UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA
DOTTORATO DI RICERCA IN
NEUROSCIENZE
SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE MED26
CICLO XXIII
STUDIO OSSERVAZIONALE SULLA RELAZIONE CLINICA TRA PROFILO
COGNITIVO E PROFILO PSICO-COMPORTAMENTALE IN SOGGETTI CON
DECADIMENTO COGNITIVO LIEVE
Dottoranda:
BARBARA VICINI CHILOVI
Relatore:
Ch.mo Prof. ALESSANDRO PADOVANI
Coordinatore del dottorato:
Ch.ma Prof.ssa MARIA CRISTINA MISSALE
Sommario
INTRODUZIONE...................................................................................................................... 2 1 MILD COGNITIVE IMPAIRMENT ................................................................................. 4 1.1 Invecchiamento e deterioramento cognitivo ............................................................... 4 1.1.1 1.2 Classificazione ed epidemiologia ............................................................................... 5 Mild Cognitive Impairment....................................................................................... 10 1.2.1 Definizione: cenni storici .......................................................................................... 10 1.2.2 Epidemiologia, tasso di incidenza del MCI e conversione ad AD .......................... 19 1.2.3 MCI e Fattori di rischio ............................................................................................ 20 1.2.4 MCI e disturbi comportamentali ............................................................................. 22 1.2.5 MCI e compromissione funzionale .......................................................................... 23 1.2.6 Patofisiologia ed esami strumentali ........................................................................ 24 1.2.7 I nuovi criteri per la diagnosi di MCI dovuto a malattia di Alzheimer ................. 25 1.2.8 Il trattamento ............................................................................................................. 31 2 APATIA E DEPRESSIONE NEL MILD COGNITIVE IMPAIRMENT ....................... 34 3 LA RICERCA .................................................................................................................. 36 4 3.1 OBIETTIVO.............................................................................................................. 36 3.2 METODO .................................................................................................................. 37 3.2.1 Soggetti ...................................................................................................................... 37 3.2.2 Materiali e Metodi ................................................................................................... 40 3.2.3 Analisi dei dati .......................................................................................................... 47 3.3 RISULTATI .............................................................................................................. 48 3.4 DISCUSSIONE ......................................................................................................... 52 APPENDICE .................................................................................................................... 58 BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................................... 70
PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE (2008-2012) .................................................................. 84
INTRODUZIONE
Il tema del deterioramento cognitivo rappresenta uno dei settori di maggiore interesse per la
ricerca e la clinica nell’ambito dell’invecchiamento. Questa attenzione da parte della
comunità medico-scientifica, cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi tre decenni,
deriva sostanzialmente da due fattori: l’invecchiamento della popolazione con il conseguente
aumento della vita media e della porzione di persone con età superiore gli 80 anni, ed il
progressivo aumento di incidenza della problematica stessa con l’aumentare dell’età.
Dato l’impatto della patologia in termini sanitari, sociali e politici si è quindi assistito a un
investimento notevole nella ricerca per comprenderne la patogenesi, delineare i fattori di
rischio o causali, individuare marcatori pre-clinici al fine di permettere una diagnosi precoce,
definire di una prognosi e predisporre trattamenti efficaci.
Per affrontare questa tematica si è soliti collocare il processo di invecchiamento lungo un
continuum ai cui estremi si trovano l’invecchiamento fisiologico, da un lato, e tutte le
patologie che vanno sotto la denominazione di demenza, dall’altro. Tra questi due estremi
possono essere collocati quei “quadri intermedi” in cui si osserva un deterioramento
cognitivo che non soddisfa i criteri per la diagnosi di demenza, meritevole comunque di
particolare attenzione, non solo perché potrebbe beneficiare di un trattamento diretto, ma
anche perché potrebbe rappresentare un indice precoce della demenza vera e propria.
Dagli anni ’90 si è assistito a una continua ricerca e sviluppo, parallelamente alla
comprensione dei meccanismi neurobiologici sottostanti la patologia e determinanti il danno,
dei marcatori diagnostici specifici per la Malattia di Alzheimer e all’individuazione di
strategie terapeutiche dedite al trattamento dei sintomi correlati.
La Malattia di Alzheimer risulta essere caratterizzata da un decorso lento, progressivo e
ingravescente le cui manifestazioni cliniche, soprattutto agli stadi iniziali non risultano essere
così patognomoniche da permettere la distinzione fra un quadro di demenza vera e propria e
un quadro di pre-demenza e fra quest’ultimo e un quadro di normal aging.
Le ricerche più recenti hanno valutato anche il ruolo dei marker neuropsicologici per
differenziare il declino cognitivo patologico da quello legato al fisiologico processo di
invecchiamento cerebrale. Infatti, sebbene alcuni parametri neuroradiologici, neurofunzionali
e biochimici dimostrino una buona capacità di discriminare soggetti normali da pazienti
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT dementi, mancano a tutt’oggi esami strumentali e/o markers biologici, per la diagnosi di
demenza, applicabili a tutti i pazienti.
Nel momento in cui la storia del paziente, il colloquio con il caregiver e l’esame clinico non
risultano essere sufficienti ad indirizzare verso un quadro definito, soprattutto quando i
sintomi sono sfumati e aspecifici come nelle fasi iniziali di una sindrome dementigena e nella
condizione di MCI, la valutazione neuropsicologica è di grande aiuto nel differenziare quelli
che sono i deficit di tipo cognitivo, tra cui i deficit di memoria, da alterazioni della sfera
cognitiva legati a disturbi comportamentali (per esempio nei pazienti affetti da quadri di
Depressione), da quello che è stato definito invecchiamento fisiologico.
La ricerca nell’ambito diagnostico neuropsicologico e non solo si pone quindi come obiettivo
primario l’individuazione di marcatori che sempre meglio e prima possano individuare
diversi quadri e gradi di decadimento cognitivo e differenziarli fra loro.
Dati di letteratura hanno dimostrato che i sintomi neuropsichiatrici o psicocomportamentali,
frequentemente riportati tra i pazienti affetti da MCI, possono aiutare nel processo
diagnostico di demenza incipiente. L’anomalia comportamentale può pertanto essere
considerato un predittore di demenza allo stesso modo dei sintomi cognitivi.
Tra i sintomi neuropsichiatrici descritti e registrati attraverso l’utilizzo di scale
neuropsicologiche, la depressione e l'apatia sono comunemente descritti come le
manifestazioni psicocomportamentali più comuni in MCI .
In questo scenario di indagine si inserisce lo studio del ruolo dell’apatia e della depressione
nei soggetti affetti da MCI nell’individuazione dei fattori di rischio clinici per la progressione
a demenza.
La presente ricerca si è occupata di valutare la validità e l’efficacia di un test clinico per lo
studio della sintomatologia apatica, l’Apathy Evaluation Scale, che non era mai stato
utilizzato precedentemente nei soggetti affetti da MCI.
3
1 MILD COGNITIVE IMPAIRMENT
1.1 Invecchiamento e deterioramento cognitivo
In conseguenza ai cambiamenti biologici, funzionali e all’esposizione a fattori di rischio
durante tutto l’arco della vita, nell’anziano aumenta considerevolmente la frequenza di alcune
patologie e di condizioni croniche e degenerative.
In particolare, le modificazioni cerebrali che accompagnano l’invecchiamento fisiologico e
patologico si ripercuotono inevitabilmente sul funzionamento cognitivo. Risulta quindi di
sempre maggior importanza l’individuazione, da parte della comunità scientifica, di
caratteristiche che distinguano il normale invecchiamento cerebrale e cognitivo dalle
condizioni neurodegenerative patologiche che possono subentrare in età senile.
Con il termine di demenza si intende un disturbo delle funzioni intellettive di tipo cronicoprogressivo, acquisito e di natura organica. Esso risulta caratterizzato da un disturbo delle
funzioni cognitive i cui tratti salienti sono la compromissione della memoria a breve e a
lungo termine che si associa alla compromissione di almeno una delle attività mentali
primarie, quali il pensiero astratto, la capacità critica, il linguaggio, l’orientamento
topografico; in assenza di alterazioni della coscienza e con significativa interferenza
nell’attività lavorativa delle relazioni interpersonali [1]; difatti in associazione al declino
cognitivo si evidenzia riduzione delle abilità nelle attività della vita quotidiana, inficiate in
modo progressivo e gerarchico [2].
Nella demenza si va incontro ad una riduzione complessiva dell’efficienza sia delle funzioni
cosiddette superiori, appunto, sia degli aspetti affettivi e motori.
Per il suo carattere di patologia acquisita, il quadro di demenza si instaura in un individuo che
fino ad un determinato momento ha normali capacità; esso deve quindi essere differenziato
da quadri di oligofrenia, i quali dipendono da patologie pre-, peri- o post-natali che
compromettono il normale sviluppo delle funzioni cognitive; va anche distinto dallo stato
confusionale, o delirio, che rappresenta una condizione transitoria di durata limitata, che può
variare da alcune ore a 1-2 giorni, caratterizzato da un’improvvisa confusione e alterazioni
delle funzioni cognitive che si verificano in associazione con malattie fisiche e/o mentali.
Nella maggior parte dei casi la causa del delirio risulta esser temporanea e reversibile (abuso
di droghe o di sostanze alcoliche, infezioni del tratto urinario, polmoniti, disturbi elettrolitici
4
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT e dell’equilibrio acido base, esposizioni a tossici ambientali), il che determina, una volta
impostato ed eseguito il trattamento causale, una risoluzione del quadro clinico con ritorno
alla normalità, viceversa, in assenza del venir meno degli agenti eziologici e del loro
trattamento, la condizione può avere progressione sfavorevole con evoluzione verso lo stato
comatoso.
1.1.1 Classificazione ed epidemiologia
Le demenze rappresentano la quarta causa di morte negli ultrasessantacinquenni e sono una
delle cause di disabilità più importanti nella popolazione anziana [3].
La prevalenza di demenza grave si aggira intorno al 4-5% della popolazione sopra i 65 anni e
cresce in funzione dell’età: è di circa l’1% nella fascia d’età 65-70 anni, ma supera il 30%
sopra gli 85 anni [4]. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno di estrema attualità
non solo nei paesi industrializzati, bensì anche nei paesi in via di sviluppo come conseguenza
dell’aumento della durata della vita media e della concomitante riduzione delle nascite. Una
stima statistica prevede, infatti, che nell’anno 2030 il numero di anziani aumenterà superando
la quota di 1,3 miliardi con un incremento rispetto agli anni ’90 pari al 180% [5].
Una delle ricerche più complete e rigorose eseguite in Italia per valutare la prevalenza,
l’incidenza e i fattori di rischio delle più importanti patologie età-correlate della popolazione
ultrasessantacinquenne
è
rappresentata
dallo
Studio
longitudinale
italiano
sull’invecchiamento (ILSA) eseguito nel 1995-1996. Da questo studio si evince che la
prevalenza della demenza in Italia è del 5,3% negli uomini e del 7,2% delle donne, con punte
intorno al 20% nei soggetti più anziani. Questi dati sono concordanti con quanto riportato in
analoghe ricerche condotte in Europa che indicano un’elevata frequenza di tale patologia, che
ha costi molto elevati sia sul piano sociale che sanitario, sia per costi diretti, che per quelli
indiretti. Nella figura 1.1 si vede come la prevalenza raddoppi approssimativamente ogni
cinque anni di età tra i 65 e gli 85 anni [6].
5
Figura 1.1: Prevalenza della demenza in Italia (Studio ILSA, 1995-­‐1996). Sebbene notevoli siano gli avanzamenti nella conoscenza delle basi biologiche e delle
manifestazioni cliniche delle forme di demenza più frequenti, la storia naturale della malattia
di Alzheimer e delle principali forme di demenze degenerative non è stata ancora del tutto
chiarita [7].
All’interno del grande gruppo delle demenze vanno distinti sottogruppi ascrivibili a differente
natura: degenerativa, vascolare (infarti multipli, stato lacunare, infarti di confine, Malattia di
Binswanger, anossia e ipossia, aneurismi e MAV), carenziale (deficit di vitamina B12,
sindrome di Kosakoff-Wernicke, Malattia di Marchiafava Bignami), metabolica ed endocrina
(patologia tiroidea, paratiroidea, malattie epatiche, malattia di Wilson, demenza dialitica),
tossica e da farmaci, infettiva (encefaliti, meningiti, malattie autoimmuni), tumorale e da
traumi cranici, demenze associate a malattie da prioni, da idrocefalo normoteso. Alcune di
queste condizioni sono trattabili, con terapia medica o chirurgica e rappresentano quelle
demenze definite reversibili. La classificazione delle demenze nei vari quadri morbosi è
riportata in Figura 1.2.
Vi è quindi una serie di quadri clinici internistiche che è d’uopo valutate, in sede di diagnosi,
al fine di escluderli, poiché se non trattati farmacologicamente, potrebbero esitare in una
demenza.; fra i più frequentemente riscontrati nella pratica clinica si ricorda: condizioni di
ipo/ipertiroidismo, insufficienza epatica, renale o respiratoria, deficit di vitamina B12 e di
6
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT acido folico. Va posta inoltre particolare attenzione alla presenza di eventuali disturbi
psichiatrici.
Figura 1.2: Modificata da C. Loeb, in Vascular and Multi-­‐Infarct Dementia, Futura Pubbl. Co. Inc., Mount Kisco, New York, 1988 Da un punto di vista neuropatologico le principali forme di demenza degenerativa (malattia di
Alzheimer, demenze fronto-temporali e malattia di Pick, malattia a corpi di Lewy) presentano
al loro interno una certa eterogeneità, sia dal punto di vista qualitativo (tipologia delle lesioni
neuropatologiche) che dal punto di vista quantitativo (estensione e distribuzione delle lesioni
stesse) [8], [9].
7
Ancor più dal punto di vista clinico le modalità di presentazione, la storia naturale, ovvero la
durata dei vari sintomi, l’interazione tra fattori cognitivi e non-cognitivi e la durata della
malattia stessa, presentano possibilità di variazioni interindividuali che rendono ardua la
descrizione di quadri clinici prototipali [10]. L’esordio stesso della malattia è caratterizzato
nelle sue fasi molto precoci da sintomi sfumati che vengono quasi sempre riconosciuti come
tali solo a posteriori, una volta che il quadro clinico si è manifestato in modo chiaro e
conclamato [11].
Le modalità di esordio e di progressione della demenza, con l’ausilio del neuroimaging, sono
generalmente sufficienti a differenziare le varie eziologie come riassunto in Figura 1.3.
Figura 1.3: Caratteristiche cliniche e radiologiche dei principali tipi di demenze degenerative [11]. La malattia di Alzheimer (AD) è la causa più frequente di demenza. Come si vede in figura
1.4, una ricerca condotta su soggetti americani con un’età superiore ai 71 anni mostra come il
70% dei casi di demenza sia di tipo Alzheimer; la demenza vascolare riguarda il 17% dei casi
8
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT mentre gli altri tipi di demenza, inclusi malattia di Parkinson, demenza a corpi di Lewy,
demenza fronto-temporale e demenza da idrocefalo normoteso, coinvolgono il restante 13%
della popolazione in esame. Dalla stessa ricerca emerge come la proporzione di demenza
causata da malattia di Alzheimer aumenti con l’età. In persone con un’età pari o superiore a
90 anni, l’AD raggiunge l’80% dei casi, contro il 47% nelle persone tra i 70 e i 79 anni [12].
Figura 1.4: Cause di demenza in soggetti con più di 71 anni (12) E’ possibile ipotizzare che nelle demenze degenerative, e in particolare nell’AD, ci sia una
fase di malattia caratterizzata solo da alterazioni biologiche senza manifestazioni cliniche e
una fase in cui i sintomi sono sfumati e lievi, tali da non permettere di porre una diagnosi
sindromica di demenza (tabella 1.1) Ed è proprio ai soggetti appartenenti a questo gruppo, che attualmente è definito come Mild
Cognitive Impairment, che questo lavoro pone rilievo.
9
Fasi cliniche della malattia
Fase
preclinica
Fase
prodromica
Inizio dei sintomi
cognitivi e
comportamentali
⇑
⇑
⇑
Compromissione
sociale e
funzionale
Progressione dei
sintomi cognitivi
comportamentali
e dei deficit
funzionali
Istituzionalizzazione,
complicanze
Morte
⇑
⇑
⇑
⇑
5/6
2/3
Diagnosi
Anni
?
?
1/2
0
Tabella 1.1: La storia della malattia di Alzheimer (da Bianchetti, Metitieri & Leorin, 2000). 1.2 Mild Cognitive Impairment
1.2.1 Definizione: cenni storici
Il concetto di Mild Cognitive Impairment (MCI) è stato introdotto per definire la fase di
transizione tra l’invecchiamento normale e il quadro patologico di demenza. Si riferisce ad
una popolazione di soggetti anziani (età maggiore a 65 anni) che, a fronte di un subclinico
deficit cognitivo, non sono compromessi nella loro funzionalità quotidiana, e che sono
potenzialmente a rischio di sviluppare la demenza di Alzheimer [13].
