Filosofia per immagini
L’UNIVERSO INFINITO E LA PITTURA BAROCCA
G. Lanfranco, La gloria dei beati, 1641-44, affresco nella cupola della cappella di San Gennaro (Napoli, Duomo).
La nuova visione del cosmo introdotta dalla rivoluzione scientifica influenza profondamente l’arte barocca,
come segnala nel testo che segue lo storico dell’arte Arnold Hauser.
Con la teoria copernicana non soltanto il cosmo cessò di
volgersi intorno alla terra e all’uomo, ma fu privo di centro,
riducendosi a una somma di parti simili e di ugual valore, la
cui unità riposava esclusivamente sulla validità universale
della legge di natura. [...] L’uomo divenne un fattore piccolo e
insignificante in quel mondo ormai disincantato. Ma la cosa
più notevole fu che egli da questa mutata situazione acquistò
nuova fiducia in sé e nuovo orgoglio. La consapevolezza di
essere in grado di intendere la vastità, la possanza dispotica
dell’universo, di poterne calcolare le leggi conquistando in
tal modo la natura, divenne fonte di uno sconfinato orgoglio
fino allora ignoto. [...] Il terrore del giudice universale cede al
«brivido metafisico», [...] allo stupore per il lungo, ininterrotto
respiro dell’universo. Questo brivido, l’eco degli spazi infiniti,
l’intima unità dell’essere pervadono tutta l’arte barocca. E
simbolo dell’universo diventa l’opera d’arte nella sua totalità,
in quanto organismo coerente, vivo in ogni sua parte. Ognuna
infatti, come i corpi celesti , rimanda a un’infinita, ininterrotta
concatenazione; ognuna contiene la legge del tutto, in ognuna
agisce la stessa forza, lo stesso spirito. Le repentine diagonali,
gli improvvisi scorci prospettici, gli effetti di luce accentuati,
tutto esprime una possente, insaziabile brama d’infinito. Ogni
linea conduce l’occhio lontano, ogni forma in movimento pare
che voglia sorpassare se stessa, ogni motivo rivela una tensione, uno sforzo, come se l’artista non fosse mai del tutto sicuro
di riuscire veramente a esprimere l’infinito.
(A. Hauser, Storia sociale dell’arte, vol. II,
Torino, Einaudi, 1956, pp. 275-78)
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