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INDICE
LA RIFORMA DEL BILANCIO DELLO STATO
ED IL GOVERNO DELL’ECONOMIA
1. L’evoluzione storica in Italia
1.1 Cenni storici sulla formazione del bilancio
. 1.2 Il bilancio nel Regno d’Italia
1.3 La Costituente
1.4 La legge Curti
1.5 La Legge 5 agosto 1978, n. 468
1.6 La Legge 23 agosto 1988, n. 362 ed i motivi della
riforma.
2. La struttura del bilancio dello Stato secondo la
normativa
previgente alla riforma del 1997.
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
La struttura del bilancio annuale di previsione
Gli stati di previsione della spesa
Lo stato di previsione dell’entrata
Il quadro generale riassuntivo
Il bilancio pluriennale programmatico
3. La riforma della struttura del bilancio dello Stato:
legge 3 aprile 1997, n. 94.
3.1 Considerazioni generali
3.2 Le unità previsionali di base
3.3 I centri di responsabilità amministrativa, i centri di
costo
e l’introduzione della contabilità economica nel
bilancio dello Stato.
4. La riforma dei controlli e la politica del bilancio
quale strumento del governo dell’economia.
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4.1 La riorganizzazione della dirigenza pubblica e
l’ingresso della cultura manageriale
4.2 La riorganizzazione del sistema dei controlli
4.3 Il controllo di gestione
4.4 la politica del bilancio
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Cap.1
L’EVOLUZIONE STORICA IN ITALIA
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1.1
Cenni storici sulla formazione del bilancio
Negli Stati medievali l’organizzazione feudale del potere era
collegata a un sistema di finanza patrimoniale in cui non si riusciva a
distinguere tra mezzi privati del monarca e mezzi pubblici, utilizzati per
finalità generali dello Stato.
La cosa d’altronde risale allo stesso sistema romano, in cui nel fiscus
si confondevano le ricchezze dell’imperatore e il patrimonio pubblico.
La prima parvenza di bilancio ha luogo quando il sovrano necessita
di risorse straordinarie per far fronte a eccezionali eventi bellici. Le sue
richieste ai feudatari vengono accompagnate da un documento con il quale i
signori acconsentono ad essere sottoposti ad un prelievo aggiuntivo.
A mano a mano che il sistema si struttura, il bilancio, che nel
frattempo si viene a reggere sugli strumenti propri di un’economia che si va
delineando come monetaria, costituisce sempre di più il documento in cui è
sancito il limite invalicabile di prelievo fiscale che il sovrano può esercitare
nei confronti dei sudditi.
Il bilancio dunque inizia ad assumere, con il passare dei secoli, una
struttura caratterizzata da due costanti: la prima è quella di trasformarsi da
straordinario in documento ordinario, nel quale si dà conto di un flusso
costante di entrate e di spese, necessarie a finanziare le funzioni ordinarie
dello Stato e la seconda è che esso viene redatto sulla base di valori
monetari, dato che ormai la moneta viene accettata come mezzo legale di
pagamento.
Con il presentarsi sulla scena della storia dei sistemi politici di
carattere rappresentativo il documento di bilancio inizia ad assumere un
ruolo fondamentale nei rapporti tra potere statale e cittadino, poiché è in esso
che viene fissato il livello massimo del prelievo fiscale a cui i cittadini sono
sottoposti.
Saranno proprio le assemblee rappresentative a rivendicare la
duplice funzione di autorizzare le spese che il sovrano chiede loro di
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finanziare e, più in generale, di porsi come fonte del potere di fare nuove
leggi, limitando le potestà normative del sovrano.
In conclusione con la nascita dello Stato moderno, il bilancio pubblico
assume i seguenti caratteri: documento politico di autorizzazione e di
controllo del Parlamento sul potere esecutivo; documento contabile sulla
base del quale lo Stato conduce ordinariamente la propria gestione e
parametro di riferimento, a cui commisurare le autorizzazioni e i successivi
controlli sull’azione degli organi della Pubblica Amministrazione.
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1.2 Il bilancio nel Regno d’Italia
Il nascere, nel secolo scorso, della teoria della natura “formale” della
legge di bilancio, fondata sulla differenza tra esercizio formale ed esercizio
sostanziale di un potere, prese le mosse da queste premesse: il bilancio è
atto sostanzialmente dell’esecutivo, esercitato in nome del Sovrano, su cui
acquisire il consenso del Parlamento con una legge, appunto formale di
approvazione. Il principio dell’approvazione parlamentare del bilancio dello
Stato era maturato con la coscienza del consenso popolare per la spesa
pubblica correlativamente al consenso per le entrate.
A tal riguardo, a tutela del singolo nei confronti del potere esecutivo,
lo Statuto approvato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848 si dava carico di
introdurre garanzie giuridiche, codificando il principio della riserva di legge
sia per l’imposizione che per la riscossione dei tributi, nonché per
l’approvazione del bilancio, attribuendo così giuridicità al controllo della
spesa attraverso la connessa garanzia politica del consenso alla riscossione
del tributo e stabilendo che qualsiasi legge di imposizione di tributi e di
approvazione di bilanci sarebbe dovuta essere presentata prima alla Camera
dei deputati.
Con la proclamazione del Regno d’Italia il sistema adottato in
Piemonte per la redazione dei bilanci venne esteso allo Stato unitario, prima
con la legge Bastogi del 1861 e, successivamente, con quella CambrayDigny del 1869.
A quel tempo al legislatore subalpino si ponevano due rilevanti
problemi: il primo era quello dell’unificazione dei sistemi amministrativi, che
trovò attuazione con la legislazione del 1865, in parte ancora vigente, il
secondo era quello di far fronte alle esigenze finanziarie straordinarie che
derivavano dalle guerre d’indipendenza e dalle spese per la conquista di
Roma.
Pertanto i bilanci dei primi anni di vita dello Stato italiano furono
compilati con i criteri già adottati in Piemonte, che consistevano nella
redazione di un conto relativamente semplificato, nel quale si dividevano le
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spese in ordinarie e straordinarie ed esse erano iscritte, a partire dal 1869,
solo per la loro parte di cassa.
Nel 1884 vennero modificate le norme in materia di bilancio dello
Stato, che iniziò ad avere una struttura molto simile a quella attuale.
Il bilancio venne redatto sulla base della competenza, dando conto
della gestione dei residui ed introducendo il bilancio di assestamento, con il
quale in corso di esercizio, si potevano apportare alla legge di bilancio le
modificazioni rese necessarie dalla evoluzione della gestione.
Venne infine introdotto il principio dell’unità del bilancio, basato sul
riepilogo generale delle entrate e delle spese; mentre gli stati di previsione
delle spese dei singoli ministeri restavano, (così è rimasto sino al 1964),
divisi l’uno dall’altro ed erano approvati con separati decreti reali.
Tuttavia, pur essendo il bilancio più vasto e perfezionato, ad esso
sfuggivano spese, anche cospicue, stanziate con leggi particolari o anche
disposte con atti amministrativi: così accadde per le spese straordinarie per il
finanziamento della guerra in Libia e della prima guerra mondiale.
Nel frattempo lo Stato si faceva carico di una serie di compiti che
prima gli erano estranei, soprattutto nel settore sociale ed in quello
produttivo.
Venne così
gradatamente manifestandosi
l’esigenza di
rinnovare la legislazione in materia di bilancio che venne indirizzata nel
senso di un più incisivo accentramento amministrativo, che desse modo
all’esecutivo di governare direttamente la maggior parte possibile dei flussi di
spesa.
Pertanto fu proprio da questa esigenza che trasse origine il regio
decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e il successivo regolamento del 1924,
che costituiscono ancor oggi la normativa fondamentale in materia di
contabilità di Stato.
La legge del 1923 rappresentò quindi il completamento di quella
linea di accentramento amministrativo realizzata attraverso l’unificazione
delle
ragionerie
e
la
rottura
del
legame
operativo
tra
organi
amministrazione attiva e organi preposti al riscontro finanziario e contabile.
di
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Il nuovo Stato repubblicano eredita quindi una legislazione contabile
che, per quanto riguarda la classificazione delle entrate e delle spese, è
ispirata a criteri ragionieristici (essenzialmente aziendalistico-patrimoniali),
rapportati ad una situazione generale segnata da un modesto intervento
pubblico nei processi economici; mentre per quanto riguarda i profili
strutturali e funzionali delle procedure di spesa, è caratterizzata da una forte
accentuazione del momento formale di legittimità.
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1.3 La Costituente
Dei problemi del bilancio si occupò la commissione economica della
Costituente, che suggerì di stabilire alcuni principi fondamentali in materia,
da fissare nella Costituzione.
Essi riguardavano la responsabilità del Governo nella formazione del
bilancio, l’obbligo della presentazione annuale, la funzione di limite all’attività
dell’Esecutivo e la necessaria pubblicità dei relativi documenti.
Su questi principi si venne a definire l’art. 81 della Costituzione, che
sancisce innanzitutto l’obbligo dell’approvazione annuale del bilancio e del
rendiconto da parte del Parlamento e inoltre precisa che la legge di
approvazione del bilancio ha carattere di legge formale, una legge cioè con
la quale non possono essere stabilite nuove spese né imposti nuovi tributi.
L’articolo 81 stabilisce infine il principio della copertura finanziaria
delle nuove leggi di spesa. La Costituzione disciplinando il bilancio, si è
limitata a fissare solo regole generalissime, lasciando alle leggi in materia
contabile la definizione dei criteri da adottare per la redazione dei documenti
di bilancio e per la gestione della finanza pubblica.
Essa ha consacrato dunque esclusivamente il principio del valore
fondamentale della legge di bilancio nei rapporti tra Stato e cittadini, valore
che viene evidenziato dal suo carattere di inidoneità a mutare il quadro dei
rapporti finanziari tra i due soggetti: tale legge, infatti si limita a riassumere in
un unico documento contabile le decisioni relative alle entrate e alla spesa
già assunte in sede di legislazione ordinaria.
Altre disposizioni costituzionali non solo confermano il tradizionale
assetto del sistema dei controlli esterni preventivi di legittimità sulla spesa
dello Stato tesi ad impedire che avessero efficacia atti non conformi
all’insieme dei vincoli e attribuiti alla Corte dei Conti (art. 100), ma lo
estendono anche alle istituende Regioni a statuto ordinario (art. 125).
Pertanto il nuovo ordinamento costituzionale, rispetto allo Statuto di
Carlo Alberto, si caratterizza per un diverso modo di concepire la finanza
pubblica: non una finanza di tipo “neutrale”, in virtù della quale lo Stato deve
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limitare i propri interventi nel campo economico mirando, di conseguenza, ad
un bilancio sostanzialmente in pareggio, senza alcuna finalità redistributiva
della ricchezza. Bensì una finanza pubblica di tipo “funzionale”, volta cioè a
determinare le condizioni per una redistribuzione del reddito e di controllo
dell’economia nazionale.
Non sfugge, peraltro, che nel rinnovato ordine economico e sociale la
partecipazione dello Stato al processo di sviluppo economico avrebbe
portato di conseguenza la dilatazione del fenomeno finanziario pubblico per
via del moltiplicarsi delle richieste di intervento finanziario da parte della
collettività. Col tempo la dimensione della finanza pubblica sarebbe
necessariamente cresciuta divenendo uno strumento di manovra che
avrebbe inciso in maniera notevole e significativa sul governo dell’economia.
Il venir meno di regole che fissavano la crescita della spesa a limiti
qualitativi (il tipo di intervento statale) e quantitativi (l’equilibrio entrate-spese)
avrebbe condotto necessariamente al progressivo accrescimento del deficit
pubblico.
Si imponeva, dunque, la ricostruzione di nuove regole istituzionali
che consentissero una crescita controllata dell’attività finanziaria dello Stato,
ma anche nuove regole e metodi gestionali attraverso l’abbandono, ovvero
l’adeguamento dei tradizionali criteri di decisione ed allocazione delle risorse.
Pertanto, l’esigenza del contenimento del deficit pubblico avrebbe richiesto
l’apposizione non più di limiti di carattere giuridico all’azione di spesa
dell’Amministrazione, ma un diverso tipo di vincoli in funzione di impulso e di
indirizzo di questa.1
1
Avagliano Lupò M.V. – La riforma del Bilancio dello Stato - 1998
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1.4 La legge Curti
Relativamente all’aggiornamento della legislazione in materia di
bilancio, dopo alcuni progetti governativi non giunti in porto, venne approvata
la legge 1^ marzo 1964, n. 62, (legge Curti) con la quale si stabilivano alcune
fondamentali
innovazioni.
Innanzitutto,
si
tornava
alla
coincidenza
dell’esercizio finanziario con l’anno solare.
Venivano poi concentrati in un unico disegno di legge tutti gli stati di
previsione dell’entrata e delle spese dei vari ministeri, adottando una duplice
classificazione, per le entrate e per le spese, di tipo economico e di tipo
funzionale.
Altre previsioni concernevano l’inclusione dei residui nel bilancio, la
revisione dell’elenco degli enti i cui bilanci erano annessi a quello dello Stato,
l’adeguamento della normativa in materia di bilancio degli enti pubblici e i
nuovi criteri di numerazione dei capitoli. Veniva inoltre adottata una nuova
classificazione delle spese, non più distinte in ordinarie e straordinarie, ma
recependo criteri di connotazione più strettamente economica, in correnti e in
conto capitale, secondo che fossero destinate alle spese di funzionamento o
a quelle di investimento.
La legge 1^ marzo 1964, n. 62 rappresentò quindi un primo tentativo
di adeguamento del bilancio alla nuova e ben più ampia funzione che lo
Stato è chiamato ad assolvere nei processi economico-sociali che
sostengono lo sviluppo del Paese.
Non è casuale che essa fu varata agli inizi degli anni ’60 quando, in
concomitanza con l’avvio di una diversa fase della politica italiana, il tema
della programmazione economica sembrò quasi porsi come l’elemento
qualificante del nuovo indirizzo politico. 2
In precedenza, l’azione dello Stato era indirizzata prevalentemente
alle attività istituzionali e la spesa rappresentava un quinto del reddito
nazionale, per cui l’intelaiatura giuridico contabile era finalizzata unicamente
2
Da Empoli, De Ioanna, Vegas, in Il Bilancio dello Stato, Sole 24 Ore 1996, pag. 120 e ss.
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al controllo formale della gestione e non anche a quello della sua
economicità ed efficienza.
Pertanto, quando negli anni sessanta la crescita fu alimentata dal
dominio del pensiero keynesiano, il legislatore fu indotto ad operare i primi
adeguamenti al bilancio in funzione della nuova e ben più ampia attività di
sviluppo che andava esercitando nei processi economici e sociali.3
3
Gava Antonio. La riforma del bilancio dello Stato. “Nuova rassegna di legislazione,
dottrina e giurisprudenza”, 1989 n. 7-8, pag. 794.
13
1.5 La legge 5 agosto 1978, n.468.
Negli anni successivi andarono mutando le prospettive economiche
italiane, a tal punto che si giunse a dover tenere conto della nuova situazione
con la legge 468 del 1978.
Essa, facendosi carico della particolare sollecitazione a cui veniva
sottoposta la finanza pubblica a seguito degli shock petroliferi che avevano
colpito l’Occidente nei primi anni Settanta, dava l’avvio a un sistema in cui
alla maggiore rigidità nell’erogazione delle risorse pubbliche facesse da
contrappunto la loro utilizzazione a fini di programmazione economica.
La legge “468” dunque definiva una serie di criteri, per l’applicazione
del precetto contenuto nell’ultimo comma dell’articolo 81 della Costituzione,
in materia di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa, prefissandosi
l’obiettivo di prevedere meccanismi istituzionali di maggior rigore.
Contemporaneamente introduceva il bilancio pluriennale accanto a
quello annuale, per dar modo di programmare le risorse nel medio termine,
ed istituiva la legge finanziaria, nella quale dovevano essere indicati il limite
del ricorso al mercato e il saldo netto da finanziare, l’entità dei fondi speciali
utilizzabili per coprire le nuove leggi di spesa approvate nell’anno e le quote
annuali delle leggi di spesa pluriennali e che avrebbe dovuto costituire lo
strumento per passare da un bilancio rigido e formale a una programmazione
efficace e che tenesse conto del ciclo economico. 4
Con questa riforma si offriva al Paese uno strumento moderno per
far sì che il bilancio dello Stato non fosse più semplicemente un documento
contabile, sinteticamente certificativo delle entrate e delle spese, ma il mezzo
attraverso il quale si poteva operare un programma economico poliennale.
Si registrava un’inversione di tendenza nella gestione della cosa
pubblica, perché, da un metodo di governo e di amministrazione informato
alla frammentarietà degli interventi, si passava ad un sistema programmato
4
Da Empoli, De Ioanna, Vegas, “Il bilancio dello Stato”, 1996 pag.127.
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alla luce di una visione organica e complessiva dei problemi e delle possibili
soluzioni. In sostanza con questa riforma si è voluto rendere il bilancio
annuale la sede di scelte determinanti per la finanza statale vista in un’ottica
pluriennale.
Con la legge 5 agosto 1978, n. 468, è stato disposto che la
compilazione del bilancio statale si effettuasse in termini di competenza e di
cassa (art. 1) e che il bilancio preventivo dovesse contenere, per ciascun
capitolo di entrata e di spesa, anche “l’ammontare presunto dei residui attivi
e passivi alla chiusura dell’esercizio precedente a quello cui il bilancio si
riferisce” (art. 2, comma primo).
La scelta del legislatore è pertanto caduta su un modello che
sapesse cogliere gli aspetti positivi dei due sistemi, al fine di ottenere il
maggior numero di informazioni e conoscere la spesa che si prevedesse di
impegnare e di erogare nell’ambito dell’esercizio finanziario a cui si riferisce.
E’ stata, pertanto, istituzionalizzata a livello normativo una realtà
previsionale, già operante a livello amministrativo da molti anni, che accanto
ad un bilancio di competenza ha reso operativo anche un bilancio di cassa.
Il bilancio annuale viene redatto sia in termini di competenza che di
cassa e questo significa che la stima previsionale delle singole poste di
entrata e di spesa avviene distintamente.
