Torna al sommario
RIASSUNTO
L’applicazione delle tecniche di imaging e di genetica alla psichiatria sta producendo
una grande mole di dati riguardanti vari disturbi mentali. Combinando l’imaging con
la genetica utilizzando l’approccio dei “fenotipi intermedi”, ci si pone l’obiettivo di
riconoscere alcune caratteristiche neurobiologiche peculiari di questo disturbo per l’identificazione dei geni ad esse associati.
Questo articolo, ripercorrendo le tappe fondamentali nell’utilizzazione di questo
approccio nello studio della schizofrenia, delinea quali possono essere i vantaggi e gli
svantaggi dell’utilizzazione delle tecniche di neuroimaging e di genetica in psichiatria,
ed evidenzia quali sono le domande che hanno ricevuto una risposta, quali potranno
riceverla tra breve, e quali hanno bisogno di ulteriori e lunghi passi in avanti affinché
si possa giungere ad una migliore comprensione di questo disturbo.
4:2002; 303-318
Clinical Brain Disorders Branch, National Institute of Mental Health, National
Institutes of Health, Bethesda, MD, USA
NÓOς
JOSEPH H. CALLICOTT, DANIEL R. WEINBERGER
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
Il neuroimaging come approccio
alla caratterizzazione del fenotipo
per studi genetici sulla schizofrenia
Parole chiave: Schizofrenia, imaging, genetica, fenotipi intermedi.
SUMMARY
Application of imaging and genetic techniques to psychiatry have produced numerous
studies on various brain disorders. One of the research approaches used in this field is the
so called approach of “intermediate phenotype”. The goal of this approach is to recognize
features of brain disorders by studying families with a subject affected by this disorder.
The present paper reassumes the basic steps for utilization of the intermediate phenotype
approach in the study of schizophrenia with neuroimaging and genetic techniques outlining advantages and disadvantages. The second part of this paper highlights questions that
have received an answer, questions that could receive it in a short time, and questions in
need of further studies to better understand this disorder.
Key words: Schizophrenia, imaging, genetic, intermediate phenotype.
303
Indirizzo per la corrispondenza: Daniel R. Weinberger, Clinical Brain Disorders Branch, National Institute
of Mental Health, National Institutes of Health, 9000 Rockville Pike, Bethesda, Maryland 20862-USA.
NÓOςς
304
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
INTRODUZIONE
La recente identificazione della sequenza del genoma umano ha incrementato le aspettative rispetto alla possibilità di scoprire dei geni di suscettibilità
per i principali disordini psichiatrici, anche se la complessa architettura
genetica dei disturbi mentali sembra porre una sfida continua ai tradizionali
approcci basati sul linkage e sull’associazione. L’applicazione dell’imaging
funzionale cerebrale nell’ambito della psichiatria genetica è giunta probabilmente in un momento opportuno, e due sviluppi stanno probabilmente cambiando il suo ruolo nelle neuroscienze psichiatriche e nella ricerca: da un lato
il fallimento dell’imaging cerebrale nel produrre misure diagnostiche specifiche per la malattia, dall’altro l’avanzamento delle tecniche di imaging con
Risonanza Magnetica (MRI). Sebbene i dettagli metodologici diventino
sempre più complessi e difficilmente comprensibili, la dialettica fra neuroscienziati e psichiatri clinici si è intensificata.
Al contrario di quanto accadeva vent’anni fa, quando il dibattito era centrato
sulla rilevanza che i risultati dell’imaging cerebrale strutturale potevano
avere nella determinazione dell’eziologia dei disturbi mentali, l’attuale ricerca di fenotipi di imaging funzionale potrebbe essere utile per tutti, in quanto
lo scopo dei clinici e dei neuroscienziati è di colmare il vuoto esistente fra
“dati” di mappatura cerebrale e patologie neuronali.
L’identificazione di caratteristiche psicologiche o fisiologiche elementari
associate con queste malattie e trasmesse all’interno di famiglie affette, è l’obiettivo finale dell’approccio dei “fenotipi intermedi” applicato al neuroimaging nella schizofrenia (figura 1).
L’evoluzione di questo approccio nell’imaging cerebrale nella schizofrenia è
un esempio particolarmente utile, poiché illustra sia i vantaggi che gli svantaggi di questa metodologia di studio. Sebbene l’imaging funzionale cerebrale si sia evoluto fino a diventare uno strumento importante nella ricerca dei
fenotipi intermedi, vi sono delle incertezze rispetto all’interpretazione di particolari risultati in quest’ambito nei pazienti affetti da schizofrenia (e, conseguentemente, rispetto alla loro validità finale come fenotipi) che sono indicative delle sfide a cui presumibilmente si trovano di fronte i ricercatori che
sono interessati ad una più ampia varietà di disturbi psichiatrici11.
Una delle aspettative più importanti è che l’utilizzo di sofisticati paradigmi
neuropsicologici sperimentali, insieme alla mappatura cerebrale fisiologica
in vivo, possa produrre alcune scoperte inaspettate e ricche di informazioni
per il processo di conoscenza su disturbi mentali come la schizofrenia. Sebbene gli esperimenti di imaging funzionale cerebrale siano finora falliti nello
scoprire mappe cerebrali qualitativamente distinte e specifiche per i disturbi
mentali più complessi quali la schizofrenia, la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) e la Risonanza Magnetica Spettroscopica (MRS) offrono
due potenziali ed unici contributi: le misure quantitative dell’attività dei neuroni in aree specifiche del cervello nel corso di una serie di situazioni sperimentali tramite la fMRI, e le misure quantitative del metabolismo neuronale
regionale tramite la MRS. La prima sezione di questo capitolo riassume parte
delle ricerche con imaging cerebrale utilizzato come approccio per una carat-
4:2002; 303-318
NÓOς
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
Figura 1. Il neuroimaging funzionale come approccio per la ricerca delle causalità genetica.
È illustrato l’assunto centrale dell’approccio del fenotipo intermedio. La schizofrenia è considerata come un disordine complesso sia dal punto di vista genetico sia da quello fisiologico.
L’approccio del fenotipo intermedio con neuroimaging funzionale tenta di aggirare la complessità identificando “semplici” dati fisiologici di imaging cerebrale associabili a “semplici”
interazioni genetiche. Anche se l’esatta interrelazione fra i singoli livelli (dal gene alla cellula, alla fisiologia ed infine al comportamento) è attualmente caratterizzata in maniera non
completa (visualizzata dalle frecce tratteggiate) il fenotipo intermedio può essere pensato
come un “cortocircuito” guidato da ipotesi ben precise verso la suscettibilità genetica.
terizzazione fenotipica di coorti specifiche (ad esempio, pazienti affetti da
schizofrenia, i loro parenti, e controlli sani) per studi genetici. Cosa ancora
più importante, due domande fondamentali emergono ripetutamente in questo processo di generazione di fenotipi intermedi putativi ottenuti con imaging cerebrale:
♦ una particolare anormalità nella visualizzazione cerebrale nell’ambito
della schizofrenia rappresenta un fenomeno genetico?
