragonabile all’ICD9 della professione medica
e questo è grave perché i budget e gli investimenti
vengono fatti esclusivamente su questi sistemi di
classificazione. Questo punto è di fondamentale
importanza perché gli obiettivi e i risultati delle
professioni sanitarie devono potere avere pari dignità.
Concludo questo articolo con una proposta operativa
rivolta alle società scientifiche e alle associazioni per
attivarsi con studi multicentrici che favoriscano la
nascita di sistemi di classificazione delle attività e modelli
di pianificazione largamente condivisi e validati in modo
da supportare i professionisti nel loro agire quotidiano.
Il management delle direzioni delle professioni
sanitarie dovrà cercare sempre più di implementare
sistemi basati sull’analisi della domanda e dell’offerta
assistenziale, che siano in grado, di elaborare precisi
standard qualitativi non più basati sulla quantità di
risorsa ma bensì sulla qualità e quantità di perfomance
erogate con una adeguata garanzia dei risultati attesi.
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Il Bed Management: ottimizzare i percorsi di
cura con una corretta logistica dei pazienti
a cura di Mirco Gregorini
Dirigente Area Infermieristica - Bed Manager - Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer Firenze
Il Bed Management è definibile come il processo che la quale ha descritto il percorso in 4 fasi di un paziente
regola l’allocazione, la permanenza e il trasferimento ricoverato e in ogni fase si inserisce il Bed Manageinterno del paziente. Tale processo è regolato da un ment, come mostrato in figura 1.
insieme di politiche, procedure e standard coerenti con
l’allocazione delle dotazioni tra unità organizzative e attività cliniche, ma è anche condizionato dalle decisioni
quotidiane di medici e professionisti sanitari, almeno in
parte prese con logica «incrementale» (ovvero della disponibilità immediata).
La figura del Bed Manager, emersa negli ultimi anni, è
in grado di unire competenze cliniche e logistiche nella
supervisione dei posti letto. Tra i suoi compiti c’è la gestione del percorso del paziente (patient flow) in ospedale con l’ausilio del personale medico e infermieristico
al fine di raggiungere il setting assistenziale adatto.
ll patient flow è inteso come la movimentazione del paziente all’interno della struttura sanitaria dall’ammissione
alla dimissione e molti dei problemi tipici delle moderne realtà ospedaliere sono proprio legati ad una cattiva
gestione di questi flussi tra le varie aree dell’ospedale.
Il tema dell’organizzazione dei posti-letto, del layout
ospedaliero, e delle aree di degenza è cruciale nella
gestione della logistica dei pazienti. Tradizionalmente,
il percorso fisico e clinico del paziente è gestito quasi
solo dalle UO che detengono anche la proprietà delle
risorse strutturali aziendali; nel tempo, invece, tale modello si è rivelato inefficiente dal punto di vista produttivo
e non più funzionale alle esigenze dei pazienti. Oggi, i
moderni modelli logistico organizzativi tendono a ridisegnare i percorsi fisici dei pazienti in base al concetto di
intensità di cura, superando la tradizionale assegnazione di risorse e spazi basata sul criterio della specialità
clinica e quindi del reparto.
L’applicazione di nuovi strumenti organizzativi è spesso difficile in strutture costruite in coerenza con modelli
organizzativi obsoleti; viceversa è più facile ridisegnare
la logistica del paziente in caso di costruzione ex novo
di un ospedale/reparto. La “logistica” mira a ottimizzare
la macchina produttiva su cui girano i percorsi di cura.
