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Una rivoluzione abortita ?
Il convegno internazionale “Un giorno di scuola nel 2020” è stato concepito in un clima di
speranza e ottimismo per quel che riguarda la possibilità di aggiornare il sistema scolastico in
genere e la scuola in particolare, qualsiasi tipo di scuola, paritaria o meno, grazie all’avvento
e alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A un anno
di distanza dal convegno questo ottimismo è scemato e il titolo di questa relazione finale è
ispirato da quanto è successo dopo di allora.
Ancora pochi mesi fa si poteva supporre che le TIC avrebbero rappresentato uno scossone
salutare per ridare senso all’istituzione scolastica organizzata sotto forma di un servizio
scolastico pubblico. Tutti sono ormai al corrente che questo servizio disfunziona nei paesi
occidentali (ma anche altrove, se è per questo) e non consegue i risultati conclamati dalle
autorità politiche, a qualsiasi partito appartengono. I sistemi scolastici vanno per conto
proprio, non ubbidiscono agli ordini, sono restii ad accettare qualsiasi ingiunzione esterna.
Hanno una propria vita.
Un giudizio paradossale sulla validità dei sistemi scolastici
Il livello d’istruzione della popolazione è indubbiamente migliore di quanto non lo era un
secolo fa, ma nuovi problemi si pongono nonostante i progressi, che sono del resto tutti
relativi. Non c’ è mai stata un’età dell’oro nell’evoluzione delle politiche scolastiche , come
afferma Mike Baker (Baker, 2008)1. Le giovani generazioni odierne sono senz’altro nel loro
insieme più istruite dei loro genitori e dei loro nonni, ma questo fatto non basta a sdoganare i
sistemi scolastici che sono sempre colpevoli di grandi ingiustizie. La percentuale degli
studenti poveri che arrancano a scuola è suppergiù del 50% e la proporzione di giovani che
smettono di studiare, che abbandonano qualsiasi formazione, che non lavorano e che
nemmeno cercano un lavoro (i giovani NEET, secondo un acronimo in voga) è stazionaria o
cresce. Qualcosa non funziona veramente nei sistemi scolastici, ovunque si guarda, anche in
Finlandia o in Corea. Dopo una decina di anni passati a scuola, una percentuale di studenti
Baker, M. (2008). Was there ever a golden age? BBC News, 11 luglio 2008,
http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/education/7502340.stm
1
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che si aggira attorno al 30% non è in grado di capire quel che legge. Non si tratta nemmeno di
testi complicati e astrusi ma di testi in circolazione nella vita quotidiana, articoli di giornale,
ricette mediche,orari dei tram o dei toripedoni. Questa percentuale cresce con gli anni, perché
è comprovato che se non si legge si perde l’abitudine alla lettura,, si fa più fatica a leggere, si
legge malvolentieri e per finire non si riesce più a capire quel che si legge. Si tratta di un vero
e proprio circolo chiuso dal quale è pressoché impossibile uscire.
Disaffezione crescente verso l’istruzione scolastica
Studenti, genitori, insegnanti dei sistemi scolastici occidentali inoltre sono al corrente che a
partire dalla pre-adolescenza una proporzione elevata di studenti si annoia mortalmente a
scuola, non è più interessata ai programmi scolastici, tira a campare e appena può smette di
istruirsi a scuola. Il livello d’istruzione della popolazione è da un lato migliore che non nel
passato, ma non si può dormire sugli allori, occorre restare all’ascolto degli allievi e degli
studenti, stare a sentire quel che raccontano a proposito delle ore passate a scuola, ascoltare la
sofferenza degli insegnanti, capire il loro disorientamento quando si trovano di fronte classi
che non si comportano più come si comportavano i loro genitori quando andavano a scuola. I
sistemi scolastici traballano, non sanno più cosa inventare per trattenere gli studenti, per
interessarli, per formarli a discipline rigorose, per motivarli a studiare e a apprendere. Tirano a
campare e così nascondono le loro magagne. La congiura del silenzio tra gli addetti ai lavori e
i responsabili delle associazioni professionali fa il resto. Eppure tutti ne parlano; basta
interrogare qualche professore, discutere con gli insegnanti per rendersene conto.
Significative sono del resto le azioni e le indagini nazionali e internazionali impostate in
questi ultimi anni per trattenere i migliori docenti, per non lasciarli scappare oppure per
attirare verso l’insegnamento persone e studenti universitari qualificati. Per esempio il
progetto Talis2 dell’OCSE che è stato un bel buco nell’acqua perché all’indagine hanno
partecipato soltanto i sistemi scolastici meno rilevanti. Non ci sono gli Stati Uniti, il Canada,
il Regno Unito, la Svezia, la Finlandia, la Francia, la Svizzera, la Germania, il Giappone, i
Paesi Bassi, ma c’è l’Italia dove, eccezione tra i sistemi scolastici avanzati, esiste un esubero
di insegnanti perché in Italia la professione di insegnante, diventare professore o dirigente di
scuola, è soprattutto una garanzia contro la disoccupazione. Per molti studenti diventare
2
Si veda una presentazione in italiano al seguente indirizzo WEB:
http://www.oxydiane.net/ecrire/?exec=articles&id_article=327
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insegnante è sinonimo di un posto assicurato a vita, di un salario minimo e di una pensione.
Le famiglie spingono in questa direzione. Avere un insegnante in casa equivale ad avere un
salvacondotto. Come agli inizi del Novecento. Qui non è in ballo né la vocazione né la
missione ma l’accesso al predellino di funzionario statale. Con queste premesse è inutile farsi
illusioni: cambiare il sistema scolastico statale sarà un’impresa ardua, ovunque e soprattutto in
Italia. Il malcontento tra insegnanti, genitori e studenti è diffuso ma non basta per cambiare la
musica. Ci sono direttori d’orchestra potenti, influenti che lo impediscono. Le politiche
scolastiche dei paesi occidentali non sono riuscite a realizzare la scolarizzazione di massa a
livello di istruzione secondaria di secondo ciclo nonostante le somme ingurgitate dal sistema
scolastico.3
Speranze infrante
Quando si è impostato il convegno internazionale “Un giorno di scuola nel 2020” si credeva
ancora che la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione
potesse aprire nuovi orizzonti, uno spiraglio nel quale immettersi per generare sistemi
scolastici diversi da quelli di stampo ottocentesco, oberati da difetti colossali, ingeribili e
ingovernabili, come lo dimostra la valanga di riforme e di progetti di questi ultimi decenni. Si
pensi per esempio alle due grandi riforme americane, “No Child Left Behind” avviata dal
presidente Clinton e realizzata dall’amministrazione Busch, oppure “Top to the Race” del
L’indagine longitudinale condotta in Inghilterra nell’ambito del “National Child
Development Study” (http://www.esds.ac.uk/about/about.asp) ha analizzato cinquant’anni di
vita di 17. 000 persone nate in unastessa settimana del 1958 e fornisce prove documentate sui
progressi dell’istruzione nella popolazione. La tendenza osservata in Inghilterra è pure
presenete in tutti i paesi europeri, Italia compresa.Ovunque si oservano gli stessi risultati.
La pubblicazione inglese s’intitola “ Now We Are 50 “( “Adesso siamo cinquantenni”)
(www.cls.ioe.ac.uk/news.asp?section=000100010003&item=449) e
fornisce un’analisi senza precedenti degli effetti a lungo termine prodotti dall’educazione
prescolastica. In questi cinquant’anni il mondo è cambiato enormemente. Quando i
cinquantenni del 2008 sono nati il miracolo economico non era ancora avvenuto. Le
automobili e gli elettrodomestici erano merce rara. Il telefono era un lusso. I temi centrali
delle politiche scolastiche erano l’uguaglianza delle opportunità e l’ampliamento dell’accesso
all’istruzione secondaria. La maggioranza degli allievi non proseguiva nelle scuole
secondarie. Quando la generazione del 58 cominciò ad andare a scuola, le classi avevano una
media di 37 allievi. A 33 anni, solo il 14% degli uomini e l’11% delle donne aveva ottenuto
un diploma. Due terzi dei nati nel 1958 ha smesso di formarsi ed istruirsi subito dopo la
scuola dell’obbligo ossia a 16 anni. A 33 anni, il 15% non era in possesso di nessuna qualifica
e il 10% aveva solo la licenza elementare.
