Daniela Caputo Letteratura inglese TDL SAMUEL BECKETT: WAITING FOR GODOT Vita Samuel Beckett nacque in un tranquillo villaggio irlandese il 13 Aprile 1906. Era un ragazzo molto particolare dalla personalità malinconica, chiusa, riflessiva e anche un po’ enigmatica. Negli anni di studio a Dublino si rese conto della povertà e della sofferenza presenti nella grande città mentre, fino ad allora, la vita lo aveva tenuto lontano dalla miseria umana: mendicanti, paralitici, ex soldati mutilati della Prima guerra mondiale. A causa di questo dolore, sofferenza e morte, la sua fede religiosa cominciò a vacillare. Non riusciva a spiegarsi, infatti, come si potesse giustificare questa miseria come un contributo a qualcos’altro, una ricompensa da attendere nella vita dopo la morte. Fondamentali per lui furono gli anni come lettore d’inglese all’École Normale di Parigi. Qui, infatti, conobbe Joyce, di cui ammirava le eccezionali capacità linguistiche e con cui poteva condividere la sua enorme passione per Dante. Entrambi ammiravano le parole (i loro suoni, i ritmi, le forme, le etimologie) e possedevano una notevole ricchezza di vocabolario grazie alla conoscenza di lingue diverse. Joyce gli trasmise anche l’intolleranza verso la censura: essere d’accordo con la censura significava ammettere che le parti omesse non erano indispensabili e che quindi il libro non era per niente artistico. Tornato a Dublino, iniziò a lavorare come lettore di francese al Trinity College, ma l’insegnamento non lo soddisfaceva. Inoltre non amava stare in Irlanda perché la trovava troppo provinciale e ristretta di vedute. A causa della morte del padre, la sua salute peggiorò1, ma poiché non venne riscontrato nessun problema fisico, gli consigliarono di incominciare una psicoanalisi a Londra2. Seguendo un’analisi riduttiva, cercarono di scoprire i legami dinamici tra sintomi e cause nel passato attraverso la libera associazione e l’analisi dei sogni. Dalla terapia si evinse che le cause dei suoi problemi erano il rapporto conflittuale con la madre, il senso di superiorità e l’isolamento dagli altri. Questo lo portò ad essere meno chiuso e più interessato agli altri, a preoccuparsi in primo luogo per la famiglia e per gli amici, condividendone problemi e sofferenze. In passato aveva già avuto esperienza dei disturbi 1 Già da giovane aveva avuto le prime esperienze di insonnia: il cuore, durante la notte, iniziava a palpitare sempre più velocemente fino a svegliarlo e quando iniziarono terribili sudate notturne e crisi di panico decise di rivolgersi ad un medico. 2 Nel 1933 la psicoanalisi era illegale a Dublino. 1 psichici perché la figlia di Joyce, Lucia, soffriva di una malattia mentale. Di conseguenza, la scrittura inizia a mostrare l’influenza dell’analisi e delle letture che faceva al riguardo. Iniziando a viaggiare per l’Europa, ebbe la possibilità di entrare in contatto con il mondo dell’arte, in particolar modo della musica e della pittura3 e quando era a casa, andava sempre a trovare il suo amico pittore Jack Yeats. Nei suoi dipinti vi trovava un senso di isolamento e solitudine della natura e soprattutto dell’uomo, tagliato fuori dalla natura e dai suoi stessi simili. Ad esempio, Vladimir ed Estragon stanno insieme nell’attesa, ma sono fondamentalmente soli. Inoltre, si appassionò sempre più alle letture filosofiche di Schopenhauer, che riflettevano l’ossessione per l’isolamento dell’uomo dalla natura e dell’uomo dall’uomo, la riduzione del ruolo della volontà umana, la solitudine, la malattia e la morte. Assistendo ad una rappresentazione teatrale4 ebbe l’opportunità di sviluppare un proprio modo di utilizzare la poesia a teatro: dato che le parole rendono oscura l’azione e a loro volto sono oscurate da essa, una soluzione era quella di ridurre l’azione drammatica convenzionale sino a quasi la stasi e di creare una poesia del teatro. In Aspettando Godot il ritmo dei discorsi prende vita dal teatro di varietà e dal circo e i gesti e l’azione creano una propria coreografia intricata, quasi