ARDENGO SOFFICI. CENNI BIOGRAFICI
Nato a Rignano sull’Arno il 7 aprile 1879, trascorre l’infanzia in quel paese, dove il padre è fattore.
Fin da ragazzo si sente portato verso le arti, la pittura è la sua prima passione. Verso i tredici anni
la famiglia si trasferisce a Firenze. Qui si iscrive all’Accademia di Belle Arti, poi alla Scuola del
Nudo.
Nel novembre 1900 parte per Parigi. Per vivere disegna vignette per i giornali umoristici, esegue
anche figure, paesaggi e scene di vita quotidiana. Partecipa all’esposizione degli Indépendants del
1902; entra in contatto con la rivista La Plume e gli artisti simbolisti che si riuniscono al Caveau del
Soleil d’Or. Qui incontra il poeta Apollinaire, quindi Picasso, Max Jacob, Salmon, Braque,
Derain, Matisse, Gris, Manolo, Serge Ferat, Hélène d’Œttingen, e personaggi rilevanti di quella
irripetibile stagione.
Rientrato brevemente in Toscana nel 1903, conosce Papini, direttore della rivista Leonardo;
successivamente Prezzolini: saranno i suoi più forti legami intellettuali.
Torna in Italia nel 1907, nella casa materna di Poggio a Caiano che abiterà per tutta la vita. Con
Papini e Prezzolini nel 1908 inizia l’avventura de La Voce: pubblica testi su Medardo Rosso,
l’Impressionismo, Picasso e Braque, che avranno conseguenze importanti per la cultura italiana.
Nel 1910 organizza la grande mostra sugli impressionisti che si tiene a Firenze sotto l’egida de La
Voce. Del 1911 è il saggio su Arthur Rimbaud.
Con Papini, nel 1913, fonda la rivista Lacerba, presto organo del futurismo; partecipa alle mostre
organizzate dai futuristi in Italia e all’estero. Nel 1913 pubblica Cubismo e oltre; nel 1915 Giornale di
bordo e BIF§ZF+18 Simultaneità e Chimismi lirici.
Nel 1914, a Parigi, è in contatto con Apollinaire e l’ambiente de Les Soirées de Paris, conosce
Cendrars e i fratelli de Chirico.
Allo scoppio della guerra parte volontario. Due volte ferito, decorato al valore, ne scrive in Kobilek,
giornale di battaglia, 1918, e in La ritirata del Friuli, 1919.
Tornato a Poggio, sposa Maria Sdrigotti di Udine che gli darà tre figli.
Nel 1920 fonda la rivista personale Rete mediterranea, in cui dichiara il suo rinnovato spirito creativo
orientato al realismo. A Firenze tiene una importante personale. Collabora alla rivista Valori
Plastici; per queste edizioni, 1922, una monografia sulla sua pittura con testo di Carrà. Fra le due
guerre è intensa l’attività pubblicistica e numerose sono le mostre, anche alla Biennale di Venezia e
alla Quadriennale di Roma, che lo pongono fra i protagonisti dell’arte italiana.
Nel 1923-24 trasferimento a Roma: Soffici è nella redazione del quotidiano Nuovo Paese, poi Corriere
Italiano. Rientrato al Poggio, collabora alla rivista di Maccari Il Selvaggio e a L’Italiano di Longanesi.
Da Hoepli, nel 1933, esce la monografia su di lui con testo di Papini. Tra i libri di maggior
riscontro: Elegia dell’Ambra, 1927, Periplo dell’arte, 1928, Taccuino d’Arno Borghi, 1933, Ritratto delle cose di
Francia, 1934, Marsia e Apollo, 1938. Nel 1939 è nominato Accademico d’Italia.
Nel 1944 viene fermato, per alcuni mesi, dalle forze alleate; tornato a Poggio, nel 1946, riprende il
lavoro artistico e letterario.
Pubblica da Vallecchi Autoritratto di artista italiano nel quadro del suo tempo, 1951-1955. Per quest’opera
gli viene conferito il Premio Marzotto, 1955. Presso lo stesso editore cura in sette volumi le sue
Opere letterarie.
Il 19 agosto 1964 muore nella casa estiva di Vittoria Apuana. È sepolto nel cimitero di Poggio a
Caiano.
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