Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14 TRATTAMENTO RIABILITATIVO E CONTINUITÀ DELL’ASSISTENZA 14.1 OBIETTIVI DELL’ASSISTENZA A FINI RIABILITATIVI E DELLA CONTINUITÀ ASSISTENZIALE Lo scopo di questo paragrafo è identificare sia le caratteristiche peculiari della riabilitazione di un soggetto che ha subito un ictus sia i rapporti dell’attività svolta ai fini del recupero dell’autonomia con quella correlata alla fase di acuzie ed all’assistenza a lungo termine. Si affrontano i quesiti clinici riguardanti gli obiettivi perseguiti dalla riabilitazione e dalla continuità assistenziale nel territorio, gli elementi caratterizzanti la pratica riabilitativa, le variabili che condizionano le modalità e gli esiti del trattamento riabilitativo e gli operatori coinvolti nell’assistenza a medio e lungo termine prevista nell’ambito della continuità assistenziale. Vengono esaminati gli aspetti successivi alla fase acuta sia per le possibilità di riabilitazione che per le esigenze di controllo longitudinale, alla luce dell’età elevata e del rischio cardiovascolare. In particolare viene sottolineata la possibilità di sinergizzare gli obiettivi assistenziali che richiedono competenze professionali diverse. Il paragrafo si rivolge a neurologi, internisti, fisiatri, geriatri, così come alle altre professioni sanitarie dell’area riabilitativa, psicologica e sociale. 14.1.1 Finalità e caratteristiche dell’assistenza destinata al soggetto che ha subito un ictus, dopo la fase di acuzie I punti di seguito espressi definiscono le esigenze globali del paziente che ha subito un ictus secondo le indicazioni fornite da autorevoli fonti di informazione:1 • minimizzare il rischio di morte del paziente per cause cerebrali, cardiocircolatorie, respiratorie, infettive, metaboliche; • contenere gli esiti della malattia limitando il danno cerebrale e le sue conseguenze; • evitare le recidive di danno vascolare dell’encefalo; • limitare la comorbosità conseguente al danno neurologico, alle condizioni cardiocircolatorie ed all’immobilità;2,3 • favorire il recupero delle abilità compromesse dall’ictus allo scopo di promuovere il reinserimento sociale e di utilizzare le capacità operative residue; • definire la prognosi del quadro clinico osservato ed i bisogni a questo correlati, al fine di agevolare la riorganizzazione precoce dell’attività del paziente e soddisfare la sua richiesta di assistenza. Fra quelli elencati i primi due obiettivi sono caratteristici della fase acuta, la prevenzione secondaria dell’ictus è trattata nel Capitolo 12, mentre gli ultimi tre sono espressi in un ambito temporale di lunga durata, che richiede sia un’attività riabilitativa specifica, sia un piano di assistenza continua per tutto il tempo corrispondente alla sopravvivenza del soggetto che ha subito un ictus. In accordo con Wade,4 la riabilitazione può essere definita “un processo educativo e di soluzione dei problemi finalizzato a ridurre la disabilità e l’handicap subiti dall’individuo come conseguenza di una malattia, tenendo sempre conto delle limitazioni imposte sia dalle risorse disponibili sia dalla condizione morbosa sottostante”. Nonostante la dichiarazione di Helsingborg fissi al 2005 la scadenza per raggiungere gli obiettivi di potenziamento dell’assistenza riabilitativa destinata a soggetti colpiti da ictus, una marcata disomogeneità di approccio è costante nella realtà italiana. I dati preliminari di un ampio studio multicentrico nazionale, l’ICR2 , hanno documentato una consistente differenza sia dei parametri gestionali (epoca di ammissione, durata della degenza, tempo di trattamento) sia delle valenze tecniche legate al trattamento (recupero motorio, terapia occupazionale, logoterapia e riabilitazione cognitiva) nei soggetti ammessi a ricovero per riabilitazione intensiva.5 Analogamente, sono eterogenei i comportamenti relativi al controllo longitudinale, all’osservazione periodica in ambito territoriale, alla soddisfazione dei particolari bisogni di salute dei soggetti colpiti da ictus, tenendo conto di fattori quali l’età avanzata, la disabilità persistente e l’elevato rischio di morbosità e mortalità cardiovascolare. Un limite alla diffusione di un corretto approccio riabilitativo può essere dovuto alla carenza di approcci di pratica riabilitativa basati su prove di efficacia (evidence-based practice; EBP). In effetti, le indagini e le revisioni in ambito riabilitativo richiedono una metodologia diversificata rispetto agli studi farmacologici.6 In particolare debbono ancora essere superate le difficoltà di valutazione riguardanti specifici trattamenti, mentre possono essere più agevoli le stesura 15 marzo 2005 351 352 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane verifiche riguardanti il ruolo delle strutture assistenziali e di specifici operatori. Ad esempio, sono evidenti i vantaggi offerti dalle unità ictus a fini riabilitativi, rispetto a strutture generiche, ed i benefici ottenuti dall’apporto professionale dei terapisti occupazionali nel reinserimento a domicilio, mentre non sono disponibili valide prove di efficacia su molti trattamenti destinati al recupero motorio, propedeutico alla rieducazione occupazionale.7 Nonostante tale limite, è crescente l’impegno verso studi clinici controllati nella riabilitazione del soggetto colpito da ictus e sono molteplici le condotte assistenziali basate sulla definizione di aspetti di buona pratica clinica (Good Practice Points – GPP). Questo capitolo si propone di indicare le condotte assistenziali, basate su prove di efficacia o sul consenso di operatori, che sono accettate dalla linee guida più diffuse o ritenute di particolare interesse dagli autori del testo. Gli obiettivi di prevenzione e di contenimento degli esiti invalidanti costituiscono una parte di grande rilievo dell’assistenza dei pazienti sopravvissuti ad un ictus e sono realizzati al fine di riportare il paziente ad una vita indipendente.8,9 Essi non sono in grado di modificare la lesione cerebrale venutasi a creare dopo l’evento vascolare acuto, ma si prefiggono di sfruttare il potenziale di recupero del paziente, allo scopo di ripristinare quanto più possibile, attraverso un processo di apprendimento, la sua autonomia nelle attività quotidiane della vita, riducendo il grado di dipendenza.10 La prima fase dell’assistenza a fini riabilitativi si sovrappone cronologicamente agli interventi finalizzati alla prevenzione delle complicanze favorite dalla situazione di immobilizzazione e da altre menomazioni.11 La probabilità di successo dell’assistenza riabilitativa è definita sulla base di indicatori prognostici delle possibilità di recupero dell’autonomia, i quali consentono di stabilire opportunamente l’utilizzo più appropriato di risorse assistenziali. Raccomandazione 14.1 Grado D Dopo la fase acuta dell’ictus è indicato che il piano assistenziale sia realizzato in strutture specializzate da parte di personale addestrato, tenendo conto delle esigenze a lungo termine del soggetto colpito dall’evento cerebrovascolare acuto. Dopo la dimissione dalla struttura destinata alla fase di acuzie, tutti i soggetti colpiti da ictus richiedono assistenza medica continuativa ed alcuni anche un impegno protratto di riabilitazione. Gli obiettivi dell’assistenza sanitaria a lungo termine, rivolta ad un paziente che ha subito un ictus, comprendono: • la limitazione della comorbosità e delle complicanze favorite dal danno cerebrovascolare e dall’immobilità; • la prevenzione delle recidive di ictus e della morte per cause cardiovascolari; • la definizione della possibile evoluzione della condizione di malattia e delle diverse attività compromesse dall’ictus allo scopo di organizzare un piano assistenziale a lungo termine; • il recupero dell’autonomia, anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione. Molte esperienze, descritte nella letteratura internazionale supportano la necessità di organizzare servizi specializzati per la riabilitazione del soggetto colpito da ictus.12-20 Alcuni studi documentano il ruolo della programmazione assistenziale a lungo termine 21,22 e l’addestramento del team dedicato all’assistenza del soggetto colpito da ictus.23-25 Sia le linee guida scozzesi 26 che quelle del Royal College of Physician (London) 27 nella revisione 2002 supportano l’opportunità di promuovere strutture riabilitative dedicate ai soggetti colpiti da ictus con operatori professionali diversificati che hanno concordato protocolli relativi all’approccio ai problemi assistenziali più comuni. 14.1.2 Sintesi 14-1 Le attività assistenziali a fini riabilitativi che si realizzano dopo un ictus hanno caratteristiche distinte a seconda dell’epoca di intervento e richiedono il contributo di operatori diversi, a seconda degli obiettivi consentiti dalle condizioni cliniche, ambientali e delle risorse assistenziali disponibili. Caratteristiche dell’assistenza a fini riabilitativi correlate all’epoca dell’intervento Il percorso assistenziale a fini riabilitativi è caratterizzato da obiettivi diversi a seconda delle esigenze correlate alla fase clinica.28 In linea generale, le finalità degli interventi che si realizzano in tempi diversi rispetto all’evento ictale, possono essere distinti come segue: • fase di acuzie, prevenzione dei danni conseguenti all’immobilità ed alla compromissione funzionale. Tale periodo assistenziale viene definito come “fase di prevenzione del danno secondario” e sottolinea l’esigenza di perseguire obiettivi correlati alla riabilitazione già nel periodo di acuzie. La fase di acuzie comprende anche il periodo di stabilizzazione clinica, durante il quale al paziente non possono essere richieste prestazioni di particolare impegno; • fase immediatamente successiva all’acuzie, quando il quadro clinico è stabilizzato e l’intervento riabilitativo può positivamente influenzare i processi biologici che sottendono il recupero, nel momento in cui la disabilità è maggiormente modificabile. Tale condizione, definita “fase riabilitativa”, può prevedere una presa in carico con modalità intensiva od estenstesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza siva, a seconda del fabbisogno riabilitativo ed assistenziale, e richiede la disponibilità delle risorse, individuali e contestuali, che garantiscono il massimo impegno nell’attività a fini riabilitativi e può ripetersi in caso di riacutizzazioni o recidive dell’evento patologico; • fase di completamento del processo di recupero previsto dal progetto riabilitativo che in genere è caratterizzata da interventi riabilitativi di tipo estensivo; • “fase del mantenimento e/o di prevenzione della progressione della disabilità” che si protrae per tutta la sopravvivenza residua, ed è finalizzata al mantenimento delle prestazioni acquisite, al controllo periodico dei fattori di rischio di ulteriori eventi disabilitanti, alla prevenzione delle compromissioni funzionali favorite dall’invecchiamento ed alla organizzazione dell’attività quotidiana in maniera adeguata alle caratteristiche individuali ed ambientali. Alcune considerazioni possono chiarire gli aspetti differenziali delle varie fasi dell’intervento assistenziale. È ormai opinione diffusa che l’assistenza finalizzata alla prevenzione del danno indotto dall’immobilità e dalle limitazioni funzionali correlate alla malattia, realizzata durante la fase più precoce della riabilitazione, dovrebbe integrarsi con le attività mirate alla diagnosi ed al trattamento di emergenza nella fase acuta della cura dei pazienti con ictus.29 Nella fase acuta dell’ictus gli obiettivi della prevenzione del danno secondario in grado di influenzare la futura disabilità comprendono elementi che condizionano direttamente l’esito clinico, in termini di autonomia residua, senza incidere sulla lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità e complicanze). Essi sono attribuiti, nella pratica clinica, all’attività riabilitativa, anche se hanno, in senso stretto, poche affinità con la progettualità caratteristica della riabilitazione propriamente detta. Infatti, la prevenzione del danno secondario, caratteristico della fase precoce dell’assistenza a fini riabilitativi mostra alcune differenze rispetto alle procedure che caratterizzano la riabilitazione intensiva:11 a. i programmi assistenziali realizzati al fine di prevenire il danno secondario hanno lo scopo di limitare l’insorgenza di ulteriori problemi clinici, piuttosto che essere direttamente correlati al recupero delle abilità compromesse dalla malattia; b. le pratiche assistenziali sono attivate su soggetti in condizioni cliniche non stabilizzate, che hanno subito un ictus pochi giorni prima e non sono riservate, così come accade per l’attività riabilitativa, a soggetti senza problemi clinici attivi; c. le attività assistenziali ai fini preventivi sono in genere uguali per tutti i soggetti accomunati dal rischio di danno secondario determinato dalle condizioni del paziente e non “tagliate su misura”, sulle base delle caratteristiche individuali della persona malata; d. le procedure di prevenzione del danno secondario possono in gran parte essere realizzate da figure professionali dell’area infermieristica con il supporto degli operatori della riabilitazione. Gli interventi realizzati nella fase precoce dopo l’ictus influenzano sensibilmente la qualità dell’assistenza prestata a soggetti colpiti da questa malattia, così da risultare determinanti nel produrre vantaggi delle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolari acute.12 Un compito della stroke unit è di combinare l’assistenza nella fase acuta, che comprende la prevenzione del danno secondario precoce, all’attività di recupero e mantenimento dell’autonomia realizzata con la riabilitazione a lungo termine. Sulla base di tali presupposti, appare necessario realizzare correntemente l’attività di riabilitazione della fase precoce all’ictus fin dai primi giorni dopo l’evento, utilizzando tutte le risorse di personale disponibili.30 D’altro canto, le attività che saranno di seguito esposte possono, in gran parte, essere realizzate da personale infermieristico, a testimonianza del fatto che la coerenza del programma assistenziale può assumere maggiore rilievo dello specifico trattamento praticato.10,12 Gli obiettivi della prevenzione del danno secondario all’evento ictale, da realizzare precocemente, possono essere sintetizzati come segue:31 A. contenimento della rigidità articolare indotta dall’immobilità; B. conservazione dell’integrità cutanea; C. potenziamento della profilassi delle infezioni respiratorie e delle trombosi venose profonde; D. esaltazione della partecipazione all’attività fisica e ai programmi assistenziali previsti nelle varie ore della giornata; E. facilitazione della verticalizzazione e prevenzione delle cadute (dal letto e nei trasferimenti); stesura 15 marzo 2005 353 354 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane F. formulazione di una prognosi ai fini della identificazione delle esigenze assistenziali destinate al recupero da attivare a breve e medio termine. A differenza dell’attività legata alla prevenzione del danno secondario, la riabilitazione intensiva si realizza quando le condizioni cliniche sono stabilizzate e sono quindi disponibili le risorse fisiche e psichiche che consentono al soggetto malato di impegnarsi a fondo nell’attività destinata al recupero. In considerazione del fatto che il processo riabilitativo è in gran parte basato su metodiche di apprendimento, appare opportuno sottolineare alcuni principi generali della riabilitazione del soggetto colpito da ictus e successivamente affrontare gli aspetti specifici. 1. le abilità e le conoscenze pratiche da acquisire devono essere utili al paziente nell’attività comunemente espletata; 2. le attività che il paziente è in grado di svolgere dovrebbero essere ben definite e ricorrenti nell’attività della giornata; 3. l’addestramento ad una specifica prestazione deve essere graduale e deve gratificare il paziente attraverso il raggiungimento di obiettivi prefissati; 4. le istruzioni per il paziente debbono essere date in maniera chiara e comprensibile, attraverso messaggi brevi, semplici e diretti allo scopo; 5. i compiti assegnati al paziente debbono essere mirati a raggiungere l’abilità che si intende recuperare; 6. le fasi di apprendimento debbono realizzarsi lentamente, tanto da garantire una corretta esecuzione dell’addestramento e la necessaria sicurezza; 7. è opportuno rinforzare il comportamento appreso dal paziente, attraverso un feed-back fornito dal terapista o da apposita strumentazione; 8. il paziente deve essere incoraggiato ad utilizzare correntemente le prestazioni acquisite, negli intervalli fra le sedute di addestramento, sia nella sede di degenza sia a casa. È infine da sottolineare che le prestazioni acquisite durante la fase di trattamento riabilitativo intensivo od estensivo tendono a regredire, se non supportate da costante esercizio, correlato anche alla realizzazione quotidiana dei compiti appresi. A tale scopo è cruciale mantenere alta la motivazione del paziente, attuare periodi di recupero in caso di eventi intercorrenti che modifichino le abitudini operative acquisite, realizzare verifiche esterne delle prestazioni abituali, al fine di programmare ulteriori fasi di addestramento specifico in relazione alle potenzialità del soggetto colpito da ictus. 14.1.3 Sintesi 14-2 La scelta dei soggetti da destinare alle strutture assistenziali dedicate alla fase post-acuta di un ictus è basata sulla probabilità del beneficio e sulla disponibilità delle risorse. Aspettative individuali e sociali: ripercussioni bioetiche In ambito di riabilitazione il problema in primo piano è talora rappresentato dalla scarsità delle risorse ad essa dedicate: è ben noto che i soggetti colpiti da ictus permangono troppo a lungo nei reparti di degenza acuta e hanno grosse difficoltà ad essere accolti tempestivamente nei reparti di riabilitazione intensiva. L’eventuale scarsità di risorse crea un ulteriore problema di selezione, non meno grave e difficile di quello relativo all’accesso alla stroke unit e per il quale si possono richiamare, per analogia, le linee guida dell’AMA già menzionate.32 La scelta dei malati da riabilitare e dell’ambito più idoneo all’assistenza dopo la fase acuta dell’ictus è compito del team assistenziale o dei medici specialisti dedicati alla riabilitazione, che nella pratica per lo più seguono i criteri allocativi già esposti. Fra di essi il primo ad essere preso in considerazione è quello della “probabilità del beneficio”, in base al quale vengono tendenzialmente preferiti gli stessi malati che avrebbero accesso alle stroke unit, cioè i malati con compromissioni medio-gravi, ma non gravissime, e non deteriorati in maniera importante sul piano cognitivo. Purtroppo, però, vengono spesso introdotti criteri selettivi che non rientrano fra quelli definiti come appropriati e in particolare il criterio della disponibilità della famiglia a farsi carico del malato, dopo il ricovero a fini riabilitativi. Non si vuole qui mettere in discussione l’opportunità di coinvolgere la famiglia nel processo riabilitativo, che rimane indispensabile. Il problema è che, per garantire la disponibilità dei posti-letto nelle strutture riabilitative residenziali, è di fatto necessario richiedere alla famiglia di farsi carico del malato, al momento della dimissione. Quando manchi o sia comunque inadeguata la famiglia, spesso il malato non viene accolto. Ciò fa sì che i malati più gravi e più soli, cioè i più deboli e indifesi, siano in chiaro svantaggio rispetto agli altri: un esito chiaramente inaccettabile in una società solidale. Quanto precede non vuole essere una critica dell’operato della struttura assistenziale dedicata alla riastesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza bilitazione dopo ictus, nella quale si cerca giustamente di amministrare una risorsa limitata nel modo più efficiente e più equo, ma un preciso richiamo alle autorità responsabili della politica sanitaria affinché mettano a disposizione dell’assistenza ai soggetti disabili risorse maggiori. Si apre qui un problema importantissimo e si evidenzia un compito fondamentale per le associazioni che difendono gli interessi dei pazienti. Fra i principali criteri di selezione dei pazienti da riabilitare vi sono quello dell’appropriatezza e dell’efficacia dell’intervento riabilitativo. Circa l’appropriatezza, può sorgere, come abbiamo detto, un problema di contrasto di interessi fra i medici del reparto per acuti, che tendono a dimettere comunque e il più rapidamente possibile il paziente – a prescindere dalla capacità del reparto accettante a fornire i servizi necessari – e il paziente con la sua famiglia, che desiderano avere il tempo necessario a trovare la soluzione più adatta ai propri bisogni ed alle proprie possibilità. In questo contesto si pone inoltre la questione della chiarezza della proposta riabilitativa nei confronti del malato e della famiglia. Esemplificando: è possibile offrire un piano di degenza prolungato nel tempo, in assenza di sostegno dopo la dimissione (come avviene nei centri svizzeri per paraplegici) oppure una degenza limitata nel tempo, ma seguita da interventi domiciliari (p.es. l’Assistenza Domiciliare Integrata; ADI). Quanto all’efficacia, ci si chiede se sia corretto definire “riabilitative” strutture che sono talora puramente assistenziali, in grado di offrire “sollievo” alla famiglia, ma senza disporre delle conoscenze e/o del personale necessario ad impostare un programma riabilitativo in grado di riportare in famiglia il paziente. In ogni caso, si ritiene indispensabile un intervento deciso nel campo della prevenzione dell’isolamento sociale, attraverso misure assistenziali adeguate nella fase di cronicità sia domiciliare (ADI, problema degli ausili e delle barriere architettoniche) che residenziale (RSA), se si vuole evitare di aggiungere disabilità e sofferenza a quelle che l’ictus già causa in proprio. Si può ripetere a questo proposito quanto già espresso in precedenza sulla sollecitazione all’autorità politica preposta al governo della sanità. Altri importanti quesiti di ordine etico sono stati recentemente sottolineati dalle linee guida scozzesi 26 In primo luogo, viene sottolineato che le unità assistenziali dedicate all’ictus dovrebbero essere dotate di risorse per la rianimazione cardiopolmonare. Un’organizzazione delle cure ispirata a questo principio appare concordare con linee di tendenza sempre più diffuse nell’intero ambito sanitario secondo cui in tutte le strutture (e non solo in quelle orientate al trattamento dell’ictus) è necessario prevedere possibilità di intervento di rianimazione cardiopolmonare di base (tipo BLS, Basic Life Support). Si veda inoltre la discussione sui problemi etici connessi alla rianimazione cardiopolmonare (ordini DNR) nel § 8.7.2. Un secondo aspetto riguarda la opportunità di trattamenti invasivi, o con effetti secondari rilevanti e sfavorevoli (quali ad esempio certi trattamenti antibiotici) in pazienti particolarmente compromessi e con ridotta aspettativa di vita, in cui è indispensabile valutare la possibile sproporzione fra i risultati ottenibili da un lato, e il disagio per il paziente ed i costi per la collettività dall’altro. In tali situazioni viene sottolineata la possibilità di decidere fra un approccio aggressivo o sintomatico sulla base di una discussione fra i componenti del team assistenziale ed i familiari, compreso il paziente quando possibile, tenendo conto comunque della situazione specifica di ciascun soggetto. 14.1.4 I protagonisti dell’attività assistenziale: ruolo degli operatori sanitari, dell’utenza e delle associazioni I soggetti sopravvissuti ad un ictus richiedono, in oltre la metà dei casi, un’efficiente risposta sanitaria per tutta la durata della propria vita residua, con coinvolgimento di diversi operatori e molteplici competenze mediche. Le linee guida scozzesi (SIGN) dedicate all’ictus 26 sottolineano l’esigenza di promuovere unità riabilitative dedicate selettivamente all’ictus ed identificano i membri che partecipano al team riabilitativo (medico, infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logoterapisti, assistenti sociali) riconoscendo per ognuno di questi un tempo di impiego nell’assistenza ai pazienti. Langhorne e Pollock per conto della Stroke Unit Trialist Collaboration definiscono le componenti realmente significative di una stroke unit efficiente, sottolineando i ruoli dei diversi operatori ed i collegamenti con i medici del territorio e con gli utenti.25 Gli operatori coinvolti nello stroke team dovrebbero riunirsi almeno una volta alla settimana.26 stesura 15 marzo 2005 355 356 Raccomandazione 14.2 ❊GPP È indicato costituire un’organizzazione efficiente di operatori finalizzata all’assistenza del soggetto che ha subito un ictus, attraverso la formazione di un team interprofessionale con esperienza specifica che condivida i diversi approcci assistenziali. Se le risorse disponibili lo consentono, è richiesta la partecipazione sia di operatori non medici (dell’area riabilitativa, infermieristica, psicologica e sociale) sia di medici specialisti, coinvolti nella soluzione delle problematiche correlate alla patologia cerebrovascolare, e di medici di medicina generale, con il supporto di rappresentanti delle associazioni laiche. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane In linea generale, gli interventi necessari durante tutta la durata della sopravvivenza di un individuo che ha subito un ictus sono di tipo sia sanitario sia sociale e, nel primo caso, richiedono sia l’intervento medico sia di altri professionisti impegnati in specifici programmi di trattamento. Per realizzare tali obiettivi in maniera omogenea, molte comunità socio-sanitarie definiscono criteri generali di comportamento condivisi tra tutti gli operatori sanitari. Lo scopo di indicazioni condivise racchiuse in linee guida o profili di assistenza, riguardanti le cure che si rendono necessarie dopo l’ictus è rappresentato dall’attivazione di una pratica clinica corrente basata sui seguenti aspetti:8,9,11 • organizzazione di servizi efficienti, caratterizzati da criteri di ammissione, trattamento e dimissione ben codificati e dall’impiego ottimale di tutte le risorse necessarie al recupero; • proposta di procedure assistenziali basate sull’evidenza e, quando non disponibili, realizzazione di progetti e programmi terapeutici sulla base di criteri ben identificabili; • coinvolgimento di pazienti e familiari nell’attività di recupero, attraverso l’identificazione dei ruoli di ogni componente del processo assistenziale e l’esaltazione delle verifiche, basate sul risultato percepito dall’utente; • stimolo alla ricerca al fine di definire il comportamento più appropriato nelle diverse “aree grigie” che caratterizzano l’assistenza al paziente con ictus. Tenendo conto di tali obiettivi, risulta evidente che le indicazioni inerenti l’assistenza dopo la fase acuta interessano tutti coloro i quali, a vario titolo e con diverse competenze, possono contribuire ad alleviare il peso individuale e sociale conseguente all’evento ictale. I destinatari delle linee guida sull’assistenza dopo la fase acuta possono essere identificati come segue: • responsabili dell’organizzazione assistenziale cui necessitano informazioni sui seguenti aspetti: – entità del problema clinico e sociale; – risorse assistenziali in termini operativi; – risorse di personale e materiale necessari all’attività assistenziale continua, comprensiva anche della fase riabilitativa; – indicatori di efficacia ed efficienza degli interventi sanitari; – qualità dell’intervento dei diversi operatori; • medici cui è richiesto di definire prognosi e obiettivi dell’assistenza; • terapisti ed altri sanitari a cui è richiesta l’elaborazione del programma assistenziale individuale; • strutture territoriali a valenza sanitaria e sociale cui è demandato il compito di minimizzare gli svantaggi derivati dall’ictus; • pazienti e familiari ai quali sono richieste: – la consapevolezza degli obiettivi di assistenza; – la partecipazione attiva ai programmi di recupero; – la critica mirata a migliorare il processo assistenziale; – l’apprendimento dei comportamenti necessari a ridurre l’impatto delle menomazioni sull’attività della vita quotidiana. In considerazione delle attività necessarie alla realizzazione di un’adeguata assistenza al soggetto colpito da ictus, appare indispensabile sottolineare l’esigenza di costituire team composti da professionisti, medici ed altri operatori sanitari di diversa competenza professionale dedicati alla soluzione dei problemi indotti da tale condizione morbosa.23,24,33 Ai diversi operatori professionali non medici attivi in ambito riabilitativo, infermieristico, psicologico e sociale viene richiesto di acquisire una competenza specifica, così come ai diversi operatori medici, rappresentati dagli specialisti più frequentemente coinvolti affiancati dai medici di medicina generale. Il team deve preparare profili assistenziali specifici, con il supporto dei rappresentanti delle associazioni laiche interessate alle problematiche dei soggetti che hanno subito un danno cerebrovascolare. L’operatività più proficua del gruppo di operatori è definita “interprofessionale” al fine di sottolineare il processo di condivisione delle diverse attività, più vantaggioso rispetto alla semplice aggregazione di operatori identificata con il termine “multiprofessionale”. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.2 PROGNOSI 357 FUNZIONALE DOPO L’ICTUS In questa sezione si intendono identificare i parametri che consentono di predire l’evoluzione funzionale dopo un evento ictale, in termini di recupero dell’autonomia nelle attività della vita quotidiana e delle singole attività maggiormente compromesse dal danno cerebrale. Alla luce delle informazioni riportate nella sezione potrà essere data una risposta attendibile ai quesiti relativi all’aspettativa di recupero, formulati sia nella fase precoce dell’ictus che a distanza da esso. In molti casi l’organizzazione dell’assistenza è basata sulla previsione dell’evoluzione: in relazione alla ricorrenza di determinate situazioni a valore predittivo, potrà essere definito un programma assistenziale con minor rischio di utilizzo inappropriato di risorse . La sezione si rivolge ai medici impegnati nell’assistenza della fase acuta dell’ictus ed agli operatori dello staff a cui è richiesto di collaborare alla formulazione del progetto riabilitativo, sottoscritto dallo specialista fisiatra responsabile. 14.2.1 Classificazione dei fattori influenti sul recupero funzionale e loro ruolo nella pianificazione dell’assistenza e nell’informazione dei pazienti e dei familiari Nella programmazione dell’assistenza al soggetto sopravvissuto ad ictus l’identificazione dei fattori prognostici è di fondamentale importanza per realizzare una corretta selezione dei pazienti destinati alle diverse modalità di assistenza riabilitativa. Molti autori hanno valutato fattori in grado di predire risposte favorevoli o scarse al trattamento riabilitativo.34-46 L’individuazione nella fase acuta di elementi predittivi consente infatti di classificare i soggetti in relazione a obiettivi funzionali e assistenziali diversi, ottimizzando la destinazione delle risorse economiche ed umane, che saranno maggiormente dedicate a coloro che più possono trarne vantaggio. La rapida elaborazione di una prognosi consente inoltre di stabilire, fin dalla fase acuta, un’alleanza terapeutica con il paziente e/o i familiari, in cui questi ricevono un’informazione corretta in merito agli obiettivi funzionali realizzabili e sono messi in condizione di formulare aspettative concrete e collaborare al progetto riabilitativo. I molteplici fattori emersi dagli studi epidemiologici condotti in passato sono stati classificati come “definiti” e “probabili”,34 in relazione alla forza dell’evidenza a supporto del loro significato prognostico. Successive elaborazioni hanno messo in discussione il ruolo predittivo indipendente di molti fattori cosiddetti “definiti”, rendendo necessari ulteriori approfondimenti. Allo stato attuale, in linea con le teorie cui si ispira la classificazione internazionale delle funzioni ICF (International Classification of Functioning)47 – la quale rappresenta l’evoluzione della classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap ICIDH 48 – è possibile separare i parametri correlabili ad un esito funzionale in fattori “individuali” ed “extraindividuali”, “preesistenti all’evento morboso” ed “emergenti”. Nella Tabella 14:I viene suggerita l’identificazione dei diversi fattori prognostici della disabilità post-ictus, in accordo con la classificazione descritta. Di seguito vengono proposte le migliori evidenze disponibili a supporto del significato predittivo di ciascuno di essi. 14.2.1.1 Raccomandazione 14.3 Grado D L’identificazione dei fattori prognostici influenti sul recupero funzionale è indicata al fine di pianificare correttamente l’assistenza ed utilizzare le risorse disponibili in maniera appropriata. Condizioni individuali preesistenti ed emergenti 14.2.1.1.1 Età Esistono numerose segnalazioni sul ruolo sfavorevole dell’età sulla prognosi funzionale dei pazienti con postumi di ictus,46,49-55 anche se non tutti gli autori concordano su tale relazione, presupponendo che l’età pesi in ragione dell’aumento delle comorbosità.56 L’importanza di tale fattore sarà probabilmente sempre maggiore in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione. In realtà gli studi a supporto dell’impatto negativo dell’età sul recupero funzionale sono controbilanciati dalle osservazioni di altri che negano questa possibilità, ma sono comunque penalizzati dalla valutazione statistica condotta mediante analisi univariata.57 Un recente studio prospettico su circa 4·500 casi, condotto in 7 stati europei, ha documentato, peraltro, come gli ultraottantenni colpiti da ictus siano per lo più femmine, già residenti presso case di riposo o di cura e portatrici di disabilità. L’applicazione dell’analisi multivariata ha quindi dimostrato come gli unici parametri con valore predittivo indipendente ai fini dell’esito funzionale postictus siano rappresentati, in fase acuta, da un’alterazione dello stato di coscienza, dalla gravità del deficit motorio e dalla disfagia, escludendo quindi il ruolo prognostico.58 stesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-3 L’età elevata non rappresenta un limite alle possibilità di recupero funzionale del soggetto colpito da ictus, se non associata ad altri parametri con valore predittivo sull’esito. 358 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Tabella 14:I – Classificazione dei fattori prognostici della disabilità post-ictus fattori individuali preesistenti 1. età 2. sesso 3. livello di autonomia premorboso 4. precedenti ictus 5. comorbosità emergenti 1. sede e gravità della lesione encefalica 2. gravità e complessità della espressione clinica: a. gravità del deficit stenico b. perdita del controllo sfinterico c. alterazione del tono muscolare d. emi-inattenzione spaziale e. afasia f. disturbi cognitivi g. disfagia 3. gravità del deficit funzionale: a. perdita del controllo del tronco b. perdita di autonomia nelle ADL 4. depressione e disturbi psichici fattori extraindividuali • ambiente socioeconomico • presenza di conviventi autonomi • organizzazione del sistema sanitario • organizzazione dell’assistenza all’ictus in fase acuta: a. setting b. tempestività della presa in carico riabilitativa c. continuità dell’assistenza • reazioni emotivo/affettive del caregiver 14.2.1.1.2 Sesso Sintesi 14-4 È descritto un più elevato rischio di istituzionalizzazione in soggetti di sesso femminile, rispetto ai maschi coniugati, ma l’esistenza di una correlazione causale tra questi due fattori non è supportata da alcuno studio controllato. I dati sul ruolo del sesso sulla prognosi funzionale sono al momento contrastanti. La maggior parte degli autori non segnala la prevalenza di uno dei due sessi nella condizione di disabilità post-ictus.46,56,59 Recentemente è stato segnalato che le donne hanno un recupero della menomazione e della disabilità più limitato rispetto all’uomo, a causa di condizioni in genere più gravi dopo l’ictus.60 Inoltre, i soggetti di sesso femminile vengono ricoverati in residenze protette con una frequenza doppia rispetto ai soggetti di sesso maschile mentre i maschi coniugati hanno una minore probabilità di essere istituzionalizzati.61 Alcuni dati vanno però considerati con cautela, in quanto l’istituzionalizzazione può essere condizionata da cultura e tradizioni diverse da paese a paese. 14.2.1.1.3 Livello di autonomia premorboso Sintesi 14-5 I soggetti residenti in strutture sanitarie od assistenziali al momento dell’evento ictale presentano un rischio particolarmente elevato di compromissione ulteriore dell’autonomia. È ragionevole pensare che il livello funzionale mostrato dal paziente prima dell’evento ictale individui la condizione basale di riferimento cui è mirato il processo riabilitativo indicando il presumibile plateau del recupero atteso. Inoltre, la preesistenza di disabilità incrementa il rischio di complicanze correlate all’emergenza di deficit motorio e può limitare le risorse residue disponibili per l’acquisizione di un’autonomia modificata. Tuttavia, pochi studi hanno indagato il ruolo predittivo indipendente di questa condizione non facile da documentare. Un’espressione indiretta di disabilità premorbosa, come la presenza di istituzionalizzazione, è fattore prognostico negativo riconosciuto,58 tanto che negli ultraottantenni, una condizione di istituzionalizzazione precedente all’evento ictale triplica il rischio di disabilità persistente e incrementa di circa 7 volte quello di handicap emergente. 14.2.1.1.4 Ictus preesistenti Precedenti lesioni del parenchima cerebrale, indipendentemente dall’impatto clinico determinato, limitano la realizzazione dei meccanismi di neuroplasticità destinati a compensare il deficit funzionale emergente.37 14.2.1.1.5 Comorbosità Sintesi 14-6 La presenza di condizioni morbose non disabilitanti, nei soggetti che subiscono un ictus, ha impatto sfavorevole sulla mortalità, ma non riduce l’entità del recupero funzionale, influenzandone unicamente la latenza. Tra le patologie concomitanti, il diabete e le cardiopatie sono considerate potenziali fattori di incremento del rischio di mortalità e di complicanze in fase acuta e sub-acuta e, secondariamente, di un esito funzionale scarso. L’impatto prognostico di questi fattori si realizza peraltro soprattutto nella fase di degenza per acuti.62 Nei sopravvissuti ad ictus che acquisiscono la stabilizzazione clinica, nessun elemento di comorbosità singolarmente considerato sembra interferire con la realizzazione del progetto riabilitativo, mentre il sommarsi di più elementi morbosi riduce l’efficacia dell’intervento dato che occorre più tempo per conseguire gli stessi risultati.46 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 359 14.2.1.1.6 Sede ed entità della lesione La sede della lesione encefalica gioca un ruolo cruciale nel determinare l’espressione clinica e, di conseguenza, l’esito funzionale. Il valore predittivo di questo parametro è peraltro subordinato alla gravità e tipologia della manifestazione semeiologica.41 Alla luce di questa consapevolezza è ormai possibile escludere il valore prognostico indipendente del lato (destro o sinistro) del danno encefalico, così come del suo meccanismo patogenetico (emorragico o ischemico).63-65 Nell’ambito delle lesioni delle aree motorie, il coinvolgimento dell’area primaria, premotoria o supplementare non produce differenze ai fini del recupero dell’arto superiore, mentre la limitazione del danno alla zona corticale rappresenta un vantaggio rispetto al coinvolgimento delle strutture sottocorticali. Infine, appare documentata la rilevanza strategica del braccio posteriore della capsula interna, la cui integrità favorisce il recupero dopo lesione del fascio piramidale.66 In definitiva, però, non sono disponibili sufficienti dimostrazioni per sostenere la superiorità prognostica dei risultati di indagini di neuroimmagine rispetto ai dati clinici.67 La classificazione anatomo-clinica dei sottotipi di ictus proposta da Bamford 68 rappresenta un ottimo tentativo di mediazione che correla la valutazione neurologica del deficit emergente al danno encefalico sottostante. Una valutazione degli esiti funzionali che prenda spunto da questa classificazione dimostra come danni estesi (da lesione totale del circolo anteriore, TACI) pregiudicano la probabilità di sopravvivenza e incrementano significativamente la probabilità di grave disabilità residua sia a 3 sia a 12 mesi.69 Non esistono peraltro differenze sostanziali in termini di probabilità di recupero funzionale a 3 mesi (pari a circa il 50%, in media) e di qualità della limitazione di ruolo tra i restanti sottotipi. Ciò dimostra che le piccole lesioni lacunari incidono, in termini funzionali, quanto lesioni non lacunari parziali del circolo anteriore. Sintesi 14-7 Le lesioni totali del circolo anteriore, siano esse destre o sinistre, definite secondo la classificazione di Bamford, correlano con una più elevata probabilità di disabilità residua grave, mentre non vi sono differenze apprezzabili fra gli altri sottotipi, in termini di esito funzionale. 14.2.1.1.7 Gravità e complessità dell’espressione clinica La tipologia dell’espressione clinica è, tra i fattori emergenti dopo ictus, quello gravato dal maggior significato prognostico ai fini della probabilità di sopravvivenza, di complicanze in fase acuta e di recupero funzionale.70-72 La gravità della compromissione neurologica globale è misurabile con scale cliniche quali la Scandinavian Stroke Scale,71 o la National Institutes of Health Stroke Scale.73 In uno studio su comunità condotto su più di 1·000 pazienti, questo indice si è rivelato fattore predittivo indipendente di mortalità, di menomazione e disabilità residua immediatamente dopo la fine dell’intervento riabilitativo e a 6 mesi, nonché di probabilità di rientro a domicilio. Ciò non toglie che l’intervento riabilitativo consenta il miglioramento della funzione anche in questo sottogruppo di soggetti, nel 50% dei casi.71 Il perfezionamento della prognosi richiede, verosimilmente, il bilancio dei deficit neurologici singoli che contribuiscono al punteggio totale, secondo quanto di seguito esplicato: a. disturbo dello stato di coscienza: la presenza di coma o sopore all’esordio è fattore predittivo genericamente sfavorevole quoad vitam et valetudinem.74,75 b. gravità del deficit stenico: la gravità della menomazione motoria a carico degli arti controlaterali alla lesione ictale, valutata in fase acuta (a 7 giorni dall’ictus) predice il recupero funzionale segmentario.58 Ciò è vero sia per l’arto superiore, dove l’assenza di motricità distale a 7 giorni dall’ictus riduce al 20% la probabilità di recupero della destrezza, sia per l’arto inferiore dove la presenza di movimenti volontari in fase acuta indica una possibilità di recupero della deambulazione pari all’80%.75 c. perdita del controllo sfinterico: il significato prognostico sfavorevole di un mancato recupero del controllo sfinterico è supportato da numerosi studi.37,58,73,76-78 al punto che questo parametro è stato inserito in molteplici equazioni prognostiche mirate a predire l’esito funzionale dopo ictus.79,80 La mancata acquisizione della continenza vescicale all’inizio o, a maggior ragione, alla fine del trattamento riabilitativo riduce la probabilità di rientro a domicilio in misura compresa tra il 30% e il 50%,46 ed è correlata ad un maggior rischio di riospedalizzazione.81 Il fatto che l’incontinenza rappresenti verosimilmente un indice indiretto della gravità del deficit neurologico non ne riduce la valenza prognostica.82 d. alterazioni del tono muscolare: la revisione della letteratura non fornisce dati in merito al significato predittivo della spasticità ai fini dell’esito funzionale dopo ictus. È credenza diffusa che un ipertono emergente all’arto superiore, nella fase acuta o subacuta, comprometta le possibilità di recupero della destrezza, ma in realtà nessuno studio osservazionale ha consentito di determinare il significato predittivo indipendente di questo fattore, rispetto all’impatto di una grave compromissione motoria. Al contrario, un’analisi retrospettiva su pazienti con emiplegia residua post-ictus ha mostrato come il basso livello di recupero funstesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.4 Grado D Nella valutazione dell’approccio riabilitativo è indicato tenere conto della gravità dell’espressione clinica nella fase di acuzie dell’ictus (coma all’esordio, incontinenza sfinterica, persistenza di grave deficit) e della presenza di condizioni in grado di influenzare negativamente il recupero dell’autonomia (alterazioni gravi del tono muscolare, disfagia, emiinattenzione, afasia globale). Sintesi 14-8 Il coma all’esordio, la persistenza della perdita di controllo sfinterico e la lunga durata della plegia rappresentano indicatori predittivi sfavorevoli nei confronti del recupero dell’autonomia. Sintesi 14-9 Una persistente flaccidità od una grave spasticità rappresentano condizioni in grado di influenzare negativamente il recupero della motilità. 360 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Sintesi 14-10 Una grave afasia condiziona negativamente il recupero dell’autonomia nelle attività quotidiane. e. Sintesi 14-11 L’emi-inattenzione spaziale influenza negativamente il recupero delle prestazioni motorie. f. g. h. Sintesi 14-12 Gradi intermedi di perdita dell’autonomia e l’acquisizione del controllo del tronco si associano ad una maggiore efficacia del trattamento riabilitativo. Raccomandazione 14.5 Grado D Nella progettazione del trattamento riabilitativo, è indicato realizzare un bilancio funzionale, utilizzando scale diffuse e validate, con particolare attenzione ad alcuni elementi di valutazione, quali il controllo del tronco. zionale in questi soggetti fosse più frequentemente associato con una condizione di flaccidità persistente piuttosto che di spasticità.83 Recentemente, Daviet et al.84 hanno indicato nella spasticità dell’arto superiore uno dei fattori associati con l’insorgenza di una sindrome dolorosa regionale complessa, unitamente al deficit motorio e sensitivo e ad uno stato di coma all’esordio. afasia: un disturbo afasico post-ictale è frequente (nel 38% della casistica di Pedersen e coll.)85 e può condizionare il recupero e la qualità della vita. Un trattamento logoterapico è normalmente di routine nei pazienti afasici, ed è consigliato come una prassi standard,86 anche se, in una recente revisione Cochrane, è stato segnalato che i dati attualmente disponibili non permettono di chiarire se la terapia riabilitativa del linguaggio sia chiaramente efficace od inefficace.87 La gravità iniziale dell’afasia è il principale fattore prognostico per la risoluzione dell’afasia stessa.85 Tra i disturbi del linguaggio, l’afasia globale è in grado di interferire in maniera rilevante con il recupero dell’autonomia funzionale nelle attività di vita quotidiana.88-90 emi-inattenzione spaziale: la maggior parte delle segnalazioni concordano sul pesante impatto del neglect sullo stato funzionale dei pazienti post-ictali,91-96 anche se non è dimostrata la sua indipendenza da altri fattori associati.97 Sebbene una specifica terapia riabilitativa per l’emi-inattenzione sia in grado di migliorare alcune specifiche prestazioni 98 e sia attualmente consigliata nella pratica clinica,86 tuttavia problematiche metodologiche non permettono di chiarire quale metodica riabilitativa sia più efficace.99 Alcune osservazioni hanno segnalato che la riabilitazione cognitiva è in grado di ridurre l’impatto funzionale del neglect sulla mobilità e sulle attività di vita quotidiana,100 tuttavia il suo reale impatto sulla disabilità è ancora oggetto di discussione.98 aprassia ed agnosia aprassia: un disturbo aprassico è frequentemente osservabile nei pazienti con cerebrolesioni sinistre, ma il suo impatto sullo stato funzionale, considerato tradizionalmente sfavorevole,101,102 è stato recentemente confutato da Pedersen e coll. attraverso un’analisi multivariata.103 Un trattamento riabilitativo specifico focalizzato sulle ADL è in grado di migliorare la prognosi funzionale.104 anosognosia: l’anosognosia, osservabile nel 20%-30% dei pazienti con cerebrolesioni destre, condiziona il recupero nelle attività di vita quotidiana.96,103 disfagia: la comparsa di disfagia dopo ictus è evento frequente e invalidante.105 Recenti studi prospettici sostengono l’impatto negativo di questa manifestazione clinica, che incrementa il rischio di mortalità e morbosità a seguito di polmoniti ab ingestis 58,106,107 e risulta associato con un minor beneficio ottenibile dopo intervento riabilitativo e con un elevato rischio di istituzionalizzazione.46 Il 37% dei pazienti con disfagia sviluppa polmonite ed il 38% decede per l’infezione, se non sono attuati interventi di prevenzione e trattamento.108 La polmonite ha un’incidenza sei volte superiore nei pazienti che hanno aspirazione silente rispetto a coloro che hanno tosse dopo aspirazione.109 Uno stato di malnutrizione è stato identificato in circa il 50% dei pazienti ospedalizzati affetti da esiti di ictus,110 e rappresenta una delle variabili più significativamente correlate all’esito funzionale, ai tempi di degenza ed al numero di nuovi ricoveri in ospedale.111-113 La persistenza della disfagia inoltre determina un impatto significativo sulle attività funzionali del paziente e sulla sua qualità di vita.105 14.2.1.1.8 Gravità della compromissione funzionale a. autonomia nella vita quotidiana: la gravità della disabilità emergente valutata in fase acuta tramite misure globali di autonomia (scala di Barthel, scala FIM-Functional Independence Measure), rappresenta una delle variabili predittive più potenti ai fini dell’esito funzionale.37,46,114 Recenti studi di comunità condotti su oltre 2·000 soggetti hanno sottolineato la relazione inversa esistente tra la perdita di autonomia in fase acuta e la probabilità di rientro a domicilio dopo la dimissione dal reparto di degenza per acuti.71,73,115 Il punteggio totale alla scala FIM all’inizio del trattamento riabilitativo è il principale fattore predittivo del punteggio FIM al termine del trattamento stesso,115 tanto che il suo utilizzo è stato preso in considerazione come strumento di pianificazione dell’assistenza necessaria al momento della dimissione e come utile base per impostare gli obiettivi dell’intervento riabilitativo e concordarli con il paziente ed i familiari. In particolare, è documentato come punteggi intermedi di disabilità (ovvero la fascia compresa tra 37/126 e 72/126 misurata con scala FIM), corrispondano a maggiori vantaggi in termini di efficienza dell’intervento riabilitativo.116 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 361 b. deficit funzionale selettivo: l’interesse nei confronti delle misure funzionali è accresciuto dalla semplicità e riproducibilità delle stesse e dalla facilità di accedere ad informazioni prognostiche con strumenti di ampia diffusione e facile comprensione. La ricerca di semplici criteri ad elevato potere predittivo ha motivato molti Autori a suddividere il punteggio totale delle scale di autonomia nel tentativo di mettere in luce gli item che fornivano il maggior contributo al significato prognostico di tali misure. Il controllo del tronco è indiscutibilmente un criterio irrinunciabile per accedere al controllo posturale e al recupero di una deambulazione autonoma. Studi prospettici inoltre ne hanno confermato il potente valore predittivo, in fase acuta, non solo ai fini del recupero dell’autonomia,117,118 ma anche del probabile rientro a domicilio.119,120 Mauthe et al.,121 in uno studio longitudinale su una casistica di pazienti ricoverati presso una Medicina Generale, hanno indicato nel seguente gruppo di item della FIM, valutati a 3-5 giorni dall’ictus, gli elementi funzionali di maggiore impatto sulla destinazione del paziente alla dimissione: 1. autonomia nel fare il bagno; 2. controllo dell’evacuazione; 3. uso dei sanitari: 4. interazione sociale; 5. abbigliamento della parte inferiore del corpo; 6. alimentazione. 14.2.1.1.9 Depressione post-ictale ed altri disturbi psichici A seguito di un episodio ictale si osservano frequentemente complicazioni in forma di disturbi psichici. Comunemente si possono osservare disturbi dell’umore (nel 30% circa dei casi), disturbi ansiosi (nel 25% circa), labilità emotiva ed apatia.122 I disturbi psichici, condizionando la partecipazione attiva del paziente e la sua capacità d’apprendimento, possono condizionare il programma riabilitativo e compromettere pertanto il recupero funzionale. In considerazione di tale ruolo prognostico negativo, è necessario che tali disturbi siano correttamente indagati, diagnosticati e trattati per cercare di ridurne gli effetti clinici. Il disturbo più frequentemente osservato e studiato è la depressione post-ictale (post-stroke depression; PSD) che può manifestarsi sia in fase precoce dopo l’evento ictale che tardivamente. La letteratura sulla PSD è vasta, ma le informazioni disponibili non sono univoche a causa di rilevanti problematiche metodologiche.123-125 Esistono in letteratura numerose e concordi segnalazioni sulla correlazione tra PSD e compromissione funzionale,126-128 ed è stato calcolato che la presenza di PSD aumenti da 2 a 3 volte il rischio di dipendenza nelle attività di vita quotidiana.129 I risultati riabilitativi sono condizionati dalla presenza di PSD: i pazienti con PSD presentano una maggiore compromissione funzionale, sia prima sia dopo uno specifico trattamento riabilitativo, ma con miglioramento funzionale simile tra pazienti depressi e non depressi.130-132 D’altra parte un miglioramento della depressione si accompagna ad un miglioramento dello stato funzionale.133 Anche se il ruolo prognostico sfavorevole della PSD sullo stato funzionale del paziente è indubbio, è però necessario valutare i dati disponibili con qualche cautela, in quanto nei vari studi i pazienti con depressione sono considerati omogenei, o differenziati solo per le caratteristiche cliniche della depressione, ed è generalmente trascurato il ruolo di un eventuale trattamento psicofarmacologico. Infatti, nella maggior parte degli studi solo una minoranza dei pazienti affetti da PSD è stata trattata con antidepressivi, e nei risultati non c’è generalmente alcuna differenziazione tra pazienti trattati e non trattati. D’altra parte, un trattamento antidepressivo può influenzare positivamente il recupero funzionale,134-137 anche se i dati disponibili non sono ancora univoci. Al momento l’utilizzo regolare di antidepressivi è in grado di migliorare la prognosi riabilitativa, ma non di annullare l’impatto sfavorevole della PSD sul recupero funzionale. Malgrado il trattamento con antidepressivi, i pazienti con PSD presentano una prognosi funzionale peggiore rispetto ai pazienti non depressi.132,134,137,138 Le depressione post-ictus verrà trattata più estesamente nel Capitolo 15. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.6 Grado D Nella valutazione del paziente da sottoporre a trattamento riabilitativo è indicato verificare precocemente l’eventuale esistenza di depressione del tono dell’umore, utilizzando un approccio multidimensionale per la diagnosi e scale quantitative di valutazione e monitoraggio dei sintomi, al fine di correggere le possibili influenze sfavorevoli sull’attività riabilitativa e sulla qualità della vita del paziente. 