INTERVISTA - Menrad
Menrad è tornata
e rilancia Revo
Un
anno fa
Alessandro Chitotti si è
preso la responsabilità
di riportare in Italia
un gruppo storico,
l’ultracentenario
tedesco Menrad the
vision. Ha iniziato con
i tre marchi di punta
Jaguar, Davidoff,
Menrad, ai quali si
è aggiunto anche
Revo, ben noto nel
nostro paese. Il primo
obiettivo: raggiungere
con la distribuzione 600
centri ottici per farne
dei partner preziosi
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di arnaldo benedetti
La famiglia Menrad di Schwäbisch Gmünd dal 1896 è ormai
giunta alla quarta generazione, senza mai pensare di cedere il gioiello fondato dall’avo Ferdinand. L’azienda è solida,
conta circa 1000 dipendenti in tutto il mondo pur essendo
stata tra le prime, a cavallo degli anni ’60 e ’70, a esternalizzare parzialmente la produzione in Asia; mantenendo il
controllo in Germania, in particolare lo sviluppo a Monaco
di Baviera, non ha mai allentato il controllo sulla qualità del
prodotto, il punto di forza di Menrad insieme con una policy di orientamento al cliente. Un incontro a Mido un paio
d’anni fa, una confluenza di opinioni sui mercati nazionale e
internazionale comuni hanno indotto Menrad ad affidare ad
Alessandro Chitotti il ritorno nel nostro paese con la filiale
Menrad Italia. Alessandro Chitotti, dotato di quel patrimonio
sostanziale fatto di competenza e conoscenza, ha il compito
di riuscire laddove altri non hanno avuto fortuna.
La sua iniziativa di riportare in Italia dopo oltre 20 anni il
marchio tedesco Menrad the vision ha un significato competitivo di rilevanza storica ma di notorietà debole. Un’azienda ultracentenaria con forti radici che viene a sfidare il
gusto italiano. Come le è nata questa idea? Che obiettivi si è
posto? E i proprietari, la famiglia Müller-Menrad, come ha
valutato il suo progetto?
Per rispondere alla sua domanda inizierei dal fondo, quale
valutazione la famiglia Menrad ha dato la progetto. Come lei
ben sa, l’azienda Menrad manca dall’Italia in modo diretto da
più di 20 anni. Dico in modo diretto, in quanto a più riprese
la presenza è stata garantita attraverso dei distributori locali,
che hanno, a fasi alterne, garantito una certa distribuzione
sul territorio. Da tempo Menrad aveva in progetto di tornare
a “sfidare” il mercato italiano, perché in fondo confrontarsi
in Italia significa confrontarsi con il mercato più competitivo
e tecnicamente preparato a livello mondiale. Quindi la rinnovata linea manageriale e l’indirizzo nuovo che Menrad si
è data nei recenti anni ha fatto sì di pensare al mercato italiano come un mercato su cui puntare e tornare ad investire
in modo significativo. Il mio contatto con la famiglia Menrad
risale a qualche anno fa a Mido; da subito siamo entrati in
sintonia su alcune visioni comuni del mercato internazionale e nazionale. Proprio da queste considerazioni abbiamo, in
modo quasi naturale, sviluppato questa idea di riportare in
Italia un marchio così prestigioso come Menrad, ponendoci
come obbiettivo quello di fornire un occhiale moderno, con linee adatte al mercato italiano e vicino alla tradizione tedesca
per la sensibilità alla qualità e al servizio. Lei cita “rilevanza
alcuni cartelli promozionali di MENRAD
storica ma notorietà debole”, è vero, i marchi Jaguar, Davidoff, Menrad sono sicuramente marchi “meno noti”, ma è
altrettanto vero che, in questo periodo storico, molte aziende
con marchi “sconosciuti” ai più, si sono affacciati nel mercato
nazionale; inoltre è ormai conclamata una certa stanchezza
di una parte del mercato, che si sta sempre più ingrossando,
nel proporre sempre gli stessi marchi o prodotti.
Menrad è il solo housebrand del portafoglio prodotti: come
si posiziona, nella sua visione del mercato italiano, rispetto
agli altri brand in licenza per evitare fenomeni di cannibalizzazione?
Riprendendo i concetti di prima, il posizionamento del brand
Menrad è quello medio basso; attenzione, per medio basso
intendo non il prodotto di importazione asiatica, che è per
diverse ragioni non paragonabile, ma intendo un prodotto
che si posiziona a livello di housebrand di aziende italiane
conosciute. Dico questo perché il nostro prodotto per poter
essere appetibile al mercato, senza la suddetta notorietà,
ha bisogno di almeno due fattori chiave: il primo la qualità
del prodotto, il secondo il rapporto esistente proprio tra la
qualità, il design e il prezzo. In questo senso abbiamo nella
collezione Menrad un rapporto prezzo/prodotto interessante, senza tralasciare il fattore Mark up per l’ottico. Anche
su questo punto abbiamo posto molta attenzione cercando
di avere un prezzo che sia gradito anche all’utenza finale.
Quindi direi che Menrad, inteso come house brand, ha un
posizionamento per un utenza giovane che ama prodotti
colorati “freschi”, mentre Jaguar e Davidoff si propongono
ad una cliente maschile, con un target age più maturo con
l’esigenza di un design classico ed elegante.
