Infarto miocardico acuto a coronarie indenni Nicola Giunta UTIC Osp. Civico - Palermo INTRODUZIONE L’infarto miocardico acuto a coronarie indenni (IMA-CI) rappresenta una sindrome clinica eterogenea dal punto di vista eziopatogenetico e prognostico (1) Secondo la definizione universale di infarto miocardico proposta dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) (2) per porre diagnosi deve essere presente: 1) Elevazione dei marker di necrosi (curva “tipica” di troponina con salita e discesa) 2) Più almeno uno dei seguenti criteri: a) b) c) d) Dolore toracico (angina) Alterazioni ECG Anomalie di cinesi regionale ventricolare Rilievo angiografico/autoptico di trombosi intra-coronarica L’IMA-CI si presenta tipicamente con dolore toracico, alterazioni ECG, curva enzimatica, in assenza di malattia coronarica significativa. Nelle varie casistiche la prevalenza di IMA-CI nell’ambito di tutte le sindromi coronariche acute (SCA) può variare tra il 5 e il 25% (3-5). Tali differenze di prevalenza – al di là delle caratteristiche della popolazione esaminata (età, sesso) e del tipo di infarto (STEMI, NSTEMI) – dipendono dalla definizione di “assenza di malattia coronarica” che utilizziamo; si va infatti dalla totale assenza di malattia coronarica alla presenza di coronaropatia non ostruttiva (<50%). Anche la tecnica diagnostica utilizzata per la diagnosi di coronaropatia è rilevante, perché la coronarografia (CVG) può sottostimare la presenza di placche eccentriche, mentre l’associazione di tecniche più sofisticate come l’ecografia intra-coronarica (IVUS) o la tomografia a coerenza ottica (OCT) permette una maggiore sensibilità (6, 7-9). La presenza di differenti meccanismi eziopatogenetici spiega l’eterogeneità prognostica di questa sindrome, che non sempre è associata a prognosi estremamente favorevole, a differenza di quanto riportato in precedenza; questo vale in particolare per le forme associate a coronaropatia instabile (seppure poco o per nulla “visibile” alla CVG). Una accurata – ove possibile – diagnosi fisiopatologica permette quindi di stratificare la prognosi di questi pazienti, e di scegliere opportunamente misure di prevenzione secondaria e terapia. MECCANISMI PATOGENETICI 1) Epicardico a) Spasmo coronarico (focale, multifocale, mono- o plurivasale) b) Coronaropatia instabile (rottura/erosione di placche eccentriche) c) Embolismo coronarico 2) Microvascolare a) Sindrome Takotsubo b) Sindrome di Mohri 3) Miocardico a) Miocardite con presentazione simil-infartuale Lo spasmo di un ramo coronarico epicardico, che ne determina una occlusione completa o quasi, di durata variabile, è una possibile causa epicardica di IMA-CI. Lo spasmo è più tipicamente focale (a livello di un segmento di un vaso) ma può essere anche multifocale (nello stesso vaso) o multivasale, oppure può interessare in modo diffuso uno o più rami. Lo spasmo risulta dall’interazione tra: a) aumentata reattività coronarica agli stimoli vasocostrittori b) uno stimolo vasocostrittore sufficientemente intenso. Uno dei meccanismi coinvolti nello spasmo coronarico è la disfunzione endoteliale, che comporta tra l’altro ridotta produzione di ossido nitrico (NO), legata a mutazioni del gene per le NO-sintasi. Un altro fattore è costituito da una iperreattività primaria delle fibrocellule muscolari lisce vascolari (VSMC), legato ad iperattività dell’enzima rho-kinasi (con effetto vasocostrittore). Quest’ultimo meccanismo sembrerebbe essere confermato dall’efficacia del fasudil – un inibitore della rho-kinasi – nel prevenire in modelli sperimentali lo spasmo coronarico indotto dall’acetilcolina in pazienti con angina variante (tipo Prinzmetal). Un’altra causa epicardica di IMA-CI può essere la presenza di placche coronariche eccentriche associate a rimodellamento positivo del vaso, sottostimate all’esame angiografico. Studi recenti con IVUS e OCT ci forniscono una visione nuova e più accurata dell’anatomia coronarica, anche e soprattutto in pazienti con coronaropatia angiograficamente non critica. Il rimodellamento positivo è un fenomeno caratterizzato da un aumento del calibro vasale