Per quanto riguarda la competenza il presuntivo gettito dell’entrata
viene stimato sulla base dell’ammontare del complesso delle prestazioni
pecuniarie che in esecuzione della legislazione tributaria diverranno
giuridicamente esigibili per effetto dell’insorgenza delle relative obbligazioni
patrimoniali attive.
La previsione in termini di competenza coglie e quantifica la spesa in
quanto diviene prestazione di un’obbligazione pecuniaria passiva dello Stato
nel corso dell’esercizio.
Pertanto una previsione redatta in termini di competenza comporta
che gli stanziamenti in bilancio si configurino come l’espressione finanziaria
in tempi giuridici e non in tempi reali di quei movimenti in denaro dei quali
tendono ad essere rappresentativi.
15
La
ragione
principale
che
portò
all’introduzione
del
bilancio
pluriennale nel novero degli istituti previsti dalla legge n. 468 è da ritrovare
nell’unanime riconoscimento che la gestione del bilancio statale avesse
perso gran parte del suo significato, causando uno scarto troppo grande tra il
punto di riferimento delle decisioni di spesa in termini di impegno e la spesa
reale in termini di pagamento.
Riaffiorava, così, l’esigenza di affrontare i problemi dell’economia e
della crisi finanziaria in una dimensione temporale adeguata, passando da
una ristretta ottica annuale ad una di più vasto orizzonte temporale.
La norma fu caratterizzata da un forte contenuto programmatorio di
tipo contabile, volto a responsabilizzare i gestori della cosa pubblica e gli
organi costituzionali preposti al coordinamento dell’attività programmatica.
Esaminando il contenuto precettivo della norma, occorre considerare
che le ipotesi alternative che si prefiguravano alla soluzione adottata erano
quelle di un bilancio pluriennale di competenza o di cassa, ovvero di un
bilancio composto da entrambi i sistemi.
La scelta cadde sulla redazione di un bilancio pluriennale di sola
competenza e non di cassa.
Quanto all’arco temporale da coprire, la scelta di un bilancio triennale
fu giustificata dalle difficoltà inerenti alle previsioni economiche.
E’ stato infatti valutato che le proiezioni di medio termine sono
soggette a margini di errore ed a variazioni relativamente ampie nella stima
delle risorse disponibili.
Il bilancio non contiene previsioni definitive ed estende il suo arco
temporale di un anno con l’aggiornamento delle previsioni.
Il processo di scorrimento e di aggiornamento introduce previsioni
per l’esercizio finanziario che vengono aggiunte a quelle previste per gli
esercizi intermedi.
La legge annuale assicura quindi un collegamento continuo fra i
singoli bilanci annuali e quello pluriennale ed una costante estensione nel
tempo dei successivi bilanci pluriennali.
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La riforma ha inoltre previsto che il bilancio pluriennale fissi il limite
massimo del saldo netto da finanziare ed il limite massimo del ricorso al
mercato finanziario.5
La legge finanziaria è stata introdotta dall’art.11 legge 468/1978, con
la funzione di: adeguare le entrate e le uscite del bilancio statale, delle
aziende autonome e degli enti pubblici che si ricollegano alla finanza statale
agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio annuale e quello
pluriennale; tradurre in atto la manovra di bilancio per le entrate e per le
spese, in coerenza con il bilancio pluriennale, apportando anche modifiche
ed integrazioni a norme legislative aventi riflessi sul bilancio dello Stato, delle
aziende autonome e degli enti collegati alla finanza statale; fissare il livello
massimo del ricorso al mercato nell’esercizio, il quale concorre, con le
entrate, a costituire la disponibilità per la copertura di tutte le spese iscritte
nel bilancio annuale.6
Prima della riforma del 1978 la legge di bilancio determinava
stanziamenti ordinari e fondi globali, mentre ogni legge ordinaria di spesa
indicava il proprio finanziamento, che poteva anche consistere nel ricorso
all’indebitamento.
La conseguenza era che quest’ultimo, trovandosi ad essere di fatto
determinato a consuntivo, come sommatoria puramente aritmetica delle
singole decisioni assunte in tal senso in corso d’esercizio si dilatava sempre
di più e in modo sempre meno controllabile.
Pertanto era stata avvertita l’esigenza di raggruppare il più possibile
la legislazione di spesa in un unico strumento che disponesse modifiche ed
integrazioni all’ordinamento normativo in vigore allo scopo di correggere gli
andamenti neutri della finanza pubblica, fissando tra l’altro una tantum per
l’esercizio
l’ammontare
di
incremento
massimo
del debito pubblico
complessivo con cui provvedere alla copertura anche del disavanzo del
bilancio a legislazione vigente.
5
Gava Antonio, “La riforma del bilancio dello Stato. “Nuova rassegna di legislazione,
dottrina e giurisprudenza", 1989, n. 7-8, pag. 794 ss.
6
Buscema Salvatore, in Enciclopedia del Diritto, vol. V, Milano 1998 pag. 315 e ss.
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In sintesi lo strumento della legge finanziaria, così come era stato
concepito nel 1978, doveva riuscire a risolvere contemporaneamente almeno
quattro
problemi:
copertura
finanziaria
non
limitata
all’anno,
il
raggruppamento di tutta la legislazione rilevante finanziariamente, unicità
della fissazione per tutto l’esercizio del limite massimo al ricorso al mercato
finanziario, avere uno strumento di correzione degli andamenti della finanza
pubblica.
Tuttavia era diventata nel corso degli anni ‘80 un veicolo “comodo”
nei contenuti in quanto unico strumento per poter stabilire nei fatti qualsiasi
tipo di spesa, ricorrendo alla particolare copertura dell’ampliamento del
debito pubblico e garantito nei tempi di approvazione, in quanto agganciata
al bilancio di previsione, per varare norme dal contenuto il più disparato e
frammentato possibile.
Il tutto con un effetto diretto a carico dell’indebitamento in quanto
solo la legge finanziaria e non anche la singola legge ordinaria di spesa
poteva trovare immediata copertura ampliando il debito pubblico.
Pertanto la situazione degli anni ’80 riproponeva per certi versi gli
inconvenienti di quella precedente al 1978. Se è vero infatti che la singola
legge di spesa non poteva più finanziarsi direttamente con l’ampliamento
dell’indebitamento, era altresì vero che una legge finanziaria, ipertrofica nel
contenuto e coperta quasi del tutto con indebitamento, sostanzialmente
perveniva agli stessi risultati della situazione ante-1978.
Non sussisteva in realtà una gran differenza tra un disegno di legge
che direttamente poteva trovare copertura sull’indebitamento (situazione fino
al 1978) ed una legge finanziaria senza limiti contenutistici e che si copriva
con l’indebitamento (situazione a partire dal 1978).7
7
Forte Clemente, La riforma del Bilancio in Parlamento: strumenti e procedure, ed scient.it,
Napoli 1992, pag. 11 e ss.
18
1.6 La legge 23 agosto 1988, n.362 ed i motivi della
riforma.
La decennale sperimentazione del nuovo sistema ha messo a nudo
le sue lacune, tanto che si è sentita la necessità di giungere ad una modifica
della “468”, soprattutto a due fini. Innanzitutto per rendere maggiormente
tassativo il rispetto dei principi costituzionali esistenti in materia di copertura
finanziaria.
Tale esigenza era divenuta ancor più evidente dopo che le due
commissioni parlamentari per la riforma
94,
istituzionale, del 1984 e del 1993-
avevano proposto la modifica dell’articolo 81 della Costituzione,
proprio con
lo scopo di definire con puntualità e rigore i principi in materia
di copertura
delle nuove spese, recependoli nella Costituzione, in modo da
renderli ineludibili da parte del legislatore ordinario.
In secondo luogo per limitare la drammatizzazione che si era creata
intorno alla legge finanziaria, che era diventata sostanzialmente l’unica
grande legge dell’anno, nella quale si accentravano tutte le manovre
economiche del Governo e tutte le spinte corporative dei parlamentari e sulla
quale si scaricavano tutte le pressioni di carattere politico dei fautori e dei
detrattori della compagine governativa e di carattere economico dei portatori
degli interessi più vari.
Da questo stato di cose è derivata, dunque, la legge 23 agosto 1988,
n. 362, il cui scopo fondamentale da una parte è stato di riportare la
“finanziaria” al suo ambito originario, pur tenendo conto della necessità di
salvaguardare le esigenze di programmazione e di onnicomprensività della
manovra e di rendere maggiormente rigorose le norme in tema di copertura
delle nuove leggi di spesa.
Il metodo seguito è stato quello di una riforma parziale, con la
modifica o l’inserimento di alcune norme nella struttura della legge n. 468.
Le innovazioni principali realizzate con la 362 sono le seguenti:
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1 elaborazione di un documento di programmazione economicofinanziaria con lo scopo della fissazione di obiettivi annuali e pluriennali;
2 definizione dei limiti contenutistici della legge finanziaria al fine del
suo snellimento;
3 definizione delle modalità di redazione del bilancio pluriennale
programmatico;
4 indicazione di modalità per la copertura finanziaria delle leggi di
spesa al fine di evitare l’aggiramento del precetto di cui all’art. 81, quarto
comma, della Costituzione;8
Una delle norme più pregevoli è quella contenuta nell’art. 2 della
legge n. 362, quella che sostituisce l’art. 2 del testo del 1978.
Al comma nono del nuovo testo recante la disciplina del bilancio è
disposto che “con apposita norma della legge che approva il bilancio di
previsione dello Stato è annualmente stabilito, in relazione alla indicazione
del fabbisogno del settore statale l’importo massimo di emissione dei titoli
pubblici, in Italia e all’estero, al netto di quelli da rimborsare”.
Il principio è fortemente innovativo, in quanto stabilisce che nella
legge di bilancio deve essere fissato un tetto all’emissione del debito
pubblico statale in corso di anno e stabilisce, inoltre, che tale determinazione
è effettuata avendo come riferimento il fabbisogno del settore statale.
La trasformazione apportata dalla legge n. 362 è densa di significati
sotto il profilo politico-economico.
Basti pensare che nella precedente disciplina si richiedeva la legge
come necessario fondamento del potere di emissione del debito pubblico a
medio-lungo termine.
Singole emissioni di titoli del debito pubblico erano espressamente
autorizzate da leggi speciali adottate di volta in volta.
L’emissione dei titoli del debito fluttuante (in particolare i BOT) era
invece prevista dalla legge di bilancio, ma si riteneva che i BOT dovessero
8
Giuseppone Vittorio, La legge 23 agosto 1988, n. 382 alla luce delle prime esperienze applicative.
“Il Consiglio di Stato”, 1990, n. 4, pt.II, pag. 779-781.
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essere destinati soltanto alla copertura dei temporanei squilibri che si
verificavano all’interno della gestione di cassa durante l’anno finanziario.
Con la legge finanziaria del 1981 venne stabilito il limite massimo dei
BOT che il Tesoro aveva facoltà di emettere nel corso dell’esercizio. In
sostanza i BOT rimanevano uno strumento di tesoreria cui far ricorso
soltanto per esigenze temporanee mentre il debito pubblico per eccellenza
era ritenuto quello a medio-lungo termine.
Fino alla legge n. 362 del 1988 il potere di indebitamento era in vario
modo collegato al bilancio dello Stato e in particolare ai risultati previsti del
bilancio stesso, ritenendosi l’indebitamento stesso funzionale alla copertura
dei disavanzi di bilancio.
Il nuovo testo dell’art. 2, invece, introduce una fondamentale apertura
in quanto considera l’indebitamento pubblico in funzione di una variabile che
è stata presa in considerazione dai documenti di politica economica ma che
finora ha avuto scarsa rilevanza giuridica: il fabbisogno.
E’ fabbisogno la quantità di risorse monetarie o finanziarie
necessaria per colmare un vuoto di cassa fra due flussi opposti di incassi e
pagamenti.
In sostanza la nuova norma allarga l’orizzonte finanziario e inquadra
correttamente l’emissione del debito come uno strumento per la copertura
del fabbisogno preso nel suo complesso.
Fino al 1988 rimaneva fondamentale, anche nella gestione del
bilancio, la suddivisione fra indebitamento a breve e indebitamento di bilancio
a medio-lungo termine.
La nuova norma non fa distinzione fra indebitamento a breve e
indebitamento a medio-lungo termine e l’espressione “titoli pubblici” va
interpretata come comprensiva di ogni tipo di debito a qualsiasi specie
appartenga.
Fino al 1988 la situazione era caratterizzata da un certo grado di
vincolatività, nel senso che il Tesoro trovava limiti quantitativi inderogabili
nella legge finanziaria per quanto riguarda l’emissione dei titoli a medio-lungo
21
termine ed era vincolato dalle disposizioni del bilancio per quanto riguarda
l’emissione dei BOT.
Dopo la previsione del 1988, il margine di scelta del Tesoro si è
ampliato, nel senso che, mantenendosi all’interno del limite quantitativo
stabilito in bilancio ha ampia scelta se far ricorso a strumenti di
indebitamento a breve o a medio-lungo tempo.
Scelta che va operata sulla base di valutazioni di convenienza
finanziaria del Tesoro stesso o di politica economica e monetaria.9
La legge finanziaria, in quanto legge sostanziale era tenuta sia
all’osservanza del precetto costituzionale concernente la copertura delle
nuove e maggiori spese sia ai criteri fissati dall’art. 4, ottavo comma, della
legge n. 468 del 1978.
In particolare, con la legge finanziaria non si potevano introdurre
nuove spese, connesse ad innovazioni legislative, riferite ad un arco
pluriennale, poiché sua precipua attribuzione era di modificare la legislazione
unicamente per quelle norme finalizzate alla manovra economica di breve
periodo.
In ordine, poi, all’indicazione del livello massimo di ricorso al
mercato, che alla legge finanziaria stessa competeva ex art. 11 della legge
468, era stato rilevato, in base ad una corretta interpretazione della ratio
legis, che “la determinazione del limite massimo di ricorso al mercato può
costituire il fondamento della copertura delle spese deliberate con la legge
finanziaria, a condizione che il livello del deficit spending ritenuto compatibile,
sia fissato ex ante e non sia modificabile in corso di esercizio”.
Ne consegue che i principi posti a fondamento dell’art. 4, ottavo
comma, vanno intesi nel senso che la copertura di nuove spese correnti
disposte dalla legge finanziaria, deve essere garantita, comunque, entro i
margini di ampliamento reale del risparmio pubblico.
9
Zaccaria Francesco. Decisione di bilancio e limiti all’emissione del debito pubblico nella legge n.
362 del 1988. “Saggi in onore del cinquantenario del riordinamento della Ragioneria generale
dello Stato e della istituzione dei servizi ispettivi di finanza”. Roma, 1991, pagg. 513-530.
22
Per le spese in conto capitale, invece, limitatamente al primo triennio,
la sede di riscontro è rappresentata dal bilancio pluriennale programmatico,
mentre per gli esercizi successivi occorre indicare, in maniera puntuale e
rigorosa, i mezzi di copertura.
Un’interpretazione diversa di tali principi, che consideri l’indicazione
del limite massimo di ricorso al mercato finanziario come elemento idoneo ad
assolvere l’obbligo di cui al quarto comma dell’art. 81 della Costituzione
porta, invece, a riconoscere cittadinanza nel nostro ordinamento ad un
tertium genus di legge di spesa, sottratto da un lato, all’osservanza
dell’ultimo comma dell’art. 81 della Costituzione e, dall’altro, al disposto del
terzo comma dello stesso art. 81.
Ciò legittima l’assunto secondo il quale la legge finanziaria è si
veicolo normativo idoneo a costituirsi quale mezzo per l’inserimento di nuove
e maggiori spese incidenti sia sul primo anno che sul triennio, ma ciò non la
esime dal rispetto dell’obbligo di cui al quarto comma dell’art. 81 della
Costituzione che le impone di specificare in modo autonomo i mezzi idonei a
fronteggiare l’eventuale onere derivante dalla manovra da essa disposta.
Nata, pertanto, per riequilibrare la finanza pubblica ha finito
paradossalmente
essa
stessa
con
l’aggravare
sbilanci
e
disavanzi,
riducendosi ad un insieme di misure sganciate da un qualsiasi collegamento
con una programmazione delle esigenze future.10
10
Gava Antonio, La riforma del bilancio dello Stato, “Nuova rassegna di legislazione,
dottrina e giurisprudenza”, 1989, n.9-10, pag. 1008 e ss.
23
Cap. 2
LA STRUTTURA DEL BILANCIO DELLO
STATO SECONDO LA NORMATIVA
PREVIGENTE ALLA RIFORMA DEL
1997
24
2.1 La struttura del bilancio annuale di previsione
Così, come stabilito dalla legge 5 agosto 1978, n. 468 (art. 1), il
bilancio annuale contiene previsioni di “competenza” integrate da previsioni
di “cassa”.
Nel primo caso – la competenza – la dotazione del capitolo è quella
corrispondente al livello delle entrate che si prevede di accertare e di spese
che si prevede di impegnare nel corso dell’esercizio.
Sul versante delle entrate gli accertamenti equivalgono al complesso
delle prestazioni pecuniarie esigibili da parte dello Stato; sul versante delle
spese gli stanziamenti costituiscono il limite giuridico delle obbligazioni
pecuniarie che lo Stato può impegnarsi ad assumere, creando diritti in capo
ad enti diversi dallo Stato o privati cittadini.
La cassa è invece, sul versante delle spese, l’autorizzazione massima
ad avvalersi delle risorse dei capitoli in un determinato anno; sul versante
delle entrate essa costituisce una stima relativa all’effettivo gettito previsto.
Le autorizzazioni di cassa sono parametrate sulla base della massa
spendibile o acquisibile costituita dalle dotazioni di competenza e dai residui
(cioè somme rimaste da acquisire o da spendere negli anni precedenti).
Ogni capitolo reca quindi due cifre vicine: l’una equivalente al limite
massimo degli impegni giuridici che possono essere presi nell’anno; l’altra
equivalente
al
limite
massimo
delle
risorse
che
possono
essere
effettivamente utilizzate.
Le due cifre divergono anche in considerazione del fatto che è spesso
difficile perfezionare le procedure fino ad arrivare all’effettivo impiego delle
risorse.