da balletto. L’attesa è una metafora poetica. Nel 1937, dopo l’ennesimo litigio con la madre e l’oppressione che provava a Dublino, decise di trasferirsi a Parigi, il che lo allontanò dalla censura irlandese, gli offrì la libertà dell’anonimato e lo obbligò a vivere alla giornata per i suoi problemi economici. Beckett trovava stimolante la vita artistica e musicale parigina e nella sua cerchia d’amici erano presenti, infatti, soprattutto pittori e incisori. Iniziò a scrivere poesie in francese perché questa lingua gli permetteva di sfuggire alla densa allusività, all’ampia erudizione e a quella eccessiva intimità delle sue poesie in inglese, che aveva acquisito grazie ai suoi approfonditi studi. Il suo intento era quello di essere il più chiaro e semplice possibile, liberandosi delle eccessive complessità formali ed espressive. Dopo l’invasione tedesca, durante la Seconda guerra mondiale, lui e la sua compagna, Suzanne, si videro costretti ad abbandonare la capitale. Dopo l’estate tornarono a Parigi, dove si procurò dei documenti, che testimoniavano la sua professione di scrittore e la nazionalità irlandese, e questo gli permise di ricevere i buoni per i viveri come ogni residente parigino. Le razioni limitate e i baratti di cibo, che ispirarono quelli di carote, ravanelli e rape tra Vladimir ed Estragon, divennero comuni tra lui e Suzanne. 3 Nei dipinti di Cézanne riscontrava la totale estraneità del paesaggio rispetto all’uomo, da cui l’uomo ne è separato e alienato, avvicinandosi molto al suo modo di pensare. Inoltre si interessò sempre più alla pittura olandese e fiamminga. 4 La tragedia “Gige e il suo anello” di Friedrich Hebbel. 2 Un suo amico, Alfred Péron, lo convinse ad unirsi al movimento della Resistenza. Il suo ruolo nella cellula antinazista consisteva nell’ordinare, condensare e tradurre, dal francese all’inglese, i rapporti informativi che riceveva. Dopo l’arresto di alcuni membri del gruppo, però, dovettero rifugiarsi nel piccolo villaggio di Roussillon d’Apt, caratteristico per i suoi terreni di colore tra il rosso e l’ocra. Questo villaggio ha ispirato il commento di Vladimir (“Ma laggiù tutto è rosso.”) a proposito di una regione dove, con Estragon, avrebbe vendemmiato. Alla fine della guerra, Beckett ottenne un lavoro in un ospedale in Normandia organizzato dalla Croce Rossa Irlandese. Il lavoro era molto duro ma sopportabile, grazie alla sua assoluta ostinazione e alla determinazione a non cedere. Questo tratto della sua personalità lo ritroviamo pure nei suoi personaggi, che non mollano e non perdono mai la loro dignità umana. Questa caratteristica, insieme all’umorismo, è una delle forze positive presenti nelle sue opere che consente di non considerarla interamente pessimistica. Parlando ormai quasi esclusivamente in francese, il passaggio dall’inglese al francese nello scrivere le sue opere sembra quasi naturale. L’inglese era sovraccarico di allusioni e di associazioni, mentre con il francese poteva scrivere con più semplicità e oggettività, senza l’influenza joyciana, concentrandosi sulla musicalità della lingua, i suoi suoni e i suoi ritmi. Vennero, quindi, creati racconti, romanzi e lavori teatrali interamente in francese. I romanzi5 rivelano come Beckett si sia calato nella sua psiche, come abbia manipolato la frammentazione che vi trovò e gli impulsi e i desideri solitamente repressi. Waiting for Godot Aspettando Godot fu scritto tra l’ottobre del 1948 e il gennaio del 1949. L’ambientazione è davvero semplice: il sipario si apre su una strada di campagna con un albero spoglio. Due uomini stanno aspettando un certo Godot, che sperano li salvi dalla loro condizione miserabile. Nel frattempo cercano di far passare il tempo. Altri due uomini arrivano e stanno per un po’ di tempo. Alla fine un messaggero gli farà sapere che sicuramente Godot arriverà l’indomani. La concezione visuale fu ispirata da un quadro di Caspar David Friedrich 6 in cui due figure guardano la luna piena incorniciata dai rami scuri di un grande albero senza foglie. Un