Nel Regno Unito il Bed Management è un settore del
management infermieristico che si è notevolmente
ampliato negli ultimi 10 anni e questo ruolo è ricoperto
quasi esclusivamente da infermieri. Il concetto di Bed
Management può essere compreso meglio dal lavoro dell’Audit Commission(1992) (Commissione che si
occupa della supervisione dell’accettazione al pronto
soccorso, ricovero, degenza e dimissioni del paziente),
16 - AICM Journal - Giornale Italiano di Case Management
| Gennaio 2013 |
FIG.1 Il Processo di Bed Management - Audit Commition 1992
Le conseguenze di una inadeguata gestione dei “flussi”
dei pazienti, e la carenza di posti letto provocano scarsa efficienza nella gestione delle urgenze/emergenze,
nell’accettazione dei ricoveri programmati, e un prolungamento del periodo di degenza. Il Bed Management,
che consiste nell’individuare posti letto liberi dove sistemare i pazienti in lista d’attesa, permette l’organizzazione giornaliera dei trasferimenti di reparto dei pazienti
in maniera efficace.L’importanza della corretta logistica
del paziente non sempre è ben compresa e di conseguenza il Bed Management spesso viene sottovalutato
e poco sostenuto.Questo ruolo richiede un impegno
continuo per gestire più problematiche contemporaneamente, come la ricerca di posti letto di terapia intensiva, l’arrivo dei ricoveri programmati e il trasferimento di
reparto, attività spesso non sincronizzate con i ricoveri
in urgenza e le dimissioni.
Il servizio sanitario nazionale Inglese ha stabilito che il
tempo tra l’arrivo del paziente al pronto soccorso e il
ricovero avvenga al massimo in quattro ore. Molti reparti stanno cercando di raggiungere questo obiettivo,
ovvero ridurre i tempi di attesa detti “trolley waits”, a
partire da quando il paziente arriva al pronto soccorso
al momento in cui si decide che deve essere ricoverato. La possibilità di trasferire i pazienti dipende dalla
capacità dell’ospedale di ricoverarli nei propri dipartimenti. Nella figura 2 vediamo uno schema semplificato
del percorso ospedaliero del paziente e la funzione del
Bed Management in questo percorso. Questa è un’elaborazione dello schema di Bed Management pensato
dalla Audit Commission. La responsabilità del Bed Management riguarda tutti i trasferimenti del paziente, dal
Pronto Soccorso fino al suo ricovero. Il Bed Manager
Il Bed Management: ottimizzare i percorsi di cura con una corretta logistica dei pazienti
stabilisce gli ingressi nelle unità di emergenza e in alcuni
reparti, il Bed Manager può anche accettare richieste di
ricovero urgenti via telefono, ma anche accettare ricoveri programmati.
sui pazienti che devono essere ricoverati.
Il Bed Management dell’AOU Meyer di Firenze è stato
istituito con l’obiettivo di ottimizzare l’indice di rotazione
e del tasso di occupazione dei posti letto attraverso la
razionale ed appropriata gestione di:
• Ufficio Programmazione attività di ricovero;
• CUP Prenotazioni;
• Blocco Operatorio;
• Ambulatori di prima visita e di follow-up;
• Strutture di degenza.
Specifiche Attività del Bed Manager AOU Meyer
FIG.2 Conceptual overview of the patient journey and the role of bed management
1. Programmazione attività di ricovero;
2. Programmazione attività operatoria;
3. Governo delle liste di attesa delle visite specialistiche ambulatoriali;
4. Monitoraggio della degenza media;
5. Realizzazione di un sistema “pull” per l’utilizzo dei
letti a livello delle strutture di degenza;
6. Monitoraggio del tempo di cambio del posto letto;
7. Differenziazione dei posti letto di emergenza e di
elezione;
8. Efficiente ed efficace utilizzo della Discharge Room
finalizzata a rendere disponibile il posto letto non
appena il paziente risulta dimissibile;
9. Creazione di una accettazione unificata;
10. Creazione di un sistema di predicting per l’urgenza;
11. Monitoraggio dei tempi di turn around degli esami
diagnostici finalizzato alla loro riduzione;
12. Gestione del follow-up post-ricovero;
13. Gestione della prenotazione degli esami diagnostici;
14. Gestione delle condizioni di ipo-iper afflusso dei
pazienti;
Il profilo del Bed Manager, trova in quello Infermieristico
le capacità di unire competenze cliniche e logistiche,
per supervisionare sia la gestione dei posti letto sia il
governo del percorso del paziente in ospedale, collaborando con il personale medico e con quello infermieristico per definire i bisogni del paziente e scegliere il
setting assistenziale adatto.
Il background clinico è dunque necessario per decidere la giusta assegnazione del paziente, in quanto
deriva da pratiche assistenziali quotidiane e da continui rapporti con figure “chiave” nella gestione clinicoassistenziale del paziente, competenze che l’Infermiere
possiede con una grande qualità.