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presidente Obama. A dire il vero pochi erano coloro che puntavano sulle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione per escogitare un sistema scolastico diverso, nuovo
di zecca. Tra questi dobbiamo senz’altro citare Sugata Mitra la cui relazione al convegno4 è
stata dirompente. Sugata Mitra è uno dei pochi che ragiona su una teoria della scuola e
dell’apprendimento diversa da quella stereotipata in vigore ovunque, con insegnanti
selezionati per occuparsi di una classe, per un anno intero, come succede ancora in molti
sistemi scolastici o per un certo numero di ore come capita nell’insegnamento secondario di
primo e secondo ciclo in Italia. Per Mitra, la pista da seguire è quella dell’auto-organizzazione
dell’apprendimento. Il fenomeno dell’auto-organizzazione è centrale ed è reso per l’appunto
possibile dalle potenzialità insite nelle nuove tecnologie. L’apprendimento non è più pilotato
da un professore fisicamente presente davanti agli allievi ma si sviluppa in gruppo , secondo
leggi che per ora ci sfuggono. Mitra osserva e registra quanto succede quando bambini e
adolescenti possono accedere liberamente, quando vogliono e come vogliono, a un computer
collegato ad Internet: imparano ed imparano anche meglio dei coetanei che vanno a scuola,
che sono in classe, che seguono le lezioni di un professore , che svolgono esercitazioni in
classe e compiti a casa, che si servono di manuali scolastici su misura5. Secondo Mitra, una
scuola senza insegnanti è possibile e lo dimostra.6
Dieci anni d'esperienze confermano che si può fare a meno degli insegnanti così some sono
oggi per apprendere quel che la scuola dovrebbe insegnare a tutti. Le nuove tecnologie
ribaltano l'ordine costituito del sapere. Nasce un altro ordine del sapere, ma quale?
Un nuovo tipo di scuola appare all’orizzonte
Dieci anni fa, nel 1999, Sugata Mitra ha installato in uno slum della periferie di Dehli , sulla
pubblica via, computer accessibili liberamente a tutti, ai bambini, agli adolescenti e agli
adulti. Per un decennio Mitra ha osservato quanto succedeva attorno a questi computer in
libero servizio e ha constato che bambini e adolescenti si aiutano reciprocamente per
imparare come usare il computer e come si ottengono le informazioni. Non solo: bambini e
4
Sieda il capitolo……
Si veda una succinta presentazione delle esperienze di Sugata Mitra nell’articolo seguente:
http://www.oxydiane.net/spip.php?article269
5
6
La parte seguente è un estratto dell’articolo pubblicato nel sito www.oxydiane.net:
http://www.oxydiane.net/spip.php?article427
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adolescenti insegnano agli adulti, ai genitori e agli anziani, come cavarsela con il computer.
Quest'esperimento, unico nel suo genere, ha prodotto un nuovo concetto di educazione, quello
di "auto-organizzazione dell'apprendimento".
A seguito di queste prime osservazioni, si è scoperto che ovunque nel mondo i bambini
possono realizzare compiti complessi rapidamente con un minimo di supervisione. "Penso che
per caso siamo caduti sul sistema di auto-organizzazione dell'apprendimento, ovverosia su un
comportamento che fin qui ci era sfuggito" afferma Mitra.
"I bambini del quartiere di Dehli in cui c'era il computer in libero accesso raramente andavano
a scuola, non sapevano l'inglese, non avevano mai visto un computer e non sapevano affatto
cosa fosse Internet". Con grande sorpresa Mitra ha scoperto che rapidamente i bambini
capivano come funzionava il computer e come accedere a Internet. "Ho allora ripetuto
l'esperimento in varie parti dell'India ed ho scoperto che i bambini imparano a fare ciò che
vogliono imparare a fare". Più volte, la stessa storia si è ripetuta: bambini che insegnano ad
altri bambini come utilizzare il computer e come sviluppare nuove competenze.
Nel Rajastan, un gruppo ha imparato come registrare e suonare musica sul computer, appena
quattro ore dopo che il computer era stato installato nel villaggio.
"Alla fin fine abbiamo dovuto riconoscere che gruppi di bambini possono imparare ad
utilizzare il computer per conto loro indipendentemente da chi sono e da dove si trovano"
sostiene Mitra. A seguito di queste constatazioni, i suoi esperimenti sono diventati sempre più
ambiziosi sempre più globali. In Cambogia per esempio ha inserito nel computer un semplice
gioco di matematica con il quale bambini potevano confrontarsi. "Nessun bambino avrebbe
giocato con quest'applicazione in un' aula scolastica. Se invece, lasci questo gioco all'aperto,
in piazza, e gli adulti vanno e vengono, senza prestare attenzione, senza intervenire, succede
che i bambini tra di loro si mostrano quanto sanno fare, come giocare, come progredire".
Mitra si è allora posta una sfida impossibile: vedere se gli adolescenti Tamil di 12 anni a Sud
dell'India riescono da soli ad apprendere la biotecnologia in inglese con Internet.Per
affrontare questa sfida, Mitra arruola 26 pre-adolescenti Tamil e distribuisce loro alcuni
computer nel quale erano state inserite informazioni in inglese. "Ho detto loro: c'è qualcosa di
molto difficile in questo computer. Non sarei sorpreso se non capirete nulla". È ritornato sul
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posto due mesi dopo. All'inizio, i preadolescenti hanno confessato che non avevano appreso
nulla, nonostante usassero i computer ogni giorno. "Poi una ragazza di 12 anni ha alzato la
mano e ha affermato che a parte il fatto che una riproduzione impropria del DNA contribuisce
alla malattia genetica-non abbiamo capito null'altro". Ulteriori esperimenti hanno mostrato
che se si colloca dietro ai bambini una persona che li incoraggia e li aiuta le conoscenze
aumentano sempre più.
Ritornato in Inghilterra, Mitra ha continuato i suoi esperimenti con gruppi di quattro bambini
ai quali è stato dato un computer e una serie di questione che corrispondono alle prove che di
solito si fanno alla fine della scuola media (GCSE in Inghilterra).Ogni gruppo era autorizzato
a scambiarsi tra loro informazioni e perfino a scambiarsi i membri. "Il miglior gruppo ha
risolto tutti i problemi in 20 minuti, il gruppo più debole in 45 minuti". Per dimostrare che i
bambini stavano imparando e non soltanto cercando informazioni sul Web, Mitra è ritornato
dopo due mesi sul posto e ha riproposto le stesse domande. Questa volta i bambini dovevano
rispondere per proprio conto, senza ricorrere al computer. "Il punteggio medio che ho ottenuto
con i computer fu del 76%. Quando ho effettuato il test senza computer la media è stata pure
del 76%, un risultato che si può dire quasi fotografico del primo”. Mitra ritiene di avere in
mano la prova che gli studenti avevano appreso e che la prima volta non avevano solo
approfittato di Internet.
Una nuova teoria di scuola all'orizzonte
Mitra ha ora formalizzato le osservazioni raccolte nei suoi esperimenti ed ha elaborato un
nuovo concetto di scuola denominato SOLE (“Self Organised Learning Environments” che
sta per “Ambienti d'apprendimento auto-organizzati”).