Dal punto di vista clinico questa condizione è stata codificata negli anni con varie definizioni
e classificazioni al fine di individuare, in modo sempre più dettagliato e funzionale al lavoro
dei clinici e dei ricercatori, una condizione pre-demenza sulla quale intervenire.
10
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Definizione
Autore
Caratteristiche
Smemoratezza senile
benigna
Perdita di memoria legata
all’età
Kral
Disturbi di memoria
Crook et al
Dimenticanze in età senile
Blackford and LaRue
Declini cognitivo associato
all’età
Deterioramento cognitivo
età correlato
Mild cognitive decline
Levy et al
Mild neurocognitive decline
DSM IV
Deficit cognitivo in assenza
di demenza
Graham et al.
Mild cognitive impairment
Petersen et al.
Deterioramento
mensico
dimostrato da una riduzione
nei test cognitive formali
Come “As age-associated
memory impairment”, ma con
una riduzione > 50% in una
specifica batteria testistica
Deterioramento in uno dei
test cognitivi
Oggettivo
declino
nelle
abilità cognitive
Disturbo
della
memoria
d’apprendimento
e
di
concentrazione dimostrato nei
test
Deficit di memoria di
apprendimento,
deficit
linguistico e delle funzioni
esecutive
Deterioramento
mensico
circoscritto e basso punteggio
al MMSE
Riferiti disturbi mnesici,
deficit nei test cognitivi e
quadro cognitivo globale
nella norma
DSM IV
ICD-10
Tabella 1.2: Terminologia per la descrizione della condizione di demenza iniziale [14]. Nel 1962 è stato introdotto il termine benign senescent forgetfullness (smemoratezza senile
benigna) per indicare una perdita di memoria lieve, relativamente non progressiva, legata
all’invecchiamento normale [15]. Questo termine, per quanto generico, rappresenta il primo
tentativo di differenziare da un punto di vista clinico la demenza vera e propria, dalle
modificazioni cognitive e comportamentali riscontrabili nelle persone anziane e legate, in via
ipotetica, al processo fisiologico di invecchiamento.
In seguito sono stati utilizzati termini più precisi da un punto di vista clinico.
Il gruppo di lavoro del National Institute of Mental Health americano ha introdotto, nel 1986,
la categoria nosografia dell’Age-Associated Memory Impairment (AAMI, perdita di memoria
legata all’età) per definire un disturbo di memoria lieve dell’anziano, non correlato ad altri
11
deficit neuropsicologici o a processi patologici causali, di entità tale da non interferire con la
vita quotidiana. I criteri per la diagnosi di AAMI prevedono la presenza di un disturbo
soggettivo di memoria in un soggetto con età superiore ai 50 anni, un deficit di memoria in
test standardizzati (punteggio di almeno 1 deviazione standard inferiore rispetto alla media
dei soggetti adulti in almeno uno di tre test di memoria), un livello intellettivo normale, una
cognitività globale conservata (Mini Mental State Examination di 24/30 o superiore) e
assenza di ogni altra condizione che possa determinare deterioramento cognitivo [16]. Già nei
primi anni ’90 l’approfondimento sull’AAMI si è affievolito di fronte alla difficoltà di
catturare, all’interno dell’ampia variabilità di performance mnesica e cognitiva dell’età
anziana, quei casi che rappresentano una deviazione rispetto ad una precedente prestazione, e
che quindi sono verosimilmente evolutivi in senso peggiorativo. Il fallimento di questa entità
clinica è da ricondurre alla mancanza di un vero correlato clinico: a fronte di una definizione
testistica, infatti, non era possibile riconoscere nella pratica clinica chi fosse il “paziente
AAMI”.
Nel corso della storia sono stati proposti e utilizzati altri termini e definizioni per classificare
i soggetti anziani non affetti da demenza che presentano un qualche grado di deterioramento
cognitivo.
Nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali IV è stato incluso il termine Age-Related
Cognitive Decline (deterioramento cognitivo età-correlato) per definire un declino delle
funzioni cognitive identificato in modo obiettivo conseguente al processo di invecchiamento,
non attribuibile a malattia mentale o neurologica [1].
L’International Psychogeriatric Association ha proposto la definizione di Aging-Associated
Cognitive Decline (AACD, declino cognitivo associato all’invecchiamento) per riferirsi ai
multipli domini cognitivi che si presume decadano nell’invecchiamento normale; rispetto
all’AAMI i criteri per l’AACD prevedono una valutazione neuropsicologica più estesa, non
limitata alla memoria, in associazione a standard di riferimento specifici per l’età e il livello
d’istruzione [17].
Nel 1997 viene introdotto il modello del Cognitive Impairment no Dementia (CIND) per
identificare funzioni cognitive lievemente deficitarie, ma insufficienti per costituire una
demenza [18]. Esso venne utilizzato all’interno di studi epidemiologici di popolazione come
il Canadian Study of Health and Aging [18] e l’Indianapolis Study of Health and Aging [19],
che hanno incluso tutti gli individui con una condizione tra il quadro di normalità e il quadro
di demenza. Questo modello rappresentava numerosi quadri sottostanti al quadro clinico, tra i
12
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT quali il disturbo circoscritto di memoria, l’abuso cronico di alcool e droghe, le malattie
psichiatriche, il ritardo mentale, i disturbi di origine vascolare. Il CIND rappresentava
pertanto una condizione che in potenza convertibile o meno a demenza.
Nel 1999 il gruppo di studio della Mayo Clinic definisce la condizione di Mild Cognitive
Impairment (MCI) e ne descrisse la storia naturale [13].
Lo studio di Petersen e colleghi prevedeva la valutazione di soggetti che venivano indirizzati
alla Mayo Clinic perché il soggetto stesso o un familiare, durante una delle valutazioni
mediche esprimevano ansietà riguardo alla funzione cognitiva o perché il medico evidenziava
un cambiamento cognitivo del soggetto in esame. Dopo una completa valutazione
anamnestica, neuropsicologica, laboratoristica e strumentale, atta all’esclusione dallo studio i
pazienti con malattia di Alzheimer anche di lieve gravità o quadri di demenza definiti
reversibili (paragrafo 1.1.1), la diagnosi di MCI veniva posta in presenza di un disturbo di
memoria senza impatto sulle funzioni delle attività nella vita quotidiana e con conservazione
della funzione cognitiva globale, in assenza di demenza, ma con un punteggio, ai test di
memoria, inferiore rispetto a soggetti di pari età e scolarità (
Tabella 1.3).
In questa prima definizione, quindi, il concetto di MCI fa riferimento ad un disturbo molto
sfumato della memoria, che verrà successivamente definito come MCI di tipo amnesico
(amnestic MCI), con performance, nelle rimanenti aree cognitive, nella norma. I disturbi di
memoria soggettivi acquistano così un ruolo “centrale”, così come l’indicazione di punteggi
cut-off riferiti alle prestazioni psicometriche nei test per la memoria.
Tuttavia questo iniziale concetto di MCI rivela ben presto una certa “debolezza” operativa,
per quanto riguarda l’applicazione pratica nel contesto clinico della definizione di MCI.
Successivamente, infatti, il gruppo di Petersen (2004) è intervenuto diverse volte al fine di
ridurre l’ambiguità di alcune definizioni e facilitare l’applicazione dei criteri stessi,
apportando modifiche rispetto alla formulazione originaria, sia dei criteri, sia delle
classificazioni.
Ha prospettato difatti, la possibilità che l’MCI si possa manifestare in forme diverse dal
caratteristico difetto isolato di memoria, includendo una più vasta tipologia di deficit
cognitivi e di sottotipi clinici con differenti possibili eziologie: degenerative, vascolari,
psichiatriche.
13
A) Disturbo di memoria definito come la presenza di almeno uno dei seguenti:
a) riferito direttamente dal soggetto
b) riferito da un familiare
c) riferito dal medico curante
B) Presenza di tutte le seguenti caratteristiche:
1.
assenza di impatto funzionale
2.
test di cognitività globale normale (entro 0.5 deviazioni standard dalla media di
soggetti di controllo di pari età e scolarità
3.
test di memoria anormali per l’età (1.5 deviazioni standard al di sotto della media
di soggetti di controllo di pari età e scolarità)
4.
assenza di demenza
C) La diagnosi viene raggiunta per consenso tra il neurologo, il geriatra, il
neuropsicologo, l'infermiere e le altre figure professionali che hanno valutato il
soggetto attraverso i seguenti strumenti diagnostici:
1.
valutazione clinica
anamnesi (con paziente e familiare)
esame obiettivo neurologico
Short Test of Mental Status
Geriatric Depression Scale di Yesavage
Hachinski Ischemic Score
Record of Indipendent Living
2.
valutazione neuropsicologica
Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised
Wechsler Memory Scale-Revised
Auditory Verbal Learning Test
Wide-Range Achievement Test-III
3.
esami di laboratorio
emocromo
VES
vitamina B12 e acido folico
funzione tiroidea
TPHA
4.
esami strumentali
TC o RM encefalica
se indicati: puntura
lombare,
EEG,dSPECT
Tabella 1.3: Criteri iagnostici e relativi strumenti per la definizione di MCI [13]. Esistono diversi sottotipi clinici di MCI (Figura 1.5), oltre al già citato MCI amnesico (aMCI)
è stato, infatti, descritto un MCI multi dominio (mdMCI) che include i soggetti che presentano
14
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT deficit in più domini cognitivi, come per esempio il linguaggio, le funzioni esecutive, le
funzioni visuospaziali, in presenza o meno di compromissione della memoria. I soggetti in
cui è presente una compromissione della memoria vengono dunque definiti mdMCI + a,
mentre quelli senza compromissione della memoria vengono definiti mdMCI – a. Infine, un
ulteriore sottogruppo è definito MCI singolo dominio non amnesico (naMCI); questa
categoria include soggetti con difficoltà in un solo dominio cognitivo diverso dalla memoria
[20].
Figura 1.5: Schema diagnostico in grado di indirizzare verso una specifica forma di MCI [20]. I diversi tipi di MCI sembrerebbero avere un’eziologia differente ed essere prodromiche di
diversi tipi di demenza (malattia di Alzheimer, demenza vascolare, demenza frontotemporale, demenza a corpi di Lewy). Risulta perciò di notevole importanza caratterizzare
accuratamente le differenti forme di MCI, in particolare la variante a-MCI sembra evolvere
più frequentemente verso una Malattia di Alzheimer, mentre altri tipi verso altre forme di
demenza come rappresentato in Tabella 1.4 [21], [22].
Di fatto è possibile che tutte le demenze, in quanto patologie ad andamento cronico e
progressivo abbiano un proprio correlato stato di pre-demenza [6].
15
Classificazione Clinica CAUSE Degenariva Vascolare Psichiatrica Patologie Mediche Singolo dominio Demenza d'Alzheimer Depressione Multiplo dominio Demenza d'Alzheimer Demenza vascolare Depressione Singolo dominio Demenza fronto-­‐
temporale Multiplo dominio Demenza a corpi di Lewy Demenza vascolare Mild cognitive impairment Amnesico Mild cognitive impairment non amnesico Tabella 1.4: Classificazione dei sottotipi clinici del Mild Cognitive Impairment con le rispettive presunte eziologie, modificata da [20] Alla luce di queste evidenze sono stati formulati, successivamente al 1999, altri criteri
diagnostici per Mild Cognitive Impairment che tenessero conto della molteplicità clinica di
questo costrutto nosografico.
Successivamente ad una consensus conference (Stoccolma, 2003) è stata proposta una
revisione dei criteri che allarga la definizione di compromissione cognitiva, prevedendone la
presenza in qualsiasi area cognitiva (quindi non solo nell’ambito della memoria) e
specificando che le funzioni quotidiane devono essere conservate, seppur con un livello di
difficoltà nella loro esecuzione maggiore rispetto al precedente [23], [24]; (
Tabella 1.5). Sarebbe auspicabile, che l’intera comunità clinica/scientifica si accordasse sulle
aree cognitive da indagare, sugli strumenti neuropsicologici e quindi sui cut-off da utilizzare,
sulle problematiche per definire la compromissione funzionale sociale ed occupazionale. Di
fatto, ci si affida all’esperienza del clinico e al suo giudizio nella scelta degli strumenti
affinché i criteri vengano applicati nel modo più accurato possibile.
16
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Disturbo cognitivo definito come la presenza di almeno uno dei seguenti:
a) riferito direttamente dal soggetto
b) riferito dal familiare del soggetto
c) riferito dal medico curante
Presenza di tutte le seguenti caratteristiche:
1.
cambiamento dal normale grado di funzionamento declino
2.
declino in una qualsiasi area cognitiva
3.
mantenimento del funzionamento generale ma possibilmente
con maggiore difficoltà nel compiere le attività quotidiane
4.
assenza di demenza
Tabella 1.5: Criteri diagnostici rivisitati per la definizione di MCI [23]. L’ultimo passo effettuato in questo percorso di definizione della condizione pre-clinica di
demenza è stato effettuato nel maggio 2011 quando il National Institute on Aging e
l’Alzheimer Association hanno (NIA-AA) pubblicato una revisione dei criteri diagnostici per
la fase sintomatica della malattia d’Alzheimer e per la fase prodromica della stessa. Per una
più approfondita trattazione della tematica si rimanda più avanti nel testo (paragrafo 1.2.7).
A ulteriore riprova dell’esistenza e del riconoscimento, oramai da parte di tutta la comunità
scientifica, del costrutto nosologico della condizione pre-clinica della Demenza d’Alzheimer
che l’American Psychiatric Association proporrà, verosimilmente, nel prossimo DSM-V, la
distinzione tra Disturbo Neurocognitivo Maggiore e Minore secondo i criteri ivi descritti.
17
Major Neurocognitive Disorder A. Evidence of significant cognitive decline from a previous level of performance in one or more domains (complex attention; executive ability; learning and memory; language; visuoconstructional-­‐perceptual ability; social cognition) based on: 1. Reports by the patient or a knowledgeable informant, or observation by the clinician, of clear decline in specific abilities as outlined for specific domains in the table above. AND 2. Clear deficits in objective assessment of the relevant domain (typically > 2.0 SD below the mean [or th
below the 2.5 percentile] of an appropriate reference population [i.e., age, gender, education, premorbid intellect, and culturally adjusted]) B. The cognitive deficits are sufficient to interfere with independence (e.g., at a minimum requiring assistance with instrumental activities of daily living, i.e., more complex tasks such as finances or managing medications) C. The cognitive deficits do not occur exclusively in the context of a delirium. D. The cognitive deficits are not wholly or primarily attributable to another Axis I disorder (e.g., Major Depressive Disorder, Schizophrenia) Minor Neurocognitive Disorder A. Evidence of minor cognitive decline from a previous level of performance in one or more domains (complex attention; executive ability; learning and memory; language; visuoconstructional-­‐perceptual ability; social cognition) based on: 1. Reports by the patient or a knowledgeable informant, or observation by the clinician, of minor levels of decline in specific abilities as outlined for the specific domains above. Typically these will involve greater difficulty performing these tasks, or the use of compensatory strategies. AND 2. Mild deficits on objective cognitive assessment (typically 1 to 2.0 SD below the mean [or in the 2.5th to 16th percentile] of an appropriate reference population (i.e., age, gender, education, premorbid intellect, and culturally adjusted). When serial measurements are available, a significant (e.g., 0.5 SD) decline from the patient’s own baseline would serve as more definitive evidence of decline. B. The cognitive deficits are not sufficient to interfere with independence (Instrumental Activities of Daily Living are preserved), but greater effort and compensatory strategies may be required to maintain independence. C. The cognitive deficits do not occur exclusively in the context of a delirium. D. The cognitive deficits are not wholly or primarily attributable to another Axis I disorder (e.g., Major Depressive Disorder, Schizophrenia). 18
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT 1.2.2 Epidemiologia, tasso di incidenza del MCI e conversione ad AD
La prevalenza e l’incidenza di MCI amnesico nella popolazione in età superiore ai 65 anni
[25] varia a seconda dei criteri presi in considerazione e della loro combinazione dall’1,1 al
9,9% a fronte di una percentuale relativa al Disturbo Soggettivo di Memoria pari al 36%. La
prevalenza in pazienti ultranovantenni con MCI spazia, nei vari studi, dal 3% al 32% [26];
[27], [28].
Molti autori difatti, concordano nell’affermare che l’adozione di differenti criteri
metodologici nell’identificare i soggetti affetti da declino cognitivo non associato a demenza
influisca sulla stima dell’incidenza della patologia. Nonostante non ci sia consenso per
quanto riguarda questi dati epidemiologici di prevalenza ed incidenza, gli studi condotti, presi
insieme, dimostrano che un soggetto affetto da MCI presenta un aumentato rischio di
evolvere a demenza più di un soggetto normale di pari età [29]. La stima del tasso di
conversione in demenza varia notevolmente tra studio e studio; si passa infatti dal 4% al 40%
per quanto riguarda il tasso di conversione annuo [13], [30], [31], [22], fino al 20-50% in 2-3
anni [32].