Le linee tratteggiate in figura 2 indicano i flussi di informazioni richieste per un efficace Bed Management.
Nella maggior parte degli ospedali i Bed Manager perdono molto tempo nella raccolta di queste informazioni.
I Bed Manager sono presenti in ospedale sette giorni
su sette, dalle 8 alle 20, poi ricevono il cambio dal personale per i turni notturni. Le informazioni si acquisicono
direttamente da controlli in reparto oppure per telefono.
Gli sforzi per migliorare la gestione dei posti letto disponibili possono essere di tre categorie:
1. migliorare il modo di lavorare per adeguarsi meglio
alle necessità generali;
2. dare un maggiore slancio al sistema diminuendo i
giorni di degenza;
3. fare una buona programmazione operativa per
prevedere in anticipo l’offerta e la richiesta di posti
letto.
Gli ospedali raggiungono il livello massimo di efficienza
quando vengono utilizzati all’85%-90% delle loro potenzialità. I “trolley waits” (tempi di attesa per i pazienti da
ricoverare), sono dovuti principalmente alla carenza di
posti letto, dovuta a degenze troppo lunghe che provocano una serie di conseguenze a catena: in tal modo
diminuisce l’efficienza complessiva dell’ospedale e del
pronto soccorso. Il modello di “ospedale efficiente” può
funzionare bene se rimangono sempre dei posti letto
disponibili per qualsiasi esigenza .
Per poter migliorare la capacità operativa (e quindi anche la disponibilità di posti letto) un Bed Manager deve
essere in grado di prevedere in anticipo la richiesta e la
disponibilità di posti letto, in modo da poter rispondere
prontamente se c’è un aumento della richiesta. L’obiettivo è quello di utilizzare al meglio le risorse disponibili,
soprattutto con una diminuzione dei tempi di degenza, BIBLIOGRAFIA
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Il solo modo per diminuire i “trolley waits” , è quello di
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34-42
avere, a fine giornata, sempre a disposizione un cerE, Bessman E, Marshall R, Wright S. Hospitalist Bed Mato numero di posti letto liberi. Ovviamente, per poter 2. Howell
nagement Effecting Throughput From The Emergency Department
aumentare l’efficienza e diminuire i tempi di degenza, i
To The Intensive Care Unit. Journal of critical care, 2010, 25, 184189
Bed Managers devono essere costantemente informati
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La Prassi del Case Management infermieristico in
Emilia Romagna:uno studio descrittivo sulle competenze
a cura di Lucia Berti
Azienda Unità Sanitaria Locale Piacenza
PREMESSA
Il case management è un modello organizzativo di assistenza che negli ultimi dieci anni ha riscosso grande interesse nel mondo infermieristico e per questo motivo
molte azien-de sanitarie hanno fatto la scelta di introdurre
infermieri case manager quali responsabili di percorsi assistenziali complessi.
Nell’Azienda Sanitaria Locale di Piacenza, presso cui lavoro, vi sono case manager ospedalieri e territoriali, tutti con
relativa e specifica posizione organizzativa.
La sottoscritta è stata incaricata quale infermiera case manager del percorso senologico dal settembre 2006 e dal
gennaio 2011 con posizione organizzativa.
Il percorso lavorativo personale è sempre stato rivolto alla
disciplina chirurgica, e lo stesso percorso formativo si è
indirizzato verso tale disciplina, frequentando nel 2004 il
Master di I livello in Infermieristica in Chirurgia generale e
specialistica.
Grazie al Master ho conosciuto il case management e ne
sono rimasta incredibilmente colpita perché corrispondeva all’idea di assistenza infermieristica che auspicavo fin
da studentessa: la ”vera” presa in carico del paziente. La
tesi di master si focalizzò allora a dimostrare che l’infermiere specialista aveva le abilità e le competenze per essere
un in-fermiere case manager e che anche in ambito chirurgico poteva avere la sua ragione d’essere.
La proposta che feci all’azienda, di creare ex novo un case
manager referente del per-corso senologico fu accettata e
sostenuta con grande interesse e i risultati sono allo stato
attuale molto buoni sia in termini di customer satisfaction
sia in termini di job satisfac-tion.