Il sistema escogitato da Mitra consiste nel predisporre un banco sufficientemente grande per
permettere a quattro bambini di sedersi attorno allo schermo di un computer. "Non funziona
se date a ognuno un computer" afferma Mitra. Inoltre, tirando la lezione dai suoi esperimenti
anteriori in Asia, Mitra ha creato un nucleo di "amici critici" (L'espressione esatta inglese è
"granny cloud", alla lettera “una nube di nonne”) che possono essere interpellati dai bambini
in linea, con chat o perfino in video. Questi specialisti volontari devono essere in grado di
incoraggiare e aiutare chi li chiama, di indirizzarli a scovare soluzioni, ad arrabattarsi con i
problemi e non di offrire le soluzioni. Mitra ha sperimentato questo modello in Inghilterra è
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ha conseguito risultati analoghi a quelli ottenuti in India, in Cambogia e altrove. Mitra ritiene
che questo sistema debba essere ulteriormente sperimentate valutato e che “l’autoorganizzazione dell’apprendimento” vada approfondita seriamente.
La grande paura
Ovviamente, una prospettiva del genere spaventa tutte le forze in campo che ora si
contendono il potere scolastico. Come trattare gli insegnanti in servizio se di loro non c'è più
bisogno, oppure se devono cambiare il mestiere per fare "le nonne" che consolano i piccoli in
difficoltà con i computer? Ci sono alcune ricerche urgentissime da svolgere, Dureranno
almeno un decennio e poi occorreranno svariati decenni per cambiare sistema. La nuova
scuola non apparirà prima del della fine del XXI esimo secolo.
In conclusione, gli insegnanti e i professori non sono più i detentori della conoscenza, non
sono intellettuali eclettici che sanno tutto o che sanno quanto necessario per trarsi d’impiccio
nelle società contemporanee. Queste conoscenze si possono trovare anche altrove, fuori dalla
scuola, presso altre fonti d’informazione gratuite , almeno finora, e facilmente accessibili, a
qualsiasi ora in qualunque luogo. Non c’è più bisogno né di andare a scuola né di frequentare
le biblioteche. L’esistenza di queste fonti d’informazione rende obsoleta la figura del
professore, pozzo di scienza e di sapere, autorità in materia, al quale si poteva credere ad
occhi chiusi e che si ascoltava in modo reverenziale.
Queste considerazioni non saranno condivise da tutti e soprattutto dai difensori dei professori
e del servizio scolastico statale, ritenuto come uno dei pochi strumenti sociali in grado di
promuovere la giustizia sociale, di lottare contro le disuguaglianze sociali prodotte
dall’istruzione e dal sapere sociale trasmesso nelle famiglie come se fosse un’eredità da una
generazione all’altra. Per costoro, la scuola deve sì essere restaurata, ma non smantellata
come lo lascia intendere la ricerca di Mitra. Per altro, la prospettiva di cambiare il mestiere di
milioni di persone occupate nell’insegnamento è tale da fare paura a tutti. Anche il
programma del convegno della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo
rifletteva questa tensione: accanto a relazioni radicali come quella di Mitra ce n’erano altre
invece che illustravano compromessi possibili per fare evolvere i sistemi scolastici e renderli
permeabili alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, come la relazione
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di Linn7 o l’esperienza del Becta8. In altri termini già erano manifeste le reazioni dei sistemi
scolastici di fronte al pericolo di una contestazione radicale, di un crollo impietoso sotto le
bordate di tecnologie di nuovo stampo che fragilizzano, incrinano le modalità in boga nei
sistemi scolastici di diffusione delle conoscenze , di imposizione dei codici legittimi che
regolano le modalità d’espressione, dei criteri che determinano i saperi ritenuti veritieri, ossia
i criteri di verità (per esempio è falso denunciare l’incompetenza degli stati maggiori italiani
nella prima guerra mondiale). Le minacce erano e sono troppo importanti per non reagire, per
addomesticare le tecnologie, impadronirsene, evirarle. Il rigetto sarebbe stata un’altra
soluzione possibile ma la diffusione delle tecnologie nel mondo contemporaneo è troppo
diffusa per indurre a prendere in considerazione questa strategia.
Le strategie di auto-difesa dei sistemi scolastici
Da tempo, i sistemi scolastici hanno appreso ad impossessarsi delle tecnologie che gestiscono
e controllano la produzione e la diffusione delle conoscenze. La strategia è ben nota e il
risultato è garantito. Questo è successo con le diapositive, con la televisione, con i proiettori,
con la radio. Perché non dovrebbe funzionare con le nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione ? Nel convegno non si è parlato delle LIM, le lavagne multimediali che
conoscono un successo strepitoso in tutti i sistemi scolastici. Orbene, le LIM sono proprio un
brillante esempio di questa strategia: strumenti complessi , bellissimi, all’avanguardia della
tecnologia, installati nelle aule come se le aule e le classi fossero una soluzione ideale e
definitiva di organizzazione delle modalità di apprendimento, insegnanti preparati in fretta e
furia per servirsene in modo basilare, una didattica obosleta al servizio di strumenti
avveniristici: “Scuole e provveditorati si sono buttati a capofitto nell'acquisto di questo
gadget, ritenuto come il primo passo da fare per entrare nell'era "del 21º secolo della scuola",
ossia nell'era della postmodernità, spendendo migliaia di dollari per un aggeggio da appendere
alle pareti di un'aula e che si può mostrare con orgoglio come se fosse una gallina dalle uova
d'oro, la quale miracolosamente permette di risolvere tutti i problemi dell'istruzione.” afferma
Bill Ferriter, un insegnante della Carolina del Nord in un articolo pubblicato dal settimanale
7
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Vedi capitolo…..
Vedi capitolo…
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americano specializzato nei problemi dell’istruzione “Education Week”.9 Ferriter aggiunge :”
Se si analizza in modo puntiglioso l'operazione si capisce subito che le LIM non fanno altro
che potenziare il modello d'apprendimento imperniato sull'insegnante. Con le LIM
l'insegnante resta il
"deus ex machina". Altro che rivoluzione copernicana
nell'insegnamento.”.
Esempi del genere ce ne sono ormai a bizzeffe, ma al momento del convegno non se ne era
consapevoli come lo si è ora. Adesso si capisce meglio quel che sta succedendo, si intravvede
in maniera meno opaca la strategia dei sistemi d’insegnamento per non cedere un palmo del
potere di controllo e di manipolazione delle coscienze, da quelle degli allievi e degli studenti,
a quelle dei genitori e dei responsabili politici, facendo credere che senza di loro la vita
economica andrebbe in crisi, che l’impoverimento della società sarebbe inevitabile, che il
disordine sociale sarebbe garantito, Uno dei tentativi più strepitosi per dominare le nuove
tecnologie e ridurle a una banale ruolo di succedaneo dei quaderni e dei manuali è quello della
scuola virtuale.
La scuola virtuale
La scuola virtuale è una scuola senza un luogo fisico, senza aule, senza classi. Una scuola
ridotta all’essenziale , ossia a procedure d’apprendimento e a sequenze d’apprendimento a
distanza, controllate in vari modi, che gli allievi possono seguire secondo il proprio ritmo, da
soli o in gruppi. La scuola virtuale è la scuola con un laptop o un PC, via Internet. Si apprende
come e quando si vuole e si verifica (legittimare si diceva un tempo) quel che si apprende, il
sapere scolastico che si impara, con prove che possono essere di vario tipo, anche online, a
distanza, in modo elettronico.Detto così sembra semplice; l’attuazione è invece molto più
complicata ma è su questa strada che si sono avviate molti sistemi scolastici, specialmente
negli Stati Uniti.
