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A cura dell’Ufficio Stampa
FIDAS Nazionale
Venerdì 15 gennaio 2016
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Rassegna Sangue e emoderivati
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Rassegna sanitaria, medico-scientifica e Terzo settore
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Rassegna
sangue e emoderivati
CORRIERE.IT
Trasfusioni di sangue infetto, lo Stato italiano
dovrà pagare dieci milioni
Sentenza della Corte europea dei diritti umani per il risarcimento di 371 persone che hanno
contratto Aids o epatite ricevendo sangue malato dagli anni ‘70 agli anni ‘90
di Laura Cuppini ([email protected])
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Più di dieci milioni di euro: a tanto ammonta la cifra che, secondo una sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, lo Stato italiano dovrà pagare per risarcire 371 cittadini infettati da Aids o epatite (B o C) dopo aver ricevuto trasfusioni di
sangue o emoderivati infetti. La sentenza riguarda un gruppo di cittadini che si sono riuniti per presentare il ricorso a Strasburgo,
ma in totale gli italiani (viventi) infettati da trasfusioni di sangue malato tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 sono circa 120mila. La battaglia per avere un risarcimento è lunga ed estenuante. Ne sa qualcosa Angelo Magrini, presidente dell’Associazione politrasfusi
italiani, che nel 1991 - dopo la trasfusione di un emoderivato - ha contratto l’epatite C e oggi ha un tumore al fegato. «La nostra
lotta va avanti da trent’anni e la sentenza di oggi, pur importante perché dà dignità alle persone, non basta e non ci soddisfa del
tutto - denuncia Magrini -. Nel ricorso a Strasburgo avevamo chiesto un risarcimento di 630mila euro per le famiglie degli infettati deceduti e di 430mila euro per i viventi. La Corte ha riconosciuto risarcimenti molto inferiori, e solo per i viventi. E in questi 30
anni, 4.500 persone sono morte senza ricevere nemmeno un soldo».
L’«equa riparazione» di 100mila euro
«La Corte ha condannato l’Italia sostanzialmente per i tempi lunghi legati ai risarcimenti e ciò è giusto - aggiunge l’avvocato Dario Cutaia, dell’Associazione politrasfusi -. La sentenza definisce però adeguata la somma di 100mila euro prevista come forfettaria per ogni persona danneggiata e stabilita dalla legge 114 del
2014 voluta dal governo Renzi. In realtà - sottolinea - in questo modo non si tiene conto delle differenziazioni tra le diverse categorie di malati e tra coloro che sono ancora vivi e quelli che sono già deceduti». Dal
punto di vista legislativo, chiarisce Cutaia, «nel 2007, la legge 244 ha previsto un risarcimento in base al
danno per ogni malato, per un importo massimo di 5-600mila euro. I decreti attuativi per l’accesso al risarcimento, tuttavia, prevedevano paletti strettissimi che di fatto rendevano inattuabile la normativa. Per questo,
molti pazienti si sono rivolti alla Corte di Strasburgo». Nel 2014, però, ricorda l’avvocato, «il governo Renzi
stabiliva una “equa riparazione” pari a 100mila euro per ogni soggetto danneggiato, senza differenziazioni
tra i pazienti; “riparazione” che è stata giudicata adeguata dalla Corte». Dunque, conclude il legale, «c’è sicuramente un riconoscimento, ma non basta e non garantisce i cittadini danneggiati in ragione del danno subito».
