I FUORICAMPO OVVERO GLI IMMORTALI IRREPERIBILI Rassegna Audio-Video 2010 Défilé di Primavera 6 Sabato 1 maggio 2010, ore 17 Palazzo Cini a San Vio Palazzo Cini a San Vio Sabato 1 maggio 2010, ore 17 Istituto per la Musica Rassegna Audio-Video 2010 Défilé di Primavera 6 Die Antigone des Sophokles nach der Holderlinschen Übertragung für die Buhne bearbeitet von Brecht 1948 un film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet 1992 Testo: Antigone di Sofocle, nella traduzione di Hölderlin (1800-1803), così come fu adattata per la scena da Bertolt Brecht (1948). Fotografia: Nicolas Eprendre, Irina e William Lubtchansky. Suono: Louis Hochet, Georges Vaglio, Sandro Zanon. Musica: Bernd Alois Zimmermann diretto da Michael Gielen. Montaggio: Jean-Marie Straub, Danièle Huillet. Assistenti: Michael Esser, Hans Hurch, Francesco Ragusa, Daniele Rossi, Yu-Jung Nam, Olivier Moeckli, Stephan Settele, Stefan Ofner, Marco Zappone, Ernaldo Data. Costumi: Costumi d'Arte Ruggero Peruzzi. Pettinature: Guerrino Todero. Calzature: Pompei. Interpreti: Astrid Ofner (Antigone), Ursula Ofner (Ismene), Hans Diehl, Kurt Radeke, Michael Maassen, Rainer Philippi (gli anziani), Werner Rehm (Creonte), Lars Studer (la guardia), Stephan Wolf-Schönburg (Emone), Albert Hetterle (Tiresia), Libgart Schwarz (serva-messaggera), Michaël König (messaggero). Produzione: Straub-Huillet, Regina Ziegler (Filmproduktion Berlin), Martine Marignac (Pierre Grise Production, Parigi), Hessischer Rundfunk. 100’ L’Antigone di Brecht è una manipolazione della versione di Holderlin, che era partito, introducendo molte varianti drammaturgiche, dal modello sofocleo. La versione Brecht è caratterizzato da un prologo iniziale, ambientato a Berlino nell’aprile del 1945. Due sorelle vedono il fratello morto impiccato dalle SS; una vuole aiutarlo ovvero seppellirlo, mentre l’altra ha paura. Si tratta di una trasposizione in chiave moderna di Antigone e Ismene. Il clima è piatto, gelido e privo di espressioni di qualsivoglia affetto. La tragedia si svolge nuovamente a Tebe, in guerra con Argo, a differenza che nella tragedia di Sofocle, in una lotta per il possesso delle miniere di ferro. Eteocle e Polinice non guidano eserciti nemici ma sono entrambi generali dell’esercito di Creonte. Li divide la posizione nei confronti della guerra: Eteocle muore in battaglia, mentre Polinice fugge (e viene ucciso dal Re). Se nel testo sofocleo il gesto di Antigone è il primo gesto di ribellione tebana, prima che si ribelli Emone e il popolo tutto, in Brecht il gesto derivato da quello di Polinice. Pianta del set del Teatro di Segesta, secondo Straub, per A nti gone Polinice diserta e si ribella allo stato di guerra, individualmente però, mentre Antigone rappresenta la ribellione popolare alla guerra. Non ci sono oracoli nel dramma e Creonte è per davvero un tiranno a cui si contrappone Antigone vittima assoluts. Il colloquio tra Antigone e il fratello del padre è molto duro: la ragazza gli rinfaccia la brama del potere; infatti Creonte agisce in guerra per se stesso, per il suo orgoglio e per la sua sete di potere, non per il bene della città, che sarà distrutta dalla guerra. Tiresia compare, ma solo marginalmente, quasi per cortesia nei confronti del testo “sacro” di Sofocle. Quando giunge la notizia della disfatta dell’esercito tebano e della morte di Megareo, figlio maggiore del re, Creonte non sembra soffrire per la perdita del figlio morto, ma perché ha perso la guida del suo esercito ed ha perso colui cui aveva confidato tutte le sue speranze di vittoria. Megareo non era per Creonte un figlio, ma soltanto una spada per offendere il nemico e soddisfare la propria cupidigia. Creonte ha bisogno quindi di una nuova spada e di un nuovo strumento con cui difendere il proprio potere. Spera di servirsi di Emone e per questo si lascia convincere a liberare Antigone, ma tutto si conclude tragicamente secondo il modello classico, sofocleo. Brecht scrive questa tragedia al termine, 1948, della guerra mondiale. E in Antigone vuole rappresentare il popolo tedesco che si oppone al nemico interno e alla sua guerra, impersonati da un terribile Creonte. Nella sua traduzione Brecht prende alla lettera tutto quello che in Sofocle è metaforico: perciò – proprio per questa letteralità - crea momenti drammatici e frasi o monologhi posseduti da un alone misterioso, quasi surreale. Nella sua traduzione la Grecia classica diventa una Grecia sognata, folle, allucinata. E posseduta da miti misteriosi. Da riti originari. Brecht (che non conosceva il greco e quindi si affida a Hölderlin) riprende la traduzione del poeta. E dà, a