♦ una volta che un’anormalità nella visualizzazione cerebrale sembra essere significativa dal punto di vista genetico, questa stessa anormalità può
essere definita al livello di un singolo soggetto (schizofrenico o altro) in
maniera tale che gli alleli specifici del disturbo possano essere identificati?
La seconda sezione di questo capitolo fornisce una disamina più dettagliata
dei fenotipi ottenuti con gli studi di imaging cerebrale finora svolti. Le scoperte in ambito di imaging funzionale cerebrale nella schizofrenia stanno
cominciando ad accumularsi rapidamente. Che qualcuna fra queste scoperte
possa portare all’identificazione di alleli di suscettibilità per la schizofrenia
rimane un argomento di attiva discussione. Tuttavia, se i ricercatori che uti305
NÓOςς
lizzano l’imaging funzionale cerebrale fossero in grado di indirizzare i loro
sforzi verso queste domande fondamentali, allora presto potrebbero essere
identificati nuovi alleli di suscettibilità.
306
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
LA RICERCA DEI FENOTIPI INTERMEDI NELLA SCHIZOFRENIA
La ricerca dei fenotipi con neuroimaging è rimasta nell’ombra fino a quando
sono stati svolti i primi studi fondamentali di imaging cerebrale strutturale
pubblicati nel corso dei tardi anni Settanta e primi anni Ottanta56. Questi
primi studi con la Tomografia Assiale Computerizzata (CT) hanno mostrato che la ventricolomegalia laterale non era soltanto una “dato” di gruppo
forte e replicabile, ma anche che questo tratto o fenotipo aveva una relazione
diretta, “nel mondo reale”, con i singoli pazienti (considerati individualmente). Ad esempio, in uno di questi primi e fondamentali studi, Johnstone ed
altri28 hanno usato la CT per studiare 17 pazienti istituzionalizzati con schizofrenia (SCZ) e 17 contolli sani comparabili (HV). Lo studio ha dimostrato
che i pazienti considerati come gruppo avevano ventricoli più ampi e che (a
livello di paziente considerato individualmente) la ventricolomegalia prediceva peggiori performance cognitive. Il successivo passo logico era quello di
determinare se il fenotipo della ventricolomegalia laterale fosse sotto controllo genetico (negli HV e nei SCZ) e fosse anche ereditario all’interno di
famiglie in cui era presente la schizofrenia. Considerati insieme, 3 studi basilari sulla schizofrenia hanno mostrato che queste anomalie visualizzate con
la CT non erano semplicemente sotto controllo genetico, ma erano anche
ereditarie negli HV, negli SCZ e nei germani degli SCZ. Weinberger et al.60
hanno confrontato la distribuzione della ventricolomegalia laterale in 9 paia
di germani in cui almeno un membro era affetto da schizofrenia, comparandoli con 7 paia di germani sani. Il rapporto ventricolo/cervello (VBR) è stato
considerato come fenotipo ereditario putativo in due modi: quantitativamente, tramite intra-class correlation (ICC)2 del VBR all’interno delle coppie
dei germani; e qualitativamente, valutando la dispersione dei dati derivati
dalla comparazione del VBR di un dato individuo con un definito VBR
medio di gruppi di controlli sani. Quantitativamente e qualitativamente, il
VBR appariva ereditario sia nelle coppie di germani sani, sia in quelle con
membro affetto da schizofrenia. Reveley e colleghi43 hanno studiato lo stesso
problema utilizzando gemelli monozigoti (MZ) e dizigoti (DZ). Usando il
VBR come fenotipo, l’ereditarietà è stata calcolata in 11 paia di gemelli MZ
sani, 8 paia di gemelli DZ sani, e 7 paia di gemelli MZ discordanti per la
schizofrenia. Il VBR era fortemente ereditario nei MZ in salute (h2=0,98) e
circa il doppio di quello dei DZ sani (h2=0,45). Il VBR era fortemente ereditario anche nei DZ con schizofrenia (h2=0,87). Tuttavia, le due coppie di germani DZ con schizofrenia con una importante storia familiare di psicosi
dello studio di Reveley et al.43 mostravano la minima varianza all’interno
della coppia, riflettendo un apparente effetto di carico genetico per cui una
forte storia familiare di psicosi (che si manifestava o con schizofrenia franca
o semplicemente con la storia familiare) prediceva in coppie di germani una
4:2002; 303-318
NÓOς
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
concordanza maggiore per il fenotipo, come anche riportato da Weinberger
et al60. Infine, DeLisi e colleghi17 hanno dimostrato una significativa componente familiare nell’allargamento del ventricolo laterale in 11 coppie di germani (inclusi germani non psicotici di pazienti schizofrenici o cosiddetti germani non affetti [SIBS]), che non era interamente spiegato da fattori nongenetici o ambientali, ad esempio lesioni al capo nei primi anni di vita o
complicanze ostetriche.
Nei decenni successivi, la MRI ha ampiamente sostituito la CT in queste
ricerche38,54,59,61. Recentemente, Lawrie et al.31 hanno riportato i primi risultati volumetrici di MRI dall’Edinburgh High Risk Project (Progetto sull’Alto
Rischio di Edimburgo). Questo è un progetto di monitoraggio epidemiologico continuo per seguire 200 soggetti asintomatici ma ad alto rischio, in quanto con diversi parenti di primo e/o secondo grado affetti da schizofrenia
manifesta. Lo scopo di questo progetto è di determinare i fattori che sembrerebbero predire quali soggetti ad alto rischio potrebbero alla fine sviluppare
la schizofrenia. Come nei primissimi studi di CT, lo studio dei membri non
affetti di queste famiglie era guidato dall’ipotesi che gli alleli di suscettibilità
(e quindi la/le manifestazione/i fenotipiche di questi alleli) si sarebbero più
probabilmente aggregati all’interno di questi soggetti ad alto rischio. Lawrie
et al.31 hanno confrontato 100 soggetti ad alto rischio con 20 SCZ al primo
episodio e 30 HV comparabili. Le analisi all’interno del gruppo ad alto
rischio hanno suggerito che un pattern di anormalità volumetriche nelle
regioni cerebrali (incluse strutture all’interno dei lobi temporali mesiali anteriori e del sistema ventricolare) era più frequente in soggetti ad alto rischio
con un numero maggiore di membri familiari affetti. Sebbene le potenziali
ricadute di qualunque anormalità volumetrica riscontrata con la MRI continuassero ad essere dibattute, rimaneva il consenso sul fatto che la ventricolomegalia laterale fosse sotto controllo genetico e che questa potesse essere
utilizzata a livello di soggetto individuale come fenotipo intermedio16,47,49,52.