Tali differenze sono dovute prevalentemente alle diversità concernenti il setting di
rilevazione e all’età della popolazione, a seconda dei criteri clinici e delle valutazioni
neuropsicologiche più o meno accurate utilizzate per la selezione dei pazienti [14].
I pazienti affetti da un MCI multiplo dominio hanno una probabilità significativamente
maggiore di sviluppare demenza rispetto a pazienti con un MCI amnesico [33].
Vi sono studi che riportano dati riguardanti la stabilità cognitiva di questi pazienti in un arco
temporale di circa 2-3 anni che sarebbe tale in circa il 60% dei pazienti in esame [30], [34],
[35].
Diversamente, vi sono studi dimostranti che fino al 44% dei soggetti definiti MCI
tornerebbero ad una condizione di normalità dopo un anno [36], [25]. Nello studio di Larrieu
del 2002 la maggior parte dei soggetti MCI a distanza di 5 anni dalla prima valutazione non
rispondevano più ai criteri utilizzati per la diagnosi di MCI e che, sulla base della valutazione
neuropsicologica standardizzata e quella clinica, risultavano nella norma [22]; ritorno a
parametri considerati normali che interessava quantità simili sia in soggetti inclusi come MCI
amnesici che come MCI non amnesici. Dato confermato anche dagli studi di Fisher
evidenzianti che, per la maggior parte dei soggetti MCI, non vi era stata conversione, a
19
distanza di 3 anni, a demenza e il 20% non rispondeva più ai criteri adottati per la diagnosi di
MCI [37].
Gli studi epidemiologici hanno evidenziato che molti sono i fattori oltre alla malattia
neurodegenerativa che influenzano le performance cognitive nella popolazione anziana: la
scolarità, i fattori di rischio vascolari, lo stato psichiatrico, il background genetico, i
cambiamenti ormonali, l’assunzione di farmaci anticolinergici; questi fattori potrebbero
spiegare la reversibilità in alcuni casi del Mild Cognitive Impairment.
I pazienti che si rivolgono a centri specializzati come le memory clinic, (centri U.V.A in
Italia), sono diversi dalla popolazione generale in quanto essi esperiscono un disturbo di
memoria tale da condurli a rivolgersi ad un medico. In questi centri la diagnosi viene
formulata sulla base di un’attenta ed approfondita valutazione clinica, neuropsicologica e
strumentale. In questi setting specifici di ricerca, la percentuale di soggetti con MCI che
progrediscono a demenza è variabile e spesso maggiore rispetto a quella mostrata dagli studi
epidemiologici.
In conclusione, l’applicazione degli stessi criteri per MCI amnesico applicata a soggetti con
caratteristiche cliniche simili alla baseline, può portare a differenti percentuali di
progressione. Molti sono i fattori che contribuiscono a tale variabilità: la provenienza dei
soggetti, l’utilizzo di criteri specifici, i metodi per implementare i criteri, la scelta degli
strumenti e dei cut-off da parte dei ricercatori, la lunghezza del follow-up, l’eventuale
presenza di un contributo di diagnostica strumentale e l’esperienza del personale coinvolto.
Questi risultati suggeriscono la necessità di ampliare i criteri clinici per MCI includendo la
storia e la durata dei sintomi e conoscenze più esplicite riguardo ai criteri di esclusione
applicati nei vari studi. Si rende necessario sviluppare misure neuropsicologiche e funzionali
appropriate e sensibili, metodi pratici e standardizzabili per valutare la progressione,
strumenti sensibili per diverse realtà culturali.
1.2.3 MCI e Fattori di rischio
L’individuazione di fattori di rischio per l’MCI è un compito alquanto complesso dal
momento in cui vi sono numerose malattie neurologiche, sistemiche e psichiatriche che
possono causare disturbi cognitivi di lieve entità [38], ma risulta tuttavia imprescindibile
20
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT considerare la presenza di una molteplicità di fattori di rischio al fine di aumentare
l’accuratezza diagnostica in fase preclinica.
Pazienti anziani con malattia cerebrovascolare [39], con lesioni della sostanza bianca [40],
2000), diabete mellito [41], ipertensione e malattie cardiovascolari [42] o depressione [43]
possono presentare anche lievi deficit cognitivi.
La presenza di mutazioni genetiche gioca un ruolo molto importante nella diagnosi di
Malattia di Alzheimer. Se infatti è presente una forma autosomica dominante di Malattia di
Alzheimer (ad es. mutazione in APP, PS1, PS2), lo sviluppo dell’ MCI è molto probabilmente
prodromico di demenza di Alzheimer. La maggior parte di questi pazienti svilupperà la
malattia precocemente (età di esordio < 65 anni) [44].
Fattori di rischio per la demenza di Alzheimer comprendono: età, familiarità per demenza,
sesso femminile, bassa scolarità, patologie cerebrovascolari, precedente trauma cranico [26].
Per quanto riguarda specificamente l’entità nosologica del MCI sono stati individuati fattori
di rischio di tipo cardiovascolare e l’Apo ε4 [45].
Fattori di rischio cardiovascolari
Studi longitudinali di popolazione hanno suggerito che i fattori di rischio vascolare svolgono
un ruolo importante nello sviluppo della Malattia di Alzheimer [46]; [47]. I fattori di rischio
vascolare risultano esser associati anche con forme più lievi di compromissione cognitiva
[48]. Studi con lunghi follow-up hanno indicato che livelli di ipertensione arteriosa [49] e di
ipercolesterolemia [46] possono rappresentare fattori di rischio di riduzione delle
performance cognitive nel paziente anziano.
È necessario però ricordare che studi con follow-up nel breve arco di tempo hanno mostrato
risultati contrastanti [50], [51].
Verosimilmente ciò è dovuto al fatto che nei vari studi vengono usate differenti definizioni di
“compromissione cognitiva”, determinando diversi criteri di inclusione con conseguente
limitazione nel confronto dei risultati fra i vari studi. Lo studio di Kivipelto e coll. [46] ha
specificamente investigato la relazione tra fattori di rischio vascolare e MCI definito secondo
i criteri di Petersen [31], [13] concludendo che la presenza di tali fattori, durante la mezz’età,
aumenterebbe il rischio di sviluppare, in età avanzata, il MCI.
21
L’ Apo ε4
L’allele ε4 dell’apolipoproteina E è noto per essere un fattore di rischio per le malattie
vascolari [52] e per la malattia d’Alzheimer [53]. È stato proposto che ci potrebbe essere una
relazione tra Apo ε4 e arteriosclerosi nell’eziologia della Malattia di Alzheimer [54].
Esistono inoltre influenze genetiche nello sviluppo di demenza nella fase tardiva dell’AD. Ad
oggi, la presenza di uno o due alleli ε4 del gene apolipoproteina E è in linea di massima
l’unica variabile genetica riconosciuta aumentare il rischio di demenza nella fase avanzata
dell’AD, mentre l’allele ε2 sembrerebbe diminuire il rischio.
In un recente studio giapponese [55] è stato verificata una maggior frequenza di Apo ε4 in
pazienti con MCIa, suggerendo per quest’ultimi un maggior rischio di sviluppo di AD in
futuro, rispetto ai soggetti affetti da MCI non amnesico.
Un ulteriore conferma della relazione fra Apo ε4 e AD è dato dallo studio di Whiterair del
2010 [56] che ha verificato che i soggetti portatori di Apo ε4 dimostrano un declino cognitivo
molto più rapido in termini di prestazioni in tutti i domini cognitivi e funzionali rispetto ai
non portatori di Apo ε4 (il maggior calo è stato visualizzato in misure globali della cognitività
e della funzione tra cui la scala CDR (Clinical Diagnostic Rating Scale), seguita dal Mini
Mental State Examination).
Il valore dell’Apo ε4 assume notevole importanza anche alla luce dei nuovi criteri per la
diagnosi di MCI dovuto a Malattia d’Alzheimer, in particolar modo per i criteri utilizzabili in
ambito di ricerca [57], (si rimanda paragrafo 1.2.7 per una più approfondita trattazione della
tematica).
L’insieme delle ricerche in atto evidenzia quanto l’individuazione di fattori di rischio
specifici per il MCI sia, allo stato attuale, ancora ampiamente dibattuto in letteratura.
1.2.4 MCI e disturbi comportamentali
E’ noto che disturbi psico-comportamentali siano presenti nella maggior parte dei pazienti
con demenza, e c’è crescente consapevolezza che anche nel paziente affetto da MCI ci sia una
componente neuropsichiatrica. Tra i maggiori studi condotti quello pubblicato dal gruppo di
DeKosky mostra che circa il 50% dei soggetti MCI presenta sintomi neuropsichiatrici,
clinicamente significativi, nei mesi precedenti alla comparsa dei disturbi cognitivi [58].
22
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Risultati sono stati confermati da un altro studio condotto dal gruppo di Cummings, in cui si
dimostra come nei soggetti MCI i sintomi non cognitivi più frequenti siano: depressione
(39%), apatia (39%), irritabilità (29%), ansia (25%), la cui prevalenza è simile a quella
registrata nei soggetti con AD lieve, mentre è significativamente superiore a quella dei
soggetti di controllo, in assenza di decadimento cognitivo; al contrario invece, i sintomi
psicotici (ideazione delirante e allucinazioni) sono molto più frequenti nello stadio iniziale di
AD rispetto al MCI [59]. La presenza di segni psicologici e comportamentali sarebbe
predittiva quindi di progressione di malattia; in particolare i sintomi depressivi [60] e quadri
di apatia in particolar modo [61], secondo alcuni studi, sarebbero fattori di rischio per
conversione a demenza. Risulta quindi rilevante la valutazione anche di sintomi non
cognitivi, che potrebbero rappresentare importanti prodromi di malattie quali la demenza
fronto-temporale o la demenza a corpi di Lewy nelle quali questa sintomatologia psicocomportamentale riveste un ruolo cardine nella loro caratterizzazione.
1.2.5 MCI e compromissione funzionale
Un altro punto che rimane di difficile definizione riguarda il grado di compromissione
funzionale del soggetto con MCI. Dati provenienti dagli studi epidemiologici mostrano che
negli individui con MCI è frequente una lieve difficoltà nello svolgere le attività quotidiane
(per esempio hobby, attività sociali, gestione delle finanze) già due anni prima della diagnosi
di demenza [62], mentre la comparsa di difficoltà in altre attività quali l’uso del telefono,
l’assunzione corretta dei farmaci prescritti, guidare l’automobile, segna il passaggio ad una
condizione di demenza [63]. Questi dati rimangono tuttavia discutibili, in quanto, come
ricordato precedentemente, non esistono criteri che definiscano in modo esplicito quale deve
essere il grado di compromissione funzionale per definire lo stato di demenza. Il consenso
comune prevalente in letteratura è che il soggetto con MCI debba essere in grado di svolgere
autonomamente le attività strumentali, più complesse, della vita quotidiana, anche se
eventualmente con maggiore difficoltà, ma non esiste ad oggi nessuna indicazione specifica
riguardo a quali siano precisamente queste attività e quale strumento debba essere utilizzato
per valutarle. Possono essere utilizzate scale quali Instrumental Activities of Daily Living
[64] e Basic Activities of Daily Living [65] per la determinazione dello stato funzionale nelle
attività di base e strumentali della vita quotidiana (vedi paragrafo 3.2.2). Una corretta raccolta
23
anamnestica con il caregiver riguardo al livello di rendimento del soggetto negli hobby, nelle
attività sociali e quotidiane, è resta comunque alla base della diagnosi del soggetto con
disturbi cognitivi, anche se rimane tuttavia al giudizio del clinico interpretare le informazioni
raccolte.
1.2.6 Patofisiologia ed esami strumentali
Le indagini di neuroimaging e di elettrofisiologia per la diagnosi e il monitoraggio del MCI
risultano essere gli stessi usati per la demenza lieve. Diverse metodiche sono sensibili per
MCI tra cui le immagini di risonanza magnetica [66], la tomografia ad emissione di positroni
con fluorodesossiglucosio (FDG-PET) [67] e l’elettroencefalografia quantitativa [68].
Studi di neuroimaging hanno evidenziato la presenza di correlati neuroradiologici del Mild
Cognitive Impairment e la possibilità di utilizzare alcuni parametri radiologici come fattori
predittivi di conversione. Nello specifico, l’atrofia ippocampale si associa a MCI amnesico e
la misura di tale parametro è predittore di conversione ad AD [69]; allo stesso modo, in questi
soggetti sarebbe evidente la presenza di atrofia del lobo temporale medio ed inferiore con
coinvolgimento anche del lobo temporale posteriore e della corteccia associativa parietale,
mentre in soggetti con MCI non amnesico e disturbi del linguaggio sarebbe presente atrofia
della parte anteriore del lobo temporale di sinistra; infine, soggetti con MCI non amnesico e
disturbi attentivi, delle funzioni esecutive, presenterebbero atrofia dei nuclei della base e
dell’ipotalamo [70].
Il ruolo della deposizione dell’amiloide e della formazione dei grovigli neurofibrillari nel
MCI non è ancora completamente noto. Ci sono, tuttavia, evidenze del fatto che, rispetto ai
soggetti normali e ai soggetti con AD, i soggetti MCI abbiano una quantità intermedia di
correlati neuropatologici della malattia di Alzheimer a livello temporo-mesiale [71], [72].
La presenza di ipometabolismo alla FDG-PET, nella regione temporo-parietale bilaterale è
evidente nei soggetti con MCI rispetto ai soggetti normali e ha un elevato valore predittivo di
progressione a demenza [67].
Gli studi biologici su MCI hanno puntato l’attenzione su alcuni marcatori, quali la proteina τ
totale, gli epitopi di fosfotau e la forma a 42 aminoacidi della proteina β amiloide. Specifici
epitopi di fosfotau soddisferebbero i criteri per candidarsi a marcatore biologico ideale, dando
la possibilità di fare diagnosi precoce [73].
24
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT 1.2.7 I nuovi criteri per la diagnosi di MCI dovuto a malattia di Alzheimer
In letteratura sono stati nel tempo utilizzati diversi criteri per definire soggetti con MCI e lo
sforzo dei ricercatori è quello di caratterizzare al meglio gli aspetti clinici rilevanti di questa
condizione affinché si giunga ad una definizione più specifica [74].
La realtà dell’MCI rimane infatti, al di là dei differenti criteri classificativi, un’entità posta tra
il normale invecchiamento e la demenza, i cui stessi criteri diagnostici non sembravano
chiarire le questioni relative alla natura del riferito disturbo di memoria, così come quelle
concernenti la scelta degli strumenti neuropsicologici atti a valutare le prestazioni cognitive,
memoria inclusa. È proprio nell’ottica di avere strumenti più specifici e chiarificatori per
l’attività clinica e di ricerca che il National Institute on Aging e l’Alzheimer Association
hanno recentemente (NIA-AA) (maggio 2011) pubblicato una revisione dei criteri diagnostici
per la fase sintomatica della malattia d’Alzheimer [75] e per la fase prodromica della stessa
[57], poiché numerosi progressi sono stati effettuati nello studio e nella comprensione dei
processi fisio-patologici sottostanti e delle manifestazioni cliniche dell’AD.
I criteri che fino ad allora venivano universalmente utilizzati furono elaborati dal National
Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke (NINCDS) e
dall’Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association (ADRDA) workgroup nel 1984,
e da allora erano applicati senza rivisitazione alcuna. Il gruppo di lavoro ha quindi stilato:
a) una revisione dei criteri per la diagnosi di demenza dovuta a malattia di Alzheimer [75];
b) i criteri per la diagnosi di MCI dovuto a malattia di Alzheimer [57];
c) i criteri per la definizione degli stadi preclinici della malattia di Alzheimer [76] .
Analizzando la revisione per quanto concerne la tematica di MCI è stato opportuno fornire
questi nuovi strumenti ai clinici e ai ricercatori per differenti motivazioni:
°
Le tipiche lesioni patologiche dell’AD (placche di β amiloide e grovigli neurofibrillari
(paragrafo 1.2.6)) possono essere riscontrate sia in soggetti cognitivamente normali,
sia in coloro che presentano un quadro di MCI sia nelle persone affette da demenza. È
stato quindi introdotto l’utilizzo del termine “processo fisio-patologico della malattia
di Alzheimer” per indicare le modificazioni biologiche antemortem che precedono la
diagnosi neuropatologica postmortem di AD e che sono correlate con le lesioni
neuropatologiche
caratteristiche
della
malattia
(placche
amiloidee,
grovigli
neurofibrillari), distinguendo così il termine” MCI dovuto a malattia d’Alzheimer” da
25
“Demenza dovuta a malattia di Alzheimer (demenza AD)”, riferendosi quest’ultimo
alla sindrome clinica che compare come conseguenza del processo fisiopatologico
dell’AD.
