DANIL A COM A STRI-MONTANARI TABUL A R A SA Il senatore-detective Publio Aurelio Stazio, in missione diplomatica ad Alessandria d’Egitto, si trova coinvolto in una rete di delitti apparentemente impossibile da districare. LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA-L’ESPRESSO NOIR NELLA STORIA 6 TABULA RASA IL RITORNO DI PUBLIO AURELIO STAZIO L’INVESTIGATORE DELL’ANTICA ROMA Danila Comastri Montanari © 2011 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano © 2013 Edizione speciale per il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. Pubblicato su licenza di Arnoldo Mondadori Editore, Milano Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. Via C. Colombo 98 - 00147 Roma la Repubblica Direttore Responsabile: Ezio Mauro Reg. Trib. Roma n. 16064 del 13/10/1975 L’Espresso Direttore Responsabile: Bruno Manfellotto Reg. Trib. Roma n. 4822 del 16/09/1955 Design di copertina: Marco Sauro per Cromografica Roma s.r.l. Impaginazione: Cromografica Roma s.r.l. LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA-L’ESPRESSO LA TOMBA NEL DELTA L’ombra si chinò verso il corpo che giaceva ai suoi piedi con un misto di pietà e di disgusto. Quando provò a sollevarne la massa inerte, sentì le forze venir meno. Non restava che trascinarlo nella fossa afferrandolo per i piedi, ma era necessario andare cauti per evitare di scomporlo. Ecco, la testa ciondolava e si doveva appoggiarla sul fondo, come se giacesse su un guanciale. Ecco, le gambe si piegavano e bisognava raddrizzarle. Ecco, le braccia pendevano inerti e occorreva incrociarle. Ma prima c’era da fare la cosa più difficile, più difficile ancora che uccidere. Le dita scesero sul busto, ad allargare la ferita che, tra le tante, era arrivata al cuore. Poi stringendo il monile annasparono giù sotto lo sterno e risalirono verso il coagulo rosso che giaceva immobile, un muscolo come un altro, un brandello qualsiasi di una qualsiasi carogna. Infine, pollice e indice si ritrassero vuoti e appiccicosi: ora sarebbe stato compito degli Dei offrire in un’altra vita ciò che non avevano concesso in questa. La prima zolla di terra calò a coprire il viso, con gli occhi che non ne volevano sapere di restare chiusi. Quando il volto scomparve alla vista, tutto divenne semplice. Pochi istanti più tardi, l’ombra si dileguava nella notte. 3 I GIORNO Casa nel delta. «Vorrei proprio sapere per quale ragione, avendo a disposizione una ricca residenza nella città più splendida del mondo – perché diciamolo francamente, padrone, in confronto ad Alessandria, Roma è un borgo di capre –, dovresti preoccuparti di rendere abitabile un edificio fatiscente tra i lezzi del delta!» esclamò il liberto Castore additando al padrone la casa di foggia egizia che si elevava sul poggio digradante verso il fiume. Cent’anni prima un modesto funzionario tolemaico aveva rimesso a nuovo la dimora di un sovrintendente dell’ultimo faraone Nectanebo II, usata da secoli come magazzino, con l’intenzione di trasmettere quel cimelio architettonico ai futuri discendenti. Invece erano arrivati i Romani, così, dopo la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra, la famiglia del funzionario, fedele fino all’ultimo alla Grande Regina, era caduta in disgrazia. Da allora la casa, rimasta incustodita, era andata rapidamente rovinando e di alcune stanze non restava che l’ossatura, spolpata dalle carriole di mattoni con cui gli abitanti dei villaggi attigui prelevavano materiale edilizio gratuito. Poi un giorno gli agenti di un eccentrico personaggio dell’Urbe si erano offerti di acquistare il poco che era rimasto: il loro padrone, sostenevano, era un nobile romano recentemente convertitosi al culto del Dio Sobek che ne5 cessitava di una dimora presso il Nilo per poterlo adeguatamente onorare. A dire il vero, il personaggio in questione – un senatore di rango consolare che rispondeva