Cosa ancora più importante, questo processo ha portato a scoperte genetiche
specifiche. La prima relazione tra allargamento ventricolare ed uno specifico
locus genetico è stata riportata da Shihabuddin et. al.48, che hanno scoperto
un legame tra VBR e il braccio corto del cromosoma 5 (5p14.1-13.1).
La ricerca di fenotipi intermedi nella schizofrenia utilizzando la fMRI e la
MRS ha una storia molto più breve5,11. Comunque, la lista di candidati
potenziali per tali fenotipi sta crescendo notevolmente da quando vi è stata
l’introduzione dell’imaging funzionale cerebrale nello studio della schizofrenia a metà degli anni Settanta. Sono qui di seguito discussi vantaggi e svantaggi di questo approccio.
In linea di principio, un fenotipo collegato al rischio genetico dovrebbe essere trovato in individui affetti e in altri a rischio che non manifestano il disturbo. Quindi, la ricerca dei fenotipi con imaging cerebrale è cominciata utilizzando pazienti che mostravano segni di schizofrenia. Sebbene le tecniche di
visualizzazione funzionale cerebrale siano state applicate allo studio dei
disturbi mentali, in particolare alla schizofrenia, per almeno trent’anni queste
non sono riuscite a produrre scoperte patognomoniche. I dati patognomonici
ottenuti con imaging cerebrale dovrebbero essere “caratteristici” e specifici
307
308
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
per il disturbo o la malattia studiata. Ad esempio, il risultato più replicato di
imaging funzionale cerebrale in pazienti affetti da schizofrenia rimane
l’“ipofrontalità”. L’ipofrontalità è un concetto ampiamente accettato per indicare che i pazienti affetti da schizofrenia hanno un’attività neuronale ridotta
nella corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), come evidenziato da
misure come il flusso sanguigno cerebrale regionale (rCBF) o il tasso metabolico cerebrale regionale del glucosio (rCMRglu). Per fortuna, trent’anni di
studio hanno aggiunto un armamentario sempre più ampio di tecniche di
visualizzazione cerebrale utili a misurare indirettamente l’attività neuronale
(come la rCBF o la rCMRglu) che vanno dalla tomografia ad emissione di
singolo fotone (SPET) alla tomografia ad emissione di positroni (PET) alle
tecniche di risonanza magnetica (MRI). Sfortunatamente, l’applicazione continua e sempre più ampia di questi metodi funzionali di imaging cerebrale
alla schizofrenia continua a sollevare tanti dubbi quante certezze. Questo
continuo dibattito può in parte spiegare la mancanza di fenotipi candidati
ottenibili con l’imaging cerebrale nella schizofrenia.
Comunque, questo dibattito non deve impedire la produzione di questi fenotipi di cui si ha molto bisogno per lo studio della schizofrenia. Insieme alla
crescente caratterizzazione biologico-molecolare e genotipica, i ricercatori
che utilizzano l’imaging cerebrale e che si sono interessati all’identificazione
di un dato patognomonico nel morbo di Alzheimer precoce (early symptomatic Alzheimer’s disease) hanno riportato alcuni progressi con la misurazione di rCBF e di rCMRglu anormali nella corteccia parietale utilizzando la
PET. Ishii et al.26 hanno ipotizzato che le mappe statistiche anormali di imaging cerebrale potessero permettere ai neuroradiologi di identificare più
accuratamente pazienti lievemente sintomatici affetti dal morbo di Alzheimer. In modo più specifico, Ishii et al.26 hanno creato “mappe di perfusione
cerebrale con punteggi Z” (mappe Z) usando la PET a H215O in 28 pazienti
probabilmente affetti dal morbo di Alzheimer e in 10 HV comparabili. In tal
modo, Ishii et al.26 hanno creato una mappa Z di un “prototipo” del cervello
affetto dal morbo di Alzheimer (AD) all’interno del pacchetto software per
Mappe Statistiche Parametriche – SPM23. Successivamente alla creazione di
queste mappe è stato quindi chiesto a quattro radiologi in cieco rispetto alla
diagnosi di valutare le convenzionali mappe rCBF individuali e le “mappe Z”
di perfusione cerebrale dei 28 pazienti probabilmente affetti da AD e dei 10
HV. Fu quindi utilizzata un’analisi ROC per confrontare i due sistemi di
valutazione e il risultato era che le “mappe Z” (area media sotto la curva di
ROC = 0,96) distinguevano in maniera più accurata i pazienti con lievi sintomi del morbo di Alzheimer dai soggetti sani più anziani rispetto alla semplice ispezione visiva delle mappe rCBF individuali (area media sotto la curva
di ROC = 0,584).
Altrettanto, nella storia della ricerca sulla schizofrenia con l’imaging cerebrale dei fenotipi candidati è stato ipotizzato che quest’approccio tramite
mappe statistiche avrebbe potuto essere effettivamente applicato alla classificazione dei pazienti affetti da schizofrenia rispetto agli HV. Comunque, le
scoperte sul rCBF nella schizofrenia (come l’ipofrontalità) a livello di mappe
di gruppo, avevano una relazione complessa con le mappe statistiche a livello
4:2002; 303-318
NÓOς
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
individuale3,15,35,36,41,42. Questo diventa un argomento critico quando si tenta
di applicare una classificazione di mappe individuali di rCBF ottenute con la
PET a germani non affetti di pazienti con schizofrenia21. Per fortuna, in
parallelo con i continui dibattiti teorici nella letteratura sulle neuroscienze
psichiatriche, sono stati fatti notevoli sforzi all’interno della più ampia letteratura sull’imaging cerebrale per stabilire formalmente la complessa relazione fra i dati ottenuti a livello individuale e quelli a livello di gruppo1,8,18,46,62.
Ad esempio, alcuni ricercatori sostengono che certi risultati dell’imaging
funzionale cerebrale a livello della corteccia prefrontale dorsolaterale
(DLPFC) di pazienti affetti da schizofrenia sia interamente o per la maggior
parte il risultato di elementi quali la performance ai test neuropsicologici, il
trattamento farmacologico, e gli effetti della malattia cronica, sebbene sin dal
principio la letteratura abbia fornito diversi elementi che dimostrano il contrario58. Anche se accettiamo che tali dati sulla DLPFC nella schizofrenia
rappresentano misure fisiologicamente valide dell’attività neuronale a questo
livello (un’ipotesi controversa la cui analisi va oltre quanto considerato nel
presente capitolo), i fenotipi intermedi candidati, basati su qualunque misura
delle funzioni cerebrali regionali, potrebbero incontrare altre difficoltà.
