Avvenire 11/06/2013
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MERCOLEDÌ
6 NOVEMBRE 2013
3
il fatto
Scappano dalla
Colombia insanguinata
dagli scontri senza fine
tra esercito, Farc
e paramilitari. Sono 1.500
ogni mese ma non tutti
ottengono dall’Acnur
di Quito lo status
di rifugiati. Pochi hanno
un lavoro regolare
moltissimi sono sfruttati
eppure nessuno
desidera tornare
al terrore della guerra
LA LEGGE
IL DIRITTO DI ASILO
E DI RIFUGIO TUTELATO
DALLA COSTITUZIONE
L’Ecuador ha ratificato nel
1958 la Convenzione
internazionale per la
protezione dei rifugiati. Undici
anni dopo ha aderito anche al
Protocollo aggiuntivo. Tali
strumenti legislativi sono stati
ribaditi e regolamentati nel
recente decreto presidenziale
numero 1182 del 30 maggio
2012. L’articolo 41 della
Costituzione del 2008, inoltre,
riconosce i diritti di asilo e
rifugio e afferma il principio di
“cittadinanza universale”. Non
sempre, però, le prerogative
concesse sulla carta vengono
rispettate. Il governo ha
appena annunciato una serie di
colloqui con l’Acnur per dare
maggiore protezione ai
rifugiati. (Lu.C.)
UOMINI
IN FUGA
DAL NOSTRO INVIATO A QUITO
LUCIA CAPUZZI
on ho scelto. Sono arrivati e
mi hanno detto che avevo
due ore per lasciare casa
mia, nel Putumayo». A costringere Martha,
45 anni, a partire sono stati i Rastrojos, una delle troppe bande armate nate dall’apparente smobilitazione delle vecchie
organizzazioni paramilitari. Augustín, invece, è fuggito da Caloto, nel Cauca, dopo
aver visto la sua abitazione distrutta nel
fuoco incrociato tra esercito e guerriglieri
del sesto fronte Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Prima di oltrepassare la frontiera, Isabel, originaria del
Chocó, ha vagato per il Nariño. «Ma anche
lì era rischioso».
Alla fine, tutti e tre si sono lasciati alle spalle la Colombia e la sua guerra e sono approdati in Ecuador. Come altri 1.500 concittadini: tanti, ogni mese, varcano il confine per sfuggire a un conflitto che, dopo oltre sei decenni, si ostina a non terminare. I
colloqui di pace tra governo e Farc – in corso all’Avana – non arrestano il flusso degli
sfollati: i negoziati sono un’eco lontana nei
villaggi aggrappati alle tre cordigliere andine, dove gli scontri proseguono. E il fiume
umano continua a riversarsi – come negli
ultimi 13 anni – nella nazione vicina. Che
proprio quest’esodo ha trasformato ormai
nel “Paese dei rifugiati”: un record impegnativo per il più piccolo degli Stati andini, di per sé povero, nonostante i recenti
miglioramenti. Se ne contano ufficialmente oltre 55mila. Sono quelli riconosciuti dallenti e criminali. Più o meno gli stessi prel’Alto commissariato delle Nazioni Unite
giudizi beceri che spesso in Europa o negli
per i rifugiati (Acnur), che dal 2000 ha aUsa si applicano agli ecuadoriani o a quaperto vari uffici a Quito e nelle zone di fronlunque “latino”. Un’indagine della prestitiera per aiutare il governo ecuadoriano a
giosa Facoltà di Scienze Sociali di Quito
gestire l’improvvisa emergenza profughi.
(Flacso) mette in relazione l’aumento delEsplosa nel 2000 in coincidenza con il Plan
le manifestazioni razziste con la “de-fronDAL NOSTRO INVIATO A QUITO
Colombia, ovvero la nuova offensiva del gotierizzazione” dell’emergenza rifugiati, ovverno contro la guerriglia, con l’aiuto degli
vero col massiccio trasferimento di questi
cusi il ritardo, ma dovevo termi«Via dalle tendopoli, ora do lezioni
Usa. Solamente nel 2012 –
ultimi nei centri urbani, donare una lezione». Entra quasi di
in base alle statistiche del
ve maggiori sono le possicorsa nell’ufficio del Servizio geLe difficoltà
di francese». Ma per molti esuli
ministero degli Esteri – sobilità di impiego ma anche
suita rifugiati e migranti di Quito, Emmanon li scoraggiano, la competizione coi locali
del Paese caraibico il sogno rimane nuel Pierre. Prima di sedersi, tira fuori dalla
no arrivate oltre 12mila domande di asilo.
per ottenerlo. Le discrimiborsa di tela un vecchio pc portatile. «Così
la loro capacità
il Brasile o gli Stati Uniti
Ai profughi regolari, poi, si
nazioni raggiungono perfile mostro quanti siamo: abbiamo anche un
di adattamento
sommano gli altri 75mila la
no le aule scolastiche. «Un
gruppo su Facebook». La pelle scura ingancui richiesta non è stata acbimbo rifugiato su cinque
na: Emmanuel sembra uno dei molti afroe resistenza
cettata per mancanza di renon frequenta le elementacolombiani rifugiati nella nazione andina.