a livello della placca dovuto a riduzione di spessore della tonaca media; in pratica il lume si espande asimmetricamente per assottigliamento della parete vasale per “fare posto” alla placca; ne consegue che la placca stessa almeno nelle prime fasi può risultare poco visibile all’esame angiografico, che studia solo il lume vasale. Questo gruppo di pazienti presenta dunque una placca instabile – seppure poco o affatto visibile alla CVG – con ampio nucleo (“core”) lipidico e cappuccio fibroso sottile, che può andare incontro a rottura. A tale fenomeno può associarsi trombosi transitoria e/o parziale con trombolisi spontanea, o embolizzazione distale di materiale atero-trombotico e aggregati piastrinici. La placca può andare anche incontro – più raramente – ad erosione, con perdita dell’endotelio ed esposizione dell’intima ricca di fibrocellule muscolari lisce e proteoglicani; i leucociti neutrofili sembrano avere un ruolo importante nell’instabilizzazione della placca erosa e nella formazione del trombo. Si tratta in pratica degli stessi meccanismi presenti nelle SCA “classiche”. Un terzo meccanismo epicardico – più raro – è costituito dall’embolismo coronarico; questo può essere di tipo “paradosso” (in caso di forame ovale pervio o difetto del setto interatriale), oppure a partenza dal cuore sinistro, in caso di trombosi endoventricolare o atriale, endocardite infettiva, mixoma. Questo raro meccanismo dovrebbe essere sospettato in pazienti con protesi valvolari, fibrillazione atriale cronica, cardiopatia dilatativa, endocardite infettiva, masse cardiache, stati di ipercoagulabilità e shunt intracardiaci; in alcuni casi è stata descritta alla CVG la presenza di trombosi coronarica “transitoria” in assenza di stenosi sottostante. Tra le forme di IMA-CI con meccanismo “microvascolare” va annoverata la cosiddetta sindrome “Takotsubo”, o cardiomiopatia Takotsubo, che deriva il suo nome da un vaso giapponese utilizzato per la pesca dei polpi; è nota anche come sindrome da “ballooning” apicale o sindrome “broken heart”; La diagnosi si basa su una presentazione clinica simil-infartuale (dolore toracico e alterazioni ECG, spesso con ST sopraslivellato) associata ad un tipico pattern di cinesi del ventricolo sinistro con acinesia dei segmenti medio-apicali – del tutto reversibile in poche settimane – e ad un quadro CVG di coronarie indenni da stenosi significative (46). La S. Takotsubo costituisce dall’1,2% al 2,2% delle SCA, e circa il 2% degli STEMI (10,11,12); si verifica più frequentemente nelle donne (circa il 90%), in particolare in una fascia di età compresa tra i 60 e i 75 anni. In questa sindrome è presente uno “stunning” miocardico esteso che storicamente è stato attribuito ad un danno miocardico diretto da catecolamine, anche in relazione alla frequente descrizione di un intenso stress psico-fisico come evento scatenante; tale meccanismo sembra confermato dal riscontro di elevati livelli di catecolamine in molti di questi pazienti (ma non in tutti gli studi), e dalla dimostrazione di una più alta densità di recettori per le catecolamine a livello dell’apice cardiaco. Tra l’altro la sensibilità, densità e distribuzione dei recettori adrenergici si modificano con la menopausa, il che spiegherebbe la maggiore frequenza della sindrome in età post-menopausale. Recentemente (13) è stata avanzata l’ipotesi che responsabile dello stunning esteso possa essere una intensa vasocostrizione microvascolare; questo meccanismo potrebbe costituire la via finale comune, innescata da un intenso stimolo catecolaminico (magari in un contesto di deficit estrogenico) o da una miocardite. A tale proposito sono stati pubblicati alcuni case-report riferiti a casi di miocardite (provata con biopsia endomiocardica), che presentano all’esordio un pattern di cinesi ventricolare tipico per Takotsubo (14-16). Un’altra causa microvascolare di IMA-CI è la Sindrome di Mohri (descritta da Mohri et al.) (17), caratterizzata da dolore toracico con ST sopraslivellato, coronarie indenni e assenza di anomalie di cinesi. In questi pazienti l’acetilcolina riproduce il dolore e il