L’art. 2 della legge n. 468, come sostituito dalla legge n. 362/1988,
stabilisce che il bilancio annuale di previsione indichi per ciascun capitolo di
entrata e di spesa:
- l’ammontare presunto dei residui attivi e passivi di competenza alla
chiusura dell’esercizio precedente;
25
- l’ammontare delle entrate che si prevede di accertare e delle spese
che si prevede di impegnare nell’esercizio;
- l’ammontare delle entrate che si prevede di riscuotere e delle spese
che si prevede di pagare nell’esercizio, senza distinzione fra operazioni in
conto competenza e in conto residui. Ossia la previsione di cassa. Essa
non può superare la competenza annuale accresciuta dei residui, mentre
può essere inferiore.
Si intendono per incassate le somme versate in tesoreria e per pagate
le somme erogate dalla tesoreria.
Il bilancio annuale di previsione è costituito (art. 2, co. 3, legge n.
468/78, come sostituito dalla legge n. 362/1988) dallo stato di previsione
dell’entrata, dagli stati di previsione della spesa di ogni Ministero, con le
allegate appendici dei bilanci delle aziende ed amministrazioni autonome, e
dal quadro generale riassuntivo.
Gli stati di previsione costituiscono i documenti contabili ai quali si
deve conformare l’attività amministrativa di ciascun Ministero nel corso
dell’anno finanziario cui si riferisce il bilancio.
Essi registrano, infatti gli stanziamenti di spesa e le previsioni di
entrata su cui deve basarsi la gestione annuale.
Per le spese viene predisposto uno stato di previsione per ciascun
Ministero; per le entrate, invece, si redige una tabella unica.
Ciascuno stato di previsione è illustrato da una apposita Nota
preliminare nella quale sono indicati i criteri adottati per la formulazione
delle previsioni.
Si compone generalmente di due parti: la prima è di carattere
contabile,
la
seconda,
invece,
dà
conto
delle
linee
di
politica
dell’Amministrazione.
La parte contabile della Nota illustra l’ammontare del bilancio di
competenza posto a raffronto con il bilancio iniziale dell’esercizio
precedente e con le previsioni assestate dello stesso; ed in secondo luogo
la consistenza presunta dei residui cioè le previsioni relative allo stock di
26
residui che risulterà in essere all’inizio dell’esercizio cui si riferisce il bilancio
presentato.
La seconda parte della Nota, relativa alla politica dell’Amministrazione,
illustra le linee cui si è ispirata la redazione dello stato di previsione e mette
in luce gli eventi maggiormente significativi della gestione finanziaria: dai
dati relativi alle leggi in scadenza, agli obiettivi ed alle priorità seguiti nella
richiesta di risorse.
Nella nota preliminare degli stati di previsione della spesa vengono
illustrati i criteri adottati per la formulazione delle previsioni e, in particolare,
quelli utilizzati per le previsioni relative ai capitoli di spesa corrente riferiti a
spese non obbligatorie.
Nella Nota preliminare dello stato di previsione dell’entrata sono
specificatamente illustrati i criteri per la previsione delle entrate relative alle
principali imposte e tasse.
Nella
medesima
Nota sono indicate le conseguenze finanziarie, in
termini di perdita di gettito, per il periodo compreso nel bilancio pluriennale,
di ogni disposizione introdotta nel corso dell’esercizio avente per oggetto
agevolazioni fiscali.
27
2.2 Gli stati di previsione della Spesa
Ciascuno stato di previsione della spesa costituisce il documento,
riferito al singolo Ministero, che indica i limiti entro i quali possono essere
impegnate ed erogate le spese che precedenti leggi hanno disposto.
La legge n. 468/78 stabilisce che le spese dello Stato vanno ripartite,
nel bilancio di previsione, come segue:
- in titoli, secondo la destinazione economica, cioè a seconda che siano di
pertinenza della parte corrente (o di funzionamento e mantenimento) o della
parte in conto capitale (o di investimento), ovvero riguardano il rimborso dei
prestiti;
- in rubriche, secondo l’organo che amministra la spesa o ai cui servizi si
riferiscono gli oneri relativi;
- in categorie, secondo l’analisi economica;
- in capitoli, secondo il rispettivo oggetto;
- in sezioni, secondo l’analisi funzionale.
La prima e più importante partizione è , dunque, quella che fa
riferimento ai titoli. Si hanno per le spese, tre titoli:
Titolo I – Spese correnti - considera i movimenti finanziari attinenti alla
produzione e al funzionamento dei normali servizi dello Stato
Titolo II – Spese in conto capitale – comprende le spese di
investimento attinenti all’acquisizione , costruzione, trasformazione di beni
idonei alla produzione del reddito; le spese per la ricerca scientifica; quelle
dirette a finanziare attività produttive. Quanto non rientrante tra queste
spese viene collocato tra la parte corrente.
Titolo III – Rimborso di prestiti – sono tutte raccolte nel solo stato di
previsione del Ministero del tesoro competente ad amministrare i prestiti
dello Stato.
All’interno di ogni titolo, la spesa è organizzata secondo la
classificazione amministrativa, è cioè suddivisa in rubriche, numerate
progressivamente, secondo l’organo che amministra le spese o ai cui
servizi si riferiscono.
28
La classificazione amministrativa – che rappresenta, con quella
economica e quella funzionale, uno dei tre aspetti nei quali le spese
vengono esposte in bilancio – si concretizza, nell’ambito di ciascun
Ministero, nella divisione delle spese per rubriche in corrispondenza con la
ripartizione dei Ministeri in direzioni generali o unità amministrative
equivalenti.
Le rubriche variano quindi a seconda dei diversi stati di previsione,
cioè dei diversi Ministeri.
Per ciascun titolo di spesa, e partitamente per ciascuna rubrica, i
capitoli di spesa sono poi ordinati per categorie, secondo la loro natura
economica.
Tale ripartizione mira ad attuare un’analisi degli oneri nel riflesso
economico, ponendo così in risalto il contenuto economico-sociale del
bilancio statale.
All’interno delle citate ripartizioni, le spese sono infine ripartite in
capitoli, secondo il rispettivo oggetto.
Il capitolo rappresenta l’unità elementare del bilancio: è il titolo
giuridico della spesa (o dell’entrata) ed è dotato delle risorse finanziarie da
spendere (o acquisire) in relazione ad una determinata finalità.
Esso ha rilevanza non solo per ciò che riflette l’importo dello
stanziamento, ma altresì per quanto attiene alla sua denominazione.
La ripartizione in capitoli della materia che forma oggetto della
previsione, non ha soltanto importanza contabile, ma ha essenzialmente
valore giuridico, in quanto rappresenta il vincolo posto dal potere legislativo
all’azione del Governo nell’esercizio del bilancio.
I singoli stati di previsione sono votati non solo nel loro complesso, ma
capitolo per capitolo.
L’ultimo livello di classificazione è quello funzionale: si tratta tuttavia, di
una classificazione esterna alla struttura degli stati di previsione della
spesa.
L’analisi funzionale delle spese, realizzata attraverso la ripartizione per
sezioni, pone in rilievo l’entità degli oneri di bilancio inerenti a ciascuna
29
funzione, cioè a ciascuna attività fondamentale che lo Stato svolge
indipendentemente dagli organi amministrativi competenti.
La ripartizione per funzioni riflette dunque, almeno in via indicativa, gli
scopi e le finalità che lo Stato stesso persegue, che sono andati
ampliandosi nel corso degli anni.
30
2.3 Lo stato di previsione dell’entrata
Nello stato di previsione dell’entrata trovano considerazione tutti i
cespiti di natura erariale, parafiscale e amministrativa che, sulla base della
normativa vigente, lo Stato è autorizzato ad accertare e a riscuotere.
Le entrate sono ripartite nel modo seguente:
- in titoli, secondo la provenienza
- in categorie, secondo la natura dei cespiti;
- in rubriche, secondo l’organo al quale ne è affidato l’accertamento;
- in capitoli, secondo il rispettivo oggetto.
La suddivisione in titoli delle entrate è stata disposta dall’art. 6 della
legge n. 478/1978:
Titolo I – Entrate tributarie – sono considerate le entrate di natura
fiscale
Titolo II – entrate extra-tributarie – sono tutti i proventi diversi da quelli
di carattere fiscale, che non incidono sul patrimonio dello Stato, né
attraverso l’alienazione e l’ammortamento di beni patrimoniali ed il rimborso
di crediti, né attraverso l’accensione di nuovi prestiti.
Titolo III – entrate provenienti da alienazione ed ammortamento di
beni patrimoniali e da riscossione di crediti – sono considerati gli introiti
aventi diretta incidenza sul patrimonio dello Stato, siano essi espressione di
transizione di carattere finanziario, quali la dismissione di beni patrimoniali,
l’affrancazione di canoni ed il rimborso di anticipazioni e crediti vari del
Tesoro.
Si tratta, in questi tre casi, di entrate finali, cioè di mezzi finanziari
acquisiti al bilancio per il conseguimento delle finalità che lo Stato si
propone.
Nel Titolo IV – entrate provenienti da accensione di prestiti – sono le
entrate strumentali, cioè le entrate provenienti dall’accensione di prestiti,
che riguardano, ovviamente, solo il debito pubblico contratto nell’anno di
esercizio.
31
Il raggruppamento delle entrate in rubriche è effettuato, per ogni
categoria, in rapporto agli organi cui ne è affidato l’accertamento. Le singole
rubriche
sono,
quindi,
contraddistinte
dalla
denominazione
delle
Amministrazioni centrali competenti per materia, tra le quali rivestono
fondamentale importanza l’amministrazione delle finanze e quella del
tesoro.
32
2.4 Il quadro generale riassuntivo
Il carattere unitario del bilancio statale trova concreta espressione nel
quadro generale riassuntivo che reca l’esposizione delle risultanze
complessive del bilancio annuale e triennale.
E’ presentato in due versioni, con riferimento, rispettivamente, alle
dotazioni di competenza e a quelle di cassa, e in esso, oltre ai dati di
sintesi, è data indicazione dei seguenti risultati differenziali:
a) risparmio pubblico: questo risultato emerge dalla differenza tra il totale
delle entrate tributarie ed extra-tributarie (i primi due titoli dell’entrata) ed il
totale delle spese correnti (il primo titolo della spesa). La rilevanza del saldo
è costituita dalla sua capacità di dar conto della sufficienza o meno delle
entrate correnti a coprire le spese correnti;
b) l’indebitamento o accreditamento netto: è espressivo del risultato
differenziale tra tutte le entrate e le spese, escluse le operazioni riguardanti
le partecipazioni azionarie e i conferimenti, nonché la concessione e
riscossione di crediti e l’accensione e rimborso di prestiti. Esso rappresenta
il disavanzo in senso proprio, in quanto evidenzia il risultato complessivo
del bilancio al netto di tutte le operazioni di natura creditizia;
c) saldo netto da finanziare: esprime il risultato differenziale delle operazioni
finali, rappresentate da tutte le entrate e spese, escluse le operazioni di
accensione e di rimborso di prestiti. Mettendo a confronto le entrate finali (i
primi tre titoli dell’entrata) con le spese finali (i primi due titoli della spesa)
emerge il dato desiderato: l’indicazione di quanto nell’anno si prevede di
dover acquisire dal mercato, attraverso operazioni finanziarie e monetarie.
Esso esprime in sostanza quello che in gergo si usa designare come “il
fabbisogno complessivo”;
d) ricorso al mercato: esprime il risultato differenziale tra il totale delle
entrate finali ed il totale delle spese, rappresenta il fabbisogno lordo; ad
esso normalmente si fa riferimento allorché nel linguaggio comune si parla
di “disavanzo”. Esso esprime il livello di insufficienza delle complessive
risorse normali (rappresentate dai primi tre titoli dell’entrata) a far fronte al
33
totale complessivo delle spese statali e, conseguentemente, il livello
dell’indebitamento cui ricorrere. 11
11
Barettoni Arleri Alberto, in Enciclopedia Giuridica, vol. V, Roma, 1991 pag. 1 ss
34
2.5 Il bilancio pluriennale programmatico
Il bilancio “a legislazione vigente” viene presentato anche in versione
triennale, in forma peraltro più aggregata, cioè non per singoli capitoli, ma
per titoli e categorie economiche con l’individuazione, nell’ambito di queste
ultime, dei trasferimenti verso i principali settori della spesa decentrata.
La legge n. 468/1978 ha richiesto, inoltre, la presentazione di un
bilancio
in
versione
pluriennale
(triennale)
“programmatica”,
meno
dettagliata, comprensiva della manovra triennale che il Governo intende
perseguire e che, una volta approvata serve come riscontro delle risorse
utilizzabili (cioè della copertura).
L’art. 4 della legge n. 468/1978, come sostituito dalla legge n.
362/1988, ha previsto dunque la presentazione dei conti triennali in una
duplice versione: a) a legislazione vigente; b) programmatica. Entrambe le
versioni sono redatte in termini di sola competenza.
Il bilancio pluriennale non comporta alcuna autorizzazione a riscuotere
le entrate ed eseguire le spese e viene ogni anno approvato per
scorrimento;
perciò
la
funzione
del
bilancio
pluriennale
differisce
profondamente da quella del bilancio annuale: le sue caratteristiche di
sintesi e di modificabilità ne fanno uno strumento non idoneo a definire
vincolativamente obblighi giuridici, bensì a indicare obiettivi e limiti
dell’azione pubblica, delineando quella che dovrebbe essere la manovra
economica di medio termine, impostata dal Governo e accolta in
Parlamento.
Il bilancio pluriennale in entrambe le versioni, viene redatto in
coerenza con le regole e gli obiettivi indicati nel documento di
programmazione economico-finanziaria e traduce in termini contabili le
regole di adeguamento delle entrate e delle spese pubbliche deliberate con
il documento di programmazione economico-finanaziaria.
Pertanto solo il primo anno del “pluriennale a legislazione vigente”
presenta degli allegati di entrata e di spesa e dei saldi differenziali identici a
quelli del bilancio annuale.
35
Viceversa il programmatico manterrà una sua autonomia proprio in
quanto serve a misurare l’eventuale “distanza contabile” tra gli obiettivi
triennali della manovra e la realtà dei conti statali quale emerge al termine
della “sessione di bilancio”.12
12
Dossier Provvedimento. “La riforma del bilancio dello Stato A.C. 2732” n. 178 XIII
legislatura, novembre 1996, Camera dei deputati, Servizio Studi.
36
Cap. 3
LA RIFORMA DELLA STRUTTURA DEL
BILANCIO
DELLO STATO: legge 3 aprile 1997, n. 94
37
3.1. Considerazioni generali
In questi ultimi anni e in special modo dopo i numerosi interventi
legislativi che hanno introdotto regole innovative negli enti territoriali e nelle
strutture
ministeriali,
anche
la
gestione
contabile
e
l'organizzazione
direzionale dello Stato hanno subito cambiamenti di rilievo.
Sembrava che la tendenza al cambiamento fosse limitata: mentre il
resto del settore pubblico subiva un interessante processo di cambiamento,
la più articolata organizzazione della pubblica amministrazione restava
inalterata con un impianto normativo di tipo tradizionale.
Sembrava, cioè, che tutto potesse cambiare, ma non la conduzione
finanziaria e l’organizzazione amministrativa dello Stato. Se ciò fosse
accaduto, sarebbe risultato quanto meno anacronistico in un panorama
pubblico in rapido mutamento.
Il non prospettare ipotesi di cambiamento anche per lo Stato poteva
significare accentuare le differenze di comportamento tra gli organi del
governo centrale e quelli che operano nelle strutture periferiche o nelle
aziende pubbliche nazionali.
La mancata riforma contabile dello Stato avrebbe comportato la
rinuncia anticipata ad un sistema di rilevazione gestionale orientato a
misurare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità di ogni Ministero o di tutta la
pubblica amministrazione.
Nel disegno di riforma del 1988 il “processo di bilancio” si apre con il
documento
di
programmazione
economico-finanziaria, i cui contenuti
prevalenti riguardano il ruolo del bilancio come strumento della politica
economica generale: la legge prevede anche che il Documento di
programmazione economico-finanziaria (DPEF) definisca “gli indirizzi per gli
interventi anche di settori collegati alla manovra finanziaria”.
Questi contenuti possibili del DPEF non sono tuttavia mai stati riempiti,
se non in termini estremamente generici.
Il compito di aprire il percorso di formazione del bilancio è stato affidato,
nella prassi, ad una annuale circolare del Tesoro caratterizzata dalla netta
38
prevalenza
di
indicazioni
contabili,
priva
di
termini
di
riferimento
programmatici e funzionali.
Ne scaturisce un confronto fra singole amministrazioni centrali e
ragioneria generale che si fonda essenzialmente su criteri incrementali e su
parametri correttivi desunti da indicatori contabili (capacità di impegno,
rapporto tra impegni e pagamenti, situazione dei residui…).
Di questa fase del processo di bilancio non si occupano, in sostanza, i
ministri, il cui ruolo sembra entrare in gioco solo per la manovra affidata alla
finanziaria ed ai collegati o per un supplemento di contrattazione sull’entità di
alcuni stanziamenti più rilevanti.
La legge 94/97 modifica sostanzialmente questo percorso.
L’art. 4 bis della legge 468 modificata fa partire il procedimento di
formazione del bilancio da “schemi degli stati di previsione” formulati dai
ministri; in questi documenti sono indicati, anche su proposta dei dirigenti
responsabili “gli obiettivi ed i programmi di ciascun dicastero”. Il confronto
con il Ministro del Tesoro avviene sulla base di una valutazione dei
programmi e dei progetti posti a base dello schema dello stato di previsione e
degli oneri delle funzioni e dei servizi istituzionali, con riferimento al nuovo
bilancio politico per unità previsionali. In sostanza si adotta un meccanismo
di programmazione del bilancio da fondare su metodi di valutazione ex ante
degli obiettivi, delle funzioni, degli strumenti delle politiche e non su
correzioni incrementali degli andamenti tendenziali.13
I rapidi mutamenti che negli ultimi decenni hanno caratterizzato
l’economia e la società civile richiedono un adeguamento dell’azione dello
Stato, che deve essere in grado di affrontare le nuove sfide poste dal
processo di apertura al resto del mondo del sistema economico e finanziario
e quindi di rinnovare il proprio modo di operare.