Oltre alle due domande fondamentali poste al principio di questo capitolo,
nella figura 1 è illustrato un ulteriore ostacolo concettuale che un fenotipo
intermedio candidato deve superare. Sebbene si supponga che un fenotipo
intermedio candidato sia ereditario, le stime formali dell’ereditarietà devono
eventualmente considerare problemi relativi alla condivisione della suscettibilità genetica e all’influenza ambientale45. Tuttavia, queste stime includono
anche un margine di errore. Ad esempio, nell’imaging cerebrale strutturale
nella schizofrenia, oltre al fatto che fattori non genetici (ad esempio la presenza in anamnesi di una lesione al capo o di complicanze perinatali)
aggiungono degli errori nella valutazione dell’ereditarietà, è risaputo che la
misurazione stessa (ad esempio, la misurazione manuale o automatica dei
ventricoli durante la quantificazione del VBR) introduce degli errori13,43,60.
Man mano che le metodologie sono diventate sempre più complesse, le stime
dell’errore a livello di mappa cerebrale individuale sono anche diventate più
complicate.
Un’ultima fonte di intenso dibattito che riguarda la validità putativa del
rCBF della DLPFC quale fenotipo candidato con l’imaging cerebrale è il
problema della performance. In particolare, i ricercatori continuano a valutare l’ipotesi per cui le più efficaci condizioni sperimentali per evidenziare una
riduzione del rCBF nella DLPFC dei pazienti con schizofrenia (e per estensione dei loro germani a rischio) sono ottenute durante compiti cognitivi per
i quali i pazienti schizofrenici avranno una più bassa performance rispetto ai
controlli sani – l’enigma della performance.
Perciò, anche se si riuscisse a risolvere il “problema delle mappe statistiche”
nella schizofrenia – come illustrato nel lavoro di Ishii et al.26 nel morbo di
Alzheimer – il problema della performance è un’ulteriore fonte di confusione.
Ad esempio, per il sospetto morbo di Alzheimer sono state usate misure della
rCBF a riposo, e quest’approccio è stato criticato poiché rappresentava una
misura inattendibile dell’attività cerebrale della DLPFC nella schizofrenia57.
309
310
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
Dato che c’è un consenso crescente sul fatto che le differenze nella performance portano a differenze di attivazione della DLPFC fra pazienti e controlli, molti gruppi stanno tentando di mappare le risposte delle differenti
aree cerebrali ai compiti cognitivi utilizzando differenti gradi di difficoltà7. A
tal riguardo un disegno sperimentale parametrico potrebbe essere ideale per
generare un fenotipo individuale in quanto questo potrebbe permette di verificare se i pazienti operano su una diversa curva di “carico-risposta” (in farmacologia conosciuta come curva dose-risposta). Se i pazienti svolgessero il
compito neuropsicologico sulla stessa curva di carico-risposta rispetto ai
soggetti sani, allora le differenze di performance determineranno le differenze nella mappa cerebrale e queste saranno potenzialmente poco informative9,10,14,15. In questo caso le differenze di attivazione tra pazienti e controlli
rifletterebbero una dissociazione non determinata geneticamente che potrebbe essere ritrovata in due coorti qualunque che occupano diverse aree sulla
stessa curva carico-risposta. Invece, se la dissociazione nasce da influenze
genetiche, allora gli individui (pazienti, germani, o controlli) possono essere
catalogati in riferimento alla curva “fisiologica”, e la loro posizione relativa a
questa curva potrebbe rappresentare un fenotipo intermedio sia quantitativo
che qualitativo9.
Alcune evidenze circostanziali indicano in modo crescente che i pazienti
affetti da schizofrenia operano su una distinta curva di carico-risposta. Ad
esempio, la risposta fisiologica ad un compito di working memory (WM)
sembra ricalcare una curva a forma di U invertita sia per i soggetti sani sia
per i pazienti con schizofrenia. Le evidenze circostanziali sono aumentate
dopo l’osservazione di “ipofrontalità” anche in soggetti sani spinti oltre le
loro capacità di performance al test di WM. Infatti, è largamente condiviso il
fatto che negli esseri umani la WM ha una capacità limitata37; quando i soggetti sani vengono spinti oltre la loro capacità di WM, ne risulta un’attivazione della PFC attenuata. Goldberg et al.24 hanno riportato che i soggetti sani
diventavano ipofrontali quando si eseguiva un compito di WM esecutiva (il
WCST) insieme ad un task di perturbazione uditiva rispetto a quando eseguivano il WCST da solo. Usando una versione parametrica di richiamo di WM
con l’N-back, Callicott et al. hanno dimostrato direttamente che soggetti sani
diventavano ipofrontali se superavano la loro capacità di WM14. Altri gruppi
hanno usato compiti parametrici di WM, e i loro studi hanno supportato la
nozione di una risposta a forma di U invertita per i controlli sani a livello
della DLPFC27,34. Sebbene i dati siano ben lontani dall’essere conclusivi,
sembra che pazienti affetti da schizofrenia mostrino anch’essi una curva di
risposta a forma di U invertita nella DLPFC, con caratteristiche di risposta al
carico distinte da quelle osservate in soggetti sani. Fletcher ed altri22 sono
stati il primo gruppo a descrivere la dissociazione delle curve di attivazione
della DLPFC utilizzando un compito di memoria semantica parametrico.
Callicott et al. hanno anche testato quest’ipotesi usando un compito parametrico di WM, trovandone un supporto12.
Inoltre, un’attivazione aberrante della DLPFC era correlata con misure di
patologia neuronale in vivo (misure di NAA derivate da 1H-MRSI) che suggerivano una base neuronale patologica per questa dissociazione nella
4:2002; 303-318
Sebbene i risultati dell’imaging strutturale cerebrale abbiano dominato la
ricerca sui possibili fenotipi intermedi, anche gli studi di MRS e di fMRI
hanno prodotto dati in pazienti affetti da schizofrenia e nei loro parenti. Guidati sia dai dati ottenuti con l’imaging cerebrale funzionale sia da quelli derivati dall’imaging cerebrale strutturale nell’ambito della schizofrenia, i ricercatori si sono concentrati sui lobi frontali e sull’area ippocampale. La MRS
protonica (1H-MRS) e quella al fosforo (31P-MRS), rimangono le uniche
metodologie di imaging cerebrale in vivo ritenute capaci di misurare direttamente l’integrità neuronale25,55. Tre studi hanno usato la metodologia con
MRS protonica (1H-MRS) per esaminare la corteccia frontale dei parenti di
primo grado dei pazienti affetti da schizofrenia. Le principali misure metaboliche ottenibili con la 1H-MRS sono l’N-acetil-aspartato (NAA), i composti
contenenti colina (CHO) e creatina+fosfocreatina (CRE)4. Keshavan ed
altri29 hanno usato una tecnica di 1H-MRS con tempo di eco breve e a singolo voxel per studiare l’integrità neuronale del lobo frontale mediale (cingolo
anteriore) in HV (n=10) e nella prole di pazienti schizofrenici (n=9) ed
hanno trovato un trend di riduzione di NAA/CRE.