sopraslivellamento di ST senza evidenza di spasmo a livello epicardico; il meccanismo di questa sindrome sembra quindi essere uno spasmo microvascolare che interessa aree limitate non confluenti, per cui non sono presenti evidenti anomalie di cinesi. Il fasudil inibisce lo spasmo indotto da acetilcolina. Tra le cause miocardiche di IMA-CI la più comune è certamente la miocardite acuta. La miocardite determina spesso (circa 50% dei casi) incremento della troponina, ponendo problemi di diagnostica differenziale con la SCA quando si presenta con dolore toracico e alterazioni di ST-T (presentazione simil-infartuale); in realtà nella miocardite la curva enzimatica è talora non “tipica”, con un andamento irregolare e più protratto nel tempo. Dal punto di vista fisiopatologico il meccanismo del danno miocardico nella miocardite è stato schematizzato in tre fasi (18): 1) Danno miocardico diretto nella fase di replicazione del virus dentro i miociti 2) Danno miocardico secondario alla risposta immunitaria contro il virus, con caratteristiche talora di autoimmunità diretta verso antigeni miocitari 3) Rimodellamento miocardico e sviluppo di cardiomiopatia dilatativa E’ stato ipotizzato che l’esordio clinico della malattia possa riflettere il tipo di agente infettivo coinvolto, in relazione alla presenza di “target” tissutali preferenziali per ciascun agente. Ad esempio le forme da Parvovirus B19 (PVB19) sembrano essere associate ad esordio simil-infartuale, mentre quelle da Herpesvirus 6 (HHV6) si associano a segni di scompenso cardiaco. Il PVB19 ha un particolare tropismo per le cellule endoteliali, per cui l’infezione potrebbe causare disfunzione endoteliale, e quindi vasocostrizione/spasmo; l’ischemia conseguente potrebbe spiegare il sopraslivellamento del tratto ST osservato in alcuni pazienti. In definitiva l’infezione da PVB19 potrebbe causare una sorta di “vasculite coronarica” responsabile del quadro simil-infartuale. INDAGINI DIAGNOSTICHE NEI PAZIENTI CON IMA A CORONARIE NORMALI Vasospasmo coronarico I pazienti con spasmo coronarico presentano in genere una storia di dolore toracico a riposo, insorto nelle ore notturne o al mattino. L’ECG presenta tipicamente un sopraslivellamento del tratto ST. Lo spasmo coronarico può essere indotto somministrando per via intra-coronarica (durante CVG) agenti vasocostrittori quali acetilcolina (Ach) o ergonovina; la definizione di spasmo prevede una riduzione di calibro del vaso di almeno il 75%, associata a sintomi e/o segni di ischemia coronarica. La somministrazione di acetilcolina provoca generalmente spasmo diffuso e distale, l’ergonovina più spesso spasmo focale; il test con acetilcolina sembra gravato da un tasso più elevato di complicanze aritmiche. Lo spasmo coronarico è considerato un meccanismo importante nell’infarto miocardico secondario a consumo di cocaina, in presenza o meno di coronaropatia; si associano ipertensione arteriosa e iperattivazione piastrinica (19) Placche eccentriche con rimodellamento positivo Nel sospetto di una placca vulnerabile non visibile con immagini angiografiche è necessario utilizzare metodiche di imaging che ne permettano l’individuazione. Tale sospetto può essere posto – ad esempio – in presenza di un profilo di rischio elevato per coronaropatia, o di alterazioni di cinesi segmentaria con pattern ischemico. L’ecografia intra-coronarica (IVUS) a integrazione della CVG permette di dimostrare lesioni eccentriche instabili; in uno studio di Reynolds et al. (20) su una popolazione femminile con IMA-CI la rottura/erosione di placca era dimostrabile all’IVUS nel 38% dei casi. La tomografia a coerenza ottica (OCT) possiede una risoluzione 10 volte superiore rispetto all’IVUS, e dovrebbe essere preferita nella ricerca di rottura/erosione di placca o di trombosi coronarica angiograficamente non apprezzabile. In presenza di placche ricche di lipidi con cappuccio fibroso sottile la OCT presenta una sensibilità del 92% e una specificità del 75% (9). Va peraltro sottolineato come placche rotte possano rimanere silenti per mesi (asintomatiche), e come talora la trombosi su placca rotta possa