I cambiamenti non riguardano solo l’Italia: nella maggior parte dei paesi
europei, infatti la Pubblica Amministrazione, pur partendo da livelli di
13
Manin Carrabba Presidente Sez. corte dei Conti responsabile Bilancio dello Stato “La
nuova disciplina delle procedure e della struttura del bilancio dello Stato” in Azienda
Pubblica n. 3/1998.
39
efficienza per diversi aspetti non comparabili con quelli che si riscontrano nel
nostro paese, è impegnata a realizzare un modello di comportamento
orientato,
nell’ambito
arretramento
in
di
favore
un
del
processo
di
privato,
al
deregolamentazione
miglioramento
e
di
dell’attività
amministrativa e dei servizi offerti alla collettività, al razionale utilizzo delle
risorse finanziarie, alla responsabilizzazione del management pubblico: tutto
ciò implica anche la diffusione della cultura e dei modelli di controllo dei
risultati.
In Italia, la complessa trasformazione dell’attività amministrativa si è
avviata concretamente nei primi anni novanta con la legge delega n.
421/1992.
Il percorso è noto e si è dipanato attraverso una serie quasi ininterrotta
di provvedimenti, tra i quali assumono particolare rilevanza la legge Ciampi di
riforma del bilancio dello Stato e i cosiddetti provvedimenti Bassanini sulla
riforma amministrativa.
La riforma del bilancio dello Stato è un punto centrale per qualsiasi
revisione delle regole della costituzione fiscale. I progressi compiuti negli
ultimi anni nel ridimensionamento dei disavanzi di bilancio hanno consentito
dapprima di rallentare e quindi di arrestare la fase di crescita del peso del
debito pubblico, con riflessi positivi sull’andamento dell’inflazione e dei tassi
di interesse, tuttavia un duraturo riequilibrio dei conti pubblici richiede un
maggior grado di controllo di spesa. Il carico fiscale occorrente per finanziarla
finisce direttamente o indirettamente per gravare sui prezzi dei prodotti, con
riflessi negativi sulla competitività del nostro sistema economico e quindi
sulle prospettive di crescita.
Un contributo nell’acquisizione di un più stretto controllo dell’evoluzione
della spesa e dei disavanzi pubblici può provenire dalla riforma del bilancio,
che privilegia, da un lato, il momento della programmazione, con la precisa
individuazione delle risorse disponibili da affidare ai centri di responsabilità e
alle “unità previsionali di base” per raggiungere gli obiettivi ad essi assegnati
e, dall’altro, la misurazione, durante la gestione ex post, dei risultati
conseguiti.
40
Il bilancio dello Stato, così come delineato dalla legge n. 94/1997, si
basa infatti sulla definizione programmatica delle “politiche pubbliche” e sulla
identificazione dei centri di responsabilità amministrativa e dei centri di costo.
La
normativa
è
un
tassello
importante
del
processo
di
ammodernamento della Pubblica amministrazione; essa si propone di
istituire un più razionale collegamento tra gestione finanziaria e azione
amministrativa.14
Le più rilevanti innovazioni della nuova impostazione del bilancio
riguardano specificamente i seguenti punti:
- l’istituzione dell’unità previsionale di base, quale nuova entità del
bilancio, oggetto di voto parlamentare, che raggruppa entrate o spese della
stessa natura con riferimento a specifiche aree omogenee che caratterizzano
l'attività istituzionale di ciascun Ministero;
- l’articolazione di ogni stato di previsione per centri di responsabilità
amministrativa, cioè secondo gli uffici di livello dirigenziale generale o
equivalenti, cui vengono riferite le risorse finanziarie deliberate dal
Parlamento per il perseguimento degli obiettivi assegnati;
- la classificazione delle spese dello Stato secondo missioni istituzionali
(funzioni – obiettivo), che identificano i fini perseguiti nell’interesse diretto
della collettività, sia per definire le politiche di settore, sia per misurare il
prodotto dell’attività amministrativa;
- l’introduzione della contabilità economica analitica per centri di costo
che consente di qualificare, per ciascun centro di costo, il profilo economico
delle missioni istituzionali e dei servizi finali e di verificare le modalità di
impiego delle risorse.15
Con il nuovo modello di bilancio si è voluto migliorare lo strumento
decisionale necessario per intraprendere manovre di politica economica più
14
Ferro Pasquale, Salvemini Giancarlo - Le riforme dell’amministrazione, del bilancio
statale e dei controlli: nuove regole di costituzione fiscale - Economia Pubblica settembre
1999 pagg. 8 e ss.
15
Ragioneria Generale dello Stato - Il controllo interno nella Pubblica Amministrazione
esperienze e prospettive- Atti del seminario di Studi svoltosi alla Facoltà di Economia
“F.Caffè” ROMA TRE 21 ottobre 1999.
41
mirate ed efficaci, coniugandone l’azione realizzativa degli obiettivi con il
modello organizzativo e, quindi, esaltando le responsabilità gestionali dei
dirigenti. Il tutto in un’ottica che privilegia la trasparenza, la razionalità e la
significatività dell’azione amministrativa in termini di scelte consapevoli del
Governo e del Parlamento.
A tale riforma hanno contribuito le esperienze condotte dalla Ragioneria
Generale dello Stato nel corso degli ultimi anni in tema di primo bilancio
sperimentale, avviato nel 1990 per tutte le Amministrazioni Centrali dello
Stato per realizzare, dal 1995, un tipo di bilancio in grado di correlare le
risorse finanziaria al modello organizzativo di ciascuna amministrazione,
secondo i principi del decreto legislativo n. 29 del 1993.
Ciò ha portato all’esposizione delle dotazioni di bilancio secondo i diversi
centri di responsabilità amministrativa (direzioni generali) individuati su
indicazioni delle varie Amministrazioni. In questo modello di bilancio ad ogni
centro di responsabilità sono attribuite le risorse finanziarie necessarie per il
suo
funzionamento
e
per
il
raggiungimento
dei
relativi
obiettivi
precedentemente individuati ed assegnati dall’autorità politica.
Questa
nuova
struttura
è
stata
sostanzialmente
recepita
nella
recentissima legge 3 aprile 1997, n. 94 concernente la riforma del bilancio
dello Stato e l’accorpamento del Ministero del Tesoro e del Bilancio e della
Programmazione Economica.
La riforma del bilancio, inoltre, ha il pregio di aver previsto l’abbandono
del criterio di costruzione delle previsioni in base alla spesa storica
incrementale a favore di un più moderno ed efficace principio di attribuzione
delle risorse che tiene conto degli obiettivi da perseguire in termini di livello
dei servizi e di interventi.
L’elemento fondamentale di questa nuova impostazione consiste nella
istituzione delle unità previsionali di base, che sostituiscono i capitoli di spesa
come unità di voto parlamentare.
42
Tali unità previsionali costituiscono degli aggregati più ampi del capitolo
in grado di agglomerare la spesa con riferimento alle funzioni e alle attività
amministrative.
La decisione parlamentare in tal modo si verrà a concentrare non più
sugli attuali 6.000 capitoli di spesa (spesso frammentari e disomogenei),
bensì su circa 800 unità previsionali, guadagnando in intelligibilità ed in
chiarezza, senza perdere nulla delle informazioni di supporto fornite a
corredo.
Altro vantaggio di questo nuovo bilancio riguarda l’elasticità derivante
dalla possibilità di modificare in via amministrativa (e non più legislativa) gli
stanziamenti dei singoli capitoli contenuti nella medesima unità previsionale
di base.
Il corpo di riforma varato si configura come una importante tappa nel
cammino che dovrà portare al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia
dell’azione amministrativa, senza costituirne l’unico e finale traguardo. Infatti,
a fianco del procedere di tale riforma si è proceduto a definire una struttura
contabile di tipo economico quale valido supporto conoscitivo e operativo per
l’analisi dei costi e per il controllo di gestione.
A tal fine la Ragioneria Generale dello Stato ha avviato una ulteriore
sperimentazione volta alla costruzione di un budget di tipo economico in
grado di evidenziare i costi della gestione delle strutture amministrative,
collegando risorse e obiettivi e risultati, in modo da consentire il controllo
diretto sull’efficienza della gestione e sull’economicità degli interventi
realizzati.
L’architettura dell’impianto contabile economico, definito per adattarsi
compiutamente alle numerose ed eterogenee realtà esistenti nella Pubblica
Amministrazione, si basa sia sulla logica per destinazione (che aggrega i
costi in funzione degli obiettivi perseguiti), sia su quella per natura (che
consente di rilevare i costi in base alle caratteristiche delle risorse).16
16
Conte Carlo - dirigente Ragioneria Generale dello Stato ”Struttura del bilancio dello Stato
e riforma amministrativa” . Contributo della RGS alla terza Conferenza nazionale sulla
43
Nel corso della XII legislatura sono state svolte indagini conoscitive in
tema di riforma del bilancio dello Stato durante la quale è emersa
chiaramente l’opportunità di una riforma in grado di restituire al bilancio una
maggiore trasparenza e significatività e conferire al Parlamento un effettivo
potere di scelta ed indirizzo.
Diverse sono state le soluzioni prospettate. Da un lato la Ragioneria
Generale dello Stato ha ribadito la validità a questi fini del bilancio
sperimentale che dal 1990 viene presentato al Parlamento insieme al
disegno di legge di bilancio a legislazione vigente; dall’altro sia il Tesoro, che
la Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica e la Corte dei Conti hanno
proposto, sia pure in modo diversificato, un bilancio che non parte dalla
riaggregazione degli attuali capitoli, ma comporta una nuova individuazione
delle voci di spesa, per poi accorparle nelle nuove unità di riferimento che, a
loro volta, sottintendono precise responsabilità di gestione a livello
amministrativo.
Nelle loro proposte, infatti, si sottolinea come la riforma del bilancio
debba procedere parallelamente alla riforma della pubblica amministrazione,
seguendo le linee tracciate dal decreto legislativo n. 29/1993.
A partire dal 1995 la Ragioneria Generale dello Stato ha predisposto, in
via sperimentale, un bilancio articolato per centri di responsabilità
amministrativa.
Nel decreto legislativo n. 29/93, infatti, viene espressamente affermato
che “il Ministero del Tesoro, al fine di rappresentare i profili economici della
spesa, definisce procedure interne e tecniche di rilevazione e provvede, in
coerenza con le funzioni di spesa riconducibili alle unità amministrative, cui
compete la gestione dei programmi, ad un’articolazione sperimentale dei
bilanci pubblici”.
In tale direzione è andata la legge 3 aprile 1997, n. 94 che si è proposta
come obiettivo dichiarato di “consentire, prima al Governo e poi al
Parlamento, una selezione e dunque una decisione più trasparente e
“Misurazione dell’azione Amministrativa” organizzata dal CNEL nei giorno 10 e 11 giugno
1997.
44
responsabile sulle priorità e sulle scelte allocative”, senza peraltro voler
restringere, neanche in modo indiretto, l’autonomia decisionale delle
Camere; ed altresì “di rendere il bilancio più chiaro e leggibile, oltre che per
l’autorità politica, per gli stessi cittadini contribuenti”.
Si muove dall’assunto dell’unità del documento contabile, sia per il
Parlamento che per il Governo, e che lo stesso sia articolato, a livello
ministeriale, per aggregati di spesa, le unità previsionali di base, direttamente
corrispondenti con il centro di responsabilità amministrativa cui è affidata la
relativa gestione.
L’unità previsionale di base è la nuova entità elementare del bilancio,
oggetto di voto parlamentare, che raggruppa entrate o spese della stessa
natura, ed è determinata con riferimento ad una specifica area omogenea di
attività in cui si articola l’attività istituzionale di ciascun Ministero.
Il centro di responsabilità amministrativa, invece, individua l’ufficio di
livello dirigenziale generale cui viene riferito il sistema di risorse finanziarie
espresso dalle unità previsionali di base deliberate dal Parlamento.
A livello di decisione politica, non si ha un bilancio suddiviso in
numerose unità elementari, quali i capitoli, bensì un documento snello e di
maggiore valenza, armonicamente esposto in poche unità aggregate
espressive di valori omogenei per destinazione funzionale, per attività
istituzionale e per natura economica.
La nuova struttura del bilancio, quindi, fa emergere chiaramente il
disegno di un doppio bilancio: un bilancio politico per la decisione
parlamentare, ed un bilancio amministrativo per la gestione.
Ciò oltre a risultare ispirato a semplicità e chiarezza espositiva, a facile
intelligibilità ed a sinteticità, nulla toglie alle necessarie ed approfondite
analisi, soprattutto della spesa.17
17
Monorchio Andrea “La ristrutturazione del bilancio dello Stato e l’accorpamento del
Ministero del Tesoro e del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica"
Commissione parlamentare per il parere del Governo sulle norme delegate previste dalla
legge 3 aprile 1997, n. 94: audizione del Ragioniere Generale dello Stato. Politica e
Mezzogiorno luglio-dicembre 1997.
45
3.2 Le “unità previsionali di base”
La nuova struttura classificatoria del bilancio si prefigge lo scopo di
valorizzare il più possibile la responsabilità dell’organo di indirizzo politico e
della dirigenza statale responsabile dell’attuazione di tale indirizzo, il tutto
sulla base di una netta divisione di compiti e responsabilità.
Alla base del processo di formazione del bilancio statale, sia per
l’entrata che per le spese, è stato posto un nuovo aggregato decisionale
denominato “unità previsionale di base” costruito in corrispondenza con il
centro unico di responsabilità al quale è affidato la relativa gestione
Fermo restando che il progetto di bilancio annuale è formato sulla base
dei criteri e dei parametri indicati nel Documento di programmazione
economico e finanziaria si prevede l’articolazione del bilancio in unità
previsionali di base determinate con riferimento ad aree omogenee di attività,
anche a carattere strumentale, in cui si articolano le competenze istituzionali
di ciascun Ministero. E’ con riferimento a ciascuna unità previsionale di base
che viene ora redatto il conto residui, il conto di competenza ed il conto di
cassa le cui previsioni di spesa costituiscono il limite per le autorizzazioni,
rispettivamente, di impegno e di pagamento.
Lo stretto rapporto tra autonomia, responsabilità e valutazione dei
risultati
del
dirigente
pubblico
viene
ulteriormente
evidenziato
nella
disposizione in cui si prevede un riepilogo secondo la classificazione
economica e quella funzionale delle autorizzazioni relative ad ogni unità
previsionale e, quindi, a ciascun centro di responsabilità amministrativa,
all’interno degli stati di previsione, e stabilisce che i budget complessivi di
spesa costituiti dalle nuove unità vengano assegnati dai Ministri competenti
ai dirigenti generali responsabili della gestione.
A conferma di come l’attribuzione di responsabilità manageriale ai
dirigenti, unitamente alla razionalizzazione degli schemi di organizzazione e
46
procedimento, costituisca un punto di passaggio obbligato per rendere
effettiva la portata decisionale della nuova struttura del bilancio sono dettate
le disposizioni che prevedono che, in occasione della presentazione al
Parlamento del disegno di legge di bilancio, vengano fornite alle Camere
elementi conoscitivi rilevanti, mediante Note preliminari per ciascuno stato di
previsione ed un Allegato tecnico. Le Note preliminari di spesa, infatti, oltre
all’indicazione dei criteri adottati per la formulazione della previsione, devono
contenere informazioni su: gli obiettivi dell’azione amministrativa, distinti per
livelli di servizi che si intendono assicurare ed interventi da realizzare; gli
eventuali aumenti di organici programmati per l’esercizio; gli indicatori di
efficienza e di efficacia che si pensa di utilizzare per la valutazione dei
risultati.
La novità della legge 94/97 è rappresentata dalla circostanza che i
capitoli, mentre continuano ad essere determinati in relazione al rispettivo
oggetto per l’entrata, per la spesa vengono individuati secondo il contenuto
economico e funzionale. Il che equivale a dire che il capitolo di bilancio in
virtù della riforma operata dalla legge perde il suo carattere autorizzativo
della spesa, acquista, cioè, una nuova valenza e funzione nell’ambito di una
riconsiderazione della stessa contabilità finanziaria in una rivisitata visione
economica ed aziendalistica del ruolo gestorio delle risorse da parte della
Pubblica Amministrazione, in una verifica aposteriori della validità ed
economicità della gestione stessa.
Con la nuova struttura del bilancio per unità operative viene consentita
una effettiva comparibilità tra i bilanci di previsione ed i rendiconti
avvalendosi proprio del capitolo, il quale tende a seguire la gestione nella
sua evoluzione, in linea con i principi aziendalistici ed evolutivi del budget già
evidenziati: budget inteso come strumento non solo di previsione del futuro,
ma soprattutto, di controllo dell’andamento della realtà aziendale nel suo
evolversi ed in ogni sua componente, finalizzato a rendere possibile l’uso
tempestivo di azioni correttive necessarie per eliminare storture e far
rientrare nuovamente ogni elemento nel prefissato programma aziendale.
47
Pertanto è proprio la classificazione per funzioni obiettivo che individua
le politiche di settore e riflette la suddivisione della spesa secondo l’analisi
funzionale. Essa, inoltre, mira a consentire la misurazione del prodotto
dell’attività amministrativa, anche in termini di servizi resi ai cittadini.18
L’elemento fondamentale della nuova impostazione di bilancio consiste
nella introduzione delle unità previsionali di base come oggetto di voto
parlamentare in luogo dei capitoli.
Esse costituiscono degli aggregati più ampi del capitolo e sono
determinate con riferimento alle aree omogenee di attività in cui si articolano
le competenze istituzionali di ciascun ministero.
Tale processo consente di innalzare la decisione parlamentare a livello
di macroaggregati più significativi dei singoli e frammentari capitoli.
La decisione parlamentare quindi viene a concentrarsi non più su circa
6.000 capitoli, bensì su circa 900 unità previsionali (800 di spesa e 100 di
entrata), guadagnando in intelligibilità e chiarezza.
Governo e Parlamento sono così in grado di valutare meglio le risorse
messe a disposizione delle amministrazioni pubbliche in relazione agli
obiettivi che queste si prefiggono di realizzare.