tema rilevante è la preoccupazione sulla possibilità di salvezza, presente in tutta l’opera, che potrebbe essere stata ispirata da una frase di sant’Agostino: “Non disperare, uno dei due ladri venne salvato, non presumere, uno dei due ladri venne dannato”. Alcuni pezzi di dialogo potrebbero essere stati presi dalle conversazioni tra Beckett e Suzanne, per far passare il tempo quando cercavano rifugio dalla guerra, o anche tra lui e il suo amico mentre 5 6 La trilogia romanzesca in francese costituita da Molloy, Malone muore e L’innominabile. Uomo e donna che osservano la Luna del 1824 o, più probabilmente, Due uomini che osservono la Luna del 1819. 3 giocavano a scacchi. Sicuramente, più che a conversazioni quotidiane i dialoghi si rifanno agli scambi di battute, monologhi e canzoni del teatro di varietà e a fonti filosofiche (tra cui Cartesio, Kant, Schopenauer, Heidegger). Come mostra, però, la versione in inglese, il testo nasce dal retroterra irlandese. Contiene, infatti, vere e proprie frasi e strutture sintattiche irlandesi, la vita dei vagabondi e dei mendicanti è irlandese7. Inoltre, aspettare (il tema principale dell’opera, come suggerisce il titolo) che qualcuno arrivi o che accada qualcosa che possa cambiare gli eventi, è stato spesso un elemento chiave nella storia del dramma moderno. La noia e la fuga dalla noia preservano, così, una particolare tensione drammatica. Il grande successo che ne derivò deve essere attribuito all’essere riuscito a rivoluzionare il teatro con la messa in ridicolo del linguaggio, la commistione di registri alti e bassi (citazioni teologiche e turpiloqui), il mix dei generi (tragedia,commedia, teatro comico e di varietà), pause, silenzi e ritorni inconcludenti. Critica Moriconi8 critica l’affermazione di Sastre che “Aspettando Godot è una lucida testimonianza del nulla”, poiché, anche se è vero che Vladimir ed Estragon vivono di nulla, col nulla, nel nulla e per nulla, non può essere che anche Godot sia il nulla, dovrebbe esserne il contrario. Se fosse il nulla, il loro annullamento totale, la fine di ogni male terreno, perché esiterebbero ad ammazzarsi? Il fare arrivare Godot, a questo punto, dipenderebbe solo da loro. Se fosse la morte, allora Vladimir ed Estragon distinguono chiaramente una morte volontaria (l’impiccagione che rimandano sempre) da una naturale (desiderabile dato che loro aspettano con desiderio Godot). Se vanno via e mancano all’appuntamento, vengono puniti, quindi la morte volontaria è dannosa, da evitare. Se, invece, aspettano, attendono la morte naturale, vengono premiati. Evidentemente Godot non è il nulla dell’oltretomba, e neanche il nulla degli atei perché parlano come due credenti, da buoni cristiani, di pentimento e salvazione9 e fanno dei paragoni con Gesù. Piuttosto che il dramma dell’attesa, sarebbe più un’opera sulla speranza e sulla fede. Può anche essere che Vladimir ed Estragon non vedranno mai Godot, ma quel che è certo è che prima o poi verrà, si danno conforto a vicenda e si abbracciano. Lo stesso nome Godot è un diminutivo francese per la parola inglese God (Dio), come mostra Charles- Charlot10. 7 Riprende i temi del drammaturgo irlandese John Millington Synge. Moriconi B. (1990), Beckett e altro “assurdo”, Napoli, Guida. 9 I due ladroni crocifissi insieme al Signore vengono citati solo in due vangeli e solo uno degli evangelisti dice che uno di loro fu salvato. 10 Inoltre molti personaggi beckettiani indossano la bombetta di Charlot. 