Callicott et al.13 hanno usato una multi-voxel 1H-MRS con tempo di eco
lungo19 in pazienti affetti da schizofrenia (SCZ, n=47), nei loro fratelli non
affetti (SIBS, n=66), ed in HV (n=66). Nella DLPFC, nella corteccia prefrontale laterale ventrale e nel cingolato anteriore, i fratelli non affetti non
hanno mostrato una riduzione significativa nelle misure di NAA. Infine,
Block et al.6 hanno usato una tecnica 1H-MRS con un tempo di eco combinato lungo e breve per esaminare 25 SCZ, 19 HV, 13 soggetti affetti da disordini nello spettro della schizofrenia, e 35 fratelli non affetti. Ancora una volta,
i fratelli non affetti non hanno mostrato riduzioni significative nelle misure
di NAA nella DLPFC sinistra. Klemm et al.30 hanno usato una tecnica 31PMRS per studiare 14 parenti di primo grado di SCZ (figli di SCZ e germani
di SCZ) e 14 HV31. Basandosi su precedenti lavori sull’anormalità del turnover dei fosfolipidi di membrana negli SCZ40,53, Klemm et al.30 hanno ipotizzato che i parenti di primo grado a rischio per la schizofrenia avrebbero
dovuto mostrare segni di ridotto anabolismo o di aumentato catabolismo dei
fosfolipidi di membrana nei lobi frontali, come era stato visto negli SCZ
adulti. Le misure dipendenti derivate dalla 31P-MRS erano i “fosfodiesteri
(%)”, “fosfomonoesteri (%)”, il rapporto fosfomonoesteri/fosfodiesteri,
“adenosintrifosfato totale (%)”, “fosfocreatina fosfato (%)”, il rapporto
fosfocreatina fosfato/adenosintrifosfato totale, il “fosfato inorganico (%)” e il
pH. Queste misure sono state prese da due ROI poste bilateralmente all’in-
NÓOς
I RISULTATI
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
DLPFC di pazienti schizofrenici. Sebbene nessun esperimento abbia ancora
colto fino a che punto possa spingersi questa dissociazione, Manoach et al.,
usando un compito neuropsicologico come lo Sternberg Item Recognition
Task, hanno riportato risultati che potrebbero essere interpretati di supporto
all’ipotesi delle distinte curve di carico-risposta nella DLPFC32,33.
311
312
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
terno dei lobi frontali e le misure di gruppo sono state comparate utilizzando
un test non parametrico (U test di Mann-Whitney per valori accoppiati, con
p<0,05, non corretto). All’interno di queste ROI, si è trovato che i parenti di
primo grado avevano percentuali di fosfodiesteri significativamente più alte e
un rapporto di fosfomonoesteri totali/fosfodiesteri totali inferiore. Un trend è
stato anche trovato per quei parenti di primo grado ad alto rischio che avevano una percentuale inferiore di fosfocreatina fosfato (p=0,05). Gli autori
hanno concluso che questi risultati suggerivano un maggior catabolismo
delle membrane nel lobo frontale in parenti di primo grado di SCZ ed hanno
proposto questo come fenotipo intermedio putativo. D’altra parte, non c’erano differenze significative nelle altre misure con 31P-MRS (ad esempio, dati
che supportavano la presenza di un inferiore anabolismo di membrana) e non
vi erano stime rispetto alla familiarità o alla ereditarietà. Riassumendo, sia
gli studi di 1H-MRS che quelli di 31P-MRS nei parenti di primo grado di
SCZ offrono alcuni potenziali fenotipi intermedi per l’integrità neuronale
della corteccia prefrontale, ma i risultati non sono affatto conclusivi, e richiedono ulteriori studi per generare stime formali di familiarità e/o ereditarietà.
Lo studio dei fenotipi intermedi con MRS nell’area ippocampale è in un
simile stato di sviluppo. Nello studio precedentemente citato, Callicott et
al.13 hanno riportato che sia i pazienti che i loro fratelli non affetti hanno
valori ridotti di NAA (NAA/CRE) nell’area ippocampale (HIPPO) se confrontati con gli HV. Sebbene il numero di “coppie di germani” (membri della
stessa famiglia in cui un SCZ aveva minore NAA in HIPPO) fosse troppo
piccolo per mettere in atto stime di ereditarietà formale, un fenotipo intermedio è stato definito allo stesso modo che nei risultati di MRI
strutturale17,43,60. In sintesi, ogni soggetto (paziente, fratello o HV) con valori
di NAA in HIPPO al di sotto di 1 deviazione standard rispetto alla media
degli HV, era designato come possessore del fenotipo intermedio per l’NAA
in HIPPO. La familiarità all’interno di ogni coppia di germani è stata determinata nei due modi seguenti: quantitativamente attraverso una ICC2, e qualitativamente tramite il rischio relativo (λs). Le misure quantitative di familiarità non sono state significative, ma i calcoli di rischio relativo44 suggerivano
che questo fenotipo intermedio putativo era ereditario (λs=3,8-8,8). Recentemente, Callicott et al. (dati non pubblicati) hanno replicato i risultati utilizzando lo stesso metodo 1H-MRSI ed un nuovo gruppo di pazienti (n=34),
fratelli non affetti (n=33) ed HV (n=38). In questo secondo esperimento,
tutte le analisi erano dirette verso la misurazione dell’NAA (specificatamente
dei rapporti NAA/CRE) in HIPPO. Come gruppo, fratelli e pazienti mostravano una riduzione significativa di NAA/CRE in HIPPO se confrontata con
HV. Le stime di ereditarietà sono state portate avanti utilizzando la riduzione
di NAA/CRE in HIPPO come fenotipo intermedio potenziale. Quantitativamente, le analisi della ICC all’interno delle coppie dei germani erano nuovamente non significative. Qualitativamente, una riduzione di NAA/CRE in
HIPPO è stato trovato nel 10-15% degli HV, nel 28-35% degli SCZ, e nel 2126% dei SIBS (λs=4,75-7,60). Questi risultati, sebbene ancora in uno stadio
preliminare di analisi, appaiono replicare il rischio relativo crescente per la
riduzione di NAA/CRE in HIPPO in pazienti e fratelli, e i dati suggeriscono
4:2002; 303-318
NÓOς
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
che le misure decrescenti di NAA in HIPPO sono un possibile fenotipo intermedio nell’ambito della schizofrenia. Bisogna anche considerare che vi sono
altre numerose aree del cervello – inclusi il cervelletto, il talamo e i gangli
della base – che sono state studiate con la 1H-MRS e la 31P-MRS. Si suggerisce al lettore di approfondire questi argomenti per una discussione più dettagliata dei risultati e del loro ruolo potenziale nella ricerca dei fenotipi intermedi nella schizofrenia5.