Procedure lunghe e sentenze ignorate
Ad appellarsi alla Corte europea dei diritti umani, tra il 2012 e il 2013, sono stati più di 800 cittadini italiani nati tra il 1921 e il
1993, infettati in seguito a trasfusioni. Tutte persone che, tra il 1999 e il 2008, avevano già fatto causa al Ministero della Salute
chiedendo un risarcimento per i danni subiti. Accusano lo Stato italiano di aver violato i loro diritti introducendo nel 2012 criteri
che impediscono di fatto di accedere ai risarcimenti (secondo il Decreto attuativo del 2012 la transazione non si applica per le
trasfusioni avvenute prima del 1978 e il diritto cade in prescrizione se la richiesta non è stata fatta entro 5 anni dal riconoscimento del danno biologico). Inoltre, una parte dei ricorrenti sostiene che le procedure d’indennizzo sono durate troppo a lungo, in
media oltre i sette anni (in due casi si è arrivati a superare i 14 anni). Altri ricorrenti hanno lamentato il fatto che non è stata data
esecuzione a sentenze in loro favore. La Corte di Strasburgo ha accolto complessivamente 371 ricorsi. In sette casi i giudici hanno
stabilito risarcimenti per danni materiali che variano tra i 73mila e 350mila euro, avendo determinato che lo Stato italiano ha
violato il diritto a un equo processo e al rispetto alla proprietà privata. La Corte ha poi stabilito che, in altri 364 casi, lo Stato italiano ha violato il diritto alla vita dei ricorrenti a causa della durata dei procedimenti: per ciascuno di loro è stato quindi fissato un
risarcimento per danni morali che varia tra i 20 e i 35mila euro. Prima della sentenza odierna, in Italia, solo seimila contagiati
avevano ricevuto un risarcimento dallo Stato: in tutti i casi ciò è avvenuto in seguito a una sentenza della magistratura, e in alcuni
casi il denaro è arrivato quando il paziente era già morto.
L’indennizzo ai malati (ma non a tutti)
Non è la prima volta che la Corte di Strasburgo bacchetta l’Italia per lo scandalo del sangue infetto: nel 2013 i giudici europei avevano accolto il ricorso di 162 persone stabilendo che lo Stato doveva versare l’indennità integrativa speciale prevista dalla legge
210/1992 (rivalutazione annuale adeguata al costo della vita). Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin aveva quindi annunciato lo
stanziamento di 100 milioni di euro - poi inseriti nella legge di Stabilità - per gli indennizzi in favore dei cittadini infettati. Prima della sentenza del 2013 alcuni pazienti ricevevano già un indennizzo bimestrale, per effetto della stessa legge 210, in genere tra i 500
e i 700 euro al mese, a seconda della gravità dei danni subiti; dopo la decisione della Corte dei diritti umani la cifra mensile è stata
aumentata di 100 euro. Un adeguamento, spiegava Angelo Magrini, «che contribuisce al sostenimento delle spese per farmaci e
ticket a carico dei malati, spese che sono in costante aumento». Ma lo stesso Magrini sottolinea: «Solo 35mila malati, su 120mila,
ad oggi ricevono l’indennizzo. Agli altri 85mila non è stato riconosciuto il diritto ad avere questi soldi perché non hanno presentato
la domanda secondo i criteri stabiliti nel 2012».
Lo scandalo dei mancati controlli
In trent’anni (tra il 1970 e il 1990) circa 120mila persone si sono ammalate di Aids ed epatite B e C e 4.500,
secondo l’Associazione politrasfusi italiani, sono morte, a causa dei mancati controlli sul plasma e sui farmaci
emoderivati. Il sangue «malato» in circolazione tra gli anni Settanta e Novanta ha fatto molte vittime, contagiando soprattutto emofilici e talassemici che hanno bisogno costante di trasfusioni, ma anche pazienti trasfusi, per esempio, dopo un intervento chirurgico. L’accusa, per diverse case farmaceutiche, fu di aver immesso
sul mercato flaconi di sangue prelevati a soggetti a rischio - sebbene all’epoca non esistessero test specifici - e
non controllati dal Servizio sanitario nazionale, pagando tangenti a politici e medici: gli anni più “caldi” dello
scandalo sanitario sono stati gli stessi delle inchieste di Mani Pulite. Tra gli indagati ci fu l’allora direttore del
servizio farmaceutico del Ministero della Sanità, Duilio Poggiolini, accusato di omicidio colposo insieme ad
altre dieci persone.