Ci sono vari tipi di scuole virtuali. Qui si accenna a un modello in voga negli Stati Uniti che è
sviluppato e pilotato dai Dipartimenti dell’istruzione pubblica. Si tratta dunque di un tentativo
da parte dei sistemi scolastici di non perdere il treno attuando scuole virtuali controllate dallo
9
http://www.edweek.org/tm/articles/2010/01/27/tln_ferriter_whiteboards.html?tkn=Q[RFGmQ
ux6XnMebDMl4nddRDutTae13KtmNE
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Stato. Nelle scuole virtuali create e gestite dallo Stato ci si deve inscrivere come ci si inscrive
in qualsiasi altra scuola. Si è registrati. Non si tratta di scuole libere.10 Si stima che un milione
di allievi dalla prima elementare all’ultimo anno dell’insegnamento secondario di secondo
grado seguano corsi "online" negli Stati Uniti. Non è un gran numero tenuto conto della
dimensione del paese e del numero degli allievi, ma si tratta pur sempre di una cifra
considerevole. Qui non si ha a che fare con un paio di dozzine di studenti come spesso è il
caso nelle esperienze europee. Con un milione di studenti che seguono tipi di scuole virtuale
impostate in modo diverso si può già cominciare a capire qualcosa, a fare dei confronti. tra un
modello e un altro e soprattutto con i modelli tradizionali di organizzazione scolastica.
Questi corsi possono essere di complemento al programma scolastico e alle lezioni seguite a
scuola oppure possono essere corsi completi, che permettono agli allievi di non più andare a
scuola e di assolvere l’anno scolastico stando a casa, andando a scuola senza andare a scuola ,
insomma. Il pregio del modello è quello di garantire il posto di lavoro ai professori, con o
senza classi. Adesso, con l’aria che tira in materia di rispetto dell’autorità e di imposizione
della disciplina sembrerebbe che sia meglio conservare il posto e non avere più studenti
davanti a sé con i quali confrontarsi. Una soluzione di questo tipo è allettante. Occorre fare la
prova che funziona. Possiamo scommettere che il sistema scolastico riuscirà a farlo.
Un computer per ogni studente
Un’esperienza francese nel dipartimento delle Lande
Un altro esempio delle strategie volte a non perdere il controllo sull’istruzione è la
distribuzione di un computer ad ogni allievo o ad ogni studente. Anche questa strategia
potrebbe apparire di primo acchito come una soluzione suscettibile di dare un colpo mortale
all’apparato scolastico, ed invece sta succedendo proprio il contrario. La diffusione di un
computer ad ogni studente si rivela un’operazione molto meno pericolosa per i sistemi
scolastici di quanto lo si supponga, perché gli studenti fanno di testa propria con il computer e
i professori non cambiano il loro modo di insegnare nonostante la presenza di uno strumento
potenzialmente sovversivo come il computer nelle mani di ogni studente. Ci sono due
10
Sulle scuole virtuali si veda l’articolo che si trova al seguente indirizzo del Web:
http://www.oxydiane.net/spip.php?article390
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indagini che mettono proprio la pulce all’orecchio a questo riguardo. Una è stata fatta in
Francia, nel dipartimento delle Lande dove a partire dal 2002 in tutte le classi di terza della
scuola media è stato consegnato ad inizio anno un computer ad ogni studente, computer che
poteva essere portato a casa, essere usato da tutti in famiglia, e che non doveva servire
unicamente per la scuola11. Si poteva anche giocare su quel computer. "Il computer non
modifica le pratiche pedagogiche, i professori se ne servono per riprodurre pratiche
comprovate tradizionali d’insegnamento e per replicare le lezioni cattedratiche" ha affermato
il responsabile del programma. Ben il 56% dei professori francesi delle Lande sarebbe
contento se gli studenti non possedessero affatto nessun computer, desiderio del tutto
illusorio, oggigiorno, ma che la dice alla lunga su come la pensano gli insegnanti i quali non si
accorgono nemmeno che i loro studenti ne sanno più di loro in materia di informatica e di
internet! Capita anche il contrario: gli stridenti sanno giocare molto bene in rete ma quando si
tratta di svolgere delle ricerche e di sfruttare le potenzialità dello strumento sono totalmente
impacciati. Probabilmente lo sposalizio tra cibernetica e didattica tradizionale non è affatto
privo di tensione. Se si chiede agli studenti di usare le loro competenze in informatica per
svolgere compiti scolastici non ce la fanno, inciampano. Anche i professori del resto non
sanno servirsi del computer in classe, non sono preparati a farlo e se ne servono soprattutto
per mostrare, con un video proiettore, immagini o spezzoni di film (clips). Il computer è utile
ed è pratico a condizione di non sovvertire il rapporto pedagogico tradizionale,la pressi
didattica consolidata ereditata dalle generazioni anteriori di professori.
Da questa constatazione non si deve dedurre che basterebbe attendere qualche anno per
cambiare in meglio la situazione e per avere professori in grado di sfruttare al meglio le
potenzialità del computer e di Internet in classe. Non è solo questione di tempo. L’ostracismo
verso le nuove tecnologie è radicato tra i professori e occorreranno decenni per farlo sparire.
Nel frattempo le nuove tecnologie evolveranno, la velocità di calcolo degli apparecchi
aumenterà, le applicazioni informatiche diventeranno sempre più sofisticate . I professori sono
condannati in un certo senso a rincorrere il progresso , ma forse per ora sarebbe meglio dire
l’evoluzione tecnologica mentre i bambini digitali arrivano a scuola che già sanno come
funzionano le tastiere, come si accede a Google, e via dicendo. Allora, in questo caso, ci sono
due soluzioni: proporre una valanga di corsi di perfezionamento per gli insegnanti, sperando
11
L’esperienza è descritta in italiano nell’articolo che si può leggere al seguente indirizzo
Web: http://www.oxydiane.net/spip.php?article339
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che ciò facendo la rincorsa cessi , oppure ostacolare l’adozione delle nove tecnologie nella
scuola, decretare l’ostracismo delle nuove tecnologie, oppure infine addomesticarle, come si
è fatto con le LIM.
Nelle Lande, il 24% dei professori non si serve mai del computer in classe e il 54% non
utilizza mai Internet in classe anche se tutti i loro studenti hanno in mano un computer.
Allora cosa capita? Succede che i preadolescenti si servono nella proporzione dell’80-90% del
computer per attività ludiche, anche perché solo sei professori su 10 non danno compiti da
svolgere a casa con il conmputer. Gli studenti dichiarano che si servono del computer per
giocare a scuola, oppure per scaricare musica e film pornografici. Il codice etico che devono
sottoscrivere all’inizio dell’anno scolastico e che ingiunge loro di rispettare determinate
regole d’uso del computer, è del tutto caduco e non rispettato. Gli studenti non svolgono
molte ricerche su Internet. Non sanno farle perché nessuno insegna loro come farle. Secondo
il responsabile del programma nel dipartimento delle Lande, "nessun professore si ritiene
responsabile dell’educazione all’informatica, nessun professore si preoccupa di analizzare le
fonti d’ informazione degli studenti quando svolgono un compito a casa. Non è con un’ora
passata di tanto in tanto nel centro di documentazione della scuola per chiedere aiuto al
documentalista che si acquisisce una disciplina e una padronanza dello strumento di ricerca e
di informazione che è Internet". Non è quindi un caso se Sugata Mitra, il ricercatore indiano
che ha messo in evidenza i meccanismi dell’auto-organizzazione dell’apprendimento, ritiene
che il progetto di distribuire un computer a tutti gli allievi e a tutti gli studenti per fini
scolastici sia fondamentalmente errato in quanto impedisce per l’appunto che si innesti la
procedura dell’auto-organizzazione. Occorre coraggio per stare alla larga dagli studenti, non
avere più a che fare con loro, condizione “sine qua non” per l’innesto dell’autoorganizzazione dell’apprendimento. Occorre “in primis” rinunciare al modello scolastico
vigente. E’ comprensibile che questa prospettiva incuta molta paura.