°
L’inclusione nel processo decisionale (non prevista nei criteri del 1984) dei risultati
dell’imaging con RMN, PET e l’analisi del liquido cefalorachidiano, cioè di
biomarcatori (si veda più avanti nel testo).
°
L’implicazione che il deficit di memoria è sempre il deficit cognitivo primario in tutti
i pazienti con demenza AD è stata rivalutata; l’esperienza ha mostrato infatti che vi
sono molte presentazioni non- amnesiche del processo fisiopatologico dell’AD.
°
L’estrema eterogeneità della categoria della demenza AD “possibile”, che include un
gruppo di pazienti che potrebbero essere oggi classificati come MCI.
Mentre i criteri clinici riguardanti la “Demenza dovuta a malattia d’Alzheimer” [75] e quelli
riguardanti “MCI dovuto a malattia d’Alzheimer” [57] sono stati elaborati con l’intento di
guidare la diagnosi in ambito clinico, le raccomandazioni per la fase preclinica dell’AD [76]
sono intese per scopi di ricerca.
Vengono distinti due categorie principali di criteri diagnostici di “MCI dovuto a malattia
d’Alzheimer”:
1) I Core Clinical Criteria, che rappresentano i criteri da utilizzare nella pratica clinica
quotidiana. Tali criteri possono essere utilizzati in qualsiasi ambiente, senza la necessità di
strumenti o procedure altamente specializzate.
2) I Clinical Reserch Criteria, che invece prevedono l'uso di biomarkers e che sono
attualmente destinati ad essere utilizzati solo in contesti di ricerca.
Questa divisione risulta esser necessaria dal momento in cui, attualmente, l’utilizzo dei
biomarcatori risulta essere difficoltoso su larga scala per le esistenti limitazioni rispetto alla
standardizzazione delle misurazioni degli stessi da un distretto di ricerca ad un altro, per le
limitate conoscenze dei cut-off dei biomarcatori utili per effettuare diagnosi.
1) CORE CLINICAL CRITERIA
La valutazione clinica e cognitiva per MCI dovuto a Malattia di Alzheimer prevede diversi
aspetti così da stabilire i Criteri clinici e cognitivi:
26
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Il declino cognitivo viene essere documentato attraverso l’anamnesi fornita dal
paziente, preferibilmente confrontata e/o confermata da un caregiver, o sulla base
dell’osservazione del paziente da parte del clinico.
Deve essere obiettivata l’evidenza di deterioramento in uno o più domini cognitivi,
con particolare interessamento della memoria (test formali o al letto in grado di stabilire il
livello delle abilità cognitive in multipli domini sia mnesici che non) al di fuori del range di
normalità (<1,5 deviazioni standard) per soggetti di pari età e scolarità; la memoria
solitamente è il dominio cognitivo maggiormente coinvolto in pazienti che evolveranno
progressivamente verso una demenza AD.
Mantenimento dell’indipendenza nelle abilità funzionali quotidiana (o con minimo
aiuto o minima assistenza), pur sussistendo lievi deficit soprattutto in riferimento a compiti
complessi (le persone affette fa MCI avranno comunemente maggiori problemi nell’eseguire
compiti, in precedenza svolti senza problemi, richiedere più tempo, essere meno efficienti e
compiere più errori che nel passato nello svolgimento di attività quali pagare le bollette,
preparare un pasto, o fare shopping). Le modificazioni cognitive dovrebbero essere
sufficientemente lievi da non avere impatto nella vita sociale o lavorativa del soggetto.
Assenza di demenza.
È necessario inoltre esaminare l’eziologia del MCI consistente con la fisiopatologia
propria della AD:
Escludere, dove possibile, le cause vascolari, traumatiche e mediche del
deterioramento cognitivo.
Provvedere, quando possibile, a valutazioni longitudinali in grado di evidenziare il
deterioramento cognitivo.
Riportare la storia di fattori genetici consistenti con la malattia di Alzheimer, quando
rilevanti.
Va sottolineato che la diagnosi di MCI richiede la presenza di un cambiamento individuale.
Se un individuo è stato valutato solo una volta, il cambiamento dovrà essere dedotto dalla
storia e/o dall’evidenza che la performance cognitiva è minore di quanto previsto per quella
persona. Valutazioni consecutive sono da ritenersi il percorso diagnostico ottimale.
27
E’ necessario ottenere un assessment cognitivo longitudinale, quando possibile; infatti,
un’analisi obiettiva del declino cognitivo è importante soprattutto al fine di formulare
accuratamente un’ipotesi diagnostica e conseguentemente possibili trattamenti.
La dimostrazione è che un soggetto che soddisfa i criteri clinici, cognitivi ed eziologici per il
MCI, ed è anche positivo all’allele APOE ε4, molto probabilmente progredirà in demenza di
Alzheimer in meno anni rispetto ad un soggetto senza queste caratteristiche genetiche [77].
2) CLINICAL RESERCH CRITERIA
Criteri clinici per la ricerca (inclusione dei biomarkers)
Tre fondamentali questioni circa i soggetti affetti da MCI potrebbero ricevere risposta
attraverso l’uso dei biomarkers: 1) determinare l’eziologia della sindrome clinica che si
rivelerà importante nella scelta della terapia corretta, 2) determinare la probabilità che le
abilità cognitive e funzionali di un soggetto con MCI evolvano in una fase più grave di MCI o
in demenza e la probabilità che questa progressione avvenga in un periodo definito, 3) dato
che la velocità di progressione in demenza è importante, alcuni biomarker potrebbero avere
diversa utilità nello stabilire la velocità nel decorso del disturbo.
I biomarker potrebbero essere divisi in diverse classi:
alcuni riflettono direttamente la malattia di Alzheimer per la presenza di proteine
chiave, come la beta-amiloide (Aβ) e la τ, depositate a livello del cervello;
altri biomarker forniscono prove meno dirette o non specifiche per l’AD; questi
biomarker potrebbero comunque avere alcune specificità per l’AD;
altri biomarker ancora possono essere utili nel fornire la prova di una causa alternativa
non-AD.
Biomarker indicativi di deposito di Aβ
° Presenza nel liquor di Aβ1-42
° PET con studio deposito di amiloide
Biomarker indicativi di danno neuronale
° Presenza nel liquor di proteina τ e τ fosforilata
° Misure del volume ippocampale o di atrofia del lobo temporo-mesiale (misure volumetriche o
con valutazioni qualitative)
° Misure di atrofia cerebrale
° Immagini PET FDG
° SPECT cerebrale di perfusione
° Biomarker con meno studi di validazione: studi di attivazione con fMRI, MRI perfusione,
MRI spettroscopia, diffusion tensor imaging, voxel–based e misure multivariate
28
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Biomarker di interesse a biochimico
° Biomarker infiammatori (citochine)
° Stress ossidativo (isoprostani)
° Altri marker di danno sinaptico e di neuro degenerazione come da morte neuronale
Applicazione dei biomarker nella ricerca clinica sulla diagnosi di MCI dovuto a malattia
di Alzheimer
I dati presenti in letteratura suggeriscono che l’applicazione congiunta di criteri clinici e di
biomarkers può portare a vari livelli di certezza che il MCI sia dovuto ai processi
patofisiologici della malattia di Alzheimer.
Le due categorie di biomarker più studiate sono i biomarkers del deposito di beta amiloide
(CSF Aβ₄₂, PET amyloid imaging) e i biomarker di danno neuronale (CSF τ/p-τ, atrofia
ippocampale o del lobo temporale mediale, ipometabolismo o ipoperfusione alla PET o
SPECT). L’ipotesi è che l’evidenzia sia di deposito di Aβ sia di danno neuronale conferisca
la maggiore probabilità della presenza della patofisiologia dell’AD. Al contrario, la negatività
di tali biomarkers aumenta la probabilità di trovarsi di fronte ad altre patologie. Rimane
ancora da chiarire l’outcome probabile nel caso in cui i dati provenienti dai biomarkers siano
contrastanti.
Attualmente la misurazione di Aβ e di proteina τ nel CSF, il rapporto tra τ/Aβ₄₂ nel CSF, le
misure di amiloide alla PET e altri biomarkers di danno neuronale, come l’atrofia
ippocampale e l’ipometabolismo temporo-parietale, si sono dimostrati predittivi di
progressione da MCI a demenza. Non è ancora chiaro se una di queste misure o una
combinazione di esse sia più sensibile di altre alla conversione a demenza e se un valore
quantitativo sia più informativo di un valore dicotomico. Infatti, sebbene solitamente si
considerino i biomarkers come “positivi” o “negativi”, è riconosciuto che diversi livelli di
anormalità possano conferire differenti probabilità di progressione della malattia.
Di seguito si descrive lo schema probabilistico del modo in cui i biomarkers possono essere
usati per aumentare l’accuratezza diagnostica. E’ necessario considerare, tuttavia, che tale
schema probabilistico necessita di essere verificato attraverso ulteriori studi.
• Biomarker che indicano un’ALTA PROBABILITÀ che la sindrome MCI sia
dovuta a Malattia d’Alzheimer
-Biomarker Aβ positivo e biomarkers di danno neuronale positivi.
L’evidenza fino ad oggi indica che questi biomarker conferiscono la più alta probabilità che il
processo fisiopatologico della Malattia d’Alzheimer sia la causa della disfunzione cognitiva.
29
In aggiunta, i soggetti con questo profilo di biomarker, hanno più probabilità di progredire
verso Demenza dovuta a Malattia d’Alzheimer in periodi relativamente brevi.
• Biomarker che indicano un’INTERMEDIA PROBABILITÀ che la sindrome MCI
sia dovuta a Malattia d’Alzheimer
-Biomarker Aβ positivo e biomarkers di danno neuronale non esaminati o non è stato
possibile esaminarli.
Oppure
- Biomarkers di danno neuronale positivi e biomarker Aβ non esaminato o non è
stato possibile esaminarlo.
• Situazione in cui le informazioni derivanti dai biomarker non sono informative
- I risultati cadono in intervalli dubbi (non chiaramente positivi o negativi) oppure i
biomarkers risultano in contrasto tra loro. In questa categoria vi sono anche gli
individui per i quali non son stati ottenuti i biomarcatori.
• Biomarker che suggeriscono che la sindrome MCI non è probabilmente dovuta a
Malattia d’Alzheimer
-Biomarker per Aβ e per danno neuronale entrambi negativi.
Terminologia proposta per classificare individui con “MCI dovuto a Malattia
d’Alzheimer” con diversi livelli di certezza
In tabella 1.6 è riportata la terminologia “MCI dovuto a Malattia d’Alzheimer”, incorporando
l’utilizzo dei biomarkers. Come precedentemente riportato è pienamente riconosciuto il fatto
che ci sono delle limitazioni rispetto alle conoscenze di questi biomarkers. Questi criteri sono
stilati per l’utilizzo degli stessi nelle situazioni di ricerca clinica, così da permettere, nel
corso del tempo, il miglioramento dei criteri stessi.
30
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT Categoria diagnostica
Probabilità dei biomarker
d’eziologia di AD
MCI criteri clinici di
base
Non informativi
MCI dovuto a AD
Probabilità intermedia
Intermedia
MCI dovuto a AD
Probabilità elevata
MCI dovuto a AD
Probabilità bassa
Aβ
(PET o CSF)
Contrastante/
indeterminato/
non esaminato
Positivo
Danno neuronale
(τ, FDG, sMRI)
Contrastante/
indeterminato/
non esaminato
Non esaminato
Non esaminato
Positivo
La più elevata
Positivo
Positivo
La più bassa
Negativo
Negativo
Tabella 1.6: Criteri MCI comprendenti i biomarkers 1.2.8 Il trattamento
Ad oggi non ci sono indicazioni per il trattamento di pazienti con MCI. Diversi studi sono in
corso per testare agenti utilizzati nella malattia di Alzheimer (inibitori dell’acetilcolinesterasi,
antinfiammatori, statine, terapia antiamiloidee, antiossidanti e vitamina E) anche nel MCI, ma
il naturale assunto che l’intervento precoce possa ridurre il rischio della malattia rimane da
dimostrare.
La prima ondata di trial clinici in cui i soggetti con MCI amnesico sono stati trattati con
farmaci sintomatici è stata un insuccesso. Quello che è emerso è che il trattamento con
vitamina E o con un Inibitore delle colinesterasi (donepezil) non determina beneficio a lungo
termine ma, se esiste un beneficio di tali farmaci, esso è limitato e transitorio [78].
Risultati incoraggianti sono stati riportati, invece, dall’utilizzo della riabilitazione cognitiva
[79]. Sembrerebbe che il successo del training cognitivo sia legato alla severità del
deterioramento, offrendo migliori risultati in soggetti sani [80], piuttosto che in pazienti con
malattia di Alzheimer [79].
Un programma di stimolazione cognitiva sembra essere più efficace in soggetti
simultaneamente trattati con farmaci inibitori delle colinesterasi, rispetto a soggetti non
trattati o sottoposti esclusivamente al programma di stimolazione. La stimolazione cognitiva
unita alla terapia farmacologica risulta, inoltre, efficace nel ridurre i disturbi
comportamentali, in particolare i sintomi depressivi [81].
Il ruolo degli approcci non farmacologici (come il training neuropsicologico) e l’utilizzo di
tecniche atte a ridurre la disabilità funzionale in pazienti con disturbi di memoria, devono
31
essere tenute in considerazione. Ci sono infatti evidenze che l’attività fisica e il mantenere
interessi sociali e hobby, così come attività che stimolino la mente, contribuiscono
indipendentemente a rallentare il declino cognitivo e riducono il rischio di sviluppare malattia
di Alzheimer [82].
Il trattamento di soggetti con MCI è attualmente non specifico: trattamento dei fattori di
rischio vascolari, trattamento di malattie concomitanti come la depressione, l’ipotirodismo o
la carenza di vitamina B12 e folati, la sospensione, ove possibile, di trattamento con farmaci
anticolinergici.
Un recente studio (Neurology 07.02.2012) [83] ha valutato la possibilità, di utilizzare un
trattamento a base di nicotina in soggetti affetti da Deterioramento Cognitivo Lieve. Lo
studio si è svolto randomizzando 74 pazienti rispetto all’utilizzo o meno di nicotina
transdermica per un periodo di sei mesi. I risultati primari hanno dimostrato, con un livello di
significatività di Classe 1, che l’utilizzo di questo principio attivo via transdermica
(15mg/die) in soggetti non fumatori con MCI amnesico, hanno mostrato significativi
miglioramenti nei test di attenzione, nei test mnesici e rispetto alla velocità psicomotoria, il
tutto con livelli di sicurezza e tollerabilità eccellenti. Trattasi di uno studio pilota che andrà,
ampliato e approfondito, visti gli ottimi outcome del trattamento in questione sul piccolo
campione in esame.
Molte persone con MCI sono consapevoli delle loro difficoltà e, di conseguenza, ricercano
informazioni circa la natura dei loro disturbi e sul loro decorso. Dal momento che i soggetti
con MCI hanno un aumentato rischio di sviluppare demenza, è necessario garantire loro
assistenza e supporto sia per quanto riguarda il rischio, sia per quanto riguarda la mancanza di
certezze riguardo alla prognosi. Potrebbe non essere appropriato rassicurare falsamente
queste persone riguardo alla loro salute, soprattutto perché, essendo ancora completamente
competenti, essi potrebbero pianificare il proprio futuro in vista di una loro probabile perdita
di capacità. Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda il supporto e gli interventi
preventivi a favore dei caregiver di questi soggetti, volti a favorire il massimo benessere
psicologico possibile [84].
32
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT 33
2 APATIA
E
DEPRESSIONE
NEL
MILD
COGNITIVE
IMPAIRMENT
Dati di letteratura hanno dimostrato che i sintomi neuropsichiatrici o psicocomportamentali,
frequentemente riportati tra i pazienti affetti da MCI, possono aiutare nel processo
diagnostico di demenza incipiente [58, 85]. L’anomalia comportamentale può pertanto essere
considerato un predittore di demenza allo stesso modo dei sintomi cognitivi.
Tra i sintomi neuropsichiatrici descritti e registrati attraverso l’utilizzo di scale
neuropsicologiche, la depressione e l'apatia sono comunemente descritti come le
manifestazioni psicocomportamentali più comuni in MCI [58, 85].
La relazione tra depressione e conversione a demenza nei soggetti MCI è stata ampiamente
discussa, sebbene ad oggi non sia ancora ben chiaro che ruolo giochi la stessa nella
progressione a demenza in MCI [86-88].
L’apatia è un sintomo comune nella Malattia di Alzheimer che è stato ampiamente descritto
in letteratura nelle fasi di demenza di Alzheimer, viceversa, il valore predittivo dell’apatia è
stato poco studiato nella condizione di MCI [89].