362 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.2.1.2 Condizioni extraindividuali preesistenti ed emergenti 14.2.1.2.1 Ambiente socioeconomico Sintesi 14-13 Alla luce dei servizi garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale, l’estrazione socioeconomica del soggetto colpito da ictus non dovrebbe rivestire un ruolo predittivo ai fini del recupero. La presenza di una rete di rapporti familiari e sociali favorisce il rientro a domicilio e previene il decadimento delle abilità funzionali nel lungo termine. Il coinvolgimento del caregiver nella realizzazione di programmi terapeutici da realizzare dopo la dimissione e la disponibilità di una valida organizzazione sanitaria e sociale territoriale consentono di ridurre i tempi di degenza presso le strutture ospedaliere. Non esistono sufficienti prove di efficacia che consentano di identificare il ruolo predittivo sfavorevole esercitato da un’estrazione socioeconomica svantaggiata ai fini del recupero funzionale post-ictus. Tale rapporto è condizionato dall’organizzazione assistenziale nelle diverse nazioni: ad es. Kapral 139 sottolinea una differenza nella mortalità e nell’accesso alla cura correlata al reddito individuale, ma in un ambito socio-economico sostanzialmente diverso o non confrontabile con quello italiano. Altri elementi correlati al tipo di rete sociale esistente a supporto del paziente, e descritti di seguito, giocano verosimilmente una parte determinante nel modellare l’handicap emergente e l’eventuale sviluppo/deterioramento delle abilità residue. 14.2.1.2.2 Presenza di conviventi autonomi L’assenza di una figura in ambito familiare disposta ad assumere il ruolo di caregiver del paziente con ictus ritarda la dimissione dal reparto per acuti 71 e riduce significativamente la probabilità di rientro a domicilio anche dopo intervento riabilitativo strutturato.46,58,140 La presenza di una rete familiare/sociale a supporto del paziente, inoltre, sembra favorire un incremento progressivo della condizione funzionale nei primi 3 mesi, soprattutto in soggetti con grave deficit iniziale.141 14.2.1.2.3 Organizzazione del sistema sanitario Esistono segnalazioni in merito all’impatto che l’organizzazione sanitaria determina sull’esito funzionale dopo ictus.142 Uno studio prospettico multicentrico realizzato in 7 nazioni su circa 4·500 casi ha documentato la diversa distribuzione nazionale dei rischi di mortalità e disabilità nelle fasce di pazienti con deficit neurologico iniziale moderato-grave, non spiegabile in base ad altri fattori prognostici.143 La giustificazione di questi risultati appare in parte riconducibile a scelte di politica sanitaria, per cui Paesi che investono meno nell’assistenza, riducendo forzosamente i tempi di degenza e rinunciando a realizzare unità dedicate, ottengono peggiori risultati.144 14.2.1.2.4 Organizzazione dell’assistenza all’ictus in fase acuta Setting Sintesi 14-14 L’accesso ad unità assistenziali dedicate ai soggetti che hanno subito un ictus, organizzate secondo un approccio interdisciplinare, influenza favorevolmente la prognosi funzionale dopo l’ictus. I risultati di numerose revisioni di studi randomizzati controllati sono concordi nel sostenere la superiorità della gestione di pazienti ammessi ad unità di terapia dedicate all’ictus, rispetto a Reparti di Medicina Generale.145-147 I vantaggi si misurano in termini di riduzione della mortalità, dell’incidenza di complicanze, della durata media di degenza e del tasso di soggetti istituzionalizzati. Non si rilevano differenze nei vantaggi usufruiti da individui di età, sesso o caratteristiche cliniche differenti, benché alcuni Autori sottolineino il fatto che pazienti in età avanzata (>75 anni) e con maggior gravità delle condizioni neurologiche all’esordio traggano il maggior beneficio dall’accesso ad unità dedicate.35,148 Il beneficio non si esaurisce, inoltre, nel periodo successivo alla degenza per acuzie e riabilitativa, ma persiste a 2 anni,149 e persino a 10 anni dall’evento ictale.150 Il successo viene comunemente attribuito a fattori gestionali piuttosto che a specifici approcci terapeutici, farmacologici e non. In modo particolare, viene esaltata una condotta organizzativa interdisciplinare, caratterizzata dall’interazione di diverse figure professionali che condividono e regolarmente discutono gli obiettivi del trattamento, in contrapposizione all’organizzazione multidisciplinare, che caratterizza la gestione in altri Reparti per acuti, e che semplicemente giustappone competenze professionali diverse senza prevedere contatti o scambi che implementino il progetto assistenziale.147,151 Alcuni gruppi di ricerca hanno valutato l’efficienza di una gestione domiciliare di questi pazienti sia nella fase acuta sia nella successiva fase riabilitativa. Una revisione sistematica di 6 studi clinici randomizzati su circa 1·000 casi ha recentemente confrontato i progressi funzionali a 6 mesi di soggetti riabilitati a domicilio in maniera estensiva, con quelli di individui gestiti in day hospital, giungendo alla conclusione che il paziente beneficia dell’intervento riabilitativo comunque esso venga realizzato.13 Al contrario, un precoce rientro a domicilio dell’individuo disabile può rappresentare per i familiari uno stress superiore ed una possibile fonte di depressione.152 Globalmente non è possibile stabilire un sicuro vantaggio dell’uno o dell’altro programma gestionale in termini di costo/beneficio. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza Tempestività della presa in carico riabilitativa Anche se esiste concordanza sul ruolo favorevole di un precoce intervento riabilitativo,49,50,56 non sono numerosi gli studi che hanno specificamente studiato l’influenza dell’intervallo preriabilitazione sui risultati riabilitativi, ma i dati disponibili concordano sull’utilità del trattamento precoce.55,153,154 In particolare, per ottenere i migliori risultati è importante cominciare il trattamento entro i primi 20 giorni dall’ictus,154 valutando il livello di stabilizzazione clinica del paziente. Va considerato, a questo proposito, che pur non essendo disponibile una definizione operativa univoca e condivisa di “stabilità clinica” è necessario, in sede di valutazione, distinguere fra quelle condizioni che rendono impossibile o controindicata la presa in carico riabilitativa o che comunque rendono la prognosi funzionale estremamente povera, e quelle condizioni di instabilità o potenziale instabilità che, al contrario, possono e debbono essere gestite in ambito riabilitativo e il cui trattamento fa a tutti gli effetti parte del progetto riabilitativo. Nel primo caso, ovviamente, sarà necessario mantenere il paziente in setting assistenziali e terapeutici per acuti (o indirizzarli a strutture sanitarie di lungodegenza nei casi in cui la persistente instabilità clinica si accompagni ad una prognosi funzionale povera nel mediolungo termine), mentre nel secondo caso la tempestiva presa in carico in setting riabilitativo appare appropriata. Indicazioni sul tema dei criteri di appropriatezza per il trasferimento in setting riabilitativo, anche se non specificamente relative all’ictus, si possono trarre dalle raccomandazioni della prima Confererenza Nazionale Italiana di Consenso sulla riabilitazione del grave trauma cranioencefalico.155 Continuità dell’assistenza Cominciano ad accumularsi evidenze in merito all’importanza di realizzare un adeguato piano terapeutico alla dimissione dal reparto per acuti.156,157 L’obiettivo è principalmente quello di gestire con oculatezza i problemi emergenti al rientro a domicilio, vale a dire i rischi di complicanze internistiche, di recidive ictali, di depressione, e, in definitiva, di deterioramento dello stato funzionale. La riammissione in ospedale interessa il 20%-27% dei sopravvissuti ad ictus, entro 12 mesi dall’evento. Una recente revisione di studi randomizzati controllati su un totale di circa 5·000 casi, documenta l’efficacia di un piano terapeutico nel migliorare la percezione di benessere del paziente, ridurre la durata della degenza per acuti e contenere il tasso di rientro in ospedale per complicanze.158 Reazioni emotivo/affettive del caregiver L’opportunità di provvedere all’educazione del paziente e del caregiver viene discussa in numerosi studi, con il supporto di evidenze contrastanti.159-161 È descritto in maniera diffusa l’incrementato rischio di depressione in chi presta assistenza al paziente con ictus, sia in fase acuta sia dopo stabilizzazione del deficit funzionale, soprattutto nei casi in cui emergono deficit cognitivi o del linguaggio. La depressione del caregiver può determinare risvolti negativi sull’inserimento sociale del paziente incrementandone la percezione di handicap.162 14.3 LA PIANIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA RIABILITATIVA Questa sezione si propone di illustrare le caratteristiche del progetto e dei programmi riabilitativi attraverso la descrizione di obiettivi a breve e lungo termine, delle priorità di intervento, dell’impegno di operatori professionali dedicati a specifiche attività assistenziali, del coinvolgimento del paziente e dei familiari e del possibile ruolo dei farmaci nel processo riabilitativo. Le informazioni disponibili consentono di identificare le variabili che condizionano la pianificazione dell’assistenza, rispondendo ai quesiti relativi alle risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’assistenza. In particolare è identificata la struttura del piano di dimissione dall’ospedale e sono illustrati i passi necessari ad instaurare un rapporto proficuo fra il team assistenziale e l’utenza. Le situazioni cliniche cui fa riferimento la sezione riguardano le decisioni che gli operatori sanitari assumono con la presa in carico del soggetto da riabilitare, verificando in primo luogo le attività compromesse e le funzioni residue rispetto alle quali può essere ipotizzato un percorso riabilitativo. Sono segnalati i metodi di valutazione più comuni, utilizzati in ogni verifica generale preliminare al progetto di recupero od in ogni fase in cui si ritenga opportuno monitorare l’evoluzione funzionale. Le caratteristiche della sezione rendono le informazioni fruibili da parte di tutti gli operatori del team che si occupa dell’assistenza al soggetto colpito da ictus, con particolare riguardo ai professionisti dell’area riabilitativa. stesura 15 marzo 2005 363 364 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.3.1 Raccomandazione 14.7 Grado D È indicato inserire nel progetto riabilitativo tutti i programmi specifici dedicati al recupero delle singole attività compromesse dal danno cerebrovascolare. Tali programmi sono aggiornati a seconda dell’evoluzione clinica e funzionale. Progetto e programmi riabilitativi Secondo le indicazioni contenute nelle linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 7.5.1998, le attività sanitarie di riabilitazione, ad eccezione di quelle di semplice terapia fisica destinata a disabilità minimali, segmentarie e/o transitorie, richiedono la presa in carico del paziente attraverso la predisposizione di un “progetto riabilitativo individuale” e la realizzazione di tale progetto mediante uno o più “programmi riabilitativi”. Si definisce progetto riabilitativo individuale l’insieme di proposizioni, elaborate dal team riabilitativo, coordinato dal medico responsabile, che si articola secondo le caratteristiche enunciate nella Tabella 14:II. Esso tiene conto delle specifiche caratteristiche degli individui assistiti per quanto riguarda le abilità residue e recuperabili, i bisogni, le preferenze, la situazione familiare ed i fattori ambientali e personali. Deve, quindi, contenere al suo interno; oltre ai dati personali del paziente ed alle caratteristiche clinico-funzionali; informazioni riguardo la condizione familiare, lavorativa ed economica. I dati compresi nel progetto non riguardano le caratteristiche di malattia, ma piuttosto i parametri di menomazione, attività e partecipazione sociale elencati nella International Classification of Function (ICF) proposta nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tabella 14.II – Caratteristiche del Progetto Riabilitativo Individuale • indicazione del medico responsabile; • pianificazione sulla base delle abilità residue e delle attività recuperabili, dei fattori ambientali, contestuali e personali dei bisogni e delle preferenze del paziente e dei familiari; • identificazione degli esiti desiderati, delle priorità e delle aspettative del paziente, dei familiari e del team che ha preso in carico il paziente; • valutazione delle problematiche del paziente, anche se non sono oggetto di interventi riabilitativi specifici; • definizione del ruolo dei singoli componenti del team riabilitativo, rispetto alle azioni previste per il raggiungimento degli esiti desiderati; • esplicitazione degli obiettivi a breve, medio e lungo termine, con i tempi previsti e le azioni necessarie al loro raggiungimento; • comunicazione al paziente ed ai familiari in modo comprensibile ed appropriato; • aggregazione di ogni intervento realizzato dal team riabilitativo. All’elaborazione del progetto devono partecipare tutti gli operatori del team in modo che gli interventi riabilitativi programmati mirino verso obiettivi comuni senza che i vari trattamenti, erogati da singoli operatori, siano in contrasto fra loro. La composizione del team ed il ruolo di ogni componente deve essere specificato nel progetto. Il progetto definisce la prognosi, le aspettative e le priorità del paziente e dei suoi familiari tramite il medico coordinatore, al fine di garantire un flusso costante di informazioni, al medico di famiglia. Infine, se alcuni degli elementi di base (condizioni clinico-funzionali, bisogni, preferenze, priorità del paziente, limiti ambientali e di risorse, piano di trattamento) con i quali è stato elaborato il progetto, si modificano, il progetto deve essere riadattato in funzione del raggiungimento degli esiti desiderati e comunicato al paziente stesso ed agli operatori. Al fine di garantire a tutti i soggetti assistiti un’idonea funzione di supporto ed un’effettiva realizzazione di un valido progetto riabilitativo individuale, ai fini del maggior recupero funzionale ipotizzabile, è necessario considerare la disponibilità e l’organizzazione degli spazi, del lavoro e delle modalità operative di tutta la struttura. La configurazione di tale programmazione prende il nome di “progetto riabilitativo di struttura”. La parte del progetto individuale che definisce le aree di intervento specifico, gli obiettivi a breve termine, le modalità di erogazione, gli operatori coinvolti e la verifica degli interventi costituisce il programma riabilitativo. L’importanza di una scrupolosa definizione del programma riabilitativo sta nel fatto che esso costituisce un elemento di verifica del progetto riabilitativo i cui dettagli sono espressi nella Tabella 14:III. La pianificazione dell’assistenza riabilitativa, sia nelle sue linee generali sia nei programmi specifici, è raccomandata da molte linee-guida nazionali ora disponibili.11,26,27 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza Tabella 14:III – Il programma riabilitativo indica: • • • • • • • • • 14.3.2 le modalità di presa in carico da parte di una determinata struttura dell’area riabilitativa; gli interventi specifici durante il periodo di presa in carico; gli obiettivi immediati ed a breve termine da raggiungere; le modalità ed i tempi di erogazione delle singole prestazioni previste; le misure di esito atteso appropriate per la valutazione degli interventi; il tempo di verifica di un dato esito; i singoli operatori coinvolti negli interventi; la verifica periodica ed i relativi aggiornamenti; il riferimento costante al progetto riabilitativo. Valutazione di menomazione, attività e partecipazione nei domini motorio-cognitivo e psico-comportamentale Il bilancio del paziente candidato all’assistenza riabilitativa richiede una valutazione standardizzata delle seguenti condizioni: stato generale, fattori sociali ed ambientali, condizioni motorie, sensibilità, stato cognitivo, condizioni psichiche, comunicazione, caratteristiche del supporto esterno, autonomia nelle attività della vita quotidiana. Allo scopo di sintetizzare le misure più sensibili alle limitazioni indotte dall’ictus, recentemente è stato proposto un profilo specifico, definito “the stroke impact scale”,163 che prende in considerazione tutte le ricadute dell’ictus, in termini sia di menomazione sia di funzione compromessa o di handicap. Le modalità di valutazione possono differire sensibilmente nelle varie fasi dell’assistenza in relazione agli obiettivi caratterizzanti il momento di cura del soggetto colpito da ictus (Tabella 14:IV).11 Lo stato clinico generale è definito dalla malattia che ha motivato l’assistenza e dalle eventuali complicanze intercorse, identificando il tipo e la gravità dei deficit neurologici e le caratteristiche cliniche preesistenti all’ictus. Fra i parametri generali debbono essere considerati la nutrizione, la presenza di disfagia, le condizioni del controllo sfinterico, la presenza di piaghe da decubito, le caratteristiche del sonno e le capacità di resistenza fisica. I fattori sociali ed ambientali sono caratterizzati dalla presenza del coniuge e di altre figure di riferimento, dal sostegno offerto dalla famiglia, dalle caratteristiche dell’ambiente di vita e dalle possibilità di adattamento alla disabilità, dalle aspettative del paziente e dei familiari, dal loro adattamento alla nuova situazione, modificando la preesistente organizzazione della vita quotidiana. Anche se il tempo di realizzazione può variare in relazione all’organizzazione dell’assistenza, alcune fonti di efficacia documentano il valore del bilancio delle condizioni funzionali, eseguito dai componenti del team dotati di competenze differenti, nelle prime fasi dell’assistenza a fini riabilitativi.12,165-167 Il Royal College of Phisician of London 27 raccomanda fortemente tale procedura, così come la Chartered Society of Physiotherapy, il College of Occupational Therapy ed il Royal College of Nursing. Il protocollo di valutazione raccomandato comprende lo stato di vigilanza, la capacità di deglutizione, il rischio di lesioni da decubito, lo stato nutrizionale, l’efficienza cognitiva, le esigenze del paziente per i trasferimenti e la manipolazione degli oggetti.27 Le condizioni motorie sono valutate (Tabella 14:V) attraverso misure: • della forza muscolare; • della destrezza motoria; • della spasticità; • del controllo posturale del tronco o del capo; • della capacità generale di deambulazione. Il bilancio può essere basato sulla quantificazione di ogni prestazione, attraverso scale specifiche oppure mediante una valutazione generale. La Tabella 14:V riporta alcuni esempi al riguardo. L’eventuale compromissione sensitiva è valutata per discriminare l’esistenza di una ipoestesia parziale o globale, di una anestesia oppure, al contrario, di una sindrome dolorosa distrettuale o di tutto un emisoma. stesura 15 marzo 2005 365 366 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Tabella 14:IV – Valutazioni necessarie al contenimento della disabilità residua dopo l’ictus Valutazione clinica durante la fase acuta scopi: • determinare eziologia, patologia e gravità dell’ictus; • valutare la comorbosità; • documentare il decorso clinico. quando: all’ammissione e durante l’ospedalizzazione da parte di: • medico dell’unità di terapia intensiva; • specialista riabilitatore; • personale infermieristico e fisioterapico. Screening riabilitativo scopi: • identificare i pazienti che possono beneficiare della riabilitazione; • determinare gli ambiti riabilitativi più appropriati; • identificare le problematiche su cui intervenire. non proponibile per la riabilitazione se: • nessuna o minima invalidità; • eccessiva compromissione per partecipare alla riabilitazione. In questo caso: – fornire servizi di supporto; – riconsiderare e rivalutare in futuro se le condizioni cliniche migliorano. La decisione di iniziare o meno il programma riabilitativo è affidata esclusivamente allo specialista riabilitatore (vedi testo) Assegnazione ad un programma riabilitativo interdisciplinare • in reparto ospedaliero; • in strutture ambulatoriali; • a domicilio; • in struttura residenziale protetta. quando: appena le condizioni cliniche si sono stabilizzate da parte di: specialisti della riabilitazione (fisiatra, fisioterapista, logopedista) Valutazione all’ammissione in struttura riabilitativa scopi: • validare le decisioni; • sviluppare il progetto riabilitativo; • fornire il riferimento basale per monitorizzare i progressi. quando: entro: • tre giorni lavorativi per un programma intensivo; • una settimana per un programma ospedaliero meno intensivo; • tre visite per un programma ambulatoriale o domiciliare. da parte di: team riabilitativo Valutazione durante la riabilitazione scopi: Valutazione dopo la dimissione scopi: il team riabilitativo comprende il medico specialista riabilitatore, i fisioterapisti • valutare i progressi; • personalizzare il trattamento; • fornire elementi per la dimissione. quando: • settimanalmente per un programma intensivo; • almeno ogni quindici giorni per programmi meno intensivi. da parte di: clinici della riabilitazione/team riabilitativo • • • quando: • • da parte di: • • • valutazione dell’adattamento all’ambiente domestico; valutazione delle necessità di servizi riabilitativi continuativi; valutazione degli oneri del caregiver. entro un mese dalla dimissione; ad intervalli regolari durante il primo anno. professionisti del sociale; clinici della riabilitazione; medico responsabile. Tabella 14:V – Caratteristiche di alcuni strumenti di bilancio motorio strumento descrizione aree impiego tempo di somministrazione indice di motricità di Demeurisse valuta il deficit su una scala ordinale pesata forza e controllo del tronco screening, valutazione formale, monitoraggio <5 minuti Fugl-Meyer valuta la menomazione su una scala ordinale a tre punti La valutazione dei movimenti volontari è gerarchica. Le somme sono trattate come variabili continue dolore, range di movimento, sensibilità movimento volontario, equilibrio valutazione formale, monitoraggio 30-40 min indice di mobilità di Rivermead valuta il deficit su una scala tutto/nulla girarsi nel letto, sedersi, stare in piedi, trasferirsi e camminare screening, valutazione formale, monitoraggio <5 min stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 367 Lo stato cognitivo ha particolare rilievo nel bilancio riabilitativo, considerando che il processo di recupero consiste essenzialmente nell’apprendimento di strategie di compenso del deficit. In linea teorica il bilancio cognitivo deve essere orientato all’esplorazione delle seguenti abilità: • orientamento temporo-spaziale; • attenzione selettiva; • attenzione sostenuta; • orientamento spaziale dell’attenzione; • integrazione senso-percettiva (visuo-motoria); • rievocazione o riconoscimento a breve termine; • capacità di costruzione (abilità prassica); • capacità adattative; • comunicazione verbale I disturbi del linguaggio possono richiedere una valutazione di particolare dettaglio che necessita di un approccio specifico, il quale, però, spesso si realizza tardivamente nel corso dell’iter riabilitativo. Va sottolineato che la valutazione, al contrario dell’esame obiettivo neurologico “classico”, non è di tipo analitico, ma sintetico (olistico): evidenzia cioè il deficit di funzione più che il deficit di struttura. Le condizioni psichiche richiedono una verifica che si estenda a tutti i seguenti ambiti: • depressione dell’umore; • motivazioni (consapevolezza del deficit e desiderio di recupero); • relazioni interpersonali; • controllo dell’emotività; • caratteristiche qualitative e quantitative dell’ideazione. 14.3.2.1 Scale per l’autonomia nelle attività di vita quotidiana In riabilitazione è fondamentale valutare la disabilità del paziente prima e dopo il trattamento riabilitativo. La disabilità è comunemente valutata mediante il Barthel Index e la FIM (Functional Independence Measure).168-170 Le scale non valutano la normalità del paziente, ma la sua autonomia nelle attività di vita quotidiana (ADL – activities of daily living). Il Barthel Index valuta 10 item, con un punteggio compreso tra 0 e 100 (o tra 0 e 20, nella versione di uso comune in Inghilterra). La FIM valuta 18 item, ciascuno su sette punti, con punteggio compreso tra 7 e 126. In entrambe le scale punteggi più alti indicano maggiore autonomia. Benché la FIM sia stata concepita per valutare più compiutamente e con maggiore sensibilità lo stato del paziente, entrambe le scale si sono dimostrate adeguate per valutare la disabilità del paziente, fornendo dati simili, e con un’alta correlazione tra di loro.171 Le caratteristiche del supporto familiare e sociale appaiono rilevanti nell’influenzare la possibilità di reintegrazione domiciliare e minimizzare l’handicap derivato dall’ictus. Uno strumento di documentata utilità è il Family Assessment Device (FAD), di cui non è disponibile una versione italiana e che valuta diversi domini nell’ambito del contesto sociale (soluzione dei problemi, comunicazioni reali, risposta affettiva, coinvolgimento affettivo, controllo del comportamento ed organizzazione generale). In considerazione del breve tempo richiesto per l’esecuzione può essere accettabile una valutazione standardizzata con risposte semplici nei vari campi sopra esposti. 14.3.2.2 Raccomandazione 14.8 Grado D È indicato valutare la disabilità del paziente prima e dopo il trattamento riabilitativo, mediante scale validate e di uso comune, come il Barthel Index e la Functional Independence Measure (FIM). Raccomandazione 14.9 Grado D Entro i primi giorni dall’ammissione a strutture riabilitative, è indicato realizzare un bilancio delle condizioni cliniche e funzionali del soggetto colpito da ictus e del contesto socio-sanitario nel quale egli vive. La valutazione deve comprendere sia misure di autonomia sia parametri relativi alle abilità motorie e cognitive. Valutazione cognitivo-comportamentale Le conseguenze dell’ictus nelle prestazioni cognitive possono essere espresse sia da un rallentamento generale della elaborazione delle informazioni che da una compromissione di specifiche funzioni, quali l’orientamento spaziale, l’attenzione, la memoria, le abilità prassiche, la capacità di adattamento mentale e di pianificazione, il linguaggio. Sebbene le conseguenze del danno cerebrovascolare possono essere molteplici, deve essere riconosciuta la presenza di menomazioni cognitive preesistenti. Il deficit cognitivo post-ictale può esprimersi anche con una difficoltà di ragionamento o di consapevolezza delle difficoltà conseguenti all’ictus. Circa un quarto dei soggetti colpiti da ictus presentano deficit generalizzati di grado severo ed anche nelle forme ad interessamento parziale possono residuare deficit preesistenti. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.10 Grado D È indicato sottoporre tutti i soggetti con problemi di comunicazione, cognitivi od emotivi ad una valutazione neuropsicologica e comportamentale completa. 368 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane È opinione diffusa che i deficit cognitivi possano influenzare negativamente il processo riabilitativo e che debbano essere ben valutati da personale esperto.27 La valutazione delle menomazioni cognitive e delle manifestazioni comportamentali deve essere in grado di fornire, in un tempo ragionevole, delle informazioni di tipo quantitativo che consentano un inquadramento del paziente, a livello sia di menomazione sia di disabilità. Tra le proposte di verifica disponibili in letteratura e recensite in monografie dedicate 4,172 possono essere selezionati alcuni test da includere in uno schema di valutazione (Tabella 14:VI): • un breve test di screening del funzionamento cognitivo globale, come il Mini Mental State Examination;173 • un test di linguaggio: purtroppo nessuno degli strumenti standardizzati sviluppati con questa indicazione (esame breve dell’afasia di Vignolo; test di Aachen al letto del malato) ha una diffusione nazionale. Una valutazione degli aspetti principali del linguaggio deve includere la definizione di fluenza-non fluenza sull’eloquio spontaneo, ed un breve test di denominazione, ripetizione, comprensione uditiva (per uno schema, si veda quello proposto da Bisiach et al.).174 Un utile complemento è il Profilo di Comunicazione Funzionale di Martha Taylor Sarno;175 • una valutazione della sindrome di emi-inattenzione: anche in questo caso gli strumenti standardizzati, come il test di Rivermead, non hanno ampia diffusione; una valutazione clinica si basa su test di barrage, disegno e lettura. Sono disponibili scale di valutazione funzionale;176 • una valutazione dell’aprassia bucco-facciale e ideomotoria (si veda, p.es., Faglioni 1990);177 • una scala di valutazione della depressione, come quella di Zung.178 Tabella 14:VI – Metodi di valutazione cognitivo-comportamentale e riabilitazione valutazione menomazione funzionamento cognitivo MMSE MODA linguaggio • test clinici • test per l’afasia di Aachen • batteria per l’analisi del deficit afasico esplorazione spaziale • test di barrage • batteria per l’emiinattenzione prassie test clinici 14.3.2.3 Raccomandazione 14.11 Grado D È indicato definire obiettivi significativi e raggiungibili secondo una definita sequenza temporale. Può essere utile la valutazione dei progressi ottenuti rispetto al grado di raggiungimento. Gli obiettivi dovrebbero essere individuati a livello di team ma anche assegnati per il raggiungimento alle singole professionalità. valutazione disabilità IADL riabilitazione – Profilo di Comunicazione Funzionale • tecniche di facilitazionestimolazione; • terapie neurolinguistiche; terapie pragmatiche scala di valutazione funzionale training esplorazione visiva ADL, IADL training attività della vita quotidiana Criteri e definizione degli obiettivi a breve e lungo termine La gestione per obiettivi in riabilitazione è pratica comune e riguarda diverse problematiche,21,179-182 comprendenti anche l’ictus.183 Fra gli estensori delle linee guida del Royal College of Physicians (London) è stato prodotto un consenso di opinioni sul fatto che gli obiettivi debbano essere significativi e plausibili, che debbano coinvolgere il paziente e la famiglia, se necessario, che debbano essere posti sia dal team che dal singolo medico curante e che debbano essere di riferimento per giudicare i progressi dovuti all’attività riabilitativa.27 La definizione degli obiettivi è basata sulle caratteristiche del bilancio, sull’aspettativa in termini prognostici, sulle caratteristiche operative della struttura assistenziale e sulle esigenze pratiche del paziente. In generale gli obiettivi di base sono correlati al raggiungimento di un quadro soddisfacente di autonomia nelle attività della vita quotidiana e, successivamente, se possibile, al recupero delle abilità che condizionano lo svantaggio personale sociale ed economico. Nei casi più gravi gli obiettivi del trattamento sono rappresentati dal contenimento della richiesta di assistenza per le attività della vita quotidiana, così come sono espresse nella scala di autonomia.4 Sia gli obiettivi a breve termine che quelli a lungo termine dovrebbero essere correlati a tempi di realizzazione stimati al momento della formazione del progetto. Nella stessa epoca dovrebbero essere programmati i tempi delle verifiche in itinere ed i criteri per l’ottimizzazione del paziente. Nel progetto individuale gli obiettivi a lungo termine devono essere sempre considerati, ma è di fondamentale importanza l’elaborazione di un piano di trattamento compatibile con le reali stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 369 possibilità di recupero del paziente, che preveda strategie di trattamento volte al raggiungimento, in primo luogo, di obiettivi più immediati, che in modo gerarchico consentano l’eventuale raggiungimento di obiettivi futuri. 14.3.2.4 Identificazione delle priorità (logiche e temporali) nel piano di assistenza Gli obiettivi dell’assistenza nella fase acuta dell’ictus comprendono elementi in grado di influenzare direttamente l’esito clinico, in termini di disabilità residua, senza incidere sulla lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità e complicanze). L’identificazione delle priorità del trattamento riabilitativo è condizionata dalle caratteristiche del bilancio e dalla gerarchia funzionale delle prestazioni che caratterizzano un recupero anche parziale dell’autonomia. In linea generale si può osservare che in ambito motorio la verticalizzazione rappresenta un obiettivo motorio di base rispetto al recupero del cammino, così come il ripristino dell’attenzione è fondamentale per ogni programma di apprendimento di nuove prestazioni e, infine, una sufficiente motivazione è indispensabile per ottenere la collaborazione del paziente nella pratica riabilitativa. Raccomandazione 14.12 ❊GPP Nella pianificazione dell’intervento riabilitativo è indicato definire le priorità di trattamento in ragione della gerarchia funzionale del recupero dell’autonomia e delle necessità assistenziali. Altri criteri di priorità possono essere dettati da fattori individuali quali la necessità di incrementare l’abilità motoria negli spostamenti dal proprio domicilio per acquisire autonomia, oppure raggiungere sufficienti abilità di comunicazione per richiedere la collaborazione di familiari poco sensibili alle esigenze del paziente. Costituiscono obiettivi a lungo termine gli esiti di maggior rilievo ipotizzabili e desiderati dal paziente, quali ad esempio il ritorno a svolgere l’attività lavorativa, praticare attività ludico sportive specifiche, ricoprire ruoli sociali in qualità di dirigente. Essi, per loro natura, possono essere realizzabili solo nei casi in cui si ottiene un buon recupero dell’autonomia nelle attività della vita quotidiana. Esempi di obiettivi a breve termine sono il mantenimento della posizione seduta senza sostegno prima del raggiungimento della stazione eretta o la sicurezza negli spostamenti in previsione della dimissione a domicilio, in cui la disponibilità di assistenza è di un unico caregiver. Le caratteristiche principali degli obiettivi a breve e medio termine sono le seguenti:184 • basati sulle reali capacità di recupero; • quantificabili mediante appropriate misure di esito clinico; • stabiliti dal team riabilitativo come tappe intermedie dell’obiettivo finale; • concordati con il paziente o con il suo caregiver; • raggiungibili in poche settimane; • non necessariamente confinati ad una specifica attività professionale. Riguardo quest’ultimo punto è necessario specificare che per il raggiungimento di ogni singolo obiettivo può essere necessario un impegno specifico da parte di una particolare figura professionale, ma il programma prevede la partecipazione di tutti i membri del team. Il recupero del linguaggio, per esempio, richiede la somministrazione di un programma specifico da parte della logopedista, ma quest’ultima spesso coinvolge anche gli altri operatori quali infermieri, i terapisti ed i familiari. 14.3.2.5 Intervento del team interdisciplinare I diversi operatori coinvolti nel processo sanitario della fase acuta perseguono obiettivi specifici della fase precoce dell’assistenza e terminano il loro compito quando questi sono stati raggiunti. Ad esempio, quando sono superati i tempi che portano alla stabilizzazione della lesione cerebrale ed al contenimento del rischio di morte correlato alla condizione di acuzie dell’ictus, i programmi clinici sono rivolti ad altri obiettivi, quali la limitazione delle complicanze e il potenziamento dell’autonomia. Di conseguenza cambiano (quantitativamente) anche le competenze specialistiche e professionali coinvolte. Il progetto riabilitativo è responsabilità diretta del medico specialista di medicina riabilitativa, che coordina il team che ha in carico il soggetto con ictus, ed alla cui collaborazione partecipano, contemporaneamente od a tempi diversi, vari professionisti sanitari, diversi specialisti d’organo, il medico di medicina generale e professionisti esperti degli aspetti sociali. Il semplice coordinamento dei vari interventi professionali non è tuttavia sufficiente, occorre che il team riabilitativo sia una struttura stabile con regole condivise.33,185 È inoltre cruciale prostesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.13 Grado C È indicato che il progetto riabilitativo sia il prodotto dell’interazione tra il paziente e la sua famiglia ed un team interprofessionale, coordinato da un esperto nella riabilitazione dell’ictus. Il team deve riunirsi periodicamente per identificare i problemi attivi, definire gli obiettivi riabilitativi più appropriati, monitorare i progressi e pianificare la dimissione. 370 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane muovere riunioni formali del team a cadenza periodica per identificare i problemi attivi del paziente, porre gli obiettivi riabilitativi, registrare i progressi e pianificare la dimissione dalle strutture di degenza. Tali riunioni sono consigliate dalle linee guida SIGN ogni settimana e costituiscono un punto di forza dell’efficacia riabilitativa della stroke unit.26 Il medico di medicina generale riprende in cura il paziente dopo l’evento acuto e ne sorveglia il ritorno in ambiente domestico.186,187 In questa fase, l’intervento riabilitativo si orienta verso il mantenimento o il miglioramento della autonomia nelle attività di vita quotidiana, semplici e complesse (anche attraverso interventi di terapia occupazionale)188 e verso il raggiungimento del miglior livello di partecipazione sociale consentito dalla malattia. In questo contesto diventa fondamentale l’educazione dei familiari e il sostegno sociale al reinserimento nella famiglia e nella società;20,189 è necessario quindi il coinvolgimento di figure quali le assistenti sociali e gli educatori nonché di strutture istituzionali quali ad esempio i Servizi Inserimento Lavoro. 14.3.2.5.1 Valutazione delle risorse assistenziali necessarie e sviluppo del programma settimanale di trattamento intensivo ed estensivo Raccomandazione 14.14 ❊GPP Con il paziente e la famiglia occorre concordare un progetto individualizzato che definisca la prognosi, le aspettative e le priorità del paziente e dei suoi familiari. È indicato vagliare la disponibilità di risorse destinate a tutta la durata del recupero, prima della proposta di programmi riabilitativi, onde accertarne la fattibilità. Al fine di garantire a tutti i soggetti assistiti un’idonea funzione di supporto ed un’effettiva realizzazione del progetto individuale che consenta il maggior recupero funzionale ipotizzabile, è necessario considerare la disponibilità e l’organizzazione degli spazi, del lavoro e delle modalità operative di tutta la struttura. Essa può comprendere tutto il percorso ospedaliero di chi ha subito un ictus, sia nella fase di acuzie sia di stabilizzazione e di riabilitazione, oppure possono essere considerate diverse strutture ospedaliere e territoriali dedicate alla riabilitazione. Nella costruzione di questo progetto, che deve valutare anche la necessità che esso si sviluppi in regime di ricovero, ambulatoriale o totalmente domiciliare,190 tutte le professionalità coinvolte nelle varie fasi concorrono, nell’ambito di un team, alla definizione ed al raggiungimento degli obiettivi assistenziali specifici,191,192 in modo che gli obiettivi siano comuni senza che i vari trattamenti, erogati da singoli operatori, siano in contrasto fra loro. La composizione dell’équipe ed il ruolo di ogni componente deve essere specificato nel progetto riabilitativo. Occorre stabilire anche la strategia complessiva del piano sia rispetto alla possibilità di compensazione che rispetto alla ripresa della funzione deficitaria. Possiamo schematizzare, in funzione anche delle differenti richieste di risorse (ad esempio l’utilizzo di ortesi, ausili od interventi farmacologici o chirurgici), tre approcci: • la facilitazione mirata al potenziamento delle prestazioni esistenti; • la compensazione destinata alla sostituzione della capacità compromessa con altre prestazioni, in maniera da ripristinare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana; • l’apprendimento di specifici compiti motori adattati al contesto. La facilitazione, mirata al miglioramento della destrezza motoria e dell’integrazione sensomotoria, è basata sull’esecuzione di specifici esercizi mediante le sedute di riabilitazione, integrate da un costante allenamento durante le altre ore della giornata; essa, di conseguenza, richiede la disponibilità di terapisti e la possibilità di collaborazione con paziente e famiglia. Non ci sono sicure evidenze che l’utilizzazione del bio-feedback, della stimolazione elettrica funzionale, di esercizi isometrici, aggiunga vantaggi al trattamento di attivazione motoria espletato routinariamente. Raccomandazione 14.15 Grado D Nel contesto di un progetto riabilitativo comprendente tecniche compensatorie è indicato prevedere la possibilità di utilizzare presidi, quali ortesi ed ausili, verificandone la possibilità di impiego da parte del paziente. Le tecniche compensatorie sono mirate al recupero di abilità compromesse dalle ridotte prestazioni conseguenti alla lesione cerebrale. Esse consistono nell’apprendimento di strategie mirate a recuperare l’autonomia anche con l’uso di ausili ed ortesi. La prescrizione di ausili va vista come un atto che si inserisce nel programma di recupero dell’autonomia e non come la fornitura di attrezzi, magari non utilizzati, in quanto il paziente ne ha diritto.8 Ad esempio, la tipologia della carrozzina da prescrivere ad un paziente con prospettive di recupero del cammino è diversa da quella per un paziente la cui prognosi al riguardo è negativa. Da ciò consegue che la compilazione del modulo prescrizione ausili è l’atto finale di un processo di valutazione effettuato dal medico specialista in medicina riabilitativa e del fisioterapista e non un atto amministrativo su cui il medico appone la propria firma. Analogamente, il collaudo degli ausili non è un atto formale, ma la verifica che quanto previsto corrisponda effettivamente alle esigenze riabilitative del paziente e non semplicemente che i codici e/o i materiali siano consoni alla prescrizione iniziale. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 371 È opportuno sottolineare l’importanza di centri di riferimento per la valutazione degli ausili, da utilizzarsi per le situazioni più complesse, ad esempio per quanto concerne gli ausili per la comunicazione, o per consentire la ripresa di attività lavorative. Detti centri devono disporre di banche dati aggiornate sugli ausili e sulle disposizioni legislative nonché di personale (fisioterapisti, terapisti occupazionali) con preparazione specifica, in grado di affiancare il team nella valutazione globale delle esigenze del singolo paziente. Nell’ambito del team devono essere disponibili le competenze per affrontare, su segnalazione ed in collaborazione col medico di medicina generale, i problemi posti dal superamento delle barriere architettoniche e, più in generale, le modifiche all’abitazione per rendere possibile il massimo grado di autonomia del paziente. Gli approcci basati sull’apprendimento motorio educano il paziente all’adattamento ad uno specifico contesto ambientale superando le difficoltà legate alla situazione specifica. I vantaggi ottenuti non possono essere trasmessi ad altre condizioni. Un approccio particolarmente intensivo, rappresentato dall’aggiunta di 30 minuti al giorno di attività riabilitativa per 5 giorni alla settimana e per 20 settimane all’anno, quando applicato all’arto inferiore, consente di ottenere consistenti vantaggi funzionali in termini di autonomia nella vita quotidiana e di sicurezza e velocità del cammino. L’effetto di una procedura analoga sulla destrezza motoria dell’arto superiore appare significativo ma di scarsa entità e documenta l’impossibilità di generalizzare gli effetti se l’obiettivo del trattamento è confinato ad un singolo arto. Occorre però sottolineare che i vantaggi documentati da Kwakkel e coll. sono stati ottenuti in una frazione molto contenuta di soggetti ricoverati per ictus e che recenti revisioni documentano un effetto molto debole dell’intensità del trattamento sull’esito finale.30,193,194 14.3.2.5.2 Programmazione dei tempi di verifica e revisione del progetto I tempi di verifica possono essere stabiliti in base a diversi criteri: infatti la verifica può essere programmata a scadenza fissa (giorni o settimane trascorsi dal precedente controllo) oppure si procede sulla base delle esperienze analoghe degli operatori attraverso la raccolta di indicatori od infine in relazione al raggiungimento di un obiettivo parziale. Quest’ultimo approccio si basa fondamentalmente sulle regole della pianificazione della qualità che codificano la sequenza: pianificazione, esecuzione, verifica e generalizzazione/revisione (ciclo PDCA di Deming). In questo caso diviene essenziale la formalizzazione dei criteri e la documentazione delle decisioni, ne consegue l’opportunità di instaurare un sistema qualità. L’efficacia della programmazione a tempi fissi del bilancio funzionale è stata documentata da Wade 166 e da Wikander.165 Nel contesto generale dell’attenzione all’efficacia, efficienza ed appropriatezza degli interventi, deve essere posto particolare riguardo alla verifica dell’intervento mirato all’incremento dell’autonomia. A questo proposito è fondamentale valutare due indicatori generali che giustificano l’utilizzo di risorse destinate alla riabilitazione: i risultati ottenuti ed i mezzi adoperati per assicurare la qualità del processo riabilitativo. La valutazione dell’efficienza, cioè del raggiungimento degli obiettivi col minor uso di risorse, dovrebbe fondarsi sull’utilizzo di strumenti internazionali di cui sono note validità, affidabilità ed accuratezza. Ovviamente il raggiungimento degli obiettivi deve essere misurato con criteri obiettivi e possibilmente parametrici od almeno ordinali. È sicuramente da bandire la costruzione di nuove scale ad hoc da parte dei singoli centri in quanto non è possibile garantire l’accuratezza e l’applicabilità in situazioni diverse da quelle che le hanno originate. Inoltre l’utilizzo di scale personali contrasta con la necessità di utilizzare strumenti comuni, validati e di applicazione diffusa. La FIM è probabilmente lo strumento più diffuso per la valutazione del danno funzionale indotto da malattie neurologiche. Tra i vantaggi di questa scala, oltre alla validità e affidabilità più volte verificata in Paesi e contesti clinici diversi, c’è la disponibilità di una banca dati di riferimento. La consultazione ed il confronto con i dati contenuti in questa banca permette di identificare scostamenti “anomali” rispetto a quanto previsto dalla distribuzione di frequenza dei singoli item, anche specificamente per la realtà italiana. La corretta applicazione dello strumento è garantita dalla disponibilità di procedure standard per la formazione e la certificazione degli operatori.10 Per quanto concerne il controllo della qualità durante l’erogazione del servizio, che costituisce la seconda e più importante necessità, anche in questo caso occorre evitare l’improvvisazione stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.16 Grado D È indicato programmare controlli longitudinali destinati alla verifica del raggiungimento degli obiettivi sulla base della previsione del tempo necessario all’ottenimento dei risultati attesi e valutare l’autonomia raggiunta dal paziente nelle attività della vita quotidiana utilizzando una scala validata (Indice di Barthel o Functional Independence Measure [FIM]). Raccomandazione 14.17 ❊GPP Per migliorare qualità, efficienza ed appropriatezza dell’intervento riabilitativo è indicata l’adozione, da parte del servizio, di un sistema di verifica e revisione della qualità (VRQ) e, se possibile, di procedure che portino alla certificazione ISO o di procedure di Accreditamento. 372 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane ricorrendo a metodologie già collaudate. Operando in questo modo, infatti, il processo sarà certificato con scadenze predefinite, utilizzando metodiche validate per il settore dei servizi. Per esempio, l’applicabilità in campo medico delle normative ISO (International Standards Organization) 9000 è documentata dalle linee guida per la riabilitazione dei soggetti colpiti da ictus adottate negli Stati Uniti,195 dalle certificazioni di numerosi servizi ospedalieri e di alcuni Dipartimenti di Riabilitazione. Accanto alla certificazione ISO sono da incoraggiare le metodologie che rientrano nell’ambito della Verifica e Revisione di Qualità (VRQ) o dei sistemi di Accreditamento, che possono completare il miglioramento continuo della qualità. 14.3.2.5.3 Coinvolgimento del paziente nella stesura del progetto Raccomandazione 14.18 Grado B È indicato fornire informazioni che tengano conto dei bisogni di ogni persona; tali informazioni devono essere disponibili ai pazienti ed alle loro famiglie nelle modalità più agevoli per la loro comprensione. Al fine di facilitare l’assistenza, ai soggetti malati ed ai loro assistenti dovrebbero essere offerti programmi educativi che facilitino la loro collaborazione nelle azioni di recupero Molti lavori hanno sottolineato l’importanza di ottenere non solo la collaborazione del paziente, bensì di raggiungere un ruolo attivo del paziente e dei suoi familiari nel processo di recupero. In particolare, alcuni studi controllati documentano l’efficacia del supporto familiare nella riabilitazione post-ictus.196-198 Tale coinvolgimento può essere enfatizzato dalle associazioni di volontariato, che possono anche far ricorso ad operatori professionali.199,200 A questo proposito è fondamentale avere presente quali potrebbero essere i cambiamenti nelle attività quotidiane indotti dalle disabilità conseguenti all’ictus 201 dopo il ritorno del paziente a domicilio. In questo modo diviene possibile prospettare gradualmente al paziente la necessità di accettare le modificazioni indotte dalle conseguenze dell’ictus nella propria vita e “contrattare” con lui gli obiettivi del progetto riabilitativo. Più recentemente è stato ulteriormente enfatizzato il ruolo dell’addestramento del caregiver. Questo permette un abbassamento dei costi, un migliore esito psicosociale e un miglioramento della qualità della vita del caregiver e del paziente.202,203 Anche il supporto educativo ed il counselling migliorano l’accettazione delle conseguenze dell’ictus da parte di paziente e coniuge.204 Negli Stati Uniti la National Stroke Association,1 con il supporto di consulenti scientifici, ha realizzato un manuale dedicato ai pazienti ed ai familiari, nel quale sono trattati i seguenti aspetti: • informazione sulle caratteristiche della malattia e sulle sue conseguenze; • prospettive e speranze per il futuro; • aspettative dopo la dimissione dall’ospedale; • servizi di supporto a domicilio; • alternative alla gestione da parte della famiglia per le necessità quotidiane; • adattamento delle strutture domiciliari alla nuova realtà; • problemi emozionali e capacità di trovare soluzioni; • approccio ai problemi cognitivi e di comunicazione; • potenziamento delle capacità di mangiare, dell’igiene e di spostamento; • partecipazione alle attività lavorative abituali. In Italia, materiale di questo tipo è ancora scarsamente disponibile su scala nazionale anche se una maggiore diffusione delle associazioni dei pazienti e delle loro famiglie sta portando allo sviluppo di strumenti quali opuscoli divulgativi. Tuttavia deve essere tenuto distinto il livello informativo del materiale “laico” dal livello “professionale” di informazione-interazione fra paziente e team riabilitativo. La richiesta di ausili ad esempio non può essere un atto autonomo del paziente, o peggio demandato ai familiari, come se fosse un diritto amministrativo e non parte del progetto riabilitativo. Comunicazione e coinvolgimento dei familiari Deve essere garantita ai familiari del paziente la possibilità di incontri formali in cui vengano illustrati e discussi: • il progetto riabilitativo e la collaborazione richiesta ai familiari per portarlo a termine; • le possibili soluzioni di problemi di più frequente riscontro nella gestione domiciliare del paziente; • le risorse fornite dall’istituzione (ADI, trasporto per day hospital e/o ambulatorio); • le modalità di attivazione delle suddette risorse, mettendoli in contatto con chi le coordinerà; • le tecniche per aiutare gli spostamenti e tutte quelle indicazioni atte a favorire l’autonomia del paziente. Questa tipologia di intervento richiede un coordinamento delle varie figure professionali, che in tempi e momenti diversi vengono quindi ad essere coinvolti: gli specialisti dell’ospedale e del territorio, il medico di medicina generale, il fisioterapista, l’infermiere e l’assistente sociale. È fondamentale che la comunicazione alla famiglia avvenga attraverso un singolo responstesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 373 sabile (che può anche non essere lo stesso durante le successive fasi del progetto riabilitativo) cui tutti i membri del team fanno capo per lo scambio di informazioni onde evitare la frammentazione delle informazioni che può portare alla disinformazione senza che gli operatori lo vogliano o se ne accorgano. L’informazione ed il supporto offerto alla famiglia del soggetto che ha subito un ictus migliora la partecipazione dei familiari e la loro qualità di vita, ma non incide significativamente sulle condizioni del paziente. Il contributo strumentale e la loro stabilità emotiva favorita dal supporto assistenziale fornito dai familiari possono avere ripercussioni favorevoli sul recupero.141,196 In questo contesto può assumere importanza la presenza di gruppi di supporto.205 Piano di dimissione L’efficienza del trasferimento dall’assistenza ospedaliera od istituzionale, a quella territoriale è garantito da un’adeguata relazione di dimissione, la quale dovrebbe fornire informazioni complete sulle condizioni cliniche e neurologiche del paziente, il grado e i tempi del recupero durante la fase acuta e le raccomandazioni relative ai trattamenti medici e riabilitativi futuri.46,206 L’efficace informazione rivolta soprattutto a chi si occuperà in futuro dell’assistenza è un fattore determinante per la continuità dell’assistenza stessa. Una revisione Cochrane dedicata alla dimissione precoce dalla sede ospedaliera documenta come la trasmissione delle informazioni consenta di realizzare un’adeguata continuità assistenziale.207 A tale proposito, il collegio dei terapisti occupazionali inglesi (Occupational Therapy College) raccomanda la visita degli operatori a casa del paziente per garantire un sufficiente adattamento strutturale.208 Un solo operatore sanitario (“case manager”, che spesso dopo le dimissioni dalla struttura di riabilitazione – per scelta, necessità od opportunità – è il medico di medicina generale) dovrebbe coordinare l’intero piano dei servizi territoriali necessari.20 Molte indagini documentano, infatti, che i pazienti che sono stati vittima di un ictus dovrebbero ricevere un’assistenza coordinata fra le diverse figure professionali, che garantisca un’adeguata integrazione fra le attività della fase di emergenza e del trattamento intensivo, ed i servizi dedicati alla fase di recupero delle abilità ed al ripristino del ruolo familiare e sociale.8,9,20,186,209 14.3.2.5.4 Contenuti delle comunicazioni indirizzate alle altre strutture sanitarie coinvolte e preparazione della relazione di progetto riabilitativo Mentre la realizzazione di una prognosi riguardante la sopravvivenza e la sua comunicazione al paziente ed ai familiari è il compito proprio dello specialista clinico, le prime previsioni sull’autonomia nella deambulazione e la ripresa motoria degli arti basata sulla perdita di coscienza all’esordio dell’ictus, sulla rapidità di aggravamento del deficit e sul recupero dell’attività motoria, talora già al termine della prima settimana,210 possono essere fornite dal team riabilitativo assieme alla formulazione di un’ipotesi sull’ambito riabilitativo più idoneo al soggetto curato e sulle modifiche potenzialmente necessarie per adattare la residenza abituale alla vita del paziente sopravvissuto all’ictus. Va comunque considerata l’influenza sulla prognosi riabilitativa dei fattori ambientali e della disponibilità di servizi riabilitativi dopo la fase postacuta.211 È importante sottolineare come i problemi relativi all’alimentazione, al controllo sfinterico, al possibile sviluppo di danni secondari quali la sindrome spalla-mano o le cadute dal letto devono essere affrontati precocemente da parte del team riabilitativo che ne incorporerà la gestione nel contesto del piano riabilitativo iniziale. Ne consegue che al momento del passaggio dalla struttura per acuti a quella riabilitativa le informazioni dovrebbero comprendere i seguenti aspetti: • situazione clinica precedente l’ictus (ipertensione e dislipidemie, diabete, cardiopatie, pneumopatie, patologia muscoloscheletrica, ...); • situazione clinica al momento del trasferimento (obiettività neurologica, patologie concomitanti, terapie farmacologiche); • tipologia della lesione (natura ischemica od emorragica, localizzazione anatomica); • documentazione strumentale (copia delle indagini diagnostiche per immagini, esami di laboratorio); • informazioni relative alla gestione dell’assistenza (soddisfazione bisogni, ulcere da pressione, gestione cateteri); • copia dei referti di visite specialistiche; • nel caso di passaggio ad un team riabilitativo diverso da quello operante nella struttura: relazione riabilitativa da parte del team stesso. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.19 Grado D Nel piano di dimissione dalla struttura ospedaliera dopo la fase acuta, è indicato fornire alle strutture (ospedaliere o territoriali) che accoglieranno il paziente, una stima della prognosi funzionale e tutte le informazioni utili alla continuità assistenziale. 374 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Similmente, al momento della dimissione dalla struttura riabilitativa con presa in carico da parte delle strutture territoriali (ad es. ADI) la relazione di dimissione deve comprendere, oltre alle informazioni sugli aspetti legati alla lesione, anche la relazione dell’équipe riabilitativa con l’ipotesi prognostica sulla disabilità e le indicazioni per il proseguimento del piano riabilitativo. 14.3.2.6 Sintesi 14-15 Per quanto riguarda il ruolo dei farmaci nel processo di riabilitazione, è in corso di valutazione l’azione di alcuni farmaci che potrebbero potenziare le attività finalizzate al recupero dopo un ictus. È altresì da valutare accuratamente il possibile effetto negativo che alcuni farmaci hanno sul processo di recupero. Ruolo dei farmaci Nel corso degli ultimi anni si è cercato di discriminare l’azione dei farmaci potenzialmente coinvolti nel recupero funzionale post-ictale. Le indagini sono state rivolte sia alle sostanze teoricamente in grado di ostacolare la riorganizzazione funzionale post-lesionale sia ai farmaci potenzialmente capaci di incrementare il grado di recupero di singole prestazioni. Alcune segnalazioni condotte su piccole serie di pazienti o derivate da studi sperimentali indicano che farmaci ad azione noradrenergica, quali amfetamine e dopamino-agonisti in combinazione con trattamenti riabilitativi, possono favorire il recupero di prestazioni motorie, percettive o linguistiche probabilmente riducendo la diaschisi.212-215 In senso opposto, antagonisti dopaminergici quali le fenotiazine, agonisti gabaergici quali le benzodiazepine ed alcuni anticonvulsivanti quali il fenobarbital e la dintoina possono inibire il recupero incrementando la diaschisi e sopprimendo il fenomeno del potenziamento a lungo termine.216,217 Un’esperienza condotta su un piccolo gruppo di soggetti ha documentato un’efficacia del metilfenidato nel miglioramento dell’esito clinico.218 A fronte di tale esperienza alcuni studi non hanno mostrato effetti positivi con l’uso delle amfetamine;215,219-222 in effetti una recente revisione Cochrane non ha potuto trarre conclusioni definitive sull’utilità o meno di tale trattamento.223 È stata segnalata, anche se solo in un singolo studio, un’azione positiva della L-dopa sul recupero.224 Una revisione Cochrane 225 ha mostrato una possibile efficacia del piracetam nell’influenzare positivamente l’evoluzione dell’afasia. Del tutto recentemente è stata ipotizzata un’azione favorevole della fluoxetina nel recupero motorio, indipendentemente dall’esistenza di depressione conseguente ad ictus.226,227 Tale segnalazione ha motivato la programmazione di alcune ricerche cliniche i cui risultati saranno disponibili prossimamente. Tali presupposti non consentono di proporre al momento farmaci psicostimolanti o dopaminergici nell’uso routinario. 14.4 L’APPLICAZIONE DEI TRATTAMENTI RIABILITATIVI Questa sezione riguarda l’organizzazione e la realizzazione dell’approccio riabilitativo, identificato sia nelle caratteristiche generali sia per gli aspetti specifici. Raccomandazione 14.20 Grado A È indicato che gli operatori attivi nei servizi dedicati ai soggetti colpiti da ictus, siano competenti sia nei trattamenti specifici delle malattie cerebrovascolari che nella riabilitazione, sia a livello dell’ospedale che del territorio, utilizzando protocolli concordati di trattamento, programmi informativi e di aggiornamento per gli operatori sanitari, i malati ed i caregiver. Raccomandazione 14.21 ❊GPP È indicato che i servizi dedicati alle malattie cerebrovascolari tengano particolarmente conto delle specifiche esigenze assistenziali dei soggetti colpiti da ictus nelle varie fasce d’età. Le informazioni contenute consentono di rispondere ai quesiti inerenti il tempo, la durata, i protagonisti e le modalità di un trattamento finalizzato al recupero funzionale. La collocazione temporale delle attività illustrate nella sezione riguarda situazioni cliniche che vanno dalla fase acuta al trattamento a lungo termine. In quest’ultimo ambito l’approccio riabilitativo si integra con la continuità assistenziale. Tutto il team dedicato all’assistenza riabilitativa è, in primo luogo, coinvolto nelle attività illustrate nella sezione. Essa però fornisce spunti interessanti sia al medico di medicina generale coinvolto nell’accesso alle strutture riabilitative che alla stessa utenza dei servizi dedicati alla riabilitazione. Le proposte contenute nella sezione fanno riferimento ai soggetti con disabilità unica o multipla conseguente all’ictus. 14.4.1 Caratteristiche generali degli interventi riabilitativi Secondo le esperienze acquisite dalle unità assistenziali dedicate all’ictus, la presa in carico del paziente in fase acuta è oggi efficace se offerta da un team interprofessionale competente e dedicato, che operi secondo protocolli condivisi, combinando nella stessa struttura il trattamento di ordine internistico e quello riabilitativo, curando nel frattempo il coinvolgimento del paziente e della famiglia e la propria continua formazione.12,25,31,228,229 Secondo le linee guida nazionali inglesi, redatte dal Royal College of Physicians, l’offerta assistenziale dedicata ai soggetti colpiti da ictus nell’arco dei sei mesi successivi dovrebbe riguardare un’area geografica ben definita, intervenendo sia nell’ambito ospedaliero sia territoriale, dovrebbe essere basata su di un team multidisciplinare e multiprofessionale coordinato, con competenze acquisite sia nel campo dell’ictus che della riabilitazione, che attivi programmi di formazione ed aggiornastesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 375 mento per gli operatori sanitari, i pazienti e coloro che si prendono cura dei soggetti colpiti da ictus e protocolli condivisi per i problemi assistenziali più comuni. In particolare viene sottolineato che i servizi dedicati ai soggetti colpiti da ictus debbono saper riconoscere le particolari esigenze internistiche, riabilitative e sociali dei pazienti più giovani e predisporre un ambiente adatto ai loro bisogni.230 In fase acuta, il valore assistenziale non è determinato dai singoli interventi professionali degli operatori della riabilitazione (fisioterapista, logopedista o terapista occupazionale),10 quanto dalla precocità delle risposte, dal coordinamento degli interventi, dalla collaborazione e dalla specializzazione del gruppo di lavoro.151,229 In fase post-acuta si realizzano i programmi rieducativi, fondati su proposte più strutturate di apprendimento di nuove strategie, volte ad assicurare le prestazioni compromesse dal danno cerebrale, che devono svolgersi in un contesto pedagogico caratterizzato da: 1. intervento nell’ambito della “zona di sviluppo potenziale”;231,232 2. apprendimento graduale, per livelli progressivi di complessità, sufficientemente lento da garantire correttezza e sicurezza, gratificante nel raggiungere obiettivi prefissati; 3. istruzioni formulate mediante messaggi efficaci; 4. rinforzo del comportamento appreso (feed-back fornito dalla conoscenza della performance e del risultato); 5. compiti congruenti alle abilità che si intendono recuperare; 6. recupero di abilità e conoscenze che influenzino positivamente l’attività abituale del paziente; 7. ripetizione autonoma delle prestazioni apprese 8. descrizione delle sensazioni percepite dal paziente durante il trattamento (che cosa sente e che cosa prova durante l’esercizio, in particolare l’esercizio di riconoscimento).233 In fase acuta la lesione cerebrale non è stabile, e subisce l’influenza di ipossia, variazioni della pressione arteriosa,234 temperatura, glicemia;235 oltre a ciò, è documentata una risposta a stimolazioni senso-motorie e cognitive, dato che alcune indagini strumentali rivelano modificazioni del sistema nervoso centrale del soggetto adulto in seguito all’esercizio, in fase sia acuta 236 sia cronica.237,238 Ad esempio Cicinelli et al.239 hanno documentato modificazioni di potenziali evocati motori in due piccoli gruppi di pazienti sottoposti a metodiche riabilitative differenti (Bobath vs. esercizio terapeutico conoscitivo secondo Perfetti). 14.4.2 Obiettivi a breve e lungo termine La definizione degli obiettivi è basata sui dati raccolti con la valutazione, sull’aspettativa in termini prognostici, ossia sulla previsione di modificabilità, sulle caratteristiche operative della struttura assistenziale e sulle esigenze pratiche del paziente, della famiglia e dell’ambiente. In generale gli obiettivi di base puntano ad una soddisfacente autonomia nelle attività principali della vita quotidiana e successivamente, se possibile, al recupero di abilità che permettano di contenere o superare lo svantaggio sociale ed economico. Nei casi più gravi, gli obiettivi del trattamento sono rappresentati dal contenimento della richiesta di assistenza per le attività della vita quotidiana, così come sono espresse nelle scale di autonomia.4 Convenzionalmente si definiscono obiettivi a breve termine quelli raggiungibili in pochi giorni e obiettivi a medio termine quelli raggiungibili entro poche settimane. Come già espresso in precedenza, le caratteristiche degli obiettivi a breve e medio termine possono essere elencate come segue:184,240 • basati sulle reali capacità di recupero; • quantificabili mediante misure di esito clinico, preventivamente individuate; • stabiliti dal team riabilitativo; • concordati con il paziente o con il suo caregiver; • non necessariamente confinati ad una specifica attività professionale (un singolo obiettivo impegna una determinata figura professionale, ma il programma può prevedere una partecipazione più estesa); • correlati a tempi di realizzazione stimati al momento della formazione del progetto; • basati sull’impiego di strumenti terapeutici predeterminati da utilizzare per il loro conseguimento; • affidati a responsabili ben individuati. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.22 Grado D È indicato valutare i risultati del processo assistenziale, rispetto al progetto riabilitativo ed agli obiettivi a breve e lungo termine, relativamente all’attività sia dell’intero team, che dei singoli operatori professionali. 376 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Ciò che ci si impegna ad ottenere attraverso il trattamento sarà oggetto dell’accordo terapeutico, in particolare i diversi livelli di modificazione delle funzioni considerate, dovranno essere descritti in modo semplice, comunicabile, misurabile, esplicitando come era il soggetto prima e come ci si attende che divenga subito dopo il trattamento.241 Le procedure sono condivise, registrate (cartella riabilitativa integrata), e verificate nel tempo.240 Gli obiettivi a breve termine,242 in ambito motorio come in ambito cognitivo, sono i prerequisiti fondamentali per l’acquisizione di competenze evolute. Esempi di tali obiettivi, in ambito motorio, sono l’acquisizione del controllo del carico intorno alla linea mediana da seduto e poi da eretto, nei riguardi del cammino,243 mentre in ambito cognitivo può essere indicato il ripristino dell’attenzione per l’apprendimento di nuove prestazioni ed una sufficiente motivazione a collaborare nella pratica terapeutica. L’influenza dell’ambiente a questo livello, richiama la necessità di coltivare un’atmosfera terapeutica.244,245 Costituiscono obiettivi a lungo termine gli esiti relativi all’autonomia e alla partecipazione sociale, prevedibili e desiderati dal paziente, con riferimento alla situazione dopo la dimissione. Tali esiti possono essere definiti come “esito globale”, cioè relativo al complesso degli interventi riabilitativi effettuati per una data persona. Gli obiettivi a lungo termine relativi alla partecipazione e al reinserimento sociale (recupero dello status e ruolo sociale precedente, ritorno alla attività lavorativa e/o alle attività del tempo libero) in genere (ma non obbligatoriamente) vengono perseguiti qualora il paziente raggiunga un certo livello di autonomia nelle attività di base della vita quotidiana (basic ADL). Sintesi 14-16 La condizione di immobilità e le limitazioni funzionali che si realizzano nella fase acuta dell’ictus possono indurre un danno secondario e terziario, intesi come menomazioni strutturali o funzionali che compromettono le possibilità di recupero. Raccomandazione 14.23 Grado C Nei primi giorni dopo l’evento ictale è indicato che gli operatori della struttura destinata alla fase di acuzie attuino un protocollo di intervento che tenga conto di: stato di coscienza e abilità cognitive, capacità di deglutire, efficienza comunicativa, stato nutrizionale, rischio di decubiti, esigenze del paziente correlate alle limitazioni motorie. 14.4.3 Ruolo delle variabili dell’assistenza a fini riabilitativi 14.4.3.1 Precocità dell’intervento Il progetto riabilitativo individuale e i programmi attuativi (dedicati agli obiettivi dell’assistenza riabilitativa) sono preparati, di norma, dopo qualche giorno dall’ictus e sono successivamente verificati nel tempo ed eventualmente modificati a seconda delle caratteristiche della situazione clinica od ambientale.240 È infatti indicato integrare fin dalla fase acuta l’attività di prevenzione della disabilità con il programma diagnostico ed il trattamento di emergenza. Sicure fonti d’efficacia documentano che l’assistenza a fini riabilitativi dell’individuo che ha subíto un ictus è tanto più efficace quanto più precocemente inizia.11,30,145,246 In particolare, alcuni studi controllati identificano che il contenimento del ritardo di ammissione in strutture riabilitative entro i 30 giorni dall’ictus, consente di ridurre la disabilità. Più di recente Paolucci et al.154 affermano che un intervallo inferiore a 20 giorni è di per sé un importante fattore prognostico positivo per il recupero funzionale dopo trattamento riabilitativo. Un altro recente studio italiano ha sottolineato l’importanza della precocità dell’intervento riabilitativo.55 Nello Studio Multicentrico Italiano ICR2,247 la precocità del trattamento è correlata al grado di disabilità valutato con il Barthel Index, ma non all’epoca del ritorno a casa, come già nello studio osservazionale di Indredavik et al.151 Il valore del ritardo di ingresso in strutture riabilitative è ridimensionato da recenti osservazioni di Inouye 248 la cui casistica, nonostante la prolungata latenza di ammissione alla riabilitazione, mostrava comunque l’acquisizione di una notevole autonomia, a fronte di una degenza particolarmente lunga. Ad ogni buon conto, il recente studio di Musicco 55 supporta l’ipotesi che la precocità dell’intervento, unitamente alle caratteristiche cliniche e demografiche, influenzino il recupero dopo l’ictus. Appare opportuno sottolineare che l’intervallo di ammissione alle strutture dedicate alla riabilitazione può essere dovuto a fattori sia organizzativi sia clinici. In quest’ultimo caso, la mancata stabilizzazione del quadro clinico con acquisizione tardiva delle risorse individuali, sia di ordine fisico che psichico, necessarie al trattamento riabilitativo intensivo, comporta di per sé un rischio di degenza più prolungata. È infine da sottolineare come le difficoltà organizzative siano minimizzate in caso di unità ictus destinata alla fase acuta integrata con la struttura dedicata alla fase riabilitativa. In fase precoce, la coerenza del programma assistenziale, rispetto ai molteplici obiettivi motivati dalla condizione clinica, è più rilevante dello specifico trattamento praticato; in questo periodo non si possono realizzare proposte rieducative specifiche, ma si attua un approccio destinato alla prevenzione di danni terziari e di facilitazione del potenziale residuo eventualmente emergente.10,12 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 377 Gli interventi rivolti alla prevenzione della disabilità risultano più efficaci quando realizzati nelle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolari acute.12 La valutazione clinica, realizzata da operatori sanitari con diverse competenze, destinata alla prevenzione precoce della disabilità dovrebbe essere condotta entro i primi 5-7 giorni dall’ictus, secondo un protocollo concordato nell’ambito del team assistenziale. In genere sono da verificare alcune attività di base, fin dalle prime 24-48 ore dall’evento, come lo stato di coscienza e la capacità di deglutire, le caratteristiche generali delle abilità cognitive e le necessità del paziente in relazione alla condizione di immobilizzazione ed alla perdita di capacità di manipolazione. Altrettanto precocemente va valutato lo stato nutrizionale ed il rischio di decubiti, affinché sia attivato il personale infermieristico che ha in cura il paziente. È infine consigliabile attivare quanto prima il team professionale dedicato alla riabilitazione, preferibilmente entro la prima settimana dall’ammissione alla struttura per acuti.12,249 14.4.3.2 Raccomandazione 14.24 Grado A Entro la prima settimana dal ricovero è indicato attivare lo staff cui compete l’assistenza a fini riabilitativi. Intensività Le linee guida del Ministero della Sanità per le attività di riabilitazione (1998)250 distinguono la degenza intensiva da quella estensiva anche in base al tempo complessivamente dedicato ad attività direttamente o indirettamente rivolte al recupero ed alla riabilitazione, nella convinzione che patologie disabilitanti più complesse richiedano maggiori risorse. Secondo tali linee guida, le varie fasi dell’assistenza a fini riabilitativi sono caratterizzate da interventi di riabilitazione che si distinguono in relazione alla loro complessità ed alla quantità di risorse assorbite. Secondo tale criterio si distinguono “attività di riabilitazione intensiva” che richiedono un elevato impegno professionale ed una durata globale dell’intervento assistenziale a fini riabilitativi di almeno tre ore al giorno, ed “attività di riabilitazione estensiva o intermedia” caratterizzata da un impegno riabilitativo di durata compresa fra una e tre ore giornaliere ed un forte impegno assistenziale. È opinione diffusa che la realizzazione di un trattamento rieducativo della intensità massima che può essere tollerata dal paziente migliori l’esito finale. La durata di tale approccio è variabile nelle diverse condizioni: si parte da 20-40 minuti al giorno,229 mentre negli studi clinici che hanno coinvolto le stroke unit i pazienti ricevevano in media 45 (range 30-60) minuti di rieducazione motoria e 40 (30-60) minuti di terapia occupazionale per giorno feriale.12 Naturalmente, la durata del trattamento riabilitativo non appare rilevante in fase acuta,151 quando risulta cruciale l’organizzazione e la collaborazione infermiere-terapista che amplifica il nursing in ottica riabilitativa, estendendolo a tutta la giornata. Nelle strutture che accolgono pazienti stabilizzati a fini della riabilitazione intensiva, la durata del trattamento è per la maggior parte determinata dal tipo di menomazione e dall’organizzazione della struttura, meno dallo stato funzionale; i miglioramenti sono correlati debolmente, ma in modo significativo all’intensità del trattamento e alla lunghezza della degenza.251 Di particolare interesse è uno studio randomizzato controllato di Kwakkel et al.194 che prende in considerazione il recupero funzionale dell’arto inferiore: l’aggiunta di 30 minuti al giorno di attività riabilitativa dedicata, per 5 giorni alla settimana per 20 settimane, ha indotto miglioramenti dell’autonomia nella vita quotidiana, oltre che della sicurezza e della velocità del cammino. L’effetto di una procedura analoga sulla destrezza motoria dell’arto superiore è risultato significativo, ma di scarsa entità e senza generalizzazione dell’effetto. Anche altre indagini analoghe hanno mostrato un miglioramento modesto, o temporaneo, ma solo a prezzo di intensità rilevanti di trattamento.30,193,252-255 L’esperienza specifica dei fisioterapisti dedicati al recupero funzionale dell’arto superiore è stata valutata da Lincoln et al.,256 in aggiunta alle ripercussioni di una maggiore durata di trattamento: l’indagine non ha documentato differenze significative nell’esito funzionale correlabili alla professionalità dei terapisti od alla durata del trattamento quando erano affrontate disabilità gravi, mentre, nei casi meno gravi, una maggior intensità e l’impiego di professionisti più esperti giocava un ruolo favorevole sui risultati della terapia. L’aumento della durata del trattamento riabilitativo ha portato, nello studio di Slade et al.,257 ad una riduzione della degenza, nel gruppo di soggetti cui è stato offerto il 67% di tempo di trattamento in più, in rieducazione motoria e terapia occupazionale.16,256-260 stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.25 Grado A È indicato che il paziente venga trattato intensivamente, compatibilmente con le sue caratteristiche e con quelle della struttura, articolando il programma sulla base dei vari operatori (fisioterapisti, terapisti occupazionali, riabilitatori delle funzioni superiori e del linguaggio, infermieri). 378 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane In assenza di prove adeguate di efficacia riguardanti le specifiche applicazioni inerenti un incremento dell’intensità del trattamento, oltre gli standard comunemente adottati dalla struttura riabilitativa, appare opportuno promuovere la ricerca per definire quali trattamenti possono beneficiare di una maggiore durata e a quali soggetti può essere proposto sia in termini di gravità della compromissione che di intensità dell’approccio riabilitativo di base.261,262 Nonostante il dibattito sia tuttora acceso e non si conosca la soglia minima di trattamento, al di sotto del quale l’approccio riabilitativo non offre apprezzabili benefici, le linee guida del Royal College of Physicians of London 27 sottolineano la necessità di offrire al paziente quanta più terapia egli possa tollerare, che questa sia orientata verso abilità a contenuto pratico e che, comunque, i pazienti, sottoposti a trattamento riabilitativo intensivo, siano trattati con assiduità ed incontrino i fisioterapisti tutti i giorni lavorativi.27 Le linee guida scozzesi sottolineano invece che la disponibilità di prove di efficacia è insufficiente per formulare un giudizio sul rapporto costo-beneficio o sulle raccomandazioni relative ai vantaggi dell’incremento dell’intensività del trattamento riabilitativo.26 Una recente metanalisi dimostra che un intervento più intensivo migliora le ADL a sei mesi in modo modesto ma significativo.263 Ad ulteriore supporto dell’importanza dell’intensività ci sono due recenti studi. Il follow-up del precedente studio dimostra un miglioramento mantenuto a 5 anni dopo intervento precoce intensivo. Il miglioramento è più significativo per i più gravi.264 Il trattamento più intensivo (7 giorni in confronto a 5) produce un aumento del punteggio FIM alla dimissione e una diminuzione della lunghezza del ricovero.265 È infine da sottolineare che, al di fuori delle casistiche trattate nell’ambito di studi clinici, le esperienze descritte a riguardo della routine operativa di strutture assistenziali ben organizzate, identificavano la rarità di una durata superiore alle due ore di fisioterapia giornaliere, nella fase più precoce della riabilitazione, sia per la scarsa resistenza del paziente che per motivi organizzativi. 14.4.3.3 Sintesi 14-17 Il ripristino delle attività abituali del soggetto colpito da ictus si basa sui processi di recupero intrinseco e compensatorio. I dati attualmente disponibili non consentono di documentare una maggiore efficacia di alcune metodiche rieducative rispetto ad altre. Sono per questo incoraggiati studi clinici controllati relativi ai singoli trattamenti riabilitativi. Tipologia I miglioramenti funzionali che si realizzano dopo l’ictus derivano dall’attivazione di meccanismi intrinseci, come il recupero dell’attività neuronale entro la penombra ischemica e di risoluzione dell’edema cerebrale. L’evidenza a sostegno dell’efficacia dei programmi di riabilitazione è basata sulla valutazione di un approccio multidisciplinare o sull’effetto di un particolare approccio (p.es. logoterapia), piuttosto che su componenti individuali di trattamento.266 La presenza di recupero intrinseco, che si realizza con riadattamento funzionale spontaneo in assenza di un trattamento rieducativo, consente di realizzare un recupero intrasistemico, ossia il ripristino di modalità di prestazione sovrapponibili a quelle premorbose; al contrario, quando sono necessari interventi riabilitativi, si realizza il recupero compensatorio mirato al ripristino dell’autosufficienza nella cura di sé e nelle attività complesse della vita quotidiana (ADL secondarie). Anche se non è l’età ad influenzare di per sé il recupero funzionale, bensì le caratteristiche del danno neurologico, alcuni sottolineano la prevalenza di recupero compensatorio oltre i 65 anni, in confronto alla maggiore probabilità di recupero intrinseco nei soggetti di età inferiore.267 In modo schematico si potrebbe pensare al recupero funzionale come ad un processo lineare che imbocchi prima la strada del recupero intrinseco, poi eventualmente quella del recupero compensatorio, nella quale la proposta assistenziale si fonda su bagagli terapeutici distinti. La sequenza temporale delle due modalità di recupero fa sì che neppure una scelta dichiaratamente “compensatoria” lo sia completamente in tutto il profilo temporale del recupero funzionale: infatti, anche le strategie riabilitative finalizzate al ripristino dell’attività compromessa dal danno cerebrale attraverso modalità diverse da quelle attuate prima della malattia, possono assumere connotati diversi a seconda dell’entità e delle caratteristiche del recupero intrinseco, cioè delle funzioni senso-percettive del paziente e della fase precoce o stabilizzata. Sono ancora aperti i quesiti riguardanti i presupposti neurofisiologici del recupero intrinseco e compensatorio, così come l’appropriatezza degli strumenti di valutazione applicati nelle varie fasi del recupero, dato che le scale di autosufficienza non consentono tale discriminazione.268 Negli ultimi anni sia indagini di Risonanza Magnetica Funzionale che studi elettrofisiologici, basati sullo studio dei potenziali evocati motori e sensitivi, oltre che sull’analisi dell’elettroencefalogramma, hanno fornito alcune informazioni sulla riorganizzazione del sistema nervoso centrale dopo lesione vascolare.269,270 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza Nella pratica clinica, in assenza di modelli ben strutturati delle condizioni funzionali che sottendono il processo di recupero, il paziente con esiti di ictus si presenta come portatore di risposte all’improvvisa disabilità, del tutto individuali e mutevoli nel tempo; tale condizione fa sì che a guidare la scelta tecnica da parte del team riabilitativo rimanga la valutazione globale del paziente.240 La tipologia dell’intervento si differenzia a seconda degli obiettivi dell’assistenza riabilitativa che sono perseguiti nella varie fasi del trattamento. Essa sarà descritta in dettaglio più avanti ma alcune considerazioni generali possono facilitare la comprensione dei diversi approcci. In fase acuta la mobilizzazione precoce è riportata universalmente come importante, anche se non identificata sulla base di una definizione condivisa e riferita alla chinesiterapia segmentaria (attiva o cosiddetta passiva), al contenimento della rigidità articolare,31 all’impegno dell’arto paretico in attività bimanuali per evitare il “non uso appreso”. Grande importanza fin dall’inizio rivestono le modalità di manipolazione e mobilizzazione durante l’allineamento posturale, le rotazioni, l’igiene, specie in caso di grave dipendenza: tali interventi sono stati “codificati” solo dai coniugi Bobath (1978)271 con il termine di “prime attività” e, come tali, da tempo riprese in pubblicazioni ad uso del personale sanitario e dei familiari (p.es.: Commissione Svizzera di Riabilitazione).272 La verticalizzazione precoce viene suggerita da alcuni clinici già nelle prime 24 ore, indipendentemente dall’eziologia ischemica o emorragica dell’ictus;151 al contrario, alcuni sconsigliano di alzare la testa del paziente dal letto prima della 5a giornata, specie in caso di lesioni dei grandi vasi, emodinamicamente significative, per la potenziale riduzione del flusso cerebrale, secondaria alla verticalizzazione ed ai passaggi posturali elementari precoci.273 In fase post-acuta si adottano valutazione e proposte terapeutiche più strutturate, sulla base delle prove disponibili a vantaggio dell’efficacia della riabilitazione delle abilità motorie,145,194,253,254,274-276 anche se non sono attualmente disponibili elementi di scelta fra le diverse metodiche che possono essere applicate in ogni caso clinico. Nei singoli contesti applicativi l’approccio è condizionato dalle caratteristiche culturali del team e dall’esperienza maturata nella soluzione dei problemi presentati dal soggetto che ha subíto un ictus. Alcuni metodi specifici di allenamento appaiono promettenti, sebbene l’evidenza sia limitata ai risultati di pochi studi, pur di qualità.277 Una strategia proposta è quella di forzare l’uso dell’arto superiore paretico;278-281 per il recupero del cammino è stata valutata la possibilità di tenere parzialmente sospeso il paziente su di un tappeto rotante per riallenarlo al passo con parziale risparmio del peso, magari mediante schemi strutturati di allenamento velocità-dipendente.282-284 La forza muscolare, l’articolarità della caviglia o la velocità del cammino del soggetto emiplegico, sono state considerate misure di esito per metodiche basate sull’uso di Bio-feedback Elettromiografico (BFB-EMG),285 Stimolazione Elettrica Funzionale (FES),286 elettrostimolazione,287 agopuntura,288,289 o sull’associazione al trattamento abituale di sussidi robotizzati.290 Per quanto riguarda l’esercizio terapeutico sono stati valutati: a. il rinforzo muscolare isolato;291-293 b. l’esercizio “task-oriented”, fondato sull’ipotesi secondo la quale tutti i sistemi senso-motori cooperano per raggiungere uno specifico compito;294,295 c. l’immaginazione motoria;296 d. la deafferentazione prossimale dell’arto superiore;297 e. la realtà virtuale.298 Recenti studi enfatizzano il ruolo del rinforzo muscolare. L’addestramento contro resistenza mostra un significativo miglioramento funzionale e della disabilità.299 Ci sono inoltre preliminari evidenze che il rinforzo muscolare riduce la menomazione.300 Se è presente ipostenia è indicato proporre un programma di esercizi mirati al rinforzo.301 Sulla base di questi dati emergenti le LG inglesi 26 suggeriscono il rinforzo muscolare come un obiettivo riabilitativo prioritario (grado A). Anche l’esercizio aerobico sta emergendo come una componente importante dell’esercizio terapeutico. Aggiungere infatti al normale programma Bobath l’esercizio aerobico su treadmill migliora la marcia in ictus lievi.302 stesura 15 marzo 2005 379 380 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Infine, l’esercizio terapeutico in acqua costituisce una ricerca di condotte motorie adeguate, capaci di generare adattamenti comportamentali compatibili all’ambiente acquatico, generatore di apprendimenti stabili ed efficaci, caratterizzati da un livello di complessità superiore agli adattamenti spontanei generabili in ambiente gravitazionale.303 Un buon accordo si registra a proposito dell’efficacia dell’impiego della terapia occupazionale,260,304 nonostante i contenuti tecnici del trattamento non vengano solitamente riportati, eccetto nel caso di Kalra et al.10 e la valutazione non vada oltre le scale per le ADL. In Paesi diversi dall’Italia, presso i quali la terapia occupazionale ha tradizioni radicate, essa rientra come componente abituale del programma di rieducazione, ed è considerata molto stimolante per il paziente che ottiene miglioramenti sia sul piano funzionale che psicologico. Un confronto fra tecniche richiede un disegno sperimentale accurato e gruppi di numerosità adeguata ma, nonostante ciò, talora non si raggiungono risultati significativi a lungo termine.193,305,306 In considerazione delle risorse impiegate per il recupero delle abilità motorie e della scarsità di risultati sui vantaggi di una specifica metodica, può apparire motivato chiedersi se sia preferibile l’impegnativo approccio neurorieducativo o se sia invece sufficiente un più economico approccio “comportamentale”, ossia stimolare paziente e famiglia ad ottenere una decorosa autosufficienza.268 Le informazioni attualmente disponibili evidenziano che la valutazione dei singoli trattamenti riabilitativi può essere molto difficile da realizzare entro uno studio randomizzato,6 mentre può essere realizzata meglio la valutazione di trattamenti specifici, ma di più generali provvedimenti riabilitativi (es. per prevenzione della spalla dolorosa o dei decubiti). Nonostante ciò, si ritiene inevitabile un incoraggiamento a compiere una verifica costante dell’efficacia degli interventi terapeutici specifici anche per condividere con più trasparenza con i pazienti le intenzioni e le attese, superando le difficoltà legate alla tipologia degli strumenti riabilitativi e del rapporto terapista-paziente, e alla variabilità dei comportamenti assistenziali degli attori coinvolti nel processo di recupero e dell’ambiente.229 14.4.3.4 Raccomandazione 14.26 Grado C È indicato che i familiari del soggetto colpito da ictus vengano informati, in maniera chiara, sulle conseguenze dell’ictus, soprattutto in termini di deterioramento cognitivo, incontinenza sfinterica e disturbi psichici, oltre che sulle strutture locali e nazionali fruibili per l’assistenza al soggetto malato. Raccomandazione 14.27 Grado C È indicato il coinvolgimento degli operatori sociali, al fine di organizzare e supportare le risorse disponibili, ma anche di contenere lo stress dei familiari del soggetto colpito da ictus. Continuità Il progetto riabilitativo può comportare un percorso assistenziale che si realizza in sedi diverse, in funzione degli obiettivi perseguiti e delle condizioni relazionali e sociali del soggetto malato. In genere, quando il paziente è dimesso dalla struttura ospedaliera viene attuato un profilo assistenziale extraospedaliero caratterizzato da una ridotta esigenza di sorveglianza sanitaria e da minore intensità di trattamento riabilitativo: nell’ambito territoriale si realizza la prosecuzione dei programmi rieducativi in ambulatorio e/o a domicilio, coinvolgendo il medico di medicina generale e del Distretto socio sanitario di base, oppure il ricovero in strutture protette.28,240 In caso di rientro a domicilio, il termine della degenza comporta il passaggio di parte delle consegne alla famiglia/caregiver (e al paziente, quando possibile), che devono essere stati guidati nel frattempo a comprendere e accettare la disabilità; nessun progetto o programma riabilitativo può essere efficacemente perseguito e portato a termine senza la collaborazione e la piena condivisione del paziente e della famiglia. In effetti, in accordo con le linee guida del Royal College of Physicians of Edinburgh (2000),29 si può affermare che l’ictus è una condizione di malattia che interessa tutta la famiglia, caratterizzandosi in maniera diversa da altre malattie acute, anche gravi, per l’esigenza di adottare, per tutta la durata della sopravvivenza, misure comportamentali, economiche, sociali e di controllo emotivo anche attraverso l’intervento di operatori sociali. Molte indagini prevalentemente di tipo osservazionale, documentano che lo stress dei familiari è correlato ai disturbi cognitivi e comportamentali, così come al mancato controllo sfinterico ed alla perdita globale di autonomia.307-314 Gli obiettivi da realizzare dopo la dimissione dalla struttura ospedaliera possono differenziarsi a seconda che la situazione clinica non sia stabilizzata o sia caratterizzata da condizioni di grave compromissione dell’autonomia oppure sia richiesto di mantenere nel tempo lo stato motorio e cognitivo raggiunti.267,315,316 L’attività di continuità assistenziale prevede spesso periodiche rivalutazioni di ordine riabilitativo, usando anche metodologie diverse dall’indagine clinica, quali la somministrazione telefonica di scale di valutazione o la consegna di schede di segnalazione dei problemi. In ogni caso, il paziente ed i familiari devono essere informati sulle diverse possibilità di svolgere trattamenti stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 381 rieducativi e sulle modalità formali per accedervi. È inoltre indispensabile che, al momento della dimissione dalla struttura ospedaliera o, comunque, in caso di modifica della sede in cui viene erogata l’assistenza, vengano forniti il piano di controllo longitudinale e gli ausili necessari al miglioramento dell’autonomia nel nuovo contesto. Anche se i criteri di appropriatezza del setting assistenziale verranno illustrati in un paragrafo successivo, può essere opportuno sottolineare che il trasferimento del paziente deve tener conto delle caratteristiche di seguito espresse. La prosecuzione del trattamento a domicilio può risultare efficace ed economica fino a 3 mesi rispetto al day hospital;317,318 talora limitatamente alla menomazione neurologica e alla funzione dell’arto inferiore, in caso di evoluzione favorevole;319 in alcune esperienze si è sottolineata la breve durata del beneficio indotto dal trattamento a domicilio cui fa comunque fronte l’esigenza di visite plurisettimanali da parte di un terapista occupazionale.304 In alcune valutazioni si sottolinea la sostanziale equivalenza di efficacia, rispetto alla degenza in ambiente ospedaliero, a fronte di un impiego di risorse uguale od inferiore, dedicate prevalentemente ad un programma autogestito supervisionato settimanalmente a casa.320-323 Recenti verifiche hanno valutato il ruolo di servizi di dimissione precoce dove un team interdisciplinare specialistico coordinato provveda al trattamento a casa.6,207 Questi servizi possono accorciare la degenza 324 di gruppi selezionati di pazienti e migliorare l’esito funzionale a distanza, tanto da essere fortemente consigliati dalle linee guida scozzesi per l’ictus.26 L’impiego di risorse riabilitative dedicate a pazienti entro il primo anno dall’ictus è fortemente dibattuto. Le divergenze d’opinione riguardano da un lato la convinzione che il recupero funzionale si realizzi prevalentemente od esclusivamente entro i primi mesi dall’ictus, dall’altro, l’evidenza che in assenza di esercizio le prestazioni decadono. Alcuni studi controllati 325-329 documentano l’efficacia di un trattamento a lungo termine in soggetti residenti a domicilio e su questa base le linee guida scozzesi 26,29 esprimono un parere favorevole nei riguardi di programmi di trattamento in soggetti ancora disabili a distanza di 6-12 mesi dall’evento ictale. Oltre a ciò, l’intervento domiciliare è supportato anche dalle considerazioni di seguito espresse. La dimissione precoce è favorita dalla presenza di un caregiver,330 esaltando così una delle voci più significative dei costi indiretti nell’ictus.331-334 È inoltre da sottolineare come tale condizione si associ frequentemente a depressione e riduzione della qualità di vita.161 Oltre a ciò è cruciale la programmazione di controlli periodici al fine di ridurre il rischio di nuovi ricoveri ospedalieri.157,335 Sono infine scarse le informazioni sulla durata del trattamento domiciliare 243 e sulle metodologie da impiegare a lungo termine, al fine di migliorare o mantenere le prestazioni.336 Deve infatti tenersi presente che, in rari casi caratterizzati da particolari eventi sfavorevoli verificatisi nei primi mesi dopo l’ictus, il recupero di alcune capacità può realizzarsi a notevole distanza dall’evento ictale in seguito a trattamento specifico.337 La prosecuzione dell’assistenza riabilitativa in regime di day hospital può risultare efficace come trattamento integrato in soggetti anziani, indipendentemente dalla condizione patologica di base;338 i pochi studi disponibili a riguardo della sequenza di regime ospedaliero diurno successivo alla degenza intensiva non consentono conclusioni sicure soprattutto in considerazione della variabilità delle opzioni assistenziali offerte dai diversi sistemi sanitari.13 Nei pazienti stabilizzati il trattamento ambulatoriale o sul territorio, inteso come continuità rispetto alla riabilitazione ospedaliera, è risultato utile se praticato con costanza ed impegno per 6-12 mesi,30,327,339,340 ma ha mostrato effetti transitori dopo la sua sospensione e non è stato tuttora chiarito il rapporto costo-beneficio.6,328,329 Il trasferimento a strutture di rieducazione estensiva, oppure a Residenze Sanitarie Assistenziali con finalità riabilitative, è spesso condizionato dalla gravità dell’ictus, dall’età e dalla presenza di caregiver ed è riservato alle situazioni con modesta aspettativa di miglioramento dell’autonomia od impossibilità di riadattamento dell’ambiente di vita.341 Nella realtà italiana, il rapporto fisioterapisti/ospiti spesso non consente la conduzione di un progetto riabilitativo individuale, e non sempre il progetto riabilitativo di struttura appare sufficiente, specie in termini di motivazione al recupero. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.28 Grado C È indicato che ogni paziente, ancora disabile a distanza di sei mesi o più da un ictus sia ri-valutato al fine di definire le ulteriori esigenze riabilitative, da realizzare se appropriate. 382 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.4.3.5 Raccomandazione 14.29 Grado C È indicato considerare con particolare attenzione i soggetti con cerebrolesione grave, al fine di definire le possibilità di recupero ed identificare il percorso assistenziale più proficuo, sia nelle strutture ospedaliere che nel territorio. La specificità dell’intervento sulla cerebrolesione grave L’utilità del trattamento riabilitativo intensivo per i pazienti che presentino all’ingresso un quadro di grave disabilità, è oggetto di dibattito. Il principale fattore contrario all’ammissione a strutture riabilitative intensive è che questi pazienti non recuperano, non traendo beneficio dalla riabilitazione, in quanto troppo malati per offrire un’adeguata partecipazione. Inoltre, la riabilitazione, anche quando possibile, è inefficace e, comunque, i trattamenti, anche se efficaci, sono troppo costosi.342 D’altro canto, una recente revisione sistematica 12 mostra che il trattamento in stroke unit produce effetti favorevoli indipendentemente dall’età del paziente e dalla gravità dell’ictus e conclude che non vi sono motivi per selezionare i pazienti all’ingresso. La riabilitazione nei soggetti gravemente disabili è sicuramente complessa. Le condizioni cliniche generali possono richiedere programmi specifici e/o particolari attenzioni nel loro svolgimento; oltre a trattare la menomazione e ridurre la disabilità, si devono utilizzare con particolare sensibilità il counselling e la collaborazione con la famiglia, sia per contribuire all’elaborazione dell’adattamento alla nuova condizione, ma anche per supportare le modificazioni necessarie per un rientro ottimale a domicilio: preparazione dell’ambiente domestico (ausili, adattamenti dell’abitazione) e sociale, onde ridurre o arginare lo svantaggio e l’isolamento sociale del paziente e della sua famiglia. La centralità della famiglia diviene più evidente in caso di patologie che esitano in gravi disabilità permanenti, in quanto unico interlocutore del team interprofessionale. La prognosi dei pazienti con disabilità grave all’ingresso è sfavorevole, ma non uniformemente povera o senza speranza; ci sono possibilità di recupero e può essere rischioso formulare una prognosi troppo precoce (eventuale collocazione in riabilitazione estensiva e rivalutazione).11 Il ruolo dei disturbi cognitivi è cruciale nel predire un esito povero e ciò richiede uno screening neuropsicologico precoce.89 Sulla base delle prove attualmente disponibili, non ci sono ragioni per credere che i pazienti con grave menomazione e disabilità non rispondano al trattamento riabilitativo. Nei reparti di riabilitazione intensiva coinvolti nello studio multicentrico italiano ICR2,343 il 74% dei pazienti all’ingresso è “molto grave” (Barthel Index 0-4) o “grave” (Barthel Index 5-9), contro il 33% di quelli ricoverati nei reparti per acuti del Copenhagen Stroke Study.344 Nello studio italiano metà dei molto gravi e l’82% dei gravi rientra a casa, contro il 18% e il 78% dello studio danese: se ciò da un lato conferma l’utilità della riabilitazione intensiva, dall’altro giustifica il ricovero non selettivo. Dato che buona parte dei pazienti gravati da predittori negativi all’ingresso mostrano un miglioramento funzionale durante il trattamento in degenza riabilitativa, appare necessario identificare fin dal ricovero gruppi di pazienti in grado di reagire diversamente al trattamento, non tanto per escludere i più impoveriti, quanto per individuare le risorse e le strategie necessarie ad amplificare il più possibile il loro potenziale residuo.90 Dopo la fase intensiva della riabilitazione, particolare attenzione è richiesta dal contenimento dei danni secondari, dal controllo del rischio di instabilità clinica, dalla prevenzione del decadimento funzionale e dal mantenimento delle autonomie raggiunte. Per tali scopi, per la persona e la famiglia, è cruciale il supporto dei servizi territoriali, attivati dal responsabile di Distretto su segnalazione del medico di medicina generale, con una rivalutazione periodica in merito al fabbisogno sanitario e sociale, per modulare e adattare gli interventi nel lungo periodo, e verificare la necessità di un eventuale nuovo ricorso ai servizi ospedalieri.240 Per quanto riguarda i costi, il recupero di menomazione e disabilità nei pazienti gravi è più lento e gravato da un maggior numero di complicanze, pertanto la durata complessiva del ricovero è significativamente più lunga ed il costo del trattamento più elevato.71,342,345 Appare opportuno sottolineare la necessità di considerare separatamente, anche in termini amministrativi ed economici, la gestione dei casi più gravi, sia per la caratterizzazione delle strutture che abitualmente li accolgono sia per il maggior impegno di risorse richieste per l’assistenza delle cerebrolesioni gravi. È infatti evidente che strutture dedicate possono ridurre l’incidenza di nuove ospedalizzazioni ed affrontare con maggior probabilità di benefici le problematiche più gravi.346 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.4.3.6 383 Prevenzione del danno secondario e terziario nella fase precoce dell’ictus La valutazione delle attività compromesse dal danno cerebrovascolare fin dai primi giorni dell’esordio della sintomatologia rappresenta un obiettivo assistenziale importante quanto una corretta diagnosi clinica. Questo infatti consente di organizzare più correttamente il percorso assistenziale, prevenire le complicanze e contenere i fattori che possono ostacolare il recupero intrinseco o compensatorio. Per danno secondario si intende, secondo la Morosini (1979)347 il disordine funzionale che colpisce sistemi anche lontani dalle strutture compromesse dalla lesione, in relazione ai disturbi percettivi, all’attivazione di pattern motori patologici o dei processi psicologi di adattamento alle menomazioni conseguenti al danno cerebrovascolare. Il “danno terziario” è invece indotto dalle conseguenze dell’immobilità (decubiti, retrazioni, ecc.) e dalle conseguenze psichiche e comportamentali conseguenti alla situazione disabilitante ed alle difficoltà di comunicazione Gli obiettivi dell’assistenza a fini riabilitativi sono già stati esposti in precedenza. Ad essi possono essere correlate le azioni di seguito esposte: A. mobilizzazione passiva degli arti paretici o plegici secondo tutto il range di movimento delle articolazioni per almeno 3-4 volte al giorno. Uno studio osservazionale ha documentato che la precocità della mobilizzazione e dell’addestramento del paziente rappresenta il fattore maggiormente correlato con il ritorno a casa entro sei settimane dall’ictus;150,151 B. utilizzo di presidi antidecubito, mantenimento dell’igiene e cambiamento della posizione con intervallo variabile da 1 a 4 ore secondo i fattori di rischio per lesioni da decubito. La prevenzione delle lesioni da decubito è realizzata attraverso il raggiungimento di due distinti obiettivi da perseguire congiuntamente: • la protezione della cute; • la riduzione della pressione delle sedi di appoggio. L’intensità di tali interventi è condizionata dalla presenza di fattori di rischio per la comparsa di lesioni definiti sulla base della Scala di Norton o di altre scale analoghe (basate su parametri quali lo stato generale, la mobilità/continenza e la compromissione della coscienza).348 La protezione della cute è basata sull’igiene, sulla idratazione della superficie cutanea e sul mantenimento del trofismo. In tal senso la pulizia attenta, soprattutto in sede perineale e sacrale, l’uso di creme in grado di proteggere la cute ed il frizionamento dolce delle zone sottoposte a pressione, sono considerate attività efficaci. La riduzione della pressione sulle sedi di appoggio è realizzata con sistemi attivi che distribuiscono il peso corporeo su di un’area più vasta (indumenti in lana di pecora, basi di appoggio in lana di pecora o poliestere, imbottiture in gel e sistemi “attivi” che modificano il punto di appoggio, alternando l’immissione e l’emissione dell’aria od utilizzando sistemi di rotazione del letto o letti ad acqua). Anche se i sistemi attivi sono ritenuti più efficaci, e più costosi, dei sistemi passivi, la strategia di intervento non può essere basata sull’applicazione indiscriminata di un presidio ma sulla identificazione della migliore condotta, caso per caso, in relazione al rischio di decubiti. È opinione comune che la disponibilità di uno staff infermieristico, numericamente adeguato e sufficientemente preparato, possa garantire la più valida prevenzione dei decubiti, qualunque sia il presidio tecnico impiegato; C. circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus sono colpiti da complicanze infettive broncopolmonari,349 verosimilmente in relazione alla disfunzione ventilatoria. Infatti ripetute osservazioni hanno documentato la compromissione dei parametri funzionali polmonari frequentemente in maniera proporzionale alla gravità del deficit motorio.349-351 Accanto all’accurata valutazione clinica, alla terapia antibiotica, associata eventualmente al trattamento con liquidi ed ossigeno, è necessario provvedere ad un’attivazione dei muscoli respiratori ed all’igiene tracheo-bronchiale. L’incentivazione della ventilazione autonoma, con posizionamento adeguato a favorire l’espansione di tutti i settori polmonari, appare in grado di ostacolare l’iperventilazione basale. La valutazione del riflesso della tosse e del meccanismo di deglutizione può contribuire a quantificare il rischio di polmonite.352 Nei soggetti con coscienza compromessa, l’acquisizione di posizioni che favoriscano il drenaggio bronchiale e l’eventuale attuazione di manovre che favoriscano l’espulsione delle secrezioni bronchiali possono evitare condizioni predisponenti l’infezione polmonare o l’ipossia. D. per la prevenzione delle trombosi venose profonde, accanto al trattamento farmacologico, è opportuno mobilizzare attivamente l’arto inferiore sano e mobilizzare passivamente l’arto paretico. A ciò si aggiunge l’utilizzo di calze elastiche o pneumatiche e l’acquisizione di stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.30 Grado B Sono indicati il posizionamento (igiene posturale) e la mobilizzazione segmentaria degli arti del paziente con ictus, al fine di minimizzare il rischio individuale delle complicazioni più frequenti, quali le contratture, le infezioni delle vie respiratorie, la spalla dolorosa ed i decubiti. 384 Raccomandazione 14.31 Grado B È indicato stimolare ed incoraggiare i pazienti con ictus alla partecipazione alle attività quotidiane e promuovere l’abbandono precoce del letto (verticalizzazione precoce), attraverso l’acquisizione dell’allineamento in posizione seduta entro il terzo giorno, se non sussistono controindicazioni al programma. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane posizioni che favoriscano il deflusso venoso dall’arto inferiore plegico. Prescindendo dall’intervento farmacologico, gli interventi preventivi della trombosi venosa profonda sono basati spesso su pratiche non documentate da adeguate prove di efficacia. La mobilizzazione precoce del paziente e quella selettiva degli arti colpiti appaiono utili per diversi scopi oltre a quello di evitare la stasi ematica a livello dell’arto inferiore colpito e non sono disponibili indagini selettive sull’efficacia della sola mobilizzazione precoce nella prevenzione della trombosi venosa profonda. L’uso di calze a tutta lunghezza a compressione graduata ha mostrato indubbi vantaggi nella sindrome da immobilizzazione secondaria ad intervento chirurgico e quindi può essere ragionevolmente trasferito ai soggetti immobili in seguito ad ictus.353 Occorre comunque sottolineare che i gambaletti potrebbero non essere analogamente efficaci, e che, in caso di arteriopatia periferica e neuropatia diabetica, la compressione esterna può provocare lesioni ischemiche. Sull’impiego di strumenti di compressione pneumatica esterna e sull’uso della stimolazione elettrica dei muscoli paretici, al fine di utilizzare la contrazione muscolare per spingere il sangue che refluisce dagli arti inferiori, non si hanno ancora dimostrazioni sicure di efficacia.354 L’incoraggiamento del paziente a partecipare attivamente al programma di posizionamento e di mobilizzazione è basato sul coinvolgimento nella assunzione di posizioni utili alla prevenzione della stasi polmonare e della stasi venosa dell’arto inferiore plegico. E. l’impegno degli arti paretici in qualche attività bimanuale è utile al fine di evitare il fenomeno del “non uso appreso”. F. la facilitazione dell’esplorazione dello spazio percepito in caso di emianopsia o di disturbo dell’orientamento spaziale dell’attenzione, si ottiene evitando posizioni del letto che lascino poco spazio all’esplorazione visiva. G.l’impegno nella memorizzazione del programma di attività giornaliere è utile per favorire l’orientamento temporale ed il mantenimento del ritmo sonno-veglia. La promozione dei contatti interpersonali è cruciale per prevenire l’isolamento del paziente e le conseguenze emotive e comportamentali che ne conseguono. H.l’informazione e l’educazione dei familiari a riguardo del loro possibile contributo al miglioramento dell’assistenza al soggetto malato appare cruciale per ottenere un’adeguata collaborazione e potenziare l’attività fornita dagli operatori professionali. L’informazione offerta tramite opuscoli predisposti a pazienti e caregiver ha fornito, in uno studio clinico randomizzato, vantaggi in termini di qualità percepita, riguardanti lo stato mentale dei caregiver che ricevevano le informazioni, senza ricadute significative sull’esito clinico dell’ictus o sulla qualità di vita dei pazienti;196,355 I. la facilitazione dell’acquisizione della posizione seduta nei soggetti senza compromissione dello stato di coscienza è consigliata da alcune linee guida 27,30 a partire dal secondo-terzo giorno, a meno di condizioni cardiocircolatorie che rappresentino una controindicazione assoluta all’avvio del programma di recupero della postura. In considerazione del fatto che molte complicanze sono correlate all’immobilizzazione, il trattamento precoce viene ritenuto necessario. In effetti nella revisione sistematica di Langhorne e Pollock (2002),25 la mobilizzazione precoce, inclusa la verticalizzazione, risulta caratterizzare l’attività di molte stroke unit. J. La prevenzione delle cadute può essere realizzata attraverso molteplici azioni: 1. verifica del sistema di chiamata degli infermieri; 2. controllo ad intervalli regolari dei servizi igienici; 3. verifica frequente delle condizioni del paziente, controllando ed eliminando le sorgenti di dolore o le cause di agitazione; 4. supervisione dei trasferimenti dal letto alla sedia o dal letto al bagno; 5. istruzione del paziente e della famiglia. I soli sistemi di contenimento (sbarre nel letto, fasce trasversali, ecc.) possono non essere efficaci ed incrementare l’agitazione nei soggetti confusi. 