sua volta, un impianto didattico ed epico alla struttura drammatica. Struttura non rigida ma percorsa dalle ondate di calore, dai fulmini, dai fendenti folli e allucinati della traduzione di Holderlin. Brecht arriva a Sofocle via Hölderlin attraverso una traduzione allucinata, non ortodossa. Inoltre Brecht tratta l'Antigone come se fosse un dramma didattico dando un impianto pragmatico, motivazioni concrete e storiche alle scelte dell'imperialista Creonte. Nel dramma didattico 'si sente' lo stile, non si dimentica mai e che rimaniamo dal principio alla fine in ambito performativo. L'Antigone è un manifesto – didattico – contro la guerra. Nell’assumere il testo della Antigone di Brecht. Huillet e Straub lavorano ad una coniugazione di immagine e sonorità che nel teatro classico di Segesta ambisce ad una catastrofica connessione con lo spazio del set e lo spazio della tragedia. Si tratta di un ribaltamento di ogni possibile strutturazione narrativa (e di ogni psicologismo) in una costruzione didascalica della realtà come ‘tutto’. Dalle rovine della immagine classica, che tali sono ben visibili e udibili trmite il vento che le lambisce, emergono le connotazioni storiche e le connotazione presenti, spazio temporali, del set cinematografico, e parimenti i potenziali della parola suono ininterrotta, che si carica, coma il personaggio del titolo di ogni istanza rivoluzionaria. Inoltre l’afasia attoriale, la recitazione vetrosa, tutta trasparente e essenzialmente solo sonora, quindi musicale, è un ulteriore elemento di eversione con il continuo insorgere di atti violenti e compassati di fabulazione, per cui gli attori e le attrici sono coscienti della parola solo tramite il gesto istruttivo, didascalico, dei registi. Indice dell’importanza data al sonoro attoriale è il disprezzo del doppiaggio, che annullerebbe lo spazio-tempo della immersione recitativa. Centrale pure il rumore, casualmente prodotto, segno di affidamento totale dell’opera al reale come unica soluzione di esistenza. Sul set a Segesta Straub, Huillet e Stephan Wolf-Schönburg Antigone o la disubbidienza, l’insubordinazione è la cifra scelta da Brecht- Straub. Antigone sorella di Eteocle; come lui testimone “transitoria” del sacro. Perché transitoria? Forse perché il sacro, talvolta, è luogo di resistenza o identità in negativo. O anche perché quando tutto si trasforma in merce, può essere necessario rifare il cammino di un passato rimosso con violenza. O, come scrive Benjamin a proposito delle traduzioni di Hoelderlin da Sofocle, precipitare il senso: “di abisso in abisso”, ma per riportarlo nell’attualità con forza provocatoria e saggezza. “La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di “attualità” – dice sempre Benjamin – Così, per Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualità, che egli faceva schizzare dalla continuità della storia...” Sofocle, Hoelderlin, Brecht. Ora Huillet-Straub nel teatro greco di Segesta. Un luogo già visto e trasfigurato dai registi per il Mosè e Aronne edi Schoenberg Un luogo sospeso fra terra e cielo; un’arena sulla quale, grava un’altra altezza. Antigone o il punto d’arrivo della tragedia, che non è una narrazione di qualcosa di risolto ma l’ipotesi d’un dilemma che gli dèi o il destino troncano invece di sciogliere, (così nella nota a Straub di Rossana Rossanda). Il tutto sta nel fatto che, nel conflitto, le due parti hanno in linea di principio egualmente ragione, ma nei fatti nuovamente ciascuna concepisce il vero contenuto positivo del suo fine come una negazione di quello dell’altro... cosa che li rende entrambi colpevoli.... Antigone punto di fuga. Antigone terrestre opposta agli dei. Così sembra intuirla Brecht attraverso la traduzione “radicale” e “stupefacente” di Holderlin: ...il ‘destino’ si elimina per così dire da solo, strada facendo. Degli dèi rimane solo il santo patrono popolare, il dio della gioia. Dice Straub: mano a mano che vado avanti nel rifacimento delle scene, emerge dalla nebbia ideologica la leggenda popolare quanto mai realistica. . Dalla serva inginocchiata che ormai tace, la camera muove verso sinistra. Il coro segue di poco: “...ma colei che tutto vide poté solo aiutare il nemico...”