COMUNICATO STAMPA
Trento, 30 maggio 2008 Il paradigma di Benjamin Friedman: lo sviluppo genera equità
NELLA CRESCITA ECONOMICA ANCHE BENEFICI MORALI Usa e Italia hanno gli strumenti per progredire, ma occorre cambiare il modo di parlare e discutere delle politiche economiche Quando si parla di “conseguenze morali” dei processi di crescita economica, noi tutti pensiamo negativo, a cose quali l’inquinamento ambientale, le disuguaglianze tra classi sociali, il degrado etico, l’emergere di atteggiamenti di rifiuto e di intolleranza verso il diverso (gli immigrati, ad esempio), il rinchiudersi nell’individualismo. Una lettura che è figlia della nostra cultura, e che pure trova corrispondenza nei fenomeni che noi tutti possiamo osservare nelle società in cui viviamo. Una lettura, però, che Benjamin Friedman, professore di economia ad Harvard (Il valore etico della crescita. Sviluppo economico e progresso civile, Università Bocconi 2007, il suo ultimo libro) ribalta totalmente, proponendo un altro paradigma, che individua una correlazione diretta e positiva, anche se non lineare, tra crescita economica e progresso morale di una società. Attenzione: non c’entra il PIL, quanto piuttosto la percezione dei cittadini rispetto al proprio standard di benessere economico, attuale e in divenire, confrontato con quello del passato, dei propri genitori, o con quello di altre società. “La coscienza di vivere meglio che in passato – afferma Friedman – riduce l’urgenza di vivere meglio degli altri, di conseguenza molti dei comportamenti che derivano da questo desiderio competitivo sono sublimati rispetto ad altri obiettivi” Attirato sulla nuova frontiera teorica, il pubblico (per lo più composto da giovani) accorso a Palazzo Geremia per ascoltare Friedman, ha così appreso il nuovo credo. Dice infatti Friedman: “I Paesi tendono ad andare in una direzione moralmente positiva quando la maggior parte dei loro cittadini percepisce la possibilità di un proprio miglioramento nelle condizioni di vita, viceversa quando non avvertono tale opportunità si assiste ad un arroccamento su posizioni etiche antidemocratiche e moralmente condannabili”. Insomma, è più facile che i cittadini sviluppino, ad esempio, una maggiore tolleranza verso gli immigrati se si sentono sicuri della propria condizione economica. Non solo: “Quando la maggior parte dei cittadini beneficia di buoni standard materiali, la società di cui fanno parte si impegnerà maggiormente a creare nuove e più avanzate istituzioni democratiche”. Non si creda che tale paradigma possa valere solo per le società che già si considerano, o che sono considerate, “democratiche”. Il caso della Cina è, per Friedman, emblematico: “Se la Cina continuerà a muoversi nella direzione nella quale sta andando, è evidente che prima o poi si muoverà verso una qualche forma di liberalizzazione e democratizzazione delle proprie istituzioni e strutture sociali, anche se ciò non significa che la loro democrazia sarà simile alla nostra”. Il pensiero illuminista, evocato da Friedman, è sempre stato connotato da un fondamentale ottimismo nei confronti del progresso economico, ma l’economista di Harvard guarda all’oggi e ammette che, se è vero che non è importante quanto sia ricca una società quanto piuttosto se stia o meno progredendo, “la maggior parte dei paesi non sta progredendo”. Friedman parla degli Usa, ma anche dell’Italia. “Nel 1989 il reddito mediano di una famiglia italiana era, parametrato all’euro, di 22.500 euro, nel 2004 di 21.700 euro, mentre nel 2006 ha superato il valore del 1989 attestandosi a 22.700 euro, segnando un incremento in diciassette anni di 200 euro, pari all’1 per cento. “Il malessere della classe media italiana – assicura Friedman – è lo stesso della classe media americana”. Due società, quella americana e quella italiana, dunque, che non progrediscono. Con quali possibili conseguenze? “L’allontanamento dal modello di società positiva dell’Illuminismo, dalla tolleranza, dalla democrazia, dalle pari opportunità”. La dimostrazione più evidente, sia al di qua che al di là dell’Atlantico, è l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione. “Oggi l’immigrazione è diventato il problema di politica interna che crea i maggiori dissidi, ma sia la società americana che quella italiana hanno gli strumenti che possono consentire di promuovere la crescita economica mantenendo la moralità”. Ad una condizione, che può apparire sorprendente ma che, nella visione di Friedman, è perfettamente coerente con l’accento posto sulla “percezione” da parte degli individui relativamente al proprio status economico. La condizione è “cambiare il modo di parlare e dibattere di politiche economiche”. “Nel corso degli ultimi decenni – questa la conclusione dell’economista – abbiamo aumentato la nostra consapevolezza rispetto agli aspetti negativi legati all’economia, connotandoli moralmente, vedi il degrado ambientale ad esempio, di conseguenza il modo in cui nella sfera pubblica di parla di crescita economica dà per scontato che essa sia di per sé stessa negativa. E’ per questo che il dibattito finisce inevitabilmente per opporre vantaggi materiali e svantaggi morali. E’ un modo sbagliato di discutere, perché non si può affermare che i vantaggi della crescita siano solo di natura materiale, la crescita economica comporta anche dei chiari benefici morali”. 
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