Lo spirito su cui si basa la riforma è quello di ripartire le risorse per
“funzioni” e “programmi” in modo tale da affidare budget di spesa ai dirigenti
responsabili attuando un controllo gestionale testato sui costi.
La legge di riforma al capo I, articoli da 1 a 4, tratta in modo specifico
della struttura e formazione del bilancio dello Stato. L’aspetto più significativo
è quello della istituzione delle “unità previsionali di base” cui corrisponde un
unico “centro di responsabilità”.
Le Unità previsionali di base sono “aree omogenee” per “servizi”,
“programmi”, “funzioni” e “progetti”. I “capitoli” costituiscono le unità
elementari del bilancio per la gestione, il controllo e la rendicontazione.
18
Lupò Avagliano M.V. La riforma del Bilancio dello Stato – Temi di contabilità pubblica 1998
48
Le somme comprese in ciascuna Unità previsionale di base, per quanto
concerne la spesa sono suddivise in spese correnti, indicando a parte le
spese del personale, e spese di investimento.
Le previsioni di spesa per ciascuna U.p.b. sono riassunte e riepilogate
secondo l’analisi economica e funzionale.
Nell’allegato tecnico della nota previsionale sono indicati, capitolo per
capitolo, i contenuti di ogni U.p.b. e la spesa obbligatoria e discrezionale,
tenendo conto della normativa e dei tempi di esecuzione dei programmi e dei
progetti che risultano finanziati nello stato di previsione.
Nelle note preliminari di spesa sono indicati gli obiettivi da raggiungere
utilizzando indicatori di efficacia ed efficienza per valutare i risultati.
Sempre negli allegati degli stati di previsione sono iscritti i capitoli delle
U.p.b., sia per la gestione del bilancio che per la rendicontazione; i capitoli
tengono presente l’oggetto per l’entrata e il contenuto economico e
funzionale per la spesa.
Per le spese, di parte corrente e in conto capitale, in appositi allegati,
sono indicate le risorse destinate alle Regioni.
Particolare importanza riveste l’art. 4 della legge n. 94/97 ai fini della
nuova classificazione delle entrate permane la classificazione per titoli; vi è
anche una classificazione per unità previsionali d base.
Permane la classificazione per categorie secondo la natura dei cespiti,
e per capitoli secondo l’oggetto ai fini della rendicontazione.
Per quanto concerne le spese vi è la classificazione di due livelli: per
funzioni obiettivo che elimina e sostituisce l’attuale distinzione per titoli; e per
unità previsionali di base.
Attraverso la legge di delega, il governo ha poi emanato il decreto
legislativo n. 279 del 7 agosto 1997 per la ristrutturazione del bilancio dello
Stato, la individuazione del responsabile delle U.p.b., la rivisitazione dei
capitoli, la rendicontazione per centri di costo.
Fase preliminare alla gestione fattuale del bilancio è la individuazione
degli obiettivi da perseguire e dei programmi da finanziare, onde stabilire
l’entità delle risorse da assegnare in gestione ai responsabili dei vari centri.
49
E’ prevista infine la determinazione degli stanziamenti in relazione alle
esigenze funzionali ed agli obiettivi concretamente perseguibili.
Ciò
significa
attuare
quel
processo
di
“budgettizzazione
responsabilizzata” delle spese, al fine di evitare il verificarsi di quegli
stanziamenti elefantiaci che non avevano nessun attaccamento concreto alla
realtà, soprattutto in virtù di progetti manifestamente irrealizzabili.19
19
Cataletti Ferdinando “Nuove strutture contabili: i bilanci amministrativi nazionali” in
Azienda Pubblica maggio-giugno 1998
50
3.3 I centri di responsabilità amministrativa, i centri di costo e
l’introduzione della contabilità economica nel bilancio dello Stato.
L’obiettivo prefissato dalla legge 94/1997 è stato quello di consentire, al
Governo prima, ed al Parlamento poi, una selezione e, quindi, una decisione
più trasparente e responsabile sulle priorità e sulle scelte allocative, nonché
di rendere il bilancio più chiaro e leggibile, oltre che per l’autorità politica, per
gli stessi cittadini contribuenti, nonché per favorire la convergenza fra i bilanci
dei singoli Stati europei.
Questo ha portato alla esposizione delle dotazioni di bilancio secondo i
diversi centri di responsabilità amministrativa (direzioni generali) individuati
su indicazione delle varie amministrazioni.
In questo modello di bilancio ad ogni centro di responsabilità sono
attribuite
le
risorse
finanziarie
per
il
suo
funzionamento
e
per
il
raggiungimento dei relativi obiettivi precedentemente individuati ed assegnati
dalle autorità politiche.
Pertanto, il bilancio di previsione dello Stato per le entrate e per le
spese è ripartito in unità previsionali di base, che formano oggetto di
approvazione parlamentare. Le unità previsionali di base costituiscono
l’insieme organico delle risorse finanziarie affidate alla gestione di un unico
centro
di
responsabilità
amministrativa.
Il
livello
di
responsabilità
amministrativa è individuato in modo da assicurare il costante adeguamento
della struttura del bilancio dello Stato agli ordinamenti legislativi ed alle altre
normative di organizzazione dell’amministrazione dello Stato.
Viene, pertanto, risolto il problema dell’immediato raccordo tra
decisione politica e responsabilità amministrativa, secondo le linee indicate
dal Parlamento. Unicità, pertanto, del documento contabile sia per il
Parlamento che per il Governo e che lo stesso sia articolato, a livello
ministeriale, per aggregati di spesa - le unità previsionali di base direttamente riferibili ai centri di responsabilità amministrativa cui è affidata la
relativa gestione. Quindi le unità previsionali di base corrispondono con il
centro di responsabilità amministrativa, cioè all’ufficio di livello dirigenziale
51
generale cui viene assegnato il sistema di risorse finanziarie espresso dalle
unità previsionali di base deliberate dal Parlamento.20
Con il decreto legislativo 279/1997 si è completata la riforma del
bilancio dello Stato avviata dalla legge 3 aprile 1997 n. 94 introducendo un
sistema di contabilità economica fondato su rilevazioni analitiche per centri di
costo.
La contabilità economica, fondata su rilevazioni analitiche per centri di
costo, è stata introdotta nelle amministrazioni pubbliche proprio per superare
i limiti della sola rilevazione finanziaria dei fatti di gestione. Quest’ultima deve
esser integrata da una struttura contabile e di bilancio di tipo economico in
grado di rilevare i costi di gestione di una amministrazione e non solo le
spese. Mentre le spese sono riferibili all’acquisto di risorse e ne
rappresentano il relativo esborso monetario, i costi mettono in evidenza il
sacrificio economico correlato all’effettivo utilizzo della risorsa.
Questo nuovo impianto contabile collega le risorse umane, finanziarie e
strutturali ai risultati conseguiti e alle responsabilità dei dirigenti attuando così
un monitoraggio dei costi, dei risultati e dei rendimenti delle singole
amministrazioni.
Questo nuovo sistema contabile è basato sul confronto continuo fra gli
obiettivi in precedenza fissati con i risultati raggiunti; ciò consente di
verificare periodicamente l’effettivo andamento della gestione e in definitiva
di favorire il controllo di gestione. Si può affermare che le fasi attraverso cui
si sviluppa il sistema di contabilità economica per centri di costo sono: la
programmazione, in cui si definiscono gli obiettivi e le risorse e si individuano
le azioni ed i tempi per realizzarli; la gestione, nella quale vengono rilevati i
fatti verificatisi; il controllo, in cui si verifica la corrispondenza fra obiettivi
raggiunti e obiettivi previsti; la consuntivazione, in cui si mostrano i risultati
definiti dalla gestione. Secondo quanto stabilito dal d.lgs. 279/1997, i centri di
costo sono individuati in coerenza con i centri
20
Pacifico Luigi – La riforma del bilancio - in Azienda Pubblica giugno 1998.
52
di responsabilità. Le risorse acquisite vengono correlate all’area a cui
sono destinate in modo da individuare il soggetto o i soggetti responsabili
del loro uso.
Questa nuova struttura non altera le vigenti procedure contabili ed i
sistemi di controllo di legittimità e di merito, in quanto rappresenta uno
strumento che si affianca a quello di natura finanziaria attualmente in essere,
senza alterarne le rilevazioni.
Dalla delineata configurazione integrata di bilancio, finanziaria ed
economica, scaturisce una diversa valenza della decisione: essa,
infatti,
prende in considerazione non solo le spese riferibili all’organizzazione,
ma anche i costi relativi all’utilizzazione delle risorse disponibili per
l’organizzazione medesima.
Ne deriva, quindi, un supporto conoscitivo completo per decisioni e
scelte più oggettive e razionali.
Il sistema contabile di tipo economico, infatti, risponde meglio alle
diverse esigenze di analisi e di valutazione della gestione, in quanto
consente
la
organizzazione
misurazione
e
delle
l’attribuzione
attività
dei
svolte
costi
a
dai
diversi
funzioni
ed
livelli
di
obiettivi
dell’Amministrazione nel suo complesso.
Solo l’introduzione di strumenti contabili basati su elementi e principi
economici può garantire l’evoluzione delle modalità operative della gestione
e favorire l’applicazione del controllo di gestione direttamente al tessuto
organizzativo, ai risultati della azione amministrativa ed agli obiettivi
prefissati.21
Ristrutturato , pertanto, il bilancio per funzioni-obiettivo, la previsione
della introduzione ai fini della gestione e della rendicontazione di una
contabilità analitica per centri di costo appare il logico e tecnico
completamento, con particolare riferimento al problema della misurazione
dell’attività amministrativa e della connessa elaborazione degli indicatori
21
Conte C.- Il bilancio come strumento per il controllo di gestione – Politica e Mezzogiorno,
luglio 1997. P.24
53
economici,
risultando
un
decisivo
passo
in
avanti
nella
direzione
dell’acquisizione delle tecniche e dei moduli di bilancio propri del sistema
privatistico. Al riguardo una codificazione di tipo economico nel bilancio dello
Stato era stata già avviata dalla legge 468/78, ai sensi della quale al
rendiconto sarebbe stata allegata una illustrazione dei dati consuntivi dalla
quale si evincesse il significato amministrativo ed economico delle risultanze
contabilizzate di cui venissero posti in particolare evidenza i costi sostenuti
ed i risultati conseguiti per ciascun servizio.
La contabilità economica si esprime in un bilancio economico, che, per
come è strutturato, non può che essere successivo, su una base di un
accertamento della finalizzazione della spesa che si potrà conoscere solo a
spesa avvenuta od impostata. Il bilancio economico, quindi, per sua natura,
non appare idoneo a sostituire il bilancio finanziario. Nel sistema
aziendalistico le disposizioni relative alla redazione del bilancio, alle sue
modalità, alla tenuta delle scritture contabili, ai tempi del loro controllo
evidenziano la natura di questo sistema che è quello di documentazione
continuata di attività, di verifica e di ricostruzione della stessa nel rispetto
della libertà e dell’autonomia dell’iniziativa economica.22
Mentre differente è il ruolo di garanzia del bilancio dello Stato,
configurato come atto normativo autorizzativo della gestione delle
risorse pubbliche, e volto, per il suo carattere di determinazione
dell’indirizzo politico ed economico, ad assumere una valenza annuale
e, quindi, una cadenza periodica.
Il passo in avanti compiuto dalla riforma del bilancio dello Stato consiste
nella circostanza che si esprime chiaramente e tassativamente in termini di
contabilità analitica, cioè di una tecnica indispensabile per la rilevazione, la
destinazione, l’analisi ed il controllo dei costi e dei ricavi inerenti la gestione.
La quale, consentendo aggregazioni e disaggregazioni di dati (a differenza
della contabilità generale che si limita a registrare i fenomeni contabili
22
Lupò Avagliano M.V. – Le nuove frontiere di una disciplina: la Contabilità di Stato, in
Quaderni di politica e Mezzogiorno, 1993, 201.
54
avvenuti in base alla natura dei dati), permette una corretta elaborazione e
lettura degli indicatori economici per la valutazione del grado di efficienza e di
efficacia dell’azione ed organizzazione amministrativa e finanziaria.
In tale ottica e prospettiva si evidenzia un rinnovato ruolo del rendiconto
generale in campo pubblicistico, in quanto non è più volto soltanto alla
verifica dei meri dati finanziari, ma anche e soprattutto, è orientato alla
valutazione dei risultati complessivi della gestione delle Amministrazioni.
La legge 94/97, invece, collegando la norma all’introduzione di una
contabilità analitica per centri di costo, è più categorica. Infatti dispone
espressamente che la ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato
dovrà avvenire “in funzione degli obiettivi” vale a dire dei principi e criteri
della delega stessa. Pertanto ne discende la rilevante portata ed il ruolo che
viene ad assumere il momento della rendicontazione nella contabilità dello
Stato, e, per esso, il momento della contabilità economica, in funzione del
controllo di gestione. La fase di rendicontazione diventa, ora, un vero e
proprio strumento di valutazione e controllo con cui si consente di dare un
senso al processo di programmazione amministrativa e del grado di
realizzazione delle attività programmate, nonché di quello di conseguimento
degli obiettivi. Esso, infatti, indica la necessità di tradurre i dati finanziari in
indici di produttività ed in indicatori di realizzazione degli obiettivi; il che
equivale a dire che la mancata, o inefficace utilizzazione del rendiconto come
strumento di verifica dei risultati gestionali effettivi, in rapporto alle previsioni,
diventa motivo di vanificazione dello stesso disegno programmatorio e
progettuale della pubblica Amministrazione.
Fin’ora la preoccupazione principale delle relazioni di consuntivo è stata
essenzialmente quella dell’illustrazione dei dati finanziari in termini di
scostamento
fra
accertamenti
e
previsioni
e
dell’illustrazione
delle
componenti di determinazione del risultato di amministrazione. Finora il
controllo sulla gestione finanziaria dello Stato, quale si è espresso nelle
analisi dei referti annuali sul rendiconto, è stata sostanzialmete legato ai
canoni propri del controllo finanziario e contabile. La valutazione dei risultati
di gestione è mancata, con la conseguenza che il bilancio annuale si è
55
caratterizzato come documento finanziario da costruirsi con logiche
incrementali.
Pertanto, in virtù della riforma, il rendiconto dello Stato, riallacciandosi
alla tecnica del budget, perde il carattere di sede meramente dimostrativa o
certificativa dell’impiego delle risorse, per assumere soprattutto quello
valutativo nei confronti del sistema degli obiettivi, dei vincoli in generale posti
alla gestione dalla decisione di bilancio analizzando gli scostamenti rispetto
agli obiettivi, con riguardo anche al livello di centro di responsabilità.
56
Cap. 4
LA RIFORMA DEI CONTROLLI E LA
POLITICA DEL BILANCIO QUALE
STRUMENTO DEL GOVERNO
DELL’ECONOMIA
57
4.1 La riorganizzazione della dirigenza pubblica e l’ingresso della
cultura manageriale.
La
prima
normativa
dell’organizzazione
degli
organica
uffici
e
del
volta
alla
razionalizzazione
personale
della
Pubblica
Amministrazione la si può far risalire alla Legge 8 giugno 1990, n. 142
(“Ordinamento delle autonomie locali”). Essa si caratterizza per la
disposizione, la quale, introducendo ” l’autonomia gestionale” dei dirigenti
pubblici eleva a precetto legislativo un principio che si andava affermando e
che, capovolgendo un modo di operare tradizionale della Pubblica
Amministrazione, avrebbe rappresentato il cardine su cui avrebbe ruotato in
seguito il suo modo di agire: la separazione tra Amministrazione e Politica.
Infatti,
ai
vertici
elettivi
dell’Amministrazione
viene
riconosciuto
esplicitamente il diritto-dovere di attuare le politiche pubbliche in base a
mandato ricevuto dai cittadini (“i poteri di indirizzo e controllo spettano agli
organi direttivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti”);
mentre la classe dirigenziale è unica titolare e responsabile della gestione, di
cui deve rispondere agli organi di direzione politica (“spettano ai dirigenti tutti
i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’Amministrazione verso
l’esterno, che la legge o lo statuto espressamente non riservino agli organi di
governo dell’Ente”); “i dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione
agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa e dell’efficienza della
gestione”).
Alla legge 142/90 ha fatto immediatamente seguito la legge 7 agosto
1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi”) la quale, tra l’altro,
nell’individuare il responsabile del procedimento, ha inteso personalizzare
l’azione della Pubblica Amministrazione, di modo che potessero emergere in
capo agli operatori pubblici i comportamenti rilevanti nel procedimento
amministrativo, ivi, comprendendovi anche quelli omissivi, valutando i
parametri di efficacia e tempestività adottati ed il modo in cui essi sono stati
applicati, in modo che risultasse immediatamente individuabile il soggetto
58
responsabile
dell’eventuale
cattivo
funzionamento
dell’ufficio
e
fosse
chiamato direttamente a risponderne.
Si è avuta, poi, la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (“Delega al Governo
per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di
pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”) recante la
razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni Pubbliche nel
loro complesso e la revisione della disciplina del pubblico impiego in vista del
contenimento e del controllo della spesa pubblica. Tra i principi ed i criteri
direttivi della delega si ricordano: l’affidamento ai dirigenti pubblici di
autonomi poteri di direzione, vigilanza e controllo, ed in particolare di risorse
finanziarie attraverso l’adozione di idonee tecniche di bilancio; la verifica dei
risultati dell’azione amministrativa; le procedure volte a verificare l’effettivo
conseguimento degli obiettivi stabiliti per le azioni amministrative; nonché
quelle volte ad assicurare il contenimento dei costi nel limite stabilito al
momento delle previsioni.
Il disegno dell’organizzazione degli uffici e dei rapporti di lavoro e di
impiego alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche ha trovato, quindi,
un’organica disciplina con l’emanazione del d.lgs 3 febbraio 1993, n. 29 e
successive modificazioni.
In
particolare
il
ruolo della dirigenza pubblica rinviene nel
provvedimento in questione una sua compiuta regolamentazione a
distanza di più di vent’anni dalla istituzione di questa e con esso, viene
definito il rapporto tra Politica ed Amministrazione portando ad ulteriore
sviluppo il disegno riformatore iniziato dalla legge 142/90 per gli enti
locali.
Normative
immediatamente
successive
al
d.lgs.
n.