è
incredibile.
quisiti. «E i molti di più che
ri e quasi la metà degli adoLa pronuncia delle erre – troppo dolce e straneppure la presentano. Perlescenti non prosegue gli
scicata per il castigliano – tradisce però la
R spiegano:
ché non sanno nemmeno
studi», afferma Aguilar. In
sua madre-lingua francese.
«Rifugiato vuole
di poterlo fare e restano inbuona parte dei casi sono i
«Per fortuna, verso i colombiani c’è ancora
visibili», spiega ad Avvenire
centri
educativi
a
non
acpiù razzismo», ride il giovane haitiano, arridire lottatore»
Juan Villalobos, direttore
cettare i piccoli profughi, rivato in Ecuador insieme alla moglie Eline
della sezione ecuadoriana del Servizio gecorrrendo a qualche escamotage burocral’11 novembre 2010, undici mesi dopo il desuita per i rifugiati e i migranti (Sjrm). L’uftico.
vastante terremoto che ha sbriciolato la caficio, nella residenziale zona nord della caIngannare i genitori, ignari in genere delle
pitale del Paese caraibico, uccidendo oltre
pitale, è un via vai di persone in cerca di
regole del nuovo Paese, del resto è sempli200mila persone. Tecnicamente, Emmanuel
aiuto. In maggioranza colombiane. «Natuce. «Eppure le difficoltà non li scoraggiano.
non può chiedere asilo come rifugiato: non
rale: sono il 98 per cento dei rifugiati», diNonostante abbiano visto e vissuto la vioè stata la violenza politica a costringerlo a
ce ancora Villalobos. «Dal Plan Colombia ne
lenza, hanno una capacità di adattamento
lasciare la sua terra ferita, ma un’immane
sono giunti almeno 200mila. E si tratta di
e resistenza incredibili – conclude Aguilar.
catastrofe naturale. Che ha fatto sprofondauna stima al ribasso».
– Molti sono riusciti ad aprire attività, a laure ancora più in basso una nazione definita
A differenza delle decine di migliaia di mirearsi, a fare strada. Quando mi chiedono
già prima «la più povera dell’emisfero occigranti – dall’America centrale ma anche
che cosa significhi essere un rifugiato, ridentale». Emmanuel non si considera, però,
dall’Africa e dallo Sri Lanka – che attraverspondo sempre che vuol dire essere un lotun comune migrante: «La mia casa è stata
sano l’Ecuador diretti verso mete “più aptatore. Un lottatore coraggioso».
rasa al suolo dal sisma come l’intero quarpetibili”, come il dinamico Brasile, i cotiere di Delmas 33. Per 11 mesi abbiamo vis©
lombiani (regolari e non) si trasferiscono
in pianta stabile nella nazione vicina. In
questo modo, non si allontanano troppo
ABUSATE E SFRUTTATE
dalla patria d’origine. «Anche se sono determinati a non tornare indietro. L’84 per
cento dei rifugiati non vuole rientrare in
Colombia perché ha terrore della guerra. E
questa tendenza si è mantenuta invariata
anche dopo l’avvio delle trattative di pace
ong che ha lavorato a lungo per assistere i profughi nella frontiera
DAL NOSTRO INVIATO A QUITO
tra governo e Farc», dice il direttore.
tra Ecuador e Colombia. Anche le fortunate che trovano un posto
Eppure, la vita in Ecuador è tutt’altro che
come cameriera, sguattera, cuoca o badante sono esposte ad abusi
ambine, adolescenti, donne. Sono loro a formare la gran
facile. Sia per quanti restano nelle zone vie sfruttamento. Non a caso Acnur prevede una serie di programmi
parte del popolo dei rifugiati – sei ogni dieci profughi – che
cine al confine, sia per quel 60 per cento
specifici per arginare la violenza di genere, che in Ecuador colpisce
dalla Colombia, ogni giorno, si riversa sull’Ecuador.
che, invece, si trasferisce nelle grandi città,
sei donne su dieci. Tra le rifugiate la proporzione è perfino più alta.
Naturale, dato che verso di loro il conflitto è particolarmente
cioè Quito e Guayaquil. «La principale dif«Mi avevano assunto come estetista – racconta Beatriz – ma dopo
crudele. Gli stupri di massa e l’arruolamento forzato di piccoli
ficoltà è l’accesso al mercato del lavoro –
due settimane, invece dei 100 dollari pattuiti, la proprietaria mi ha
combattenti e schiave sessuali sono un’arma diffusa nella selva
spiega Sonia Aguilar, del servizio informadato cinque bottigliette di smalto come pagamento». Carla lavora
colombiana. Per le ragazze, spesso, la fuga è l’unica possibilità di
zione dell’Acnur. – Tanti rifugiati, nononel ristorante dalle 5 di mattina alle 22. In cambio riceve 30 dollari
salvezza. Una speranza che a volte, però, si rivela solo una chimera.