14.4.4 Programmi di recupero Scopo dell’intervento riabilitativo è quello di promuovere da parte del paziente un apprendimento di competenze, sfruttando tutti i sistemi funzionali rimasti integri, sviluppando nuove abilità al fine, in ultima analisi, di garantire il raggiungimento del miglior controllo possibile della propria persona e dell’ambiente circostante riducendo la percezione di malessere derivante dalle limitazioni imposte dal danno biologico. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 385 A questo obiettivo concorrono sia strategie mirate a ridurre il deficit (altrimenti detto menomazione) motorio e cognitivo sia tecniche di addestramento a comportamenti compensatori, che garantiscono il perseguimento di un’indipendenza funzionale nonostante menomazioni persistenti. L’integrazione con l’ambiente e il reinserimento sociale sono infine elementi indispensabili al benessere emotivo del paziente e possono essere ottenuti tramite interventi di adattamento ambientale, educazione del caregiver, consulenza professionale e sviluppo di una rete sociale (associazioni laiche, comunità di pazienti, centri diurni per disabili). 14.4.4.1 Promozione del recupero motorio intrinseco Esiste un’ampia documentazione sulla finestra temporale utile a promuovere il recupero funzionale intrinseco dopo ictus, che documenta come il deficit motorio selettivo subisca un’evoluzione favorevole che raggiunge un plateau, in media, entro i primi 3 mesi dall’evento.71 Alcune menomazioni, come la disfagia, hanno storia più breve, andando incontro, in media, a risoluzione spontanea, generalmente, entro le prime 2-3 settimane dall’esordio.105 Superato questo termine, risultati funzionali significativi possono essere ottenuti sfruttando strategie compensatorie, piuttosto che “ristorative”. L’efficacia di singole strategie impiegate per promuovere il recupero della destrezza, o del controllo del tronco o, infine, della deambulazione è peraltro tuttora discussa. Nel corso dei decenni le proposte di trattamenti riabilitativi dedicati al recupero post-ictus si sono moltiplicate. Generalmente, la riabilitazione neurologica ha visto il succedersi, per apposizione, ma non per sostituzione, di tecniche ispirate a presupposti teorici differenti. Pertanto, da un modello di rieducazione “ortopedica”, basato sull’allenamento muscolare si è passati, negli anni ‘50-60 alle proposte di Rood e Kabat che sulla scorta di principi neurofisiologici della facilitazione neuromuscolare applicavano tecniche mirate ad elicitare e rinforzare il movimento volontario.356 Nel 1969 i coniugi Bobath 357 davano compiutezza ad un intervento riabilitativo che presupponeva la conoscenza dei meccanismi riflessi delle risposte posturali e della loro evoluzione ontogenetica, ottenendo un successo tuttora riconosciuto nella gestione dell’emiparesi spastica conseguente ad ictus,358,359 anche se una recente revisione sull’efficacia di tale trattamento non ha fornito dati definitivi.360 Solo nel 1982, veniva introdotta una tecnica di apprendimento motorio cosiddetta “task-oriented” la cui ispirazione proveniva da studi sul recupero funzionale in modelli animali,361,362 che propugnavano una teoria di controllo centrale del movimento, secondo la quale l’esecuzione di gesti finalizzati ovvero contestualizzati è vincolante ai fini del recupero motorio. L’accumularsi di evidenze in merito ai fenomeni di neuroplasticità nel cervello adulto leso e alla rilevanza delle afferenze sensoriali nel promuovere la riorganizzazione di aree corticali 238 ha quindi prodotto il fiorire di proposte terapeutiche basate su varie tecniche di addestramento intensivo,252 elettrostimolazione,363 stimolazione ripetitiva,364 e bio-feedback.285,365 A fronte della abbondanza di proposte, e della evidente efficacia della riabilitazione – in senso lato – dopo ictus,366 non esistono studi comparativi che documentino con sufficiente evidenza la superiorità (ovvero la cost-effectiveness) dell’uno o dell’altro intervento terapeutico.367,368 Le singole segnalazioni e le poche revisioni critiche a supporto di diversi approcci sono riportate di seguito. 14.4.4.1.1 Stazione eretta e deambulazione La maggiore efficacia di un approccio orientato ad uno specifico compito (task-oriented) ai fini del recupero della deambulazione è descritta da Richards et al.369 che hanno confrontato il beneficio ottenuto mediante addestramento intensivo della deambulazione, attuato precocemente, con il risultato di approcci standard di addestramento motorio selettivo. Il vantaggio veniva peraltro riferito come significativo 6 settimane dopo l’ictus, ma non persistente a 6 mesi. L’aggiunta di tecniche di Stimolazione Elettrica Funzionale (FES) alla chinesiterapia, al fine di potenziare l’atto motorio, non sembra fornire vantaggi.286 L’efficacia di feedback elettromiografico (EMG-BFB) a supporto dell’addestramento neuromotorio è stata a lungo discussa agli inizi degli anni ‘90.370,371 Una metanalisi di 8 studi randomizzati controllati ha mostrato come l’unico vantaggio di un EMG-BFB applicato all’arto inferiore sia quello di migliorare la dorsiflessione del piede, senza peraltro influenzare significativamente la deambulazione.285 stesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-18 La rieducazione del controllo posturale e della deambulazione beneficia dell’intervento riabilitativo precoce. Non è documentata la superiorità di alcuni approcci su altri nel raggiungere questo obiettivo. Limitate evidenze sembrano suggerire un vantaggio di tecniche orientate all’apprendimento di sequenze motorie nel contesto abituale del paziente. 386 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Pollock et al. nell’ambito della Cochrane Collaboration, hanno condotto una revisione sistematica degli interventi mirati a promuovere il recupero del controllo posturale e della deambulazione, confrontando in particolare tecniche basate su una teoria biomeccanica o neurofisiologica del recupero piuttosto che su tecniche di riapprendimento motorio o su un’integrazione dei suddetti approcci, ma senza riuscire ad individuare un trattamento ottimale.368 La possibilità di realizzare in fase acuta un addestramento della deambulazione è apparsa finora subordinata all’acquisizione di un adeguato controllo del tronco e posturale, e di una sufficiente capacità aerobica, soprattutto in pazienti con elevato deficit stenico dell’arto inferiore, incapaci di supportare il peso del corpo durante la realizzazione del passo. Al fine di ovviare a tali vincoli che allontanano una tappa cruciale del percorso riabilitativo, incrementando così il senso di frustrazione emergente e la possibile depressione reattiva, alcuni Autori sollecitano l’utilizzo di una rieducazione su tappeto rotante (treadmill) unitamente ad un dispositivo di sospensione parziale e scarico del peso corporeo.282,372-374 Wilson et al. (2000)375 hanno recentemente fornito linee guida per un’applicazione corretta e sicura del dispositivo di sospensione del paziente sulla scorta di una precedente esperienza clinica, della consultazione di tavole antropometriche e di principi di bioingegneria. In soggetti con ictus, la condizione di sospensione parziale con riduzione del peso di circa il 30% consente lo svolgimento dell’esercizio fisico con un’importante riduzione del consumo d’ossigeno e si presta ad essere utilmente impiegato in soggetti cardiopatici che necessitino di un addestramento alla deambulazione.376,377 Un’ulteriore modifica al sistema di rieducazione su tappeto rotante è stata inoltre recentemente proposta da Werner e coll.378 in pazienti con compromissione grave del controllo posturale mediante un dispositivo elettromeccanico di addestramento al cammino. In considerazione del crescente interesse suscitato da questa metodica è stata promossa, nell’ambito della Cochrane Collaboration, una revisione sistematica degli studi clinici controllati mirati a valutare l’efficienza riabilitativa di un approccio basato sull’uso del treadmill, i cui risultati saranno disponibili a breve.379 14.4.4.1.2 Funzionalità dell’arto superiore Raccomandazione 14.32 Grado C È sempre indicato attivare un programma di riabilitazione dell’arto superiore paretico entro i primi tre mesi. Sintesi 14-19 Il recupero funzionale dell’arto superiore rappresenta un obiettivo a breve e medio termine del progetto riabilitativo. Per il recupero sono globalmente indicate tecniche di integrazione sensitivo-motoria, benché l’evidenza a supporto dei singoli approcci sia ancora modesta. Alcuni vantaggi in pazienti selezionati possono derivare da approcci di “uso forzato indotto da immobilizzazione dell’arto sano”. La perdita di destrezza nell’uso dell’arto superiore rappresenta uno dei principali fattori di disabilità persistente post-ictus. Si stima che circa il 20% dei soggetti non recuperi nessun uso funzionale dell’arto e che l’85% vada incontro ad un recupero parziale.380 Questa condizione non necessariamente contrasta con l’acquisizione di un buon livello di autonomia (rischiando pertanto di essere sottostimata dalle tradizionali misure di esito, quali Barthel Index e FIM), ma sicuramente penalizza il recupero dell’attività professionale e il reinserimento sociale, dimostrando di essere fattore predittivo indipendente di scarsa qualità di vita.381 Gli approcci terapeutici volti a promuovere il recupero intrinseco includono tecniche di rieducazione neuromotoria secondo Bobath,358 tecniche di apprendimento motorio,382 così come strategie di integrazione sensorimotoria mediante feedback elettromiografico,383 Stimolazione Elettrica Funzionale,384-386 o stimolazione neuromuscolare indotta dalla registrazione elettromiografica.387 Sono stati inoltre descritti recentemente i vantaggi emergenti dal potenziamento delle afferenze sensoriali mediante training intensivo ovvero stimolazione ripetitiva.252,288 La teoria del “non-uso appreso”,389 infine, ha portato numerosi Autori a sperimentare i benefici derivanti da un allenamento, più o meno intensivo, dell’arto paretico durante occlusione funzionale dell’arto sano controlaterale.279,280,390-392 L’efficacia delle singole tecniche è sostenuta da scarsa evidenza, prevalentemente basata su studi osservazionali, pochi studi controllati e rarissime metanalisi. Una revisione narrativa delle evidenze disponibili porta ad escludere la superiorità di un qualsiasi approccio terapeutico su un altro. In particolare, uno studio comparativo che ha confrontato il beneficio derivante da un intervento di scuola Bobath rispetto ad un metodo di apprendimento motorio ha attribuito a quest’ultimo la prerogativa di indurre cambiamenti funzionali più rapidi, ma quantitativamente sovrapponibili nel lungo termine.306 L’efficacia di un feedback elettromiografico nel promuovere il recupero della motricità all’arto superiore, già dichiarata da Basmajian,383 è stata confutata dal risultato della revisione di Moreland e Thomson.393 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 387 Le tecniche di “uso forzato” realizzate in fase acuta e sub-acuta hanno avuto alterno successo. Mentre è stato escluso il beneficio derivante da un training intensivo dell’arto superiore, sia esso realizzato con metodica Bobath,256 o con apprendimento contestuale,276 altri hanno documentato un incremento della destrezza al termine di un periodo di 14 giorni di occlusione forzosa dell’arto sano.280 L’esperienza accumulata sull’impiego della cosiddetta tecnica “constraint-induced forced use” (CIT) è molto più ampia e quantitativamente rappresentata negli esiti stabilizzati di paresi post-ictus,279,389,391 mentre le segnalazioni sulla sua efficacia nella fase di maggior impegno riabilitativo sono ancora sporadiche .280,392 Il perseguimento di un rapido recupero funzionale attraverso questa tecnica è inoltre subordinato all’assenza di deficit stenico grave e di controllo alterato del tronco; l’incremento potenziale delle esigenze assistenziali del paziente durante il periodo di occlusione circoscrive la fattibilità della CIT a setting di degenza riabilitativa con personale dedicato. 14.4.4.1.3 Comunicazione verbale ed altre abilità cognitive L’afasia è rilevabile in circa il 40% dei pazienti colpiti da ictus all’ingresso in ospedale.85 La prognosi dipende in modo marcato dalla gravità iniziale: nelle forme lievi si osserva un recupero spontaneo nelle prime due settimane dopo l’ictus, mentre il deficit di linguaggio è persistente negli altri casi (15%-20% dei pazienti sono ancora afasici a sei mesi). La riabilitazione dei disturbi della parola e del linguaggio dopo lesione cerebrale è l’area della riabilitazione cognitiva con la storia più lunga, risalente al diciannovesimo secolo. Nella pratica routinaria viene comunemente riferito che l’approccio ai disturbi afasici è di utilità per il paziente anche se la carenza di ampi studi multicentrici e controllati induce cautela come per altri aspetti della riabilitazione cognitiva.394-398 In realtà, a fronte di una carenza di prove di efficacia dovuta anche alle particolari difficoltà di organizzare studi in doppio cieco, alcune indagini in doppio cieco 399,400 hanno portato alcune linee guida ad affermare che “soprattutto ora è buona evidenza che, i soggetti con afasia beneficiano della logoterapia”. Denominatore comune di altre linee guida (BMC, AHCPR) è il coinvolgimento di personale competente. I vantaggi offerti da operatori professionali rispetto a volontari è espresso anche da altre indagini con indicazioni significative sull’approccio.401-412 Sono stati proposti numerosi approcci, da quelli di stimolazione ai recenti modelli di intervento basati sulla neuropsicologia cognitiva.413-419 È disponibile una revisione Cochrane sull’efficacia nell’ictus, che considera la letteratura sino al gennaio 1999.87 La conclusione di tale revisione, basata su 12 studi randomizzati controllati, tutti considerati di bassa qualità, è che non esiste evidenza conclusiva, basata su studi randomizzati controllati, dell’efficacia o dell’inefficacia della riabilitazione dell’afasia. Differente è la conclusione della revisione di Cicerone et al.86 che, sulla base di 3 studi definiti di livello I e 4 studi di livello II, definisce le terapie “linguistico-cognitive” come Practice Standard per l’afasia dopo ictus. Esiste inoltre una considerevole evidenza da indagini aneddotiche che depongono per l’efficacia dell’intervento riabilitativo. In considerazione delle limitazioni degli studi controllati sul linguaggio e delle posizioni assunte da altre comunità scientifiche, alla luce della disponibilità di alcune indagini controllate portate a termine negli ultimi 30 anni, si concorda con la revisione di Cicerone e la proposta di impegno specifico. Per quanto riguarda l’intensità del trattamento, tre sole indagini di discreta qualità 411,412,420 confrontano l’approccio più tradizionale di tre sessioni di un’ora alla settimana per sei mesi con un trattamento intensivo giornaliero di minore durata. Tali studi, in analogia con una metanalisi di Robey,421 supportano gli effetti positivi di una maggiore intensità della logoterapia. Tale posizione è assunta anche dalle linee guida SIGN 26 e RCP.27 Una recente revisione, confrontando i risultati di studi con diversa durata del trattamento, ha sottolineato che è preferibile un trattamento intensivo di breve durata ad un trattamento meno intensivo, ma più prolungato.422,423 È infine da sottolineare l’attenzione ai disturbi selettivi del linguaggio quali ad esempio i disturbi di lettura. Alcune indagini, metodologicamente robuste,398,424,4425 supportano un approccio specifico, condiviso anche dalle linee guida RCPE (2000). Tale posizione è stata recentemente assunta dalla Task Force sulla Riabilitazione Cognitiva della Federazione Europea della Società di Neurologia.426 Allo stadio attuale non esiste comunque evidenza per la superiorità di un approccio riabilitativo rispetto ad altri. È comunque diffusa la convinzione che disturbi settoriali persistenti, come quelli di lettura, richiedono un approccio specifico.398,427-430 stesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-20 Il trattamento dell’afasia è mirato a: a. recuperare la capacità di comunicazione globale, di comunicazione linguistica, di lettura, di scrittura e di calcolo; b. promuovere strategie di compenso atte a superare i disordini di comunicazione; c. addestrare i familiari alle modalità più valide di comunicazione. Le modalità di trattamento dell’afasia più frequentemente utilizzate sono: a. approcci mirati al controllo di disturbi specifici; b. modalità di reintegrazione del processo linguistico secondo i modelli cognitivi più condivisi; c. trattamenti stimolo-risposta. Raccomandazione 14.33 Grado D In presenza di disturbi del linguaggio sono indicati una dettagliata valutazione da parte di operatori competenti ed il coinvolgimento di un terapista del linguaggio (logopedista). Raccomandazione 14.34 Grado B È indicato un trattamento riabilitativo della comunicazione secondo l’approccio ritenuto più appropriato sulla base delle caratteristiche del paziente e delle competenze degli operatori. Raccomandazione 14.35 Grado C In presenza di disturbi settoriali persistenti del linguaggio, come quelli di lettura, è indicato un approccio specifico. 388 Sintesi 14-21 Il deficit dell’orientamento spaziale e dell’attenzione comporta un peggioramento degli esiti funzionali di un soggetto colpito da ictus. Il trattamento dell’emi-inattenzione è mirato a migliorare le capacità di esplorazione sensoriale sia per lo spazio personale che peripersonale. Le modalità utilizzate per il trattamento dell’emi-inattenzione sono basate su addestramenti specifici ed approcci mirati ad incrementare il livello attentivo generale. Raccomandazione 14.36 Grado A È indicato il trattamento dei disturbi dell’orientamento spaziale dell’attenzione con metodiche di addestramento selettivo. Sono necessarie ulteriori verifiche a supporto dell’adozione di procedure basate sull’uso di prismi o della stimolazione vestibolare. Sintesi 14-22 Il trattamento dell’aprassia è mirato a recuperare la capacità di programmare il gesto attraverso modalità stimolo-risposta o reintegrazione del gesto secondo i modelli cognitivi più condivisi o con approcci di tipo ecologico. Raccomandazione 14.37 Grado C È indicato un trattamento riabilitativo specifico dell’aprassia bucco-facciale o degli arti nei soggetti con persistenza del disturbo dopo la fase acuta. Sintesi 14-23 I dati disponibili derivanti da due revisioni Cochrane, non consentono di trarre conclusioni sull’efficacia del trattamento mirato a potenziare le prestazioni attentive e mnesiche nei pazienti con patologia cerebrovascolare. Raccomandazione 14.38 ❊GPP In presenza di disturbi dell’attenzione nella fase acuta di un ictus sono indicate strategie di potenziamento delle prestazioni attentive. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane L’emi-inattenzione è presente in fase acuta in circa un quarto dei pazienti;97 di questi, circa il 30% presenta un deficit persistente a tre mesi.431 In alcuni studi l’emi-inattenzione persistente è stata associata ad un peggioramento dell’esito funzionale.432 Non è quindi sorprendente che negli ultimi anni si siano moltiplicati gli studi sulla riabilitazione. Il trattamento dell’emi-inattenzione è mirato a: a. potenziare il livello di consapevolezza, di motivazione e di alleanza terapeutica; b. recuperare la capacità di esplorazione visiva specie per lo spazio peri-personale; c. promuovere strategie di compenso atte a superare le difficoltà di esplorazione; d. addestrare i familiari all’utilizzo delle modalità di esplorazione più adeguate. Le modalità più frequentemente utilizzate sono: a. metodi combinati di stimolazione dell’esplorazione visiva quali l’addestramento all’esplorazione visuo-spaziale, alla lettura, alla copia e alla descrizione di immagini; b. trattamenti con addestramenti specifici; c. approcci mirati ad incrementare il livello attentivo generale. Anche in questo caso è disponibile una revisione Cochrane,98 che ha considerato 15 studi e ha concluso per la presenza di effetti significativi e persistenti della riabilitazione a livello di misure di menomazione. L’evidenza per un impatto positivo a livello di disabilità è tuttavia insufficiente. Da un’analisi della letteratura si concorda sull’esistenza di adeguate prove di efficacia a favore delle procedure di addestramento dell’esplorazione visiva. Altre procedure, come l’uso di prismi o la stimolazione vestibolare, necessitano di ulteriori prove di efficacia. L’aprassia degli arti e/o del distretto bucco-facciale è presente in meno del 10% dei pazienti in fase acuta.103 Il trattamento dell’aprassia è mirato a: a. recuperare la capacità di programmare il gesto; b. promuovere l’autonomia nella vita quotidiana attraverso il recupero dell’attività gestuale; c. addestrare i familiari alla sollecitazione ed all’utilizzo del gesto. Le modalità più frequentemente utilizzate sono: a. trattamenti stimolo-risposta con imitazione del gesto; b. modalità di reintegrazione del gesto secondo i modelli cognitivi più condivisi; c. approcci di tipo ecologico mirati alla programmazione differenziata delle capacità acquisite ed estensione in situazioni extra-contestuali. La riabilitazione dell’aprassia è stata considerata sino a pochi anni or sono non prioritaria, data la credenza in un limitato impatto funzionale. Alcuni studi hanno tuttavia dimostrato un impatto dell’aprassia sulle ADL, e sono disponibili due studi randomizzati controllati che hanno fornito evidenza di efficacia della riabilitazione,104,433 oltre a studi controllati o rapporti aneddotici La riabilitazione va focalizzata su attività funzionali; sono necessari ulteriori studi sulla generalizzazione degli effetti del trattamento. Nell’ambito delle abilità compromesse vengono lamentati, in circa il 25% dei casi, disturbi mnesici ed attentivi, che possono portare alla diagnosi di demenza vascolare (si veda il Capitolo 15). I disturbi dell’attenzione sono suscettibili di trattamento riabilitativo specifico mediante programmi finalizzati all’incremento dell’attenzione. Una revisione Cochrane 434 ha identificato solo due studi randomizzati, nei quali questo approccio riabilitativo veniva posto a confronto con un trattamento di rieducazione motoria privo di uno specifico intervento sul deficit attentivo. I soggetti assegnati al trattamento attivo mostravano un miglioramento dello stato d’attenzione, valutato con scale specifiche, mentre non si evidenziavano – o non erano nemmeno presi in considerazione – effetti sul grado di autonomia funzionale in attività della vita quotidiana. Secondo una revisione Cochrane,435 solo uno dei pochi studi clinici controllati che hanno verificato l’efficacia di strategie finalizzate al recupero di deficit mnesici aveva arruolato esclusivamente pazienti reduci da ictus, mentre la gran parte comprendeva – esclusivamente o prevalentemente – pazienti con esiti di trauma cranico. Nei pazienti con ictus, l’impiego di strategie tese a migliorare la performance mnesica ha dato risultati poco incoraggianti e non trova, al momento, indicazione suffragata da evidenze scientifiche. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza In linea generale, il trattamento dei disturbi di memoria è mirato agli obiettivi di seguito espressi:436 a. potenziare il livello di consapevolezza, di motivazione e di alleanza terapeutica; b. favorire l’autonomia nella vita quotidiana; c. recuperare l’efficienza mnesica; d. promuovere strategie di compenso atte a superare i disordini di memoria; e. addestrare i familiari alla sollecitazione ed all’utilizzo delle modalità più adeguate. Le modalità più frequentemente utilizzate sono: a. metodi che prevedono l’utilizzo di strategie di compenso con ausili interni ed esterni quali agenda personale, tecniche di immaginazione visiva e tecniche specifiche di apprendimento; b. trattamenti per l’acquisizione di compiti specifici con addestramento individualizzato o con l’aiuto di computer. Nei soggetti affetti da patologia cerebrovascolare, i dati disponibili derivanti da due revisioni Cochrane 434,435 non consentono di trarre conclusioni né sulla promozione né sul rifiuto del trattamento mirato a potenziare le prestazioni attentive e mnesiche. È diffusa l’opinione che particolare attenzione debba essere dedicata ai deficit cognitivi conseguenti all’evento ictale, sia in relazione alla loro influenza diretta sull’autonomia nell’attività della vita quotidiana, sia per le ripercussioni dirette sull’apprendimento di nuove strategie mirate al recupero di prestazioni motorie. Esiste un ampio consenso (linee guida SIGN, AHCPR, BMC) sulla opportunità di una valutazione formalmente ineccepibile condotta da personale addestrato che consenta di verificare le abilità cognitive residue da utilizzare nel processo riabilitativo.437 Anche se non sono disponibili studi controllati, la condotta assistenziale di più comune riscontro comporta la promozione e l’esaltazione delle prestazioni cognitive ottenute sia con le risorse professionali disponibili nel team riabilitativo, sia tramite l’addestramento dei familiari ed il potenziamento della motivazione del paziente. 389 Raccomandazione 14.39 ❊GPP In presenza di disturbi della memoria dopo un evento ictale è indicato l’utilizzo di ausili (agende, orologi, ecc.) che facilitino l’attività quotidiana e l’assunzione di farmaci, mentre non risulta motivato un approccio riabilitativo strutturato al deficit mnesico. Raccomandazione 14.40 ❊GPP Per realizzare un programma di verifica e di riabilitazione neuropsicologica è indicato assicurarsi la motivazione e la costante collaborazione del paziente, un adeguato addestramento dei familiari ed un’efficiente collaborazione da parte di tutti gli operatori professionali del team riabilitativo. 14.4.4.1.4 Integrazione sensitivo-motoria e sensoriale L’interesse nei confronti di tecniche di integrazione sensitivo-motoria corrisponde alla necessità di sperimentare approcci che riconoscano una plausibilità biologica. Alcuni studi hanno associato il potenziamento della stimolazione afferente con ampliamento della rappresentazione corticale dell’arto paretico correlabile a fenomeni di neuroplasticità. Le tecniche impiegabili comprendono le già descritte strategie di apprendimento contestuale,238 le attività motorie ripetitive,252,364,388 l’uso forzato, il bio-feedback 370 e l’elettrostimolazione.438 La valutazione delle evidenze disponibili, tuttavia, non consente di trarre conclusioni utili per la pratica riabilitativa. L’efficacia di un feedback elettromiografico (EMG-BFB) nel promuovere il recupero delle abilità motorie segmentarie non appare confermata in due diverse metanalisi rispettivamente dedicate al recupero dell’arto superiore 284 e inferiore.285 Un recente studio controllato 439 suggerisce la superiorità di un addestramento mirato al miglioramento del controllo posturale attraverso l’impiego di una metodica di feedback al fine di promuovere un recupero rapido e persistente della simmetria nella posizione seduta ed eretta, già dalla fase acuta post-ictus. Nell’esperienza citata, la presenza del feedback mira a stimolare la consapevolezza dello schema corporeo e sembra fornire vantaggi rispetto a tecniche tipo Bobath e di apprendimento contestuale. L’elettrostimolazione si basa essenzialmente su tecniche di stimolazione elettrica funzionale (FES), che produce contrazione muscolare in maniera programmabile, al fine di promuovere il recupero, ridurre la spasticità o favorire l’allineamento dei capi articolari, e di stimolazione elettrica transcutanea (TENS), o elettroanalgesia, che stimola a bassa intensità ed elevata frequenza i nervi cutanei, al fine di determinare interferenza con le afferenze nocicettive, senza produrre contrazione muscolare. Esiste infine una forma intermedia di TENS ad alta intensità, che associa teoricamente i benefici delle due predette. L’evidenza a supporto dell’impiego di ciascuna modalità è affidata a pochissimi studi controllati e a rare metanalisi,286,440 ed è tuttora soggetta a revisione.441 Al fine di prevenire o trattare la sindrome della spalla dolorosa con caratteristiche invalidanti sono stati tentati ripetutamente approcci basati sull’elettrostimolazione (FES, TENS, TENS a bassa frequenza e bassa intensità).287,442 La maggior parte di questi è rappresentata da studi di stesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-24 L’impiego di tecniche di integrazione sensitivo-motoria, agopuntura e stimolazione elettrica transcutanea (TENS), è basato sui risultati ottenuti in ambito sperimentale piuttosto che clinico. Non sono evidenziabili vantaggi aggiuntivi derivanti dall’associazione di elettrostimolazione (FES, TENS) o agopuntura a trattamenti chinesiterapici. L’utilizzo di queste tecniche può essere considerato in casi particolari per il controllo di sindromi dolorose. Raccomandazione 14.41 ❊GPP L’impiego di tecniche di agopuntura e stimolazione elettrica transcutanea, da sole o in associazione al trattamento chinesiterapico, per il trattamento di sindromi dolorose, al di fuori della spalla, è indicato solo nell’ambito di studi clinici controllati. Raccomandazione 14.42 Grado C L’utilizzo della stimolazione elettrica transcutanea è indicato solo per il controllo di sindromi dolorose della spalla del lato plegico in casi particolari. 390 Raccomandazione 14.43 Grado C SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane coorte o da casi singoli.443 Una recente metanalisi su tutte le tecniche di elettrostimolazione 444 conclude con il riconoscere che questo approccio migliora l’escursione articolare scapoloomerale, probabilmente riducendo il rischio di sublussazione, ma non determina benefici ai fini del contenimento del dolore o del miglioramento della condizione funzionale. Sia nella fase acuta che in quella post-acuta, è indicata la verifica dei fattori potenzialmente responsabili di una sindrome dolorosa cronica dell’arto superiore. Nell’ambito delle tecniche di potenziamento della stimolazione afferente mirata a promuovere la riorganizzazione corticale, l’agopuntura ha riscosso un discreto successo.288,445-449 Tuttavia, una metanalisi degli studi controllati disponibili ha escluso per il momento un sicuro beneficio funzionale, derivante dall’impiego di questa tecnica, nell’ambito di un programma riabilitativo destinato al paziente post-ictus.289 Sintesi 14-25 14.4.4.1.5 Controllo delle condizioni che generano dolore Non sono al momento documentabili sicuri benefici ottenuti da approcci chinesiterapici nel trattamento della spalla dolorosa dopo l’ictus. L’elettrostimolazione consente di ottenere un miglioramento dell’escursione articolare scapolo-omerale senza un persistente beneficio sulla disabilità focale. Un obiettivo indirettamente correlato con il recupero della funzione motoria dell’arto superiore è la prevenzione di una sindrome dolorosa prossimale. Studi osservazionali hanno indicato un’incidenza di dolore in sede scapolo-omerale nel 75% nei pazienti emiplegici sopravvissuti ad ictus, entro il primo anno.3,450. Possibili fattori favorenti l’insorgenza e il mantenimento di questa condizione sono rappresentati da ipostenia grave dell’arto superiore, flaccidità, sublussazione gleno-omerale, neglect ed emi-ipoestesia.3,451 L’utilizzo di supporti per l’arto superiore al fine di contenere la sublussazione è indicato, ma la scelta del presidio deve essere effettuata sulla base delle esigenze individuali.452 14.4.4.1.6 Disfagia Raccomandazione 14.44 a Grado B Nei primi giorni dopo l’ictus è indicato uno screening tempestivo del rischio di aspirazione, da parte di personale addestrato. In caso di alterazione della deglutizione è opportuno l’intervento di un logopedista e l’adozione di misure idonee da parte dello staff. Raccomandazione 14.44 b Grado D È indicato prevenire la condizione di malnutrizione emergente dalla disfagia mediante strategie di nutrizione enterale, quali sondino naso-gastrico e gastrostomia percutanea. Raccomandazione 14.44 c Grado D È indicato valutare attentamente lo svezzamento dalla nutrizione enterale nei soggetti con indici prognostici favorevoli ed eseguirlo con modalità standardizzata comprensiva di monitoraggio clinico, videofluoroscopico e/o endoscopico, eseguito da personale specializzato. La disfagia post-ictus incide in misura variabile compresa tra il 13% e il 71%. Dati così variabili sono da mettere in relazione alla sede dell’ictus (lesioni unilaterali vs. lesioni bilaterali), agli strumenti di diagnosi, nonché al tempo intercorso fra l’evento acuto e la valutazione del paziente. In particolare, una rilevante quota di recupero, dal 43% fino all’86%, avviene con modalità intrinseca, spontaneamente, nelle prime settimane.453,454 Per l’11% dei pazienti affetti da esiti di ictus la disfagia è ancora presente a 6 mesi dall’evento acuto e per il 4% il sintomo è riscontrabile ad un anno. Al di là dell’impatto prognostico sfavorevole rappresentato dalla condizione di disfagia nella fase di degenza acuta e riabilitativa, già descritto nel Capitolo 11,46,108,455 la persistenza di questa disfunzione in fase di stato è causa di malnutrizione 111-113 e di scarsa qualità di vita,105 fattori entrambi critici ai fini della determinazione delle richieste assistenziali. La nutrizione enterale, ed in particolare la gastrostomia percutanea, costituisce senz’altro una modalità di nutrizione sicura, efficace, affidabile e discretamente tollerata dai pazienti con disfagia post-ictus.456,457 Tuttavia rappresenta pur sempre una tecnica invasiva che comporta una modalità non fisiologica di alimentazione con alterazione dei meccanismi di regolazione fame/sazietà, espone il paziente all’insorgenza di complicanze, può essere scomoda durante la riabilitazione (il riaddestramento alla deglutizione, fra l’altro, è meno efficace in presenza di sondino naso-gastrico),458 condiziona la qualità di vita, influenza il setting di dimissione, e comporta dei costi.459 Nonostante lo svezzamento dalla nutrizione enterale interessi una buona percentuale di pazienti disfagici, scarse sono le evidenze su cui basare poi una buona pratica clinica, che nella maggior parte dei casi si fonda su tentativi e procedure aneddotiche. Raccomandazione 14.44 d Grado D Nelle linee guida AHCPR 108 viene enfatizzata l’importanza del fatto che il paziente con disfagia post-ictus torni ad alimentarsi per via orale, quando questo sia considerato sicuro (cioè quando viene mantenuto un peso adeguato e quando il paziente non presenta aspirazione). In effetti, lo svezzamento dalla nutrizione enterale non costituisce necessariamente un obiettivo perseguibile da tutti i pazienti. In alcuni casi la nutrizione enterale può ridurre lo stress e l’ansia del paziente, aiutandolo a focalizzare l’attenzione sui compiti riabilitativi. In questi casi è raccomandabile che la nutrizione del paziente sia mantenuta attraverso una nutrizione orale parziale con supplementi di nutrizione enterale.459 È indicato garantire costantemente, in tutte le fasi dello svezzamento dalla nutrizione parenterale, un adeguato apporto calorico ed idrico. Non essendo stati individuati dei fattori clinici o videofluoroscopici predittivi di recupero,460,461 non si è in grado di individuare ab initio quei pazienti che potranno beneficiare di un programma di svezzamento.112,462-468 Fondamentale è che i pazienti abbiano caratteristiche cognitive e comportamentali tali da consentire la realizzazione della nutrizione orale.469 Il processo di svezzamento dalla nutrizione enterale prevede un approccio multidisciplinare assicurato da un team riabilitativo composto dal medico riabilitatore, dal nutrizionista, dall’infermiere e dal logopedista. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 391 La fase preparatoria deve: a. garantire la stabilità medica e nutrizionale; b. pianificare un programma di nutrizione enterale intermittente; c. realizzare un bilancio clinico funzionale della disfagia e/o una videofluoroscopia. La nutrizione enterale intermittente favorisce il recupero di una sensazione fisiologica di appetito/sazietà necessaria per i tentativi di nutrizione orale. Essa dovrebbe fornire solo il 75% delle richieste energetiche, ponendo attenzione a che il paziente sia in grado di integrare il deficit calorico e mantenga il peso. La fase di svezzamento intermedia prevede l’utilizzo di “cibi di stimolazione” (di consistenza molle), a frequenza crescente, fino allo svezzamento definitivo dalla nutrizione enterale, obiettivo subordinato a sua volta alla possibilità di garantire un’adeguata idratazione.470-472 La fase di svezzamento si accompagna alla realizzazione di approcci riabilitativi formali, la cui efficacia è ampiamente discussa. La possibilità di sviluppare interventi capaci di promuovere il recupero è strettamente subordinata all’acquisizione di una migliore comprensione dei meccanismi selettivi di controllo corticale della deglutizione, al raggiungimento di un’evidenza di plasticità, all’inquadramento dei diversi pattern clinici emergenti in relazione alle possibili sedi lesionali. In particolare è opportuno ricordare quali menomazioni possono associarsi alla comparsa di disfagia ed influenzarne il recupero favorendo o interferendo con l’acquisizione di strategie compensatorie. Gli interventi riabilitativi volti al trattamento della disfagia, generalmente effettuati da un logopedista, comprendono metodi non invasivi, applicati dalla fase acuta (dal primo tentativo di alimentazione orale del paziente), costituiti da: 1. tecniche compensatorie: • modificazione delle caratteristiche reologiche dei cibi;473 • mantenimento di posture corrette;474 • elicitazione dei meccanismi di protezione; 2. tecniche indirette: • educazione del paziente e del caregiver;475 • stimolazioni sensoriali;476-477 • esercizi specifici per l’incremento dell’escursione del movimento, della forza, del tono e della velocità di esecuzione;11 3. tecniche dirette: • manovre deglutitorie di compenso;478 • esercizi di respirazione e coordinazione respirazione/apnea. Al momento attuale le evidenze di efficacia dei singoli interventi appaiono deboli.456 L’educazione del paziente e del caregiver è verosimilmente fattore cruciale ai fini del contenimento delle complicanze correlate alla disfagia post-ictus.479-480 14.4.4.1.7 Le funzioni sfinteriche La persistenza di alterazioni del controllo sfinterico dopo ictus si associa ad una ridotta prospettiva di recupero funzionale, una maggiore latenza prima del trasferimento dalla degenza per acuti alla riabilitazione intensiva, una minore efficienza dell’intervento riabilitativo.82,481 Le ragioni risiedono verosimilmente nell’associazione di questo sintomo con lesioni di dimensioni estese, afasia, deficit cognitivo e grave deficit funzionale. La rilevanza del sintomo ai fini dell’incremento delle esigenze assistenziali, dei rischi di comorbosità emergente (lesioni da decubito per macerazione della cute, da sgocciolamento, oppure infezioni urinarie subentranti laddove si ricorra al cateterismo a dimora) e della qualità di vita suggerisce l’utilità di una gestione multidisciplinare del problema e il suo inserimento nel progetto riabilitativo. La valutazione urodinamica consente di dimostrare il meccanismo patogenetico alla base dell’incontinenza e di stabilire l’opportuna soluzione. In particolare, un’evidenza di iperreflessia detrusoriale (rilevabile in circa il 40% dei casi)482 è imputabile alla compromissione del controllo volontario per lesioni che prediligono la parte anteromediale del lobo frontale, il ginocchio della capsula interna, o i nuclei della base;483 la presenza di iporeflessia (circa il 21% dei casi) è prevalentemente riscontrabile in soggetti con neuropatia diabetica o trattati con anticolinergici, mentre una vescica normoreflessica (riscontrabile nel 37% dei casi) induce a ipotizzare che l’incontinenza consegua a variabili connesse con la comunicazione dei propri bisogni (demenza, afasia) o con gravi difficoltà di trasferimento per disabilità motoria.482 stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.45 ❊GPP È indicato che le unità assistenziali attivino protocolli predefiniti per gestire le condizioni di incontinenza o ritenzione urinaria e fecale. Il bilancio del paziente incontinente è un’attività di nursing che prende il via, insieme alle relative misure assistenziali, fin dal momento del ricovero. I protocolli adottati debbono prevedere le condizioni di utilizzo del catetere, la necessità di una valutazione urodinamica e della funzionalità anorettale, i presidi da utilizzare sia durante la degenza che dopo la dimissione, considerando anche gli eventuali ostacoli all’attività sessuale. Raccomandazione 14.46 Grado C Nei soggetti con incontinenza vescicale persistente è indicata una valutazione clinico-funzionale specialistica, comprensiva di esame urodinamico, al fine di programmare una rieducazione alla minzione volontaria. 392 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Una gestione basata sull’evidenza può ispirarsi alle linee guida dettate dalla U.S. Agency for Health Care Policy and Research (1996),484 che prevedono un approccio “a gradini”, articolato nella: • rilevazione del problema minzionale, distinguendo l’incontinenza contestuale, da urgenza o da stress, dallo svuotamento repentino della vescica, non preavvertito e non preceduto da alcuna azione; • identificazione dei fattori di rischio associati (demenza, afasia, grave disturbo motorio, infezioni urinarie, eccessiva assunzione di liquidi, diabete, uso di diuretici, utilizzo di farmaci ad azione anticolinergica o adrenolitica); • diagnosi clinica, laboratoristica e urodinamica; • prognosi funzionale mirata a definire il grado potenziale di collaborazione del paziente ad un intervento di rieducazione dello svuotamento vescicale; • impostazione di un addestramento (mediante svuotamento cadenzato della vescica con cateterismo intermittente o, dove indicato, con manovre atte ad incrementare la pressione endoaddominale). La frequenza di svuotamento deve essere individualizzata, partendo da intervalli di due ore, verificando la rispondenza dell’addestramento alle capacità del paziente e successivamente incrementando gli intervalli tra gli atti minzionali; • revisione del risultato dopo 3-5 giorni ed implementazione del programma. I soggetti che non sono in grado di mantenere una continenza entro l’intervallo di due ore dopo un addestramento di 2-4 settimane hanno prognosi sfavorevole e dovranno essere indirizzati all’uso di derivatori esterni, di cateterismo a intermittenza o, in ultima analisi, di cateterismo a dimora. Quest’ultima opzione va riservata a soggetti ad elevato rischio di lesioni da decubito o portatori di grave disfunzione vescicale. La decisione di avviare un paziente ad un addestramento di svuotamento vescicale cadenzato può basarsi sulla rilevazione dei seguenti fattori prognostici favorevoli, derivati prevalentemente da studi controllati (University of Iowa Gerontological Nursing Interventions Research Center 1999):485 • capacità vescicale >200 e <700 cc; • integrità cognitiva; • percezione dello stimolo minzionale; • episodi di incontinenza in numero inferiore a 4 ogni 12 ore; • capacità di svuotare spontaneamente la vescica dopo richiesta; • residuo post-minzionale <100 cc; • massimo volume di urina per atto minzionale >150 cc; • svuotamento vescicale appropriato in almeno i due terzi delle occasioni durante i primi 3 giorni di rieducazione vescicale. 14.4.4.2 Recupero delle abilità nelle attività della vita quotidiana: interventi sulla persona 14.4.4.2.1 La terapia occupazionale L’obiettivo dell’attività professionale del terapista occupazionale consiste nel minimizzare la disabilità. A tale scopo vengono impiegate strategie per esaltare la funzionalità residua, rieducare il paziente alla gestione della propria persona e alle attività della vita quotidiana (ADL). La terapia occupazionale ha come primo ruolo quello di migliorare l’autonomia nell’operatività e l’abituale partecipazione sociale. In una recente revisione sono stati valutati i principali studi sull’efficacia della terapia occupazionale attraverso l’addestramento specifico sull’utilizzo di ausili per migliorare le prestazioni e la pratica all’interno di contesti familiari.486 Una recente revisione sistematica 487 documenta piccoli ma significativi vantaggi ottenuti con la terapia occupazionale sia sulle attività basilari della vita quotidiana (cura di sé, mobilità) che su alcune attività aggiuntive (lavori domestici e svago) e sulla partecipazione ad attività sociali. Anche se i dati emergenti risultano incoraggianti, sono ancora da definire tempi, modalità e sedi dell’approccio riabilitativo che consentano di applicare su vaste popolazioni interventi omogenei di terapia occupazionale.488 L’intervento del terapista occupazionale riguarda anche le abilità cognitive e motorie. In ambito cognitivo sono stati revisionati 8 studi che dimostrano l’azione positiva sulla Sindrome da Negligenza Spaziale Unilaterale, mentre sulle prestazioni motorie sono stati revisionati 15 studi.489 La terapia occupazionale migliora il movimento nelle seguenti condizioni: stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza • • • • • 393 seguendo guide illustrate e scritte per gli esercizi motori; usando oggetti significativi come bersaglio del movimento; praticando movimenti nell’ambito di specifici obiettivi; muovendo entrambe le mani ma indipendentemente; immaginando un uso funzionale degli arti affetti. La terapia occupazionale trova un ruolo specifico nelle fasi di recupero sia in riabilitazione intensiva che nei programmi di trattamento domiciliare ed ambulatoriale. Il terapista occupazionale identifica gli aspetti individuali che possono permettere alla persona disabile di esercitare specifiche attività allo scopo di recuperare le funzioni e massimizzare la partecipazione in attività significative.26 14.4.2.2.2 Ortesi e ausili L’ausilio è un mezzo esterno che facilita le attività della vita quotidiana (p.es. la carrozzina negli spostamenti). L’ortesi è sempre un apparato esterno ma che agisce direttamente migliorando la funzione (p.es. ortesi di caviglia per limitare la flessione dorsale e/o la supinazione). Sia gli ausili che le ortesi, introducendo cambiamenti anche piccoli, possono modificare sostanzialmente l’autonomia della persona disabile. Purtroppo gli studi sono pochi e con numeri limitati di pazienti per cui non si possono trarre conclusioni univoche.490-495 Le recenti linee guida inglesi enfatizzano la necessita di fornire ausili e ortesi prima possibile.26 C’è comunque un accordo generale che la prescrizione di ausili e protesi debba essere individualizzata ed effettuata all’interno del programma riabilitativo.29 14.4.4.3 Recupero delle abilità nelle attività della vita quotidiana: interventi sull’ambiente di vita Nella realtà italiana la centralità della famiglia nella cura della malattia e nella tutela della salute è un dato consolidato. Le famiglie con un disabile sono l’11,2% del totale, quelle con un disabile grave sono il 6,6%. Circa un milione e mezzo di persone tra i 35 e i 69 anni hanno almeno un genitore non convivente con problemi di autonomia; l’82,7% di questi vede i propri genitori almeno una volta a settimana.496 Nello studio multicentrico italiano ICR2 l’84,5% dei 963 soggetti con esiti di ictus ritornano a casa. Una simile percentuale motiva una particolare attenzione per la fase di dimissione dalle strutture ospedaliere e di reinserimento nel proprio domicilio. La pianificazione del reinserimento a domicilio richiede le seguenti azioni:240 • conoscere l’ambiente di vita del paziente, la disponibilità di conviventi e di supporto familiare, le risorse economiche; • conoscere la disposizione e le caratteristiche del domicilio e fornire indicazioni per l’adattamento dell’ambiente domestico, eventualmente attraverso la visita domiciliare di un terapista; • illustrare la prosecuzione del progetto riabilitativo e la collaborazione richiesta ai familiari per portarlo a termine; • informare paziente e caregiver sulle risorse sanitarie e socio-assistenziali disponibili (ADI, trasporto per day hospital e/o ambulatorio); se necessario, fornire certificazioni e prendere contatti con le strutture sociosanitarie extraospedaliere, secondo un preordinato coordinamento delle varie figure professionali coinvolte; • conoscere lo stile di vita e gli interessi del paziente prima dell’evento morboso e identificare nuove attività sociali e ricreative consone alle abilità funzionali; • valutare realisticamente il supporto che il paziente può ricevere da parte dei caregiver, in modo da non dare per scontato che le persone con cui il paziente viveva possano, o dispongano delle risorse economiche o desiderino, fornirgli l’assistenza necessaria, in particolare quando si tratta di un coniuge anziano e in precarie condizioni fisiche piuttosto che dei ragazzi troppo giovani. In caso di inadeguato supporto dei caregiver o di problemi abitativi non modificabili, fornire indicazione su luoghi di soggiorno alternativi; • programmare brevi rientri a domicilio prima della dimissione, seguiti da incontri di verifica con il paziente e i familiari direttamente coinvolti; • ove possibile, avviare i contatti per favorire il reinserimento in un’attività lavorativa. L’informazione ed il supporto offerto alla famiglia ne migliora la partecipazione e la qualità di vita; in tal modo aumenta e migliora anche il sostegno fornito al paziente, specie se anziano e gravemente disabile.141,196 Esercitazioni guidate di soluzione di problemi sono apparse più stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.47 Grado B È indicato valutare la necessità di ausili sulla base del progetto riabilitativo individuale. Gli ausili dovrebbero essere forniti prima possibile anche in base alle necessità e aspettative del paziente e della famiglia. 394 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane efficaci della semplice istruzione nell’accrescere le conoscenze sull’ictus e nel dare stabilità all’organizzazione familiare, fino ad un anno dopo, senza maggior ricorso a risorse sociali.497 Entro un mese dalla dimissione, un incontro tra team ospedaliero, medico di medicina generale e operatori del Distretto, consentirà una verifica della qualità del ritorno a casa e una disamina di eventuali problemi aperti. 14.4.4.3.1 Adattamenti ambientali Raccomandazione 14.48 ❊GPP Prima del rientro a domicilio del soggetto colpito da ictus, è indicato realizzare gli adattamenti ambientali consigliati. Un paziente con esiti di ictus cerebrale, per essere indipendente, sicuro e a suo agio in casa propria, può aver bisogno di ricorrere ad alcune modifiche. L’adattamento dell’ambiente domestico rappresenta peraltro anche l’espressione di un percorso di adattamento equilibrato ai cambiamenti intervenuti nella vita della famiglia; non a caso avviene lentamente (nello studio ICR2 una famiglia su tre alla fine del trattamento riabilitativo ha eliminato le barriere architettoniche di ostacolo in casa). L’intervento domiciliare degli operatori socio-sanitari e della riabilitazione può essere d’aiuto, purché condotto con la giusta delicatezza, data anche la necessità di spesa per gli adattamenti e gli ausili non compresi nel Nomenclatore Tariffario. Le leggi finanziarie, già prima del 2000, hanno previsto detrazioni fiscali per le spese sostenute per l’eliminazione delle barriere architettoniche all’interno della propria abitazione o in spazi condominiali comuni (Legge Finanziaria 2002, come già per gli anni precedenti); la Legge 13/1989 che prevedeva contributi tramite il Comune a favore dei disabili nella necessità di eliminare barriere architettoniche all’interno della propria abitazione, è stata finanziata solo fino al 2000. Ciò costituisce inevitabilmente un ostacolo reale al recupero dell’autonomia. Le modificazioni che possono essere richieste in casa prevedono interventi su diversi elementi strutturali.498 Accessi Brevi scale o scalini d’ingresso possono richiedere l’aggiunta di un corrimano o di una rampa (pendenza inferiore a cm 2,5 in verticale per cm 30 di lunghezza), anche smontabile a seconda delle esigenze. Secondo il DPR “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 20012003” (3 maggio 2001)496 “il 48,2% dei disabili è confinato o ha difficoltà di movimento e abita a piani superiori al piano terra senza avere l’ascensore”. In questi casi la tipologia delle scale non sempre consente l’applicazione di una pedana o di un sedile su rotaia né d’altronde è sempre possibile servirsi di montascale, vuoi per lo sviluppo delle rampe, vuoi per la destrezza richiesta all’accompagnatore. Una carrozzina elettrica in grado di superare senza l’aiuto di una seconda persona dislivelli, gradini e scale richiede notevole spesa e integrità cognitiva. Corridoi e stanze I corridoi devono avere una larghezza di almeno 150 cm per consentire rotazione della carrozzina e passaggio anche di una persona.499 La camera da letto dovrebbe avere una superficie da 10 m2 (singola) a 22 m2 (doppia), e uno spazio libero di almeno 120 cm a fianco del letto per consentire i trasferimenti letto/carrozzina. Anche i mobili, per quanto possibile, dovranno essere adattati alle esigenze del disabile, in particolare se deve affrontare trasferimenti da e per la carrozzina: l’altezza del letto, la consistenza della rete o del materasso, l’altezza di sedie e poltrone (consigliati 45-48 cm), la presenza di tappeti o scendiletto. Esistono cuscini dotati di molla che aiuta ad alzarsi, poltrone che vengono fatte alzare e inclinare elettricamente al momento di sedersi e di alzarsi ed anche letti snodabili in grado di trasformarsi in ampi sedili. Porte Il vano delle porte può risultare insufficiente al passaggio della carrozzina. Se non è possibile individuare un modello di compromesso tra necessità del paziente e spazi disponibili, sarà necessario provvedere a modificazioni d’uso degli spazi meno accessibili, piuttosto che ad interventi strutturali. Potranno essere utili maniglie di forma adattata, leve lunghe, congegni ottico-meccanici di apertura e chiusura. Cucina Ripiani più bassi o carrelli possono sostituire piani di altezza inadeguata e privi di uno spazio in cui alloggiare le ginocchia da seduti. Il lavello, i fornelli, i ripiani del frigorifero, difficilmente possono subire variazioni, se non nella forma di manopole e rubinetti o nella disposistesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 395 zione. Utile una protezione intorno al piano cottura, al caminetto e l’uso di guanti isolanti. Erogatori dotati di termocoppia mettono al riparo da dispersioni di gas in caso di spegnimento accidentale delle fiamme. Le maniglie dei cassetti dovranno essere maneggevoli per dimensioni e forma. Stanza da bagno La stanza da bagno necessita spesso di modifiche, specie se deve accogliere un deambulatore o una carrozzina. È possibile adottare una tazza “sospesa” che funga anche da bidet, alta da terra fra 38 cm e 55 cm (o un rialzo con braccioli), con intorno circa 80 cm di spazio, e un lavabo a mensola (bordo inferiore a 70 cm da terra, tubature calorifughe).499 Una doccia accessibile adattata, può risolvere il problema dell’ingombro e della scarsa accessibilità della vasca, ma esistono seggiolini che ruotano intorno ad un perno fisso, per facilitare l’accesso alla vasca, o altri che si spostano in altezza, mossi da motori elettrici o dalla pressione di una mandata d’acqua accessoria. I rubinetti a leva singola sono da preferirsi in quanto più maneggevoli e lo stesso dicasi per le docce a telefono, specie per coloro che fanno il bagno seduti. Un pavimento impermeabilizzato in materiale antisdrucciolo ed un sistema di allarme sempre a portata di mano, completano la sicurezza del bagno. Sicurezza, convenienza, comodità Dovrebbero essere requisiti di tutte le case, in realtà poche sono dotate, p.es., di un segnalatore di fumo, o hanno un estintore nel garage o vicino al caminetto. Altri sistemi permettono il controllo a distanza delle luci e di tutti gli apparati esistenti in casa, mentre quelli fuori portata possono essere manovrati mediante sistemi più sofisticati di controllo. Telefoni portatili o segnalatori collegati a centrali di telesoccorso consentono maggiori possibilità di comunicare, anche in caso di urgenza. Parte di quanto sopra può valere anche per luoghi ove si svolgano lavori sedentari. Diversa è la situazione in caso di lavori fisicamente impegnativi o che si svolgono in contesti ambientali disagiati o secondo routines complesse, pericolose. Spazi esterni Ove disponibile uno spazio esterno, andrà adeguatamente pavimentato e dotato di corrimano e sedili idonei. Orti e giardini dovranno prevedere spazi idonei a spostamenti sicuri. È importante il contatto con centri di riferimento per la valutazione dell’utilità di adottare ausili complessi, come quelli per la comunicazione, o il controllo ambientale o per consentire la ripresa di attività lavorative. Detti centri devono disporre di banca dati aggiornata sugli ausili e sulle disposizioni legislative nonché di personale con preparazione specifica, in grado di supportare il team nella valutazione globale delle esigenze del singolo paziente. 