Un’esperienza americana nella Carolina del Nord
Il possesso di un computer a casa di per sé non è un fattore che aiuti a migliorare i risultati
scolastici, come lo dimostra un’indagine svolta negli Stati Uniti da Helen Ladd e Jacob
Vigdor per l’Urban Institute di Washington D.C.: La diffusione dei computer casalinghi è
associata a un impatto negativo, statisticamente significativo ancorché modesto, sui risultati
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nei test di matematica e di comprensione della lettura.12 Dunque, l’andamento a scuola non è
direttamente connesso al possesso di un computer, come del resto è stato dimostrato in modo
spettacolare dalle osservazioni di Sugata Mitra in India. Il divario fra studenti ricchi e poveri a
scuola era pre-esistente all’arrivo dell’informatica e l’informatica di per sé non può
neutralizzarlo. Ci vuole dell’altro. Questa constatazione dovrebbe essere sufficiente a ridurre
l’agitazione tra gli insegnanti e i timori degli amministratori di fronte alla diffusione
dell’informatica. Il programma del Convegno della Fondazione per la Scuola aveva
un’impostazione ardita per un certo verso: il mondo cambia, la scuola ne deve tenere conto e
deve cambiare pure lei, pena la sua scomparsa. Questa in sintesi la filosofia
sottostante.Possiamo ora dire con buona certezza che le prospettive per il futuro della scuola
non sono proprio così drammatiche. Il mondo cambia e la scuola può anche non tenerne conto
e continuare ad ignorare quest’evoluzione. Si veda per esempio quanto succede in Inghilterra
e in Francia dove recentemente si sono adottati provvedimenti punitivi gravi nei confronti
delle famiglie i cui figli marinano la scuola o si comportano in maniera ribelle e ripetutamente
indisciplinata a scuola. In entrambi i paesi si prevede di togliere a queste famiglie i sussidi per
i figli13. Il ricatto è tremendo. Non incombe più alla scuola prendere in mano gli studenti così
come sono e trasformarli, ossia educarli, Siccome questo compito non è affatto semplice,
allora lo si trasferisce alle famiglie e si predispone una mannaia per quelle che non ci
riescono. Gli effetti della diffusione delle nove tecnologie non incidono in maniera
significativa sui risultati scolastici. Questi non cambiano gran che: chi riusciva bene prima a
scuola, quando le nuove tecnologie non c’erano, continuerà anche dopo. I privilegiati lo
saranno sempre e i poco dotati non ricupereranno gli svantaggi con i computer.
Ottimismo eccessivo
Nell’impostare il Convegno si è forse peccato di un eccessivo ottimismo, perché esso è stato
concepito non tenendo soprattutto in riguardo la capacità di resistenza dei sistemi scolastici.
Questi apparati burocratici hanno ormai la forza sufficiente per digerire qualsiasi novità tale
da metterne in pericolo la sopravvivenza. Il convegno non ha affrontato questa questione. Ha
12
Jacob Vigdor, Helen Ladd : Scaling the Digital Divide: Home Computer Technology and
Student Achievement. Urban Institute, 2010 (http://www.urban.org/url.cfm?ID=1001433)
,
13
Sulla Francia si veda l’articolo seguente: http://www.oxydiane.net/spip.php?article420
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esaltato invece la novità di per sé rappresentata dalle nuove tecnologie. Esemplare a questo
riguardo è stata la relazione sulla politica francese in materia di diffusione delle nuove
tecnologie
Le ragioni dell’ottimismo
Nelle giovani generazioni, quelle degli allievi della scuola primaria, il numero dei cellulari
supera quello dei libri. Secondo i dati di un’indagine svolta in Inghilterra per conto
dell’Agenzia nazionale dell’alfabetizzazione, tra i bambini di sette anni sarebbe più elevato il
numero di coloro che posseggono un telefono cellulare che non un libro.14 Questo però non
deve indurre a credere che i giovani on sappiano leggere o non capiscano quel che leggono a
causa della rarefazione dei libri nelle case. Si impara a leggere anche senza libri, ma non
sappiamo bene come ciò succeda. Nelle società totalmente alfabetizzate la scrittura è ovunque
e perfino i piccoli degli asili nido e delle scuole materne imparano a leggere. La scrittura è
ovunque. Non sono necessari i libri per imparare a leggere e per amare la lettura e le storie.
Lo dimostra tra l’altro assai bene un’indagine svolta negli Stati Uniti sui risultati degli
studenti nel test della celeberrima valutazione nazionale NAEP15: Se si pagano gli studenti
quando fanno un test i risultati sono migliori16. Questo vuol dire che gli studenti ne sanno
molto di più di quanto suggeriscono i loro risultati nelle prove strutturate. Questi aspetti non si
conoscevano ancora al momento del convegno. Invece si sapeva che le nuove tecnologie
dilagavano a vista d’occhio tra i giovani e i meno giovani, che allievi e studenti passavano ore
ai computer, che giocavano, conversavano, scambiavano opinioni e altro con le nuove
tecnologie. Una vera e propria orgia di cibernetica, un vero e proprio tsunami informatico.
Dopo scuola, allievi e studenti, si tuffano in un mondo virtuale, fatto di linguaggi astrusi e
14
Resoconto dell’articolo pubblicato dal quotidiano Telegraph all’indirizzo seguente:
http://www.oxydiane.net/ecrire/?exec=breves_edit&id_breve=161&retour=nav
15
http://en.wikipedia.org/wiki/National_Assessment_of_Educational_Progress
16
Henry Braun, Irwin Kirsch, and Kentaro Yamamoto: An Experimental Study of the Effects
of Monetary Incentives on Performance on the 12th-Grade NAEP Reading Assessment.
Teachers College Record, Volume 113 Number 11, 2011 (resoconto in italiano :
http://www.oxydiane.net/spip.php?breve169)
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enigmatici, di invenzioni strabilianti, di regole particolari17.E’ il mondo di Facebook, di
Twitter, di My Space, New Life. Immersi in questo universo, allievi e studenti scordano la
scuola e costruiscono mondi immaginari. Questi comportamenti possono essere deprecati,
preoccupano i genitori, inquietano gli insegnanti ma hanno anche il pregio di offrire a coloro
che a scuola soffrono e sono marginalizzati, l’illusione di essere qualcuno. Sono una rivincita
su un mondo reale che li offende e che non li riconosce, non li rispetta, li umilia, ora dopo ora.
In questo mondo molto ben descritto da Prensky18 e da Castels19 si crea una società di tipo
nuovo, nella quale vigono altre gerarchie, altri criteri di riconoscimento dell’autorità.
Come qualsiasi realtà, anche quella virtuale non è priva né di rischi né di regole, ma non è una
realtà povera, che limita l’istruzione. Al contrario. E’ un mondo esuberante, una foresta
vergine nel quale occorre orientarsi. La domanda che si pone è dunque la seguente: “Spetta
agli insegnanti svolgere il compito di orientatori in questo universo?”, “Lo sanno svolgere?”
Per il momento , di certo, no, tranne qualche eccezione. Fra quanti anni? Quanto tempo si
dovrà aspettare? Sarà possibile trasformare la massa dei professori in orientatori digitali?
Quando è stato concepito il convegno si credeva che la forza d’urto di questo tsunami fosse
tale da travolgere l’istituzione scolastica ormai obsoleta e superata. Forse ci si è sbagliati e si è
sottovalutata la capacità dell’istituzione a resistere , a innestare i retrorazzi, ad atterrare senza
danni in un universo a lei alieno.
Conclusione: il problema non sono le nuove tecnologie ma gli allievi e gli insegnanti
Le nuove tecnologie evolvono per conto loro a grande velocità. Nessuno immaginava un anno
fa cosa fosse l’iPad ed ora questa tavoletta sconvolge le prospettive di sviluppo
dell’informatica personale, aziendale e anche scolastica. Inutile fare previsioni sul futuro, ma
indubbiamente siamo di fronte a una pista di sviluppo nuova e affascinante. Se ne sono subito
accorti gli informatici del mondo intero che hanno prodotto in pochissimo tempo una quantità
17
Si veda il video “Hai prestato attenzione” presentato al seminario internazionale “Da
Socrate a Google” organizzato dall’ADI a Bologna dal 27 al 28 febbraio 2009
(http://www.adiscuola.it/adiw_brevi/?p=2464)
18
Prensky M.(2006). Don't Bother Me Mom--I'm Learning! Paragon House.