andare incontro a fibrinolisi spontanea. La RM cardiaca può rivelarsi utile nel definire la diagnosi in pazienti in cui la correlazione tra malattia coronarica non critica, alterazioni di cinesi all’ecocardiogramma e modificazioni dell’ECG non sia chiara; in questo caso la presenza di necrosi/fibrosi a pattern ischemico (sub-endocardico o transmurale, con distribuzione coronarica) può indirizzare verso una diagnosi di IMA con meccanismo coronarico. Sindrome Takotsubo La S. takotsubo si manifesta più frequentemente nelle donne, specie in età postmenopausale; è spesso scatenata da un intenso stress psico-fisico, la cui assenza non esclude però la diagnosi. E’ caratterizzata tipicamente da dolore toracico, sopraslivellamento del tratto ST, alterazioni estese di cinesi coinvolgenti l’apice e i segmenti medi e movimento enzimatico modesto, comunque non proporzionato alla estensione delle alterazioni di cinesi. Sono state descritte anche alterazioni di cinesi differenti, come acinesia basale con ipercinesia apicale (“reverse takotsubo”) o acinesia dei segmenti medi, come pure forme “localizzate” di dubbio inquadramento. Nella fasi precoci – data l’estesa area di disfunzione ventricolare sinistra – la sindrome può essere complicata da insufficienza cardiaca fino allo shock cardiogeno, trombosi endoventricolare potenzialmente embolizzante, aritmie ventricolari. La diagnosi di s. takotsubo richiede l’esecuzione precoce di un ecocardiogramma e – preferibilmente entro 48 ore – di una CVG, per evitare che il quadro coronarografico possa modificarsi a distanza dall’evento e apparire “falsamente negativo”. La RM cardiaca permette di evidenziare con grande accuratezza le alterazioni di cinesi, e anche aree corrispondenti di “edema” in sequenze STIR T2-pesate, mentre tipicamente non è presente un danno da necrosi/fibrosi dopo iniezione di Gadolinio (“late gadolinium enhancement – LGE”). In alcuni casi in pazienti con sindrome di takotsubo sono state descritte piccole aree di LGE indicativo di necrosi-fibrosi, seppure con estensione molto ridotta rispetto all’area acinetica. C’è controversia su quale possa essere il pattern (alla RM cardiaca) di distribuzione intraparietale del LGE compatibile con s. takotsubo, cioè se ischemico (subendocardico-transmurale) oppure non ischemico (subepicardico-intramiocardico) - quest’ultimo caratteristico della miocardite. Si è già accennato ai “case-report” di pazienti con miocardite dimostrata alla BEM esorditi con quadro tipico di takotsubo, e alla possibilità che questo pattern di cinesi possa in realtà sottintendere differenti meccanismi fisiopatologici. Miocardite La miocardite colpisce più spesso pazienti giovani e può essere preceduta (nel 1060% dei casi nelle varie casistiche) da febbre o infezioni respiratorie o intestinali. Il quadro ECG può variare da anomalie aspecifiche di ST-T fino a sopraslivellamento del tratto ST, blocchi AV, blocchi di branca, aritmie ipo-ipercinetiche. I marker di necrosi possono essere elevati, con le troponine I e T più sensibili rispetto alla CK-MB; la positività delle troponine ha anche valore prognostico (indice di danno miocardico). Da segnalare che nella miocardite talora la curva enzimatica non è quella “tipica” con salita e discesa, ma presenta piuttosto andamento irregolare, protratto nel tempo. Raramente sono stati descritti casi di miocardite con severa disfunzione ventricolare sinistra ed enzimi negativi, perché l’imponente movimento enzimatico (con rapido wash-out) era già “esaurito” al momento della rilevazione. La diagnosi di miocardite può essere sospettata quando si associa un criterio di presentazione clinica (simil-SCA, scompenso cardiaco, aritmie) con almeno un criterio “strumentale”, tra modificazioni ECG, enzimi, alterazioni di cinesi o alterazioni di segnale alla RM cardiaca (21). La RM cardiaca con mezzo di contrasto è il più accurato tra gli esami non invasivi per la diagnosi di miocardite (in assenza di instabilità emodinamica), con una accuratezza diagnostica intorno all’88% (22, 23). Essa permette di studiare volumi, funzione e cinesi bi-ventricolare, oltre ad