. La camera inquadra frontalmente un’alta collina, si ferma, il coro conclude: “...e non basta mai a continuare a vivere, senza pensiero e lievemente, di tolleranza in delitto e diventare saggi con l’età”. La collina è un monumento naturale integro, giusto nella sua forma; la parte bassa dell’inquadratura porta uno zoccolo di pietra, traccia di un monumento storico in rovina. La camera resta ferma il tempo necessario. Poi, lo stacco: parole scritte di Brecht (1952): “...la memoria dell’umanità per le sofferenze patite è meravigliosamente breve...” e rumore di elicotteri da guerra; un potente frullio assieme al rombo, che risponde alle voci appena smesse. Ecco l’altra altezza, il senso di pressione più volte avvertito in precedenza. Non quella degli dèi, ma dell’oggi. Lo zoccolo di pietra, sagomata taglia l’immagine del monumento naturale; una banda di lastre divide in due la terra dell’arena e stabilisce il confine scenico, dei ruoli; torna dal passato e dura, uguale a sé stessa, nel presente: “...E la terra sublime dei Celesti – recita il coro all’inizio – l’incorruttibile, l’infaticata...”. Ma è terra secca in entrambi i campi, non scorticata dallo “sforzo dell’aratro”; la terra a cui Antigone ha voluto ricondurre il fratello morto, ben sapendo che altro rimane dopo i doveri del sacro; “...terra è fatica – ribatte a Creonte che l’accusa di oltraggio – il paese natale non è solo la terra...”. L’altezza dell’oggi è anche l’altezza per cui Creonte si illude affacciandosi sul paesaggio: “...Quando marciai su Argo!”. Questo paesaggio è lo stesso che noi vediamo; la focalità uniforme annulla ogni cronologia: qui è Creonte che indica il luogo lontano della conquista, là una campagna attraversata all’autostrada; qui il passato, là il futuro, in un presente che si impone e annulla entrambi. “...Il rispetto dello spazio è altrettanto importante della sua costruzione – afferma Straub – . Così si può aiutare la gente a capire lo spazio in cui viviamo, a farsi delle domande. Il cinema si apparenta alla musica più che a qualsiasi altra arte, perché la musica lavora sul tempo e il cinema sembra lavorare con e sullo spazio, ma in realtà un film è interessante solo se riesce a condensare dello spazio per farne del tempo. Più lo spazio diventa preciso, più lo puoi condensare per trasformarlo in tempo”. Ecco allora, di nuovo, il gran movimento col quale il film si conclude: la collina, lo zoccolo di pietra sagomata (rovine dell’antichità, rovine ora), lo stacco sulle parole scritte di Brecht, gli elicotteri da guerra. So quanto Huillet-Straub disprezzino la metafora; Straub in proposito usa ricordare Kafka quando nel suo diario afferma che la metafora fa disperare di scrivere: come posso dire, per evitarla? Illuminazione, forse, che fissa la materia del tempo e, appunto, la condensa in uno spazio; che depura l’immagine di ogni viziata retorica e la trova come sintesi di sguardo: “...l’unica difficoltà vera del lavoro che si chiama artistico – dice ancora Straub – sta appunto nel trovare l’equilibrio tra “il pensiero non prima della forma” e “la forma non prima del pensiero”, arrivare gradualmente al punto in cui nessuno dei due termini precede l’altro. La gradualità noi possiamo solo supporla; l’illuminazione è quel che ci viene offerto. Antigone e l’albero. Sempre lo stesso che a lei, come a Emone, fa corona nei controcampi del contrasto. L’albero che rimane dopo l’uscita di scena dei personaggi, e si abbuia per i mutamenti del cielo. L’albero che si allunga dal corpo eretto mentre lei, accanto alla banda confinaria di lastre, si dispone al sacrificio. Antigone che “...ha fatto modernamente rinascere il sacro – in una società così empia...”, e vuole ridare il fratello alla terra, cioè alla natura, alla vera divinità. Antigone o la protesta: “...non parlate, vi prego, del fato [...] parlate di chi mi sopprime innocente...”; la profezia: “...Non pensiate [...] di essere risparmiati, sfortunati. Altri corpi, a pezzi, giaceranno innanzi a voi insepolti”; la pietà come legge non scritta: “...Guardate, signori di Tebe / unica superstite di stirpe / regale cosa io / soffra, e da parte / di quali uomini, / per avere onorato / la pietà” (. Antigone o la passione. Da Sofocle, Holderlin e Brecht, i due cineasti giungono forse a una svolta in senso drammatico. O meglio, sondano le possibilità della forma epica fino a scoprirne l’implicito sentimentale. E come Antigone ci appare un punto di fuga, così il film viene esposto quanto mai prima, a doni della realtà. Tempo storico non lineare, “tempo variabile”: il quadro incupisce con Antigone che sfida Creonte: “...Perché era tuo – il decreto che essa ha osato spezzare – di un mortale...”, e dopo, quando annuncia la definitiva uscita di scena: “...Vi compiango viventi, per ciò che vedrete [...] Dite a chi chiede di Antigone, l’abbiamo vista fuggire nella tomba”. Doni della realtà, della natura. Huillet-Straub preferiscono chiamarli così, per stroncare sul nascere ogni superflua chiacchiera circa il talento, lo stile o il linguaggio.