14.4.4.3.2 Pianificazione e comunicazione con le strutture di intervento socio-sanitario I pazienti con esiti di ictus sono svantaggiati in diversi ambiti. L’handicap è solo in parte spiegato dalla disabilità e i pazienti possono rimanere socialmente isolati nonostante un recupero fisico relativamente buono.69,500 La verifica dell’efficacia del trattamento riabilitativo, per quanto importante, non esaurisce il problema della qualità del reinserimento, del grado di svantaggio sociale residuo e della qualità di vita.501 Un forte supporto sociale sembra migliorare l’esito a distanza, specialmente nei pazienti gravi,603 e ogni centro sanitario dovrebbe disporre di un servizio sociale in grado di fornire supporto istruttivo, strumentale e psicologico,11 necessario ad avviare al meglio il reinserimento del paziente e della famiglia. Sebbene la maggior parte del supporto sociale sia fornito da familiari, parenti e amici, la tendenza è che questi ultimi gravitino intorno al paziente durante la fase acuta, o nell’immediata post-dimissione, isolandolo successivamente. In queste circostanze divengono molto importanti, e devono essere fatte conoscere, le occasioni di socializzazione intorno a particolari interessi, le iniziative promosse dal mondo del volontariato e in particolare le Associazioni di pazienti e familiari. Nel caso di pazienti gravi che necessitino di particolare assistenza, il Distretto, su segnalazione del medico di medicina generale, avvia una delle forme di Assistenza Domiciliare Integrata stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.49 ❊GPP Nella fase post ospedaliera è indicato attivare tutte le risorse territoriali mirate a potenziare il recupero e facilitare il reinserimento nell’ambiente sociale, tenendo conto delle indicazioni formulate dal team attivo nella fase post-acuta. 396 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane (ADI); l’obiettivo è soprattutto assistenziale, mentre la rieducazione ha una funzione integrativa e viene applicata sulla base di specifici obiettivi. L’ADI garantisce, nelle sue varie formule, flessibilità ed efficacia di intervento; nell’anziano, in particolare, determina un contenimento dei costi, grazie anche alla riduzione del tasso di riospedalizzazione, ma soprattutto previene il decadimento funzionale e cognitivo, migliora il tono dell’umore e la percezione soggettiva di salute.503,504 Nella realtà il percorso di gestione appare carente nell’equità di accesso e di erogazione delle prestazioni, presenta scollamenti fra attività ospedaliere, distrettuali, domiciliari e assistenziali, carenza o assenza di comunicazione fra i soggetti erogatori delle prestazioni e una scarsa efficienza complessiva del sistema, nonostante le notevoli risorse assegnate. Si propone pertanto la realizzazione del modello Stroke Service con obiettivo il “disease management” della malattia cerebrovascolare, integrando la gestione della fase acuta con interventi sul territorio, in collaborazione con i medici di famiglia, in forma di dimissione protetta, di programmi di prevenzione, di riabilitazione e di follow-up. La sua attuazione determina una rilettura ed ottimizzazione delle risorse già presenti all’interno delle ASL, con il vantaggio di una finalizzazione dei servizi rivolti al massimo reinserimento ed alla massima continuità assistenziale. Il modello gestionale prevede la formalizzazione di un gruppo di lavoro (“working team”) rappresentativo di tutte le professionalità che intervengono sull’ictus sia nella fase ospedaliera che in quella territoriale, al fine di garantire una dimissione protetta dall’ospedale, individuando il percorso ottimale post-dimissione condiviso dai componenti del team e dai familiari del paziente. L’ADI viene attuata su suggerimento del medico di medicina generale quando è possibile il reinserimento familiare ed è necessario un supporto internistico e/o riabilitativo; prevede il coordinamento delle attività da parte del medico di famiglia ed una valutazione finale da parte del working team. Le risorse riabilitative necessarie per il trattamento in ADI, devono essere concordate, in fase di stesura del progetto individualizzato, dalla U.O. di riabilitazione con il medico di famiglia, i medici specialisti e i familiari. Il progetto riabilitativo si realizza nella valutazione fisiatrica e nel conseguente trattamento neuromotorio, logopedico, funzionale e nella valutazione di adattamenti ambientali e di idonei ausili od ortesi. Vanno inoltre analizzate, con i servizi socio-assistenziali territoriali, le eventuali risorse assistenziali ad integrazione della famiglia. Il ruolo del medico di famiglia, secondo i concetti del case management è principalmente quello del coordinamento delle attività territoriali, decidendo, in accordo con il collega funzionario della ASL, di programmare l’accesso a casa del paziente degli specialisti competenti per i vari problemi medici e di altre figure professionali come i fisioterapisti (riabilitazione neuromotoria), infermieri professionali (medicazioni, terapie infusive o parenterali), ausiliari socio sanitari (incontinenza sfinterica, alimentazione assistita, igiene parziale e totale) e logopedisti (trattamento delle afasie e/o disartrie). Tra gli specialisti più frequentemente coinvolti, oltre ai fisiatri, ai geriatri e ai neurologi è opportuno segnalare anche gli psichiatri per l’elevata percentuale di comparsa di depressione, deterioramento cognitivo o mancato adattamento alla nuova realtà nei soggetti che hanno subito un ictus invalidante, e gli psicologi per il supporto del paziente e dei familiari.209,505,506 Nel caso del paziente anziano, la costituzione del piano assistenziale è affidata all’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG) ed il medico di medicina generale è comunque responsabile e garante della sua attuazione, sempre in collaborazione con i funzionari dell’ASL. I costi dell’ADI, come emergono dalla letteratura internazionale, sono estremamente vantaggiosi.209 Considerato il livello medio di invalidità, la spesa per la Regione che eroga il servizio si pone complessivamente a livelli più bassi di quelli della degenza, anche per il paziente che necessita di un elevato numero di accessi e di figure professionali coinvolte. Per i casi più complessi di ictus negli anziani i quali, per la presenza di molteplici fattori interattivi, necessitano di una valutazione multifattoriale, molte Regioni hanno attivato la Unità di Valutazione Geriatrica che, nella sua impostazione teorica, prevede la figura del case manager.507 Studi controllati hanno dimostrato come tale modalità assistenziale sia la più efficace – in questo specifico ambito – sia sul piano dei risultati sia su quello dell’economia sanitaria.503,508 Una revisione Cochrane riguardante il trattamento domiciliare di tipo occupazionale pianificato prima della dimissione 158 mostra un effetto favorevole sugli eventi avversi conseguenti ad stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza ictus, valutabili in termini di mortalità o deterioramento dell’autonomia. Questi dati confermano i benefici documentati da uno studio controllato condotto su soggetti con ictus non ricoverati in ospedale.258,338 Per essere d’aiuto ai pazienti, il sistema di riabilitazione professionale deve migliorare valutazione, interventi, istruzione e tutela legale del paziente.11 Le tradizionali metodologie di valutazione possono allontanare i pazienti con deficit comportamentali e cognitivi relegandoli a occupazioni sottopagate e insoddisfacenti.509 Sono necessarie valutazioni flessibili e modelli occupazionali che tengano conto di variabili personali cliniche, psicologiche, scolastiche, professionali, economiche ben radicate nella realtà lavorativa e di vita. Nessuno degli strumenti di valutazione disponibili è stato testato nei pazienti reduci da ictus. 397 Raccomandazione 14.50 Grado B È indicato incoraggiare i pazienti reduci da un ictus, che in precedenza lavoravano, a ritornare alle loro occupazioni, se le loro condizioni lo permettono. Se necessario, il paziente dovrebbe ricorrere ad un intervento di consulenza in merito alle varie possibilità professionali. Gli operatori sanitari dovrebbero tenersi in contatto con i datori di lavoro per incoraggiarli ad inserire negli organici aziendali persone con inabilità da ictus o da altre cause. I pregiudizi sull’improduttività dei disabili devono essere dissipati. Gli operatori della riabilitazione dovrebbero fornire assistenza tecnica ai datori di lavoro nell’analizzare le mansioni professionali, stilarne una descrizione scritta e fornire una sistemazione appropriata ai dipendenti che hanno avuto uno ictus. Ostacoli al reintegro nell’attività professionale possono essere rappresentati dalla ridotta attività di consulenza fornita dagli operatori sanitari, dalle barriere architettoniche nei posti di lavoro e dalle provvidenze economiche riservate a chi interrompe l’attività lavorativa in seguito alla malattia Con il tempo, lo svantaggio sociale appare meno legato alla menomazione ed alla disabilità. Nello studio di Sturm et al.,69 a 12 mesi esse lo giustificano solo per il 50%; acquistano maggior peso fattori culturali e sociali, più difficilmente modificabili, specie in caso di disabilità importante e cognitiva, come pure caratteristiche individuali e relazionali preesistenti. 14.5 APPROCCIO ALLA COMORBOSITÀ ED ALLE COMPLICANZE CHE INFLUENZANO IL RECUPERO DELL’AUTONOMIA Questa sezione illustra l’influenza delle condizioni cliniche che coesistono con gli esiti dell’ictus, sul recupero dell’autonomia. Sebbene gran parte di tali condizioni assumano anche il ruolo di fattori predittivi, può essere clinicamente rilevante trattare selettivamente i quadri clinici che compromettono l’autonomia nelle attività della vita quotidiana. Le informazioni contenute consentono di definire quali aspetti debbono essere verificati e trattati per ottenere risultati più gratificanti per il soggetto malato e per lo staff. Le situazioni cliniche trattate si estendono soprattutto nella fase di riabilitazione estensiva, quando maggiori sono le risorse necessarie al recupero funzionale. L’utenza medica di riferimento della sezione coincide con gli operatori competenti nell’attività di riabilitazione e di assistenza internistica, con particolare riguardo alle valenze neurologiche e geriatriche. La popolazione di soggetti nella quale sono applicabili le indicazioni fornite è aggregata nell’ambito dei pazienti con disabilità multiple, in gran parte correlate all’età avanzata ed alla patologia vascolare, metabolica e degenerativa. Tutte le patologie croniche che di base possono ridurre l’autonomia dei pazienti renderanno il processo riabilitativo dei pazienti con ictus più laborioso e meno soddisfacente. Per tale motivo dovranno essere correttamente indagate, diagnosticate e trattate, in modo che il loro impatto sul processo riabilitativo sia il meno pesante possibile. Stesso discorso ovviamente va fatto per le comorbosità che si verificano nel paziente come complicazioni e/o conseguenze dell’ictus stesso. 14.5.1 Spasticità La spasticità è una complicazione delle lesioni cerebrovascolari frequente – anche se recentemente è stata riscontrata solo nel 19% di 95 pazienti a 3 mesi dall’evento acuto 510 – e disabilitante, e spesso necessita di specifico trattamento. Purtroppo la terapia è solo sintomatica, con risultati variabili, ed include trattamenti farmacologici, riabilitativi e chirurgici. Non sono numerosi gli studi clinici sull’argomento, ed i dati disponibili sono positivi essenzialmente per la tizanidina.511,512 La chemodenervazione locale della tossina botulinica permette, oltre a ridurre l’ipertono nei segmenti infiltrati, di migliorare le prestazioni funzionali. Gli studi ranstesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-26 I pazienti possono presentare, oltre ai postumi dell’evento cerebrovascolare, altri disturbi, come comorbosità preesistenti o complicazioni dell’evento ictale (spasticità, depressione, malnutrizione, patologie articolari e/o dolorose, cadute…). Tali disturbi, nei pazienti con postumi di ictus, non devono essere considerati ineluttabili, ma devono essere adeguatamente valutati e trattati, in quanto altrimenti possono condizionare negativamente il processo riabilitativo. Raccomandazione 14.51 Grado B Nell’ambito di un programma di trattamento della spasticità è indicato l’impiego della tossina botulinica nel trattamento focale, a livello dell’arto inferiore o superiore, dopo aver valutato la risposta o la tollerabilità degli antispastici orali. 398 Raccomandazione 14.52 Grado D Fra i soggetti che hanno ripreso a camminare dopo un ictus, è indicato: 1. identificare i pazienti a rischio di cadute, 2. attuare un trattamento riabilitativo specifico, 3. adottare modifiche ambientali per prevenire le cadute, attraverso la facilitazione dell’accessibilità ai servizi igienici, il miglioramento dell’illuminazione, il trattamento dei pavimenti scivolosi, e l’aumento della sorveglianza. Raccomandazione 14.53 ❊GPP Benché non esistano evidenze a supporto dell’efficacia di un approccio riabilitativo atto a migliorare deficit di attenzione e di memoria, dato il grave impatto funzionale del deterioramento cognitivo in pazienti con ictus è indicato l’utilizzo di approcci basati sullo sfruttamento di abilità residue e un’adeguata educazione del caregiver. Raccomandazione 14.54 a ❊GPP Nelle fasi precoci post-ictus è indicato attuare il corretto posizionamento della spalla, l’utilizzo dei supporti morbidi e l’astensione da manovre di trazione della spalla plegica. Raccomandazione 14.54 b ❊GPP Successivamente alla fase precoce post-ictus, nei casi in cui si verifica una sublussazione di spalla, è indicato eseguire uno studio radiologico Raccomandazione 14.54 c Grado D In caso di sublussazione della spalla è indicata la prescrizione di un supporto per spalla e la Stimolazione Elettrica Funzionale (FES). Raccomandazione 14.54 d Grado D Se si presenta una rilevante sintomatologia dolorosa a livello della spalla, è indicata la possibilità di un’infiltrazione con steroidi. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane domizzati controllati sul trattamento dell’arto inferiore 513,514 e dell’arto superiore 515-518 forniscono un valido supporto all’impiego che comunque richiede competenza da parte degli operatori medici. 14.5.2 Ipotonia Una prolungata flaccidità, associata generalmente ad emidisattenzione spaziale, è un fattore poco studiato, ma prognosticamente negativo.83 Anche i dati di letteratura relativi al suo trattamento sono attualmente scarsi e non risolutivi.519 14.5.3 Depressione post-ictale La depressione post-ictale (“post-stroke depression” – PSD) è di frequente osservazione nei pazienti con postumi di lesione cerebrovascolare. I problemi tuttora aperti, ed affrontati in dettaglio nel Capitolo 15, includono la reale prevalenza, le modalità diagnostiche, e i relativi meriti delle diverse opzioni di trattamento. 14.5.4 Cadute Le cadute rappresentano un evento di rilevanza anche grave che può realizzarsi nel corso del recupero, e si verificano con una frequenza variabile (20%-50% nelle varie casistiche),520-522 ma fortunatamente con una non elevata percentuale di eventi fratturativi.523 Sono stati individuati alcuni fattori prognostici associati con il rischio di cadute: la compromissione motoria e sensoriale,521 la depressione,520 le cardiopatie, i deficit cognitivi e l’incontinenza urinaria.523 Il rischio di cadute nei reparti di riabilitazione aumenta in considerazione del trattamento stesso, che di per sé induce una maggiore mobilità. 14.5.5 Deterioramento cognitivo e demenze La presenza di una compromissione cognitiva interferisce con le capacità del paziente di apprendere, ovvero di partecipare e trarre beneficio dal trattamento riabilitativo. Un particolare impatto ha la persistenza di questi disturbi sui caregiver dopo il rientro in famiglia. Problemi di attenzione e memoria sono frequenti nei pazienti con ictus. Una compromissione cognitiva (memoria, orientamento, attenzione) è stata associata con una maggiore lunghezza della degenza riabilitativa e maggiori necessità assistenziali,524 e con un maggiore rischio di dipendenza nelle attività di vita quotidiana.525 Il disorientamento, osservabile quasi in un quarto dei pazienti in fase acuta e in oltre il 10% dopo riabilitazione,526 compromette l’autonomia nelle attività di vita quotidiana.527 L’importanza dei fattori cognitivi è particolarmente importante nei pazienti di età ≥60 anni.527 Per tale motivo sono stati utilizzati vari approcci riabilitativi, basati sullo sfruttamento delle abilità residue e su approcci compensatori. Una recente revisione sistematica Cochrane ha segnalato che un trattamento riabilitativo per l’attenzione è in grado di migliorare la vigilanza e l’attenzione sostenuta, ma non ci sono al momento evidenze per capire se sia in grado o meno di migliorare la prognosi funzionale dei pazienti.434 Discorso analogo è stato fatto, sempre in una revisione sistematica Cochrane, per i training per i deficit di memoria.435 14.5.6 Disturbi funzionali coesistenti 14.5.6.1 Patologia articolare La spalla dolorosa dell’emiplegico è una complicazione frequente, osservabile nel 16%-84% dei casi, e riconducibile a cause sia non locali (cervicopatie, dolore talamico, ecc.) che locali (sublussazione, lesioni cuffia rotatori, capsulite adesive, tendiniti, spasticità).529 Sono stati proposti vari approcci medici e riabilitativi per ridurre la componente dolorosa ed aumentare l’autonomia funzionale. Nelle fasi acute e post-acute, e nel malato allettato, è importante il corretto posizionamento dell’arto per cercare di evitare la sublussazione. L’utilizzo di sling per prevenire la sublussazione gleno-omerale è tuttora controverso. La quasi totalità dei reggispalle disponibili si sono dimostrati efficaci nel ridurre la sublussazione. Una recente revisione sistematica, valutando 14 studi su 25 selezionati, non è riuscita ad individuare l’approccio riabilitativo migliore, a causa della scarsa qualità degli studi in questione.529 Gli stessi autori ritengono approcci utili la stimolazione elettrica funzionale (FES) e le infiltrazioni con triamcinolone. La FES è ritenuta utile per ridurre la sublussazione,444,530 ma non in grado di influenzare il recupero, la spasticità o la sintomatologia dolorosa.444 Una revisione Cochrane pubblicata nel 2003 sottolinea la necessità di studi adeguati e metodologicamente corretti per poter trarre delle conclusioni generalizzabili.531 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.5.6.2 Sindromi dolorose Una sindrome dolorosa centrale (CPSP – “central post-stroke pain”), o sindrome talamica, è stata osservata nell’8% dei pazienti con postumi di ictus,532 ma la sua reale incidenza è tuttora oggetto di discussione a causa di un approccio al problema spesso non corretto.533 Una sindrome dolorosa centrale può aumentare la disabilità dei pazienti.534 Il trattamento farmacologico, classicamente eseguito con antidepressivi triciclici, utilizza attualmente farmaci antiepilettici.535 14.5.6.3 Ipostenia La gravità della compromissione motoria è un rilevante fattore prognostico per il recupero funzionale dei pazienti,536,537 anche se l’ipostenia è generalmente valutata nell’ambito della gravità della menomazione. Infatti le scale di menomazione valutano essenzialmente la compromissione motoria. Una recente revisione sistematica ha confermato che la gravità iniziale della paresi è il fattore più importante per la prognosi del recupero motorio.538 14.5.6.4 Malnutrizione In circa un terzo dei pazienti ricoverati per ictus si osserva uno stato di malnutrizione,539 ma risultavano malnutriti anche pazienti che non necessitavano di assistenza nell’alimentazione. Malgrado sia stato segnalato che la presenza di malnutrizione sia associata ad una maggiore lunghezza della degenza riabilitativa ed una maggiore disabilità alla dimissione,111,455 nella maggioranza degli studi di prognosi le condizioni dello stato nutrizionale sono state generalmente trascurate. Va tenuto inoltre presente che le necessità nutrizionali dei pazienti cambiano in relazione alle condizioni cliniche, al fatto che il paziente sia allettato o che pratichi un trattamento riabilitativo. 14.5.6.5 Alterazioni del sonno Le alterazioni del sonno sono frequenti, ma essenzialmente secondarie a problematiche neuropsichiatriche, metaboliche e/o iatrogene. Un crescente e recente interesse è per le apnee ostruttive notturne, osservate in un elevato numero di casi nel periodo post-acuto (in circa il 45%-60% dei casi),540,541 specie in pazienti obesi e cardiopatici,542 ed associate con una maggiore compromissione nelle attività di vita quotidiana.542 Tale fattore dovrà essere valutato in particolare nei pazienti obesi e cardiopatici con ictus. 14.5.6.6 Altri disturbi Un preesistente disturbo extrapiramidale può, se non adeguatamente diagnosticato e trattato, complicare la prognosi riabilitativa dei pazienti con postumi di ictus. Va però segnalato che i dati di letteratura sull’argomento sono assolutamente carenti, in quanto gli studi di prognosi sono generalmente eseguiti in pazienti selezionati, normalmente privi di preesistenti patologie disabilitanti croniche (come le malattie extrapiramidali) in grado di inficiare il processo riabilitativo. La segnalazione che la presenza di malattia di Parkinson possa proteggere da eventi cerebrovascolari, verosimilmente legata ad una azione protettiva legata alla carenza di dopamina,543 non è stata recentemente confermata.544 14.6 399 IL SETTING ASSISTENZIALE: CHI, DOVE, QUANDO Questa sezione illustra i criteri di identificazione della sede più appropriata di assistenza, in relazione alle caratteristiche cliniche del paziente ed alle risorse delle strutture sanitarie. Le informazioni disponibili consentono di rispondere al quesito relativo a dove offrire le prestazioni più idonee ad ottenere il miglior livello di autonomia ed alle richieste relative alle possibili esigenze future di prestazioni assistenziali. Le situazioni cliniche trattate sono collocate temporalmente nella fase dell’assistenza in cui gli obiettivi caratterizzanti una struttura sono stati raggiunti ed è opportuno trasferire il paziente nella sede assistenziale più idonea alla prosecuzione della cura. I medici che possono meglio utilizzare le raccomandazioni della sezione sono coinvolti nell’attività riabilitativa, oppure sono impegnati nell’assistenza a lungo termine in ambito territoriale. Anche i medici della fase acuta possono individuare i requisiti di appropriatezza della degenza nelle varie strutture assistenziali ospedaliere ed extraospedaliere. La popolazione di riferimento delle considerazioni presentate nella sezione è costituita da soggetti in condizioni cliniche non stabilizzate o stabilizzate e, in quest’ultimo caso, proposti per un trattamento di recupero delle attività compromesse dall’ictus oppure impegnati nel mantenimento delle prestazioni acquisite. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.55 Grado C Nei casi di persistente sindrome dolorosa centrale è indicato un trattamento antidolorifico con antiepilettici (gabapentin od altro), o con triciclici (amitriptilina od altro) con dosaggio da personalizzare. Raccomandazione 14.56 ❊GPP È indicato introdurre nella cartella clinica una valutazione nutrizionale, che dovrebbe seguire il paziente durante le diverse fasi della degenza, in quanto le sue necessità nutrizionali cambiano nel tempo. I dati derivati dalla cartella nutrizionale dovrebbero essere inseriti tra le variabili utilizzate negli studi di prognosi. Raccomandazione 14.57 Grado D In pazienti con ictus, obesi o cardiopatici, è indicata una valutazione ossimetrica e polisonnografica per valutare la presenza di apnee notturne. In questi casi è necessario realizzare un programma di riduzione del peso, abolizione degli alcolici, miglioramento dell’apertura nasale ed evitare la posizione supina notturna. 400 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.6.1 Sintesi 14-27 Le attività sanitarie di riabilitazione sono realizzabili in una rete di strutture assistenziali dedicate, differenziate in attività di riabilitazione intensiva ed estensiva in relazione alla tipologia ed all’intensità dell’intervento. Strutture e interventi disponibili Il percorso della persona disabile a causa di un ictus trae maggior beneficio da una rete integrata di interventi coordinati, che possono garantire la continuità del recupero, dall’evento acuto al reinserimento familiare e sociale. Le attività sanitarie di riabilitazione possono essere distinte in relazione alla tipologia e intensità di intervento, tutte inserite in una rete assistenziale complessa, che deve prevedere un collegamento tra le stesse. Secondo quando definito dalle linee guida nazionali possiamo distinguere gli interventi in: a) attività di riabilitazione intensiva: dirette al recupero di disabilità medio-gravi, modificabili, che richiedono un impegno medico specialistico, tecnico-riabilitativo multidisciplinare ad elevata complessità e con un intervento riabilitativo di almeno tre ore dedicate al paziente. b) attività di riabilitazione estensiva: caratterizzate da un moderato impegno terapeutico-riabilitativo, ma con un adeguato supporto assistenziale. L’impegno clinico e riabilitativo prevede comunque una presa in carico specificatamente riabilitativa per un intervento di durata variabile tra una e tre ore giornaliere a paziente. Un’altra possibilità di classificazione delle strutture è basata su 3 livelli: a. 1° livello: quello territoriale e della riabilitazione estensiva: b. 2° livello: quello ospedaliero della riabilitazione intensiva; c. 3° livello: quello di alta specialità identificato nelle Unita per Gravi Cerebrolesioni acquisite riservato, in genere, a pazienti con esiti di coma (GCS ≤8). Gli interventi di riabilitazione intensiva sono erogabili in regime di: 1. ricovero a ciclo continuativo (degenza ordinaria): • unità per gravi cerebrolesioni acquisite; • centri di riabilitazione intensiva; 2. ricovero a ciclo diurno (day hospital): • centri di riabilitazione intensiva. Gli interventi di riabilitazione estensiva sono erogabili presso le seguenti strutture:250 1. le strutture ospedaliere di lungodegenza riabilitativa; 2. i presidi ambulatoriali di recupero e rieducazione funzionale territoriali e ospedalieri; 3. i presidi di riabilitazione extraospedaliera a ciclo diurno e/o continuativo; 4. i centri ambulatoriali di riabilitazione; 5. le residenze sanitarie assistenziali (RSA); 6. le strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio-assistenziale, i centri socio-riabilitativi e il domicilio; 7. i centri socio-riabilitativi; 8. il domicilio. A fronte dell’inquadramento generale fornito dalla linee guida nazionali occorre definire i setting specifici per il paziente con ictus. 14.6.1.1 Degenza per acuti La riabilitazione va iniziata più presto possibile ed è quindi necessario strutturare l’intervento, fin dalla fase acuta, di tipo interdisciplinare con intervento assistenziale riabilitativo precoce. La stroke unit deve quindi avere la possibilità di disporre di fisioterapisti, eventualmente logopedisti, e consulenza medico-riabilitativa. La stroke unit deve collegarsi con le strutture riabilitative di diverso livello per trasferire i pazienti in continuità assistenziale e per proseguire lo specifico progetto riabilitativo (riabilitazione intensiva, estensiva ecc.). 14.6.1.2 Presidi e centri di riabilitazione intensiva ed estensiva 14.6.1.2.1 Centri di Riabilitazione intensiva Gli interventi inquadrabili come riabilitazione intensiva sono rivolti al trattamento di menomazioni gravi e disabilità complesse, con eventuali patologie associate, che richiedono un ambiente riabilitativo dedicato. Le condizioni del paziente richiedono un ricovero con disponibilità continuativa, nell’arco delle 24 ore, di prestazioni diagnostico-terapeutico-riabilitative a elevata intensità (almeno 3 ore di trattamento per paziente) e un trattamento riabilitativo indifferibile e non erogabile in altri regimi. Nelle 3 ore di trattamento sono da intendersi anche quelle relative al nursing riabilitativo e in generale agli atti di tipo riabilitativo rivolti al paziente. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza Inoltre il paziente deve avere margini di miglioramento e la possibilità di sostenere la riabilitazione intensiva.250 14.6.1.2.2 Day hospital riabilitativo Quando è indicato applicare un programma di riabilitazione intensiva ma non è necessario rimanere in ospedale per tutto l’arco delle 24 ore si può intervenire in regime di day hospital riabilitativo. Le caratteristiche dell’intervento rimangono comunque complesse con programma omnicomprensivo di fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale. 14.6.1.2.3 Degenza estensiva a ciclo continuativo (lungodegenza riabilitativa) I pazienti che non possono sostenere programmi di riabilitazione estensiva ma non possono tornare al domicilio, possono essere indirizzati in reparti di riabilitazione estensiva dove l’intervento riabilitativo ha una durata variabile tra 1 e 3 ore. La persona viene ricoverata per un limitato periodo di tempo e, se le condizioni dovessero migliorare, potrebbe rientrare nella riabilitazione intensiva. 14.6.1.2.4 Ospedali di comunità (o di distretto) Gli ospedali di comunità non rappresentano specificamente strutture riabilitative ma sono strutture di assistenza dove può essere applicato un programma riabilitativo estensivo. Gli ospedali di comunità sono strutture con personale infermieristico e gestione medica da parte dei medici di medicina generale, sul modello delle Nursing Home anglosassoni. 14.6.2 Ambulatori e centri di riabilitazione territoriale Gli ambulatori dove viene svolta la fisioterapia possono essere semplici, con fisioterapista, medico e possibilità di applicare specifici programmi. Un maggiore livello di complessità è rappresentato dal centro di riabilitazione territoriale dove viene ricostituito un team multidisciplinare e l’intervento, ancorché non intensivo, è comunque multidisciplinare e multiprofessionale in stretto collegamento con i centri di salute territoriali (distretti sanitari o sociosanitari, centri di salute ed altri variando di regione in regione). 14.6.3 Domicilio A livello domiciliare è possibile applicare diversi programmi di riabilitazione differenziati in base alla gravità del paziente. Un’assistenza riabilitativa può essere realizzata anche su pazienti molto gravi per i quali si realizza esclusivamente un’attività di mobilizzazione e posizionamento; al contrario, i soggetti che hanno già ottenuto un significativo recupero funzionale sfruttano i vantaggi correlati all’ambiente, adattando l’esercizio terapeutico alle esigenze della vita quotidiana a domicilio. Il limite del domicilio è la mancanza di strumenti e facilitazioni tecniche fornite da una palestra di fisioterapia, il vantaggio è la familiarità e la contestualizzazione delle attività nell’ambiente domestico. 14.6.4 RSA Le residenze sanitarie assistenziali (RSA) sono strutture dedicate a persone disabili non autosufficienti che non possono essere assistite a domicilio, con esiti stabilizzati di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste. I programmi riabilitativi possono essere di tipo estensivo integrati con i programmi assistenziali. Si parla in questi casi di progetti riabilitativi di struttura caratterizzati da indicazioni riabilitative globali (p.es. strategia per la prevenzione delle cadute accidentali ecc.) più che di specifici progetti riabilitativi individuali. 14.6.5 ADI L’assistenza domiciliare integrata (ADI) ha lo scopo di assistere pazienti gravi con l’intervento di un team multidisciplinare coordinato. L’obiettivo è essenzialmente assistenziale e la riabilitazione ha una funzione accessoria e integrativa e viene applicata sulla base di specifici obiettivi. L’attività di mobilizzazione e posizionamento, di cui il paziente grave ha bisogno, deve essere realizzata dal personale di nursing nel corso delle 24 ore. In questo caso la funzione del fisioterapista è quella di addestrare il personale di assistenza a svolgere uno specifico programma di mobilizzazione e posizionamento. La scelta tra riabilitazione, day hospital ambulatoriale o domiciliare è stata oggetto di diversi studi molti dei quali contrastanti e non risolutivi. stesura 15 marzo 2005 401 402 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane La scelta del setting territoriale si basa su: • efficacia • costi • condizioni di trasportabilità Non esistono studi randomizzati controllati che valutano l’efficacia della riabilitazione ambulatoriale rispetto a quella domiciliare. Vi sono prove dell’efficacia del trattamento domiciliare nel ridurre la disabilità e aumentare la qualità della vita rispetto al trattamento in regime di day hospital, a costo, però, di una maggiore ansia dei parenti.317 In un altro studio non sono state trovate differenze né in termini di efficacia né di costi tra day hospital e riabilitazione a domicilio.313 Il trattamento domiciliare non presentava differenze rispetto al trattamento ambulatoriale, anche se i giovani sembravano trarre maggior beneficio.312 Al follow-up i pazienti trattati a domicilio mostrano una migliore gestione della casa e del tempo libero ma i costi del trattamento domiciliare sono doppi.545 14.6.6 Chi, quale paziente, per quale struttura: allocazione dei pazienti nelle sedi assistenziali disponibili In un percorso ottimale occorre individuare il miglior setting riabilitativo in base alle condizioni cliniche e di disabilità del paziente oltre che alla distanza temporale dall’evento acuto (Figura 14–1). Sono stati effettuati diversi studi nel tentativo di correlare il tipo di intervento riabilitativo con l’esito. Negli Stati Uniti sono stati sviluppati diversi studi che hanno portato a raggruppamenti funzionali sulla base dei quali avvengono i rimborsi assicurativi determinando il percorso del paziente.546-549 La scelta del setting più appropriato deve basarsi sulle possibilità di recupero della persona disabile. Tali possibilità sono state messe in relazione con la gravità clinica ed il conseguente livello di disabilità. Per definire l’appropriatezza della sede di assistenza sulla base della gravità clinica si fa abitualmente riferimento alla classificazione dello Oxfordshire Community Stroke Project che comprende i seguenti sottogruppi, cui corrisponde una stima della sopravvivenza e dell’esito funzionale:68 • TACI: la sindrome più grave con elevata mortalità e disabilità; • PACI: sindromi di media gravità con bassa mortalità e possibilità di recupero; • POCI: sindromi a gravità intermedia con recupero variabile; • LACI: sindromi di minor gravità e possibilità di recupero. Facendo riferimento alle condizioni di disabilità valutate attraverso la scala di autonomia di Barthel possono essere definite quattro categorie di pazienti: a. pazienti con menomazione lieve, in genere con sindromi lacunari con disabilità limitata (Barthel Index >15); b. pazienti con danno medio (Barthel Index compreso tra 10 e 14) o medio-grave (Barthel Index compreso tra 4 e 9), in genere LACI, PACI e in parte POCI e TACI che possono sostenere la riabilitazione intensiva; c. pazienti con danno grave (Barthel Index <4), in genere TACI e in parte POCI con grave disabilità con impossibilità di sostenere riabilitazione intensiva anche a causa di complicanze e/o comorbosità; d. pazienti che in fase acuta hanno avuto un coma grave (Glasgow Coma Score <8) nelle prime 24 ore. 14.6.7 Criteri di appropriatezza della sede di assistenza e riabilitazione La definizione di uno specifico progetto riabilitativo deve basarsi su criteri quanto più possibile oggettivi che definiscono le priorità idonee a selezionare le persone che possono trarre il maggior beneficio dagli specifici programmi riabilitativi. È opinione diffusa, esplicitata anche dalle linee guida AHCPR (1995),11 che i parametri di valutazione, che condizionano la scelta della sede di assistenza riabilitativa, dovrebbero essere i seguenti: stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 403 azione setting ictus necessita di ricovero? sì valutazione no Classificazione dei pazienti riabilitazione in reparto per acuti A. pazienti con menomazione lieve; in genere con sindrome lacunare e disabilità limitata (Barthel Index >15). appartiene al gruppo A? sì riabilitazione territoriale sì riabilitazione intensiva sì ricovero in riabilitazione estensiva sì ricovero in Unità Gravi Cerebrolesioni Acquisite sì domicilio no B. pazienti con danno medio (Barthel Index |10-14|) o medio-grave (|4-9|), in genere LACI, PACI e in parte POCI e TACI, che possono sostenere la riabilitazione intensiva. appartiene al gruppo B? no C. pazienti con danno grave (Barthel Index |0-4|), in genere TACI e in parte POCI con grave disabilità e impossibilità di sostenere riabilitazione intensiva anche a causa di complicanze e/o comorbosità. appartiene al gruppo C? no D. pazienti che in fase acuta hanno avuto un coma grave (Glasgow Coma Score <8) nelle prime 24 ore. appartiene al gruppo D? no può essere gestito a domicilio? no struttura protetta a. condizioni clinico-riabilitative: • deficit neurologici; • complicanze e comorbosità; • aspetti funzionali (deficit nutrizionali, integrità cutanea, ecc). • condizioni fisiche premorbose; • condizioni mentali e capacità di apprendimento; • stato emotivo e motivazione. b. fattori sociali e ambientali: • presenza di sostegno familiare; • qualità della vita precedente all’ictus; • etnia e lingua madre; • accettazione dell’ictus da parte del paziente e dei familiari; • preferenze e aspettative del paziente e dei familiari; • caratteristiche della casa e dell’ambiente di vita. stesura 15 marzo 2005 Figura 14–1. Percorso riabilitativo del paziente con ictus. 404 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.6.7.1 Ospedale o domicilio Raccomandazione 14.58 Grado C È indicato effettuare la riabilitazione intensiva in una rete appositamente organizzata, che comprenda sia strutture ospedaliere che particolari strutture assistenziali extraospedaliere. Considerato che quasi tutti i pazienti con ictus vengono ricoverati in fase acuta, il problema si pone per il percorso successivo. In particolare, una prima scelta è se inviare la persona disabile a domicilio o proseguire in regime ospedaliero. Se occorre un programma di riabilitazione intensiva è necessario ricorrere all’ospedale di riabilitazione intensiva e secondariamente al day hospital riabilitativo. La riabilitazione intensiva effettuata in ospedale anziché a domicilio fornisce migliori esiti,550 particolarmente per i pazienti medio-gravi e gravi.18 Nel caso di riabilitazione effettuata in un reparto non specializzato non ci sono prove che sia meglio dell’intervento a domicilio con un team organizzato.7 Raccomandazione 14.59 Grado C Nei soggetti con ictus lieve, è indicato pianificare l’attività di riabilitazione nelle strutture territoriali. Per pazienti con ictus di gravità lieve o moderata non sono state evidenziate differenze tra l’intervento riabilitativo a domicilio o in ospedale.20,551 Raccomandazione 14.60 Grado B Non è indicato considerare età avanzata e gravità clinica tra i fattori di esclusione per un trattamento riabilitativo ospedaliero. 14.6.7.2 In Ospedale dove? 14.6.7.2.1 Pazienti con ictus medio grave I soggetti con Barthel Index fra 10 e 14 e con sindrome clinica prevalentemente ascrivibile a LACI e PACI, sono i candidati più appropriati per un intervento riabilitativo intensivo. È richiesto che il paziente possa sostenere almeno 3 ore di riabilitazione al giorno per migliorare le prestazioni fisiche, cognitive e la motivazione. In generale, un primo aspetto da tenere in considerazione è l’intervallo dall’evento acuto. Come è stato detto, la riabilitazione intensiva deve essere iniziata prima possibile ed esercitata nelle prime settimane dall’evento acuto. L’intervento in specifiche Unità Ictus riabilitative si rileva efficace soprattutto nei pazienti gravi o medio-gravi.18,35,552 Nei casi in cui le menomazioni sono particolarmente lievi può non ritenersi necessario il ricovero in strutture di riabilitazione intensiva dedicate all’ictus.46,553 L’età del paziente non condiziona il setting. Infatti anche nei pazienti anziani la riabilitazione ospedaliera è efficace.12 I soggetti con danno grave, ascrivibile al gruppo C della classificazione sulla base dell’autonomia, riportata sul diagramma decisionale, mostrano spesso difficoltà a sostenere un programma riabilitativo intensivo. Se il paziente non è in grado di sopportare un trattamento riabilitativo intensivo per la gravità del quadro clinico, le comorbosità, ecc., non dovrebbe essere ammesso alla riabilitazione intensiva. La gravità della patologia può essere temporanea, e in questo caso il paziente può essere inviato in riabilitazione estensiva per poi essere eventualmente indirizzato, nel caso in cui ci sia un miglioramento delle condizioni cliniche, alla riabilitazione intensiva. Pazienti con condizioni difficilmente reversibili quali gravi cardiopatie, demenze, neoplasie a decorso rapidamente infausto, malattie degenerative del SNC, ecc., devono avere un trattamento assistenziale-riabilitativo più che riabilitativo specifico. 14.6.7.2.2 Pazienti con grave cerebrolesione acquisita Per grave cerebrolesione acquisita si intende quella condizione in cui in fase acuta c’è stato un coma grave (Glasgow Coma Score [GCS] <8), in genere dovuta alla sofferenza cerebrale diffusa, conseguente a grave edema cerebrale o a complicanze anossico-ipossiche o metaboliche. In genere queste condizioni sono rare in pazienti con ictus ischemico. Infatti un TACI grave spesso porta al decesso. La condizione è più frequente in ictus emorragici intracerebrali, ematomi sub- o extra-durali e emorragie subaracnoidee in rapporto al vasospasmo conseguente. I pazienti che hanno superato uno stato di coma profondo presentano abitualmente un danno cerebrale diffuso con deficit grave e menomazioni complesse. Tali condizioni richiedono specifiche competenze e un programma riabilitativo più prolungato nel tempo. Per trattare i pazienti reduci da coma grave nelle prime 24 ore con GCS <8 sono individuate dalle linee guida nazionali strutture di alta specializzazione, le Unità per le Gravi Cerebrolesioni acquisite e i Gravi Traumi Cranio-Encefalici.250 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.6.7.3 405 Quando 14.6.7.3.1 La dimissione precoce Come già espresso in precedenza, alcuni studi controllati dimostrano che la dimissione precoce non genera differenze rispetto all’esito,340 in particolare per le condizioni mediolievi,20,320,554 con continuità di intervento riabilitativo a domicilio.324,330,334 La dimissione precoce è più vantaggiosa rispetto all’usuale intervento se viene supportata dallo stesso team dell’unità per l’ictus ospedaliera.555 Una recente metanalisi, pur confermando che la dimissione precoce è paragonabile alla prolungata permanenza in ospedale, non giunge ad indicazioni conclusive rispetto al rapporto costo/beneficio.206 La dimissione precoce è naturalmente favorita dalla presenza di un caregiver,330 con conseguente costo nascosto delle cure informali,331 e dal carico che grava sul personale di assistenza, soprattutto a lungo termine.152,556 In una revisione sistematica di 20 studi, solo 1 descriveva caregiver soddisfatti del proprio ruolo, mentre tutti gli altri riscontravano depressione e riduzione della qualità di vita.161 Langhorne ha effettuato una metanalisi che conferma l’efficacia in termini di riduzione della dipendenza a lungo termine, dell’istituzionalizzazione e di diminuzione dei tempi di ricovero.557 Inoltre l’effetto della dimissione precoce adeguatamente supportata è evidente a 5 anni con mantenimento del miglioramento nelle ADL.558 Riguardo alla dimissione precoce bisogna comunque essere cauti e probabilmente risulta cruciale l’esistenza di una rete di accoglienza ed il supporto esperto dopo la dimissione. Infatti in un grande studio osservazionale su 48·055 pazienti con ictus sottoposti a riabilitazione negli Stati Uniti tra il 1994 e il 2002, a fronte della diminuzione della durata del ricovero medio si è verificato un aumento di mortalità al followup di circa 4 volte.559 14.6.7.4 Raccomandazione 14.61 Grado A Nei soggetti con disabilità mediolieve, in alternativa al ricovero prolungato, è indicata la dimissione precoce dalla struttura ospedaliera riabilitativa, se supportata da un team multidisciplinare esperto, operativo nella realtà territoriale, collegato o sovrapponibile allo stesso team attivo nel reparto di degenza. Raccomandazione 14.62 ❊GPP È indicato che i servizi ospedalieri dedicati ai soggetti colpiti da ictus adottino un protocollo e linee guida locali di dimissione ed allertino il centro di riabilitazione intensiva o il servizio territoriale di riferimento il più precocemente possibile. Tipo di trattamento Le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-Regioni indicano i criteri di utilizzo delle varie strutture riabilitative.28 Fra questi vanno segnalati i requisiti di impiego delle strutture di day hospital ed i centri ambulatoriali di riabilitazione. L’esecuzione di esercizi a domicilio dopo la dimissione, con la supervisione di un terapista, nel caso di pazienti con danno lieve, è risultata più efficace rispetto al non fare alcun esercizio mirato al recupero funzionale.319 Una revisione sistematica recente ha evidenziato che un trattamento domiciliare è in grado sia di migliorare l’autonomia dei pazienti sia di prevenire un peggioramento funzionale.560 Uno studio controllato ha mostrato che la visita di un terapista una volta alla settimana con un programma di esercizi autogestiti, ha la stessa efficacia della riabilitazione ambulatoriale o di day hospital.323 Recenti studi enfatizzano come a domicilio, piuttosto che fare un trattamento neuromotorio occorra effettuare un programma adeguato di terapia occupazionale, con un numero limitato di sedute.16,259,303 La realizzazione di un programma di assistenza riabilitativa basato sull’addestramento del caregiver e dei familiari può rappresentare un punto cruciale per il successo del progetto riabilitativo. Infatti una delle attività qualificanti realizzate nelle diverse sedi riabilitative è rappresentata dall’addestramento dei familiari nei riguardi di attività autogestite nel corso della giornata per migliorare o almeno mantenere il livello di autonomia. Le istruzioni pratiche effettuate a domicilio sono più efficaci del semplice processo educativo della famiglia.497 Utile anche l’intervento a domicilio per istruire sull’utilizzo di ausili e ortesi.561 I potenziali vantaggi della riabilitazione domiciliare sono: la convenienza per il paziente che non deve spostarsi, l’importanza di avere un ambiente contestualizzato, l’assenza di costi per il trasporto del paziente, il migliore adeguamento dell’ambiente alla disabilità del paziente aumentando le attività autonome e riducendo i rischi. I potenziali svantaggi della riabilitazione a domicilio sono: la difficoltà di coordinare il progetto riabilitativo, la mancanza di attrezzature necessarie, soprattutto per alcune tecniche riabilitative (ad es. il letto rigido e ampio per gli esercizi e la disponibilità di diversi ausili da provare), la perdita di tempo negli spostamenti degli operatori, con diminuzione del numero di pazienti trattati nel tempo di intervento, il maggiore costo dell’intervento. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.63 ❊GPP Prima della dimissione dalla struttura ospedaliera è indicato assicurarsi che il paziente e la famiglia siano preparati e pienamente coinvolti, che il medico di medicina generale, i distretti sanitari ed i servizi sociali siano informati al fine di garantire la prosecuzione dell’assistenza sul territorio senza ritardi e che gli utenti siano informati sulla presenza di associazioni e gruppi di volontariato. Raccomandazione 14.64 Grado D È indicato programmare un day hospital riabilitativo per i pazienti che richiedono la prosecuzione del trattamento con approccio intensivo e multidisciplinare (medico, fisioterapico, cognitivo e occupazionale). Raccomandazione 14.65 Grado D È indicata la prosecuzione del trattamento riabilitativo presso i centri ambulatoriali di riabilitazione per i pazienti nei quali è motivato l’intervento di un team interdisciplinare, ma non è richiesto un approccio intensivo. 406 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.6.7.5 Raccomandazione 14.66 Grado D È indicata la riabilitazione domiciliare quando si rende necessaria un’attività di addestramento rivolta al paziente ed al caregiver per esercizi e mobilizzazioni autogestiti, per l’utilizzo di ausili e protesi o per altre forme di terapia occupazionale di breve durata. La valutazione del domicilio L’équipe territoriale ha il compito di valutare il domicilio del paziente allo scopo di verificare la possibilità di migliorare l’autonomia con opportuni adattamenti ambientali con l’aiuto di chi si occupa di lui. La verifica delle caratteristiche della casa del paziente andrebbe fatta quando ancora il paziente è ricoverato per preparare in modo ottimale il ritorno del paziente a domicilio. Nella valutazione occorre comprendere le possibilità di spostamenti, accessi, sicurezza, mobili della cucina, trasferimenti sedia – letto – poltrona – in piedi, accesso in bagno e possibilità di fare il bagno o la doccia. Raccomandazione 14.67 Grado D La valutazione serve, oltre che a proporre le possibili soluzioni, anche a stilare un piano assistenziale in modo da facilitare la gestione del paziente a domicilio. È indicato fornire ai caregiver tutti gli ausili necessari per posizionare, trasferire e aiutare il paziente minimizzando i rischi. L’utilità della valutazione domiciliare pre-dimissione è raccomandata dalle recenti linee guida scozzesi.26 Raccomandazione 14.68 Grado D Prima della dimissione dall’ospedale è indicato fornire una valutazione dell’abitazione del paziente, al fine di realizzare un adattamento della struttura. L’importanza della precocità e dell’intensività del trattamento riabilitativo è stata sviluppata in altra sezione. In questa sezione occorre definire quanto a lungo occorre trattare le persone affette da ictus. La maggior parte del recupero avviene nei primi 6 mesi per protrarsi in piccola percentuale fino ad un anno.344 La riabilitazione applicata dopo il ricovero è utile.327 Anche oltre l’anno, con cicli continuativi, possono essere ottenuti miglioramenti in pazienti che a 3 mesi non camminavano.337 Raccomandazione 14.69 Grado B Nelle recenti linee guida scozzesi, discutendo e accorpando 12 studi e 1·350 pazienti, si evidenzia che l’intervento riabilitativo nel primo anno migliora l’esito.26 È indicata una valutazione dei pazienti che vivono a casa entro un anno dall’ictus, da parte di un team multidisciplinare, ai fini della eventuale riprogrammazione di un trattamento riabilitativo. 14.6.8 14.6.7.6 Per quanto tempo si protrae il trattamento riabilitativo Criteri di trasferimento fra le strutture Perché la rete riabilitativa funzioni occorre definire bene i criteri di trasferibilità tra le strutture e gli strumenti di comunicazione che occorre applicare. Per la trasferibilità occorre far riferimento ai criteri di appropriatezza precedentemente citati. Per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione occorre sviluppare strumenti adeguati per facilitare il passaggio all’interno del percorso. Fin dal momento del ricovero occorre sviluppare un piano di dimissione che prepari la persona disabile alla tappa successiva del percorso. Per questo tema si può far riferimento alle linee guida inglesi,27 e riadattate dalle linee guida dell’azienda ASL2 dell’Umbria.562 Occorre definire una minima quantità di informazioni da trasferire essenzialmente attraverso la lettera di dimissione, che vengono raccomandate nelle varie linee guida disponibili.26,562 La comunicazione sotto forma di lettera va inviata al medico di medicina generale ed alle altre strutture sanitarie interessate al percorso. I criteri generali di compilazione dovrebbero essere i seguenti: • diagnosi articolata in: – diagnosi clinica; – descrizione delle menomazioni – International Classification of Function (ICF);47 – descrizione delle limitazione dell’attività e della partecipazione – ICF.47 • programmi riabilitativi applicati – fisioterapia; – terapia occupazionale; – riabilitazione cognitiva. • problemi clinici rilevati; • quadro clinico alla dimissione; • obiettivi riabilitativi raggiunti; • piano di continuità assistenziale: – consigli clinici; – consigli riabilitativi; – consigli assistenziali; • indicazione specifica dei contatti cui riferirsi nella continuità assistenziale ed eventuali appuntamenti per controllo con data e ora. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.6.9 L’intervento riabilitativo a lungo termine 14.6.9.1 La valutazione e il monitoraggio degli esiti Dopo un anno in genere si assiste ad una stabilizzazione del quadro clinico e, se il paziente è stato trattato appropriatamente, si raggiunge la massima autonomia possibile compatibilmente con il danno prodotto dall’ictus. Si apre quindi una fase importante dove occorre focalizzare l’attenzione sul ritorno alla partecipazione attiva.556,563 Il fallimento di questo obiettivo porta la persona disabile e i suoi familiari a puntare l’attenzione sulla riabilitazione pensando che il trattamento riabilitativo possa risolvere i problemi.564 Un problema oggettivo è comunque che spesso mancano strutture che possano facilitare il reinserimento lavorativo e sociale, per cui la tendenza è quella di proseguire il programma, come sbocco palliativo alle esigenze sociali del malato.565 Una volta raggiunti gli obiettivi riabilitativi è consigliabile interrompere i programmi riabilitativi monitorando nel tempo il paziente allo scopo di individuare le variazioni delle condizioni cliniche e valutare se ci sono margini per riprendere un programma riabilitativo. La valutazione deve essere effettuata dal gruppo interdisciplinare territoriale. ll rischio, dopo la sospensione della riabilitazione, è che si vada verso un degrado della disabilità legato soprattutto alla diminuita attività generica. In questa fase va favorita la partecipazione sociale per mantenere attiva la persona con ictus. 