Recentemente, Robert et al. [90] hanno sottolineato il ruolo dell’apatia nei soggetti affetti da
MCI giungendo alla conclusione che i soggetti apatici alla baseline hanno maggiore rischio di
sviluppare demenza nel corso degli anni.
Una forte limitazione sul piano metodologico nello studio dell’apatia e della depressione in
soggetti affetti da MCI è la sovrapposizione che spesso viene fatta quando si considerano
questi due domini psicocomportamentali: emerge infatti la questione se l'apatia sia sempre
legata alla depressione come corredo sintomatologico o se possa essere presente e individuata
come specifica e unica sindrome comportamentale, indipendente dalla depressione.
L’apatia è definita come una sindrome caratterizzata da mancanza di interesse, di affettività e
di motivazione che riduce il livello di autonomia funzionale dei soggetti affetti da demenza,
aumenta il distress dei caregiver e ha scarse opportunità di trattamento.
Un’altra importante limitazione nello studio dell’apatia è che, ad oggi, non sono stati
utilizzati strumenti neuropsicologici specifici per la registrazione dei sintomi di apatia nei
soggetti affetti da MCI. Per lo studio della sintomatologia depressiva esistono molte scale di
valutazione somministrate al paziente o addirittura di auto somministrazione, mentre per la
MILD COGNITIVE IMPAIRMENT valutazione dell’apatia nei soggetti affetti da MCI si tende ad utilizzare solo la scala etero
riferita Neuropsychiatric Inventory, che si base però esclusivamente su un’intervista clinica al
caregiver.
Robert e coll. [90] hanno utilizzato l’Apathy Inventory con su una doppia intervista di tre
item al caregiver e al paziente. Un’altra importante scala nota in letteratura è la Apathy
Evaluation Scale (AES) [91] utilizzata ad oggi solo nei soggetti affetti da demenza e mai
proposta nella fase di MCI, che consiste in un’intervista basata su una lunga serie di domande
poste dal clinico al paziente o autosomministrata.
Frequenza di disturbi Comportamentali osservati in un campione di 148 soggetti affetti da AD
consecutivamente osservata presso l’ambulatorio per le demenze, in relazione alla gravità della
malattia.
Gravità di malattia
Demenza lieve
Demenza moderata
Demenza grave
(n =62)
(n=54)
(n=32)
Deliri
16
25,8%
22
40,7%
13
40,6%
Allucinazioni*
10
16,1%
12
22,1%
14
43,8%
Depressione
32
51,6%
35
64,8%
10
31,3%
Ansia*
14
22,6%
25
46,3%
17
53,1%
Euforia
7
11,3%
7
3
9,4%
Disinibizione
9
14,5%
11
20,4%
9
28,1%
Apatia
50
80,6%
46
85,2%
29
90,6%
Irritabilità
25
40,3%
31
57,4%
25
78,1%
Agitazione
30
48,4%
32
59,3%
25
78,1%
Vagabondaggio**
12
19,4%
29
53,7%
26
81,3%
Disturbi del sonno*
10
16,1%
18
33,3%
30
93,8%
Disturbi dell’alimentazione
14
22,6%
20
37,0%
18
56,3%
13,0%
La severità della demenza è stata valutata utilizzando la Clinical Dementia Rating Scale (Huges et al. 1982). I disturbi comportamentali
valutati attraverso la versione italiana del Neuropsychiatric Inventory (Binetti et al., 1995).
*p<0,05, chi-square test lieve vs grave; ** p<0,01, chi-square test lieve vs grave
35
sono stati
3 LA RICERCA
3.1 OBIETTIVO
L'obiettivo principale dello studio è stato quello di valutare il ruolo dell’apatia e della
depressione nello sviluppo di demenza in un campione di soggetti affetti da MCI.
Per fare questo la ricerca si è preposta due distinti obiettivi:
I obiettivo: osservare se e quali fossero le possibili differenze cliniche, neuropsicologiche e
dell’evoluzione clinica tra soggetti affetti da MCI in un campione suddiviso in base alla
presenza di apatia e depressione diagnosticate secondo criteri clinici;
II obiettivo: osservare se e quali fossero le possibili differenze cliniche, neuropsicologiche e
dell’evoluzione clinica tra soggetti affetti da MCI in un campione suddiviso in base alla
presenza di apatia e depressione diagnosticate secondo l’utilizzo di scale psicometriche
dedicate (Apathy Evaluation Scale [91] e Geriatric Depression Scale [92]).
LA RICERCA 3.2 METODO
3.2.1 Soggetti
Lo studio è stato condotto su una popolazione di soggetti afferiti al centro Unità di
Valutazione Alzheimer (U.V.A.) degli Spedali Civili di Brescia per i quali era stata posta
diagnosi di MCI.
La diagnosi di MCI soddisfa i seguenti criteri diagnostici [23]:
°
presenza di disturbo cognitivo riferito dal paziente e/o dai suoi familiari e/o da un
medico;
°
assenza di demenza (MMSE > 24/30);
°
cambiamento rispetto al normale grado di funzionamento;
°
declino in una qualsiasi area cognitiva (> 1.5 deviazioni standard sotto la norma
corretta per età e scolarità nei test neuropsicologici standard);
°
mantenimento del funzionamento generale o presenza di maggiore difficoltà nel
compiere le attività quotidiane.
Sono stati esclusi dallo studio i soggetti con altre patologie neurologiche o mediche,
potenziale causa di deterioramento cognitivo, e i soggetti con compromessa funzionalità
visiva.
Tutti i soggetti inclusi nello studio hanno ottenuto un punteggio compreso tra 0 (assenza di
demenza) e 0,5 (decadimento dubbio) nella Clinical Dementia Rating Scale (CDR) [93].
L’intero campione è stato sottoposto ad un assessment clinico e neuropsicologico volto a
valutare il funzionamento globale.
Nella prima fase della ricerca sono stati inclusi soggetti affetti da MCI seguiti
longitudinalmente per due anni. I pazienti con sintomi depressivi al basale che
soddisfacevano i criteri standardizzati per la depressione maggiore o minore, definiti
utilizzando il colloquio clinico con il DSM-IV [1], sono stati raggruppati come MCI depressi.
Sulla base dei criteri diagnostici di Marin [94] è stata definita la presenza di apatia
clinicamente rilevante, come sindrome caratterizzata da perdita motivazionale primaria non
imputabile a disagio emotivo o intellettivo, o ad un ridotto livello di coscienza . La diagnosi
di apatia è stata fatta da due revisori in cieco dalla valutazione psichiatrica condotta da
differenti revisori esperti. I soggetti che rispondevano ai criteri di Marin per apatia e ai criteri
37
del DSM-IV per la depressione sono stati denominati MCI depressi-apatici. I soggetti che
rispondevano ai criteri di Marin per l'apatia, ma non ai criteri del DSM-IV per la depressione
sono stati denominati MCI apatici. I pazienti senza depressione o apatia sono stati definiti
MCI normali.
Dopo 2 anni (follow-up 24+2 mesi) i pazienti MCI sono stati rivalutati.
Cinque soggetti non hanno terminato lo studio: 2 soggetti sono morti (1 MCI normali e 1
MCI depressi-apatici) per ictus e cancro intestinale rispettivamente; 3 soggetti sono stati
esclusi per bassa compliance.
I pazienti che hanno progredito a demenza sono stati definiti come Converter mentre gli altri
stati definiti Non Converter.
La diagnosi di demenza è stata effettuata utilizzando i criteri standardizzati per demenza
secondaria a AD, per demenza vascolare, per demenza fronto-temporale, per demenza con
corpi di Levy.
Nella seconda fase della ricerca sono stati inclusi soggetti affetti da MCI seguiti
longitudinalmente per almeno un anno (12+2 mesi) che fossero stati sottoposti a due scale di
valutazione psicocomportamentale, l’Apathy Evaluation Scale (AES) [91],
per la
registrazione dei sintomi di apatia e la Geriatric Depression Scale (GDS, versione breve 15
item) [92], per la registrazione dei sintomi depressivi.
I sintomi di apatia sono stati indagati attraverso la somministrazione di una scala clinica, la
Apathy Evaluation Scale (AES), in cui il punteggio assegnato ad ogni item si base su
un’intervista semistrutturata al paziente (versione medica, AES-C). Ogni item è definito
‘cognitivo’, ‘comportamentale’ o ‘affettivo’, come indicato dallo stesso autore, permettendo
in tal modo di individuare tre sottoscale dell’AES: una sottoscala cognitiva, una sottoscala
comportamentale, una sottoscala emotiva. Il punteggio totale dell’AES varia da un minimo di
18, che indica assenza di apatia, ad un massimo di 72, indicativo di massima espressione di
apatia. Nella versione originale il punteggio medio della versione clinica della AES in un
gruppo di soggetti sani di controllo era di 26+6; utilizzando come criterio generale nei
soggetti con decadimento cognitivo di una media di 2 DS, si individua un punteggio cut-off
pari a 38 che indica presenza patologica di apatia.
Per meglio definire il ruolo della depressione e dell’apatia i soggetti sono stati classificati
sulla base del punteggio dell’AES e della GDS: i soggetti affetti da MCI con punteggio
superiore o uguale a 38 e punteggio alla GDS inferiore a 6 sono stati definiti MCI apatici, i
38
LA RICERCA soggetti con punteggio alla GDS maggiore o uguale a 6 sono stati definiti MCI depressi, i
soggetti senza sintomatologia apatica né depressiva sono stati definiti MCI normali.
La valutazione clinica dei soggetti MCI a distanza di circa un anno (12+2 mesi) dalla
somministrazione dell’AES, ha permesso di valutare l’evoluzione dei soggetti che è stata
definita attraverso la compilazione della CDR sum of boxes [93]: soggetti peggiorati
(punteggio della CDR sum of boxes aumentato rispetto alla valutazione iniziale), soggetti
stabili (punteggio della CDR sum of boxes uguale rispetto alla valutazione iniziale), soggetti
migliorati (punteggio della CDR sum of boxes ridotto rispetto alla valutazione iniziale).
39
3.2.2 Materiali e Metodi
I familiari (principal caregiver) dei soggetti MCI sono stati intervistati, in sede
•
diagnostica, al fine di ottenere dati circa la storia clinica dei pazienti.
Nella raccolta anamnestica venivano indagati: l’età d’esordio e la durata dei sintomi
cognitivi, la scolarità, il consumo attuale/pregresso di alcool, l’abitudine attuale/pregressa al
fumo di sigaretta e l’eventuale familiarità per demenza. Venivano inoltre indagati alcuni
potenziali fattori di rischio per malattia cerebrovascolare tra cui l’ipertensione arteriosa
sistemica,
l’ictus
cerebri,
l’attacco
ischemico
transitorio,
l’ateromasia
carotidea,
l’ipercolesterolemia, la presenza di diabete mellito, lo scompenso cardiaco congestizio, la
cardiopatia ischemica, la fibrillazione atriale. Per tutti i pazienti è stata inoltre effettuata
un’attenta anamnesi farmacologica.
L’intero gruppo dei soggetti, che dimostreranno essere affetti da MCI, studiati assessment
multidimensionale che ha previsto una valutazione del profilo funzionale, comportamentale e
cognitivo con strumenti clinicamente validati e standardizzati.
°
Per la raccolta delle informazioni concernenti le condizioni cliniche globali
(funzionali e cognitive) è stata utilizzata la seguente scala:
Clinical Dementia Rating (CDR) [93]
Per ottenere il punteggio alla CDR è necessario disporre di informazioni raccolte da un
familiare o da un operatore che conosce il soggetto e di una valutazione delle funzioni
cognitive del paziente con particolare riferimento ai seguenti aspetti:
1) memoria
2) orientamento temporale e spaziale
3) giudizio e astrazione
4) attività sociali e lavorative
5) vita domestica, interessi ed hobby
6) cura della propria persona
Ogni aspetto va valutato in modo indipendente rispetto agli altri. La memoria è considerata
categoria primaria; le altre sono secondarie. Se almeno tre categorie secondarie ottengono lo
40
LA RICERCA stesso punteggio della memoria, allora il punteggio totale della CDR è uguale al punteggio
ottenuto nella memoria. Se tre o più categorie secondarie ottengono un valore più alto o più
basso della memoria, allora il punteggio della CDR corrisponde a quello ottenuto nella
maggior parte delle categorie secondarie. Qualora due categorie ottengano un valore
superiore e due un valore inferiore rispetto a quello ottenuto dalla memoria, il valore della
CDR corrisponde a quello della memoria. I pazienti verranno perciò stadiati in stadio 4
(demenza molto grave) quando presentano severo deficit del linguaggio o della
comprensione, problemi nel riconoscimento dei parenti, incapacità a deambulare in modo
autonomo, problemi ad alimentarsi da soli, nel controllare la funzione intestinale o vescicale.
Sono classificati in stadio 5 (demenza terminale) quando richiedono assistenza totale perché
incapaci di comunicare, in stato vegetativo, allettati, incontinenti.
E’ possibile considerare il punteggio della CDR come ‘sum of boxes’, in questo caso il
punteggio è dato dalla somma dei valori di ogni singola categoria, questo metodo viene
utilizzato nelle fasi lievi di mlattia come nello stadio di MCI per rendere maggiormente
sensibile la scala e utilizzarla anche come indicatore di peggioramento clinico prima dello
sviluppo della demenza; per es. pazienti MCI con punteggio totale di CDR pari a 0.5
potrebbero avere un punteggio di CDR sum of boxes compreso tra 0.5 (se solo l’item
memoria risulta alterato) e un massimo di 3.5 (punteggi più alti sarebbero già indicativi di
demenza quindi corrisponderebbero ad un punteggio totale di CDR=1).
41
NORMALE
CDR 0
Memoria
DEMENZA
DEMENZA
DEMENZA
DEMENZA
DUBBIA
LIEVE
MODERATA
GRAVE
CDR 0.5
CDR 1
CDR 2
CDR 3
Memoria
Lieve
Perdita memoria
Perdita memoria
Perdita memoria
adeguata o
smemoratezza
modesta per
severa: materiale
grave; rimangono
smemoratezz
permanente;
eventi recenti;
nuovo perso
alcuni frammenti
a occasionale
parziale
interferenza
rapidamente
rievocazione di
attività quotidiane
eventi
Orientamento
Perfettamente orientato
Alcune difficoltà
Usualmente
Orientamento
nel tempo;
disorientamento
solo personale
possibile
temporale, spesso
disorientamento
spaziale
topografico
Giudizio soluzione
problemi
Attività sociali
Risolve bene
Dubbia
Difficoltà
Difficoltà severa
Incapace di dare
i problemi
compromissione
moderata;
esecuzione di
giudizi o di
giornalieri;
nella soluzione di
esecuzione di
problemi
risolvere problemi
giudizio
problemi; analogie
problemi
complessi; giudizio
adeguato
differenze
complessi;
sociale
rispetto al
giudizio sociale
compromesso
passato
adeguato
Attività
Solo dubbia
Incapace di
Nessuna pretesa
Nessuna pretesa
indipendente
compromissione
compiere
di attività
di attività
e livelli usuali
nelle attività
indipendentemen
indipendente fuori
indipendente fuori
ne lavoro,
descritte
te le attività, ad
casa. In grado di
casa. Non in
acquisti,
esclusione di
essere portato
grado di uscire
pratiche
attività facili
fuori casa
burocratiche
Casa/hobbies
Vita
Vita domestica e
Lieve ma
Interessi ridotti,
Nessuna
domestica e
interessi
sensibile
non sostenuti, vita
funzionalità fuori
interessi
intellettuali
compromissione
domestica ridotta a
dalla propria
intellettuali
lievemente
della vita
funzioni semplici
camera
conservati
compromessi
Richiede molta
Richiede molta
domestica;
abbandono
hobbies ed
interessi
Cura personale
Interamente
Richiede
Richiede aiuto
capace di
facilitazione
per vestirsi,
assistenza per
assistenza per
curarsi della
igiene,
cura personale;
cura personale;
propria
utilizzazione
non incontinenza
incontinenza
persona
effetti personali
urinaria
urinaria
CDR 4: DEMENZA MOLTO GRAVE
Il paziente presenta severo deficit del linguaggio o della comprensione, problemi nel riconoscere i familiari, incapacità a deambulare in modo
autonomo, problemi ad alimentarsi da solo, nel controllare la funzione intestinale o vescicale.
CDR 5: DEMENZA TERMINALE
Il paziente richiede assistenza totale perché completamente incapace di comunicare, in stato vegetativo, allettato, incontinente.