stante abbiano i documenti in regola, dealla settimana: doveva prenderne 60, ma i padroni le scontano il
Perché le giovani rifugiate – ignare dei loro diritti – rappresentano
vono accontentarsi di occupazioni saltuapiatto di riso che le danno per pranzo. L’abitudine a non pagare le
una facile preda per i mercanti di donne. Secondo la Fondazione
rie e informali». Ovvero pagate – anzi, sotrifugiate – e i rifugiati, soprattutto quelli senza uno status regolare –
Esperanza, il 70 per cento delle circa 25mila prostitute che affollano
topagate – in nero. Per chi poi non ha nemper il lavoro svolto è diffusa, come ha denunciato anche di recente
i bar-postriboli dell’Ecuador sono colombiane. Un quinto di queste,
meno il prezioso status – e dunque è irrela Pastorale migranti della Chiesa ecuadoriana. «Mi hanno detto:
è minorenne. Quasi tutte – nonostante la prostituzione sia legale
golare – lo sfruttamento è quasi una cer“Non ti sta bene? Vai alla polizia” – racconta Yasima. – Sanno che
nel Paese – sono costrette a vendere il proprio corpo con ricatti e
tezza. Negli ultimissimi anni si nota anche
non posso farlo. Non voglio tornare in Colombia e finire ammazzata
minacce. «Molte non sanno nemmeno di aver diritto allo status di
«un razzismo crescente nei confronti dei
come le mie tre sorelle». (Lu.C.)
rifugiate. I trafficanti minacciano di denunciarle e farle riportare
colombiani», sottolinea Aguilar.
indietro, in mezzo alla guerra», spiega Teresa Casanova di Coopi,
©
In Ecuador è diffuso lo stereotipo secondo
cui i colombiani sono narcotrafficanti, vio-
«N
Ecuador, l’amara
terra dell’esodo
Colorati bus,
chiamati
«chiva»(capra)
lasciano la
Colombia diretti nel
vicino Ecuador.
Quest’ultimo è la
nazione
dell’America Latina
con il più alto
numero di rifugiati.
In basso, un villaggio
costruito dai
rifugiati nel nord
dell’Ecuador
«Addio Haiti, patria povera e disperata»
la storia di Emmanuel
«S
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Tra mercanti di donne e mestieri pagati con un piatto di riso
B
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suto in una delle miriadi di tendopoli spontanee. Speravamo che fosse una situazione
temporanea, ma non è stato così. Tuttora, a
tre anni dal terremoto, sono centinaia di migliaia gli haitiani nei campi, senza acqua né
luce».
Emmanuel non voleva trasformarsi in un eterno profugo nel suo stesso Paese. E così ha
deciso di andar via, come migliaia di altri
concittadini. «Ogni giorno, ne arrivano in
media cinque nel solo aeroporto di Quito –
sottolinea – e quattro di loro sono vittime di
reti internazionali di tratta». Che “agganciano” i disperati nelle tendopoli, costringono
i familiari all’estero (la diaspora haitiana è la
principale fonte di sostegno dei parenti rimasti in patria) a pagare tra i 5 e i 7mila dollari per il viaggio, promettono loro casa e lavoro in Ecuador, salvo poi sparire. Chi non
ha parenti vende il poco che ha o si indebita: in questo caso i trafficanti tengono i parenti rimasti ad Haiti “come ostaggio”. E i migranti sono costretti a compiere ogni genere di traffico illecito per saldare i conti.
La scelta dell’Ecuador non è casuale. Nonostante offra molte meno possibilità rispetto
a Messico o Brasile, il Paese riconosce – dal
2008 – il principio di cittadinanza universale. È la cosiddetta politica delle “porte aperte” inaugurata dall’attuale presidente Rafael
Correa: non è necessario un visto di entrata
nel Paese, dove si può rimanere col semplice passaporto per novanta giorni. Tra il testo delle leggi e la sua applicazione concreta, però, il divario resta ampio. Tre mesi sono quasi sempre insufficienti perché i migranti possano trovare un lavoro e regolarizzare la loro posizione: alla scadenza del
termine, gli haitiani entrano nel limbo degli
invisibili.
«Come vivo? Tengo lezioni private di francese. In nero ovviamente: guadagno tra i 500
e i 600 dollari al mese, ne pago 120 per una
casupola nella baraccopoli di Colinas del
Norte. Sto meglio, comunque, rispetto ad altri compatrioti: la maggior parte lavora come muratore, oppure fanno gli sguatteri nei
ristoranti. Lì non prendono nemmeno 150
dollari al mese». Ecco perché tanti haitiani,
dopo il primo periodo, lasciano l’Ecuador
nella speranza di raggiungere Brasile o Stati Uniti. Al momento se ne contano – secondo le stime del Sjrm – tra i 3 e i 4mila. Per
ognuno che parte, però, ne arrivano tre. «E
il flusso è in continua crescita – conclude il
giovane – almeno fino a quando il governo
haitiano e la comunità internazionale non
manterranno la promessa di ricostruire (o
meglio costruire, ndr) il Paese».
Lucia Capuzzi
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November 6, 2013 3:40 pm / Powered by TECNAVIA
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Ecuador, l`amara terra dell`esodo