14.6.9.2 L’utilità dei “cicli riabilitativi” Nella fase degli esiti, l’efficacia di interventi riabilitativi specifici, indirizzati alla menomazione o alla disabilità, ripetuti periodicamente (i cosiddetti “cicli riabilitativi”) è controversa. Per quanto riguarda le possibilità che tali interventi, effettuati ad oltre un anno dall’ictus, modifichino positivamente la menomazione e la disabilità, vi sono evidenze favorevoli su vari tipi di esito ma in genere l’effetto dura per un periodo limitato. Il miglioramento della velocità del cammino descritto in un singolo studio non randomizzato, si perde alla fine del trattamento senza sostanziale variazione di disabilità.329 Vantaggi sulla disabilità sembra vengano descritti da un altro studio in cui i pazienti cronici trattati con attività finalizzate al singolo compito miglioravano la velocità del cammino e la mantenevano a 2 mesi di distanza.566. Anche l’attività orientata per compito permette il miglioramento del passaggio posturale seduto-in piedi e la velocità del cammino.567 Anche altri interventi sembrano agire in condizioni croniche.131,261,568,569 Per quanto riguarda invece l’efficacia di interventi specifici, ciclicamente ripetuti nel tempo, nel prevenire danni secondari o aggravamenti delle menomazioni o disabilità, le evidenze disponibili riguardano programmi di attività o ginnastica di mantenimento da autogestirsi a casa con l’aiuto del caregiver per limitare il degrado. Alcuni studi dimostrano che questa attività è possibile e mantiene una condizione di migliore performance rispetto ai gruppi di controllo.570,571 Alla luce di quanto presente in letteratura si può avere qualche certezza rispetto ai vantaggi che possono essere ottenuti con il trattamento del paziente stabilizzato, ma non è affatto certo che questi possano essere mantenuti. Non appare comunque appropriato pianificare in modo rigido “cicli” di trattamento nella fase degli esiti, quanto piuttosto garantire una adeguata valutazione longitudinale della situazione clinica e funzionale, che consenta di evidenziare tempestivamente possibili situazioni di deterioramento suscettibili di essere contenute o prevenute con specifici interventi. stesura 15 marzo 2005 407 408 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.7 ASSISTENZA A LUNGO TERMINE NELLA REALTÀ TERRITORIALE Questa sezione illustra gli obiettivi e le modalità assistenziali caratteristiche della fase “cronica” dell’ictus, quando è cruciale la valutazione periodica del medico di medicina generale e dell’unità valutativa di geriatria Le informazioni contenute rispondono ai quesiti riguardanti le frequenza e le caratteristiche dei controlli longitudinali rivolti al soggetto che ha subito un ictus, anche in relazione all’eventuale esigenza di nuovo trattamento riabilitativo Le situazioni cliniche trattate nella sezione riguardano disabilità persistenti in soggetti spesso di età avanzata e con comorbosità, che vengono trattati nell’ambito territoriale. Le modalità assistenziali illustrate riguardano elettivamente medici di medicina generale e geriatri, senza trascurare i fisiatri impegnati in nuovi trattamenti ed i neurologi chiamati alla valutazione del quadro neurologico ed alla risoluzione dei problemi emergenti a carico del sistema nervoso. La popolazione maggiormente interessata alle modalità illustrate nella sezione è caratterizzata dalla presenza di condizioni disabilitanti e di fattori di rischio molteplici, con elevata ricorrenza di problemi attivi. 14.7.1 Il medico di medicina generale e le problematiche del soggetto che ha subito un ictus La correzione dei fattori di rischio modificabili è, ovviamente, uno dei cardini per un corretto follow-up dell’ictus cerebrale. A tale proposito vale quanto già affermato nei capitoli precedenti che hanno trattato specificamente l’argomento. In questa sede si ritiene tuttavia di dover sottolineare il ruolo centrale del medico di medicina generale, che rimane il principale gestore della continuità assistenziale, nella correzione dei principali fattori di rischio. Nei pazienti che hanno avuto un ictus gli sforzi e le attenzioni rivolte al controllo della pressione arteriosa sono prioritari. L’obiettivo da perseguire deve essere il raggiungimento di valori pressori rigorosamente al di sotto di 130/85 mm Hg in giovani, adulti e diabetici, e al di sotto di 140/90 mm Hg negli anziani.572 Non sempre questo viene realizzato, come dimostrato da recenti studi osservazionali condotti dalla Società Italiana di Medicina Generale (SIMG).573,574 Infine le attenzioni volte ad ottenere una corretta rilevazione dei valori pressori devono essere rigidamente rispettate. Al medico di medicina generale spetta inoltre inquadrare il suo paziente anche dal punto di vista delle dislipidemie e operare una corretta e moderna prevenzione secondaria volta alla riduzione della colesterolemia con misure farmacologiche e non farmacologiche. I pazienti diabetici che hanno avuto un ictus necessitano non solo di un adeguato controllo dei valori glicemici, ma anche di una maggiore attenzione al rischio globale cardiovascolare, con particolare riguardo all’associazione con l’ipertensione arteriosa. Particolarmente in questo gruppo di pazienti sono utilmente applicabili le linee guida italiane recentemente pubblicate.575 Sintesi 14-28 L’ictus rappresenta una causa frequente di mortalità e disabilità in età avanzata. Nel paziente anziano, la disabilità secondaria all’ictus spesso si sovrappone a quella determinata dalla comorbosità. Il calo ponderale in soggetti con indice di massa corporea superiore ai 27 kg/m2 è chiaramente auspicabile nel follow-up di chi ha avuto un ictus. Il rispetto di un’alimentazione ipocalorica e qualitativamente corretta deve essere uno degli obiettivi primari del monitoraggio dei fattori di rischio per recidiva. Ancora una volta è auspicabile la personalizzazione degli interventi e l’eventuale coinvolgimento delle figure professionali più indicate ad affrontare il problema. La consulenza dietologica e il contributo dello psicologo appaiono estremamente utili per la definizione delle diete e per la loro accettazione da parte del paziente. In tali soggetti, poi, la presenza spesso concomitante di ipertensione, di ipercolesterolemia, di iperuricemia e diabete non insulino-dipendente, suggerisce di monitorare con apposite indagini anche il fenomeno della insulino-resistenza. Tra i compiti del medico di medicina generale, che ha il ruolo di seguire nel tempo l’evoluzione del problema vascolare cerebrale, vi è senza dubbio quello della verifica della appropriatezza del trattamento in atto. 14.7.2 Le problematiche del paziente anziano ed il suo percorso riabilitativo Lo scenario epidemiologico, di per sé, giustifica pienamente un interesse specifico per gli aspetti che l’ictus ha in età avanzata: come descritto nel Capitolo 4, l’incidenza dell’ictus cresce con l’età, tanto che oltre il 75% dei casi si osservano in persone ultrasessantacinquenni. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 409 Ma l’inserimento di un paragrafo sulle problematiche del paziente anziano con ictus in questo capitolo esprime l’attenzione dovuta agli aspetti riabilitativi di questa malattia in pazienti che, per motivi diversi, sono già a rischio di perdita dell’autonomia funzionale. Non è superfluo premettere che il paziente anziano è identificato, più che da un’età ≥65 anni, dalla presenza di fattori multipli, simultanei ed interattivi che, nell’insieme, comportano un progressivo impatto sulle capacità funzionali.576 Per questo la geriatria, “metodo di cura globale, continuo ed interdisciplinare”,577 opera in una costante “tensione riabilitativa”, che deve animare tutti gli operatori ed i luoghi dell’intervento.578 Tutte le discipline che si interessano di disabilità condividono, adattandolo, questo modello che, comunque, nella sua interezza risponde in modo più efficace alle esigenze che insorgono quando la perdita di autonomia coinvolge il paziente anziano. L’ictus rappresenta nell’anziano, oltre che una frequente causa di morte, una causa primaria – come evento isolato o precipitante – di disabilità grave ed improvvisa (catastrofica, secondo una efficace definizione).578,580 Circa il 50% degli anziani che sopravvivono ad un ictus sono gravemente disabili 581 e, in assenza di supporti assistenziali da parte della famiglia o dei servizi domiciliari, vengono istituzionalizzati, mentre solo il 10% mantiene una completa autonomia funzionale. Secondo la Stroke Unit Trialists’ Collaboration,12 il limite di età che influenza le caratteristiche cliniche dell’ictus è identificato in 75 anni. Del resto, al crescere dell’età è sempre più comune che l’ictus compaia in una situazione fisica compromessa ed instabile, in cui la persona può aver attinto anche a molte delle sue riserve funzionali per mantenere l’autonomia nella vita quotidiana. Di fatto, gli anziani sopravvissuti ad ictus presentano, a parità di danno neurologico, disabilità residua più grave rispetto a soggetti più giovani, in larga misura per la coesistenza di patologie associate.582 Le stesse conseguenze funzionali dell’ictus pesano, in termini di sopravvivenza, anche a distanza dall’evento acuto. Un cattivo stato funzionale è, in età avanzata, un potente fattore prognostico negativo, dal momento che nei soggetti gravemente disabili la mortalità a quattro anni è pressoché totale.267 Le stesse cause di morte in parte si differenziano in funzione della presenza e del grado di disabilità: superata la fase acuta, il decesso di pazienti anziani colpiti da ictus è spesso conseguente a traumi determinati da cadute, mentre nel giovane prevalgono le morti secondarie ad altro evento vascolare, il più delle volte coronarico. Il riconoscimento ed il trattamento della comorbosità assumono un ruolo centrale nel percorso riabilitativo del paziente anziano con ictus.583 Che la comorbosità sia un potente fattore di rischio per l’insorgenza di disabilità è del tutto prevedibile e, del resto, ben documentato.584 Si tende però spesso a trascurare che la forza dell’associazione comorbosità-disabilità è tale da ridimensionare il peso negativo che un’età avanzata apparentemente ha sulla prognosi funzionale di molte condizioni, ivi compreso l’ictus. È stato invece dimostrato che, quando si tenga adeguato conto della comorbosità, l’età anagrafica perde gran parte del suo valore predittivo rispetto al recupero funzionale dopo un evento cerebrovascolare.53 Nel soggetto di età giovanile od adulta, la comorbosità con cui si deve fare i conti dopo un ictus è, di solito, limitata all’ambito cardiovascolare, come espressione dei medesimi fattori di rischio e meccanismi patogenetici che hanno determinato l’evento (diabete, ipertensione, fibrillazione atriale), ovvero a complicanze dell’evento stesso (depressione, deficit cognitivi, incontinenza urinaria). Nel paziente anziano, a queste condizioni – comunque presenti – se ne aggiungono altre, pre-esistenti all’ictus, in associazione al quale il rischio di disabilità aumenta grandemente. È questo il caso, ad esempio, dell’insufficienza cardiaca, che in pazienti con esiti di ictus aumenta il tasso di disabilità in misura molto maggiore di quanto prevedibile sulla base della semplice sommatoria del rischio associato a ciascuna delle due condizioni, prese separatamente.584 Queste osservazioni sul ruolo della comorbosità nel processo disabilitante dell’anziano implicano, dal punto di vista clinico, che nella definizione ed attuazione del piano riabilitativo si valutino e trattino adeguatamente le patologie associate. Raccomandazione 14.70 Grado D Nelle linee guida attualmente disponibili una particolare attenzione viene rivolta ai soggetti di età avanzata che sopravvivono ad un ictus.26,27 Raccomandazione 14.72 Grado D Di fronte ad un processo di destabilizzazione di grande portata e complessità, quale un evento ictale, le risposte terapeutiche, assistenziali e riabilitative devono essere altrettanto complesse ed articolate. Primo elemento fondamentale alla realizzazione della cura globale, continua ed interdisciplinare del paziente anziano è di tipo metodologico: la Valutazione Multi L’intervento riabilitativo a distanza dall’evento ictale è indicato in caso di degrado dello stato funzionale e deve essere orientato su specifici obiettivi riabilitativi. stesura 15 marzo 2005 È indicato che il team dedicato all’assistenza territoriale controlli periodicamente (ogni sei mesi) il mantenimento delle attività e la partecipazione del soggetto anziano colpito da ictus. Raccomandazione 14.71 Grado D È indicato che i soggetti colpiti da ictus siano sottoposti a controlli periodici delle condizioni cardiocircolatorie e metaboliche, così come delle variazioni di peso, al fine di controllare i fattori di rischio di danno cerebrovascolare ed adeguare il trattamento farmacologico alle variazioni del quadro clinico o dei parametri di laboratorio. 410 Raccomandazione 14.73 ❊GPP È indicato un programma a lungo termine di realizzazione autonoma delle attività quotidiane, al fine di limitare il degrado del livello di autonomia raggiunto con la riabilitazione intensiva od estensiva. Raccomandazione 14.74 ❊GPP Nell’iter riabilitativo del paziente anziano sono indicati la valutazione ed il trattamento delle comorbosità, anche di quelle non di natura cardiovascolare. Raccomandazione 14.75 Grado B È indicato che la riabilitazione del paziente anziano con ictus sia guidata da un processo di valutazione multidimensionale geriatrica. Raccomandazione 14.76 Grado D È indicata l’organizzazione in rete dei servizi per l’anziano, ivi compresi quelli riabilitativi, sotto la guida dell’Unità di Valutazione Geriatrica e con il coordinamento da parte del case manager, che valuti i bisogni assistenziali del paziente e lo indirizzi al servizio che, di volta in volta, meglio risponde alle sue necessità. Sintesi 14-29 I pazienti in età molto avanzata sono spesso esclusi senza plausibile giustificazione dai percorsi riabilitativi. Tale esclusione riduce fortemente le possibilità di recupero e di mantenimento dell’autonomia funzionale. Raccomandazione 14.77 ❊GPP Nel paziente in età avanzata è indicata l’adozione di protocolli riabilitativi flessibili e, se necessario, di durata maggiore rispetto a quelli utilizzati nei soggetti più giovani. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Dimensionale (VMD), mediante la quale il campo di esplorazione clinica tradizionale viene integrato dall’esplorazione delle aree funzionale, cognitiva, affettiva e socio-ambientale.585-587 Se alcune componenti della VMD (ad esempio, la valutazione dello stato funzionale) fanno comunque parte del bagaglio indispensabile nell’approccio clinico e riabilitativo ad ogni paziente con ictus, la VMD nel suo complesso rimane strumento inderogabile. La sua efficacia è solidamente documentata: una metanalisi di 28 studi clinici controllati, nei quali erano stati arruolati in totale quasi 5·000 anziani, ha dimostrato che programmi assistenziali basati sulla VMD sono in grado di migliorare la prognosi e la sopravvivenza, a confronto con sistemi tradizionali di cura.164 L’intervento riabilitativo a vantaggio del paziente con ictus, specie se di età molto avanzata, deve basarsi sul principio della cura globale, contrapposto al modello di event management, e a garantire la continuità della cura in un sistema assistenziale in rete (Figura 14–2).586-588 Entro la rete dei servizi sono comprese strutture ospedaliere e territoriali (descritte in dettaglio più avanti) a diversa valenza riabilitativa, alle quali il paziente viene affidato, in funzione delle sue esigenze, dall’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG). Questa, che deve comprendere almeno un geriatra, un infermiere geriatrico ed un assistente sociale, elabora il piano di assistenza individuale. Su incarico dell’UVG, un operatore sanitario (case manager) coordina l’attuazione del piano da parte dei servizi (senza per questo sostituirsi ad essi) e avvia la VMD. Vi sono prove che questa modalità gestionale sia essenziale per garantire l’efficacia di programmi di assistenza medica e sociale integrata all’anziano.504 È stato osservato che i soggetti anziani colpiti da ictus sono inseriti con minor frequenza ed intensità nei programmi di riabilitazione, rispetto a soggetti più giovani.589 Fra le ragioni responsabili di questo atteggiamento vanno annoverate: • condizioni mediche che ostacolano l’inserimento degli anziani in un programma riabilitativo precoce o intensivo;590 • minore spinta motivazionale, talvolta secondaria a franca depressione del tono dell’umore, a sottoporsi ad un programma riabilitativo; • più frequente compromissione cognitiva; • talora deficitario sostegno della famiglia con conseguente maggiore istituzionalizzazione in strutture spesso non attrezzate da un punto di vista riabilitativo.591 Va però, purtroppo, ammesso che, nella pratica, i limiti maggiori all’ammissione degli anziani alla riabilitazione intensiva risiedono nell’attuale disponibilità e gestione dei servizi. I processi selettivi esistenti per l’ammissione alla riabilitazione, anche se non codificati nelle procedure, assumono l’età come fattore prognostico sfavorevole e raramente soddisfano il principio di equità e diritto alle cure riabilitative. Ne consegue il prevalere, tra gli anziani con ictus, dei disabili assistiti e non curati, che esercitano, per i grandi numeri, una forte pressione economica e sociale sui servizi, rendendo questi, di fatto, inadeguati. Nella multipatologia degli anziani, che sostiene una disabilità variabile, scarsamente prevedibile nella sua evoluzione ed estremamente sensibile all’interattività fra i numerosi fattori che la determinano, il bisogno riabilitativo è solo parzialmente soddisfatto dalla attuale organizzazione specialistica e dalle attuali lungodegenze. Infatti, nella patologia con evoluzione di medio-lungo periodo risultano indefinibili i concetti di stabilizzazione, inapplicabili i già di per sé tenui indicatori predittivi di recupero funzionale, inadeguate le competenze e/o le risorse. Poiché una minoranza piccola, ma non trascurabile, di pazienti con basso stato funzionale iniziale (FIM <40) è in grado di recuperare, magari lentamente, un’adeguata indipendenza, una stratificazione prognostica tesa ad escludere dai potenziali benefici della riabilitazione i pazienti troppo compromessi è gravata da un margine di errore inaccettabile dal punto di vista etico.102 Se sottoposti ad adeguato trattamento riabilitativo, gli anziani dimostrano capacità di recupero dell’autonomia funzionale globale equivalente a quello dei soggetti più giovani, nonostante il minor recupero neuromotorio. Questo sembra essere giustificato da un utilizzo più vantaggioso di strategie di compenso (fisiche, comportamentali, ambientali e sociali).267 È stato anzi osservato che un intervento riabilitativo adeguatamente strutturato porterà, a lungo termine, ad una riduzione dei costi globali per la cura e l’assistenza dell’anziano colpito da ictus e, quindi, a vantaggi anche da un punto di vista economico, pur a fronte di costi iniziali maggiori.592 La specificità ed adeguatezza del trattamento riabilitativo dell’anziano risiedono principalmente nel non basarsi esclusivamente sulla rieducazione motoria, nel privilegiare programmi terapeutici complessivi e interdisciplinari, che tengano conto delle diverse comorbosità e della stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 411 Figura 14–2. La rete dei servizi per l’anziano colpito da ictus. Soggetto anziano con ictus Ospedale per acuti Unità Valutativa Geriatrica fase ospedaliera Ospedale riabilitativo Unità Valutativa Geriatrica fase territoriale Case Manager Domicilio Medico di medicina generale Piano di assistenza individuale Servizi Domiciliari e Territoriali Servizi Residenziali • Centro Diurno • Centro Sociale • Assistenza Domiciliare Integrata (sociale e sanitaria) • Residenza Sanitaria Assistenziale • Residenza Protetta Rivalutazione e controllo Soggetto in condizioni di massimo recupero funzionale e sociale loro dinamica interazione nel processo disabilitante, nel potenziare infine i supporti ed i compensi ambientali e sociali. Un ulteriore, specifico elemento, potenzialmente in grado di migliorare il recupero funzionale, è rappresentato dall’adozione di protocolli flessibili, che possano anche prolungare la durata del trattamento riabilitativo oltre i termini temporali comunemente adottati in soggetti più giovani e/o non complicati. Va peraltro sottolineato come non esistano dati sicuri su quanto più a lungo debba essere condotta la riabilitazione nell’anziano: proprio in questo senso, la ricerca nel prossimo futuro potrà dare elementi maggiori e più sicuri. stesura 15 marzo 2005 412 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.8 IL TRATTAMENTO NUTRIZIONALE NELLA RIABILITAZIONE Il trattamento nutrizionale del malato con ictus in riabilitazione si propone non solo di preservare o recuperare uno stato di nutrizione accettabile, ma anche di favorire lo svolgimento delle terapie riabilitative e il raggiungimento della massima autonomia individuale possibile. Aspetti gestionali particolarmente importanti sono: • valutare nei modi e nei tempi più opportuni lo stato di nutrizione secondo quanto già definito nel § 11.5.1; • determinare l’entità della disfagia, se presente; • programmare e definire le procedure per garantire un’adeguata gestione nutrizionale del paziente durante il ricovero; • precisare le indicazioni e utilizzare al meglio le varie modalità per la nutrizione del paziente, rispettando modalità adeguate alla capacità deglutitoria, al grado di autonomia funzionale e alla prevenzione degli squilibri idro-elettrolitici; • valutare la risposta al trattamento nutrizionale. 14.8.1 Sintesi 14-30 Gli obiettivi nutrizionali durante il periodo di riabilitazione del paziente affetto da ictus sono finalizzati alla prevenzione e alla correzione di un eventuale stato di malnutrizione per eccesso o per difetto. L’impostazione del trattamento nutrizionale del paziente affetto da ictus in fase riabilitativa richiede lo studio preliminare della deglutizione, l’esecuzione di protocolli diagnostici per la valutazione dello stato nutrizionale e del rischio nutrizionale, nonché l’attivazione di procedure per garantire un’adeguata gestione nutrizionale del paziente durante il ricovero. La copertura dei fabbisogni va raggiunta gradualmente, specie se il soggetto ha affrontato un lungo periodo di digiuno e presenta uno stato nutrizionale compromesso. Raccomandazione 14.78 a Grado D È indicato che il paziente non disfagico con stato di nutrizione normale sia alimentato con una dieta normale per os, in grado di coprire i fabbisogni nutrizionali propri della sua età e sesso, secondo quanto stabilito dai “Livelli di Assunzione Raccomandata di energia e Nutrienti” (LARN). In presenza di patologie associate, vanno applicate le linee guida dietetiche relative alle specifiche patologie. Fabbisogni di energia e nutrienti Sulla base delle evidenze al momento disponibili, si ritiene che i fabbisogni nutrizionali del soggetto post-ictus normonutrito siano comparabili a quelli della popolazione generale di età, sesso e peso corporeo similari, con specifici adeguamenti da apportare in presenza di malnutrizione proteico-energetica e/o patologie associate (specie se associate a ipercatabolismo) secondo quanto indicato nelle linee guida e nei testi di riferimento dedicati a tali condizioni.593,594 Il fabbisogno energetico si calcola con il metodo fattoriale (vedi § 11.5.2: Il trattamento nutrizionale nella fase acuta): il metabolismo basale può essere predetto con le equazioni riportate in Tabella 11:VI (§ 11.5.2); il valore così ottenuto va moltiplicato per un fattore dipendente dal Livello di Attività Fisica LAF, cui può essere assegnato, durante il periodo della riabilitazione, un valore presumibile pari a 1,3-1,6, a seconda dell’impegno motorio.595 La copertura del fabbisogno energetico va raggiunta gradualmente in presenza di malnutrizione proteico-energetica o di situazioni di digiuno prolungato. Gli apporti energetici devono essere aumentati in caso di decremento ponderale non desiderato e diminuiti in caso di aumento ponderale non previsto; in presenza di sovrappeso od obesità gli apporti energetici devono essere adeguati al raggiungimento di un decremento ponderale graduale e costante nel tempo.596 La valutazione del fabbisogno proteico va effettuata tenendo presente lo stato di nutrizione ed eventuali patologie ipercataboliche associate. Nei casi non complicati l’apporto minimo di proteine può essere indicato in 1 g/kg di peso corporeo misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino a 1,2-1,5 g/kg al giorno in presenza di condizioni ipercataboliche, ulcerazioni o piaghe da decubito.593,595,597 In assenza di problemi specifici è indicata una quota lipidica ≤30% dell’energia totale, con grassi saturi <7%, grassi polinsaturi 6%-10%, e quindi una preponderanza di grassi monoinsaturi. L’assunzione dietetica di colesterolo deve essere inferiore a 200 mg/die.596 Per la prevenzione di recidive e nei malati con precedente storia di infarto miocardico acuto, è utile l’adozione di misure dietetico-terapeutiche finalizzate alla riduzione della colesterolemia totale (<200 mg/dL) e della colesterolemia LDL (≤100 mg/dL).596,598,599 Nei casi non complicati, l’apporto di carboidrati, prevalentemente complessi, deve essere almeno pari al 55% dell’energia totale. Il contenuto in fibra alimentare nella dieta (25-30 g al giorno) va incrementato in presenza di stipsi, o diminuito in presenza di stati diarroici. Gli introiti di minerali e vitamine che devono essere forniti corrispondono ai valori raccomandati dai “Livelli di Assunzione Raccomandata di energia e Nutrienti” (LARN),600 e vanno aumentati se sono presenti condizioni ipercataboliche o sulla base dei riscontri biochimici disponibili. Sono in corso studi sperimentali che valutano l’effetto della somministrazione di diete ad elevato contenuto in antiossidanti (vitamina A, E, C, beta-carotene e polifenoli) e/o acidi grassi polinsaturi omega 3 sulla prevenzione delle ricadute, sulla capacità cognitiva e sul recupero funzionale,601-605 ma allo stato attuale non sono disponibili dati per fornire raccomandazioni in merito. In attesa dei risultati definitivi degli studi tuttora in corso, in caso di iperomocisteistesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 413 nemia va considerato l’uso di supplementi vitaminici del gruppo B e di acido folico per la prevenzione delle recidive 606-610 e delle fratture osteoporotiche.611 Particolare attenzione deve essere posta alla copertura dei fabbisogni di calcio e di vitamina D, considerando l’elevata incidenza di osteoporosi nel periodo post-ictus.612-614 È necessario monitorare il bilancio idrico, con maggiore accuratezza nei pazienti con disturbi della deglutizione ed alimentati per os,470 somministrando fluidi in caso di disidratazione. 14.8.2 Criteri generali per la terapia nutrizionale 14.8.2.1 Soggetto non disfagico Nei soggetti normonutriti si cerca innanzitutto di rendere ottimale l’alimentazione convenzionale per os.594 È opportuno incoraggiare l’assunzione di alimenti sia attraverso la preparazione di piatti che incontrano le preferenze del paziente, sia con la presenza di familiari durante i pasti, la cura dell’ambiente e l’aiuto nell’alimentazione.594,615 Se necessario (ad esempio per apporti dietetici <75% del desiderato), si può ricorrere ad integratori dietetici.616,617 14.8.2.2 Soggetto non disfagico con malnutrizione proteico-energetica In presenza di malnutrizione proteico-energetica è opportuno prestare maggiore attenzione agli apporti che si raggiungono con l’alimentazione convenzionale per os e considerare l’aggiunta di integratori dietetici e/o alimenti arricchiti.616-618 Il riscontro di un’assunzione dietetica <75% per tre giorni consecutivi può rappresentare un’indicazione per la nutrizione artificiale (vedi anche § 11.5.2.2). 14.8.2.3 Nel soggetto non disfagico affetto da malnutrizione proteico-energetica, è indicato aumentare gli apporti in modo da correggere progressivamente lo stato carenziale, eventualmente utilizzando integratori dietetici od alimenti arricchiti. Raccomandazione 14.78 c Grado B Nel soggetto con malnutrizione proteico-energetica, in presenza di rilevazioni confermate nel tempo di assunzione dietetica insufficiente, è indicato considerare la nutrizione artificiale per mezzo di sondino naso-gastrico o gastrostomia percutanea endoscopica (PEG). Soggetto disfagico La gestione del supporto nutrizionale nel malato disfagico necessita di un gruppo multidisciplinare (neurologi, nutrizionisti, dietisti, foniatri, logopedisti, infermieri).619,620 Il supporto nutrizionale richiede l’utilizzo di diete specificamente indirizzate al malato con disfagia o, laddove ciò non fosse sufficiente o indicato, oppure in presenza di malnutrizione proteico-energetica, la nutrizione enterale.621 Gli aspetti relativi a quest’ultima opzione sono discussi nel capitolo relativo alla fase acuta (vedi § 11.5.2.2); nel periodo post-ictus il programma di nutrizione artificiale deve conciliarsi con le attività riabilitative del paziente, potrà essere utile quindi ricorrere ad infusione prevalentemente notturna o a somministrazione ciclica in corrispondenza dei pasti.622 In presenza di disfagia per liquidi o solidi o per entrambi, l’intervento dietetico è possibile, ma deve essere condotto con prudenza e con l’utilizzo di alimenti e bevande a densità modificata.623-629 Soprattutto nei casi di disfagia più marcata, la dieta iniziale comprende soltanto alimenti frullati con una consistenza generale di purea densa e coesiva (pureed diet); successivamente, con la riduzione dei disturbi della deglutizione, si potrà passare a diete che riducono i problemi di preparazione del bolo: dieta tritata (ground/minced diet), dieta morbida (soft diet), dieta normale con modifiche (modified general diet; Tabella 14.VII). Il passaggio da un livello di dieta a quello successivo è dettato da un’attenta valutazione della funzionalità deglutitoria e delle capacità di preparazione del bolo.630,631 Di norma il paziente progredisce da una dieta purea ad una tritata fino ad assumere alimenti di consistenza soffice e talvolta cibi di consistenze differenti. La somministrazione di bevande può essere effettuata ricorrendo all’impiego di prodotti ispessenti i liquidi o di acqua gelificata.632,633 Per i pazienti incapaci di consumare adeguati volumi di cibo va valutata la necessità di ricorrere all’uso di integratori o alimenti arricchiti.634,635 Le conseguenze dell’ictus possono determinare, oltre la disfagia, differenti alterazioni funzionali legate p.es. all’inabilità motoria, ad alterazioni della postura, della chiusura delle labbra, nonché della percezione e dell’attenzione. Tutto ciò conduce ad ansietà, tendenza all’isolamento e alla depressione e può causare una ridotta assunzione dietetica e contribuire all’insorgenza di uno stato di malnutrizione proteico-energetica. Tali situazioni vanno identificate e trattate con adeguate tecniche dal personale della struttura riabilitativa.636 14.8.3 Raccomandazione 14.78 b Grado D Indicazioni dietetiche al momento della dimissione All’atto della dimissione, il gruppo nutrizionale che opera nella struttura riabilitativa fornisce ai pazienti piani dietetici personalizzati, che terranno conto dello stato nutrizionale del soggetto, della capacità deglutitoria, delle eventuali patologie associate.619,626,637 I familiari ricevestesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-31 Il trattamento dietetico della disfagia prevede l’uso di alimenti e bevande a densità modificata, somministrati secondo quattro livelli progressivi: dieta purea, dieta tritata, dieta morbida e dieta normale modificata. La supplementazione con integratori dietetici è indicata nei casi in cui l’assunzione alimentare è inadeguata. Raccomandazione 14.79 a Grado C Nel soggetto disfagico in cui è appropriata l’alimentazione per os, è indicato l’impiego della dieta progressiva per disfagia, che prevede quattro livelli: dieta purea, dieta tritata, dieta morbida e dieta normale modificata. La presenza di disfagia completa è un’indicazione per la nutrizione artificiale. Raccomandazione 14.79 b ❊GPP È indicato che gli operatori del servizio di ristorazione ospedaliera siano formati sulle modalità di preparazione di menù a consistenza modificata. 414 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Tabella 14:VII – I livelli di dieta per disfagia livello I dieta purea indicazioni caratteristiche Sintesi 14-32 Al momento della dimissione il personale della struttura riabilitativa fornisce al paziente ed ai familiari il programma dietetico, concordato in base alle esigenze del paziente, ed informazioni pratiche finalizzate a favorire un’adeguata copertura dei fabbisogni energetici, idrici e di nutrienti. I familiari vanno informati ed addestrati sulle modalità di monitoraggio domiciliare dello stato nutrizionale attraverso la rilevazione del peso corporeo e dei consumi alimentari. Raccomandazione 14.80 a ❊GPP È indicato informare i pazienti, i caregiver ed i familiari sulle modalità di gestione dell’alimentazione (modalità di preparazione ed arricchimento degli alimenti, tecniche posturali ottimali, ausili indicati per la somministrazione di alimenti). Raccomandazione 14.80 b ❊GPP Al momento della dimissione è indicato addestrare i familiari sul monitoraggio del peso corporeo e sulla valutazione dell’assunzione dietetica. livello IV dieta normale modificata Grave difficoltà nella pre- Difficoltà moderata nella Difficoltà lieve nella Difficoltà lieve nella parazione orale del bolo. preparazione orale del preparazione orale del preparazione orale del Riflesso della deglutizione bolo. Ridotta peristalsi bolo. Impossibilità a bolo. gravemente compromes- faringeale e/o disfunzione masticare e deglutire Difficoltà lieve nella so. Perdita del controllo del muscolo cricofaringea- alcuni alimenti. masticazione. della funzione della lingua le. Disturbi minori della Ripresa graduale alie delle labbra; ridotta peri- deglutizione. Edentulia. mentazione per os. stalsi faringea e/o disfunzione crico-faringeale, ipersensibilità orale. Alimenti addensati, ben Alimenti morbidi ridotti in Alimenti morbidi a Alimenti di consistenamalgamati e compatti. piccoli pezzi o tritati o frul- piccoli pezzi o frullati. za morbida che non Consistenza di purea o di lati. Il bolo non è partico- Il bolo non deve esse- richiedono trituraziobudino cremoso. larmente coesivo. re solido. ne. Tutti i liquidi sono adden- Sulla base della tolleranza Dieta frazionata in più sati, se necessario. individuale si somministra- pasti. no liquidi densi o totalDieta frazionata in più mente fluidi (acqua). Dieta pasti. frazionata in più pasti. livello II dieta tritata livello III dieta morbida ranno informazioni su una corretta alimentazione, in particolare sul valore nutrizionale degli alimenti, sulla loro variabilità e preparazione, su metodi di cottura e di conservazione ottimali dal punto di vista igienico e nutrizionale, sulla possibilità o necessità di associare integrazioni in caso di mancata copertura dei fabbisogni. In caso di disfagia, sarà importante che i familiari siano addestrati sulla corretta preparazione degli alimenti, sull’uso degli addensanti, sulle tecniche più appropriate per la somministrazione dei pasti e sulla più adeguata postura del paziente.594,622,637-639 I familiari dovranno essere consapevoli dell’importanza di un buono stato di idratazione e di come tale obiettivo possa essere raggiunto ricorrendo a un sistema regolare di somministrazione di liquidi attraverso varie forme gradite al paziente quali acqua, spremute di agrumi, bevande calde ecc. In caso di nutrizione artificiale, dovrà essere attivato il Servizio di Nutrizione Artificiale Domiciliare secondo quanto previsto dai protocolli d’intesa regionali e considerando quanto definito dalla linee guida ADI-SINPE, al fine di garantire al paziente e ai suoi familiari tutti i supporti, l’assistenza tecnica e specialistica necessaria.640 All’atto della dimissione il personale della struttura definisce caratteristiche, tempi e modalità della valutazione dello stato nutrizionale del paziente in ambiente domiciliare.637 I familiari possono cooperare e fornire informazioni utili sullo stato nutrizionale del paziente e vanno quindi addestrati sulle tecniche di rilevamento più appropriate. Il monitoraggio dello stato nutrizionale può essere effettuato attraverso la rilevazione periodica del peso corporeo (nei pazienti in grado di mantenere la stazione eretta) e dei consumi alimentari (in tutti i pazienti). La rilevazione del peso corporeo va monitorata almeno una volta a settimana. La rilevazione dei consumi consente di monitorare il regolare introito di alimenti e bevande. A tal fine, sarà sufficiente una valutazione di carattere semiquantitativo: il familiare o il paziente stesso registra, al termine del pasto, l’entità degli scarti e formula un giudizio sull’assunzione. In presenza di decremento ponderale non desiderato o di più rilevazioni, confermate nel tempo, di assunzione dietetica <75%, il familiare avvertirà il medico curante. Tali valutazioni saranno parte integrante delle visite mediche di follow-up. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.9 INFORMAZIONE 415 ED EDUCAZIONE RIVOLTE AL PAZIENTE ED ALLA FAMIGLIA DALLA FASE ACUTA ALL’ASSISTENZA TERRITORIALE Questa sezione tratta le caratteristiche informative, di educazione ed addestramento richieste alla famiglia per ottimizzare il percorso riabilitativo del soggetto colpito da ictus e migliorare la qualità della vita residua. Le informazioni contenute consentono di rispondere ai quesiti su cosa fare se un proprio familiare è colpito da ictus. Le condizioni cliniche trattate si identificano con i quadri di disabilità persistente in soggetti ad elevato rischio cardiovascolare e di morbosità elevata facilitata dall’ipomobilità. I medici più interessati alla sezione sono i case manager dell’assistenza territoriale, soprattutto medici di medicina generale. Tutta la popolazione di soggetti sopravissuti ad un ictus, unitamente ai caregiver ed alle loro famiglie, così come le associazioni laiche interessate alle malattie cerebrovascolari, costituiscono l’utenza sensibile alla sezione. 14.9.1 Considerazioni generali Recentemente nelle strutture per la gestione della fase acuta, oltre ad una pronta diagnosi e terapia, viene fornito un programma di cura e di assistenza riabilitativa, che pone il malato e la sua famiglia al centro del lavoro di un gruppo multidisciplinare.12 In questa direzione si pongono l’informazione e l’educazione fornite sin dalla fase acuta della malattia, poiché è possibile ritenere che queste migliorino l’aderenza al trattamento medico, il processo di adattamento, la motivazione del paziente e l’ottimizzazione dell’intervento della famiglia e dei servizi assistenziali e sociali. L’obiettivo ultimo è quello di favorire il ritorno alla massima autonomia possibile, per una migliore qualità della vita, contenendo sin dall’inizio le incertezze e le angosce scatenate dall’irruenza dell’evento, illustrando le possibilità pratiche a disposizione, gli aiuti economici, i supporti psicologici e di relazione sociale. Contestualmente, tuttavia, da aree geografiche e tessuti sociali diversi, sono emerse note di insoddisfazione per come avvenivano la comunicazione, l’informazione e l’educazione. I malati, una volta rientrati in famiglia esprimono disappunto sulle informazioni ricevute in ospedale circa la malattia, le sue conseguenze, i servizi pubblici a disposizione e gli aspetti legali e finanziari,561 e a molti, dopo anni dalla dimissione, restano domande o dubbi non chiariti che sono diversi nelle diverse fasi del recupero e di adattamento alla nuova condizione.642 Una richiesta chiara di comunicazione nelle varie fasi della malattia emerge dal focus group effettuato in Umbria grazie all’associazione ALICE che ha lavorato in collaborazione con la USL 2 dell’Umbria. I familiari desiderano conoscere, anche più dei soggetti malati, i dettagli delle condizioni cliniche e del trattamento assieme al rischio di recidive. Accolgono con interesse le informazioni scritte a loro fornite e frequentano gruppi di informazione.643 Le evidenze sull’efficacia di questa recente modalità di cura emergono da una meta-analisi pubblicata dalla Cochrane Collaboration, ma i dati non sono univoci né tanto meno definitivi.639 14.9.2 La richiesta del soggetto malato e dei suoi familiari Troppo spesso si verifica una mancata comprensione del messaggio proprio perché il codice usato non è condiviso. Ogni momento della comunicazione, sia per quanto riguarda l’informazione, sia per l’educazione, deve essere accompagnato da un linguaggio, del medico e del personale sanitario, immediato e comprensibile, che permetta ai non addetti ai lavori di capire la situazione. Migliorare la comunicazione vuol dire comprendere meglio la situazione, aiutare l’accettazione della malattia e limitare l’ansia. Potrebbe anche risultare utile la presenza di un supporto psicologico, sia al paziente sia alla famiglia, nelle varie fasi della malattia. 14.9.3 Informazione sulla prognosi e sui parametri che possono influenzare la cura L’informazione sta diventando sempre più un elemento importante sia all’interno del rapporto medico-paziente sia nell’ambito dei mass-media che propongono una vasta serie di informazione. A fronte di questa rilevazione non ci sono certezze rispetto all’efficacia di questo intervento rispetto al miglioramento dei vari tipi di esito per i pazienti e i familiari. stesura 15 marzo 2005 Sintesi 14-33 L’informazione e l’educazione sulla malattia e sui giusti comportamenti da tenere, se fatte con un linguaggio e con studi adeguati, in luoghi strutturati e con tempi programmati, può essere utile in ogni fase della malattia. Sono necessari nuovi studi per individuare quale tipo di informazione e con quali modalità è più corretto che sia effettuata. Nella progettazione di questi studi è necessario coinvolgere i malati e i caregiver. 416 Raccomandazione 14.81 Grado A L’intervento educativo ed informativo porta risultati positivi nella conoscenza della malattia ictus da parte dei pazienti e dei familiari. È indicato organizzare tale intervento nel tempo con sedute periodiche alle quali dovrebbero partecipare pazienti, caregiver e team interdisciplinare. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Una recente metanalisi ha preso in considerazione i diversi studi pubblicati sull’argomento.638 Come valutazione di esito sono stati presi in considerazione due elementi principali: • l’informazione sull’ictus e sui servizi a disposizione; • l’impatto sulla salute, in particolare sull’umore. Come valutazione secondaria: • handicap; • attività sociali; • soddisfazione rispetto alle informazioni; • stato di salute percepito; • qualità della vita; • attività della vita quotidiana; • ricoveri in ospedale; • aderenza al trattamento. Dalla valutazione dei 36 studi presi in considerazione dalla metanalisi di cui solo 9 randomizzati controllati può essere sottolineata la disomogeneità delle misure di esito prese in considerazione. Dall’analisi si evince che l’informazione associata a materiale descrittivo e illustrativo è più predittiva della diffusione del materiale, senza supporto educazionale diretto. Altri elementi non si sono rilevati significativi, anche se è probabile che gli studi, effettuati finora, siano inadeguati per dimostrarlo.638 Il ricovero urgente in ospedale di un malato colpito da ictus crea un particolare scompiglio nella famiglia, quindi risulta molto importante l’impatto che il familiare ha con il medico ed il servizio sanitario. È importante che venga presentata in modo chiaro la complessità della malattia e che il gruppo multidisciplinare contribuisca a rassicurare sull’attenzione prestata al caso. Questa rassicurazione che il malato sia al centro del lavoro quotidiano del gruppo di sanitari che se ne prende cura, deve durare per tutta la fase di degenza, di dimissione e trasferimento in altre strutture post-acute come quelle riabilitative, sino al rientro a casa, predisponendo dei percorsi condivisi dal soggetto malato e dai suoi familiari. La costante comunicazione del team multidisciplinare con gli utenti, rappresentati da pazienti e familiari, influenza positivamente il decorso della malattia, soprattutto dal punto di vista psicologico.644 Raccomandazione 14.82 Grado D È indicato creare luoghi e programmare tempi strutturati sin dall’inizio della fase acuta, fino al reinserimento sociale, per favorire l’incontro, la discussione e la collaborazione. È opportuno favorire l’esigenza di comunicazione con la definizione di tempi e di luoghi destinati all’incontro fra i familiari ed il team assistenziale che si prende cura del congiunto. Questi momenti potrebbero essere programmati sin dall’ingresso del paziente nella struttura di cura, e non solo su richiesta dei familiari. Dagli studi disponibili non risulta un’influenza significativa dell’informazione sull’ansia e sulla depressione, mentre altre ricerche 644 e i dati del focus group realizzato in Umbria sembrano supportare un effetto favorevole in tali condizioni psichiche. Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari • Spesso la gravità delle condizioni non permette toni ottimistici, ma è pur vero che in ogni esperienza, specialmente se non si conoscono le persone che si hanno di fronte, è preferibile presentare la situazione evitando toni che tolgano qualsiasi tipo di speranza. • Non è agevole parlare nel corridoio ed avere la sensazione di “rubare” del tempo prezioso al medico, o come dicono i familiari “corrergli dietro”. • Non è piacevole pensare che ”i medici parlano tra loro”. L’associazione • L’associazione ALICE ha curato la pubblicazione di quaderni informativi sull’ictus e sulle sue complicanze per aiutare la comprensione della malattia; questi sussidi sono distribuiti in ospedale dai medici e dagli infermieri. Il coinvolgimento attivo dei pazienti nella pianificazione degli obiettivi produce il cambiamento dei comportamenti particolarmente nelle condizioni di malattia cronica.645 Le istruzioni telefoniche finalizzate alla risoluzione di problemi sono efficaci nel migliorare la qualità della vita e nel ridurre la probabilità di depressione del paziente e dei familiari.646 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 417 L’esigenza di un rapporto costruttivo fra team assistenziale e familiari del soggetto colpito da ictus è testimoniata dal fatto che il generico supporto familiare migliora la qualità della vita del caregiver senza incidere sulla condizione del paziente;197 un più specifico supporto, invece, migliora sia il benessere psicologico del paziente sia quello del caregiver pur senza incidere sul benessere fisico.198 Per chi assiste un malato è importante condividere con il personale sanitario (infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, medici) i diversi momenti di assistenza e cura per poi poter essere autonomi e sicuri una volta rientrati presso il proprio domicilio. Sono momenti fondamentali dai quali è possibile apprendere comportamenti corretti da tenere. Da studi sulla condizione psicologica di familiari e pazienti colpiti da ictus, è emerso che ansia e depressione sono sempre presenti in situazioni così difficili da gestire, ma essere correttamente informati sulla malattia, consigliati sulla gestione del malato, educati ad affrontare le difficoltà, può servire a contenerle.644 Diviene necessario che i familiari dei malati apprendano i giusti comportamenti, per creare un clima di collaborazione che renda più agevole l’accettazione delle difficoltà e della malattia e permetta di limitare l’ansia. Ancora più importante è la discussione degli obiettivi realmente raggiungibili dal malato con il gruppo multidisciplinare, poiché questi possono essere diversi in base alla sensibilità, alla cultura e alle possibilità della famiglia e del paziente. Raccomandazione 14.83 Grado D È indicato programmare azioni dirette a favorire l’educazione e la partecipazione del caregiver e del paziente all’attività di cura, al fine di migliorare il benessere psichico del soggetto colpito da ictus e, facilitare il processo di riabilitazione. Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari • Al momento della dimissione, può essere utile da parte del familiare e del paziente, la compilazione di un questionario che aiuti la verifica dei servizi per una valutazione ed un miglioramento dell’offerta professionale ed una maggiore attenzione alla sfera psicologica. 14.9.4 Rientro presso il domicilio Dal focus group realizzato in Umbria emerge che il ritorno a casa è caratterizzato da una sensazione di solitudine, che il familiare ed il paziente hanno rispetto alle istituzioni. Nella fase del reinserimento familiare maturano altri problemi, che potranno essere risolti o resi più sopportabili da un migliore rapporto medico-paziente o medico-familiare. Primo tra tutti è la gestione della nuova disabilità, se presente, presso un domicilio che potrebbe essere non adatto alle condizioni del momento. Incontri settimanali o quindicinali, pensabili anche in gruppo, potrebbero migliorare la relazione-comunicazione in questa fase finale. Per superare la naturale ansia che accompagna questo momento, è auspicabile la creazione di un recapito telefonico con personale preparato (medico o infermiere), che permetta di avere un punto di riferimento adeguato e per rispondere alle domande su situazioni nuove. Uno studio recente ha dimostrato l’efficacia del supporto telefonico, strutturato a lungo termine, per pazienti e familiari, in termini di stato emotivo, capacità di risolvere problemi e depressione.646 Resta determinante, in questa fase, la collaborazione del medico di base nella gestione del malato fatta in collaborazione con i gruppi multidisciplinari che lo hanno seguito nei ricoveri e con la famiglia. Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari • Un aspetto difficile da comprendere per chi assiste un malato, è quello di doversi allontanare durante le visite mediche. • Se la persona colpita da ictus non può parlare, è forse opportuno che il team medico si rapporti con chi sta quotidianamente con il paziente. In alcuni casi è opportuno scegliere fra i parenti un referente al quale far riferimento nei momenti di bisogno. • “A casa sei solo”; “Ci siamo mossi da soli”; “Qualunque cosa si fosse fatto sarebbe sembrato troppo poco”. L’associazione • ALICE nelle varie sedi regionali ha pubblicato anche dei quaderni informativi sulle corrette norme di comportamento nella gestione del malato, che il personale sanitario ha cura di distribuire ai malati. stesura 15 marzo 2005 Raccomandazione 14.84 Grado D È indicato fornire un recapito telefonico, affidato ad operatori competenti, destinato ai malati ed ai familiari di pazienti colpiti da ictus, al fine di realizzare interventi programmati e di fornire chiarimenti in caso di necessità. 418 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 14.9.5 Istruzione sulle formalità amministrative Un ulteriore aspetto, evidenziato da ricerche sui problemi circa il reinserimento familiare e che riguarda la situazione di inabilità, è quello di riuscire a creare un ambiente consono alla situazione. Diviene necessario che le attenzioni del gruppo multidisciplinare, coinvolto nell’assistenza ospedaliera, sia nella fase acuta sia in quella riabilitativa, prosegua la propria attività nella fase di reinserimento presso il proprio domicilio. È auspicabile che il malato non resti senza ausili in attesa di visite ulteriori, e che un terapista della riabilitazione (fisioterapista o terapista occupazionale) adatti gli ausili stessi agli spazi e dia consigli di modifiche possibili delle opere murarie. Varie sono le associazioni come ALICE che si occupano di informare le famiglie sui loro diritti. Il punto di vista del soggetto malato e dei suoi familiari • Risulta, forse, utile creare nelle varie ASL/USL, là dove non esiste, uno sportello dove avere informazioni sui diritti ed istruzioni sulle formalità amministrative, presso il quale familiari e malati possano rivolgersi al momento della dimissione. L’associazione • Alice Umbria e l’Azienda Sanitaria Regionale, hanno redatto una guida per le persone colpite da ictus e per i loro familiari, nella quale si informa circa il percorso assistenziale, la rete di servizi disponibili e la normativa vigente. Simili iniziative sono disponibili anche presso le sezioni ALICE di altre Regioni italiane. 14.9.6 Conclusioni su informazione-educazione La metanalisi attualmente disponibile non ha dimostrato in maniera certa, con gli studi a disposizione sino ad ora, l’efficacia dell’intervento informazione-educazione sulla prognosi del paziente e della sua famiglia, né ha potuto raccomandare in maniera sicura l’efficacia di una strategia di comunicazione rispetto ad un’altra. È necessario che vengano programmati nuovi studi che siano in grado di identificare la modalità di comunicazione più appropriata coinvolgendo le associazioni laiche nella preparazione dello studio e nella scelta degli obiettivi di prognosi, come è già avvenuto sia nel campo della ricerca dell’ictus acuto,647 sia in altre aree della medicina.648 stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 14.10 BIBLIOGRAFIA 1. National Stroke Association. The Road ahead: A stroke recovery guide 3rd ed. Englewood 1995; NSA publ. 2. Ramnemark A, Nyberg L, Borssén B, Olsson T, Gustafson Y. Fractures after stroke. Osteoporosis Int 1998; 8: 92-95. 3. Wankyln P, Forster A, Young J. Hemiplegic shoulder pain (HSP): natural history and investigation of associated features. Disabil Rehabil 1996; 18: 497-501. 4. Wade DT. Measurement and neurological rehabilitation. Oxford 1992. Oxford University Press. 5. Franceschini M, Agosti M, Zaccaria B, Diemmi M. L’intensità giornaliera del trattamento influenza l’outcome? Atti Convegno “Ictus Cerebrale e Riabilitazione: Indicatori Clinici e Recupero. Studio Italiano Multicentrico ICR2”. Parma 7-8 novembre 2002. 6. 7. 8. 15. Laursen SO, Henriksen IO, Dons U, Jacobsen B, Gundertofte L. Intensiv apopleksirehabilitering-et kontrolleret pilotstudie [Intensive rehabilitation after apoplexy-a controlled pilot study; in Danish]. Ugeskr Laeger 1995; 157: 1996-1999. 28. Pesaresi F, Simoncelli M. La Riabilitazione ospedaliera e la lungodegenza post-acuzie in Italia.Milano 2002; Ed. Franco Angeli. 29. Intercollegiate Stroke Working Party (2004). National clinical guidelines for stroke. London, Royal College of Physicians. 16. Logan PA, Ahern J, Gladman JR, Lincoln NB. A randomised controlled trial of enhanced Social Service occupational therapy for stroke patients. Clin Rehabil 1997; 11: 107113. 30. Cifu DX, Stewart DG. Factors affecting functional outcome after stroke: a critical review of rehabilitation interventions. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80 (Suppl 5): S35-S39. 17. Indredavik B, Slordahl SA, Bakke F, Rokseth R, Haheim LL. Stroke unit treatment. Longterm effects. Stroke 1997; 28: 1861-1866. 31. 18. Ronning OM, Guldvog B. Stroke unit versus general medical wards, II: neurological deficits and activities of daily living: a quasirandomized controlled trial. Stroke 1998; 29: 586-590. Kaste M, Skyhoj Olsen T, Orgogozo J, Bogousslavsky J, Hacke W. Organization of stroke care: education, stroke units and rehabilitation. European Stroke Initiative (EUSI). Cerebrovasc Dis 2000; 10 (Suppl 3): 1-11. 32. American Medical Association, Council on Ethical and Judicial Affairs. Ethical considerations in the allocation of organs and other scarce medical resources among patients. Arch Intern Med 1995; 155: 29-40. 33. Langhorne P, Duncan P. Does the organization of post-acute stroke care really matter? Stroke 2001; 32: 268-274. 34. Dombovy ML, Sandok BA, Basford JR. Rehabilitation for stroke: a review. Stroke 1986; 17: 363-369. 35. Jorgensen HS, Kammersgaard LP, Houth J, Nakayama H, Raaschou HO, Larsen K, Hubbe P, Olsen TS. Who benefits from treatment and rehabilitation in a stroke unit? A community-based study. Stroke 2000; 31: 434-439. 