29
hanno
confermato la tendenza riorganizzatrice della pubblica Amministrazione.
Con la legge 14 gennaio 1994, n. 20 (“Disposizioni in materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti”), si è ristrutturato il sistema del
controllo “esterno”, affidato dalla Costituzione, all’art. 100, c.2, alla Corte dei
conti.
59
Il quadro delle novità riformatrici comunque riguardanti l’attività
amministrativa si è chiuso con il d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286, che ha
rivoluzionato la disciplina introdotta dalle leggi precedenti, ridefinendo
contenuti e competenze dei controlli interni e prevedendo un sistema
articolato, nel quale si collocano sia le verifiche di regolarità amministrativa e
contabile sia la valutazione dei dirigenti, il controllo strategico ed il controllo di
gestione.23
Il
tradizionale
sistema
italiano
di
controlli
amministrativi,
prevalentemente fondato sulle verifica preventiva della legittimità degli atti e
della regolarità contabile delle gestioni, si è rilevato debole come strumento
di prevenzione di disfunzioni e di fenomeni di corruzione, incompatibile con
un sistema sempre più fondato sulle autonomie territoriali e funzionali, ed è in
contrasto con il modello di impostazione programmatica del bilancio previsto
dalla legge n. 94 del 1997 e con il principio di responsabilità gestionale dei
dirigenti, stabilito già all’inizio degli anni Novanta.
Il decreto legislativo 29 del 1993, per i controlli interni, e la legge 20 del
1994, per il controllo esterno affidato dalla Costituzione alla Corte dei Conti,
hanno segnato il passaggio dalla prevalenza del controllo preventivo di
legittimità sugli atti ad un sistema fondato, principalmente, sul controllo
successivo dei risultati della gestione.
Il sistema del controllo sui risultati effettivi è volto a valutare non
soltanto la legittimità, ma anche l’efficacia, l’efficienza, l’economicità della
gestione.
Consente di identificare le lacune, di comparare i costi delle funzioni e
dei servizi, di misurare e verificare il rapporto tra obiettivi e risultati e l’impatto
economico e sociale delle gestioni pubbliche.24
Dalla riorganizzazione della dirigenza ex d.lgs 29/93 emerge che chi è
preposto ad un ufficio deve avere capacità di organizzare, prevedere,
23
Rasola Nicola – il controllo di gestione e il controllo strategico nella realtà attuale della
P.A. italiana: problemi e prospettive – Riv. Nuova rassegna di legislazione e giurisprudenza
luglio 2000.
24
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica –
Commissione di studio di cui al DPCM 18 ottobre 1996 per contrastare i fenomeni di
corruzione e per migliorare l’azione della P.A. p. 37.
60
programmare, introdurre, ogniqualvolta sia necessario, tutte le modificazioni
e gli aggiustamenti idonei al raggiungimento degli obiettivi posti in relazione
alle direttive ricevute.
Il Ministro non è più titolare del potere gerarchico, ma di quello di
indirizzo politico-amministrativo e di controllo sui risultati della gestione dei
dirigenti. Mentre gli Organi di governo “definiscono gli obiettivi ed i programmi
da
attuare
e
verificano
la
rispondenza dei risultati della gestione
amministrativa alle direttive generali impartite”; ai dirigenti spetta “la gestione
finanziaria, tecnica ed amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che
impegnano l’amministrazione verso l’esterno. Essi sono responsabili della
gestione e dei relativi risultati”. Il quadro complessivo che si presenta
dunque, è quello di una dirigenza pubblica che deve realizzare al meglio
sotto la propria responsabilità ( che chiameremo manageriale) gli obiettivi
posti dagli organi politici.
Il complesso delle innovazioni strutturali e procedurali le quali
avrebbero dovuto consentire una maggiore autonomia del management
politico-amministrativo si evidenzia particolarmente con riferimento all’attività
di spesa dei dirigenti. Come detto, ai dirigenti spetta la gestione finanziaria,
tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa (art. 3 d.lgs.
29/93).
L’autonomo potere di spesa per i dirigenti rappresenta per la finanza
pubblica il dato più significativo della riforma, se si pensa che il potere di
assumere impegni è stata sempre prerogativa del Ministro, che aveva, però
facoltà di delegarlo ai dirigenti. Separati i poteri di direzione da quelli di
gestione, tale potere è ora di competenza propria dei dirigenti generali.
Il Ministro, infatti, ogni anno mentre “definisce gli obiettivi ed i
programmi da attuare, indica le priorità ed emana le seguenti direttive
generali per l’azione amministrativa e la gestione” (art. 14, c.1, d.lgs. 29/93),
contestualmente “assegna, a ciascun ufficio di livello dirigenziale generale,
una quota parte del bilancio dell’Amministrazione, commisurata alle risorse
finanziarie, riferibili ai procedimenti ed ai sub-procedimenti attribuiti alla
responsabilità dell’ufficio, e agli oneri per il personale e per le risorse
61
strumentali allo stesso assegnati” (art. 14, c.1 d.lgs. 29/93). I “dirigenti
generali” formulano proposte al Ministro, anche ai fini della elaborazione di
programmi, di direttive e di schemi di progetti di legge; curano l’attuazione dei
programmi definiti dal Ministro ed a tal fine adottano i progetti, la cui gestione
è ad essi attribuita “indicando le risorse occorrenti alla realizzazione di
ciascun progetto”; “esercitano i poteri di spesa nei limiti degli stanziamenti di
bilancio, e di acquisizione delle entrate, definendo i limiti di valore delle spese
che i dirigenti possono impegnare”.
Il che vale a dire, in pratica, che, grazie alla riforma dettata dal d.lgs.
29/93, i dirigenti sono diventati i veri responsabili della gestione e, in
un’azione della pubblica Amministrazione per obiettivi, i veri responsabili del
raggiungimento di questi attraverso le risorse stanziate in bilancio.
Dalla nuova figura del dirigente ne esce plasmato un diverso modello di
Amministrazione pubblica, segnatamente quello dell’Amministrazione per
risultati, secondo criteri di efficienza ed economicità. Le disposizioni dell’art.
14 del d.lgs. 29/93 stanno, infatti, chiaramente ad evidenziare come il
confronto
budget/risultati
venga
assunto
a
misura
dell’efficacia
e
dell’efficienza dell’azione amministrativa, dovendosi l’autonomo potere di
spesa del dirigente esprimersi nella univoca ricognizione di un’area di risorse
finalizzate al conseguimento dei risultati ben determinati nell’ambito di un
programma o di un progetto.25
La riforma della pubblica Amministrazione sembra, allora, operare
proprio una fruttuosa contaminazione tra la tradizionale impostazione
amministrativistica
pubblica
e
la
moderna
scienza
aziendalistico-
manageriale, venendo ad essere introdotto il criterio del budgeting, con il
quale, nella cultura aziendalistica si identificano le attività di previsione
(budget significa “previsione”), programmazione e controllo che avvengono in
ogni azienda, e rappresenta uno dei cardini dell’organizzazione aziendale.
Finalità primaria del budgeting è, infatti, la possibilità che esso offre di
esercitare un oculato e capillare controllo, a priori ed a posteriori, dei costi e
25
De Joanna P. – Fotia G. – Il bilancio dello Stato, Roma, 1996
62
degli impieghi nelle varie fasi e contesti di attività, mediante il calcolo e
l’accertamento degli accostamenti tra dati a budget e realtà, l’analisi delle
ragioni che li hanno provocati e la conseguente riformulazione dei programmi
e dei budget iniziali. Il budget, in una parola, diventa un piano di lavoro in cui
si riscontra la responsabilità del dirigente consentendo di eliminare
inadeguatezze ed inefficienze, ma soprattutto di formare una coscienza
economica nei responsabili dei diversi livelli perché ne sia accresciuta la
razionalità dell’organizzazione e sia migliorato il rapporto risorse-obiettivirisultati.26
Pertanto la mancata realizzazione degli obiettivi prefissati o delle
finalità previste da norme specifiche, in generale i risultati negativi della
gestione
configurano
in
capo
ai
dirigenti
un
peculiare
tipo
di
responsabilità, quella di “gestione” o di “risultato”, cui la legge
riconnette determinate sanzioni.
Per rendere effettiva la responsabilità dei dirigenti il legislatore ha
approntato una serie di norme: i dirigenti generali “adottano misure
organizzative idonee a consentire la rilevazione e l’analisi dei costi e
dei
rendimenti
dell’attività
amministrativa,
della
gestione
e
delle
decisioni organizzative” (art. 18, c. 1, del d.lgs. 29/93); inoltre “Servizi
di controllo interno, o nuclei di valutazione” sono istituiti nelle
Amministrazioni pubbliche con il compito di verificare, mediante
valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione
degli
obiettivi,
pubbliche,
la
corretta
l’imparzialità
ed
ed
economica
il
buon
gestione
andamento
delle
risorse
dell’azione
amministrativa”.
La filosofia di fondo della riforma dei controlli risiede nell’intento di
considerare l’attività della Pubblica Amministrazione come servizio
qualificato, rispondente alle attese del cittadino, da svolgersi secondo
26
Francese M.U., La responsabilità dirigenziale dei dirigenti della pubblica
Amministrazione nel d.lgs. 29/93. Note di aggiornamento, in Riv. Corte dei conti, 1995, 363
63
tecniche
gestionali
innovative, integrate da valutazioni ed analisi
desunte dalle scienze economiche con una forte accentuazione della
responsabilità della dirigenza in ordine alla programmazione dell’attività
ed alla realizzazione degli obiettivi programmmati.
Nel corso degli anni 90 le riforme introdotte in materia di organizzazione
amministrativa e di pubblico impiego hanno avuto come tema ricorrente e di
grande rilievo la riforma dei controlli sull’azione amministrativa, strettamente
legata ad un nuovo disegno della Pubblica Amministrazione, basato sull’idea
centrale dell’attuazione dello stato federale e sull’esigenza di seguire
orientamente efficientistici provenienti dall’Unione Europea.
Il processo di controllo inizia con le decisioni prese dal Parlamento con
il documento di programmazione economico-finanziaria, proposto dal
Governo, anche sulla base delle previsioni economiche e finanziarie
formulate dai dirigenti delle Amministrazioni in termini di obiettivi e programmi
da perseguire, tenendo conto dei costi e delle spese sostenuti per lo
svolgimento delle funzioni e dei servizi istituzionali.
Tale documento sintetizza gli obiettivi dell’intero Stato per l’anno
successivo.
Gli obiettivi fissati dal documento di programmazione economicofinanziaria
devono
essere
successivamente
recepiti
dalle
singole
amministrazioni. Ogni singolo Ministro, con il supporto del Servizio di
Controllo Interno, deve emanare la “Direttiva Annuale del Ministro” nella
quale vengono definite le linee strategiche dell’amministrazione, i principali
programmi e gli obiettivi dei singoli Dipartimenti.
La pianificazione si avvale delle risultanze prodotte dal controllo di
gestione negli anni precedenti. Per fissare degli obiettivi realistici, infatti, è
necessario considerare l’andamento delle gestioni passate, in quanto tale
andamento contribuisce ad individuare i possibili scenari futuri e, quindi, a
fissare obiettivi ad essi coerenti.
64
In questa fase gli obiettivi indicati nella direttiva del Ministro, di concerto
con i dirigenti responsabili, vengono disaggregati, quantificati ed assegnati
ad ogni funzione e servizio svolto da ciascun centro di responsabilità e costo.
Ciò si concretizza nella predisposizione del Budget Economico e nel
Bilancio Finanziario di Previsione.
A fine anno tutte le informazioni contabili ed extracontabili di costo,
attività e risultato vengono elaborate e sintetizzate. In tal modo si addiviene a
misurare efficienza, efficacia ed economicità della gestione nonché ad
analizzare gli scostamenti dagli obiettivi precedentemente definiti nella fase
di programmazione.
Dal controllo infra-annuale scaturisce una fase di valutazione e
riprogrammazione degli obiettivi di costo e di spesa che è sostanzialmente
assimilabile a quella di programmazione.
I controlli di gestione nel campo pubblico attraverso una contabilità di
costi possono mutare l’attuale assetto dei controlli. Non devono però far
riferimento solo ai costi del personale, anche se questa spesa è rilevante,
devono riguardare anche altre categorie di costi, considerata la innovazione
tecnologica che incrementa i costi di investimento e ricerca.27
Al riguardo le ricerche in atto stanno focalizzando gli aspetti salienti del
controllo di gestione che deve basarsi sulla analisi dei servizi e appurarne i
risultati.
I costi da analizzare devono essere rivisti non solo nell’ambito
finanziario ma considerati anche negli aspetti economici: personale, beni,
servizi, costi di manutenzione, beni di consumo. Le aziende pubbliche sono
aziende come qualunque altro soggetto imprenditoriale, anche se il carattere
imprenditoriale è attenuato da aspetti e considerazioni sociali; esse
producono servizi e la loro effettuazione deve avvenire su basi non soltanto
finanziarie, ma economico-finanziarie.28
27
Travaglione - Azienda Pubblica 1995.
Canaletti Ferdinando - Nuove strutture contabili: i bilanci amministrativi nazionali – In
Azienda Pubblica Maggio-giugno 1998.
28
65
Pertanto gli obiettivi della riforma sono quelli di dare attuazione alla
norma costituzionale che richiede lo svolgimento di controlli successivi sui
risultati di gestione che sono, del resto, i controlli più moderni ed efficaci,
poiché consentono di verificare, oltre la legalità, la performance delle
amministrazioni e la qualità del prodotto amministrativo, in rapporto ai diritti
degli utenti ed agli interessi dell’intera collettività.29
Se leggiamo in positivo il recente d.lgs. n. 286/1999 che riordina e
potenzia” i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi,
dei rendimenti e dei risultati delle attività svolte dalle amministrazioni
pubbliche”, dopo i controlli su atti in funzione di garanzia di illustri tradizioni
predemocratiche, si badi bene e dopo i controlli di merito, siamo di fronte ad
un nuovo tipo di controlli, che investono aspetti antichi: l’entità dei costi in
relazione ai risultati; e interrogativi mai posti: perché le strutture pubbliche
aumentano più in quantità che in qualità?30
La cultura del controllo, estremamente viva nel nostro ordinamento, è
tradizionalmente vissuta come controllo del processo, mai dei prodotti e
risultati finali: quando le “carte” sono tutte giuste e la procedura
correttamente eseguita perché preoccuparsi del resto? In un quadro del
genere, ogni norma che imponesse controlli di risultato verrebbe ad essere
automaticamente neutralizzata, concentrando l’attenzione sui passaggi e
sulle procedure attraverso cui procede lo stesso controllo valutativo.31
29
Palmiero Vincenzo - Riforma amministrativa, riforma dei controlli, riforma del bilancio:
uno stretto collegamento – La Funzione Amministrativa n. 6/1998 pag.111.
30
Galeotti Gianluigi - Individuazione dei risultati e loro valutazione soggetti, poteri e
responsabilità in Banca d’Italia “i controlli delle gestioni pubbliche” Atti del Convegno
Perugia, 2-3 dicembre 1999.
31
Cassese Sabino - In occasione della inaugurazione del I corso di formazione su “Costi e
rendimenti delle pubbliche amministrazioni” organizzato dalla Scuola superiore della
pubblica amministrazione.
66
4.2 La riorganizzazione del sistema dei controlli
I servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione sono stati istituiti
nelle Amministrazioni pubbliche con il compito di verificare, mediante
valutazioni comparative di costi e di rendimenti, la realizzazione degli
obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche,
l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa.
Per quanto riguarda questi organismi, deputati alla misurazione
dell’attività amministrativa ed alla rilevazione di eventuali responsabilità per il
mancato raggiungimento dei risultati, la loro peculiarità consiste nel fatto che
il legislatore li ha collocati ciascuno nell’ambito di ogni singolo apparato
amministrativo, chiamando quest’ultimo, dunque, non solo a gestire, ma
anche a valutare l’economicità della propria attività.
Pertanto il controllo interno, di cui quello operato dai suddetti Servizi o
Nuclei rappresenta una fattispecie, non rappresenta una singola tipologia di
controllo, ma un complesso di forme eterogenee per parametri, misure,
soggetti, il cui unico connotato unitario è dato dal fatto che anziché essere
esercitati da un soggetto esterno sono attribuiti a soggetti che operano
all’interno dell’organismo controllato.32
In questa maniera il controllo interno si concreta ancora in uno stadio di
cura attiva del pubblico interesse e di eliminazione o correzione interna della
funzione nella fase del suo esercizio. E’ infatti parte dell’Amministrazione
stessa. Tale forma di riscontro, infatti, andando oltre il sindacato di mera
legittimità degli atti e dovendo perseguire l’interesse al buon funzionamento
dell’Amministrazione non può non investire, seppure indirettamente, anche il
merito delle scelte amministrative.
Tra i controlli interni sono enucleabili i controlli di gestione propriamente
detti (auditing) che hanno il compito di monitorare l’attività di gestione,
rilevando le differenze tra risultati e gli obiettivi predeterminati, analizzare le
32
Acanfora D., Profili del controllo interno nella Pubblica Amministrazione, in Riv. Corte dei
conti, 1995, 4-5, 189.
67
cause e segnalare all’organo di direzione le misure correttive per migliorare
la resa dell’apparato.33
L’auditing (ovvero “sentire, chiamare per farsi spiegare i fatti”) è
praticato da tempo nei paesi anglosassoni e si è andato progressivamente
affermando in vari Stati, estendendosi all’Unione Europea.
La funzione del controllo interno è stata introdotta nella Pubblica
Amministrazione prevalentemente per volontà del legislatore; essa non
nasce
tanto
con
caratteristiche
autopropulsive
delle
amministrazioni
pubbliche, quanto per volontà del legislatore italiano. Dalla legge 142 del
1990 alla legge n. 94 del 1997, che disciplina in modo nuovo l’ordinamento
contabile e di bilancio dello Stato, numerosi sono i contributi normativi che
hanno
imposto
comportamenti
innovativi
nella
conduzione
delle
amministrazioni pubbliche.
Fino ad ieri, la logica del cambiamento sembrava limitata alla gestione
delle aziende pubbliche che non appartenessero direttamente alle strutture
ministeriali.