8 4 Ma se Estragon invoca Dio per chiedergli pietà, perché poi distinguono Dio da Godot? Forse è solo qualcosa che viene da Dio, magari il Cristo. La barba bianca, però, non viene mai attribuita a Gesù. Di certo aspettano qualcosa che muterà in bene la loro vita, potrebbe anche essere la comprensione del senso della vita da parte di due umili sofferenti. Non sono dei santi, ma almeno stanno lì ad aspettare e l’attesa frutta loro delle autoanalisi, conclusioni, ragionamenti e intuizioni che preparano alla venuta di Godot. Anzi, quando Pozzo e Lucky cadono, loro li aiutano a rialzarsi e della ricompensa che aveva promesso Pozzo non se ne parla più. Secondo Moriconi, quindi, Aspettando Godot è un dramma religioso che infonde speranza. Secondo Barnard11 nell’opera vengono trattati simultaneamente le due metà basiche della mente divisa, l’Inner-Self e lo Pseudo-Self, incarnati in una coppia la cui relazione è ambivalente, basata sul mutuo antagonismo e sulla mutua dipendenza, un’unione nella divisione. Sono uomini decrepiti, stanchi della complessità della vita, isolati dal mondo del senso comune e lasciati a raccontarsi storie. Vladimir ed Estragon sono due metà dello stesso uomo e, nonostante parlino spesso di separarsi, alla fine restano insieme perché sono indissolubilmente legati. Entrambi aspettano che arrivi la nebulosa figura di Godot, un uomo che non hanno mai visto e che in effetti non arriva. Lo aspettano perché è essenziale per loro, poiché gli rivelerà il senso della loro esistenza sulla terra in modo da giustificarla. Nel frattempo occupano il tempo con dialoghi inconcludenti e ambigui e futili azioni. Non c’è un vero sviluppo continuo e alla fine i due vagabondi sono quello che erano all’inizio. La frase d’apertura: Nothing to be done riassume l’intera situazione e la didascalia They do not move conferma l’inazione. Gli altri tre personaggi (Pozzo, Lucky e il ragazzo) appartengono alla fantasia piuttosto che alla realtà e le piccole azioni che portano avanti sono più simboliche che significative perché non lasciano nessun segno. Altre azioni, come scambiarsi i cappelli e il dibattersi contro la scarpa servirebbero solo ad attirare l’attenzione del pubblico. Estragon, l’ex poeta, è l’introverso Inner-Self. Spesso cerca di andare a dormire, sognare, e i suoi istinti suicidi sono neutralizzati dallo Pseudo-Self, più attaccato al corpo. Estragon è il più freddo della coppia, scontroso e a volte crudele. Propone di separarsi, ma si aggrappa al suo amico perchè ha bisogno della sua presenza, infatti, non possono stare a lungo lontani. Apparentemente si distaccano la notte (quando lo Pseudo-Self dorme) e durante il giorno (quando è occupato con il mondo esterno) ed entrano in contatto solo al crepuscolo. Si ritrovano dopo aver pensato di essersi persi, Vladimir è felice di aver ritrovato l’amico, ma Estragon è di malumore perché degli sconosciuti lo hanno picchiato. 11 Barbard, G. C. (1970), Samuel Beckett: a new approach, London, Dent, p. 89. 5 Vladimir è più sensibile e dipendente dall’amicizia. È anche più ottimista: è lui che propone cose da fare per passare il tempo, fornisce carote all’amico, si offre di portarlo se mai dovesse zoppicare, nota che l’albero ha delle foglie rispetto al giorno prima e ricorda continuamente all’amico che devono restare per aspettare Godot. Ha il senso del tempo, ricorda quando hanno lavorato insieme, sa che giorno della settimana è. Ha un vago senso della religione: propone di pentirsi ed è molto interessato al fatto che solo uno degli Evangelisti ricorda che uno dei ladri si salvò. Per Estragon, invece, le dottrine teologiche sono irrilevanti comparate con la crocifissione stessa, vede la sua stessa vita come una lunga crocifissione. Per quanto riguarda gli altri due personaggi, Lucky è caratterizzato da un generale stato di stupore, movimenti catatonici degli arti quando balla e dalla composizione schizofrenica del discorso, mentre Pozzo da un atteggiamento egocentrico e prepotente. L’incontro fra i due simboleggia l’inizio di una divisione schizofrenica in cui la parte immaginativa del sé è stata isolata e ridotta a un debole Inner-Self, mentre il resto dell’ego si è costruito uno Pseudo-Self occupato dalla prosperità materiale. Con il passare del tempo, lo Pseudo-Self si è fatto sempre più forte, dominante e insensibile, ma allo stesso tempo più insicuro di se stesso; al contrario l’Inner-Self è diventato più irreale e povero. Il monologo di Lucky è un ottimo esempio di oratoria schizofrenica, un torrente di frasi spezzate e ripetute, abbastanza fuori dal