Castells, M. (2000). The Rise of the Network Society (New Edition) (The
Information Age: Economy, Society and Culture Volume 1) (WileWileyBlackwell).
19
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inverosimile di applicazioni per l’iPad a bassissimo costo. Dunque, le nuove tecnologie vanno
per conto loro. I bambini se ne impossessano subito con una facilità estrema. Non hanno
bisogno di insegnanti né di educatori per farlo. Prendono in mano gli apparecchi e in quattro e
quattr’otto se la cavano, ossia sanno utilizzare le varie applicazioni, capiscono le procedure e
iniziano a trafficare con le reti, a esplorare il mondo Internet, a giocare, a comunicare tra loro.
Non escludono gli adulti dal loro apprendimento, sono disposti a condividere il loro
entusiasmo, a insegnare agli adulti come fare, ma occorre che gli adulti non facciano i
saccenti, i presuntuosi , gli arroganti, Devono essere umili. In poche parole , muta la relazione
di autorità, il senso del rispetto, cambiano i codici di comunicazione. Gli adulti sono “nudi” di
fronte alle nuove tecnologie e devono accettare questo stato per entrare in relazione con gli
allievi e gli studenti. Se non lo fanno perdono la faccia e perdono qualsiasi credibilità.
Possono sbagliare, possono perfino tentennare, esitare, procedere con lentezza ed essere
nondimeno tollerati, accettati dai bambini. Tutto questo non incide sulla loro fiducia, sul
rispetto, la riconoscenza degli allievi e degli studenti. La loro tolleranza è senza limiti, a
condizione di non essere presi per il bavero.
Gli insegnanti
Il problema dei professori e degli insegnanti è davvero complesso e meriterebbe una
trattamento a parte. Finora non è stato affatto esplorato in tutte le sue componenti per cui si è
ben lungi dall’avere scovato soluzioni valide. Con certezza si conoscono tre punti di
riferimento:
•
La maggior parte degli insegnanti teme di perdere la faccia di fronte agli allievi e agli
studenti ;
•
In mancanza di chiarezza sull’organizzazione dell’apprendimento (per esempio ci
saranno ancora le aule, le classi?) si divaga sulle questioni di disciplina e di
mantenimento dell’ordine con l’adozione delle nuove tecnologie in un contesto
scolastico identico all’attuale;
•
Il profilo professionale muterà e quindi cambieranno sia le modalità di selezione per
diplomarsi sia la struttura dei corsi di formazione.
Su questi punti occorrerà impegnarsi a fondo nei prossimi anni. Per il momento si studiano i
comportamenti degli insegnanti “digitali”, i quali sono in genere persone appassionate che si
tuffano nei problemi, da soli o in gruppo. La scuola conta su di loro per evolvere, ma non si
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riesce nemmeno a identificarli. Non si sa quanti siano. Sono in ogni modo pochi rispetto alla
massa dei colleghi e non bastano per istruire, seguire, aiutare chi è alle prime armi20.
Gli studenti
Si sa qualcosa di più invece per quanto riguarda i comportamenti degli allievi e degli studenti,
Paradossalmente le indagini sui “digital natives” sono numerosissime e ci sono fondazioni di
ricerca come la Fondazione MacArthur negli Stati Uniti che si sono specializzate su questo
tema.21 La questione delicata non è però tanto quella delle attività extra-scolastiche ma quanto
quella dei comportamenti a scuola: allievi e studenti cresciuti con l’informatica come
reagiscono quando entrano nell’universo scolastico che pretende dagli studenti non solo
l’acquisizione di norme di comportamento e di principi conoscitivi ma anche l’adesione a
regolamenti dell’uso delle nuove tecnologie delle quali allievi e studenti si servono
quotidianamente quando non sono a scuola, per il proprio passatempo oppure per le proprie
passioni. Allievi e studenti hanno una visione assai chiara di quel che si aspettano dalla
scuola, di come dovrebbe essere la scuola ma che invece non lo è. Possiamo qui riprendere un
passaggio di Mark Prensky che è uno degli specialisti mondiali di questa problematica:
“Un numero crescente di giovani oggigiorno sono immersi in maniera profonda e permanente
in un mondo tecnologico, sono collegati ai loro coetanei e con il mondo intero in una maniera
20
Sugli insegnanti digitali si vedano due indagini presentate al convegno della società
americana di ricerche sull’istruzione (AERA) tenutosi a Denver,a fine aprile 2010. Un
indagine è californiana (Techno-Reform: The Intersection of Teacher Practice and
Technology-Enhanced Curriculum Delivery and Assessment. A cura di Juna Z. Snow
(University of California - Berkeley, [email protected]), l’altra è inglese (
Digi-Teachers: Technology and Practice. A cura di Andrew C. Goodwyn (University of
Reading - [email protected]), Carol L. Fuller (University of Reading [email protected]), Aristidis
Protopsaltis
(University
of
Reading
-
[email protected]). Un riassunto in italiano si trova al seguente indirizzo elettronico:
http://www.oxydiane.net/spip.php?article423
21
http://en.wikipedia.org/wiki/John_D._and_Catherine_T._MacArthur_Foundation
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che nessuna generazione anteriore non ha mai sperimentato. Flussi di informazioni li
travolgono 24 ore su 24, sette giorni su sette. Sempre più, quanto desiderano e quanto hanno
bisogno lo possono avere sottomano nelle proprie tasche. “Se perdo il mio cellulare, perdo
metà del mio cervello” afferma uno studente.
Questi bambini e questi giovani hanno bisogno della scuola? Una proporzione crescente
(quasi un terzo negli Stati Uniti e la metà nei centri urbani americani) pensa di no e
abbandona la scuola. Ma noi adulti, specialmente i professori e gli insegnanti, sappiamo che
questo è un grande errore - ci sono talmente tante cose che i giovani di oggi possono e devono
imparare da noi. Il problema è pertanto il seguente (di nuovo con le parole di uno studente):
“c’è un’enorme differenza tra il modo di pensare degli studenti e il modo di pensare degli
insegnanti”. Purtroppo, siamo incapaci di trasmettere ciò di cui gli studenti hanno bisogno nei
modi che convengono loro. I nostri modi di insegnamento sono obsoleti e non corrispondono
affatto alla maniera di reagire e pensare dei giovani d’oggi. L’attenzione che loro prestano ai
riti scolastici è del tutto irrilevante”.
Che cosa vogliono gli studenti di oggi ?
Che cosa si aspettano gli studenti dalla scuola? Presky risponde a questa domanda servendosi
delle risposte raccolte in migliaia di interviste fatte a studenti di tutti i ceti sociali, di tutte le
età, di tutte le nazionalità. Le loro risposte sono singolarmente consistenti:
-non tollerano più lezioni cattedratiche;
-vogliono essere rispettati, vogliono che si abbia fiducia in loro, vogliono che si tenga conto
delle loro opinioni e che si apprezzino;
-vogliono coltivare le loro passioni e i loro interessi;
-vogliono creare, utilizzando gli strumenti del loro tempo;
-vogliono lavorare con i loro coetanei, in gruppi di lavoro , per realizzare progetti;
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-vogliono prendere decisioni e essere coinvolti nel controllo dell’esecuzione;
-vogliono essere collegati con i loro coetanei per esprimere e condividere le loro opinioni, in
classe e al di fuori della scuola;
-vogliono cooperare e competere con altri;
-vogliono che l’educazione non sia unicamente importante, ma reale.
Prensky commenta: “È possibile, logicamente, considerare questa lista sia come narcisistica
sia come un insieme irrealistico di aspettative degli studenti. Ma se lo facessimo
commetteremmo un grande errore…. Oggigiorno gli studenti vogliono imparare in un modo
diverso che non nel passato. Auspicano modalità di apprendimento che abbiano un senso per
loro”.22
Quale avvenire per le scuole di domani?