Sembrava, in pratica, che l'innovazione del settore pubblico fosse
possibile purché restasse inalterato l’impianto organizzativo e di controllo
delle amministrazioni centrali dello Stato.
Negli ultimi anni, invece, anche lo Stato è stato coinvolto in questa
logica di cambiamento, contribuendo ad accelerarne il processo ed a
renderlo ancora più unitario nel modo di caratterizzarne le innovazioni.
L’introduzione e lo sviluppo della funzione del controllo interno senza
un’innovata organizzazione del lavoro che consenta la rilevazione dei costi
nei diversi centri di costo o di responsabilità, sono difficili da realizzare.
E’ evidente che i servizi di controllo interno si trovano nella difficile
situazione di dover svolgere compiti per i quali non sono facilmente reperibili
dati o informazioni contabili o extra-contabili.
33
Lupò Avagliano M.V.- Icontrolli di efficienza sulla gestione finanziaria dello Stato, in Atti
VI Convegno di contabilità pubblica “Controllo e collettività e controllo sulla finanza
pubblica”, 9-11 ottobre 1981, Perugina 1982, 411 ss.
68
Pertanto il controllo interno non rappresenta una funzione antica ma
addirittura in alcune situazioni, appare anche una funzione troppo innovativa
in riferimento alle realtà pubbliche in cui è introdotta. Il controllo interno non
ha niente a che vedere con i controlli che precedentemente si sviluppavano
nelle amministrazioni pubbliche, il controllo interno non è e non può essere
un controllo punitivo o sanzionatorio.
Il sistema dei controlli interni si caratterizza con le azioni e le procedure
in grado di monitorare il processo gestionale, di rilevare gli scostamenti tra
ciò che si è verificato e ciò che è stato programmato e di analizzare le cause
che hanno determinato tali scostamenti.
L’attività di controllo interno evidenzia la coerenza tra le scelte di
programmazione e quelle di gestione, valuta i risultati, ricerca le cause che
possono aver generato gli scostamenti ed opera affinché le stesse siano
eliminate.
Gli scarti tra le scelte di programmazione ed i risultati della produzione
dei servizi e le cause che hanno generato questi scarti possono essere
rilevati non solo durante la gestione, ma anche in fase di controllo successivo
quando sono elaborate le informazioni di ritorno per supportare il successivo
processo di programmazione.
Il sistema dei controlli interni è indirizzato a supportare gli organi del
governo pubblico proprio al fine di descrivere gli scenari economici ed
aziendali all’interno dei quali le amministrazioni pubbliche devono operare e
nel cui contesto devono essere definite le linee gestionali di medio termine. Il
budget,
ormai
considerato
uno
strumento
di
governo
anche
nelle
amministrazioni pubbliche, è considerato come il documento economico e
finanziario che completa il processo di programmazione.
In questo panorama di programmazione, budget e controllo interno, il
processo del cambiamento amministrativo appare agli albori come un
modello di controllo interno ancora in fase di iniziale caratterizzazione,
l’introduzione di un sistema di controllo è difficile nel momento in cui i diversi
69
elementi di base, contabili ed extra-contabili, finanziari ed economici,
appaiono non facilmente reperibili nelle strutture pubbliche 34
Per meglio correlare l’andamento della spesa pubblica all’evoluzione
dell’economia reale e garantire altresì il costante autocontrollo ed il
monitoraggio della spesa medesima, il sistema di bilancio finanziario deve
essere integrato con una struttura di tipo economico in grado di evidenziare i
costi di gestione dell’unità amministrativa, collegando risorse, obiettivi e
risultati, e di conseguire il controllo diretto sull’efficienza della gestione delle
risorse e sull’economicità degli interventi realizzati.
Questa nuova struttura non altera le vigenti procedure contabili ed i
sistemi di controllo di legittimità e di merito, in quanto rappresenta uno
strumento che si affianca a quello di natura finanziaria attualmente in essere,
senza alterarne le rilevazioni.
In particolare, il nuovo sistema di bilancio deve rispondere a due
esigenze specifiche:
- consentire la rilevazione dei costi in relazione alla responsabilità e ciò
implica la individuazione dei centri di costo di ciascuna Amministrazione sulla
base delle strutture organizzative esistenti e delle risorse dagli stessi
impiegate;
- valutare i costi dei servizi prodotti dall’Amministrazione Pubblica,
mediante la verifica delle modalità di acquisizione e di impiego delle risorse
all’uopo occorrenti.
Dalla delineata configurazione integrata di bilancio, finanziaria ed
economica, scaturisce una diversa valenza della decisione. Si prendono in
considerazione non solo le spese riferibili all’organizzazione, ma anche i costi
relativi
all’utilizzazione
delle
risorse
disponibili
per
l’organizzazione
medesima.
Ne deriva un supporto conoscitivo completo per decisioni e scelte più
oggettive e razionali.
34
D’Alessio Lidia - Il controllo interno nella Pubblica Amministrazione esperienze e
prospettive- Atti del seminario di studi svoltosi alla Facoltà di Economia “Federico Caffè”
Università degli Studi ROMA TRE 21 ottobre 1999 pagg.12 e ss.
70
Il sistema contabile di tipo economico, infatti, risponde meglio alle
diverse esigenze di analisi e di valutazione della gestione, in quanto
consente
la
misurazione
dell’organizzazione
e
delle
l’attribuzione
attività
dei
svolte
costi
a
dai
diversi
funzioni
ed
livelli
obiettivi
dell’Amministrazione nel suo complesso.
Solo l’introduzione di strumenti contabili basati su elementi e principi
economici può garantire l’evoluzione delle modalità operative della gestione
e favorire l’applicazione del controllo di gestione direttamente al tessuto
organizzativo, ai risultati della azione amministrativa ed agli obiettivi
prefissati.35
E’ l’art. 20 del d.lgs. n. 29/93 (ora quasi completamente abrogato) che
ha dettato la disciplina compiuta del controllo interno. La norma faceva
obbligo alle pubbliche amministrazioni, che ne erano prive, di istituire servizi
di controllo interno o nuclei di valutazione con il “compito di verificare,
mediante valutazioni comparative di costi e dei rendimenti, la realizzazione
degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche,
l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa”.
L’aspetto positivo di questa normativa era che individuava, in modo
corretto, la missione del controllo interno: assicurare il miglioramento
continuo dell’attività di gestione, attraverso l’individuazione di punti critici,
l’analisi delle relative cause e la proposta di misure correttive.
Il maggior pregio dell’art. 20 era quello di configurare il controllo interno
come un controllo strategico, svolto da uffici caratterizzati dal fatto di essere,
ad un tempo subordinati ed autonomi.
La normativa è stata rivista con il d.lgs 286/1999 (emanato in base
all’art. 17 della L. n. 59/1997). L’aspetto più innovativo del decreto legislativo
ha riguardato la previsione di quattro categorie di controlli interni:
- il controllo interno di regolarità amministrativa e contabile (art.2): viene
svolto dagli organi appositamente previsti dalle disposizioni vigenti nei diversi
comparti della pubblica amministrazione, e, in particolare dalla Ragioneria
35
Conte Carlo - Il bilancio come strumento per il controllo di gestione - Politica e
Mezzogiorno, luglio-dicembre 1997
71
generale dello Stato, mediante lo strumento del visto, solo per le verifiche di
regolarità contabile; i servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale
dello Stato e gli organi di revisione;
- la valutazione del personale con incarico dirigenziale (art.5): prevista
solo per i dirigenti e deve svolgersi in coerenza con le norme dei contratti
collettivi di lavoro. Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche del
controllo di gestione, valutano le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i
comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e
organizzative ad essi assegnate. La procedura di valutazione è il
presupposto per l’applicazione delle norme sulla responsabilità dirigenziale,
di cui all’art. 21 del d.lgv. 29/93). In particolare le misure si applicano allorché
i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione o il mancato
raggiungimento degli obiettivi emergono dalle ordinarie ed annuali procedure
di valutazione;
- la valutazione ed il controllo strategico (art. 6): verifica l’attuazione
degli obiettivi contenuti nelle direttive per l’azione amministrativa e la
gestione e negli altri atti di indirizzo politico-amministrativo. Il controllo
strategico consiste nell’analisi, preventiva e successiva, della congruenza o
degli eventuali scostamenti tra le missioni dell’Amministrazione (prevista
dalla legge) gli obiettivi (stabiliti dall’organo di direzione politica e
amministrativa), le scelte operative (fatte dal dirigente) e la ripartizione delle
risorse umane, materiali e finanziarie. Anche la struttura di controllo
strategico è costituita e riceve direttive dall’organo di vertice, al quale
risponde e riferisce. Opera però, in posizione di autonomia operativa,
nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione. L’esito del controllo strategico
consiste nella predisposizione di relazioni per segnalare all’organo di
direzione politica o amministrativa le incongruenze, oppure, fattori ostativi al
raggiungimento degli obiettivi, le connesse responsabilità e i possibili rimedi.
Il controllo supporta quindi l’attività di programmazione strategica e di
indirizzo politico-amministrativo. In quanto fiduciari dell’organo di direzione,
72
gli uffici di controllo strategico non possono dare direttive alle strutture di
controllo di gestione, che dipendono dal dirigente.36;
- il controllo di gestione (art. 4): verifica l’efficacia, l’efficienza e
l’economicità dell’azione amministrativa, al fine di ottimizzare il rapporto
(costi/risultati).
La struttura di controllo di gestione è costituita e riceve direttive dal
dirigente al quale risponde e riferisce. Opera, quindi, all’interno delle direzioni
generali.
Il
controllo
di
gestione
si
fonda
sul
principio
autonomia/responsabilità del dirigente. L’organo di direzione politicoamministrativa non può interferire nell’attività di gestione, può solo verificare
se gli obiettivi da lui posti siano stati raggiunti dal dirigente e se le risorse
siano state utilizzate in modo ottimale.
L’esito del controllo consiste nella predisposizione di relazioni per
segnalare al dirigente la criticità dell’unità organizzativa e le conseguenti
proposte di correzione.
Il controllo di gestione di tipo economico (ma non solo), configura un
modello tipico delle aziende private di produzione che, attraverso la verifica
dell’azione in corso, ovvero dei risultati conseguiti, consente di indirizzare
l’attività gestionale in modo economico ed efficiente.
L’evoluzione che si è avuta negli ultimi tempi del budget consiste nel
fatto che permette non solo di prevedere e finalizzare il futuro, ma
soprattutto, di controllare l’andamento della realtà aziendale nel suo evolversi
ed in ogni suo componente. Rende cioè possibile l’uso tempestivo di quelle
azioni correttive necessarie per eliminare storture e far rientrare nuovamente
ogni elemento nel prefissato programma aziendale.
La locuzione controlli gestori si riferisce ad una pluralità di moduli
organizzatori che in comune hanno soltanto l'oggetto del controllo: “la
gestione”. Il controllo di gestione è pertanto un controllo interno che si
caratterizza per il fatto di essere partecipe del procedimento volto al
conseguimento degli obiettivi prefissati, che è finalizzato a fornire utili
36
Cogliardo G. – controllo di gestione e controllo strategico: analogie e differenze, Rivista
della Corte dei conti gen/feb 2000.
73
elementi di conoscenza dell’andamento gestionale per favorire i tempestivi
aggiustamenti da parte dei titolari del potere decisionale. E’ un controllo che
strutturalmente e funzionalmente si colloca in posizione di osservatorio
qualificato per trasmettere le informazioni necessarie al fine di ottimizzare
l’attività.
E’ un controllo che fotografa l’andamento dei fenomeni gestori ma che
non si traduce in giudizio, ne si sovrappone o condiziona le scelte di chi è
investito di un potere direzionale.
Si sviluppa attraverso l’analisi ed il monitoraggio di ogni singola fase
dell’attività amministrativa e gestionale, favorendo il miglioramento dei
risultati ed assolvendo così ad una funzione analoga a quella che in campo
aziendale è svolta da chi si occupa di qualità del prodotto.
E’ pertanto indispensabile ai fini della verifica dei criteri di efficacia,
efficienza ed economicità.
Deve
comunque
rilevarsi
che
l’attività
svolta
dalla
Pubblica
Amministrazione di rado è misurabile nello stesso modo di quella praticata
dai privati considerate le diverse finalità e condizioni operative.37
I controlli esterni, nella conformazione generale estesa a tutte le
amministrazioni pubbliche posta dall’art. 3 della legge n. 20/94, sono da
collocare all’interno del circuito istituzionale fra Parlamento e Governo e, più
in generale, fra assemblee elettive ed organi di governo.38
Hanno ad oggetto la misurazione e valutazione dei risultati delle
politiche per vaste aree oppure il confronto fra le prestazioni di diversi
organismi comparabili o riconducibili a standard comuni; intervengono, di
regola, quando il processo gestionale relativo al periodo considerato è
concluso ed hanno come fine la attivazione di meccanismi migliorativi delle
decisioni future “dentro” il rapporto fra assemblee elettive, organi di governo,
burocrazie.
37
Piazza Angelo - Ministro per la funzione pubblica - Lo Stato dell’Amministrazione
pubblica a vent’anni dal rapporto Giannini Roma, 16 novembre 1999.
38
Manin Carabba - La valutazione dei risultati delle politiche pubbliche soggetti, strumenti
e prospettive – Banca d’Italia I controlli delle gestioni pubbliche – Atti del Convegno
Perugia, 2-3 dicembre 1999.
74
Per governare la finanza pubblica e, quindi, assumere le necessarie
decisioni in termini di allocazione delle risorse per il perseguimento degli
interessi pubblici e per l’erogazione dei servizi occorre disporre di un
patrimonio ricco di informazioni che soltanto uno svolgimento corretto ed
adeguato dei controlli sui fenomeni gestori può fornire.
75
4.3 Il controllo di gestione.
Il progressivo affermarsi in Italia del “Welfare State”, l’espandersi
dell’azione pubblica in economia e correlativamente il consistente lievitare
della spesa pubblica, si è reso necessario sottoporre a più rigorose forme di
controllo nel momento in cui il debito pubblico è venuto ad assumere
dimensioni allarmanti; e tutto ciò proprio quando la partecipazione del nostro
Paese all’Unione europea e l’introduzione della moneta unica avrebbero
richiesto il massimo di rigore nella gestione delle pubbliche risorse.
E’ in tale contesto che è maturato il ripensamento del sistema dei
controlli, perché ci si è resi conto che un controllo di legittimità, per quanto
esteso, non era da solo sufficiente a ricondurre nei giusti argini la spesa
pubblica, dilatata dall’espandersi dei fini e delle funzioni dello Stato, ma che
occorreva un diverso tipo di controllo che, per assicurare ai cittadini servizi
non solo qualitativamente e quantitativamente migliori ma anche a condizioni
più
vantaggiose,
verificasse,
insieme
alla
legittimità
di
taluni
atti,
tassativamente indicati, anche la legalità, l’efficienza e l’economicità
dell’azione amministrativa nonché l’efficacia dei risultati.39
Il controllo di gestione ha fatto il suo ingresso in modo esplicito
nell’ordinamento del nostro Paese attraverso la contabilità degli enti locali
(d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, emanato in attuazione della legge delega
421/92) dove se ne fornisce una definizione abbastanza corrispondente a
quella del collaudato auditing anglosassone: controllo di gestione è “la
procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati
e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e
la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione
dell’ente, l’efficacia, l’efficienza ed il livello di economicità nell’attività di
realizzazione dei predetti obiettivi”.
Il
progressivo
amministrativa
39
ha
trasformarsi
segnato,
dei
dunque,
modelli
un
della
significativo
organizzazione
mutamento
Balsamo F. – Il decentramento della funzione di controllo, Riv. Amministrazione e
contabilità dello Stato e degli Enti pubblici gen/feb 2000.
di
76
concezione volto a considerare più attentamente la funzione amministrativa
maggiormente ispirata all’efficienza, anziché alla sola legalità. Esso ha
aperto sempre più la strada, anche nel nostro Paese, al convincimento che le
moderne esigenze di salvaguardia della finanza pubblica non avrebbero
richiesto più solo che un intervento di spesa fosse conforme ai canoni della
legge, ma che tenesse nella dovuta considerazione anche l’effettivo
vantaggio ed il costo in rapporto alle risorse impiegate. A tal fine approntando
strumenti che riguardassero la verifica dell’efficacia, cioè del riscontro finale,
globale, circa l’aderenza dei risultati della gestione agli obiettivi fissati dalle
leggi o dai programmi, ovvero dell’efficienza propriamente intesa quale
riscontro dell’economicità, costi-benefici e simili, di gestione.40
Il concreto tentativo di introdurre nel nostro ordinamento controlli tesi a
verificare
il
comportamento
dei
responsabili
dell’azione
e
gestione
amministrativa, perché l’azione stessa venga continuamente stimolata ed
indirizzata verso risultati di efficienza e produttività, è prova eloquente del
cambio di rotta nell’analisi dell’attività, in particolare di spesa , della Pubblica
Amministrazione: non più solo dati significativi del rispetto della legalità a
tutela dei limiti dell’intervento finanziario, bensì anche di dati che consentano
la valutazione dell’attività svolta ed in corso di svolgimento, ai fini di una più
adeguata e razionale distribuzione delle risorse.
Giova dire, però, che indipendentemente dalle riforme che avrebbero
interessata l’Amministrazione nei primi anni 90, il problema dei controlli e la
sua rilevanza ai fini del completamento della riforma della Contabilità
pubblica era già chiaro e tenuto ben presente fin dall’origine del dibattito sulla
riforma della struttura del bilancio ritenendosi “indispensabile che i controlli
siano attuati in modo tale da garantire e verificare la validità della
gestione…per verificare la rispondenza economica della spesa”.41
Per poter introdurre controlli di gestione nel nostro ordinamento si
sarebbe dovuto incidere in profondità in Istituti secolari derivati da
40
Rapporto sullo stato della Pubblica Amministrazione c.d. Commissione Giannini, Atti,
Roma, 1981
41
Ministero del Tesoro, Commissione per la Riforma del bilancio dello Stato, anni 1988-91
77
stratificazioni storiche e divenuti, pertanto, fortemente consolidati: si pensi al
sistema di controllo delle ragionerie, unitamente a quello dei controlli esterni
esercitato dalla Corte dei conti, legati entrambi agli schemi convenzionali del
controllo cartolare di legittimità degli atti.