Perché allora rivolgere il proprio interesse formativo anche
al Master di coordinamento? Perché in questi anni di prassi nel case management mi sono personalmente accorta che la competenza clinica specialistica non è sempre
sufficiente per affrontare le problema-tiche dei percorsi
assistenziali e che quindi le competenze gestionale e manageriale ri-vestono un eguale valore.
(Le dimensioni di ruolo dell’infermiere case manager sono,
infatti, principalmente cin-que: una dimensione clinica,
una finanziaria, una manageriale, una informativa e comunicativa e una di sviluppo professionale)
Per questo motivo il master in coordinamento può rivestire
per un case manager una ne-cessità formativa nonché
professionale, creando, quindi, una espansione di ruolo,
expanded role (Schober-Affara, 2008), che permette al
professionista infermiere la rie-laborazione di modelli organizzativi più ampi, autonomi e flessibili.
In questa tesi presenterò uno studio descrittivo volto a
disegnare una sorta d’identikit dell’infermiere case manager che opera in Emilia Romagna; regione che fu pioniera
nell’utilizzo di questo modello organizzativo, e che perciò
può contribuire, grazie alla pluriennale esperienza dei suoi
professionisti, a definire competenze agite e distintive ed
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eventuali lacune formative della “nuova” professione di infermiere case manager. Inol-tre, evidenzierò, per quanto
possibile, le relazioni tra competenze dell’infermiere case
manager e competenze del coordinatore, per poter confermare o smentire una reciproca interazione di ruolo.
FORMULAZIONE DELLA DOMANDA
Lo scopo dello studio è perciò quello di tracciare una sorta
di identikit dell’ICM che sia non solo socio-anagrafico ma
anche e soprattutto professionale.
Per questo motivo proveremo a rispondere a domande
quali:
• Chi è l’infermiere case manager dopo dieci anni di
prassi?
• Quali sono le sue competenze agite e distintive?
• Qual è il suo curriculum formativo?
• Quali sono le richieste formative?
• Il suo ruolo è regolamentato?
• È soddisfatto della propria posizione?
• Ci sono punti di contatto o di differenza con il coordinatore infermieristico?
Sarà inevitabile, poi, al termine del lavoro, chiedersi se il
Case Management abbia dav-vero contribuito e in che
misura all’evoluzione e al miglioramento della professione
in-fermieristica e se la convivenza tra i ruoli (infermieri\coordinatori\infermieri case ma-nager) sia possibile.
SELEZIONE DEL DISEGNO
Si tratta di uno studio descrittivo in cui il fenomeno “Case
Management” viene osserva-to attraverso la via partecipativa.
La via partecipativa1 è più proficua e duratura. Si tratta di
validare l’ipotesi che l’organizzazione sia un sistema vivente, espressione delle relazioni e dei soggetti che la vivono
e perciò basato su autonomia, relazione, apprendimento.
L’osservazione dall’interno permette una visione reale e
realistica dell’essere e dell’agire e perciò rap-presenta la
fotografia di un vissuto lavorativo/formativo da cui partire
per vantare i ri-sultati positivi raggiunti ma anche e soprattutto per accertare gli aspetti confusi e nega-tivi e quindi
migliorabili.
IDENTIFICAZIONE DEL CAMPIONE
Il campione, inteso come unità rappresentativa della popolazione Infermieri Case Manager, è stato individuato
negli Infermieri Case Manager che prestano servizio nelle
strutture sanitarie ospedaliere e territoriali dell’Emilia Romagna.
Nella regione Emilia Romagna, coma già accennato nei
precedenti paragrafi, iniziò più di dieci anni fa il percorso di
introduzione a livello ospedaliero della figura dell’infermiere
Case Manager. Per questo motivo ritengo i professioni-
La prassi del Case Management infermieristico in Emilia Romagna: uno studio descrittivo sulle competenze
sti di questa re-gione i più idonei a partecipare a questo
disegno di ricerca, e facendone parte io stessa lo studio
assume anche una valenza personale; rappresenta un
mezzo attraverso cui ri-scoprire le proprie ”radici” lavorative e contemporaneamente lo strumento per osservare i
limiti e le possibilità che i “rami” di questo “albero” possono
raggiungere.