evidenziare alterazioni di segnale indicative di edema (sequenze STIR pesate in T2), iperemia (sequenze FSE pesate in T1, oppure cine-RM precoce post-contrasto) e necrosi/fibrosi (accumulo tardivo a 8-10 min. dall’iniezione di Gadolinio, “LGE”). La distribuzione intraparietale del LGE permette di differenziare la necrosi “ischemica” (subendocardica-transmurale, con sede corrispondente all’area di distribuzione coronarica) da quella “non ischemica” (subepicardica-intramiocardica, con distribuzione non coronarica), che è caratteristica della miocardite. Studi precedenti, che hanno valutato con RM pazienti affetti da MINCA, hanno evidenziato un quadro compatibile con miocardite nel 5-60% dei casi; l’incidenza è più elevata tra i pazienti più giovani. In pazienti giovani e con bassa probabilità di coronaropatia la RM potrebbe precedere o addirittura rimpiazzare la CVG (24). Il “gold standard” per la diagnosi di miocardite rimane ancora oggi la biopsia endomiocardica (BEM), che in centri di grande esperienza ha un basso tasso di complicanze (<1%). I tradizionali criteri istopatologici (“criteri di Dallas”) prevedono una diagnosi di miocardite “definita” se è presente infiltrato flogistico e necrosi, e “probabile” se è presente soltanto infiltrazione flogistica. Oggi la BEM può fornire ulteriori informazioni relative a tipo di infiltrato flogistico (analisi immunoistochimica con Ab monoclonali diretti verso i vari antigeni cellulari) e presenza di genoma virale (biologia molecolare, PCR). La BEM è attualmente considerata di scelta solo in pazienti con instabilità emodinamica, dato che permette di diagnosticare forme particolari di miocardite (a cellule giganti, associata a sarcoidosi) che possono potenzialmente beneficiare di trattamento farmacologico (immunosoppressione, steroidi). PROGNOSI Identificare il meccanismo patogenetico è di fondamentale importanza per stratificare la prognosi di questi pazienti. Gli studi pubblicati sull’argomento riportano dati di mortalità e complicanze molto variabili, che riflettono probabilmente le differenze tra patologie diverse accomunate da una presentazione clinica comune. La nozione comune che gli “infarti a coronarie indenni” abbiano una prognosi nettamente migliore di quelli associati a coronaropatia critica non è sempre vera, e va comunque definita meglio. Uno studio pubblicato nel 2006 (Bugiardini et al.) su oltre 700 pazienti (3) riportava una incidenza di eventi (morte, infarto, re-ospedalizzazione, rivascolarizzazione, angina instabile e ictus) del 9,4% nei pazienti con coronarie indenni e del 15,5% in quelli con coronaropatia non critica (stenosi < 50%); la mortalità ad un anno era rispettivamente dello 0,7% e dell’1,1%, con una media dello 0,9%. Per quanto riguarda lo spasmo coronarico (documentato con test provocativo durante CVG), la prognosi è senz’altro buona in assoluto, e significativamente migliore rispetto ai pazienti con SCA e coronaropatia ostruttiva. I dati di follow-up a tre anni dello studio CASPAR (25), in pazienti senza lesione “colpevole” alla CVG e con evidenza di spasmo coronarico dopo infusione di Ach, confermano la benignità della prognosi; nessuno dei pazienti in questo gruppo ha avuto mortalità o IM non fatale. Da segnalare invece la persistenza di angina (38% dei pazienti) nonostante trattamento con nitrati e Ca-antagonista, che ha portato in pochi casi a ripetere la CVG. E’ possibile che i pazienti dello studio CASPAR rappresentassero una popolazione a rischio particolarmente basso, con prevalenza di angina instabile (vs NSTEMI o STEMI) alla presentazione, bassa prevalenza di tabagismo (meno di un quarto) e terapia medica ottimizzata con nitrati, Ca-antagonisti, Ace-inibitori e statine. Un altro studio di Bory et al (26), in pazienti con spasmo coronarico senza o con minima coronaropatia (in gran parte non acuti), ha riportato una mortalità del 3,6% e una incidenza di IM non fatale del 6,5% ad un follow-up medio di 89 mesi. Studi precedenti su popolazioni asiatiche (27) hanno dimostrato, come unico predittore di eventi avversi cardiovascolari, la presenza di un sopraslivellamento