42
LA RICERCA °
Per la raccolta delle informazioni concernenti le abilità funzionali sono state
utilizzate le seguenti scale:
Instrumental Activities of Daily Living [64] e Basic Activities of Daily Living [65]
La determinazione dello stato funzionale valuta le capacità del paziente di svolgere gli
abituali atti della vita di tutti i giorni; tali atti sono stati convenzionalmente suddivisi in
“attività di base della vita quotidiana” (BADL: Basic Activities of Daily Living) e “attività
strumentali della vita quotidiana” (IADL: Instrumental Activities of Daily Living).
Mentre le BADL fanno riferimento a semplici compiti di base come aver cura di sé, vestirsi o
nutrirsi, le IADL sono compiti più complessi (e.g. usare il telefono, maneggiare il denaro). Le
BADL risultano compromesse nelle fasi avanzate del deterioramento cognitivo, mentre le
IADL possono essere compromesse anche nelle fasi molto iniziali della malattia dementigena
perché, per la loro esecuzione, richiedono un più elevato livello di integrità della funzione
cognitiva.
Le IADL sono costituite da una scala di 8 domain per la donna e di 5 domain per l’uomo,
mentre le BADL sono costituite da una scala di 6 domain sia per gli uomini che per le donne.
Le scale vengono compilate dal clinico sulla base delle informazioni ottenute dal colloquio
con i familiari.
I criteri per la diagnosi di demenza prevedono che il deficit cognitivo sia di entità tale da
determinare una riduzione delle capacità lavorative, sociali o relazionali dell’individuo. Va
sottolineato come la definizione di un impairment funzionale dipenda dall’occupazione e
dalle usuali abitudini e compiti della persona e come sia perciò in larga misura soggettiva e
rilevabile in modo ottimale solo attraverso il colloquio clinico.
°
Per la raccolta delle informazioni concernenti il profilo psico-comportamentale è stata
utilizzata la seguente scala:
Neuropsychiatric Inventory [95]
Strumento ideato specificatamente per la valutazione dei disturbi psico-comportamentali nei
soggetti affetti da decadimento cognitivo. Si tratta di un’intervista rivolta ai familiari del
paziente in grado di valutare 12 sindromi neuropsichiatriche:
-
Sintomi psicotici: deliri, allucinazioni
-
Disturbi
affettivi:
apatia/indifferenza,
irritabilità/labilità
43
depressione,
euforia/esaltazione,
ansia,
-
Agitazione, affaccendamento afinalistico e comportamenti motori aberranti
-
Disinibizione
-
Alterazioni del sonno e disturbo dell’alimentazione
Dopo aver compilato la domanda di screening e le domande specifiche per ciascuna
sindrome, al caregiver viene chiesto di valutare, qualora il disturbo analizzato sia presente, la
frequenza (su una scala di frequenza crescente da 1 a 4: raramente, talvolta, frequentemente,
molto frequentemente) e la gravità (su una scala di gravità crescente da 1 a 3: lieve, moderata,
marcata). Per ciascuna scala individuale, corrispondente a ciascuna delle 12 sindromi
neuropsichiatriche, moltiplicando la frequenza e la gravità si ottiene un punteggio totale
(punteggio massimo pari a 12); essendo ogni scala composta da più domande, si deve
moltiplicare frequenza e gravità per ogni domanda, considerando il valore più alto come
punteggio della sindrome. Il punteggio globale dell’NPI si ottiene sommando i punteggi totali
delle scale individuali (punteggio massimo pari a 144).
Geriatric Depression Scale (GDS) [92]
Scala di valutazione per la rilevazione della sintomatologia depressiva somministrata dal
medico al paziente. Esiste in due versioni, una completa a 30 item e una versione breve a 15
item. Nella versione breve, più comunemente utilizzata nella pratica clinica, il limite di 6
risposte positive è considerato il cut-off per definire la presenza di sintomatologia depressiva
(>5/15).
Beck Depression Inventory (BDI) [96]
Scala di valutazione della sintomatologia depressiva autosomministrata dal paziente. Consta
di 21 domande a scelta multipla, ogni risposta ha un piunteggio che varia da 0 a 3. I cutoffs
sono 0–13: assenza di depressione; 14–19: depressione lieve; 20–28: depressione moderata;
and 29–63: depressione severa.
Geriatric Anxiety Inventory (GAI) [97]
Scala di valutazione per la rilevazione della sintomatologia ansiosa somministrata dal clinico
al paziente o autosomministrata a 20 item. Il cut off per definire la presenza di sintomatologia
ansiosa è >11/20.
Hamilton Anxiety Rating Scale (HARS) [98]
44
LA RICERCA E’ una scala osservazionale che permette all’esaminatore di quantificare lo stato ansioso
dell’individuo sulla base di elementi raccolti durante il colloquio con il soggetto.
Apathy Evaluation Scale (AES) [91]
Scala a 18 item a risposta multipla: per nulla, raramente, qualche volta, spesso. Il punteggio
assegnato ad ogni item si base su un’intervista semistrutturata al paziente (versione medica,
AES-C). Esistono anche una versione somministrata al caregiver e una versione
autosomministrata; la versione medica è risultata quella maggiormente sensibile. Ogni item è
definito ‘cognitivo’, ‘comportamentale’ o ‘affettivo’, come indicato dallo stesso autore,
permettendo in tal modo di individuare tre sottoscale dell’AES: una sottoscala cognitiva, una
sottoscala comportamentale, una sottoscala affettiva. Il punteggio totale dell’AES, nella
versione originale validata da Marin del 1991, varia da un minimo di 18, che indica assenza
di apatia, ad un massimo di 72, indicativo di massima espressione di apatia. Nella versione
originale il punteggio medio della versione clinica della AES in un gruppo di soggetti sani di
controllo era di 26+6; utilizzando come criterio generale nei soggetti con decadimento
cognitivo di una media di 2 DS, si individua un punteggio cut-off pari a 38 che indica
presenza patologica di apatia.
° Per la raccolta delle informazioni concernenti la cognitività globale è stata utilizzata la
seguente scala:
Mini Mental State Examination [99]
Test di screening utilizzato in campo internazionale e ideato per rilevare il deterioramento
cognitivo, valutarne quantitativamente la severità e documentarne le modificazioni nel tempo.
E’ costituito da 12 items tramite i quali vengono esplorate, con prove in parte verbali e in
parte di performance, sette funzioni cognitive:
-
orientamento temporale;
-
orientamento spaziale;
-
memoria immediata (apprendimento di tre parole);
-
attenzione e calcolo (serie di sottrazioni; scansione di una parola al contrario);
-
memoria di richiamo (rievocazione delle tre parole);
45
-
linguaggio (denominazione; ripetizione; comprensione ed esecuzione di comandi orali
e scritti; capacità di scrivere una frase);
-
prassia visuocostruttiva (copia di pentagoni).
Il punteggio totale, dato dalla somma delle risposte corrette fornite dal paziente, può andare
da un minimo di 0 (massimo deficit cognitivo) ad un massimo di 30 (assenza di deficit
cognitivo).
I punteggi utilizzati come cut-off sono: 26-30 (assenza di decadimento cognitivo); 18-25
(decadimento cognitivo da lieve a moderato); 0-17 (decadimento cognitivo grave).
° Per la raccolta delle informazioni concernenti la memoria sono state utilizzate le
seguenti scale:
Lista di parole di Rey (apprendimento e rievocazione differita) [100]
Indaga le capacità di apprendimento e di rievocazione di materiale verbale non strutturato
riferito ad oggetti concreti di frequenza d’uso variabile.
Memoria di prosa [101]
Indaga le capacità di apprendimento e di memoria a lungo termine di un breve racconto letto
dall’esaminatore al soggetto. La prova implica anche l’impiego di meccanismi di integrazione
delle informazioni che vengono fornite per permettere la comprensione verbale e,
successivamente, coinvolge meccanismi di pianificazione per la strutturazione delle
informazioni memorizzate che devono essere ripetute in modo coerente. La prova prevede
una rievocazione immediata, subito dopo la lettura del brano, e una rievocazione differita,
dopo una seconda lettura e lo svolgimento di un compito interferente.
° Per la raccolta delle informazioni concernenti le funzioni esecutive sono state
utilizzate le seguenti scale:
Test dell’orologio [102]
Test che valuta le abilità prassiche di costruzione dell’oggetto, le abilità di rappresentazione
mentale che consentono al paziente di recuperare mentalmente l’immagine corretta
dell’orologio e le abilità di pianificazione della disposizione dei numeri nel quadrante. La
richiesta di disegnare le lancette ad un preciso orario permette di valutare, inoltre, le abilità di
astrazione e le capacità logiche sottostanti la segnalazione del tempo attraverso l’orologio. Il
46
LA RICERCA punteggio viene attribuito su una scala a 10 punti in cui i punteggi tra 10 e 6 indicano che il
disegno dell’orologio rientra nella norma, mentre i punteggi da 5 a 1 indicano che il disegno
non conserva la rappresentazione di un orologio.
Trail Making Test A [103]
Test che valuta le capacità di attenzione selettiva e sostenuta, la ricerca visiva e spaziale degli
stimoli e la velocità psicomotoria.
Trail Making Test B [103]
Valuta attenzione e funzioni esecutive esaminando la capacità percettivo-motoria, la
successione visiva e la capacità di compiere deviazioni concettuali alternate.
Fluenze verbali fonemiche e semantiche [104]
Indagano la fluidità verbale, l’abilità denominativa, la velocità di produzione verbale e
l’organizzazione semantica. L’esecuzione corretta del test richiede, inoltre, un’adeguata
flessibilità cognitiva nell’organizzare e selezionare le informazioni dal lessico, la generazione
di strategie e l’abilità di cambiare categoria inibendo la precedente.
3.2.3 Analisi dei dati
L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando Statistical Package for the Social Sciences SPSS 11.1 [105]. Un’analisi statistica descrittiva è stata eseguita per le variabili sociodemografiche, cliniche, neuropsicologiche, funzionali e psico-comportamentali al basale. Le
variabili quantitative sono state espresse come media + DS. Un modello di analisi della
varianza (ANOVA) è stato utilizzato per confrontare le variabili continue e il chi-square test
è stato usato per quelle dicotomiche. L’analisi post-hoc corretta per Bonferroni è stata usata
per confrontare le medie dei gruppi al basale.
Un modello di regressione logistica è stato utilizzato per identificare quali fossero le variabili
indipendentemente associate alla demenza a 2 anni in pazienti affetti da MCI. Il livello di
significatività è stato fissato a p < 0,05.
47
3.3 RISULTATI
Nella prima fase della ricerca sono stati analizzati i dati di 124 pazienti ambulatoriali con
almeno 2 anni di follow-up. Di questi, 50 (40,3%) soggetti sono stati classificati come MCI
normali, 38 (30,7%) come MCI depressi, 21 (16,9%) MCI depressi-apatici e 15 (12,1%)
come MCI apatici. I quattro gruppi non differivano nelle caratteristiche socio-demografiche,
cliniche, funzionali e nelle prestazioni cognitive globali (Tabella 1).
Per quanto riguarda i sintomi neuropsichiatrici valutati mediante NPI (Tabella 2), gli MCI
depressi, gli MCI depressi-apatici e gli MCI apatici ha mostrato una maggiore frequenza e
gravità dei sintomi rispetto agli MCI normali (punteggio medio MCI normali = 7.2 ± 6.8;
punteggio medio MCI depressi = 13,5 ± 11,7; punteggio medio MCI depressi-apatici = 24,2
± 9.2; punteggio medio MCI apatici = 20,1 ± 10.2; p = 0.000), gli MCI depressi-apatici
avevano anche un punteggio più alto di NPI totale degli MCI depressi. L’apatia era
maggiormente presente nel gruppo MCI apatici e depressi-apatici rispetto a MCI depressi e
MCI normali. MCI depressi e MCI depressi-apatici avevano più sintomi depressivi degli
MCI normali; il gruppo MCI depressi-apatici aveva un maggiore punteggio nella depressione
anche rispetto agli MCI depressi- apatici, e più ansia rispetto al gruppo MCI normali.
Quando valutati attraverso la scala Hamilton Anxiety e la GDS, il gruppo MCI depressi e MCI
depressi-apatici aveva punteggi più alti rispetto al gruppo MCI apatici e MCI normali.
Come mostrato in Tabella 3, non vi erano differenze significative nei punteggi medi dei test
neuropsicologici somministrati, tuttavia, la proporzione di soggetti amnesici e non amnesici
differivano leggermente tra i quattro gruppi MCI, anche se le differenze tra i gruppi non erano
significative: MCI normale (amnesico = 72%; non amnesico = 28%); MCI depressi
(amnesico = 79%; non amnesico = 21%); MCI depressi-apatici (amnesico = 86% , non
amnesico = 14%), MCI apatici (amnesico = 93%; non amnesico = 7%) (Figura 1).
La Figura 2 mostra la frequenza dei pazienti che convertono a demenza (Converter) dopo 2
anni dalla valutazione basale nei differenti gruppi. Il tasso di progressione verso la demenza
in tutto il campione è stato del 22,6%. Il tasso di progressione è stato del 24% per gli MCI
normali, del 7,9% per gli MCI depressi, il 19% per gli MCI depressi-apatico e del 60% per
gli MCI apatici (Pearson = 0.000).
48
LA RICERCA La maggior parte dei Converter soddisfacevano i criteri diagnostici clinici di AD (82%),
mentre 2 pazienti (7.2%) sono stati diagnosticati come VD (1 MCI depressi e 1 MCI apatici),
2 (7,2%) come LBD (1 MCI normali e 1 MCI depressi) , e 1 (3,6%) come FTD (MCI
depressi-apatici).
I fattori clinici che distinguevano significativamente i Converter dai Non converter alla
valutazione basale erano l'età (Converter età media: 74,7 anni; Non converter età media: 70,2
anni, p = 0.007), l'indice di Barthel (Converter punteggio medio: 96.6/100; Non converter
punteggio medio: 98,8/100, p = 0,005), la ADAS-Cog (Converter punteggio medio: 11.4/70;
Non converter punteggio medio: 7.8/70, p = 0.000), la diagnosi di apatia (criteri di Marin)
(Converter: 46,4%; Non converter: 24%, p = 0.02), la diagnosi di depressione (DSM-IV)
(Converter: 25%; Non converter: 54,2%, p = 0.006). Questi fattori sono stati inseriti in un
modello di regressione logistica con lo scopo di analizzare il ruolo predittivo dell’apatia e
della depressione nella progressione a demenza. La Tabella 4 mostra il rischio di conversione
a demenza per tutti i soggetti MCI analizzati (n = 124). La diagnosi di apatia è risultato un
fattore di rischio per conversione a demenza, indipendente dall’'età, dallo stato funzionale e
cognitivo al basale (OR = 7.07, 95% CI 1,9-25,1, p = 0,003). Al contrario, gli MCI depressi
avevano un rischio ridotto di conversione a demenza entro 2 anni (OR = 0.1, 95% CI 0,020,4; p = 0,001). L'età avanzata, la compromissione dello stato funzionale (Barthel index) e
l’ADAS-Cog, punteggio totale maggiore di 9,5 al basale, erano in-dipendentemente correlati
alla progressione a demenza entro due anni.
Sono stati effettuati due modelli di regressione logistica separando l’apatia e la depressione
per verificare esattamente quanto risultasse protettiva la depressione nella conversione a
demenza. Abbiamo analizzato il rischio di conversione a demenza per (i) MCI apatici rispetto
agli MCI normali (n = 65) (Tabella 5) e per (ii) MCI depressi rispetto agli MCI normali (n =
88) (Tabella 6). Controllando per l'indice di Barthel, l’ADAS-Cog (totale punteggio
maggiore di 9,5) e l'età, la diagnosi di apatia è risultato un fattore di rischio per conversione a
demenza tra MCI apatici e MCI normali (OR = 4,92, IC 1,13-21,37, p = 0,03 ). Controllando
per l’Indice di Barthel, l’ADAS-Cog (punteggio totale maggiore di 9,5), la GDS e l'età, la
depressione è risultata avere un ruolo protettivo nella conversione a demenza tra MCI
depressi e MCI normali (OR = 0.08, 95% CI 0,01-0,68, p = 0,02).
Nella seconda fase della ricerca sono stati valutati 155 soggetti affetti da MCI: 92 (59%)
soggetti sono stati classificati come MCI normali (senza apatia o depressione), 33 (21%)
49
come MCI depressi (con o senza apatia), 30 (20%) come MCI apatici (Tabella 7). Gli MCI
apatici erano più vecchi degli MCI normali (età media: 76,3+6,1 vs 72,3+7,1; p<.005).