36. Heinemann AW, Roth EJ, Cichowski K, Betts HB. Multivariate analysis of improvement and outcome following stroke rehabilitation. Arch Neurol 1987; 44: 1167-1172. 37. Jongbloed L. Prediction of function after stroke: a critical review. Stroke 1986; 17: 765-776. 38. Anderson TP. Studies up to 1980 on stroke rehabilitation outcomes. Stroke 1990; 21: 1143-1145. 39. Lofgren B, Nyberg L, Osterlind P, Mattsson M, Gustafson Y. Stroke rehabilitation discharge predictors. Cerebrovasc Dis 1997; 7: 168-174. 40. Macciocchi SN, Diamond PT, Alves WM, Mertz T. Ischemic stroke: relation of age, lesion location, and initial neurologic deficit to functional outcome. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 1255-1257. 41. Dromerick A, Reding M. Functional outcome for patients with hemiparesis, hemihypestesia and hemianopia. Does lesion location matter? Stroke 1995; 26: 2023-2026. 42. Kwakkel G, Wageneaar RC, Kollen BJ, Lankhorst GJ. Predicting disability in stroke - a critical review of the literature. Age Ageing 1996; 25: 479-489. 19. Langhorne P, Legg L, Pollock A, Sellars C. Evidence-based stroke rehabilitation. Age Ageing 2002; 31 (Suppl 3): 17-20. Langhorne P, Dennis MS, Kalra L, Shepperd S, Wade DT, Wolfe CD. Services for helping acute stroke patients avoid hospital admission. Cochrane Database Syst Rev 2000; (2): CD000444. Gresham GE, Alexander D, Bishop DS, Giuliani C, Goldberg G, Holland A, KellyHayes M, Linn RT, Roth EJ, Stason WB, Trombly CA. American Association Prevention Conference. IV. “Prevention and Rehabilitation of Stroke.” Rehabilitation. Stroke 1997; 28: 1522-1526. 20. 21. Indredavik B, Bakke F, Slordahl SA, Rokseth R, Haheim LL. Stroke unit treatment improves long-term quality of life: a randomized controlled trial. Stroke 1998; 29: 895-899. Widén Holmqvist L, von Koch L, Kostulas V, Holm M, Widsell G, Tegler H, Johansson K, Almazàn J, de Pedro-Cuesta J. A randomised controlled trial of rehabilitation at home after stroke in southwest Stockholm. Stroke 1998; 29: 591-597. Landefeld CS, Palmer RM, Kresevic DM, Fortinsky RH, Kowal J. A randomized trial of care in a hospital medical unit especially designed to improve the functional outcomes of acutely ill older patients. N Engl J Med 1995; 332: 1338-1344. Boult C, Brummel-Smith K. Post-stroke rehabilitation guidelines. The Clinical Practice Committee of the American Geriatrics Society. J Am Geriatr Soc 1997; 45: 881-883. 22. 10. Kalra L, Dalae P, Crome P. Improving stroke rehabilitation. A controlled study. Stroke 1993; 24:1462-1467. 23. 11. Agency for Health Care Policy and Research. Post-Stroke Rehabilitation Guideline Panel. Post-Stroke Rehabilitation. Clinical Practice Guideline no. 16. Rockville, Md: US Department of Health and Human Service, Public health Service 1995; AHCPR, publication 95-0662. Jones A, Carr EK, Newham DJ, WilsonBarnett J. Positioning of stroke patients. Evaluation of a teaching intervention with nurses. Stroke 1998; 29: 1612-1617. 24. Forster A, Dowswell G, Young J, Bagley P, Sheard J, Wright P. Effect of a physiotherapist-led training programme on attitudes of nurses caring for patients after stroke. Clin Rehabil 1999; 13: 113-122. 9. 12. 13. 14. 419 Stroke Unit Trialists’ Collaboration. Organised inpatient (stroke unit) care for stroke (Cochrane Review). In: The Cochrane Library, Issue 1 2003. Oxford: Update Software. 25. Langhorne P, Pollock A. What are the components of effective stroke unit care? Age Ageing 2002; 31: 365-371. 26. SIGN Scottish Intercollegiate Guidelines Network. Management of patient with stroke. rehabilitation, prevention and management of complications, and discharge planning. A national clinical guideline. Guideline 64. Novembre 2002. http://www.sign.ac.uk/guidelines/published/index.html Dekker R, Drost EA, Groothoff JW, Arendzen JH, van Gijn JC, Eisma WH. Effects of dayhospital rehabilitation in stroke patients: a review of randomized clinical trials. Scand J Rehabil Med 1998; 30: 87-94. Kalra L The influence of stroke unit rehabilitation on functional recovery from stroke. Stroke 1994; 25: 821-825. Webb DJ, Fayad PB, Wilbur C, Thomas A, Brass LM. Effects of a specialized team on stroke care. The first two years of the Yale Stroke Program. Stroke 1995; 26: 13531357. 27. Royal College of Physicians Guidelines of Stroke. 2002 London, National Health Service. http://www.rcplondon.ac.uk/pubs/ books/stroke/ stesura 15 marzo 2005 420 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 43. Liu M, Domen K, Chino N. Comorbidity measures for stroke outcome research: a preliminary study. Arch Phys Med Rehabil 1997; 78: 166-172. 44. Olsen TS. Arm and leg paresis as outcome predictors in stroke rehabilitation. Stroke 1990; 21: 247-251. 45. Pohjasvaara T, Erkinjuntti T, Vataja R, Kaste M. Correlates of dependent living 3 months after ischemic stroke. Cerebrovasc Dis 1998; 8: 259-266. 46. Ween JE, Alexander MP, D’Esposito M. Roberts M. Factors predictive of stroke outcome in a rehabilitation setting. Neurology 1996; 47: 388-392. 47. International Classification of Functioning, Disability and Health. Geneva 2001: WHO. 48. International Classification of Impairments, Disabilities and handicaps. A manual of classification relating to the consequences of disease. Geneva 1980 reprint 1993; WHO. 49. Kotila M, Waltimo O, Niemi ML, Laaksonen R, Lempinen M. The profile of recovery from stroke and factors influencing outcome. Stroke 1984; 15: 1039-1044. 50. Shah S, Vanclay F, Cooper B. Predicting discharge status at commencement of stroke rehabilitation. Stroke 1989; 20: 766769. 51. Kalra L. Does age affect benefits of stroke unit rehabilitation? Stroke 1994; 25: 346351. 52. Nakayama H, Jorgensen HS, Raaschou HO, Olsen TS. The influence of age on stroke outcome. The Copenhagen Stroke Study. Stroke 1994; 25: 808-813. 53. Bagg S, Pombo AP, Hopman W. Effect of age on functional outcomes after stroke rehabilitation. Stroke 2002; 33: 179-185. 54. Paolucci S, Antonucci G, Troisi E, Bragoni M, Coiro P, De Angelis D, Pratesi L, Venturiero V, Grasso MG. Aging and Stroke Rehabilitation. A case-comparison study. Cerebrovasc Dis 2003; 15: 98-105. 55. 56. 57. Musicco M, Emberti L, Nappi G, Caltagirone C. Early and long-term outcome of rehabilitation in stroke patients: The role of patient characteristics, time of initiation, and duration of interventions. Arch Phys Med Rehabil 2003; 84: 551-558. Feigenson JS, McDowell FH, Meese P, McCarthy ML, Greenberg SD. Factors influencing outcome and length of stay in a stroke rehabilitation unit. Part 1. Analysis of 248 unscreened patients-medical and functional prognostic indicators. Stroke 1977; 8: 651-656. Tesio L, Franchignoni FP, Perucca L Porta GL. The influence of age on length of stay, functional independence and discharge destination of rehabilitation inpatients in Italy. Disabil Rehabil 1996; 18: 502-508. 58. Di Carlo A, Lamassa M, Pracucci G, Basile AM, Trefoloni G, Vanni P, Wolfe CD, Tilling K, Ebrahim S, Inzitari D. for the European BIOMED study of Stroke Care Group. Stroke in the very old. Clinical presentation and determinants of 3-month functional outcome: a European perspective. Stroke 1999; 30: 2313-2319. 72. Wade DT, Hewer RL. Functional abilities after stroke: measurement, natural history and prognosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1987; 50: 177-182. 73. Sze K, Wong E, Or KH, Lum CM, Woo J. Factors predicting stroke disability at discharge: a study of 793 chinese. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 876-880. 59. Wade DT, Hewer RL, Wood VA. Stroke: influence of patient’s sex and side of weakness on outcome. Arch Phys Med Rehabil 1984; 65: 513-516. 74. Barer DH, Murphy JJ. Scaling the Barthel: a 10-point hierarchical version of the activities of daily living. Index for use with stroke patients. Clin Rehabil 1993; 7: 271-277. 60. Wyller TB, Sodring KM, Sveen U, Ljunggren AE, Bautz-Holter E. Are there gender differences in functional outcome after stroke? Clin Rehabil 1997; 11: 171-179. 75. 61. Kelly-Hayes M, Wolf PA, Kannel WB, Sytkowski P, D’Agostino RB, Gresham GE. Factors influencing survival and need for institutionalization following stroke: the Framingham Study. Arch Phys Med Rehabil 1988; 69: 415-418. European Stroke Initiative recommendations for stroke management. European Stroke Council, European Neurological Society and European Federation of Neurological Societies. Cerebrovasc Dis 2000; 10: 335-351. 76. Wade DT, Hewer RL. Outlook after an acute stroke: urinary incontinence and loss of consciousness compared in 532 patients. Q J Med 1985; 221: 601-608. 62. Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Stroke in patients with diabetes. The Copenhagen stroke study. Stroke 1994; 25: 1977-1984. 77. Taub NA, Wolfe CDA, Richardson RGN, Burney PGJ. Predicting the disability of first-time stroke sufferers at 1 year. Stroke 1994; 25: 352-357. 63. Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Intracerebral haemorrhage versus infarction: stroke severity, risk factors and prognosis. Ann Neurol 1995; 38: 45-50. 78. Kalra L, Smith DH, Crome P. Stroke in patients aged over 75 years: outcome and predictors. Postgrad Med J 1993; 69: 3336. 64. Jorgensen HS. The Copenhagen Stroke Study experience. J Stroke Cerebrovasc Dis 1996; 6: 5-16. 79. 65. Segal ME, Whyte JU. Modeling case mix adjustment of stroke rehabilitation outcomes. Am J Phys Med Rehabil 1997; 76: 154-161. Wade DT, Wood Va, Heller A, Maggs J, Langton Hewer R. Walking after stroke. Measurement and recovery over the first months Scand J Rehabil Med 1987; 19: 2530. 80. Barer DH. Continence after stroke: useful predictor or goal of therapy? Age Ageing 1989; 18: 183-191. 81. Ottenbacher KJ, Smith PM, Illig SB, Fiedler RC, Gonzales V, Granger CV. Characteristics of persons rehospitalized after stroke rehabilitation. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 1367-1374. 66. Shelton FD, Reding MJ. Effect of lesion location on upper limb motor recovery after stroke. Stroke 2001; 32: 107-112. 67. Heinsius T, Bogousslavski J, Van Melle G. Large infarcts in the middle cerebral artery territory. Etiology and outcome patterns. Neurology 1998; 50: 341-350. 82. 68. Bamford J, Sandercock P, Dennis M, Burn J, Warlow C. Classification and antural history of clinically identifiable subtypes of cerebral infarction. Lancet 1991; 337: 1521-1526. Gross JC. Urinary incontinence and stroke outcomes. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 22-27. 83. Sturm J, Dewey HM, Donnan G, Macdonell RA, MaNeil JJ, Thrift AG. Handicap after stroke: how does it relate to disability, perception of recovery and stroke subtype? The North East Melbourne Stroke Incidence Study (NEMESIS). Stroke 2002; 33: 762768. Formisano R, Barbanti P, Catarci T, De Vuono G, Calisse P, Razzano C. Prolonged muscular flaccidity: frequency and association with unilateral spatial neglect after stroke. Acta Neurol Scand 1993; 88: 313315. 84. Daviet JC, Preux PM, Salle JY, Lebreton F, Munoz, Dudognon P, Pelissier J, Perrigot M. Clinical factors in the prognosis of complex regional pain syndrome type after stroke: a prospective study. Am J Phys Med Rehabil 2002; 81: 34-39. 85. Pedersen PM, Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Aphasia in acute stroke: incidence, determinants, and recovery. Ann Neurol 1995; 38: 659-666. 69. 70. Kalra L, Yu G, Wilson K, Roots P. Medical complications during stroke rehabilitation. Stroke 1995; 26: 990-994. 71. Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Vive-Larsen J, Stoier M, Olsen TS. Outcome and time-course of recovery of stroke. Part I: Outcome. The Copenhagen Stroke Study. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 399-405. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 86. 87. Cicerone KD, Dahlberg C, Kalmar K, Langenbahn DM, Malec JF, Bergquist TF, Felicetti T, Giacino JT, Harley JP, Harrington DE, Herzog J, Kneipp S, Laatsch L, Morse PA. Evidence-based cognitive rehabilitation: recommendations for clinical practice. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 1596-1615. Greener J, Enderby P, Whurr R. Speech and language therapy for aphasia following stroke. Cochrane Database Syst Rev 2000 (2); CD000425. 88. Flick CL. Stroke rehabilitation. 4. Stroke outcome and psychosocial consequences. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: S21-S26. 89. Paolucci S, Antonucci G, Gialloreti LE, Traballesi M, Lubich S, Pratesi L, Palombi L. Predicting stroke inpatient rehabilitation outcome: the prominent role of neuropsychological disorders. Eur Neurol 1996; 36: 385-390. 90. 91. Paolucci S, Antonucci G, Pratesi L, Traballesi M, Lubich S, Grasso MG. Functional outcome in stroke inpatient rehabilitation: predicting no, low and high response patients. Cerebrovasc Dis 1998; 8: 228-234. Denes G, Semenza C, Stoppa E, Lis A. Unilateral spatial neglect and recovery from hemiplegia: a follow-up study. Brain 1982; 105 (Pt 3): 543-552. 92. Kalra L, Perez I, Gupta S, Wittink M. The influence of visual neglect on stroke rehabilitation. Stroke 1997; 28: 1386-1391. 93. Katz N, Hartman-Maeir A, Ring H, Soroker N. Functional disability and rehabilitation outcome in right hemisphere damaged patients with and without unilateral spatial neglect. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 379-384. 94. 95. 96. 97. 98. Cherney LR, Halper AS, Kwasnica CM, Harvey RL, Zhang M. Recovery of functional status after right hemisphere stroke: relationship with unilateral neglect. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 322-328. Paolucci S, Antonucci G, Grasso MG, Pizzamiglio L. The role of unilateral spatial neglect in rehabilitation of right braindamaged ischemic stroke patients: A matched comparison. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 743-749. Jehkonen M, Ahonen JP, Dastidar P, Koivisto AM, Laippala P, Vilkki J, Molnar G. Predictors of discharge to home during the first year after right hemisphere stroke. Acta Neurol Scand 2001; 104: 136-141. Pedersen PM, Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Hemineglect in acute stroke-incidence and prognostic implications. The Copenhagen Stroke Study. Am J Phys Med Rehabil 1997; 76: 122-127. Bowen A, Lincoln NB, Dewey M. Cognitive rehabilitation for spatial neglect following stroke. Cochrane Database Syst Rev 2002; CD003586. 99. Pierce SR, Buxbaum LJ. Treatments of unilateral neglect: a review. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 256-268. 100. Paolucci S, Antonucci G, Guariglia C, Magnotti L, Pizzamiglio L, Zoccolotti P. Facilitatory effect of neglect rehabilitation on the recovery of left hemiplegic stroke patients: a cross-over study. J Neurol 1996; 243: 308-314. 101. Sundet K, Finset A, Reinvang I. Neuropsychological predictors in stroke rehabilitation. J Clin Exp Neuropsychol 1988; 10: 363-379. 102. Giaquinto S, Buzzelli S, Di Francesco L, Lottarini A, Montenero P, Tonin P, Nolfe G. On the prognosis of outcome after stroke. Acta Neurol Scand 1999; 100: 202-208. 103. Pedersen PM, Jorgensen HS, Kammersgaard LP, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Manual and oral apraxia in acute stroke, frequency and influence on functional outcome: The Copenhagen Stroke Study. Am J Phys Med Rehabil 2001; 80: 685-692. 104. Smania N, Girardi F, Domenicali C, Lora E, Aglioti S. The rehabilitation of limb apraxia: a study in left-brain-damaged patients. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 379-388. 105. Barer DH The natural history and functional consequences of dysphagia after hemispheric stroke. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1989; 52: 236-241. 106. Mann G, Hankey GJ, Cameron D. Swallowing function after stroke. Prognosis and prognostic factors at 6 months. Stroke 1999; 30: 744-748. 107. Sharma JC. What influences outcome of stroke-pyrexia or dysphagia? Int J Clin Pract 2000; 55: 17-20. 108. Agency for Health Care Policy and Research, Rockville, MD. Diagnosis and Treatment of Swallowing Disorders (Dysphagia) in Acute-Care Stroke Patients. Evidence Report/Technology Assessment: Number 8, March 1999. 109. Holas MA, De Pippo KL, Reding MJ Aspiration and relative risk of medical complications following stroke Arch Neurol 1994; 51: 1051-1053 110. Finestone HM, Greene-Finestone LS, Wilson ES, Teasell RW. Malnutrition in stroke patients on the rehabilitation service and at follow-up: prevalence and predictors. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 310-316. 111. Finestone HM, Greene-Finestone LS, Wilson ES, Teasell RW Prolonged length of stay and reduced functional improvement rate in malnourished stroke rehabilitation patients Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 340-345. 112. Smithard DG, O’Neill PA, Parks C, Morris J. Complication and outcome after acute stroke. Does dysphagia matter? Stroke 1996; 27: 1200-1204. stesura 15 marzo 2005 421 113. Gariballa SE, Parker SG, Taub N, Castleden M. Nutritional status of hospitalised acute stroke patients. Br J Nutrition 1998; 79: 1419. 114. Franchignoni F, Tesio L, Martino MT, Benevolo E, Castagna M. Length of stay of stroke rehabilitation inpatients: prediction through the functional independence measure. Ann Ist Super Sanità 1998; 34: 463467. 115. Inouye M, Hashimoto H, Mio T, Sumino K Prediction of functional outcome after stroke rehabilitation. Am J Phys Med Rehabil 2000; 79: 513-518. 116. Inouye M, Hashimoto H, Mio T, Sumino K. Influence of admission functional status on functional change after stroke rehabilitation. Am J Phys Med Rehabil 2001; 80: 121-125. 117. Sandin KJ, Smith BS. The measure of balance in sitting stroke rehabilitation prognosis. Stroke 1990; 21: 82-86. 118. Franchignoni F, Tesio L, Ricupero C, Martino MT. Trunk control test as an early predictor of stroke rehabilitation outcome. Stroke 1997; 28: 1382-1385. 119. Lofgren B, Gustafson Y, Nyberg L. Crossvalidation of a model predicting discharge home after stroke rehabilitation. Cerebrovasc Dis 2000; 10: 118-125. 120. Sommerfeld DK, von Arbin MH. Disability test 10 days after acute stroke to predict early discharge home in patients 65 years and older. Clin Rehabil 2001; 15: 528-534. 121. Mauthe RW, Haaf DC, Hayn P, Krall JM. Predicting discharge destination of stroke patients using a mathematical model based on six items from the Functional Independence measure. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 10-13. 122. Chemerinski E, Robinson RG. The neuropsychiatry of stroke. Psychosomatics 2000; 41: 5-14. 123. Hosking SG, Marsh NV, Friedman PJ. Poststroke depression: prevalence, course, and associated factors. Neuropsychol Rev 1996; 6: 107-133. 124. Gordon WA, Hibbard MR. Post-stroke depression: an examination of the literature. Arch Phys Med Rehabil 1997; 78: 658663. 125. Gainotti G, Azzoni A, Marra C. Frequency, phenomenology and anatomical-clinical correlates of major post-stroke depression. Br J Psychiatry 1999; 175: 163-167. 126. Ng KC, Chan KL, Straughan PT. A study of post-stroke depression in a rehabilitative center. Acta Psychiatr Scand 1995; 92: 7579. 127. Schwartz JA, Speed NM, Brunberg JA, Brewer TL, Brown M, Greden JF. Depression in stroke rehabilitation. Biol Psychiatry 1993; 33: 694-699. 422 128. Ramasubbu R, Robinson RG, Flint AJ, Kosier T, Price TR. Functional impairment associated with acute post-stroke depression: the Stroke Data Bank Study. J Neuropsychiatry Clin Neurosci 1998; 10: 26-33. 129. Pohjasvaara T, Leppavuori A, Siira I, Vataja R, Kaste M, Erkinjuntti T. Frequency and clinical determinants of post-stroke depression. Stroke 1998; 29: 2311-2317. 130. Sinyor D, Amato P, Kaloupek DG, Becker R, Goldenberg M, Coopersmith H. Post-stroke depression: relationships to functional impairment, coping strategies, and rehabilitation outcome. Stroke 1986; 17: 11021107. 131. van de Weg FB, Kuik DJ, Lankhorst GJ. Post-stroke depression and functional outcome: a cohort study investigating the influence of depression on functional recovery from stroke. Clin Rehabil 1999; 13: 268-272. 132. Paolucci S, Antonucci G, Grasso MG, Morelli D, Troisi E, Coiro P, De Angelis D, Rizzi F, Bragoni M. Post-Stroke Depression, Antidepressant Treatment and Rehabilitation Results. A case-control study. Cerebrovasc Dis 2001; 12: 264-271. 133. Chemerinski E, Robinson RG, Kosier JT. Improved recovery in activities of daily living associated with remission of poststroke depression. Stroke 2001; 32: 113117. 134. Gonzalez-Torrecillas JL, Mendlewicz J, Lobo A. Effects of early treatment of poststroke depression on neuropsychological rehabilitation. Int Psychogeriatr 1995; 7: 547-560. 135. Miyai I, Reding MJ. Effects of antidepressants on functional recovery following stroke: a double-blind study. J J Neurol Rehabil 1998; 12: 5-13. 136. Robinson RG, Schultz SK, Castillo C, Kopel T, Kosier JT, Newman RM, Curdue K, Petracca G, Starkstein SE. Nortriptyline versus fluoxetine in the treatment of depression and in short-term recovery after stroke: a placebo-controlled, double-blind study. Am J Psychiatry 2000; 157: 351359. 137. Gainotti G, Antonucci G, Marra C, Paolucci S. Relation between depression after stroke, antidepressant therapy, and functional recovery. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2001; 71: 258-261. 138. Paolucci S, Antonucci G, Pratesi L, Traballesi M, Grasso MG, Lubich S. Poststroke depression and its role in rehabilitation of inpatients. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 985-990. 139. Kapral MK, Wang H, Mamdani M, Tu JV, Boden-Albala B, Sacco RL. Effect of socioeconomic status on treatment and mortality after stroke. Stroke 2002; 33: 268-275 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 140. Lofgren B, Nyberg L, Mattsson M, Gustafson Y. Three years after in-patient stroke rehabilitation: A follow-up study. Cerebrovasc Dis 1999; 9: 163-170. 141. Tsouna-Hadjis E, Vemmos KN, Zakopoulos N, Stamatelopoulos S. First-stroke recovery process: the role of family social support. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 881-887. 142. Beech R, Ratcliffe M, Tilling K, Wolfe C. Hospital services for stroke care. A European Perspective. European Study of Stroke Care. Stroke 1996; 27: 1958-1964. 143. Wolfe CD, Tilling K, Beech R, Rudd AG. Variations in case fatality and dependency from stroke in western and central Europe. The European BIOMED Study of Stroke Care Group. Stroke 1999; 30: 350-356. 144. Grieve R, Hutton J, Bhalla A, Rastenyte D, Ryglewicz D, Sarti C, Lamassa M, Giroud M, Dundas R, Wolfe CD on behalf of the BIOMED II European Study of Stroke Care. A comparison of the costs and survival of hospital-admitted stroke patients across Europe. Stroke 2001; 32: 1684-1691. 145. Ottenbacher KJ, Jannell S. The results of clinical trials in stroke rehabilitation research. Arch Neurol 1993; 50: 37-44. 146. Langhorne P, Williams BO, Gilchrist W, Howie K. Do stroke units save lives? Lancet 1993; 342: 395-398. 147. Stroke Unit Trialists’ Collaboration. How do stroke units improve patient outcomes? A collaborative systematic review of the randomised trials. Stroke 1997; 28: 21392144. 148. Ronning OM, Guldvog B. Outcome of subacute stroke rehabilitation: a randomised controlled trial. Stroke 1998; 29: 779-784. 149. Glader EL, Stegmayr B, Johansson L, Hulter-Asberg K, Wester PO. Differences in long-term outcome between patients treated in stroke units and in general wards: a 2-year follow up of stroke patients in Sweden. Stroke 2001; 32: 2124-2130. 150. Indredavik B, Bakke F, Slordal SA, Rokseth R, Haheim LL. Stroke unit treatment. 10year follow-up. Stroke 1999; 30: 15241527. 151. Indredavik B, Bakke F, Slordahl SA, Rokseth R, Haeim LL. Treatment in a combined acute and rehabilitation stroke unit. Stroke 1999; 30: 917-923. 152. Anderson C, Mhurchu C, Rubenach S, Clark M, Spencer C, Winsor A.. Home or hospital for stroke Rehabilitation? Results of a randomized controlled trial : II: cost minimization analysis at 6 months. Stroke 2000; 31: 1032-1037. 153. Rossi PW, Forer S, Wiechers D. Effective rehabilitation for patients with stroke: analysis of entry, functional gain, and discharge to community. J Neurol Rehabil 1997; 11: 27-33. stesura 15 marzo 2005 154. Paolucci S, Antonucci G, Grasso MG, Morelli D, Troisi E, Coiro P, Bragoni M. Early versus delayed inpatient stroke rehabilitation: a matched comparison conducted in Italy. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 695-700. 155. Giuria della Consensus Conference. Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio-encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati. Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa 2001; 15, 29-42. 156. Thorngren M, Westling B, Norrving B. Outcome after stroke in patients discharged to indipendent living. Stroke 1990; 21: 236240. 157. Andersen HE, Schultz-Larsen K, Kreiner S, Forchhammer BH, Eriksen K, Brown A. Can readmission after stroke be prevented? Results of a randomised clinical study: a post-discharge follow-up service for stroke survivors. Stroke 2000; 31: 1038-1045. 158. Parkes J, Shepperd S. Discharge planning from hospital to home. Cochrane Database Syst Rev 2000; (4): CD000313. 159. Evans RL, Bishop DS, Haselkorn JK. Factors predicting satisfactory home care after stroke. Arch Phys Med Rehabil 1991; 72: 144-147. 160. Kinney JM, Stephens M, franks MM, Norris VK. Stress and satisfactions of family caregivers to older stroke patients. J Appl Gerontol 1995; 14: 3-21. 161. Han B, Haley WE. Family caregiving for patients with stroke. Review and analysis. Stroke 1999; 30: 1478-1485. 162. Carnwath CM, Johnson DAW. Psychiatric morbidity among spouses of patients with stroke. BMJ 1987; 294: 409-411. 163. Duncan PW, Wallace D, Studenski S, Min Lai S, Johnson D. Conceptualisation of a new stroke-specific outcome measure. The stroke impact scale. Stroke Rehab 2001; 8: 19-33. 164. Stuck AE, Siu AL, Wieland GD, Adams J, Rubenstein LZ. Comprehensive geriatric assessment: a meta-analysis of controlled trials. Lancet 1993; 342: 1032-1036. 165. Wikander B, Ekelund P, Milsom I. An evaluation of multidisciplinary intervention governed by Functional Independence Measure (FIM) in incontinent stroke patients. Scand J Rehabil Med 1998; 30: 15-21. 166. Wade DT. Evidence relating to assessment in rehabilitation. Clin Rehabil 1998; 12: 183-186. 167. Reilly HM Screening for nutritional risk. Proc Nutr Soc 1996; 55: 841-853. 168. Mahoney F, Barthel DW. Functional evaluation: the Barthel Index. Md State Med J 1965; 14: 61-65. Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 169. Granger CV, Cotter AC, Hamilton BB, Fiedler RC. Functional assessment scales: a study of persons after stroke. Arch Phys Med Rehabil 1993; 74: 133-138. 170. Ottenbacher KJ, Hsu Y, Granger CV, Fiedler RC. The reliability of the functional independence measure: a quantitative review. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 1226-1232. 171. van der Putten JJ, Hobart JC, Freeman JA, Thompson AJ. Measuring change in disability after inpatient rehabilitation: comparison of the responsiveness of the Barthel index and the Functional Independence Measure. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1999; 66: 480-484. 172. Lezak MD. Neuropsychological assessment 3rd ed. Oxford 1995; Oxford University Press. 173. Folstein MF, Folstein SE, McHugh PR. Mini Mental State. A practical method for grading the cognitive state of patients for the clinician. J Psychiatric Res 1975; 12: 189198. 174. Bisiach E, Cappa DF, Vallar G. Guida all’esame neuropsicologico. Milano 1983; Raffaello Cortina. 175. Cappa SF Functional Communication profile, versione italiana. in Piccoli Quaderni di Riabilitazione 1994; 3: 49-51. 176. Zoccolotti P. Psychometric characteristics of two semi-structured scales for the functional evaluation of hemi-inattention in extrapersonal and personal space. Neuropsychol Rehabil 1992; 2: 179-191. 177. Faglioni P. Le aprassie. Manuale di Neuropsicologia. Denes GF, Pizzamiglio L Eds. Bologna 1996; Zanichelli. 178. Zung WWK. A self-rating depression scale. Arch Gen Psych 1965;12: 63-70. 179. Kennedy P, Walker L, White D. Ecological evaluation of goal planning and advocacy in a rehabilitation environment for spinal cord injured people. Paraplegia 1991; 29: 197202. 180. Stenstrom CH. Home exercise in rheumatoid arthritis functional class II: goal setting versus pain attention. J Rheumatol 1994; 21: 627-634. 181. Webb PM, Glueckauf RL The effects of direct involvement in goal setting on rehabilitation outcome for persons with traumatic brain injuries. Rehabil Psychol 1994; 39: 179-188. 182. Theodorakis Y, Beneca A, Malliou P, Goudas M Examining psychological factors during injury rehabilitation. J Sport Rehabil 1997; 6: 355-363. 183. van Vliet P, Sheridan M, Kerwin DG, Fentem P The influence of functional goals on the kinematics of reaching following stroke. Neurology Report 1995; 19: 11-16. 184. Greenwood R, Barnes MP, McMillian TM, Ward CD. Neurological Rehabilitation. Churchill Livingstone Ed. 1993; 13-27. 423 185. Shaw M. Integrated care pathway based rehabilitation for acute stroke did not reduce length of hospital stay. Evid Based Nurs 2001; 4: 53-53. [Commentary on: Sulch D, Perez I, Melbourn A, Kalra L. Randomized controlled trial of integrated (managed) care pathway for stroke rehabilitation. Stroke 2000; 31: 1929-1934.] 199. Christie D, Weigall D. Social work effectiveness in two-year stroke survivors: a randomised controlled trial. Community Health Stud 1984; 8: 26-32. 186. Gladman J, Forster A, Young J. Hospital and home-based rehabilitation after discharge from hospital for stroke patients: analysis of two trials. Age Ageing 1995; 24: 49-53. 201. Bendz R. Rules of relevance after a stroke. Soc Sci Med 2000; 51: 713-723. 187. Maheswaran R, Davis S. Experience of an open referral system for stroke rehabilitation in the community. Clin Rehabil 1998; 12: 265-271. 188. Trombly C. Clinical a practice guidelines for post-stroke rehabilitation and occupational therapy practice. Am J Occup Ther 1995; 49: 711-714. 189. Clark MS, Smith DS. Knowledge of stroke in rehabilitation and community samples. Disabil Rehabil 1998; 20: 90-96. 190. Unsworth CA, Thomas SA, Greenwood KM. Rehabilitation teams decisions on discharge housing for stroke patients. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 331-340. 191. Heruti RJ, Ohry A. The rehabilitation team. Am J Phys Med Rehabil 1995; 74: 466468. 192. Jelles F, van Bennekom CA, Lankhorst GJ. The interdisciplinary team conference in rehabilitation medicine. Am J Phys Med Rehabil 1995; 74: 464-465. 193. Feys HM, De Weerdt WJ, Selz BE, Cox Steck GA, Spichiger R, Vereeck LE, Putman KD, Van Hoydonck GA. Effect of a therapeutic intervention for the hemiplegic upper limb in the acute phase after stroke: A singleblind, randomised, controlled multicenter trial. Stroke 1998; 29: 785-792. 194. Kwakkel G, Wagenaar RC, Twisk JW, Lankhorst GJ, Koetsier JC. Intensity of leg and arm training after primary middle-cerebral-artery stroke: a randomised trial. Lancet 1999; 354: 191-196. 195. Post-stroke rehabilitation: assessment, referral and patient management. Poststroke rehabilitation guideline panel. Agency for health care policy and research. Am Fam Physician 1995; 52: 461-470. 196. Mant J, Carter J, Wade DT, Winner S. Family support for stroke: a randomised controlled trial. Lancet 2000; 356: 808-813. 197. Dennis M, O’Rourke S, Slattery J, Staniforth T, Warlow C. Evaluation of a stroke family care worker: results of a randomised controlled trial. BMJ 1997; 314: 1071-1076. 198. Mant J. Overview of the evidence for Stroke Family Care Workers. Royal College of Physicians of Edinburgh Consensus Conference on Stroke Treatment and Service Delivery. Edinburgh: Royal College of Physicians of Edinburgh; 2000. stesura 15 marzo 2005 200. Forster A, Young J. Specialist nurse support for patients with stroke in the community: a randomised controlled trial. BMJ 1996; 312: 1642-1646. 202. Kalra L, Evans A, Perez I, Melbourn A, Patel A, Knapp M, Donaldson N. Training carers of stroke patients: randomised controlled trial. BMJ 2004; 328: 1099. 203. Patel A, Knapp M, Evans A, Perez I, Kalra L. Training care givers of stroke patients: economic evaluation. BMJ 2004; 328: 1102. 204. Clark MS, Rubenach S, Winsor A. A randomized controlled trial of an education and counselling intervention for families after stroke. Clin Rehabil 2003; 17: 703-712. 205. Weltermann, B. M., J. Homann, Rogalewski A, Brach S, Voss S, Ringelstein EB. Stroke knowledge among stroke support group members. Stroke 2000; 31: 1230-1233. 206. Brosseau L, Potvin L, Philippe P, Boulanger YL. Post stroke inpatient rehabilitation. II Predicting discharge disposition. Am J Phys Med Rehabil 1996; 75: 431-436. 207. Early Supported Discharge Trialists Services for reducing duration of hospital care for acute stroke patients. (Cochrane Review). In The Cochrane Library, Issue 1, 2001. Update Software, Oxford. 208. Patterson CJ, Mulley GP. The effectiveness of predischarge home assessment visits: a systematic review. Clin Rehabil 1999; 13: 101-104. 209. Reddy MP, Reddy V. Stroke rehabilitation. Am Fam Physician 1997; 55: 1742-1748. 210. Feys H, De Weerdt W, Nuyens G, van de Winckel A, Selz B, Kiekens C. Predicting motor recovery of the upper limb after stroke rehabilitation: value of a clinical examination. Physiother Res Int 2000; 5: 1-18. 211. Pak R, Dombovy ML. Stroke. In: Good DG, Couch JR ed: Handbook of Neurorehabilitation. NewYork 1994; M Decker Inc: p. 461-491. 212. Crisostomo EA, Duncan PW, Probst M, Dawson DV, Davis JN. Evidence that amphetamine with physical therapy promotes recovery of motor function in stroke patients. Ann Neurol 1998; 23: 94-97. 213. Walker-Batson D, Smith P, Curtis S, Unwin H, Greenlee R. Amphetamine paired with physical therapy accelerates motor recovery after stroke. Further evidence. Stroke 1995; 26: 2254-2259. 214. Sivenius J, Sarasoja T, Aaltonen H, Heinonen E, Kilkku O, Reinikainen K. Selegiline treatment facilitates recovery after stroke. Neurorehabil Neural Repair 2001; 15: 183-190. 424 215. Gladstone D, Black S. Enhancing recovery after stroke with noradrenergic pharmacotherapy: a new frontier? Can J Neurol Sci 2000; 27: 97-105. 216. Goldstein LB. Common drugs may influence motor recovery after stroke. The Sygen in Acute Stroke Study Investigators. Neurology 1995; 45: 865-871. 217. Nudo RJ. Remodelling of cortical motor representations after stroke: Implications for recovery from brain damage. Mol Psychiatry 1997; 2: 188-191. 218. Grade C, Redford B, Chrostowski J, Toussaint L, Blackwell B. Methylphenidate in early post-stroke recovery: a doubleblind, placebo-controlled study. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 1047-1050. 219. Knecht S, Imai T, Kamping S, Breitenstein C, Henningsen H, Lutkenhoner B, Ringelstein EB. D-amphetamine does not improve outcome of somatosensory training. Neurology 2001; 57: 2248-2252. 220. Sonde L, Nordstrom M, Nilsson CG, Lokk J, Viitanen M. A double-blind, placebo-controlled study of the effects of amphetamine and physiotherapy after stroke. Cerebrovasc Dis 2001; 12: 253-257. 221. Walker-Batson D, Curtis S, Natarajan R, Ford J, Dronkers N, Salmeron E, Lai J, Unwin DH. A double-blind, placebo-controlled study of the use of amphetamine in the treatment of aphasia Stroke 2001; 32: 2093-2098. 222. Martinsson L, Eksborg S, Wahlgren NG. Intensive early physiotherapy combined with dexamphetamine treatment in severe stroke: a randomized, controlled pilot study. Cerebrovasc Dis 2003; 16: 338-345. 223. Martinsson L, Wahlgren NG, Hardemark HG. Amphetamines for improving recovery after stroke. Cochrane Database Syst Rev 2003; CD002090. 224. Scheidtmann, K., W. Fries, Muller F, Koenig E. Effect of levodopa in combination with physiotherapy on functional motor recovery after stroke: a prospective, randomised, double-blind study. Lancet 2001; 358: 787790. 225. Greener J, Enderby P, Whurr R. Pharmacological treatment for aphasia following stroke (Cochrane Review). Cochrane Database Syst Rev 2001; 4: CD000424. 226. Pariente J, Loubinoux I, Carel C, Albucher JF, Leger A, Manelfe C, Rascol O, Chollet F. Fluoxetine modulates motor performance and cerebral activation of patients recovering from stroke. Ann Neurol 2001; 50: 718-729. 227. Detre J.A. Imaging stroke recovery: lessons from Prozac. Ann Neurol 2001; 50: 697698. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 228. Kalra L, Evans A, Perez I, Knapp M, Donaldson N, Swift CG. Alternative strategies for stroke care: a prospective randomised controlled trial. Lancet 2000; 9; 356: 894-899. 229. Forster A, Young J. The clinical and cost effectiveness of physiotherapy in the management of elderly people following a stroke. Chartered Society of Physiotherapy, Bradford Elderly Care and Rehabilitation Research Department, UK Marzo 2002. 230. Kelson M, Ford C, Rigge M. Stroke rehabilitation: patient and carer views. A report by the College of Health for the Intercollegiate Working Party for Stroke. London 1998: Royal College of Physicians. 231. Vygotskij LS. Pensiero e linguaggio.Udine 1996; Società Editrice Universitaria. 232. Pollock AS, Durward BR, Rowe PJ, Paul JP. The effect of independent practice of motor tasks by stroke patients: a pilot randomised controlled trial. Clin Rehabil 2002; 16: 473480. 233. Pantè F. La coscienza dell’azione nell’emiplegico. Riabilitazione Cognitiva 2002; 3: 125-136. 234. Kimura K, Yasaka T, Yamaguchi T. Antihypertensive drugs in acute stage of atherothrombotic infarction deteriorate the outcome. Clin Neurol 1994; 34: 114-117. 235. Toni D, Sacchetti ML, Argentino C, Gentile M, Cavalletti C, Frontoni M, Fieschi C. Does hyperglycemia play a role on the outcome of acute ischaemic stroke patients? J Neurol 1992; 239: 382-386. 236. Staines WR, McIlroy WE, Graham SJ, and Black SE. Bilateral movement enhances ipsilesional cortical activity in acute stroke: A pilot functional MRI study. Neurology 2001; 56: 401-404. 237. Liepert J, Bauder H, Miltner WHR, Taub E, Weiller C. Treatment-induced cortical reorganization after stroke in humans. Stroke 2000; 31: 1210-1216. 238. Nudo RJ, Wise BM, SiFuentes F, Milliken GW. Neural substrates for the effects of rehabilitative training on motor recovery after ischemic infarct. Science 1996; 272: 1791-1794. 239. Cicinelli P, Filippi MM, Palmieri MG, Oliveri M, Pasqualetti P, Traversa R, Rossini PM. Motor evoked potentials in stroke patients during neurorehabilitative approaches. Ital J Neurol Sciences 1998; 19: S52. 240. Basaglia N. Progettare la riabilitazione. Il lavoro in team interprofessionale.Milano 2002; Edi. Ermes. 241. Consensus Conference La Riabilitazione della Paralisi Cerebrale Infantile: Linee Guida. SIMFER, Settembre 2000. 242. Bryant ET. Acute rehabilitation in an outcome-oriented model. In: Landrum PK, Schmidt ND, McLean A, eds. Outcomeoriented rehabilitation. Gaithersburg, Maryland 1995; Aspen: 69-93. stesura 15 marzo 2005 243. Ashburn A. Physical recovery following stroke. Physiotherapy 1997; 83: 480-490. 244. Maclean N, Pound P, Wolfe C, Rudd A. Qualitative analysis of stroke patients’ motivation for rehabilitation. BMJ 2000; 321: 1051-1054. 245. Maclean N, Pound P, Wolfe C, Rudd A. The concept of patient motivation: a qualitative analysis of stroke professionals’ attitudes. Stroke 2002; 33: 444-448. 246. Aberdin I, Venables G for the European Consensus Meeting on stroke management. Stroke management in Europe. J Intern Med 1996; 240: 173-180. 247. Citterio A, Spizzichino L. Effetto della precocità del ricovero in riabilitazione. Atti Convegno “Ictus Cerebrale e Riabilitazione: Indicatori Clinici e Recupero. Studio Italiano Multicentrico ICR2”. Parma 7-8 novembre 2002. 248. Inouye M. Predicting Models of Outcome Stratified by Age After First Stroke Rehabilitation in Japan. Am J Phys Med Rehabil 2001; 80: 586-591. 249. Wade DT. A framework for considering rehabilitation interventions. Clin Rehab 1998; 12: 363-368. 250. Linee-guida del ministero della sanità per le attività di riabilitazione. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano. G.U. no. 124, 30 maggio 1998. 251. Chen CC, Heinemann AW, Granger CV, Linn RT. Functional gains and therapy intensity during subacute rehabilitation: a study of 20 facilities. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 1514-1523. 252. Sunderland A, Tinson DJ, Bradley EL, Fletcher D, Langton Hewer R, Wade DT. Enhanced physical therapy improves recovery of arm function after stroke. A randomised controlled trial. J Neurol Neurosurg Psych 1992; 55: 530-535. 253. Langhorne P, Wagenaar R, Partridge C. Physiotherapy after stroke: more is better? Physiother Res Int 1996; 1: 75-88. 254. Kwakkel G, Wagenaar RC, Koelman TW, Lankhorst GJ, Koetsier JC. Effect of intensity of rehabilitation after stroke. A research syntesis. Stroke 1997; 28: 1550-1556. 255. Parry RH, Lincoln NB, Vass CD. Effect of severity of arm impairment on response to additional physiotherapy early after stroke. Clin Rehabil 1999; 13: 187-198. 256. Lincoln NB, Parry RH, Vass CD. Randomised, controlled trial to evaluate increased intensity of physiotherapy treatment of arm function after stroke. Stroke 1999; 30: 573-579. 257. Slade A, Tennant A, Chamberlain MA. A randomised controlled trial to determine the effect of intensity of therapy upon length of stay in a neurological rehabilitation setting. J Rehabil Med 2002; 34: 260-266. Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 258. Walker MF, Gladman JR, Lincoln NB, Siemonsma P, Whiteley T. Occupational therapy for stroke patients not admitted to hospital: a randomised controlled trial. Lancet 1999; 354: 278-280. 259. Corr S, Bayer A. Occupational therapy for stroke patients after hospital discharge; a randomised controlled trial. Clin Rehabil 1995; 9: 291-296. 260. Parker CJ, Gladman JRF, Drummond AER, Dewey ME, Lincoln NB, Barer D, Logan PA, Radford KA. A multicentre randomised controlled trial of leisure therapy and conventional occupational therapy after stroke. Clin Rehabil 2001; 15: 42-52. 261. Sterr A, Elbert T, Berthold I, Kolbel S, Rockstroh B, Taub E. Longer versus shorter daily constraint-induced movement therapy of chronic hemiparesis:an exploratory study. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 1374-1377. 262. Motin M, Keren O, Ring H. [Relationship between type and amount of treatment and functional improvement in first-stroke during in-patients rehabilitation. In Ebraico]. Harefuah 2001; 140: 1127-1132. 263. Kwakkel G, van Peppen R, Wagenaar RC, Wood DS, Richards C, Ashburn A, Miller K, Lincoln N, Partridge C, Wellwood I, Langhorne P. Effects of augmented exercise therapy time after stroke: a meta-analysis. Stroke 2004; 35: 2529-2539. 264. Feys H, De Weerdt W, Verbeke G, Steck GC, Capiau C, Kiekens C, Dejaeger E, Van Hoydonck G, Vermeersch G, Cras P. Early and repetitive stimulation of the arm can substantially improve the long-term outcome after stroke: a 5-year follow-up study of a randomized trial. Stroke 2004; 35: 924929. Epub 2004 Mar 4. 265. Sonoda S, Saitoh E, Nagai S, Kawakita M, Kanada Y. Full-time integrated treatment program, a new system for stroke rehabilitation in Japan: comparison with conventional rehabilitation. Am J Phys Med Rehabil 2004; 83: 88-93. 266. Pollack MR, Disler PB. Rehabilitation of patients after stroke. Med J Aust 2002; 177: 452-456. 267. Ferrucci L, Bandinelli S, Guralnik JM, Lamponi M, Bertini C, Falchini M, Baroni A. Recovery of functional status after stroke. A post-rehabilitation follow-up study. Stroke 1993; 24: 200-205. 268. Tesio L. Emiparesi: più riabilitazione corrisponde a più recupero … o no? Ric Riabil 1993; 1: 1-4. 269. Rossini PM, Pauri F. Neuromagnetic integrated methods tracking human brain mechanisms of sensorimotor areas ‘plastic’ reorganisation. Brain Res Brain Res Rev 2000; 33: 131-154. 270. Giaquinto S, Cobianchi A, Macera F, Nolfe G. EEG recordings in the course of recovery from stroke. Stroke 1994; 25: 2204-2209. 271. Bobath B. Emiplegia dell’adulto: valutazione e trattamento. Milano 1978; Libreria Scientifica già Ghedini. 272. Commissione Svizzera di Riabilitazione: Istruzione per la cura degli emiplegici. Berna 1982; H. Huber Publ. 273. Yamaguchi T, Minematsu K, Hasegawa Y. General care in acute stroke. Cerebrovasc Dis 1997; 7 (suppl 3): 12-17. 274. De Pedro Cuesta J, Widen-Holmqvist L, Bach-y-Rita P. Evaluation of stroke rehabilitation by randomised controlled studies: a review. Acta Neurol Scand 1992; 86: 433439. 275. van der Lee JH, Snels IA, Beckerman H, Lankhorst GJ, Wagenaar RC, Bouter LM. Exercise therapy for arm function in stroke patients: a systematic review of randomized controlled trials. Clin Rehabil 2001; 15: 20-31. 276. Sunderland A, Fletcher D, Bradley L, Tinson D, Hewer RL, Wade DT. Enhanced physical therapy for arm function after stroke: a one year follow-up study. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1994; 57: 856-858. 277. Herbert RD, Maher CG, Moseley AM, Sherrington C Effective physiotherapy. BMJ 2001; 323: 788-790. 278. Willis JK, Morello A, Davie A, Rice JC, Bennett JT. Forced use treatment of childhood hemiparesis. Pediatrics 2002, 110: 94-96. 279. Kunkel A, Kopp B, Muller G, Villringer K, Villringer A, Taub E, Flor H. Constraint-induced movement therapy for motor recovery in chronic stroke patients. Arch Phys Med Rehab 1999; 80: 624-628. 280. Dromerick AW, Edwards DF, Hahn M. Does the application of constraint-induced movement therapy during acute rehabilitation reduce arm impairment after ischemic stroke? Stroke 2000; 31: 2984-2988. 281. van der Lee JH, Wagenaar RC, Lankhorst GJ, Vogelaar TW, Deville WL, Bouter LM Forced use of the upper extremity in chronic stroke patients: results from a single blinded randomised clinical trial. Stroke 1999; 30: 2369-2375. 282. Visintin M, Barbeau H, Korner-Bitensky N, Mayo NE A new approach to retrain gait in stroke patients through body weight support and treadmill stimulation. Stroke 1998; 29: 1122-1128. 283. da Cunha IT, Lim PA, Qureshy H, Henson H, Monga T, Protas EJ. Gait outcomes after stroke rehabilitation with supported treadmill ambulation training: a randomised controlled pilot study. Arch Phys Med Rehabil 2002; 89: 1258-1265. 284. Pohl M, Mehrholz J, Ritschel C, Ruckriem S. Speed-dependent treadmill training in ambulatory hemiparetic stroke patients: a randomised controlled trial. Stroke 2002; 33: 553-558. stesura 15 marzo 2005 425 285. Moreland JD, Thomson MA, Fuoco R. EMGBFB to improve lower extremity function after stroke: a meta-analysis. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 134-140. 286. Glanz M, Klawansky S, Stason W, Berkey C, Chalmers TC. Functional electrostimulation in post-stroke rehabilitation: a meta-analysis of the randomised controlled trials. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 549-553. 287. Sonde L, Gip C, Fernaeus SE, Nilsson CG, Vitanen M. Stimulation with low frequency (1.7 Hz) transcutaneous electric nerve stimulation (low-tens) increases motor function of the post-stroke paretic arm. Scand J Rehabil Med 1998; 30: 95-99. 288. Johansson K, Lindgren I, Widner H, Wiklund I, Johansson BB. Can sensory stimulation improve the functional outcome in stroke patients? Neurology 1993; 43: 2189-2192. 289. Park J, Hopwood V, White AR, Ernst E. Effectiveness of acupuncture for stroke: a systematic review. J Neurol 2001; 248: 558-563. 290. Lum Ps, Burgar CG, Shor PC, Majmundar M, Van der Loos M. Robot-assisted movement training compared with conventional therapy techniques for the rehabilitation of upper-limb motor function after stroke. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 952-959. 291. Sharp SA, Brouwer BJ. Isokinetic strength training of the hemiparetic knee: effects on function and spasticity. Arch Phys Med Rehabil 1997; 78: 1231-1236. 292. Engardt M, Knutsson E, Jonsson M, Sternhag M. Dynamic muscle strength training in stroke patients: effects on knee extension torque, electromyographic activity, and motor function. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 419-425. 293. Weiss A, Suzuki T, Bean J and Fielding RA. High intensity strength training improves strength and functional performance after stroke. Am J Phys Med Rehabil 2000; 79: 369-376. 294. Bernstein N. The coordination and regulation of movements. Oxford 1967; Pergamon Press. 295. Nelles G, Jentzen W, Jueptner M, Muller S, Diener HC Arm training induced brain plasticity in stroke studied with serial positron emission tomography. Neuroimage 2001; 13: 1146-1154. 296. Page SJ, Levine P, Sisto S, Johnston MV A randomised efficacy and feasibility study of imagery in acute stroke. Clin Rehabil 2001; 15: 233-240. 297. Muellbacher W, Richards C, Ziemann U, Wittenberg G, Weltz D, Boroojerdi B, Cohen L, Hallett M. Improving hand function in chronic stroke. Arch Neurol 2002; 59: 1278-1282. 426 298. Merians AS, Jack D, Boian R, Tremaine M, Burdea GC, Adamovich SV, Recce M, Poizner H Virtual reality-augmented rehabilitation for patients following stroke. Phys Ther 2002; 82: 898-915. 299. Ouellette MM, LeBrasseur NK, Bean JF, Phillips E, Stein J, Frontera WR, Fielding RA. High-intensity resistance training improves muscle strength, self-reported function, and disability in long-term stroke survivors. Stroke 2004; 35: 1404-1409. Epub 2004 Apr 22. 300. Morris SL, Dodd KJ, Morris ME. Outcomes of progressive resistance strength training following stroke: a systematic review. Clin Rehabil 2004; 18: 27-39. 301. Canning CG, Ada L, Adams R, O’Dwyer NJ. Loss of strength contributes more to physical disability after stroke than loss of dexterity. Clin Rehabil 2004; 18: 300-308. 302. Eich HJ, Mach H, Werner C, Hesse S. Aerobic treadmill plus Bobath walking training improves walking in subacute stroke: a randomized controlled trial. Clin Rehabil 2004; 18: 640-651. 303. Cosentino A. L’acqua in terapia riabilitativa per patologie del sistema nervoso. Osservazioni ed indicazioni. Scienza Riabilitativa 2001; 5(3). 304. Gilbertson L, Langhorne P, Walker A, Gallen A, Murray GD Domiciliary occupational therapy for patients with stroke discharged from hospital: randomised controlled trial. BMJ 2000; 320: 603-606. 305. Dickstein R, Hocherman S, Pillar T, Shaham R. Stroke rehabilitation. Three exercise therapy approaches. Phys Ther 1986; 66: 1233-1238. 306. Langhammer B, Stanghelle JK. Bobath or motor relearning programme? A comparison of two different approaches of physiotherapy in stroke rehabilitation: a randomised controlled study. Clin Rehabil 2000; 14: 361-369. 307. Anderson R The aftermath of stroke: the experience of patients and their families. Cambridge 1992; Cambridge University Press. 308. Flaherty JH, Miller DK, Coe RM. Impact on caregivers of supporting urinary function in non-institutionalised, chronically ill seniors. Gerontologist 1992; 32: 541-545. 309. Draper BM, Poulos CJ, Cole AM, Poulos RG, Ehrlich F. A comparison of caregivers for elderly stroke and dementia victims. J Am Geriatr Soc 1992; 40: 896-901. 310. Williams A. What bothers caregivers of stroke victims? J Neurosci Nurs 1994; 26: 155-161. 311. Fredman L, Daly MP. Weight change: an indicator of caregiver stress. J Aging Health 1997; 9: 43-69. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 312. Pound P, Gompertz P, Ebrahim S. A patientcentred study of the consequences of stroke. Clin Rehabil 1998; 12: 338-347. 313. Scholte op Reimer WJ, de Haan RJ, Limburg M, van den Bos GA. Patients’ satisfaction with care after stroke: relation with characteristics of patients and care. Qual Health Care 1996; 5: 144-150. 325. Jongbloed L, Morgan D. An investigation of involvement in leisure activities after stroke. Am J Occup Ther 1991; 45: 420427. 326. Mulders AHM, de Witte LP, Diederekis JPM. Evaluation of a rehabilitation after care programme for stroke patients. J Rehabil Sci 1989; 24: 97-103. 314. Dennis M, O’Rourke S, Lewis S, Sharpe M, Warlow C. A quantitative study of the emotional outcome of people caring for stroke survivors. Stroke 1998; 29: 1867-1872. 327. Werner RA, Kessler S. Effectiveness of an intensive outpatient rehabilitation program for postacute stroke patients. Am J Phys Med Rehabil 1996; 75: 114-120. 315. Paolucci S, Grasso MG, Antonucci G, Troisi E, Morelli D, Coiro P, Bragoni M. One-year follow-up in stroke patients discharged from rehabilitation hospital. Cerebrovasc Dis 2000; 10: 25-32. 328. Green J, Forster A, Bogle S, Young J. A randomised controlled trial of physiotherapy for patients with mobility problems more than one year after stroke. Lancet 2002; 359: 199-203. 316. Paolucci S, Grasso MG, Antonucci G, Bragoni M, Troisi E, Morelli D, Coiro P, De Angelis D, Rizzi F. Mobility status after inpatient stroke rehabilitation: 1-year follow-up and prognostic factors. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 2-8. 329. Wade DT, Collen FM, Robb GF, Warlow CP. Physiotherapy intervention late after stroke and mobility. BMJ 1992; 304: 609-613. 317. Young JB, Forster A. The Bradford community stroke trial: results at six months. BMJ 1992; 304: 1085-1089. 318. Young JB, Forster A. Day hospital and home physiotherapy for stroke patients: a comparative cost-effectiveness study. J R Coll Physicians Lond 1993; 27: 252-258. 319. Duncan P, Richards L, Wallace D, StokerYates J, Pohl P, Luchies C, Ogle A, Studenski S. A randomised, controlled pilot study of a home-based exercise program for individuals with mild and moderate stroke. Stroke 1998; 29: 2055-2060. 330. Mayo NE, Wood-Dauphinee S, Coté R, Gayton D, Carlton J, Buttery J, Tamblyn R. There’s no place like home. An evaluation of early supported discharge for stroke. Stroke 2000; 31: 1016-1023. 331. Dewey HM, Thrift AG, Mihalopoulos C, Carter R, Macdonell RA, McNeil JJ, Donnan GA. Informal care for stroke survivors: results from the North East Melbourne Stroke Incidence Study (NEMESIS). Stroke 2002; 33: 1028-1033. 332. Hackett ML, Vandal AC, Anderson CS, Rubenach SE. Long-term outcome in stroke patients and caregivers following accelerated hospital discharge and home-based rehabilitation. Stroke 2002; 33: 643-645. 320. von Koch L, de Pedro-Cuesta J, Kostulas V, Almazan J, Widen Holmqvist L. Randomised controlled trial of rehabilitation at home after stroke: one-year follow-up of patient outcome, resource use and cost. Cerebrovasc Dis 2001; 12: 131-138. 333. Gunnell D, Coast J, Richards SH, Peters TJ, Pounsford JC, Darlow MA. How great a burden does early discharge to hospital-athome impose on carers? A randomised controlled trial. Age Ageing 2000; 29: 137142. 321. Gladman JR, Lincoln NB, Barer DH. A randomised controlled trial of domiciliary and hospital-based rehabilitation for stroke patients after discharge from hospital. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1993; 56: 960-966. 334. Anderson C, Rubenach S, Mhurchu CN, Clark M, Spencer C, Winsor A. Home or hospital for stroke rehabilitation? results of a randomised controlled trial: I: health outcomes at 6 months. Stroke 2000; 31: 1024-1031. 322. Roderick P, Low J, Day R, Peasgood T, Mullee MA, Turnbull JC, Villar T, Raftery J. Stroke rehabilitation after hospital discharge: a randomised trial comparing domiciliary and day-hospital care. Age Ageing 2001; 30: 303-310. 335. Claesson L, Gosman-Hedström G, Lundgren-Lindquist B, Fagerberg B, Blomstrand C. Characteristics of elderly people readmitted to the hospital during the first year after stroke. The Goteborg 70+ stroke study. Cerebrovasc Dis 2002; 14: 169-176. 323. Baskett JJ, Broad JB, Reekie G, Hocking C, Green G. Shared responsibility for ongoing rehabilitation: a new approach to homebased therapy after stroke. Clin Rehabil 1999; 13: 23-33. 324. Rudd AG, Wolfe CD, Tilling K, Beech R. Randomised controlled trial to evaluate early discharge scheme for patients with stroke. BMJ 1997; 315: 1039-1044. stesura 15 marzo 2005 336. Duncan PW, Jorgensen HS, Wade DT. Outcome measures in acute stroke trials: a systematic review and some recommendations to improve practice. Stroke 2000; 31: 1429-1438. 337. Dam M, Tonin P, Casson S, Ermani M, Pizzolato G, Iaia V, Battistin L. The effects of long-term rehabilitation therapy on poststroke hemiplegic patients. Stroke 1993; 24: 1186-1191. Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 338. Langhorne P, Legg L. Therapy for stroke patients living at home. Outpatient therapy trialists. Lancet 1999; 354: 1730-1731. 339. Teixeira-Salmela LF, Olney SJ, Nadeau S, Brouwer B. Muscle strenghtening and physical conditioning to reduce impairment and disability in chronic stroke survivors. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 12111218. 340. Bautz-Holtert E, Sveen U, Rygh J, Rodgers H, Wyller TB. Early supported discharge of patients with acute stroke: a randomised controlled trial. Disabil Rehabil 2002; 24: 348-355. 341. Brown RD, Ransom J, Hass S, Petty GW, O’Fallon WM, Whisnant JP, Leibson CL Use of Nursing Home After Stroke and Dependence on Stroke Severity. A Population-Based Analysis. Stroke 1999; 30: 924-929. 342. Gladman JR, Sackley CM. The scope for rehabilitation in severely disabled stroke patients. Disabil Rehabil 1998, 20: 391394. 343. Procicchiani D, Brianti R, Agosti M, Perdon L, Franceschini M, Gatta G, Meinecke C. Grave disabilità e outcome. Atti Convegno “Ictus Cerebrale e Riabilitazione: Indicatori Clinici e Recupero. Studio Italiano Multicentrico ICR2”. Parma 7-8 novembre 2002. 344. Jørgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Vive-Larsen J, Støier M, Olsen TS. Outcome and time course of recovery in stroke. Part II: Time course of recovery. The Copenhagen stroke study. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 406-412. 345. Alexander MP. Stroke rehabilitation outcome. A potential use of predictive variables to establish levels of care. Stroke 1994; 25: 128-134. 346. Tesio L. Riabilitazione intensiva e non: quanta o quale? Ric Riabil 1995; 2: 1-3. 347. Morosini C. La diagnosi riabilitativa. Atti 11° Convegno nazionale SIMFER, Bari 1979. 348. Cullum N, Deeks JJ, Fletcher AW, Sheldon TA, Song F. Preventing and treating pressure sores. Qual Health Care 1995; 4: 289297. 352. Addington WR, Stephens RE, Gilliland KA. Assessing the laryngeal cough reflex and the risk of developing pneumonia after stroke. An inter-hospital comparison. Stroke 1999; 30: 1203-1207. 353. Wells PS, Lensing AW, Hirsh J. Graduated compression stockings in the prevention of postoperative venous thromboembolism. A meta-analysis. Arch Intern Med 1994; 154: 67-72. 354. Desmukh M, Bisignani M, Landau P, Orchard TJ. Deep vein thrombosis in rehabilitating stroke patients. Incidence, risk factors and prophylaxis. Am J Phys Med Rehabil 1991; 70: 313-316. 355. Mant J, Carter J, Wade DT, Winner S. The impact of an information pack on patients with stroke and their carers: a randomised controlled trial. Clin Rehabil 1998; 12: 465476. 356. Voss DE, Ionta MK, Myers BJ. Proprioceptive neuromuscolar facilitation, 3rd Ed. Philadelphia 1985; JB Lippincott. 357. Bobath B. The treatment of neuromuscular disorders by improving patterns of co-ordination. Physiotherapy 1969; 55: 18-22. 358. Lennon S, Baxter D, Ashburn A. Physiotherapy based on the Bobath concept in stroke rehabilitation: a survey within the UK. Disabil Rehabil 2001; 15: 254-262. 359. Panturin E. The Bobath concept. Clin Rehabil 2001; 15: 111-113. 360. Paci M. Physiotherapy based on the Bobath concept for adults with post-stroke hemiplegia: a review of effectiveness studies. J Rehabil Med 2003; 35: 2-7. 361. Taub E. Motor behaviour following deafferentation in the developing and motorically mature monkey. In: Herman R, Grillner S, Ralston HJ, Stein PSG, Stuart D eds. Neural control of locomotion, New York 1976; Plenum: 675-705. 362. Taub E. Somatosensory deafferentation research with monkeys. Implications for rehabilitation medicine. In: Ince LP ed. Behavioural Psychology in Rehabilitation Medicine: Clinical Applications. New York 1980; Williams and Wilkins: pp. 371-401. 349. Walker AE, Robins M, Weifeld FD. Clinical findings. In: Weinfeld FD ed.: The National Survery of Stroke. Stroke 1981: 12 (Suppl 1): I13-I37. 363. Hamdy S, Rothwell JC, Aziz Q, Singh KD, Thompson DG. Long-term reorganization of human motor cortex driven by short-term sensory stimulation. Nat Neurosci 1998; 1: 64-68. 350. Przedborski S, Brunko E, Hubert M, Mavroudakis N, de Beyl DZ. The effect of acute hemiplegia on intercostal muscle activity. Neurology 1988; 38: 1882-1884. 364. Hallett M, Wassermann EM, Cohen LG, Chielowska J, Gerloff G. Cortical mechanism of recovery of function after stroke. Neurorehabil 1998; 10: 131-142. 351. Fugl-Meyer AR, Linderholm H, Wilson AF. Restrictive ventilatory dysfunction in stroke: its relation to locomotor function. Scand J Rehabil Med Suppl 1983; 9: 118-124. 365. Perfetti P. A new method of rehabilitation of the hand in hemiplegic patients. Riv Neurobiol 1971; 17. 11-20. 366. Foley NC, Teasell RW, Bhogal SK, Doherty T, Speechley MR. The efficacy of stroke rehabilitation: a qualitative review. Top Stroke Rehabil 2003; 10: 1-18. stesura 15 marzo 2005 427 367. Ernst E. A review of stroke rehabilitation and physiotherapy. Stroke 1990; 21: 10811085. 368. Pollock A, Baer G, Pomeroy V, Langhorne P. Physiotherapy treatment approaches for the recovery of postural control and lower limb function following stroke. Cochrane Database Syst Rev. 2003; CD001920. 369. Richards CL, Malouin F, Wood-Dauphinee S, Williams JI, Bouchard JP, Brunet D. Taskspecific physical therapy for optimisation of gait recovery in acute stroke patients. Arch Phys Med Rehabil 1993; 74: 612-620. 370. Schleenbaker RE, Mainous AG III. Electromyographic biofeedback for neuromuscular reeducation in the hemiplegic stroke patient: a meta-analysis. Arch Phys Med Rehabil 1993; 74: 1301-1304. 371. Glanz M, Klawansky S, Stason W, Berkey C, Shah N, Phan H, Chalmers TC. Biofeedback therapy in post-stroke rehabilitation: a meta-analysis of the randomised controlled trials. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 508-515. 372. Finch L, Barbeau H, Arsenault B. Influence of body weight support on normal human gait: development of a gait retraining strategy. Phys Ther 1991; 71: 842-855. 373. Hesse S, Malezic M, Schaffrin A, Mauritz KH. Restoration of gait by combined treadmill training and multichannel electrical stimulation in non-ambulatory hemiparetic patients. Scand J Rehabil Med 1995; 27: 199-204. 374. Hesse S, Konrad M, Uhlenbrock D. Treadmill walking with partial body weight support versus floor walking in hemiparetic subjects. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 421-427. 375. Wilson MS, Qureshy H, Protas EJ, Holmes SA, Krouskop TA, Sherwood AM VA. Equipment specifications for supported treadmill ambulation training. J Rehabil Res Dev 2000; 37: 415-422. 376. Danielsson A, Sunnerhagen KS. Oxygen consumption during treadmill walking with and without body weight support in patients with hemiparesis after stroke and in healthy subjects. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 953-957. 377. Hesse S, Werner C, Paul T, Bardeleben A, Chaler J. Influence of walking speed on lower limb muscle activity and energy consumption during treadmill walking of hemiparetic patients. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 1547-1550. 378. Werner C, Von Frankenberg S, Treig T, Konrad M, Hesse S. Treadmill training with partial body weight support and an electromechanical gait trainer for restoration of gait in subacute stroke patients: a randomised crossover study. Stroke 2002; 33: 2895-2901. 428 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 379. Moseley AM, Stark A, Cameron ID, Pollock A. Treadmill training and body weight support for walking after stroke. (Protocol). Cochrane Library; Issue 4, 2000, Oxford. 392. Liepert J, Uhde I, Graf S, Leidner O, Weiller C. Motor cortex plasticity during forced-use therapy in stroke patients: a preliminary study. J Neurol 2001; 248: 315-321. 380. Gowland C, de Bruin H, Basmajian J, Plews N, Nurcea I. Agonist and antagonist activity during voluntary upper limb movement in patients with stroke. Phys Ther 1992; 72: 624-663. 393. Moreland J, Thomson MA. Efficacy of electromyographic biofeedback compared with conventional physical therapy for upper extremity function in patients following stroke: a research overview and metaanalysis. Phys Ther 1994, 74: 534-547. 381. Lai SM, Studenski S, Duncan PW, Perera S. Persisting consequences of stroke measured by the Stroke Impact Scale. Stroke 2002; 33: 1840-1844. 394. Shallice T. Cognitive neuropsychology and rehabilitation: Is pessimism justified? Neuropsychol Rehabil 2000; 10: 209-217. 382. Carr SH, Shepherd RB, A motor relearning programme for stroke. Boston 1982; Ed. Butterworth. 395. Hagen C. Communication abilities in hemiplegia: effect of speech therapy. Arch Phys Med Rehabil 1973; 54: 454-463. 383. Basmajian JV, Gowland CA, Finlayson MA, Hall AL, Swanson LR, Stratford PW, Trotter JE, Brandstater ME. Stroke treatment: comparison of integrated behavioral-physical therapy vs traditional physical therapy programs. Arch Phys Med Rehabil 1987; 68: 267-272. 396. Basso A, Capitani E, Vignolo LA. Influence of rehabilitation on language skills in aphasic patients. A controlled study. Arch Neurol 1979; 36: 190-196. 384. Kralj A, Acimovic R, Stanic U. Enhancement of hemiplegic patient rehabilitation by means of functional electrical stimulation. Prosthet Orthot Int 1993; 17: 107-114. 385. Faghri PD, Rodgers MM, Glaser MM, Bors JG, HoC, Akuthota P. The effects of functional electrical stimulation on shoulder subluxation , arm function recovery, and shoulder pain in hemiplegic stroke patients. Arch Phys Med Rehabil 1994; 75: 73-79. 386. Chantraine A, Baribeault A, Uebelhart D, Gremion G. Shoulder pain and dysfunction in hemiplegia: effects of functional electrical stimulation. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 328-331. 387. Cauraugh J; Light K; Kim S; Thigpen M; Behrman A Chronic motor dysfunction after stroke: recovering wrist and finger extension by electromyography-triggered neuromuscular stimulation. Stroke 2000, 31: 1360-1364. 388. Whitall J, McCombe W, Silver KHC, Macko RF. Repetitive bilateral arm with rhythmic auditory cueing improves motor function in chronic hemiparetic stroke. Stroke 2000; 31: 2390-2395. 389. Taub E, Miller NE, Novack TA, Cook EW III, Fleming WC, Nepomuceno CS, Connell JS, Crago JE. Technique to improve chronic motor deficit after stroke. Arch Phys Med Rehab 1993; 74: 347-354. 390. Liepert J, Miltner WHR, Bauder H, Sommer M, Dettmers C, Taub E, Weiller C. Motor cortex plasticity during constraint-induced movement therapy in stroke patients. Neurosci Lett 1998; 250: 5-8. 391. Miltner WHR, Bauder H, Sommer M, Dettmers C, Taub E. Effects of constraintinduced movements therapy on patients with chronic motor deficits after stroke . A replication. Stroke 1999; 30: 586-592. 397. Lincoln NB, McGuirk E, Mulley GP, Lendrem W, Jones AC, Mitchell JR. Effectiveness of speech therapy for aphasic stroke patients. A randomised controlled trial. Lancet 1984; 1: 1197-1200. 398. Poeck K, Huber W, Willmes K. Outcome of intensive language treatment in aphasia. J Speech Hear Disord 1989; 54: 471-479. 399. Katz RC, Wertz RT. The efficacy of computer-provided reading treatment for chronic aphasics adults. J Speech Lang Hear Res 1997; 40: 493-507. 400. Elman RJ, Bernstein-Ellis E. The efficacy of group communication treatment in adults with chronic aphasia. J Speech Lang Hear Res 1999; 42: 411-419. 401. David R, Enderby P, Bainton D. Treatment of acquired aphasia: speech therapists and volunteers compared. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1982; 45: 957-961. 402. Wertz RT, Weiss DG, Aten JL, Brookshire RH, Garcia-Bunuel L, Holland AL, Kurtzke JF, LaPointe LL, Milianti FJ, Brannegan R. Comparison of clinic, home, and deferred language treatment for aphasia. A Veterans Administration Cooperative Study. Arch Neurol 1986; 43: 653-658. 403. Hartman J, Landau WM. Comparison of formal language therapy with supportive counseling for aphasia due to acute vascular accident. Arch Neurol 1987, 44: 646649. 404. Leal MG, Farrajota L, Fonseca J, Guerriero M, Castro-Caldas A. The influence of speech therapy on the evolution of stroke aphasia [Abstract]. J Clin Exp neuropsychol 1993; 15: 399. 405. Di Carlo L. Language recovery in Aphasia: Effect of systematic filmed programed instruction. Arch Phys Med Rehab 1980; 61: 41-44. 406. Wertz RT, Collins MJ, Weiss D, Kurtzke JF, Friden T, Brookshire RH, Pierce J, Holtzapple P, Hubbard DJ, Porch BE, West JA, Davis L, Matovitch V, Morley GK, Resurreccion E. Veterans Administration cooperative study on aphasia: a comparison of individual and group treatment. J Speech Hear Res 1981; 24: 580-594. 407. Kinsey C. Microcomputer speech therapy for dysphasic adults: a comparison with two conventionally administered tasks. Br J Disord Commun 1986; 21: 125-133. 408. Prins RS, Schoonen R, Vermeulen J. Efficacy of two different types of speech therapy for aphasic stroke patients. Appl Psychol 1989, 10: 85-123. 409. Jacobs BJ, Thompson CK. Cross-modal generalization effects of training noncanonical sentence comprehension and production in agrammatic aphasia. J Speech Lang Hear Res 2000; 43: 5-20. 410. Carlomagno S, Pandolfi M, Labruna L, Colombo A, Razzano C. Recovery from moderate aphasia in the first year poststroke: effect of type of therapy. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 1073-1080. 411. Smith DS, Goldenberg E, Ashburn A, Kinsella G, Sheikh K, Brennan PJ, Meade TW, Zutshi DW, Perry JD, Reeback JS. Remedial therapy after stroke: A randomised controlled trial. BMJ 1981; 282: 517520. 412. Pulvermuller F, Neininger B, Elbert T, Mohr B, Rockstroh B, Koebbel P, Taub E. Constraint-induced therapy of chronic aphasia after stroke. Stroke 2001; 32: 1621-1626. 413. Basso A., Marangolo P. Cognitive neuropsychological rehabilitation: The emperor’s new clothes? Neuropsychol Rehabil 2000; 10: 219-229. 414. Basso A., Caporali A. Aphasia Therapy or The importance of being earnest. Aphasiology 2001; 15: 307-333. 415. Best W., Nickels L. From theory to therapy in aphasia: Where are we now and where to next? Neuropsychol Rehabil 2000; 10: 231-247. 416. Cappa S. Neuroimaging of recovery from aphasia. Neuropsychol Rehabil 2000; 10: 365-376. 417. Carlomagno S., Blasi V., Labruna L., Santoro A. The role of communication models in assessment and therapy of language disorders in aphasic adults. Neuropsychol Rehabil 2000; 10: 337-363. 418. Irwin WH, Wertz RT, Avent JR. Relationships among language impairment, functional communication, and pragmatic performance in aphasia. Aphasiology 2002; 16: 823836. 419. Seron X. Effectiveness and specificity in neuropsychological therapies: a cognitive point of view. Aphasiology 1997; 11: 105123. stesura 15 marzo 2005 Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 420. Denes G, Perazzolo C, Piani A, Piccione F. Intensive versus regular speech therapy in global aplasia: a controlled study. Aphasiology 1996; 10: 385-394. 421. Robey RR. A meta-analysis of clinical outcomes in the treatment of aphasia. J Speech Lang Hear Res 1998; 41: 172-187. 422. Bhogal SK, Teasell R, Speechley M. Intensity of aphasia therapy, impact on recovery. Stroke 2003; 34: 987-993. 423. Bhogal SK, Teasell RW, Foley NC, Speechley MR. Rehabilitation of aphasia: more is better. Top Stroke Rehabil 2003; 10: 66-76. 436. Prigatano GP. Principles of neurological rehabilitation. Oxford 1995; Oxford University Press. 437. McKinney M, Blake H, Treece KA, Lincoln NB, Playford ED, Gladman JR. Evaluation of cognitive assessment in stroke rehabilitation. Clin Rehabil 2002; 16: 129-136. 438. Pandyan AD, Granat MH, Stott DJ. Effects of electrical stimulation on flexion contractures in the hemiplegic wrist. Clin Rehabil 1997; 11: 123-130. 424. De Partz MP. Reeducation of a deep dyslexic patient: rationale of the method and results. Cognitive Neuropsychol 1986; 3: 149-177. 439. Mudie MH, Winzeler-Mercay U, Radwan S, Lee L. Training symmetry of weight distribution after stroke: a randomised controlled pilot study comparing task-related reach, Bobath and feedback training approaches. Clin Rehabil 2002; 16: 582-592. 425. Arguin M, Bub DN. Pure alexia: attempted rehabilitation and its implications for interpretation of the deficit. Brain Lang 1994; 47: 233-268. 440. Chae J, Yu D. A critical review of neuromuscular electrical stimulation for treatment of motor dysfunction in hemiplegia. Assist Technol 2000; 12: 33-49. 426. Cappa SF, Benke T, Clarke S, Rossi B, Stemmer B, van Heugten CM. European Federation of Neurological Societies. EFNS guidelines on cognitive rehabilitation: report of an EFNS task force. Eur J Neurol 2003; 10: 11-23. 441. Pomeroy VM, Pollock A. Electrostimulation for promoting recovery of movement or functional ability after stroke (Protocol for a Cochrane Review). In: The Cochrane Library, Oxford 2002: Issue 4. 427. Carlomagno S. La terapia dei disturbi della comunicazione nel cerebroleso adulto. In: Mazzucchi A ed. La riabilitazione neuropsicologica. Milano 1999; Masson: 103-122. 428. Peach R.K. Treatment for phonological dyslexia targeting regularity effects. Aphasiology 2002; 16: 779-790. 429. Mayer JF, Murray LL. Approaches to the treatment of alexia in chronic aphasia. Aphasiology 2002; 16: 727-743. 430. Yampolsky S, Waters G. Treatment of single word oral reading in an individual with deep dyslexia Aphasiology 2002; 16: 455471. 431. Cassidy TP, Lewis S, Gray CS. Recovery from visuospatial neglect in stroke patients. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1998; 64: 555-557. 432. Stone SP, Patel P, Greenwood RJ, Halligan PW. Measuring visual neglect in acute stroke and predicting its recovery: the visual neglect recovery index. J Neurol Neurosurg Psychiat 1992; 55: 431-436. 433. Donkervoort M, Dekker J, Stehmann-Saris J, Deelman BG. Efficacy of strategy training in left-hemisphere stroke patients with apraxia: a randomised clinical trial. Neuropsychol Rehabil 2001; 11: 549-566. 434. Lincoln NB, Majid MJ, Weyman N. Cognitive rehabilitation for attention deficits following stroke (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 4, 2000. CD002842. 435. Majid MJ, Lincoln NB, Weyman N. Cognitive rehabilitation for memory deficits following stroke (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 1, 2001. CD002293. 442. Sonde L, Kalimo H, Fernaeus SE, Viitanen M. Low TENS treatment on post-stroke paretic arm: a three year follow-up. Clin Rehabil 2000; 14: 14-19. 443. Chae J, Yu D, Walker M. Percutaneous, intramuscular neuromuscular electrical stimulation for the treatment of shoulder subluxation and pain in chronic hemiplegia: a case report. Am J Phy Med Rehabil 2001; 80: 296-301. 444. Price CI, Pandyan AD. Electrical stimulation for preventing and treating post-stroke shoulder pain: a systematic Cochrane review. Clin Rehabil 2001; 15: 5-19. 445. Magnusson M, Johansson K, Johansson BB. Sensory stimulation promotes normalization of postural control after stroke. Stroke 1994; 25: 1176-1180. 446. Sallstrom S, Kjendahl A, Osten PE, Stanghelle JK, Borchgrevink CF. Acupuncture therapy in stroke during the subacute phase. A randomised controlled trial. Complement Ther Med 1996; 4: 193197. 447. Kjendahl A, Sallstrom S, Osten PE, Stanghelle JK, Borchgrevink CF. A one year follow-up study on the effects of acupuncture in the treatment of stroke patients in the subacute stage: a randomised, controlled study. Clin Rehabil 1997; 11: 192-200. 448. Gosman-Hedstrom G, Claesson L, Klingenstierna U, Carlsson J, Olausson B, Frizell M, Fagerberg B, Blomstrand C. Effects of acupuncture treatment on daily life activities and quality of life: a controlled, prospective, and randomised study of acute stroke patients. Stroke 1998; 29: 2100-2108. stesura 15 marzo 2005 429 449. Johansson BB, Haker E, von Arbin M, Britton M, Langstrom G, Terent A, Ursing D, Asplund K for the Swedish Collaboration on Sensory Stimulation after stroke. Acupuncture and transcutaneous nerve stimulation in stroke rehabilitation. A randomised controlled trial. Stroke 2001; 32: 707-713. 450. Van Ouwenaller C, Laplace PM, Chantraine A. Painful shoulder in hemiplegia. Arch Phys Med Rehabil 1986; 67: 23-26. 451. Zorowitz RD, Hughes MB, Idank D, Ikai T, Johnston MV. Shoulder pain and subluxation after stroke: correlation or coincidence? Am J Occup Ther 1996; 50: 194-201. 452. Zorowitz RD, Idnak D, Ikai T, Hughes MB, Johnston MV. Shoulder subluxationa after stroke: comparison of four supports. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 763-771. 453. Gordon C, Langton-Hewer R, Wade D. Dysphagia in acute stroke. BMJ 1987: 295: 411-414. 454. Teasell RW, Bach D, McRrae M. Prevalence and recovery of aspiration post-stroke. A retrospective analysis. Dysphagia 1994; 9: 35-59. 455. FOOD Trial Collaboration. Poor nutritional status on admission predicts poor outcomes after stroke: observational data from the FOOD trial. Stroke 2003; 34: 14501456. 456. Bath PMW, Bath FJ, Smithard DG. Intervention for dysphagia in acute stroke (Cochrane Review). In: The Cochrane Library, Issue 2, 2002. Oxford: Update Software. 457. Norton B, Homer-Ward M, Donnelly MT, et al, A randomised prospective comparison of percutaneous endoscopic gastrostomy and nasogastric tube feeding after acute dysphagic stroke. BMJ 1996; 312: 13-16. 458. Zeeh J. Nasogastric tubes in patients with dysphagia. Lancet 2002 ;359(9300) :80 459. Buchholz AC. Weaning patients with dysphagia from tube feeding to oral nutrition: a proposed algorithm. Can J Diet Pract Res 1998; 59: 208-214. 460. Hamdy S, Rothwell JC, Aziz Q, Thomson DG. Organization and reorganization of human swallowing motor cortex: implications for recovery after stroke. Clin Sci 2000; 98: 151-157. 461. Wilkinson TJ, Thomas K, MacGregor S, Tillard G, Wyles C, Sainsbury R. Tolerance of early diet textures as indicators of recovery from dysphagia after stroke. Dysphagia 2002; 17: 227-232. 462. Splaingard ML, Hutchins B, Sulton LD, Chauduri G. Aspiration in rehabilitation patients: videofluoroscopy vs bedside clinical assessment. Arch Phys Med Rehabil 1988; 69: 637-640. 430 463. DePippo KL, Holas MA, Reding MJ Validation of the 3-oz water swallow test for aspiration following stroke. Arch Neurol 1992; 49: 1259-1261. 464. Kidd D, Lawson J, Nesbit R, MacMahon J Aspiration in acute stroke: a clinical study with videofluoroscopy. Quart J Med 1993; 86: 825-829. 465. Horner J, Brazer SR, Massey EW Aspiration in bilateral stroke patients: a validation study. Arch Neurol 1993; 43: 430-433. 466. Daniels SK, Brailey K, Priestly DH, Herrington LR, Weisberg LA, Foundas AL. Aspiration in patients with acute stroke. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 14-19. 467. Mari F, Matei M, Ceravolo MG, Pisani A, Montesi A, Provinciali L. Predictive value of clinical indices in detecting aspiration in patients with neurological disorders. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1997; 63: 456-460. 468. Teasell RW, McRae M, Marchuk Y, Finestone HM Pneumonia associated with aspiration following stroke. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 707-709. 469. Logemann JA. Factors affecting ability to resume oral nutrition in the oropharyngeal dysphagic individual. Dysphagia 1990; 4: 202-208. 470. Finestone HM, Foley NC, Woodbury MG, Green-Finestone L. Quantifying fluid intake in dysphagic stroke patients: a preliminary comparison of oral and nonoral strategies. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 17441746. 471. Garon BR, Engle M, Ormiston C. A randomised control study to determine the effects of unlimited oral intake of water in patients with identified aspiration. J Neurol Rehabil 1997; 11: 139-148. 472. Perez I, Smithard DG, Davies H, Kalra L. Pharmacological treatment of dysphagia in stroke. Dysphagia 1998;13: 12-16. 473. Logemann JA. Approaches to management f disordered swallowing. Baillieres Clin Gastroenterol 1991; 5: 269-280. 474. Logemann JA, Kahrilas PJ, Kobara M, Vakil NB. The benefit of head rotation on pharingoesophageal dysphagia. Arch Phys Med Rehabil 1989; 70: 767-771. 475. Van der Graay A. Communicating Quality: professional standards for speech and language therapists. 2nd ed. London 1997; Royal College of Speech and Language Therapists. 476. Lazarus CL, Logemann JA, Rademaker AW, Kahrilas PJ, Pajak T, Lazar R, et al. Effects of bolus volume, viscosity and repeated swallows in non stroke subjects and stroke patients. Arch Phys Med Rehabil 1993; 74: 1066-1070. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 477. Kahrilas PJ, Logemann JA, Krugler C, Flanagan E. Volitional augmentation of upper oesophageal sphincter opening during swallow. Am J Physiol 1991; 260: G450-G456. 491. Kakurai S, Akai M. Clinical experiences with a convertible thermoplastic knee-ankle-foot orthosis for post-stroke hemiplegic patients. Prosthet Orthot Int 1996; 20: 191194. 478. Martin BJ, Logemann JA, Shaker R, Dodds WJ. Normal laryngeal valving patterns during three breat;h-hold manoeuvres: a pilot investigation. Dysphagia 1993; 8: 1120. 492. Chen CL, Yeung KT, Wang CH, Chu HT, Yeh CY. Anterior ankle-foot orthosis effects on postural stability in hemiplegic patients. Arch Phys Med Rehabil 1999; 80: 15871592. 479. DePippo KL, Holas MA, Reding MJ, Mandel FS, Lesser ML. Dysphagia therapy following stroke: a controlled trial. Neurology 1994; 44: 1655-1660. 493. Grissom SP, Blanton S. Treatment of upper motoneuron plantarflexion contractures by using an adjustable ankle-foot orthosis. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 270-273. 480. Odderson IR, Keaton JC, McKenna BS Swallow management in patients on an acute stroke pathway: quality is cost effective. Arch Phys Med Rehabil 1995; 76: 1130-1133. 494. Hendricks HT, IJzerman MJ, de Kroon JR, in ‘t Groen FA, Zilvold G. Functional electrical stimulation by means of the ‘Ness Handmaster Orthosis’ in chronic stroke patients: an exploratory study. Clin Rehabil 2001; 15: 217-220. 481. Gross JC. A comparison of the characteristics of incontinent and continent stroke patients in a rehabilitation program. Rehabil Nurs 1998; 23: 132-140. 482. Gelber DA, Good DC, Laven LJ, Verhulst SJ. Causes of urinary incontinence after acute hemispheric stroke. Stroke 1993; 24: 378382. 483. Sakakibara R, Hattori T, Yasuda K, Yamanishi T. Micturitional disturbance after acute hemispheric stroke: analysis of the lesion site by CT and MRI. J Neurol Sci 1996; 137: 47-56. 484. Agency for Health Care Policy and Research. Urinary incontinence in adults: acute and chronic management. Rockville, MD. N. 2, March 1996. 485. University of Iowa Gerontological Nursing Interventions Research Center. Prompted voiding for persons with urinary incontinence. Iowa City 1999; Research Dissemination Core, 4118 Westlawn. 486. Trombly CA, Ma HI. A synthesis of the effects of occupational therapy for persons with stroke, Part I: Restoration of roles, tasks, and activities. Am J Occup Ther 2002; 56: 250-259. 487. Steultjens EMJ, Dekker J, Bouter LM, van de Nes JCM, Cup EHC, van den Ende CHM. Occupational therapy for stroke patients: a systematic review. Stroke 2003; 34: 676687. 488. Landi F, Bernabei R. Occupational therapy for stroke patients: when, where, and how? Stroke 2003; 34: 676-687. 489. Ma HI, Trombly CA. A synthesis of the effects of occupational therapy for persons with stroke, Part II: Remediation of impairments. Am J Occup Ther 2002; 56: 260274. 490. Beckerman H, Becher J, Lankhorst GJ, Verbeek AL. Walking ability of stroke patients: efficacy of tibial nerve blocking and a polypropylene ankle-foot orthosis. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 11441151. stesura 15 marzo 2005 495. Teasell RW, McRae MP, Foley N, Bhardwaj A. Physical and functional correlations of ankle-foot orthosis use in the rehabilitation of stroke patients. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 1047-1049. 496. DPR 3 maggio 2001. Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003. Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale 6 agosto 2001, n. 181. 497. Evans RL, Matlock AL, Bishop DS, Stranahan S, Pederson C. Family intervention after stroke: does counseling or education help? Stroke 1988; 19: 1243-1249. 498. Mace RL Modificazioni della casa. In: FryePierson J, Toole JF eds. Stroke. A guide for patient and family. New York 1987; Raven Press Books. Edizione italiana: Roma 1988; Micarelli Ed. 499. Menarini M. 200 Risposte alla Mielolesione. In: Blue book. Bologna 1998; Ed. Alfa Wassermann. 500. Greveson G, James O. Improving long-term outcome after stroke-the views of patients and carers. Health Trends 1991-92; 23: 161-162. 501. Montagnana B, Meneghetti S, Tosoni R, Righetti C, Zanotto R, Callino N, Smania N. I criteri predittivi del recupero funzionale e della sopravvivenza nello stroke. Riabilitazione Oggi 1998; 2: 30-39. 502. Glass TA, Matchar DB, Belyea M, Feussner JR. Impact of social support on outcome in first stroke. Stroke 1993; 24: 64-70. 503. Rubenstein LZ, Josephson KR, Wieland GD, English PA, Sayre JA, Kane RL. Effectiveness of a geriatric evaluation unit: A randomised clinical trial. N Engl J Med 1984; 311: 1664-1670. 504. Bernabei R, Landi F, Gambassi G, Sgadari A, Zuccalà G, Mor V, Rubenstein LZ, Carbonin P. Randomised trial of impact of model of integrated care and case management for older people living in the community. BMJ 1998; 316: 1348-1351. Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 505. Ferrucci L, Di Iorio A, Salani B, Baroni A, Abate G. Efficacia dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) in soggetti anziani: risultati di un trial controllato. Giorn Geront 1996; 44: 779-787. 506. Kotila M. Numminen H, Waltimo O, Kaste M. Depression after stroke: results of the FINNSTROKE Study. Stroke 1998; 29: 368372. 507. Fillit HM, Hill J, Picariello G, Warburton S. How the principles of geriatric assessment are shaping managed care. Geriatrics 1998; 53: 76-78, 81-82, 88-89. 508. Nikolaus T, Spetch-Leible N, Bach M, Wittmann-Jennewein C, Oster P, Schlierf G. Effectiveness of hospital-based geriatric evaluation and management and home intervention team (GEM-HIT). Rationale and design of a 5-year randomised trial. Z Gerontol Geriatr 1995; 28: 47-53. 509. Nadolsky J An experimental trend in assessment. In: Smith C, Fry R eds. National forum on issues in vocational assessment: the issue papers. Menomonie (WI) 1985; University of Wisconsin-Stout, Stout Vocational Rehabilitation Institute, Materials Development Center. 510. Sommerfeld DK, Eek EU, Svensson AK, Holmqvist LW, von Arbin MH. Spasticity after stroke: its occurrence and association with motor impairments and activity limitations. Stroke 2004; 35: 134-139. 511. Medici M, Pebet M, Ciblis D. A double-blind, long-term study of tizanidine (‘Sirdalud’) in spasticity due to cerebrovascular lesions. Curr Med Res Opin 1989; 11: 398-407. 512. Gelber DA, Good DC, Dromerick A, Sergay S, Richardson M. Open-label dose-titration safety and efficacy study of tizanidine hydrochloride in the treatment of spasticity associated with chronic stroke. Stroke 2001; 32: 1841-1846. 513. Richardson D, Sheean G, Werring D, Desai M, Edwards S, Greenwood R, Thompson A. Evaluating the role of botulinum toxin in the management of focal hypertonia in adults. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2000; 69: 499-506. 514. Reiter F, Danni M, Lagalla G, Ceravolo G, Provinciali L. Low-dose botulinum toxin with ankle taping for the treatment of spastic equinovarus foot after stroke. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 532-535. 515. Bhakta BB, Cozens JA, Chamberlain MA, Bamford JM. Impact of botulinum toxin type A on disability and carer burden due to arm spasticity after stroke: a randomised double blind placebo controlled trial. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2000; 69: 217-221. 516. Brashear A, Gordon MF, Elovic E, Kassicieh VD, Marciniak C, Do M, Lee CH, Jenkins S, Turkel C. Intramuscular injection of botulinum toxin for the treatment of wrist and finger spasticity after a stroke. N Engl J Med 2002; 347: 395-400. 517. Hesse S, Reiter F, Konrad M, Jahnke MT. Botulinum toxin type A and short-term electrical stimulation in the treatment of upper limb flexor spasticity after stroke: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Clin Rehabil 1998; 12: 381-388. 518. Lagalla G, Danni M, Reiter F, Ceravolo MG, Provinciali L. Post-stroke spasticity management with repeated botulinum toxin injections in the upper limb. Am J Phys Med Rehabil 2000; 79: 377-384. 519. Daly JJ, Ruff RL, Osman S, Hull JJ. Response of prolonged flaccid paralysis to FNS rehabilitation techniques. Disabil Rehabil 2000; 22: 565-573. 520. Jorgensen L, Engstad T, Jacobsen BK. Higher incidence of falls in long-term stroke survivors than in population controls: depressive symptoms predict falls after stroke. Stroke 2002; 33: 542-547. 521. Yates JS, Lai SM, Duncan PW, Studenski S. Falls in community-dwelling stroke survivors: an accumulated impairments model. J Rehabil Res Dev 2002; 39: 385-394. 522. Teasell R, McRae M, Foley N, Bhardwaj A. The incidence and consequences of falls in stroke patients during inpatient rehabilitation: factors associated with high risk. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 329-333. 431 529. Snels IA, Dekker JH, van der Lee JH, Lankhorst GJ, Beckerman H, Bouter LM. Treating patients with hemiplegic shoulder pain. Am J Phys Med Rehabil 2002; 81: 150-160. 530. Turner-Stokes L, Jackson D. Shoulder pain after stroke: a review of the evidence base to inform the development of an integrated care pathway. Clin Rehabil 2002; 16: 276298. 531. Green S, Buchbinder R, Hetrick S. Physiotherapy interventions for shoulder pain. Cochrane Database Syst Rev. 2003; CD004258. 532. Andersen G, Vestergaard K, IngemanNielsen M, Jensen TS. Incidence of central post-stroke pain. Pain 1995; 61: 187-193. 533. Meschia JF, Bruno A. Post-stroke complications. Epidemiology and prospects for pharmacological intervention during rehabilitation. CNS drugs 1998; 9: 357-370. 534. Widar M, Ahlstrom G. Disability after a stroke and the influence of long-term pain on everyday life. Scand J Caring Sci 2002; 16: 302-310. 535. Backonja MM. Use of anticonvulsants for treatment of neuropathic pain. Neurology 2002; 59: S14-S17. 523. Tutuarima JA, van der Meulen JH, de Haan RJ, van Straten A, Limburg M. Risk factors for falls of hospitalised stroke patients. Stroke 1997; 28: 297-301. 536. Chae J, Johnston M, Kim H, Zorowitz R. Admission motor impairment as a predictor of physical disability after stroke rehabilitation. Am J Phys Med Rehabil 1995; 74: 218-223. 524. Galski T, Bruno RL, Zorowitz R, Walker J. Predicting length of stay, functional outcome, and aftercare in the rehabilitation of stroke patients. The dominant role of higher-order cognition. Stroke 1993; 24: 1794-1800. 537. Shelton FD, Volpe BT, Reding M. Motor impairment as a predictor of functional recovery and guide to rehabilitation treatment after stroke. Neurorehabil Neural Repair 2001; 15: 229-237. 525. Tatemichi TK, Desmond DW, Stern Y, Paik M, Sano M, Bagiella E. Cognitive impairment after stroke: frequency, patterns, and relationship to functional abilities. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1994; 57: 202-207. 526. Pedersen PM, Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Impaired orientation in acute stroke: frequency, determinants, and time- course of recovery. The Copenhagen Stroke Study. Cerebrovasc Dis 1998; 8: 90-96. 527. Pedersen PM, Jorgensen HS, Nakayama H, Raaschou HO, Olsen TS. Orientation in the acute and chronic stroke patient: impact on ADL and social activities. The Copenhagen Stroke Study. Arch Phys Med Rehabil 1996; 77: 336-339. 528. Heruti RJ, Lusky A, Dankner R, Ring H, Dolgopiat M, Barell V, Levenkrohn S, Adunsky A. Rehabilitation outcome of elderly patients after a first stroke: effect of cognitive status at admission on the functional outcome. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 742-749. stesura 15 marzo 2005 538. Hendricks HT, Van Limbeek J, Geurts AC, Zwarts MJ. Motor recovery after stroke: A systematic review of the literature. Arch Phys Med Rehabil 2002; 83: 1629-1637. 539. Westergren A, Karlsson S, Andersson P, Ohlsson O, Hallberg IR. Eating difficulties, need for assisted eating, nutritional status and pressure ulcers in patients admitted for stroke rehabilitation. J Clin Nurs 2001; 10: 257-269. 540. Iranzo A, Santamaria J, Berenguer J, Sanchez M, Chamorro A. Prevalence and clinical importance of sleep apnea in the first night after cerebral infarction. Neurology 2002; 58: 911-916. 541. Disler P, Hansford A, Skelton J, Wright P, Kerr J, O’Reilly J, Hepworth J, Middleton S, Sullivan C. Diagnosis and treatment of obstructive sleep apnea in a stroke rehabilitation unit: a feasibility study. Am J Phys Med Rehabil 2002; 81: 622-625. 542. Sandberg O, Franklin KA, Bucht G, Gustafson Y. Sleep apnea, delirium, depressed mood, cognition, and ADL ability after stroke. J Am Geriatr Soc 2001; 49: 391397. 432 SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 543. Korten A, Lodder J, Vreeling F, Boreas A, van Raak L, Kessels F. Stroke and idiopathic Parkinson’s disease: does a shortage of dopamine offer protection against stroke? Mov Disord 2001; 16: 119-123. 555. Indredavik B, Fjaertoft H, Ekeberg G, Loge AD, Morch B. Benefit of an extended stroke unit service with early supported discharge: A randomized, controlled trial. Stroke 2000; 31: 2989-2994. 544. Mastaglia FL, Johnsen RD, Kakulas BA. Prevalence of stroke in Parkinson’s disease: a postmortem study. Mov Disord 2002; 17: 772-774. 556. Hermans E, Anten HW, Diederiks JP, Philipsen H. Use of care by home-dwelling stroke patients during three years following hospital discharge. Scand J Caring Sci 1998; 12: 186-190. 545. Gladman J, Whynes D, Lincoln N. Cost comparison of domiciliary and hospitalbased stroke rehabilitation. DOMINO Study Group. Age Ageing 1994; 23: 241-245. 546. Eilertsen TB, Kramer AM, Schlenker RE, Hrincevich CA. Application of functional independence measure-function related groups and resource utilization groups-version III systems across post acute settings. Med Care 1998; 36: 695-705. 547. Paolucci S, Traballesi M, Emberti Gialloreti L, Pratesi L, Lubich S, Salvia A, Grasso MG, Morelli D, Pulcini M, Troisi E, Coiro P, Caltagirone C. Post-stroke rehabilitation: an economic or medical priority? Current issues and prospects in light of new legislative regulations. Ital J Neurol Sci 1998; 19: 25-31 548. Stineman MG, Fiedler RC, Granger CV, Maislin G. Functional task benchmarks for stroke rehabilitation. Arch Phys Med Rehabil 1998; 79: 497-504. 549. Han L, Law-Gibson D, Reding M. Key neurological impairments influence functionrelated group outcomes after stroke. Stroke 2002; 33: 1920-1924. 550. Ozdemir F, Birtane M, Tabatabaei R, Kokino S, Ekuklu G. Comparing stroke rehabilitation outcomes between acute inpatient and non-intense home settings. Arch Phys Med Rehabil 2001; 82: 1375-1379. 551. Ytterberg C, Anderson Malm S, Britton M. How do stroke patients fare when discharged straight to their homes? A controlled study on the significance of hospital followup after one month. Scand J Rehabil Med 2000; 32: 93-96. 552. Kalra L, Eade J. Role of stroke rehabilitation units in managing severe disability after stroke. Stroke 1995; 26: 2031-2034. 553. Adams HP Jr., Davis PH, Leira EC, Chang KC, Bendixen BH, Clarke WR, Woolson RF, Hansen MD. Baseline NIH Stroke Scale score strongly predicts outcome after stroke: A report of the Trial of Org 10172 in Acute Stroke Treatment (TOAST). Neurology 1999; 53: 126-131. 554. von Koch L, Widen Holmqvist L, Kostulas V, Almazan J, de Pedro-Cuesta J. A randomised controlled trial of rehabilitation at home after stroke in Southwest Stockholm: outcome at six months. Scand J Rehabil Med 2000; 32: 80-86. 557. Langhorne P, Taylor G, Murray G, Dennis M, Anderson C, Bautz-Holter E, Dey P, Indredavik B, Mayo N, Power M, Rodgers H, Ronning OM, Rudd A, Suwanwela N, WidenHolmqvist L, Wolfe C. Early supported discharge services for stroke patients: a meta-analysis of individual patients’ data. Lancet. 2005; 365: 501-506. 558. Thorsen AM, Holmqvist LW, de PedroCuesta J, von Koch L. A randomized controlled trial of early supported discharge and continued rehabilitation at home after stroke: five-year follow-up of patient outcome. Stroke 2005; 36: 297-303. Epub 2004 Dec 23. 559. Ottenbacher KJ, Smith PM, Illig SB, Linn RT, Ostir GV, Granger CV. Trends in length of stay, living setting, functional outcome, and mortality following medical rehabilitation. JAMA 2004; 292: 1687-1695. 560. Legg L, Langhorne P. Rehabilitation therapy services for stroke patients living at home: systematic review of randomised trials. Lancet 2004; 363: 352-356. 561. Schemm R, Gitlin L. How occupational therapists teach older patients to use bathing and dressing devices in rehabilitation. Am J Occup Ther 1998; 52: 276-282. 562. Celani MG, Zampolini M, Giaimo MD. La riabilitazione del paziente con ictus: prove di efficacia e percorsi. In: Atti Conferenza Nazionale sulle Stroke Unit Vol. 1. Milano 2001; pag. 28-41. 563. Mayo NE, Wood-Dauphinee S, Ahmed S, Gordon C, Higgins J, McEwen S, Salbach N. Disablement following stroke. Disabil Rehabil 1999; 21: 258-268. 564. Burman ME. Family caregiver expectations and management of the stroke trajectory. Rehabil Nurs 2001; 26: 94-99. 568. Burridge JH, Taylor PN, Hagan SA, Wood DE, Swain ID. The effects of common peroneal stimulation on the effort and speed of walking: a randomised controlled trial with chronic hemiplegic patients. Clin Rehabil 1997; 11: 201-210. 569. Bourbonnais D, Bilodeau S, Lepage Y, Beaudoin N, Gravel D, Forget R. Effect of force-feedback treatments in patients with chronic motor deficits after a stroke. Am J Phys Med Rehabil 2002; 81: 890-897. 570. Lorig KR, Sobel DS, Stewart AL, Brown BW Jr, Bandura A, Ritter P, Gonzalez VM, Laurent DD, Holman HR. Evidence suggesting that a chronic disease self-management program can improve health status while reducing hospitalization: a randomized trial. Med Care 1999; 37: 5-14. 571. Lorig KR, Ritter P, Stewart AL, Sobel DS, Brown BW Jr, Bandura A, Gonzalez VM, Laurent DD, Holman HR. Chronic disease self-management program: 2-year health status and health care utilization outcomes. Med Care 2001; 39: 1217-1223. 572. Guidelines Subcommittee. 1999 World Health Organization-International Society of Hypertension Guidelines for the Management of Hypertension. J Hypertens 1999; 17: 151-183. 573. Zaninelli A, Filippi A, Cricelli C, Brignoli O, Monti GC. Le applicazioni delle linee guida nella pratica clinica. Il progetto SILVIA. Ipertensione Oggi 2000; 1: 13-19. 574. Filippi A, Bignamini AA, Sessa E, Samani F, Mazzaglia G. Secondary prevention of stroke in Italy: a cross-sectional survey in family practice. Stroke 2003; 34: 10101014. 575. AA.VV. Progetto per l’Organizzazione dell’assistenza al diabete dell’adulto. A cura delle Società Scientifiche: Associazione Medici Diabetologici (AMD), Società Italiana di Diabetologia (SID), Società Italiana di Medicina Generale (SIMG), Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), Società Italiana di Farmacologia (SIF), Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG). Milano 1998; Pubblicazioni Health. 576. Senin U. Paziente anziano e paziente geriatrico. Napoli 2003: EdiSES. 565. Cardol M, de Jong BA, van den Bos GA, Beelem A, de Groot IJ, de Haan RJ. Beyond disability: perceived participation in people with a chronic disabling condition. Clin Rehabil 2002; 16: 27-35. 577. Marchionni N, Baroni A, Ferrucci L, Antonini E, Capriati A, Maggino F, Tesi G, Vannucci A. Dagli studi epidemiologici alla messa a punto degli strumenti di valutazione. Giorn Geront 1990; 38: 477-484. 566. Dean CM, Richards CL, Malouin F. Taskrelated circuit training improves performance of locomotor tasks in chronic stroke: a randomised, controlled pilot trial. Arch Phys Med Rehabil 2000; 81: 409-417. 578. Baroni A. La riabilitazione geriatrica. Roma 1991; Nuova Italia Scientifica. 567. Monger C, Carr JH, Fowler V. Evaluation of a home-based exercise and training programme to improve sit-to-stand in patients with chronic stroke. Clin Rehabil 2002; 16: 361-367. stesura 15 marzo 2005 579. Ferrucci L, Guralnik JM, Simonsick E, Salive ME, Corti C, Langlois J. Progressive versus catastrophic disability: a longitudinal view of the disablement process. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 1996; 51: M123-M130 580. Kalache A, Aboderin I. Stroke: the global burden. Health Policy Plan 1995; 10: 1-21. Capitolo 14 — Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza 581. Samuelsson SM, Mahonen M, Hassaf D, Isaksen J, Berg G. Short-term functional outcome of hospitalised first-ever strokes in Finnmark, Norway in 1998-1999. Results from the Finnmark Stroke Register. Int J Circumpolar Health 2001; 60: 235-244. 582. Guralnik J, LaCroix A, Everett D, Kovar M. Aging in the eighties: the prevalence of comorbidity and its association with disability. [170]. Hyattsville, MD 1989; National Center for Health Statistics. Advanced data from Vital Health Statistics. 583. Lew HL, Lee E, Date ES, Zeiner H. Influence of medical comorbidities and complications on FIM change and length of stay during inpatient rehabilitation. Am J Phys Med Rehabil 2002; 81: 830-837. 584. Marchionni N, Di Bari M, Fumagalli S, Ferrucci L, Baldereschi G, Timpanelli M, Masotti G. Variable effect of comorbidity on the association of chronic cardiac failure with disability in community-dwelling older persons. Arch Gerontol Geriatr 1996; 23: 283-292. 595. Branca F, Cairella G, Rossi L, Salvia A, Mastrilli F, Paolucci S. Proposta per l’elaborazione di linee guida su prevenzione e riabilitazione nutrizionali nell’ictus. A cura di Centro Studi su Alimentazione e Riabilitazione (CESAR). Roma 2001; Fondazione S. Lucia: Quaderni S. Lucia n. 21. 596. Wolf PA, Clagett GP; Easton JD, Goldstein LB, Gorelick PB, Kelly-Hayes M, Sacco RL, Whisnant JP.. Preventing ischemic stroke in patients with prior stroke and transient ischemic attack: a statement for healthcare professionals from the Stroke Council of the American Heart Association. Stroke 1999; 30: 1991-1994. 597. Council of Europe. Public Health Committee. Committee of Experts on Nutrition, Food Safety and Consumer Health. Ad Hoc Group Nutrition programmes in hospitals. Food and nutritional care in hospitals: how to prevent undernutrition. Report and Guidelines. Strasbourg, 2002. 585. Cucinotta D, Boni S, Vulcano V, Ravaglia G, Savorani G. La valutazione multidimensionale geriatrica. Giorn Geront 1997; 45: 641-644. 598. Manktelow B, Gillies C, Potter JF. Interventions in the management of serum lipids for preventing stroke recurrence. Cochrane Database Syst Rev 2002; (3): CD002091. 586. Pozzi L. La valutazione multidimensionale come strategia fondamentale in geriatria. Roma 1994; Luigi Pozzi Ed. 599. Straus SE, Majumdar SR, McAlister FA New evidence for stroke prevention: scientific review. JAMA 2002; 288: 1388-1395. 587. Pozzi L. La rete integrata dei servizi per l’assistenza geriatrica. Roma, 1994: Luigi Pozzi Ed. 600. LARN. Livelli di Assunzione Raccomandata di energia e Nutrienti per la Popolazione Italiana. Ed.1996. SINU. http://www.sinu.it/larn.asp 588. DPR 1/3/1994. Approvazione del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 19941996. Gazzetta Ufficiale SO 171. 23-71994. 589. Cavestri R, Buontempi L, Arreghini M, LaViola F, Mazza P, Tognoni G, Roncaglioni C, Longhini E. Access to rehabilitation facilities in an unselected hospital population affected by acute stroke. Ital J Neurol Sci 1997; 18: 9-16. 590. Wilkinson TJ, Buhrkuhl DC, Sainsbury R. Assessing and restoring function in elderly people—more than rehabilitation. Clin Rehabil 1997; 11: 321-328. 591. Sim TC, Lum CM, Sze FK, Or KH, Sum C, Woo J. Outcome after stroke rehabilitation in Hong Kong. Clin Rehabil 1997; 11: 236242. 592. Schlenker RE, Kramer AM, Hrincevich CA, Eilertsen TB. Rehabilitation costs: implications for prospective payment. Health Serv Res 1997; 32: 651-668. 593. SINPE. Linee Guida SINPE per la nutrizione artificiale ospedaliera 2002. SINPE 2002; 20 (Suppl 2): 1-173. 601. Gariballa SE, Hutchin TP, Sinclair AJ. Antioxidant capacity after acute ischaemic stroke. QJM 2002; 95: 685-690. 602. Meydani M. Nutrition interventions in aging and age-associated disease. Ann N Y Acad Sci 2001; 928: 226-235. 603. Katz R Hamilton JA, Spector AA, Moore SA, Moser HW, Noetzel MJ, Watkins PA. Brain uptake and utilization of fatty acids: recommendation for future research. J Mol Neurosci 2001; 16: 333-335. 604. Deschamps V, Barberger-Gateau P, Peuchant E, Orgogozo JM. Nutritional factors in cerebral aging and dementia: epidemiological arguments for a role of oxidative stress. Neuroepidemiol 2001; 20: 7-15. 605. Gonzalez-Perez O, Gonzalez-Castaneda RE, Huerta M, Luquin S, Gomez-Pinedo U, Sanchez-Almaraz E, Navarro-Ruiz A, Garcia-Estrada J. Beneficial effects of alpha-lipoic acid plus vitamin E on neurological deficit, reactive gliosis and neuronal remodeling in the penumbra of the ischemic rat brain. Neurosci Lett 2002; 15; 100104. 594. Shils ME, Olson JA, Shike M. Modern Nutrition in Health and Disease. Philadelphia 2000; Lea and Febiger. stesura 15 marzo 2005 433 606. Bunout D, Garrido A, Suazo M Kauffman R, Venegas P, de la Maza P, Petermann M, Hirsch S. Effects of supplementation with folic acid and antioxidant vitamins on homocysteine levels and LDL oxidation in coronary patients. Nutrition 2000; 16: 107110. 607. Robinson K; Arheart K, Refsum H Brattstrom L, Boers G, Ueland P, Rubba P, Palma-Reis R, Meleady R, Daly L, Witteman J, Graham I.. Low circulating folate and vitamin B6 concentrations. Risk factors for stroke, peripheral vascular disease and coronary artery disease. Circulation 1998; 97: 437-443. 608. Hankey GJ. Secondary prevention of recurrent stroke. Stroke 2005; 36: 218-221. 609. Schwammenthal Y, Tanne D. Homocysteine, B-vitamin supplementation, and stroke prevention: from observational to interventional trials. Lancet Neurol 2004 ; 3: 493-495. 610. Toole JF, Malinow MR, Chambless LE, Spence JD, Pettigrew LC, Howard VJ, Sides EG, Wang CH, Stampfer M. Lowering homocysteine in patients with ischemic stroke to prevent recurrent stroke, myocardial infarction, and death: the Vitamin Intervention for Stroke Prevention (VISP) randomized controlled trial. JAMA 2004; 291: 565-575. 611. Sato Y, Honda Y, Iwamoto J, Kanoko T, Satoh K. Effect of folate and mecobalamin on hip fractures in patients with stroke: a randomized controlled trial. JAMA 2005; 293: 1082-1088. 612. Sato Y, Maruoka H, Oizumi K, Kikuyama M. Vitamin D deficiency and osteopenia in the hemiplegic limbs of stroke patients. Stroke 1996; 27: 2183-2187. 613. Ramnemark A, Nyberg L, Lorentzon R, Olsson T, Gustafson Y. Hemiosteoporosis after severe stroke, independent of changes in body composition and weight. Stroke 1999; 30: 755-760. 614. Poole KE, Reeve J, Warburton EA. Falls, fractures, and osteoporosis after stroke: time to think about protection? Stroke 2002; 33: 1432-1436. 615. ADA - American Dietetic Association. The Manual of Clinical Dietetics. 5th Edition. Chicago 1996; 145-163. 616. Gariballa SE, Parker SG, Taub N, Castleden CM. A randomised controlled single-blind trial of nutritional supplementation after acute stroke. JPEN J Parenter Enteral Nutr 1998; 22: 315-319. 617. Bourdel-Marchasson I, Barateau M, Rondeau V, Dequae-Merchadou L, SallesMontaudon N, Emeriau JP, Manciet G, Dartigues JF. A multi-center trial of the effects of oral nutrition supplementation in critically older inpatients. GAGE Group. Nutrition 2000; 16: 1-5. 434 618. Milne AC, Potter J, Avenell A. Protein and energy supplementation in elderly people at risk of malnutrition. Cochrane Database Syst Rev 2002; (3): CD003288. 619. Irish Heart Foundation. Stroke Care. Towards excellence in stroke care in Ireland. An interdisciplinary initiative from the Council on Stroke of the Irish Heart Foundation. Dublin 2000; Eireann Publishing & Education. http://www.irishheart.ie 620. SIGN. Management of Patients with Stroke: identification and Management of Dysphagia. Scottish Intercollegiate Guidelines Network. Sept. 2004. 621. Cairella G, Scalfi L, Berni Canani R, Garbagnati F, Gentile MG, Gianni C, Marcelli M, Molfino A, Muscaritoli M, Paolucci S, Pratesi L, Rossi Fanelli F, Scognamiglio U, Tari Y, Troiano E, Branca F. Nutritional management of stroke patients. RINPE 2004; 22: 205-226. 622. Finestone HM, Greene-Finestone LS. The role of nutrition and diet in stroke rehabilitation. Top Stroke Rehabil 1999; 6: 46-66. 623. Lewis MM, Kidder JA. Dysphagia Diets. In: Nutrition practice guidelines for dysphagia. Chicago 1996; American Dietetic Association: 10-11. 624. O’Gara JA. Dietary adjustment and nutritional therapy during treatment for oropharyngeal dysphagia. Dysphagia1990; 4: 209212. 625. Anonymous. Dysphagia Diet. In: Shils ME, Olson JA, Shike M, Ross AK eds. Modern nutrition in health and disease 9th ed. Philadelphia 1999; Lea and Febiger: 180187. 626. SIGN - Scottish Intercollegiate Guidelines Network. Management of patients with stroke. III. Identification and management of dysphagia. Publication 20; 1997. http://www.sign.ac.uk/pdf/sign20.pdf SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 627. Scalfi L, Caldara A, Troiano E, Consalvo F. Indicazioni dietetiche per la disfagia. SINPE 2001; 19: 71-78. 628. The National Dysphagia Diet Task Force. The National Dysphagia Diet: standardization for optimal care. Chicago 2003; American Dietetic Association: 50. 629. McCallum SL. The National Dysphagia Diet: implementation at a regional rehabilitation center and hospital system. J Am Diet Assoc 2003; 103: 381-384. 630. Schneider SM, Hebuterne X. Use of nutritional scores to predict clinical outcome in chronic disease. Nutr Rev 2000; 58: 31-38. 631. Pardoe EM Development of a multistage diet for dysphagia. J Am Diet Assoc 1993; 93: 568-571. 632. Mann LL. Development of an objective method for assessing viscosity of formulated foods and beverages for the dysphagic diet. J Am Diet Assoc 1996; 96: 585-588. 633. Stanek K, Hensley C, Van Riper C. Factors affecting use of food and commercial agents to thicken liquids with swallowing disorders. J Am Diet Assoc 1992; 92: 488490. 634. Hotaling DL. Nutritional considerations for pureed diet texture in dysphagic elderly. Dysphagia 1992; 7: 81-88. 635. Schneider R, Daniels K, Hodges J, ShekmHammond C. Diet for dysphagia. In: Manual of Clinical Dietetics 6th Ed. Chicago 2000; The American Dietetic Association: p. 667691. 636. Kumlien S, Axelsson K. Stroke patients in nursing homes: eating, feeding, nutrition and related care. J Clin Nurs 2002; 11: 498-509. 637. Rotilio G, Berni Canani R, Branca F, Cairella G, Fieschi C, Garbagnati F, Gentile MG, Gensini GF, Luisi MLE, Marcelli M, Masini ML, Mastrilli F, Muscaritoli M, Paolucci S, Pratesi L, Sacchetti ML, Salvia A, Scognamiglio U, Strazzullo P, Troiano E, Scalfi L. Nutritional recommendations for stroke patients. RINPE 2004; 22; 227-236. stesura 15 marzo 2005 638. Forster A, Smith J, Young J, Knapp P, House A, Wright J. Information provision for stroke patients and their caregivers (Cochrane Review). In: The Cochrane Library, Issue 1 2003. Oxford: Update Software. 639. Hayes JC. Current feeding policies for patients with stroke. Br J Nurs 1998; 7: 580-588. 640. ADI-SINPE. Linee guida per l’accreditamento dei centri di nutrizione artificiale domiciliare. RINPE 2000; 18: 173-182. 641. O’ Mahoney PG, Rodgers H, Thomson RG, Dobson R, James OFW. Satisfaction with information and advice received by stroke patients. Clin Rehabil 1997; 11: 68-72. 642. Hanger HC, Walker G, Peterson LA, McBride S, Sainsbury R. What do patients and their carers want to know about stroke? A twoyear follow up study. Clin Rehabil 1998; 12; 45-52 643. Wellwood I, Dennis MS, Warlow CP. Perceptions and knowledge of stroke amongst surviving parients with stroke and their carers. Age Ageing 1994; 23: 293298. 644. Johnson J, Pearson V. The effects of a structured education course on stroke survivors living in the community. Rehabil Nurs 2000; 25; 59-65. 645. Von Korff M, Gruman J, Schaefer J, Curry SJ, Wagner EH. Collaborative management of chronic illness. Ann Intern Med 1997; 127: 1097-1102. 646. Grant JS, Elliott TR, Weaver M, Bartolucci AA, Giger JN. Telephone intervention with family caregivers of stroke survivors after rehabilitation. Stroke 2002; 33: 2060-2065. 647. Koops L, Lindley R: Thrombolysis for acute ischaemic stroke: consumer involvment in design of new randomised controlled trials. BMJ 2002, 325: 415 648. Thornton H. Patients’ understanding of clinical trials. Lancet 1998; 352: 72.