al nome di Publio Aurelio Stazio – non aveva mai goduto della fama di devoto, anzi veniva tacciato dai tradizionalisti della capitale di essere un inguaribile miscredente, un epicureo dissacratore della divinità, uno scettico pronto a farsi beffa di oracoli, vaticini, prodigi e presenze soprannaturali. Ma questo gli abitanti del delta non potevano saperlo, mentre lo sapeva benissimo Castore, che da tre lustri fungeva da segretario e confidente dello stravagante patrizio. «I restauri sono stati un po’ affrettati, comunque adesso la casa è in piedi!» annunciò Aurelio soddisfatto. «Non vorrai davvero alloggiare qui? Il limo benedetto sarà anche un dono dei Numi, ma non emana certo un buon odore! Senza contare la compagnia, che pare tutt’altro che rassicurante!» criticò Castore, guardando di traverso gli operai egizi intenti a lastricare il sentiero che, snodandosi tra i giunchi e i melograni, conduceva dalla casa fino alle acque del grande fiume. «Ne avranno per poco: sacello e approdo sono quasi pronti» spiegò il patrizio. «E che bisogno ne ha il nobile Publio Aurelio Stazio, la cui lussuosa ammiraglia Syracusia suscita meraviglia nel porto di Faro, di andare su e giù in barchetta nella fanghiglia puzzolente?» domandò sfrontatamente il segretario, mentre osservava il canale che metteva in comunicazione il Nilo con il Lacus Mareotis, dietro a cui si allungava superba la grande metropoli di Alessandria. Che cosa stava astrologando il padrone stavolta?, si chiedeva. Lavorare prima da schiavo e quindi da liberto alle dipendenze di un ricco romano che si abbassava raramente a controllare il conto della spesa era stato un impiego oltremodo adatto per chi, come lui, disponeva di un ingegno versatile ma di uno zelo limitato. Il senatore tuttavia era imprevedibile e bizzarro, quindi bisognava mantenere sempre alta la guardia... 6 «Si tratta del Nilo, Castore! Il verde Nilo. Il sacro Nilo. Possibile che sia io a doverlo ricordare a te, che in questa terra ci sei nato?» «Facciamo subito un distinguo, domine. Che c’entro io con gli egizi? Ti sembro tipo da prosternarmi davanti a vacche, gatti, babbuini, coccodrilli o altre simili bestiacce? Come nativo di Alessandria, lume e meraviglia dell’intero orbe terracqueo, io esco dagli splendori dell’Agorà e della Grande Biblioteca, non certo da queste catapecchie!» puntualizzò Castore con sussiego, mentre apriva le braccia in un gesto magniloquente verso il villaggio di pescatori che si scorgeva in lontananza al di là dei palmeti. «Ma se sei figlio di una porné ingravidata da un cliente di passaggio!» obiettò il patrizio. A dire il vero, doveva ammettere che, dopo più di tre lustri di convivenza, sapeva del segretario solo quello che lui gli aveva permesso di scoprire: tante e tali erano le storie, spesso diverse o contraddittorie, che quel mentitore nato raccontava sulla sua infanzia, che nessuno avrebbe mai saputo distinguere tra realtà e fantasia. «La civiltà si respira nell’aria: greci si nasce e, modestamente, io vi nacqui!» affermò orgogliosamente Castore. «Ehi, padrone, ma che cos’è quel pendente che porti al collo dall’inizio del viaggio, il ricordo di una delle tue donne forse? Non te l’ho mai visto a Roma.» Il senatore non sembrava proprio il tipo da conservare sul cuore ciocche di capelli muliebri o altra roba simile, rifletté poi con una certa apprensione, ma non si poteva mai sapere: in fondo aveva ormai doppiato la quarantina, e l’avanzare dell’età a volte fa brutti scherzi... «Nulla che ti interessi, Castore. E ora, dato che vieni dalle meraviglie di Alessandria, non ti dispiacerà tornarci: devi portare un messaggio al viceprefetto Greganio Merenda per comunicargli che intendo fargli visita domani.» «Alla buon’ora! A Palazzo ti stanno aspettando da un pezzo: la Syracusia ha attraccato al molo da ben tre giorni, e non è nave da passare inosservata!» 7