14 gennaio 2016
ADNKRONOS
Sanità: Corte Edu, Italia risarcisca infettati da trasfusioni
sangue
14 gennaio 2016
Roma, 14 gen. (AdnKronos Salute) - La Corte europea dei diritti dell'uomo dà ragione ai pazienti
italiani contaminati da virus come l'Hiv e l'epatite tramite trasfusioni di sangue avvenute nel
corso di trattamenti medici. In una sentenza emessa oggi, i giudici di Strasburgo condannano lo
Stato italiano a risarcire i cittadini che si erano rivolti alla Corte Edu, nati fra il 1921 e il 1993.
I ricorrenti - riporta una nota della Corte - hanno diritto a un risarcimento dato che è stato provato il collegamento causa-effetto fra la trasfusione di sangue e la loro infezione, ma i ricorrenti
lamentano la lunghezza dei procedimenti per il risarcimento o le conciliazioni amichevoli e che
non è stato posto effettivo rimedio ai loro casi.
Sono circa 350 i cittadini infettati da trasfusioni che saranno risarciti "con una cifra totale molto
alta, che stiamo calcolando con precisione proprio in questo momento - precisa all'Adnkronos
Salute l'avvocato napoletano Michele Scolamiero, che con Sergio Guadagni segue da anni il caso - ma ciò che emerge è anche che per ognuno sono previsti 25.000 euro per risarcire il ritardo
nell'adempimento" dell'Italia. Oltre 8 milioni di euro solo per questo aspetto.
"E' una sentenza molto importante, storica direi - rileva Scolamiero - che crea uno spartiacque
rispetto a tutta una serie di sentenze e attività avvenute in passato in Italia. Dal 2007 portiamo
avanti questa causa e avevamo già raggiunto dei successi. Poi il governo Monti ha eliminato
ogni beneficio ottenuto. E' arrivata successivamente con il Governo Renzi la legge 114/2014, in
cui all'articolo 27 bis lo Stato italiano ha prodotto un 'rimedio legislativo' senza il quale sarebbe
stato sanzionato a pieno dalla Corte Edu". Se sotto questo aspetto dunque l'Italia si è 'salvata'
avendo emanato una normativa ad hoc, "per quanto riguarda il ritardo nell'adempimento, i
giudici di Strasburgo hanno invece sanzionato, in media di 25.000 euro per paziente".
Della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
sono stati invocati l'articolo 2 (diritto alla vita) sotto l'aspetto procedurale, l'articolo 6 comma 1
(diritto a un equo processo), l'articolo 13 (diritto a un risarcimento effettivo) e l'articolo 1 del
protocollo 1 (protezione della proprietà).
SALUTE DOMANI
SANGUE INFETTO: LE PRECISAZIONI DEL MINISTERO DELLA SALUTE
In relazione alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, pronunciata in data odierna sui ricorsi proposti da alcuni cittadini italiani, tutti
infettati da vari virus (HIV, epatite B e C) a seguito di trasfusioni di sangue praticate in trattamenti sanitari o operazioni chirurgiche, il Ministero
precisa quanto segue:
La Corte, pur avendo riconosciuto per tutti quei casi risalenti agli anni ’90
la violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo relativamente al diritto ad un equo processo ed ad
un ricorso effettivo, ha affermato che la procedura di cui all ’art. 27bis del decreto-legge n. 90/2014 - la cui introduzione è stata fortemente
voluta dal Ministro Lorenzin –, che riconosce ai soggetti danneggiati, a titolo di equa riparazione, una somma di denaro determinata nella misura di euro 100.000, costituisce un rimedio interno, del tutto compatibile
con le previsioni della Convenzione e in grado di assicurare un adeguato
ristoro ai soggetti danneggiati.
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