Nella letteratura finora pubblicata, i fenotipi intermedi studiati con la fMRI
nella schizofrenia sono stati caratterizzati in minor misura. Utilizzando una
versione dell’N-back a cui si è già fatto riferimento, Egan et al.20 hanno
dimostrato un effetto diretto del comune polimorfismo funzionale del gene
per la catecol-O-metiltransferasi (Val108/158 Met) sull’attivazione fMRI della
PFC.
In aggiunta, Callicott et al. (in corso di approvazione) hanno riscontrato che
l’inefficienza della DLPFC durante l’esecuzione della versione modificata
dell’N-back misurata dalla fMRI può essere considerato come un fenotipo
putativo di imaging cerebrale. In due gruppi separati di fratelli non affetti
(n=23 e 25 rispettivamente) e di HV (n=18 e 15 rispettivamente), i fratelli
hanno mostrato una risposta BOLD fMRI esagerata nella DLPFC di destra
durante il task di WM. Anche se i gruppi erano distinti e le metodologie
BOLD fMRI erano leggermente differenti, l’analisi di secondo livello di questi dati di fMRI all’interno di SPM99 (Wellcome Department of Cognitive
Neurology, Fil, UK) ha rivelato una iperattivazione (o inefficienza) nella
DLPFC di destra di entrambi i gruppi.
Un’analisi preliminare della familiarità in sette coppie di germani ha rivelato
ciò che segue:
♦ qualitativamente, sembra che ci sia un “effetto di carico della suscettibilità” (figura 2A);
♦ quantitativamente, sembra ci siano forti correlazioni fra i membri della
“coppia dei germani” (figura 2B).
Com’è accaduto per tutti i dati di gruppo non nella norma relativi alla
DLPFC dei pazienti con schizofrenia che si evidenziano con studi con compiti cognitivi, l’interpretazione di qualunque dato come rappresentativo di
una caratteristica centrale del disturbo (e quindi come un ragionevole candidato per diventare un fenotipo intermedio) è controversa. Tuttavia, un precedente fra gli studi di imaging funzionale cerebrale con la PET suggerisce che
analisi più complesse basate sui network neuronali potrebbero infine aiutare
ad uscire dall’apparente confusione che riguarda i dati regionali e la loro
sovra-rappresentazione putativa nei parenti di primo grado dei pazienti con
schizofrenia. Spence et al.51 hanno utilizzato la PET con H215O per studiare
l’attivazione cerebrale complessiva durante una prova cognitiva di fluenza
verbale in dieci portatori obbligati di SCZ (soggetti non affetti con un genitore ed un figlio con SCZ fulminante), 10 pazienti e 10 HV. Invece di focalizzare l’analisi su schemi di attivazione cerebrale in regioni specifiche, questi
ricercatori hanno esaminato le correlazioni fra attivazioni cerebrali regionali
313
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
Figura 2. Maggiore attivazione di PFC dorsale durante un task di WM in pazienti e fratelli:
un’esplorazione statistica del carico genetico.
L’efficienza della PFC come fenotipo intermedio:
(A) Analisi qualitativa preliminare: a sinistra, le immagini glass brain ottenute con SPM (23)
rappresentano un’esplorazione preliminare del carico genetico putativo per alterate
risposte della corteccia durante una versione modificata del test N-back per la WM.
Questa mappa di gruppo identifica le aree che caratterizzano il network che sottende la
WM in pazienti con schizofrenia (n=13), fratelli non affetti (n=23) e soggetti sani (n=18)
durante l’esecuzione del compito di WM. Gli effetti putativi di suscettibilità genetica
sono stati modellati come una funzione in tre fasi con la risposta dei fratelli intermedia
fra quella dei pazienti e dei controlli (p<.001, non corretto).
(B) Analisi quantitativa preliminare: le correlazioni all’interno di coppie di fratelli (n=7 paia)
della risposta fMRI di WM sono rese come immagini a destra. Le correlazioni sono state
effettuate con MEDx (Sterling, VA) e quelle significativamente positive (p<.001) sono
mostrate su una immagine standard (SPM96). Queste sette coppie di fratelli germani sono
concordanti per il fenotipo putativo di fMRI ma discordanti per schizofrenia manifesta.
(ovvero un’analisi di connettività funzionale con SPM) ed hanno riscontrato
una “disconnessione funzionale” tra l’attivazione nella DLPFC e nel cingolo
anteriore nei pazienti, ma non nei portatori obbligati. Tuttavia, questi dati non
sono riusciti ad individuare nessuna disconnessione funzionale familiare (e
per inferenza potenzialmente ereditaria) fra la DLPFC ed altre regioni come
fra DLPFC e l’ippocampo57 nei portatori obbligati. Data la complessa ereditarietà della schizofrenia, l’uso di un piccolo numero di portatori obbligati non
esclude la possibilità che la disconnessione funzionale sia familiare. Ciononostante, l’elegante approccio statistico alla caratterizzazione fenotipica presentato in questo importante studio è un contributo importante. Questo lavoro50
suggerisce che l’imaging funzionale cerebrale può fornire una rigorosa, complessa caratterizzazione fenotipica di individui con schizofrenia senza le insidie potenziali della ipersemplificazione (figura 1). Come accade per l’1HMRS e la 31P-MRS, un campione poco numeroso, dettagli tecnici, e le stime
formali dell’ereditarietà sono impedimenti significativi e non ancora definitivamente risolti nella ricerca con l’fMRI nella prospettiva dei fenotipi intermedi per l’identificazione di nuovi geni di suscettibilità per la schizofrenia.
314
1. Aguirre GK, Zarahn E, D’Esposito M. Empirical analyses of BOLD fMRI statistics. II.
Spatially smoothed data collected under null-hypothesis and experimental conditions. Neuroimage 1997; 5: 199-212.
2. Bartko JJ, Carpenter WT. On the methods and theory of reliability. J Nerv Ment Dis 1976;
163: 307-17.
3. Berman KF, Torrey EF, Daniel DG, Weinberger DR. Regional cerebral blood flow in
monozygotic twins discordant and concordant for schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 1992;
49: 927-34.
4. Bertolino A, Nawroz S, Mattay VS, et al. Regionally specific pattern of neurochemical
pathology in schizophrenia as assessed by multislice proton magnetic resonance spectroscopic
imaging. Am J Psychiatry 1996; 153: 1554-63.