contesto, e la combinazione di due idee contraddittorie, che fanno un fiume di apparente comico nonsenso. Rivela, invece, una profonda questione teologica: come conciliare l’istintiva credenza di un potere divino trascendente e benevolo con l’innegabile esperienza del male e della miseria. Prima di andare via, Pozzo si rende conte di aver perso l’orologio: un evento simbolico che prefigura la sua imminente disintegrazione, perché il tempo è l’essenza del suo contatto con se stesso. Nel secondo atto, la sera successiva, l’unico cambiamento visibile è che ora l’albero ha alcune foglie e per terra c’è il cappello di Lucky. Anche Pozzo e Lucky sono cambiati notevolmente: uno ceco e l’altro muto, uniti con una corda più corta. Vladimir, sotto l’influenza del cappello di Lucky, inizia un discorso morale sul dovere di aiutare Pozzo a rialzarsi. Avendo perso l’orologio, il senso del tempo, egli ha perso pure la memoria, si è deteriorato nel fisico e nella mente. Per quanto riguarda l’interpretazione di Godot, Vladimir inizialmente pensa che sia una specie di autorevole assistente sociale che gli spiegherà la loro situazione e gli suggerirà cosa fare. Dopo aver appreso dal ragazzo che Godot ha la barba bianca, invece, lo accomuna al Dio di Lucky che, per ragioni sconosciute, soffre con quelli che si trovano nel tormento del fuoco e, quindi, pensa che se non si facessero trovare ad aspettarlo, lui li punirebbe. 6 Pozzo e Lucky, come pure Vladimir ed Estragon, sono due parti della stessa persona. In ogni caso rappresentano l’esempio della straordinaria ricchezza di significato che è nascosta nell’opera d’arte. Kenner12 analizzando il testo in francese, vede che il motivo per cui Vladimir ed Estragon non possono andar via è perché: “On attend Godot”. Questo “on” è il pronome impersonale francese che indicherebbe “si aspetta” e non “aspettiamo13”, quindi, coinvolge nell’attesa non solo i vagabondi ma anche gli spettatori. Anche Pozzo, con i suoi gesti e i suoi discorsi, e Lucky, con il suo monologo, sono in cerca degli applausi sia degli altri personaggi e che del pubblico. Ruby Cohn14 mette in analisi le risate presenti in tutta l’opera: otto in totale. Quattro appartengono a Pozzo, due a Vladimir e due a Estragon; Lucky non ride mai a dispetto del suo nome. Sette le troviamo nel primo atto e solo una nel secondo. Al contrario, la frase “We’re waiting for Godot” si ripete tre volte nel primo atto e dieci nel secondo, quindi, la mancanza di risate potrebbe essere spiegata dalla desolazione causata dall’attesa. Le risate di Pozzo sono tutte nel primo atto, quest’ultimo sembra aver perso, oltre l’orologio, la pipa, il vaporizzatore e la vista, persino la capacità di ridere. Gogo ride in entrambi gli atti dopo una battuta di Pozzo, mentre Didi ride solo all’inizio, ma subito deve soffocare la risata per il dolore provocato dalla prostata, ridere non è permesso, si può solo sorridere, ma non è la stessa cosa. Rosette Lamont15 parla di creature crepuscolari che suggeriscono l’irrevocabile dualità di mente e corpo, la quasi totale perdita di identità. I loro nomi suonano come i nomignoli dei bambini per God o Dieu (Dio in inglese e in francese). La struttura dell’opera è circolare, ma Vladimir ed Estragon possono rendersi conto che la stessa attesa di qualcosa o di qualcuno ha già significato in sé e rappresenta la tenace speranza dell’uomo. Come dice Vladimir loro rappresentano l’umanità. Lucky un tempo era capace di ballare, cantare e pensare, ma adesso il suo bagaglio intellettuale contiene solo sabbia. Il suo monologo inizia con il postulato dell’esistenza di un dio personale e finisce con l’immagine di una testa vuota, fossilizzata. L’uomo, lontano dal mondo divino prova dolore e si affievolisce, abbandonato a se stesso. Decidendo di calpestare il cappello di Lucky, Pozzo tirannicamente impedisce al suo schiavo di pensare: la restaurazione della pace e dell’ordine porta all’instaurazione dell’idiozia. Nel secondo atto li ritroviamo come un ceco e un muto, legati con una corda più corta per la maggior dipendenza del padrone al suo schiavo: l’unione è il risultato di una mostruosa, indivisibile massa di umanità. Gogo e Didi sono uniti da una relazione più calorosa, ma non sono legati. Non sono legati neanche a Godot, scelgono semplicemente di 12 Kenner H. (1973), Samuel Beckett: A Critical Study, Berkeley, University of California Press, p. 136. “We’re waiting for Godot” 14 Ibdm., p. 186. 