Il convegno della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo è partito dal
presupposto che nel 2020 le scuole sarebbero state diverse e ci si è dilettati a tratteggiare il
profilo di questa scuola alla luce dello stato vigente delle nuove tecnologie dell’informazione
e della comunicazione. Si dava insomma per scontato che la pressione esterna al mondo
scolastico l’avrebbe vinta e avrebbe costretto i responsabili scolastici e politici a modificare
nei prossimi dieci anni l’impianto scolastico, i programmi di insegnamento, il profilo
professionale del personale scolastico , la formazione degli insegnanti, le modalità di
finanziamento della scuola, le procedure di selezione e via dicendo. Un’idea ambiziosa che si
riflette anche nei contributi degli autori di questa raccolta in cui si prevede che i sistemi
scolastici resisteranno, sapranno far fronte ai cambiamenti con le risorse di cui già ora
dispongono. Evolveranno, questo è sicuro, perché la loro capacità di sopravvivenza è
strabiliante e saranno in grado di adattarsi a tutte le novità e di digerire i cambiamenti senza
intaccare la gestione, l’organizzazione, la struttura delle scuole. La transizione o evoluzione
che dir si voglia non sarà indenne di qualche prova dolorosa ma nel 2020 i sistemi scolastici
22
Prensky M. (2010): Teaching Digital Natives. Partnering for Real Learning.Corwin Press,
Thousand Oaks (CA).
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non saranno molto diversi da quel che sono oggi. I giorni di scuola nel 2020 saranno come
quelli odierni: per la maggioranza degli allieivi una penitenza, per molti una noia (più di un
terzo degli studenti la denunciano già ora), per pochissimi un piacere e per i restanti un
pensum da sopportare con rassegnazione. Si può immaginare quel che si vuole, divagare a
piacimento per sognare scuole diverse, ma il cambiamento non sta dietro alla porta e il 2020 è
subito qua! Non si cambia il giorno di scuola se non si cambiano i sistemi scolastici nella loro
globalità. In primo luogo occorre finirla con il centralismo burocratico; in secondo luogo
smetterla di combattere battaglie ridicole come quelle contro la valutazione; in terzo luogo
occorre correre rischi con un’ampia autonomia scolastica, inclusa la possibilità di scegliere i
colleghi e di licenziarli; infine è indispensabile mutare sin d’ ora i criteri di selezione e di
formazione iniziale del personale scolastico (non solo degli insegnanti che magari non ci
saranno più, almeno come li vediamo ora) e predisporre un colossale piano di formazione
continua e di supporto.
La Fondazione americana MacArthur ha recentemente pubblicato un opuscolo nel quale
descrive dieci principi da considerare come pilastri per modellare il futuro delle istituzioni
scolastiche. Li riprendiamo liberamente a mo’ di conclusione:
1, Auto-apprendimento e auto-organizzazione dell’apprendimento
L’auto-apprendimento è ormai un comportamento diffuso; scoprire le possibilità offerte
dall’apprendimento on-line è una competenza che si sviluppa dall’infanzia fino alla vecchiaia.
È diventata ormai abituale percorrere un testo, cercare a casaccio un passaggio, andare alla
cieca, provare e riprovare con domande successive, riprendere un mezzo paragrafo e perché
no una mezza frase per connetterla a un altro materiale che preesiste, gettare un’occhiata a
informazioni che si ritengono rilevanti o che potrebbero fornire un complemento a quanto si
sta leggendo. Il modo di leggere è cambiato. Succede sovente che con questo modo di fare,
con queste modalità di lettura relazionali che procedono per associazioni, si vada fuori strada
e ci si allontani dal testo originale perché si è captati da quel che si scopre altrove, magari per
caso. Captati dalla sorpresa, si cambia direzione, si abbandona il testo iniziale e si legge
qualcosa d’altro.
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2. Strutture orizzontali
Le istituzioni scolastiche sono per natura autoritarie, organizzate in modo gerarchico,
strutturate in maniera piramidale, dall’alto verso il basso, sono standardizzate e sono
soprattutto obnubilate dalle prestazioni individuali che vanno misurate con una sarabanda di
test. Al contrario, oggigiorno, i regimi di lavoro esigono una collaborazione con colleghi e
lavori in gruppo. Infatti, la messa in comune di competenze molteplici, la sovrapposizione e la
duplicazione delle esperienze potenziano le capacità di lavoro quando si devono risolvere
problemi, scoprire soluzioni, realizzare progetti. Considerata la quantità e la massa di
informazioni disponibili e l’ubiquità dell’accesso alle fonti di informazione nonché alle
risorse, la strategia d’apprendimento evolve si trasforma, non è più imperniata
sull’informazione come tale ma piuttosto sulla valutazione della pertinenza dell’informazione,
non predilige più la memorizzazione dell’informazione quanto la ricerca di fonti di
informazioni attendibili. In altri termini, si passa da “apprendere qualcosa” a “come
apprendere”, dal contenuto alle procedure.
3. Dalla presunta autorità alla credibilità collettiva
L’ apprendimento slitta dalle questioni connesse all’autoritarismo e al rispetto dell’autorità
alle questioni connesse alla credibilità. Il futuro dell’apprendimento sarà sempre più
imperniato sullo sviluppo di metodi, spesso collettivi che permettono di distinguere le buoni
fonti d’ informazione da quelle non attendibili. Sempre più, l’apprendimento concernerà le
modalità per effettuare scelte appropriate - epistemologicamente, metodologicamente,
produttive dal punto di vista della collaborazione – che permettano di affrontare sfide e
problemi complessi. Nel passato, gli ambienti tradizionali di apprendimento erano imperniati
sulla fiducia riposta nell’autorità di coloro che si supponeva fossero i detentori del sapere e
della conoscenza nonché sul ruolo degli esperti riconosciuti da tutti come tali. Questo modello
non è più in grado di resistere data la complessità crescente del sapere odierno e dei problemi
che esso pone.
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4. Una pedagogia decentralizzata
Nell’insegnamento secondario, molti dirigenti e parecchi professori sono stati indotti a
limitare l’accesso alle fonti di informazione elaborate in modo collaborativo e collettivo, in
particolare Wikipedia, per svolgere i compiti a casa o in classe; certe scuole hanno emanato
direttive rigorose per la consultazione di queste fonti e per le citazioni ( la scuola è
ossessionata dal problema del plagio). Questo atteggiamento è una reazione catastroficamente
anti-intellettuale, contraria alla produzione della conoscenza ed è viziata da una cecità nei
confronti di un fenomeno globale di proporzioni epiche. I dirigenti scolastici dovrebbero
invece adottare una pedagogia molto più induttiva, collettiva, che trae vantaggio dalle
possibilità enormi offerte dalla nostra epoca. Per esempio i professori potrebbero mettere a
punto metodi pedagogici basati sul controllo collettivo, sullo scetticismo di fondo alla base di
qualsiasi indagine e sulle valutazioni collettive.
5, Apprendimenti in rete
L’apprendimento in collaborazione, in rete, valorizza le forme di apprendimento presenti nelle
procedure di socializzazione ed amplifica gli effetti di pratiche, abitudini, norme consolidate
dell’apprendimento individualizzato. Per esempio, queste includono le regole che disciplinano
la conversazione, come prendere la parola a turno, porre domande al momento giusto, prestare
attenzione a quanto dicono gli altri e ascoltarli. L’apprendimento in rete, tuttavia, va ben al di
là di queste regole di conversazione ed include anche l’apprendimento delle modalità di
intervento per correggere gli altri, la disponibilità ad essere corretti da altri e la capacità a
lavorare assieme ad altri per modellare soluzioni quando queste non sono immediatamente
disponibili o quando le vie tradizionali dell’apprendimento non le forniscono.