IDENTIFICAZIONE DEGLI STRUMENTI
In questo studio descrittivo ho definito il questionario, quale strumento d’indagine più appropriato.
Le domande che compongono il questionario sono state
riprodotte dal testo Coordinato-ri infermieristici: competenze e qualità nelle relazioni di cura di Morelli e De Togni
e poi rielaborate seguendo il modello Le Boterf – Lavalle
(vedi tabella 1 pag.7) per adat-tarle al Case Manager. Nel
testo di riferimento le domande sono state raggruppate
in cinque aree tematiche e un’area socio-anagrafica (37
item+9):
1. Area socio anagrafica
2. Vissuti lavorativi e individuazione professionale: motivazioni e contenuto del lavoro
3. Relazioni e potere del coordinatore: autoidentificazione ed eteroindentificazione
4. Il valore della competenza: aspettative e sviluppo
5. Rappresentazione del ruolo professionale: immagine
e sentimento del coordina-mento
6. Potenzialità e apprendimento: vincoli e possibilità di
sviluppo delle competenze
Nel questionario (vedi allegato 1) utilizzato per questo studio, gli item sono 9+7 anch’essi suddivisi per le cinque
aree tematiche di cui sopra.
1. Area socio anagrafica; età, sesso, titolo di studio generale e professionale, sede operativa, ambito operativo, inquadramento contrattuale e anzianità nella
posi-zione di case manager
2. Vissuti lavorativi e individuazione professionale: motivazioni e contenuto del lavoro; Quanto le seguenti
capacità risultano quotidianamente importanti per lo
svolgimento del suo lavoro? Quali bisogni sono soddisfatti dal suo lavoro attua-le?
3. Relazioni dell’infermiere case manager: autoidentificazione ed eteroindentifica-zione; Quanto, nella sua
esperienza, ritiene vi sia (vi sia stato) un conflitto di
ruolo con i suoi colleghi?
4. Il valore della competenza: aspettative e sviluppo;
Pensando al suo ruolo, qual è il grado di importanza
che attribuisce alla seguenti attitudini/competenze?
Ri-tiene vi sia qualche aspetto formativo e/o competenza del ruolo di case manager che debba essere
migliorato? Perché?
5. Rappresentazione del ruolo professionale: immagine
e sentimento del case ma-nagement; E’ prevista una
valutazione formale del suo operato? Da chi sente
prevalentemente riconosciute le sue potenzialità?
6. Potenzialità e apprendimento: vincoli e possibilità di
sviluppo delle competenze; Quanto, secondo lei, è
stato importante il percorso formativo effettuato per
lo svolgimento del suo lavoro? Riesce a esprimere
le sue potenzialità nello svolgi-mento quotidiano del
suo lavoro?
Nell’area tematica dei vissuti lavorativi, le capacità sono
state scelte, come ho già ri-cordato all’inizio del capitolo, selezionandone alcune dal testo di Morelli-De Togni di
pertinenza del coordinatore e altre dal modello LeBoterfLavalle peculiari del case ma-nager. Il risultato ottenuto
mostra una suddivisione di queste capacità in tre aree:
1. Coordinamento; gestire risorse e materiali, negoziare
obiettivi e risultati, indivi-duare e promuovere progetti
di ricerca in campo assistenziale e organizzativo
2. Case management; erogare e far erogare assistenza, informare, educare e con-sigliare pazienti e care
giver, applicare e far applicare le care map, valutare i
risultati ottenuti sul paziente e sul percorso, formulare
diagnosi infermieristiche
3. Ambivalente; pianificare e programmare la propria attività, applicare norme e procedure, essere da guida
per i propri colleghi, gestire rapporti con altri professionisti
Questa suddivisione sarà utile durante la lettura dei dati,
per meglio comprendere l’esperienza agita dell’ICM e
confrontarla in seguito con quella del coordinatore.
Nell’area del valore della competenza, invece, alle attitudini
di Morelli-De Togni: auto-nomia, lavoro di gruppo, flessibilità, iniziativa, ho personalmente aggiunto la disponibi-lità;
mentre alle competenze: relazionali, di cura, clinico-specialistiche e il problem solving, ho aggiunto l’esperienza
e la competenza gestionale-manageriale. Caratteristi-che,
queste ultime, che ritengo importanti da valutare al fine di
comprenderne il reale peso nel lavoro quotidiano dell’ICM.