15 Ibdm., p. 199. 13 7 aspettare insieme. A volte propongono di separarsi, ma dato che non c’è niente di certo, preferiscono la certezza di stare insieme. Il decidere di non fare niente è pur sempre un’azione. Conclusioni Il pensiero principale di Beckett sembra quello che nella vita non ci sia nessun significato, fatta eccezione per il dovere esistenziale di affrontare il fatto che le nostre vite sono prive di qualsiasi scopo, immerse in un universo completamente assurdo e indifferente. Per questo attacca con ironia le teorie scientifiche, che hanno la presunzione di spiegare la realtà e la storia in termini razionali, che vogliono dare una motivazione al dolore, alla sofferenza e alla morte. Mette in discussione tutte le certezze degli uomini e riesce a creare un senso di angoscia e di perdita negli spettatori. Non si può credere nella scienza, nella ragione, nel linguaggio e neanche in se stessi. Le parole per Beckett non servono a descrivere determinate situazioni oggettive, ma danno vita ad associazioni irrazionali di termini, collegati tra loro da legami incomprensibili dal punto di vista logico. Il linguaggio si rende autonomo e rende evidente il fondamento che è alla base delle sue opere: i personaggi non tendono né ad esprimersi, né a comunicare, non hanno bisogno del linguaggio perché non hanno nessuno scopo, non sono interessati a ciò che vanno dicendo, parlano solo per accertarsi di essere ancora vivi. L’originalità si trova nella concreta realtà del silenzio che deve essere riempito: i clownvagabondi devono parlare, scambiarsi il cappello, mangiare carote e fare scherzi per intrattenersi e intrattenere. La pausa ed il silenzio riducono il linguaggio ai minimi termini, essenziale e minimale, ma studiato con cura maniacale e con risultati di alta teatralità e di forte comunicazione. La sua poetica consiste nello svuotare le parole di significato per scoprire cosa c’è dietro la lingua concludendo che è inutile parlare, esprimersi. Il lavoro per la Resistenza, la fuga, l’attesa della fine della guerra, gli stivali stretti, le notti in umidi fossati, l’incertezza dei pasti, gli appuntamenti non mantenuti hanno inevitabilmente influenzato l’opera. Ma non possiamo considerare l’opera completamente pessimistica perché ci sono dei tratti, come l’umorismo e la tenacia, che suggeriscono una certa forza positiva. La frase d’apertura ci fa credere che ormai non ci sia più niente da fare e bisogna solo rassegnarsi, ma alla fine, quando Vladimir ed Estragon decidono di andar via eppure non si muovono, la speranza viene rinnovata. In definitiva Waiting for Godot è una tragicommedia che gira intorno al tema dell’attesa. La grandiosità sta nella sua astrattezza e nella sua totale apertura, ma questo non significa che si presta a qualsiasi interpretazione: l’attesa di Vladimir ed Estragon è l’attesa con la A maiuscola, la sintesi di tutte le attesi possibili. 8 In fin dei conti tutti aspettiamo il nostro Godot. Bibliografia Barbard, G. C. (1970), Samuel Beckett: a new approach, London, Dent. Beckett S. (1956), Aspettando Godot: A cura di Carlo Fruttero, Torino, Einaudi. Friedman, M. J. (1970), Samuel Beckett now, Chicago-London, University of Chicago Press. Knowlson J. (2001), Samuel Beckett: una vita, Torino, Einaudi Giulio. Moriconi G. (1990), Beckett e altro “assurdo”, Napoli, Guida. Kenner H. (1973), Samuel Beckett: A Critical Study, Berkeley, University of California Press. Beckett S. (1965), Waiting for Godot: a tragicomedy in two acts, London, Faber and Faber. Bertinetti P., a cura di (2004), Breve storia della letteratura inglese, Torino, Einaudi. 9