L’ultimo brand acquisito in licenza giunge sul nostro mercato dopo anni di assenza: Rêvo ha goduto di momenti di
grande fortuna, porta con sé una tecnologia messa a punto
dalla Nasa. Ha trovato difficoltà a riposizionarlo in Italia? La
memoria derivante da un passato felice ha giovato?
Lei ha ragione quando parla di Revo come di un prodotto
fortunato e questo ha permesso un lancio di prodotto facilitato dalla notorietà ma, come sempre, ogni medaglia ha
anche il suo rovescio: quindi, se da una parte abbiamo avuto
un buon riscontro dall’altro abbiamo avuto persone che non
ci identificano come una nuova realtà nel mercato Italiano,
inoltre non sempre la memoria passata ci ha favorito. Comunque il prodotto Revo è divenuto oramai un icona, quindi
il suo passato felice ci ha permesso di rilanciarci nel mercato in modo assolutamente positivo.
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Dicevo ‘sembra non confliggere’: tra i brand del suo portafoglio ne conta tuttavia uno che per notorietà e identità
potrebbe sovrapporsi a Rêvo: parlo di Jaguar, memoria di
macchine di alta classe, modelli ambiti, un passato in Formula 1. Come differenzia il posizionamento?
I prodotti sono notevolmente diversi, sia in termini di design,
sia nei materiali e ovviamente anche nel prezzo. Jaguar ha
uno stile unico, dove lega il concetto di sportività all’eleganza,
senza tralasciare attenzione al manufatto, elemento centrale
nella produzione della nostra casa madre. Gli elementi che
spiccano sono la scelta dei materiali in cui spaziamo dai classici metallo e plastiche per arrivare a materiali nobili come il
Titanio, il Carbonio ed infine l’Oro. Molti sono i richiami agli
elementi di decoro sulle vetture che vengono declinati anche
in vario modo sulle montature. Ultima ma non ultima la scelta
dei filtri solari: nel caso di Jaguar abbiamo deciso di utilizzare
prodotti di alta tecnologia di una nota casa tedesca specializzata proprio in lenti ad alto contenuto tecnologico. Per confermare, una volta di più, la nostra filosofia, in cui il concetto di
qualità deve essere tangibile sia da parte dell’ottico ma anche
da parte dell’utilizzatore finale. Su Revo non posso che dire
che i contenuti maggiori sono espressi nella parte protettiva,
ossia i filtri che, come ricordava lei, nascono da uno studio
della Nasa per gli astronauti, ma recentemente abbiamo intrapreso un percorso diverso anche sulle montature, proprio
per dare seguito al concetto di total quality che dicevo prima e
che coinvolge anche Revo nel progetto. Quindi la differenziazione sul posizionamento è fatta su scelta dei materiali per la
montatura e per tipologia di lenti, senza tralasciare il prezzo
che è più contenuto per la collezione Jaguar.
È stato sufficiente questo primo anno di attività per mettere a punto la struttura? In particolare la distribuzione è
articolata secondo criteri geoterritoriali focalizzati oppure
è indifferentemente gestita su tutto il territorio nazionale?
Quando si parte da zero come noi, spesso si cade in facili entusiasmi, per cui abbiamo deciso di intraprendere una politica
di piccoli passi, ossia quella di approcciare il mercato non in
modo aggressivo, ma crescendo secondo le nostre potenzialità del momento. Voglio dire che la struttura è cresciuta e crescerà secondo le logiche dello sviluppo dell’azienda stessa.
Se i risultati dovessero andare avanti come in questo ultimo
periodo, sicuramente avremo la necessità di crescere all’interno, anche grazie alle nuove politiche del governo legate
all’assunzione di personale, ma soprattutto sul territorio dove
al momento abbiamo ancora delle aree scoperte.
È passato oltre un anno dall’insediamento di Menrad Italia:
è sufficiente per cominciare a trarre qualche prima valutazione sullo stato di realizzazione del suo piano? Le risposte
dei clienti ottici sono state timide o soddisfacenti? Si è presentato qualche caso da ricordare?
Normalmente, si dice che un anno è un tempo relativamente
lungo per una nuova start up; direi che nel nostro caso si è rivelato corto. Dico questo perché l’analisi fin qui fatta è positiva,
la valutazione che ci diamo soddisfa le nostre attese per l’anno appena trascorso; certamente non tutto è stato realizzato,
quindi di strada da percorrere ne abbiamo ancora molta, ma
siamo fiduciosi, crediamo di avere la possibilità di proporci al
mercato come figura credibile a cui rivolgersi per avere delle
risposte che servano all’ottico. Certamente sarei presuntuoso se le dicessi che non abbiamo bisogno di aggiustamenti. Il
mercato evolve e cambia con una rapidità a cui non eravamo
abituati, quindi dobbiamo sempre essere attenti al cambiamento, o se preferisce agli aggiustamenti, perché se si vuole accettare la sfida del mercato italiano, si deve accettare di
essere sempre pronti a mettersi in discussione. Così come il
confronto con i tuoi competitors è sempre duro, anche con i
clienti devi sempre essere pronto a soddisfare i bisogni. Credo che oggi prodotti come Revo possano dare quelle risposte
che il mercato cerca, così come i prodotti Menrad, Jaguar e
Davidoff possono soddisfare le nuove esigenze che il mercato esprime. In questo senso le posso dire che i clienti ci hanno accolto bene. Concluderei dicendo che Menrad ha come
idea quella di essere al fianco degli ottici, proponendosi come
un’azienda alternativa nel panorama del mercato italiano.
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