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6. L’educazione aperta (Open source Education)
L’apprendimento in rete non è che un predicato profondamente intrecciato con educazione
aperta. L’educazione aperta significa accettare chi le procedure ed i prodotti
dell’apprendimento migliorino grazie ai contributi di altre persone che mettono gratuitamente
a disposizione di tutti le loro conoscenze. L’apprendimento individualizzato è fortemente
connesso al regime sociale del copyright - ovverosia alla protezione della proprietà
intellettuale la quale si fonda sul concetto che le conoscenze sono di natura privata e che si
deve pagare per accedervi. L’ apprendimento in rete invece è caratterizzato dalla gratuità
dell’accesso all’informazione. L’ apprendimento individualizzato che caratteristica
l’’istruzione tradizionale tende soprattutto a essere gerarchico: si impara da un insegnante , da
un esperto o presunto tale, si usano soprattutto manuali di pubblicazioni protette dal
copyright. L’apprendimento in rete non è più l’apprendimento faccia a faccia ma è un
apprendimento collettivo, una procedura coinvolge una moltitudine di gente, da molti a molti.
(un apprendimento many –to – many inceve di essere peer-to.perr).
7. L’apprendimento sotto forma di collegamenti, interazioni e interscambi
I collegamenti e le interazioni rese possibili dalla tecnologia numerica permettono lo sviluppo
di reti sociali che producono comunità, gruppi spontanei di apprendimento. Quando quste
comunità sono di buona qualità, ossia quando i membri si aiutano a vicenda, ricevono
stimoli d’apprendimento, contributi e prodotti da altri, gli effetti dell’apprendimento sono
amplificati rispetto alle modalità individuali di apprendimento in classe dove ognuno fa per
conto suo e deve arrangiarsi. La natura dell’apprendimento cambia totalmente. La sfida non
consiste più nel realizzare prestazioni individuali straordinarie nel brillare nelle interrogazioni
in classe, quanto piuttosto nel condividere le imprese, nell’elaborare assieme, provando e
riprovando, per trovare le soluzioni ai problemi che si pongono.
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8. Apprendimento lungo tutto l’arco dell’esistenza (Lifelong learning)
E’ ovvio che l’apprendimento partecipativo non finisce mai. L’apprendimento dura tutta
l’esistenza, questo non soltanto in un senso socratico, ossia prendendo coscienza che tanto più
si conosce, tanto meno si sa. L’apprendimento dura tutta l’esistenza anche in un altro senso,
sotto la pressione dell’evoluzione tecnologica, dei progressi della scienza. Siamo costretti
ogni giorno ad apprendere qualcosa di nuovo, ad acquisire nuove conoscenze per far fronte
alle sfide suscitate dalle nuove condizioni di vita. Dobbiamo quindi adottare una
predisposizione del tutto nuova di fronte all’apprendimento che e ci impone di adattarsi a
circostanze nuove in ogni momento. Infatti, non si impara qualcosa per una sola volta perché
questa conoscenza rest valida per tutta l’esistenza. Ci sono conoscenze che restano valide per
tutta la vita, conoscenza che sono i fondamenti epistemici della nostra conoscenza, ma la
conoscenza che si appica tutti i giorni non è solo un intreccio di questi principi. Questa è
davvero una sfida straordinaria. L’apprendimento lungo tutto l’arco dell’esistenza non è solo
una richiesta del mercato; è un’esigenza imposta dai cambiamenti a livello mondiale delle
forme di socializzazione tipiche della cultura della nostra epoca.
9. Le istituzioni scolastiche come poli di animazione dell’apprendimento
L’apprendimento in rete, secondo modalità molteplici di collaborazione, modifica la
rappresentazione che abbiamo delle istituzioni scolastiche nonché la concezione che abbiamo
fin qui coltivato di queste istituzioni. Tradizionalmente, queste istituzioni sono state concepite
come sedi nelle quali si trasmettono norme, codici, regole che governano le interazioni, la
produzione, la distribuzione delle conoscenze nell’ambito di una struttura istituzionale che
funziona secondo proprie regole. Ma cultura di rete e pratiche d’apprendimento associate
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suggeriscono invece che dobbiamo concepire di istituzioni scolastiche in modo del tutto
diverso in particolare come centri di animazione, poli di un insieme di reti, che le fanno
pulsare e che aggregano tutti i membri componenti della rete. I quali membri possono essere a
loro volta coinvolti in varie reti che si sovrappongono tra loro o che si fanno concorrenza
oppure che sono totalmente diverse l’una dall’altra. Questa è una decisione incombe a ogni
individuo e non ai dirigenti o ai responsabili delle reti.
10. Impostazione flessibile dell’apprendimento e simulazione
L’apprendimento in rete e le reti di comunicazione e di interazione che si costituiscono
attorno ai poli di animazione devono restare aperte e soprattutto devono essere impostate
secondo modalità di progressione nell’apprendimento molto differenziate, flessibili. e non più
uniformi come succede con i curricoli ufficiali e reali dei sistemi sociali attualmente in voga.
Le nuove tecnologie rendono possibile la presenza di piccoli gruppi in cui i membri non
convivono in classi, si trovano letteralmente a una distanza fisica gli uni dagli altri ma
nondimeno imparano collaborando tra loro, scambiandosi idee opinioni, scoperte, punti di
vista. Si impara dagli altri perché questi gruppi si compongono secondo scale di competenze
simili; questa modalità non esclude peraltro l’esistenza di grandi gruppi, nei quali l’anonimato
è ancora più importante, gruppi che si rivelano altrettanto produttivi. In vista
dell’apprendimento. le interazioni tra membri dei gruppi sono la chiave del successo. Queste
interazioni si svolgono soprattutto mediante simulazioni virtuali di qualsiasi situazione, di
qualsiasi struttura sociale, di qualsiasi sistema vivente. Non è necessario avere sottomano una
vita reale per osservarla o per ricrearla. L’apprendimento si effettua in gran parte grazie a
simulazioni rese possibili dalle nuove tecnologie. Si può simlare di tutto con un grado sempre
più elevato di realismo. Anche in questo caso l’apprendimento si svolge secondo modalità del
tutto diverse da quelle in vigore nelle istituzioni scolastiche tradizionali. Le ricompense non
sono più i voti dati degli insegnanti ma il rispetto dei membri dei gruppi di lavoro, rispetto
che si merita in funzione dei contributi che ognuno riesce a dare alla collettività per far
progredire l’insieme del gruppo al fine di conseguire insieme, in uno sforzo collettivo, i
risultati sperati.
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Questo decalogo non è di per sé straordinario; non offre nulla di nuovo. È una sintesi di
quanto molteplici indagini, numerose analisi e lunghe osservazioni dell’evoluzione in corso
hanno ripetutamente segnalato. Si può ricamare all’infinito su questi dieci pilastri che
configurano le fondamenta di un’istruzione scolastica diversa da quella attuale. Il problema
però non è questo perché è difficile essere in disaccordo su questi principi. Il problema è un
altro, è di natura politica e sociologica: come cambiare mentalità anchilosate e opinioni
ancorate a nostalgiche visioni del passato che però garantiscono tranquillità spirituale,
sicurezza, adesione sociale e per finire un’ inossidabile solidità delle posizioni di potere? Per
quanto affascinanti ,entusiasmanti e convincenti possono essere questi principi, è difficile che
il sistema scolastico li adotti o predisponga strategie complesse per realizzarli. Forse qualcosa
potrebbe cambiare se si fosse un sistema scolastico nel mondo che su vasta scala metterebbe
appunto la tempistica necessaria e le procedure appropriate per cambiare e deciderebbe in
seguito di modificare da capo a piedi l’impianto scolastico,correndo i rischi relativi e pagando
lo scotto magari di agitazioni sociali da parte degli insegnanti piuttosto indisponenti. In un
caso come questo, l’esempio e la validità dei risultati conseguiti potrebbero servire da stimolo
per incoraggiare i reticenti a modificare la scuola. Questo però non succederà entro il 2020. Si
dovrà senz’altro attendere per altri decenni a meno che l’impalcatura scolastica, di colpo, in
maniera inaspettata, ovunque, crolli su stessa e si disintegri.
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Una rivoluzione abortita?