Riguardo alle abilità cognitive (Tabella 8), gli MCI apatici hanno mostrato prestazioni
peggiori rispetto agli MCI normali nel disegno dell’orologio (punteggio medio: 6,2+2,5 vs
8,1+9,1; p<.005), nella rievocazione differita della lista di parole di Rey (punteggio medio:
3,9+1,9 vs 5,7+3,3; p<.05), nel test del raccontino (punteggio medio: 6,9+3,2 vs 9,4+4,5;
p<.05), nella fluenza verbale fonologica (punteggio medio: 20,7+6,8 vs 26,4+9,4; p<.05),
nella rievocazione differita della copia della figura di Rey (punteggio medio: 6,9+3,1 vs
9,9+5,5; p<.05). Gli MCI apatici hanno ottenuto un punteggio inferiore anche rispetto agli
MCI depressi nel test del raccontino (punteggio medio: 6,9+3,2 vs 10,4+4,3; p<.05). Gli MCI
depressi rispetto agli MCI normali hanno mostrato peggiori prestazioni nel test del Trail
Making test parte B (punteggio medio: 337,6+169,3 vs 224,2+185; p<.05).
La scala NPI (Tabella 9) ha mostrato che gli MCI depressi avevano una maggiore
espressione di sintomi psico-comportamentali totali rispetto agli MCI normali (punteggio
medio NPI totale: 12,2+11,3 vs 5,8+5,9; p<.005) e agli MCI apatici (punteggio medio NPI
totale: 12,2+11,3 vs 5,1+4,3; p<.005), e in particolare analizzando i singoli subitem è emerso
che gli MCI depressi avevano un punteggio maggiore rispetto agli altri due gruppi sia nella
sintomatologia depressiva (MCI depressi vs MCI normali: 2,5+3,3 vs 0,8+1,2; p<.005. MCI
depressi vs MCI apatici: 2,5+3,3 vs 0,6+1,2; p<.005) , sia nella sintomatologia ansiosa (MCI
depressi vs MCI normali: 3,2+3,1 vs 1,1+1,6; p<.005. MCI depressi vs MCI apatici: 3,2+3,1
vs 0,8+1,1; p<.000), sia nell’irritabilità (MCI depressi vs MCI normali: 2,3+3,2 vs 0,8+1,3;
p<.005. MCI depressi vs MCI apatici: 2,3+3,2 vs 0,9+1,2; p<.05). Anche i punteggi totali
delle altre scale comportamentali auto e etero riferite erano maggiori nel gruppo degli MCI
depressi rispetto agli altri due gruppi: la GDS (punteggio medio: MCI depressi vs MCI
normali: 7,8+2,1 vs 2,1+1,6; p<.005. MCI depressi vs MCI apatici: 7,8+2,1 vs 2,1+1,6;
p<.000), la BDI (punteggio medio: MCI depressi vs MCI normali: 13,6+8,9 vs 6,4+4,6;
p<.000. MCI depressi vs MCI apatici: 13,6+8,9 vs 6,1+5,6; p<.000) e la GAI (punteggio
medio: MCI depressi vs MCI normali: 10,2+5,1 vs 4,6+4,1; p<.000. MCI depressi vs MCI
apatici: 10,2+5,1 vs 3,9+4,7; p<.000).
La
scomposizione
dell’Apathy
Evaluation
Scale
nelle
tre
sottoscale,
cognitiva,
comportamentale ed emotiva ha permesso di evidenziare che in tutti e tre i gruppi di soggetti
affetti da MCI, normali, depressi e apatici, la maggior parte del punteggio totale della scala
era dato dalla sottoscala cognitiva (Figura 3. MCI normali: punteggio totale: 26,7+7,1;
50
LA RICERCA sottoscala cognitiva: 12,1+2,5 / 46%; sottoscala comportamentale: 7,1+1,9 / 27%; sottoscala
affettiva: 4,6+1,3 / 13%; altro: 6,9+1,2. MCI depressi: punteggio totale: 33,2+11,6; sottoscala
cognitiva: 15,8+5,7 / 45%; sottoscala comportamentale: 9,3+3,4 / 27%; sottoscala affettiva:
4,6+1,5 / 15%; altro: 5,9+2,4. MCI apatici: punteggio totale: 42,9+4,6; sottoscala cognitiva:
19,1+2,7 / 44%; sottoscala comportamentale: 11,3+1,8 / 25%; sottoscala affettiva: 5,6+1,4 /
13%; altro: 6,9+1,6. ).
La valutazione clinica dei soggetti MCI a distanza di circa un anno (12+2 mesi) dalla
somministrazione dell’AES ha evidenziato che nel gruppo degli MCI apatici il 52% dei
soggetti era peggiorato mentre il 48% era rimasto stabile; nel gruppo degli MCI depressi il
15% era peggiorato, il 65% era rimasto stabile, il 20% era migliorato; nel gruppo degli MCI
normali il 24% era peggiorato, 70% era rimasto stabile, il 6% era migliorato (Figura 4;
pearson chi-square= .000).
51
3.4 DISCUSSIONE
L’esistenza di una fase preclinica della malattia di Alzheimer, seppur per lungo tempo
ampiamente dibattuta nella letteratura scientifica, attualmente sembra essere accettata
soprattutto in virtù di due considerazioni: a) AD è una patologia lentamente progressiva,
quindi è possibile che la sua insorgenza possa precedere il periodo in cui i sintomi
caratteristici si manifestano chiaramente permettendo la diagnosi clinica; b) nelle forme
ereditarie la malattia inizia con la nascita, ma si manifesta nell’età adulta, quindi esiste un
periodo in cui la malattia è presente, ma asintomatica [106].
Poiché l’AD è caratterizzata da un decorso lento e progressivo, senza eventi ictali che ne
definiscano la comparsa, è processo arduo, per i clinici, l’identificazione del limen, tra
invecchiamento normale e invecchiamento patologico. Ancora più difficoltoso risulta
l’identificazione del punto di transizione dalla fase asintomatica a quella sintomatica o da
questa alla fase di vera e propria demenza. In questo quadro l’importanza della testistica
neuropsicologica storicamente ha svolto un ruolo cardine.
L’indagine neuropsicologica risulta un’accurata e minuziosa ricerca dei segni che meglio e
prima siano in grado di assegnare il soggetto ad una classe diagnostica già manifesta o che si
manifesterà in un futuro. Attualmente l’indagine neuropsicologica si sta sempre più
affiancando a biomarcatori e a analisi di tipo strumentale che, saranno utilizzati nella pratica
clinica per una miglior definizione dell’iter diagnostico-terapeutico.
L’esame neuropsicologico verosimilmente necessario in futuro, oltre ad associarsi alle solide
caratteristiche di validità, ripetibilità, specificità e sensibilità, dovrà essere in grado di
riconoscere il deterioramento cognitivo prima che esso si manifesti clinicamente o almeno al
suo iniziale manifestarsi studiando in modo standardizzato sia le funzioni cognitive che gli
aspetti psico-comportamentali.
La prima fase della presente ricerca ha avuto lo scopo di verificare se l'apatia e la
depressione, diagnosticate attraverso l’applicazione dei criteri clinici, fossero in grado di
identificare soggetti a rischio di progredire a demenza in un campione di pazienti affetti da
MCI. I risultati dello studio in pazienti seguiti per 2 anni sostengono fortemente l’ipotesi che
l’apatia e non la depressione sia un forte predittore di conversione a demenza entro 2 anni.
Inoltre, i dati hanno confermato l'utilità dei criteri clinici diagnostici di Marin per identificare
l’apatia in soggetti MCI. L'apatia è risultata associata all’MCI come sindrome
comportamentale specifica distinta dalla depressione, infatti come apatia senza depressione
52
LA RICERCA era presente nel 12,1% dei pazienti con MCI. Questi sono stati i primi dati di letteratura che
hanno valutato la prevalenza dell’apatia senza depressione nei soggetti MCI, che è risultata
simile a quella riscontrata in pazienti con AD [89, 107].
La prevalenza di apatia, con o senza depressione, è stata del 29%, in linea con i risultati
precedenti [108, 109]; Robert et al. [110] ha riportato una maggiore prevalenza di apatia nel
loro campione e questo potrebbe essere spiegato con il fatto che sono state utilizzate scale di
valutazione diverse che possono avere enfatizzato l'entità di apatia includendo anche pazienti
con depressione.
In linea con dati precedenti [111-113], è stato confermato che la depressione risulta uno dei
più frequenti disturbi comportamentali (47,6%) del nostro campione MCI.
I sottogruppi di MCI (normali, depressi, depressi-apatici e apatici) non differivano nelle
caratteristiche socio-demografiche, cliniche e funzionali, e mostravano simili profili
cognitivi. Il gruppo degli MCI amnesici e non-amnesici erano indifferentemente rappresentati
nei quattro gruppi, sebbene ci fosse una maggiore prevalenza di MCI amnesico nel gruppo
apatico rispetto agli altri gruppi. Inoltre, abbiamo osservato che i pazienti MCI ed i loro
caregiver sono stati in grado di fornire un resoconto affidabile dell’apatia e sintomi depressivi
attraverso l’utilizzo di scale dedicate (NPI, GDS) che supportano la diagnosi clinica di apatia
e depressione.
Gli MCI depressi-apatici hanno mostrato un alto punteggio nel subitem apatia nella scala
NPI, a conferma della possibile presenza del sintomo apatia in uno stato depressivo, come già
dimostrato da altri autori [114, 115]. In linea con i dati di letteratura, i soggetti MCI depressi
hanno mostrato un alto punteggio nelle scale di valutazione dell’ansia che suggeriscono che
la presenza di tale disturbo è spesso associato alla depressione sia nei soggetti non affetti da
demenza [116] che nei soggetti affetti da demenza [114, 117]. Inoltre il gruppo di MCI
apatici ha punteggi molto bassi alla GDS, suggerendo che la presenza di apatia non è in
grado di aumentare artificiosamente i punteggi dei sintomi depressivi.
In tutto il campione, il tasso di conversione a demenza dopo 2 anni è stato del 22,6%,
indicando un tasso annuo del 11-12%, in linea con i dati pubblicati [118]. Il più alto tasso di
conversione è stato osservato nel gruppo MCI apatici che mostra una differenza significativa
rispetto agli MCI normali (Pearson = 0.01), rispetto a MCI depressi (Pearson = 0.000), e
53
rispetto a MCI depressi-apatici (Pearson = 0,01 ), mentre il gruppo MCI depressi mostrava
un tasso più basso di progressione a demenza , rispetto al gruppo MCI normali (Pearson =
0.04), ma simile al gruppo MCI depressi-apatici; quest'ultimo gruppo ha avuto un tasso di
conversione simile a MCI normali e MCI depressi, ma inferiore a quello MCI apatici. Questi
dati suggeriscono che il gruppo MCI depressi-apatici era simile al gruppo MCI depressi e che
l'apatia, quando emerge in un contesto di stato depressivo è un sintomo di depressione e non
una sindrome indipendente.
La maggior parte dei Converter MCI (82%) soddisfacevano i criteri clinici per l'AD, mentre
solo pochi pazienti hanno sviluppato un diverso tipo di demenza nel contesto dei quattro
diversi sottogruppi psico-comportamentali: il piccolo numero di soggetti affetti da demenza
non AD non ci ha consentito di tracciare conclusioni definitive riguardanti l'associazione tra
sintomi neuropsichiatrici e la progressione verso la demenza di eziologie diverse.
Nell'analisi di regressione, l’alto punteggio dell’ADAS-Cog aveva un peso maggiore rispetto
all’apatia nel predire la demenza; questo a conferma di risultati precedenti che mostravano
l'importanza di questa breve scala di valutazione nel predire la demenza negli MCI amnesici
dopo 1 anno di follow- up [119]. Nel presente studio, questo dato è stato reso ancora più forte
dal maggiore numero di pazienti analizzato e dal maggiore periodo di follow-up.
L’apatia è risultata quindi un sintomo importante nell’evoluzione dei soggetti con MCI,
essendo associato a un maggiore rischio di progressione a demenza. Un importante limite
metodologico nello studio dell’apatia è la grande sovrapposizione tra apatia e depressione.
Pertanto la necessità di riuscire a distinguere i sintomi di apatia e depressione nei soggetti con
MCI ha incoraggiato uno fase successiva della ricerca in cui l’obiettivo principale è stato
osservare la relazione tra una scala di valutazione specifica per i sintomi di apatia, l’Apathy
Evaluation Scale, e il profilo cognitivo dei soggetti con MCI con e senza apatia.
La seconda fase della ricerca ha confermato i risultati della prima fase, supportando in modo
ancora più forte il ruolo dell’apatia come predittore di progressione a demenza in soggetti
affetti da MCI. Inoltre i soggetti MCI apatici individuati attraverso l’AES sono risultati
rispetto a quelli individuati attraverso criteri clinici, meglio definiti come MCI amnesici e con
un profilo cognitivo più caratteristico di soggetti MCI a rischio di conversione a demenza.
Infatti gli MCI apatici sono risultati maggiormente compromessi nelle funzioni mnesiche
soprattutto di rievocazione (lista di parole, raccontino e rievocazione differita della figura di
Rey) e in alcune funzioni esecutive (disegno dell’orologio, fluenza verbale fonologica)
54
LA RICERCA rispetto agli MCI normali. Tale profilo cognitivo rispecchia le caratteristiche note alla
letteratura per soggetti MCI a maggior rischio di conversione a demenza. Recenti dati di
letteratura hanno valutato le performance neuropsicologiche dei soggetti affetti da MCI,
verificando che i migliori test predittori della conversione ad AD sono quelli indaganti la
memoria episodica [120] e le funzioni esecutive [121]; [122]; [123]. Inoltre dati precedenti
hanno dimostrato che in soggetti affetti da AD con apatia vi era compromissione dei test
correlati alle strutture prefrontali come le fluenze verbali e altri test che richiedono
l’intervento di strategia e pianificazione che non sono stati utilizzati nel presente protocollo di
studio.
Questo è stato il primo studio condotto su soggetti affetti da MCI in cui è stata usata la
Apathy Evaluation Scale per valutare la presenza di apatia. Un’ulteriore conferma alla
validità dell’AES nell’individuare soggetti a maggior rischio di progressione è il dato sul
peggioramento clinico dei soggetti registrato attraverso la CDR sum of boxes. Infatti nel
gruppo degli MCI apatici è risultato il più alto tasso di soggetti peggiorati al follow-up dopo
circa un anno, significativamente più alto rispetto al tasso degli altri gruppi (Pearson = .000).
Nel gruppo totale il tasso di peggioramento a un anno è risultato del 35%, ovviamente
maggiore rispetto al tasso di conversione della prima fase della ricerca (tasso annuo pari al
12%), perché in questa fase è stato valutato solo il peggioramento clinico indipendentemente
dallo sviluppo di demenza.
Dall’analisi della scala NPI è emerso che i caregiver dei soggetti MCI depressi hanno
riportato in modo concorde alla nostra classificazione la presenza di sintomatologia
depressiva e ansiosa in modo maggiore rispetto ai soggetti MCI normali e apatici, e anche il
punteggio delle scale BDI e GAI è risultato più alto negli MCI depressi, concordando con la
classificazione effettuata tramite la GDS. Nei soggetti MCI apatici invece la scala NPI non ha
confermato la presenza di maggiore sintomatologia apatica rispetto agli altri gruppi. Questo
dato apparentemente contrastante, potrebbe essere interpretato come difficoltà a riconoscere
la presenza di apatia da parte dei familiari, o come difficoltà da parte degli operatori a farsi
riferire la presenza di apatia. Un dato interessante che potrebbe aiutare a comprendere questo
risultato viene dall’analisi delle sottoscale dell’AES: in modo abbastanza uniforme nei tre
gruppi il punteggio dell’AES è prevalentemente rappresentato dagli item cognitivi (44-46%
del punteggio totale) e in modo nettamente minore dalle sottoscale comportamentale (2527%) e affettiva (13-15%). Questo dato suggerisce che l’apatia nei soggetti affetti da MCI è
vissuta più in forma di sintomo cognitivo (inerzia progettuale, mancanza di motivazione) che
55
come manifestazione comportamentale (isolamento sociale, scarsa partecipazione affettiva
all’ambiente) e quindi forse di più difficile lettura, questo spiegherebbe la difficoltà di essere
riferita da parte dei familiari. Inoltre i soggetti analizzati in questa seconda fase di studio
risultano meno compromessi della popolazione della prima fase in cui vi era una maggiore
incidenza di apatia all’NPI.
L'associazione tra apatia e demenza era già stato ampiamente dimostrata in precedenti studi
[124-126], e la clinica, il neuroimaging e le indagini neuropatologiche avevano evidenziato,
nei soggetti affetti da AD, una stretta correlazione tra apatia e disfunzione frontale, con
particolare interessamento del cingolato anteriore.
Pochi studi hanno studiato il ruolo dell’apatia nei soggetti affetti da MCI. Robert et al. [90,
110] hanno rilevato che gli individui che sviluppavano demenza erano spesso maggiormente
apatici alla baseline e che il rischio di sviluppare demenza di Alzheimer era
significativamente più alto nei soggetti che lamentavano perdita di interesse.