La scala di misurazione qualitativa utilizzata nei questionari
è una scala a differenza semantica da 1 a 6 che valuta
l’importanza degli item (1 = poco importante e 6 = molto
importante). I valori 1 e 2 sono considerati negativi, 3 e 4
mediamente positivi, 5 e 6 molto positivi.
Il questionario è stato inviato tramite e-mail e per garantire
l’anonimato si è chiesta la restituzione tramite fax. L’invio è
stato eseguito nel mese di settembre 2011 e la raccol-ta
si è conclusa nel mese di novembre 2011.
In tutto sono stati restituiti quarantanove questionari.
CONCLUSIONI
Questo studio non vuole certamente essere esaustivo del
fenomeno “case management infermieristico”. In realtà le
domande cui abbiamo voluto rispondere sono semplici
e concrete, e come tali, possono costituire una base di
partenza per studi più ampi e meto-dologicamente più
complessi. Lo scopo è di far conoscere l’aspetto attuale
della base operativa (ICM) e quello che può o potrebbe
essere in un prossimo futuro.
Se dovessimo riassumere brevemente le risposte alle
domande precedentemente espres-se sottolineeremmo
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La prassi del Case Management infermieristico in Emilia Romagna: uno studio descrittivo sulle competenze
questi aspetti:
• l’ICM è prevalentemente un infermiere con esperienza (dai dieci ai vent’anni lavorativi), di sesso femminile, con un’età compresa tra i 36 e i 45 anni, pre-sta
servizio in un’azienda ospedaliera e prevalentemente
in ambito ospedalie-ro rispetto a quello territoriale; ha
un’anzianità di servizio in qualità di ICM di 3,8 anni
(media)/4 anni (mediana); è inquadrato contrattualmente in cate-goria D e solo alcuni rivestono una
posizione organizzativa.
• l’ICM è un infermiere specializzato clinico con enfasi
sul cliente\paziente (educazione e informazione)
• l’ICM ha un percorso formativo di medio livello (diploma di scuola superiore e master ) ma non uniforme
• l’ICM ha richieste formative in campo legislativo, relazionale, manageriale e assistenziale
• l’ICM non ha un ruolo regolamentato e riconosciuto
• l’ICM ha nell’espressione della propria autonomia e
nella riconoscenza del paziente la maggiore soddisfazione
• l’ICM è uno specializzato e il coordinatore è un manager, ma nel primo pro-fessionista maggiore è la soddisfazione e l’autonomia nel proprio lavoro
Il case management è un’esperienza professionale che
personalmente ritengo fra le più complete e soddisfacenti che si possano vivere. Sono trascorsi cinque anni da
quando “mi sono inventata” un percorso, quello senologico, da accompagnare e governare. Cin-que anni di sfide
professionali e personali che ho cercato di trasformare in
esperienza da agire e da raccontare. E’ stato inevitabile,
così, arrivare alla necessità di conoscere e quindi condividere con gli altri colleghi case manager questa esperienza.
Questo studio descrittivo, che nasce da un’esigenza mia
personale di condivisione e di autoidentificazione professionale, credo si sia rivelato utile anche per comprendere
le potenzialità di questo modello organizzativo.
Coloro che si occupano di formazione, i coordinatori e i
dirigenti infermieristici posso-no trarre utili informazioni su
chi e su cosa investire nei prossimi anni per accrescere e
migliorare la qualità dell’assistenza nel nostro paese.
Gli ICM non hanno un percorso formativo condiviso, non
hanno un riconoscimento pro-fessionale formale ma hanno autonomia e competenza specialistica e se è vero che
nei prossimi cinque anni mancherà il 40% dei medici che
ora sono in corsia (fonte: Corrie-re della Sera, 20 aprile
2011), agli infermieri sarà richiesto non solo un job enrichment ma anche e soprattutto un job enlargement di
tipo specialistico clinico (orizzontale), manageriale (verticale), formativo e di ricerca (trasversale).
Gli infermieri, i coordinatori e soprattutto, gli ICM sono
pronti ad affrontare anche questa sfida.
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