5. Bertolino A, Weinberger DR. Proton magnetic resonance spectroscopy in schizophrenia.
Eur J Radiology 1999; 30: 132-41.
6. Block W, Bayer TA, Tepest R, et al. Decreased frontal lobe ratio of N-acetyl aspartato choline in familial schizophrenia: a proton magnetic resonance spectroscopy study. Neurosci Lett
2000; 289: 147-51.
7. Braver TS, Cohen JD, Nystrom LE, Jonides J, Smith EE, Noll DC. A parametric study of
prefrontal cortex involvement in human working memory. Neuroimage 1997; 5: 49-62.
8. Bullmore E, Long C, Suckling J, et al. Colored noise and computational inference in neurophysiological (fMRI) time series analysis: resampling methods in time and wavelet
domains. Hum Brain Mapp 2001; 12: 61-78.
9. Callicott J. Functional brain imaging in psychiatry: the next wave. In: Morihisa JM, ed.
Advances in Brain Imaging, Vol. 4. Washington, DC: American Psychiatric Publishing Inc.,
2001: pp. 1-24.
10. Callicott J, Weinberger D. Functional brain imaging: future prospects for clinical practice.
In: Weissman S, Sabshin M, Eist H, eds. Psychiatry in the New Millenium. Washington, DC:
American Psychiatric Press Inc., 1999: pp. 119-35.
11. Callicott J, Weinberger D. Functional MRI in psychiatry. In: Moonen C, Bandettini P,
eds. Medical Radiology: Functional MRI. Berlin: Springer-Verlag, 1999.
12. Callicott JH, Bertolino A, Mattay VS, et al. Physiological dysfunction of the dorsolateral
prefrontal cortex in schizophrenia revisited. Cereb Cortex 2000; 10: 1078-92.
13. Callicott JH, Egan MF, Bertolino A, et al. Hippocampal N-acetyl aspartate in unaffected
siblings of patients with schizophrenia: a possible intermediate neurobiological phenotype
[published erratum appears in Biol Psychiatry 1999; 45(2): following 244]. Biol Psychiatry
1998; 44: 941-50.
4:2002; 303-318
Bibliografia
NÓOς
I passi in avanti nell’imaging funzionale cerebrale, uniti all’identificazione
della sequenza del genoma umano, promettono sviluppi nella ricerca sulla
schizofrenia. Armati di null’altro che di un’ampia conoscenza della letteratura sull’imaging cerebrale, uno scanner standard per la MRI, e di collaboratori
da svariate altre discipline, i ricercatori in tutto il mondo si accingono a mettere in atto, in modo critico, quest’approccio. Sebbene debbano essere chiarite differenze tecniche e metodologiche minori, è possibile che nel prossimo
futuro vengano chiariti alcuni dei misteri genetici e fisiologici che caratterizzano la schizofrenia.
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
CONCLUSIONI
315
316
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
14. Callicott JH, Mattay VS, Bertolino A, et al. Physiological characteristics of capacity constraints in working memory as revealed by functional MRI. Cereb Cortex 1999; 9: 20-26.
15. Callicott JH, Ramsey NF, Tallent K, et al. Functional magnetic resonance imaging brain
mapping in psychiatry: methodological issues illustrated in a study of working memory in
schizophrenia. Neuropsychopharmacology 1998; 18: 186-96.
16. Cannon, TD, van Erp TG, Huttunen M, et al. Regional grey matter, white matter, and
cerebrospinal fluid distributions in schizophrenic patients, their siblings, and controls. Arch
Gen Psychiatry 1998; 55: 1084-91.
17. DeLisi LE, Goldin LR, Hamovit JR, Maxwell ME, Kurtz, D, Gershon ES. A family study
of the association of increased ventricular size with schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 1986;
43: 148-53.
18. DeYoe EA, Bandettini P, Neitz J, Miller D, Winans P. Functional magnetic resonance
imaging (FMRI) of the human brain. J Neurosci Methods 1994; 54: 171-87.
19. Duyn J, Gillen J, Sobering G, Van ZP, Moonen C. Multisection proton MR spectroscopic
imaging of the brain. Radiology 1993; 188: 277-82.
20. Egan MF, Goldberg TE, Kolachana BS, et al. Effect of COMT Val108/158 Met genotype
on frontal lobe function and risk for schizophrenia. Proc Natl Acad Sci USA 2001; 98: 691722.
21. Egan MF, Weinberger DR. Neurobiology of schizophrenia. Curr Opin Neurobiol 1997; 7:
701-7.
22. Fletcher PC, McKenna PJ, Frith CD, Grasby PM, Friston KJ, Dolan RJ. Brain activations
in schizophrenia during a graded memory task studied with functional neuroimaging. Arch
Gen Psychiatry 1998; 55: 1001-8.
23. Friston KJ, Holmes AP, Worsley KJ, Poline JB, Frith CD, Frackowiak RSJ. Statistical
parametric mapping in functional imaging: a general approach. Hum Brain Mapp 1995; 2:
189-210.
24. Goldberg TE, Berman KF, Fleming K, et al. Uncoupling cognitive workload and prefrontal cortical physiology: a PET rCBF study. Neuroimage 1998; 7: 296-303.
25. Horrobin DF. The membrane phospholipid hypothesis as a biochemical basis for the neurodevelopmental concept of schizophrenia. Schizophr Res 1998; 30: 193-208.
26. Ishii K, Sasaki M, Matsui M, et al. A diagnostic method for suspected Alzheimer’s disease using H(2)15O positron emission tomography perfusion Z score. Neuroradiology 2000; 42:
787-94.
27. Jansma JM, Ramsey NF, Coppola R, Kahn RS. Specific versus nonspecific brain activity
in a parametric N-back task [In Process Citation]. Neuroimage 2000; 12: 688-97.
28. Johnstone EC, Crow TJ, Frith CD, Husband J, Kreel L. Cerebral ventricular size and
cognitive impairment in chronic schizophrenia. Lancet 1976; 2: 924-26.
29. Keshavan MS, Montrose DM, Pierri JN, et al. Magnetic resonance imaging and spectroscopy in offspring at risk for schizophrenia: preliminary studies. Prog Neuropsychopharmacol
Biol Psychiatry 1997; 21: 1285-95.
30. Klemm S, Rzanny R, Riehemann S, et al. Cerebral phosphate metabolism in first-degree
relatives of patients with schizophrenia. Am J Psychiatry 2001; 158: 958-60.
31. Lawrie SM, Whalley H, Kestelman JN, et al. Magnetic resonance imaging of brain in people at high risk of developing schizophrenia. Lancet 1999; 353: 30-33.
32. Manoach DS, Gollub RL, Benson ES, et al. Schizophrenic subjects show aberrant fMRI
activation of dorsolateral prefrontal cortex and basal ganglia during working memory performance [In Process Citation]. Biol Psychiatry 2000; 48: 99-109.