Bisogna precisare che con la locuzione “controllo di gestione” ci si
intende riferire ad una pluralità di moduli organizzatori che in comune hanno
solo l’oggetto del controllo – la gestione – rimanendo diversi i titolari della
funzione, le finalità, i destinatari.
I controlli tradizionali riguardano atti presi singolarmente; Il controllo
gestorio ha per oggetto l’attività considerata nel suo insieme e nei suoi effetti.
Si risolve nel confronto tra la situazione effettivamente realizzata e quella
posta ad obiettivo in modo da verificare in uno con i risultati raggiunti, costi,
tempi e modi dell’azione amministrativa. Nei controlli tradizionali il parametro
è la legge; nei controlli gestori non solo la legge, venendo ad essere ricercata
non più la corrispondenza atto-regola, ma corrispondenza attività-finalità.
Il
controllo
di gestione viene usualmente definito controllo “di
operatività” per significare chiaramente che esso si esercita e durante lo
svolgimento dell’azione accompagnando l’atto o l’attività nel suo cammino,
nel qual caso si parla di “valutazione operativa di efficienza”, e ad azione
conclusa per una valutazione globale dei mezzi, modi e risultati della
gestione.
Al riguardo è bene distinguere, nell’ambito dei controlli di gestione, un
controllo di gestione strictu sensu da un controllo più propriamente
denominato sulla gestione.
Il controllo “di” gestione è solitamente un controllo “interno” in funzione
servente del management che mira ad incidere tempestivamente sulle
gestioni in corso; mentre quello “sulla” gestione è un controllo esterno
successivocce tende ad influire sulle gestioni future.
Il
primo
è
finalizzato
a
fornire
utili
elementi
di
conoscenza
dell’andamento gestionale per favorire i tempestivi aggiustamenti da parte
dei titolari del potere amministrativo al fine di ottimizzare l’attività dell’ente,
78
senza peraltro sovrapporsi o condizionare le scelte degli organi dirigenti di
quest’ultimo cui spetta il potere direzionale.
Il secondo, a differenza del primo, si conclude con una valutazione
sull’operato dell’Amministrazione e sui suoi risultati ed è funzionale, quindi,
non all’attività di direzione amministrativa, bensì all’avvio di un circolo vizioso
di rivisitazione all’indietro di regole e comportamenti dell’Amministrazione
stessa.
Per il controllo di gestione il processo di misurazione e valutazione si
inserisce all’interno dell’Amministrazione; per il controllo sulla gestione il
processo si situa all’esterno.di conseguenza il primo non può che competere
che all’Amministrazione stessa, mentre il secondo va imputato ad un
soggetto estraneo all’Amministrazione controllata, in posizione di assoluta
indipendenza.
Pertanto controllo interno “di” gestione e controllo esterno “sulla”
gestione si completano a vicenda. Il controllore interno tende ad evitare che
la Pubblica Amministrazione sbagli nel corso della gestione,e, quindi, fa si
che l’azione di questa venga tempestivamente corretta e riqualificata; quello
esterno reindirizza a monte in termini di funzionalità l’attività stessa degli
operatori pubblici. E lo fa generalmente anche utilizzando i risultati del primo
a significare il continuum, l’unicità di intenti del controllo di tipo gestorio in
qualsivoglia forma e tempi esercitato.
Il sistema dei controllo della Corte dei conti come riorganizzato dalla
legge 20/94 corrisponde nelle sue grandi linee ai principi del controllo esterno
sulla gestione dell’Amministrazione.
La vera novità della legge n. 20 è l’introduzione del controllo sulla
gestione: la Corte dei conti “svolge, anche in corso di esercizio, il controllo
successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle Amministrazioni
pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza
comunitaria, verificando la legittimità e regolarità delle gestioni, nonché il
funzionamento dei controlli interni a ciascuna Amministrazione…, accerta,
anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività
79
amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente
costi, modi e tempi dell'azione amministrativa..."
Le
relazioni
della
Corte
“contengono
anche
valutazioni
sul
funzionamento dei controlli interni”. Ai quali “organi di controllo interno” la
Corte può richiedere qualsiasi atto o notizia utile ai fini del controllo sulla
gestione, giusto quanto si diceva circa l’indispensabile collegamento tra
attività di controllo della gestione svolta all’interno e quella eseguita
all’esterno dell’Amministrazione.
L’esigenza che si è andata affermando in connessione alla necessità di
assicurare la funzionalità degli apparati pubblici, è quella di un controllo il cui
compito è quello di individuare le cause delle disfunzioni e promuovere e
stimolare i correttivi del caso e non impedire, reprimere e sanzionare. Di
conseguenza la sanzione qui non esiste, intesa, in senso tradizionale. Il
controllo gestorio non si esaurisce nelle due fasi tradizionali del “giudizio” e
della “sanzione”. Di conseguenza la struttura del controllo di gestione è
riconducibile ad uno schema articolato in quattro fasi: 1) la individuazione dei
fenomeni gestori ed amministrativi da esaminare
e la definizione dei
parametri di riferimento e dei criteri per le misurazioni e valutazioni del
fenomeno stesso; 2) la prefigurazione ed il concreto svolgimento delle attività
istruttorie di accertamento diretto, ispettive, di acquisizione documentale; 3)
la formulazione conclusiva delle misurazioni e valutazioni del fenomeno
gestorio ed amministrativo indagato; 4) l’esito del controllo, nel suo impatto
con il circuito della decisione e della gestione 42
Come può notarsi la sequenza descritta include i due momenti
classici del giudizio e della sanzione, ma non li esaurisce, divenendo
essenziale il legame
funzionale fra le diverse fasi. In una parola, è
l’intero percorso che caratterizza una attività amministrativa come
controllo, piuttosto che il momento finale del raffronto tra giudizio ed
effetti sanzionatori.
42
Carabba M., La nuova disciplina dei controlli nella riforma amministrativa, in Riv. Trim.
dir.pubbl, 1994, 981.
80
4.4 La politica del bilancio
Le politiche di bilancio, impiegate per molto tempo in maniera restrittiva
per rispettare i parametri di Maastricht, sono ora condizionate anche dal
Patto di stabilità e di crescita e dal Patto di stabilità interno.
Come è noto il Trattato di Maastricht ha posto le basi per l’unificazione
monetaria europea ed ha individuato un livello “di guardia” oltre il quale
l’instabilità finanziaria potrebbe determinare una crisi strutturale per la quale
sarebbe poi9 difficile uscirne.
Per l’Italia il rapporto debito pubblico/PIL è stato per diversi decenni
superiore al 100%; nel secondo dopoguerra e fino alla metà degli anni ’70 è
risultato inferiore al 60%, a seguito del contenimento del debito prodotto
dall’inflazione.
Il Trattato di Maastricht, considerato che il debito pubblico può essere
sostenibile qualora il rapporto tra esso e PIL assuma un valore stazionario o
in diminuzione, ha formulato i seguenti criteri di finanza pubblica:
- Il rapporto tra disavanzo e PIL non può superare il 3%
- Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo non deve
superare il 60%.
Tali criteri sono stati resi più stringenti dal cosiddetto Patto di stabilità e
crescita, il cui scopo è stato quello di sollecitare un tendenziale equilibrio, con
conseguente azzeramento del disavanzo e solo nel caso di forti scostamenti
dal valore di riferimento del rapporto debito/PIL prevedere una politica più
incisiva tendente a raggiungere un saldo attivo di bilancio per
accelerare l’avvicinamento al criterio del 60%.43
Il Patto di stabilità e di crescita, approvato dal Consiglio europeo nel
giugno del 1997, ha previsto che gli Stati partecipanti all’UME debbano
perseguire un obiettivo di medio periodo rappresentato da un saldo di
bilancio prossimo al pareggio o in surplus, a meno che non ci si trovi in fasi
cicliche sfavorevoli, nel qual caso il rapporto indebitamento/PIL non deve
43
Arcelli Mario – Il rientro del debito pubblico, Economia italiana, 1998.
81
superare il 3%. Si può superare il 3% solo in caso di grave recessione; deve
essere inferiore in caso di lieve recessione ed in pareggio o surplus in caso
di espansione economica molto forte.
L’obiettivo del Patto è stato quello di assicurare la sostenibilità delle
politiche di bilancio e per tale via, la stabilità della moneta unica.
Il processo di ampliamento dell’autonomia finanziaria degli enti
territoriali ha reso sempre più complessa la gestione delle regole di
Maastricht per il controllo dei disavanzi. E’ rimasto sempre più complesso il
raggiungimento dell’equilibrio, tra il rispetto dell’autonomia costituzionalmente
garantita alle regioni e agli enti locali e il rigore dei vincoli stabiliti dal Patto di
stabilità e crescita.
La soluzione, nel breve periodo, è stata individuata nella costruzione di
un “Patto di stabilità interno” fondato sul principio di coordinamento della
finanza pubblica, posto dall’art. 119 della Costituzione, e finalizzato a dettare
le regole in virtù delle quali le autonomie regionali e locali concorrono alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede di Unione
Europea, impegnandosi a ridurre progressivamente il finanziamento in
disavanzo delle proprie spese e a ridurre il rapporto tra il proprio ammontare
di debito e il prodotto interno lordo.
Le modalità con cui il Patto di stabilità interno opera sono fissate
dall’art. 28 della legge collegata alla finanziaria 1999 (legge n. 448 del 1998)
e precisate dalle circolari del Ministero del Tesoro, che pone le regole per la
determinazione del saldo per ciascun ente, sia con riguardo all’esercizio in
corso, sia con riferimento alle previsioni 2000 e 2001 da assumere a base
dei bilanci e determina le modalità per la riduzione del rapporto debito/PIL.44
La predetta disposizione ha recepito gli obiettivi fissati dal DPEF 19992001 (introduzione e disciplina del Patto di stabilità interno) finalizzati a
tradurre gli impegni assunti dal Paese a livello europeo sui saldi di bilancio
del sistema delle Amministrazioni pubbliche. Sono stati individuati due diversi
provvedimenti indirizzati rispettivamente:
44
Piazza A.- Lo stato dell’amministrazione pubblica a vent’anni dal rapporto Giannini,
Roma, 16.11.1999.
82
- alla riduzione del disavanzo finanziario (obiettivo vincolante)
- alla riduzione del debito degli Enti locali (obiettivo facoltativo).
La politica monetaria, con la costituzione della Banca Centrale Europea
(BCE), non è più utilizzabile quale strumento di governo dell’economia a
livello nazionale. Conseguentemente il principale strumento di intervento
nell’economia per combattere le recessioni a disposizione del Governo, è il
bilancio dello Stato.
La crescita e la stabilità del sistema dovranno essere ottenute
facendo emergere nuova base imponibile, contrastando l’evasione e
riducendo la pressione fiscale.
Dal lato delle spese, l’unica possibilità per raggiungere e mantenere
l’equilibrio del bilancio resta quella di migliorarne la qualità, indirizzando la
spesa verso quei settori che contribuiscono ad aumentare la crescita
economica del paese. 45
Il
recupero
dell’efficienza,
la
razionalizzazione
dell’apparato
amministrativo e la conseguente eliminazione degli sprechi nel settore
pubblico costituiscono elementi decisivi per un duraturo risanamento della
finanza pubblica e di riduzione della spesa.
La razionalizzazione della Pubblica Amministrazione, potrà portare a
recuperi di efficienza, comprimendo la spesa corrente e liberando di
conseguenza risorse finanziarie per il rilancio di investimenti produttivi
creando in tal modo un circolo virtuoso che, partendo dagli investimenti
produttivi, porterà a nuova occupazione, maggiore crescita del PIL e
riduzione, nel medio-lungo termine del debito pubblico.
I progressi che sono stati compiuti negli ultimi anni per ridimensionare i
disavanzi di bilancio hanno consentito, dapprima, di rallentare e quindi di
arrestare la fase di crescita del peso del debito pubblico, con riflessi positivi
sull’andamento dell’inflazione e dei tassi di interesse.
La riforma del bilancio dello Stato, attuata da ultimo con la legge 94/97,
ha posto le basi per un maggior controllo della spesa e del disavanzo
45
Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Monorchio Andrea, atti del
convegno di finanza pubblica dei paesi del G7, Roma, 6-8 aprile 1998.
83
pubblico privilegiando, da un lato, il momento della programmazione,
individuando le risorse disponibili da affidare ai centri di responsabilità e alle
unità previsionali di base per il raggiungimento degli obiettivi ad essi
assegnati.
Con il nuovo modello di bilancio si è voluto migliorare lo strumento
decisionale necessario per intraprendere manovre di politica economica, più
mirate ed efficaci, coniugandone l’azione realizzativa degli obiettivi con il
modello organizzativo e quindi esaltando le responsabilità gestionali dei
dirigenti.
In questo nuovo modello di bilancio sono state attribuite ad ogni centro
di responsabilità le risorse finanziarie necessarie per il suo funzionamento e
per il raggiungimento dei relativi obiettivi precedentemente individuati ed
assegnati dall’autorità politica.
Il d.lgs. 279/1997 ha completato la riforma del bilancio dello Stato
introducendo un sistema di contabilità economica fondata su rilevazioni
analitiche per centri di costo, cioè di una tecnica indispensabile per la
rilevazione, la destinazione, l’analisi ed il controllo dei costi e dei ricavi
inerenti la gestione.
Questo
nuovo
impianto
contabile
è
stato
introdotto
nelle
amministrazioni pubbliche proprio per superare i limiti della sola rilevazione
finanziaria dei fatti di gestione ed è, pertanto, in grado di monitorare i costi, i
risultati ed i rendimenti delle singole amministrazioni, ciò consente di
verificare periodicamente l’effettivo andamento della gestione e in definitiva
di favorire il controllo di gestione.
Ne deriva un supporto conoscitivo completo per decisioni e scelte più
oggettive e razionali.
Il sistema contabile di tipo economico, infatti, risponde meglio alle
diverse esigenze di analisi e di valutazione della gestione, in quanto
consente
la
misurazione
delle
attività
svolte
dai
diversi
livelli
dell’organizzazione e l’attribuzione dei costi a funzioni ed obiettivi
dell’Amministrazione nel suo complesso.
84
Per questa via si è aperta la strada per una progressiva eliminazione
degli sprechi nel settore pubblico, riducendo la spesa pubblica, e,
soprattutto, indirizzando le risorse finanziarie verso investimenti sempre
più produttivi.
85
conclusioni
I progressi compiuti negli ultimi anni per ridimensionare i disavanzi di
bilancio hanno consentito dapprima di rallentare, e quindi, di arrestare la fase
di
crescita
del
peso
del
debito pubblico, con riflessi positivi sia
sull’andamento dell’inflazione che dei tassi di interesse.
Un contributo nell’acquisizione di un più stretto controllo dell’evoluzione
della spesa e dei disavanzi pubblici può provenire dall’ultima riforma del
bilancio. Questa privilegia, da un lato, il momento della programmazione, con
la precisa individuazione delle risorse finanziarie disponibili da affidare ai
centri di responsabilità e alle “unità previsionali di base” e, dall’altro,
consegue l’obiettivo della misurazione, durante la gestione ex post, dei
risultati conseguiti.
Con il nuovo modello di bilancio si è voluto in tal modo migliorare lo
strumento decisionale necessario per intraprendere nuove manovre di
politica economica più mirate ed efficaci, coniugandone l’azione realizzativa
degli obiettivi con il modello organizzativo e, quindi, esaltando le
responsabilità gestionali dei dirigenti.
Il passo in avanti compiuto dalla riforma del bilancio dello Stato consiste
nella circostanza che vengono espressi, in termini di contabilità analitica, la
rilevazione, la destinazione, l’analisi ed il controllo dei costi e dei ricavi
inerenti la gestione.
Occorre poi, tenere presente che nel nuovo contesto dell’UEM la
politica monetaria, non è più utilizzabile quale strumento di governo
dell’economia a livello nazionale. Conseguentemente, il principale strumento
di intervento nell’economia per combattere le recessioni che ha il Governo, è
il bilancio dello Stato.
La crescita e la stabilità del sistema dovranno essere ottenute facendo
emergere nuova base imponibile, contrastando l’evasione e riducendo la
pressione fiscale.
86
Dal lato delle spese, l’unica possibilità per raggiungere e mantenere
l’equilibrio del bilancio resterà quella di migliorarne la qualità, indirizzando la
spesa verso quei settori che contribuiranno ad aumentare la crescita
economica del paese.
Il
recupero
dell’efficienza,
la
razionalizzazione
dell’apparato
amministrativo e la conseguente eliminazione degli sprechi nel settore
pubblico costituiranno elementi decisivi per un duraturo risanamento della
finanza pubblica e di riduzione della spesa.
La razionalizzazione della Pubblica Amministrazione potrà portare a
recuperi di efficienza, comprimendo la spesa corrente e liberando, di
conseguenza, risorse finanziarie per il rilancio di investimenti produttivi.
Si avrà così la possibilità di creare un circolo virtuoso che, partendo
dagli investimenti produttivi, porterà a nuova occupazione, maggiore crescita
del PIL e riduzione, nel medio-lungo termine, del debito pubblico. Il nuovo
impianto contabile, introdotto con l’ultima riforma, permetterà di superare i
limiti della sola rilevazione finanziaria dei fatti di gestione, sarà, pertanto, in
grado di monitorare i costi, i risultati ed i rendimenti delle singole
amministrazioni. Ciò consentirà, tra l’altro, di verificare periodicamente
l’effettivo andamento della gestione e in ultimo, di favorirne il controllo con
riflessi positivi sulla riduzione della spesa corrente. Ne deriverà un supporto
conoscitivo completo per decisioni e scelte più oggettive e razionali. E’ noto,
infatti, che solo un sistema contabile di tipo economico risponde meglio alle
diverse esigenze di analisi e di valutazione della gestione, consente la
misurazione delle attività svolte dai diversi livelli dell’organizzazione e
l’attribuzione dei costi a funzioni ed obiettivi dell’Amministrazione nel suo
complesso.
87
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Scarica

la riforma del bilancio dello stato ed il governo dell`economia