Altri
autori
hanno
sostenuto
che
l'apatia
potrebbe
essere
un
utile
marcatore
psicocomportamentale in grado di identificare i soggetti MCI ad alto rischio di sviluppare
demenza [127]. I nostri dati sostengono fortemente questo punto di vista anche in
considerazione del fatto che gli studi precedenti non hanno fatto una netta distinzione tra la
depressione e l’apatia in MCI.
Il rapporto tra la depressione e la progressione verso la demenza nei soggetti MCI è stato
ampiamente discusso in letteratura, ma ad oggi il ruolo della depressione nella conversione a
demenza in MCI non appare chiaro. Uno dei maggiori punti non chiari circa il ruolo della
depressione in MCI è se tale disturbo sia un inevitabile manifestazione di un processo
neurodegenerativo sottostante o se sia esso stesso la causa del deterioramento cognitivo.
Se fosse come in quest'ultimo caso, ci si potrebbe aspettare che i soggetti che rispondono ai
criteri di MCI a causa della loro depressione abbiano tassi significativamente più bassi di
progressione a demenza in quanto non possono avere una malattia di base degenerativa.
Precedenti studi longitudinali hanno sostenuto che la depressione è associata con il declino
cognitivo e con il rischio di demenza, sostenendo l’ipotesi che i sintomi della depressione
potrebbero essere un segno precoce di demenza [87, 128]. In contrasto, altri autori sono
riusciti a dimostrare una significativa associazione tra sintomi depressivi alla baseline e
aumento del rischio di AD [88, 129, 130]. Per quanto riguarda questo dibattito, i nostri dati
56
LA RICERCA supportano l’ipotesi che sia l’apatia e non la depressione il maggiore fattore di rischio di
conversione a demenza nei soggetti affetti da MCI e sostengono l'ipotesi che la depressione
potrebbe avere una base fisiopatologica diversa dalla demenza, come dimostrato da un
precedente lavoro in cui i sintomi della depressione non correlavano con la presenza di
placche e grovigli neurofibillari nella corteccia cerebrale [86].
La presente ricerca sostiene fortemente la necessità di grandi studi prospettico-longitudinali
che utilizzino criteri diagnostici per MCI standardizzati e strumenti neuropsichiatrici dedicati
e progettati per i soggetti con deterioramento cognitivo che approfondiscano il ruolo dei
sintomi non-cognitivi nella predittività della conversone a demenza e nella distinzione delle
differenti patologie neurodegenerative.
57
4 APPENDICE
Table 1. Sociodemographic and clinical characteristics of 124 outpatients with Mild Cogntiive Impairment, subgrouped by
absence of depression and apathy (Normal), presence of depression (Depressed), presence of depression and apathy
(Depressed-Apathetic), presence of apathy without depression (Apathetic).
DepressedNormal
Depressed
Apathetic
Apathetic
50 (40,3%)
38 (30,7%)
21 (17%)
15 (12%)
Mean
Sex, female
SD
62,7(%)
Mean
SD
65,8(%)
Mean
SD
90,5(%)
Mean
SD
57,1(%)
p.
NS
Age
71,6
8,5
70,8
7,6
71,6
6,4
70,8
7,4
NS
Education, years
7,3
3,7
7,6
3,3
7,7
3,3
7,2
3,9
NS
Duration of symptoms, months
20,8
13,1
19,8
11,9
17,7
7,5
25,8
18,2
NS
Drugs
2,7
2,2
2,7
1,7
2,5
1,7
3,3
2,7
NS
Comorbidity (n° of somatic diseases)
2,2
1,7
2,1
1,8
1,9
1,3
2,2
2,2
NS
MMSE
26,8
1,9
26,7
1,8
26,5
1,6
26,1
2,1
NS
ADAS-Cog
8,1
4,6
8,8
3,9
8,3
3,9
11,1
4,6
NS
CDR
0,4
0,1
0,4
0,1
0,4
0,1
0,5
0,0
NS
Sum of box
0,6
0,6
0,9
0,9
0,6
0,3
0,9
0,9
NS
Barthel index
99,2
1,8
97,1
4,8
99,1
2,1
97,1
5,8
NS
BADL
0,2
0,4
0,2
0,5
0,1
0,3
0,1
0,4
NS
IADL
0,3
0,6
0,3
0,6
0,5
0,8
0,7
0,9
NS
ApoE ( 4 allel)
46,3(%)
39,4(%)
33,3(%)
36,4(%)
MMSE: Mini Mental State Examination
APO E: Apolipoprotein E
CDR: Clinical Dementia Rating scale
ADAS Cog: Alzheimer’s Disease Assessment Scale cognitive
BADL: Basic Activities Daily Living (functions lost)
IADL: Instrumental Activities Daily Living (functions lost)
58
NS
LA RICERCA Table 2. Psycho-behavioural characteristics of 124 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of depression
and apathy (Normal), presence of depression (Depressed), presence of depression and apathy (Depressed-Apathetic), presence of
apathy without depression (Apathetic).
DepressedNormal
Depressed
Apathetic
Apathetic
50 (40,3%)
38 (30,7%)
21 (17%)
15 (12%)
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
p.
7,2a,b,c
6,8
13,5 a,d
11,7
24,2 b,d
9,2
20,1c
10,2
a,b,c,d.000
Delusions
0,2
0,9
0,5
1,5
0,2
0,9
0,0
0,0
NS
Hallucination
0,1
0,0
0,3
1,2
0,1
0,1
0,0
0,0
NS
Agitation
0,8
1,6
1,5
2,1
1,6
2,2
1,9
2,1
NS
Depression
1,8 a,c
1,9
3,4 a,d
2,7
5,7 c,d,e
3,1
3,2 e
2,1
a,c,d,e.000
Anxiety
2,1b
2,3
3,3
3,1
4,9 b
3,8
2,8
2,9
b.007
Euphoria
0,1
0,5
0,3
1,1
0,4
1,2
0,6
1,6
NS
0,2b,c
0,6
0,7 d,e
0,9
5,2 b,d
2,1
5,1 c,e
1,8
c,d,e.000
Disinhibition
0,0
0,0
0,1
0,6
0,0
0,0
0,3
0,9
NS
Irritability
1,3
1,7
1,8
2,4
1,9
2,7
2,0
2,2
NS
Aberrant Motor Behavior
0,2
0,7
0,4
0,9
0,6
1,7
0,7
1,7
NS
Sleep disturbances
0,6
1,3
1,2
1,8
2,2
2,9
1,6
1,9
NS
Eating disturbances
1,0
0,3
0,7
1,2
1,7
2,3
1,7
1,8
NS
Hamilton Anxiety Scale
6,9a,b
4,8
13,5a,d
5,7
13,4b,e
6,1
6,3d,e
4,6
a,b,d,e.000
Geriatric Depression Scale (15 items)
2,1a,b
1,4
7,3a,d
2,3
7,9b,e
2,8
2,2d,e
1,1
a,b,d,e.000
NPI total (FrequencyxGravity)
Apathy
NPI: Neuropsychiatric Inventory scale
59
Table 3. Neuropsychological characteristics of 124 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of
depression and apathy (Normal), presence of depression (Depressed), presence of depression and apathy (DepressedApathetic), presence of apathy without depression (Apathetic).
DepressedNormal
Depressed
Apathetic
Apathetic
50 (40,3%)
38 (30,7%)
21 (17%)
15 (12%)
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
p.
Clock drawing
7,4
2,5
6,9
2,2
6,7
1,7
6,4
2,6
NS
Rey's words list Immediate Recall
33,8
8,0
34,1
6,8
35,2
8,7
30,9
7,3
NS
Rey's words list Delayed Recall
4,9
3,8
6,3
2,9
6,2
3,1
4,9
2,4
NS
Short story
7,7
3,9
8,1
3,1
7,5
4,3
6,7
2,3
NS
Rey's figure recall
11,7
8,5
10,9
6,5
10,4
6,1
10,1
4,8
NS
Verbal fluency fonemic
29,8
9,3
27,9
6,9
27,3
11,1
28,3
10,7
NS
Verbal fluency categorical
13,4
4,8
13,2
4,2
13,7
4,7
12,5
3,1
NS
Raven's coloured matrices
26,2
5,9
26,1
5,8
24,1
6,1
23,2
5,7
NS
TMT A
67,2
35,1
69,5
38,2
76,2
48,3
73,8
42,8
NS
TMT B
270,6
172,6
293,8
169,1
254,7
169,2
289,7
175,7 NS
Rey's figure copy
28,8
6,6
27,5
8,5
26,7
7,8
26,3
TMT: Trail Making Test
60
8,5
NS
LA RICERCA Figure 1. Percentage of subtypes of MCI (amnestic single domain, amnestic multiple domain, non amnestic) in 124
outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of depression and apathy (Normal), presence of
depression (Depressed), presence of depression and apathy (Depressed-Apathetic), presence of apathy without depression
(Apathetic).
61
Table 4. Risk of progression to Dementia among 124 MCI patients.
OR
95 % C.I.
p.
Age
1,10
1,02
1,19
.01
Barthel index
0,83
0,71
0,97
.02
ADAS-Cog ( > 9.5)^
7,85
2,54
24,29
.000
Depression°
0,10
0,02
0,39
.001
Apathy*
7,07
1,99
25,17
.003
°presence of Depression (DSM IV)
*presence of Apathy (Marin 1996)
^A cut-off of 9.5 was adopted for ADAS-Cog.
Table 5. Risk of progression to Dementia within two years among 65 MCI patients (Normal and Apathetic).
OR
95 % C.I.
p.
Age
1,07
0,98
1,16
.10
Barthel index
0,90
0,70
1,16
.50
ADAS-Cog ( > 9.5)^
7,92
2,16
29,04
.002
Apathy*
4,92
1,13
21,37
.03
*presence of Apathy (Marin 1996)
^A cut-off of 9.5 was adopted for ADAS-Cog as previously described.
62
LA RICERCA Table 6. Risk of progression to Dementia within two years among 88 MCI patients (Normal and Depressed).
OR
95 % C.I.
p.
Age
1,12
1,02
1,24
.02
Barthel index
0,84
0,67
1,06
.10
ADAS-Cog ( > 9.5)^
3,77
0,91
15,55
.07
Geriatric Depression Scale (15 items)
1,47
0,93
2,33
.09
Depression°
0,08
0,01
0,68
.02
°presence of Depression (DSM IV)
^A cut-off of 9.5 was adopted for ADAS-Cog as previously described.
63
Figure 2. Frequency of Converters patients (developing Dementia within two years from baseline) in a sample of 124
outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of depression and apathy (Normal), presence of
depression (Depressed), presence of depression and apathy (Depressed-Apathetic), presence of apathy without depression
(Apathetic).The frequency of Converters patients in the whole sample was 22,6%. The rates of progression were 24% for
MCI normal, 7.9% for MCI depressed, 19% for MCI depressed-apathetic and 60% for MCI apathetic (Pearson chi-square=
Frequency converting to dementia
.000).
64
LA RICERCA Table 7. Sociodemographic and clinical characteristics of 155 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by
absence of depression and apathy (Normal MCI), presence of depression with or without apathy (Depressed MCI), presence
of apathy without depression (Apathetic MCI).
Normal
Depressed
Apathetic
92 (59%)
33 (21%)
30 (20%)
Mean
SD
Mean
SD
SD
61 (%)
Age
72.3*
7.1
73.3
7.2
76.3*
Education, years
7.3
3.4
6.8
3.4
6.9
2.9
NS
Duration of symptoms, months
20.1
21.3
21.9
19.5
25.2
17.5
NS
Drugs
3.6*
2.6
5.3*
2.5
3.5*
2.5 *< .05
Comorbidity (n° of somatic diseases)
4.4
3.1
5.1
3.4
4.2
2.7
NS
CDR (sum of boxes)
0.5
0.2
0.7
0.5
0.7
0.5
NS
BADL
0.1*
0.3
0.4*
0.5
0.1
0.3
IADL
0.2*
0.6
0.7*
0.8
0.3
0.6
Tinetti scale
25.5
6.6
25.2
5.2
23.8
6.5
NS
UPDRS motor part
2.3
4.1
3.5
6.7
3.9
6.9
NS
41 (%)
40 (%)
CDR: Clinical Dementia Rating scale
BADL: Basic Activities Daily Living (functions lost)
IADL: Instrumental Activities Daily Living (functions lost)
65
58 (%)
p.
Gender, female
APOE allele epsilon4
66 (%)
Mean
39 (%)
NS
6.1 *< .05
*< .05
*< .05
NS
Table 8. Psycho-behavioural characteristics of 155 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of
depression and apathy (Normal MCI), presence of depression with or without apathy (Depressed MCI), presence of apathy
without depression (Apathetic MCI).
Normal
Depressed
Apathetic
92 (59%)
33 (21%)
30 (20%)
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
p.
NPI total (FrequencyxGravity)
5.8*
5.9
12.2*
11.3
5.1*
4.3
<.005
Delusions
0.2
0.8
0.2
0.8
0.1
0.2
NS
Hallucination
0.1
0.2
0.0
0.0
0.0
0.0
NS
Agitation
0.4
0.8
1.1
1.9
0.3
0.9
NS
Depression
0.8*
1.2
2.5*
3.3
0.6*
1.2
<.005
Anxiety
1.1*
1.6
3.2*
3.1
0.8*
1.1
<.000
Euphoria
0.2
0.7
0.1
0.4
0.1
0.2
NS
Apathy
0.8
1.2
1.1
1.7
0.7
1.4
NS
Disinhibition
0.1
0.5
0.0
0.0
0.1
0.3
NS
Irritability
0.8*
1.3
2.3*
3.2
0.9*
1.2
<.05
Aberrant Motor Behavior
0.1
0.2
0.1
0.4
0.1
0.6
NS
Sleep disturbances
0.8
1.7
1.4
2.3
1.1
1.6
NS
Eating disturbances
0.6
1.5
0.9
1.4
0.8
1.6
NS
Geriatric Depression Scale (15 items)
2.1
1.6
7.8*
2.1
2.6
1.7
<.000
Beck Depression Inventory
6.4
4.6
13.6*
8.9
6.1
5.6
<.000
Geriatric Anxiety Inventory
4.6
4.1
10.2*
5.1
3.9
4.7
<.000
NPI: Neuropsychiatric Inventory scale
66
LA RICERCA Table 9. Neuropsychological characteristics of 155 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of
depression and apathy (Normal MCI), presence of depression with or without apathy (Depressed MCI), presence of apathy
without depression (Apathetic MCI).
Normal
Depressed
Apathetic
92 (59%)
33 (21%)
30 (20%)
Mean
SD
Mean
SD
Mean
SD
p.
MMSE
26.9
3.3
27.2
1.7
27.1
1.5
NS
Clock drawing
8.1*
1.9
7.4
2.3
6.2*
2.5 *<.005
Rey's words list Immediate Recall
33.6
9.4
30.7
7.8
30.3
7.7
Rey's words list Delayed Recall
5.7*
3.3
5.6
2.8
3.9*
1.9 *<.05
Short story
9.4*
4.5
10.4*
4.3
6.9*
3.2 *<.05
Rey's figure recall
9.9*
5.5
8.3
5.2
6.9*
3.1 *<.05
Verbal fluency fonemic
26.4*
9.4
25.1
9.9
20.7*
6.8 *<.05
Verbal fluency categorical
31.4
16.7
28.4
16.8
32.7
15.1
NS
Raven's coloured matrices
25.1
6.1
24.1
5.1
23.5
7.4
NS
TMT A
57.6
61.9
69.5
32.7
56.6
18.1
NS
TMT B
224.2*
185
337.6*
169.1
260.9
186.6 *<.05
27.6
5.7
24.4
7.3
24.7
Rey's figure copy
TMT: Trail Making Test
67
5.4
NS
NS
Figure 3. Apathy Evaluation Scale divided in three subscales (cognitive, behaviour, emotional) in 155 outpatients with Mild
Cognitive Impairment, subgrouped by absence of depression and apathy (Normal MCI), presence of depression with or
without apathy (Depressed MCI), presence of apathy without depression (Apathetic MCI).
Figure 4. Frequency of progressors subjects (progression has been evaluated through the ‘CDR sum of boxes’ score after
12+2 months from baseline) in 155 outpatients with Mild Cognitive Impairment, subgrouped by absence of depression and
apathy (Normal MCI), presence of depression with or without apathy (Depressed MCI), presence of apathy without
depression (Apathetic MCI).
68
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PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE (2008-2012)
Durante gli anni del dottorato di ricerca (2008-2012) sono stati pubblicati i seguenti
elaborati in cui la dottoranda ha contribuito alla raccolta e analisi dei dati e alla stesura dei
lavori:
Lavori in lingua inglese su riviste indicizzate (2008-2012)
Rozzini L, Vicini Chilovi B, Bertoletti E, Conti M, Delrio I, Trabucchi M, Padovani A.
Mild parkinsonian signs and psycho-behavioral symptoms in subjects with mild cognitive
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Grazie a A.P.
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