33. Manoach DS, Press DZ, Thangaraj V, et al. Schizophrenic subjects activate dorsolateral
prefrontal cortex during a working memory task, as measured by fMRI. Biol Psychiatry 1999;
45: 1128-37.
34. Manoach DS, Schlaug G, Siewert B, et al. Prefrontal cortex fMRI signal changes are correlated with working memory load. Neuroreport 1997; 8: 545-9.
35. Marenco S, Coppola R, Daniel DG, Zigun JR, Weinberger DR. Regional cerebral blood
flow during the Wisconsin Card Sorting Test in normal subjects studied by xenon-133 dyna-
4:2002; 303-318
NÓOς
ESPLORAZIONE
MORFOFUNZIONALE DEL CERVELLO
E POTENZIALI APPLICAZIONI
CLINICHE NELLA SCHIZOFRENIA
mic SPECT: comparison of absolute values, percent distribution values, and covariance analysis. Psychiatry Res 1993; 50: 177-92.
36. Mattay VS, Frank JA, Santha AKS, et al. Whole brain functional mapping with isotropic
MR imaging. Radiology 1996; 201: 399-404.
37. Miller GA. The magical number seven, plus or minus two: some limits on our capacity for
processing information. Psychol Rev 1956; 63: 81-97.
38. O’Driscoll GA, Florencio PS, Gagnon D, et al. Amygdala-hippocampal volume and verbal memory in first-degree relatives of schizophrenic patients. Psychiatry Res 2001; 107: 7585.
39. Ordige RJ, Connelly A, Lohman JA. Image-selected in vivo spectroscopy: a new technique for spatially selective NMR spectroscopy. J Magn Reson 1986; 66: 283-94.
40. Pettegrew JW, Keshavan MS, Panchalingam K, et al. Alterations in brain high energy
phosphate and membrane metabolism in first-episode, drug naive schizophrenics. Arch Gen
Psychiatry 1991; 48: 563-68.
41. Ramsay SC, Murphy K, Shea SA, et al. Changes in global cerebral blood flow in humans:
effect on regional cerebral blood flow during a neural activation task. J Physiol 1993; 471:
521-34.
42. Ramsey NF, Tallent K, van Gelderen P, Frank JA, Mooner CTW, Weinberger DR. Reproducibility of human 3D fMRI brain maps acquired during a motor task. Hum Brain Mapp
1996; 4, 113-121.
43. Reveley AM, Reveley MA, Clifford CA, Murray RM. Cerebral ventricular size in twins
discordant for schizophrenia. Lancet 1982; 1(8271): 540-1.
44. Risch N. Estimating morbidity risks in relatives: the effect of reduced fertility. Behav
Genet 1983; 13: 441-51.
45. Risch N, Merikangas K. The future of genetic studies of complex human diseases [see
comments]. Science 1996; 273: 1516-7.
46. Ruttimann UE, Unser M, Rawlings RR, et al. Statistical analysis of functional MRI data in
the wavelet domain. IEEE Trans Med Imaging 1998; 17: 142-54.
47. Seidman LJ, Faraone SV, Goldstein JM, et al. Reduced subcortical brain volumes in nonpsychotic siblings of schizophrenic patients: a pilot magnetic resonance imaging study. Am J
Med Genet 1997; 74: 507-14.
48. Shihabuddin L, Silverman JM, Buchsbaum MS, et al. Ventricular enlargement associated
with linkage marker for schizophrenia-related disorders in one pedigree. Molecular Psychiatry
1996; 1: 215-22.
49. Silverman JM, Smith CJ, Guo SL, Mohs RC, Siever LJ, Davis KL. Lateral ventricular
enlargement in schizophrenic probands and their siblings with schizophrenia-related disorders. Biol Psychiatry 1998; 43: 97-106.
50. Spence SA. Commenting on neuroimaging. Br J Psychiatry 2000; 176: 594.
51. Spence SA, Liddle PF, Stefan MD, et al. Functional anatomy of verbal fluency in people
with schizophrenia and those at genetic risk. Focal dysfunction and distributed disconnectivity
reappraised. Br J Psychiatry 2000; 176: 52-60.
52. Staal WG, Hulshoff Pol HE, Schnack HG, Hoogendoorn ML, Jellema K, Kahn RS. Structural brain abnormalities in patients with schizophrenia and their healthy siblings. Am J Psychiatry 2000; 157: 416-21.
53. Stanley JA, Williamson PC, Drost DJ, et al. An in vivo study of the prefrontal cortex of
schizophrenic patients at different stages of illness via phosphorous magnetic resonance spectroscopy. Arch Gen Psychiatry 1995; 52: 399-406.
54. Suddath RL, Christison GW, Torrey EF, Casanova MF, Weinberger DR. Anatomical
abnormalities in the brains of monozygotic twins discordant for schizophrenia. N Engl J Med
1990; 322: 789-94.
55. Tsai G, Coyle JT. N-acetylaspartate in neuropsychiatric disorders. Prog Neurobiol 1995;
46: 531-40.
56. Weinberger DR. Implications of normal brain development for the pathogenesis of schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 1987; 44: 660-69.
317
318
IL NEUROIMAGING COME APPROCCIO
ALLA CARATTERIZZAZIONE DEL FENOTIPO
PER STUDI GENETICI SULLA SCHIZOFRENIA
J. H. CALLICOTT - D. R. WEINBERGER
NÓOςς
57. Weinberger DR, Berman KF. Prefrontal function in schizophrenia: confounds and controversies. Phil Trans Royal Soc Med B Biol Sci 1996; 351: 1495-03.
58. Weinberger DR, Berman KF, Iadarola M, Driesen N, Zec RF. Prefrontal cortical blood
flow and cognitive function in Huntington’s disease. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1988; 51:
94-104.
59. Weinberger DR, Berman KF, Torrey EF. Correlations between abnormal hippocampal
morphology and prefrontal physiology in schizophrenia. Clin Neuropharmacol 1992; 15:
393A-394A.
60. Weinberger DR, DeLisi LE, Neophytides AN, Wyatt RJ. Familial aspects of CT scan
abnormalities in chronic schizophrenic patients. Psychiatry Res 1981; 4: 65-71.
61. Wright IC, Rabe-Hesketh S, Woodruff PW, David AS, Murray RM, Bullmore ET. Metaanalysis of regional brain volumes in schizophrenia. Am J Psychiatry 2000; 157: 16-25.
62. Zarahn E, Aguirre GK, D’Esposito M. Empirical analyses of BOLD fMRI statistics. I.
Spatially unsmoothed data collected under null-hypothesis conditions. Neuroimage 1997; 5:
179-97.
Scarica

Testo completo