di ST diffuso, suggestivo di spasmo multivasale, ma l’estrapolazione di tale dato su altre popolazioni potrebbe non essere corretta. Certamente le differenze in termini di eventi tra le varie casistiche, peraltro appartenenti a differenti periodi, possono essere spiegate dalla eterogeneità delle caratteristiche di base dei pazienti (età, contesto clinico, fattori di rischio) e della presenza di malattia coronarica anche “minima” o “non significativa”. La prognosi a lungo termine della sindrome takotsubo risulta favorevole anche se variabile nei diversi studi. I pazienti con tale sindrome presentano complicanze concentrate nella fase acuta (scompenso cardiaco fino allo shock, aritmie ventricolari, ictus secondario a trombosi apicale) che condizionano una mortalità intraospedaliera bassa, ma comunque variabile nelle varie casistiche tra lo 0% e l’8% (28,29,30). La mortalità ad un anno si attesta invece tra l’1% e il 2% (28,30). In uno studio retrospettivo di Elesber et al. (31) la mortalità a 4 anni non è risultata differente da quella di una popolazione sana comparabile per età, sesso e fattori di rischio, con una frequenza di ricorrenza al follow-up dell’11,4% (poco più del 2%/anno nei primi anni dopo l’evento). La prognosi dei pazienti con miocardite è correlata al tipo di presentazione clinica, ad alcuni parametri clinici e ai dati EBM (21). I pazienti con miocardite acuta e frazione di eiezione del ventricolo sinistro conservata hanno una buona prognosi e un elevato tasso di miglioramento spontaneo senza esiti (32). I pazienti con miocardite virale “fulminante” e compromissione emodinamica all’esordio hanno una ottima prognosi a lungo termine e maggiori possibilità di presentare un recupero completo rispetto ai pazienti con miocardite acuta, se supportati e trattati adeguatamente durante la fase acuta (33). Tra i parametri clinici, la classe funzionale NYHA avanzata (III-IV), la disfunzione ventricolare destra, l’elevata pressione arteriosa polmonare e la sincope sono correlati a morte cardiaca e probabilità di trapianto cardiaco. Altri fattori di rischio clinici in pazienti con sospetta miocardite sono l’ipotensione e la tachicardia alla presentazione, e una durata del QRS >120 msec. Anche alcuni dati istopatologici (biopsia endomiocardica) hanno rilevanza prognostica: la presenza di infiltrati infiammatori miocardici è stata correlata a mortalità cardiovascolare e trapianto cardiaco. Controverso è invece il significato prognostico della presenza di genoma virale; in uno studio di Kuhl et al. (34) su pazienti con miocardite a presentazione similinfartuale, la persistenza di genoma virale (specie PVB19) a distanza di mesi era correlata a mancato recupero della funzione contrattile rispetto ai pazienti che avevano eliminato il virus. TERAPIA Il trattamento dello spasmo coronarico si basa sull’utilizzo dei farmaci vasodilatatori non specifici, quali nitrati e Ca-antagonisti. In varie casistiche sono riportate percentuali relativamente elevate di sintomi refrattari (10-20% ed oltre) nonostante titolazione delle dosi fino ai livelli massimali (35). I pazienti che presentano placche non ostruttive, associate o meno a rimodellamento positivo del vaso, con caratteristiche di vulnerabilità all’IVUS/OCT, necessitano di terapia antiaggregante doppia e statine ad alta dose per tentare di stabilizzare la placca; la terapia è dunque allineata a quella dei pazienti con SCA e coronaropatia. Non esiste un trattamento standard dell’embolismo coronarico: sono stati utilizzati la trombolisi, l’angioplastica e la trombo-aspirazione. La trombolisi può determinare embolizzazione distale, come del resto i tentativi di disostruzione meccanica; in particolare la trombolisi dovrebbe essere evitata nel sospetto di embolismo coronarico settico. La ricanalizzazione meccanica con guida, la trombo-aspirazione e l’angioplastica sono state utilizzate, in associazione a terapia antiaggregante, in caso di sospetto embolismo coronarico associato a sindrome coronarica acuta (36). Nella sindrome takotsubo, associata a disfunzione ventricolare sinistra, appare opportuno un trattamento “standard” con beta-bloccanti, ace-inibitori ed eventualmente diuretici; i beta-bloccanti sono utili anche per la loro azione antiaritmica, ma in caso di aritmie minacciose persistenti (o se non tollerati) dovrebbero essere affiancati da altri farmaci, ad esempio amiodarone. ASA o anticoagulanti possono essere usati per la prevenzione o il trattamento della trombosi intracavitaria (37,30,38). In caso di instabilità emodinamica può essere giustificato il ricorso a farmaci inotropi, contropulsazione aortica o assistenza meccanica ventricolare sinistra (39). Una terapia “di supporto” con beta-bloccanti e ace-inibitori può essere utilizzata, pur in assenza di una forte evidenza, in pazienti con miocardite acuta a presentazione simil-infartuale e disfunzione ventricolare sinistra. Negli ultimi anni sono stati intrapresi molti trial con farmaci potenzialmente capaci di modificare l’eziopatogenesi delle forme miocarditiche, quali immunosoppressori, cortisonici e antivirali. I risultati di questi trial, spesso di piccole dimensioni e condotti su popolazioni non omogenee, sono controversi. L’immunosoppressione è un trattamento consolidato in alcune forme specifiche di miocardite che necessitano di diagnosi bioptica, quali la forma a cellule giganti e quella in corso di sarcoidosi. Nella miocardite a cellule giganti un trattamento combinato con ciclosporina e corticosteroidi, con o senza azatioprina o muronomab, può migliorare la prognosi (sopravvivenza media di 12 mesi contro i 3 mesi dei pazienti non trattati) (40,41). Una minoranza di pazienti richiede comunque supporto meccanico o trapianto cardiaco entro un anno. Nella sarcoidosi cardiaca una terapia immunosoppressiva precoce con corticosteroidi ad alte dosi è stata associata ad un miglioramento della funzione cardiaca (42). La prognosi dei pazienti in trattamento è variabile, con una sopravvivenza a 5 anni tra il 60% e il 90% (43). Un trattamento specifico per la miocardite virale non è stato ancora definito. Nel trial Myocarditis Treatment Trial (44) non è stato dimostrato nessun beneficio con la terapia immunosoppressiva (prednisone con azatioprina o ciclosporina vs. placebo) né in termini di mortalità né di miglioramento della funzione sistolica (F.E.) ventricolare sinistra ad un anno. Va sottolineato che in questo studio, che utilizzava dati bioptici per la diagnosi, non erano ancora disponibili metodiche immunoistologiche né di biologia molecolare, per cui il trattamento immunosoppressivo poteva essere somministrato anche a pazienti con replicazione virale attiva, con effetti dannosi. Più recentemente nello studio TIMIC (45), in pazienti con CMD stabile ed evidenza bioptica di infiammazione (ma negativi per genoma virale), è stato riportato un miglioramento della F.E. ventricolare sx e della classe NYHA nel gruppo trattato per 6 mesi con prednisone e azatioprina rispetto a quello trattato con placebo. Questo dato, pur con la necessità di ulteriori evidenze su gruppi più numerosi di pazienti e con end-point più robusti, apre nuove prospettive per il trattamento - in futuro - di pazienti con malattia infiammatoria attiva del miocardio e disfunzione ventricolare. Allo stato attuale delle conoscenze invece non esistono terapia eziologiche efficaci per la miocardite acuta virale, ad eccezione dei sottogruppi discussi in precedenza. CONCLUSIONI L’infarto miocardico acuto a coronarie angiograficamente indenni rappresenta un sottogruppo numericamente non trascurabile. Al suo interno sono comprese patologie differenti, eterogenee da un punto di vista etiopatogenetico e prognostico. Appare oggi importante non limitarsi alla diagnostica di base, che porta spesso ad una “non diagnosi”, bensì approfondire la valutazione diagnostica al fine di permettere un inquadramento clinico più preciso possibile, e ove possibile la prescrizione di terapie potenzialmente utili e prognosticamente rilevanti. Nicola Giunta Dirigente Medico di Cardiologia U.O. Cardiologia-UTIC ARNAS Civico e Benfratelli - Palermo BIBLIOGRAFIA 1) Niccoli G., Scalone G, Crea F.; L’infarto miocardico acuto a coronarie normali: cosa ci sfugge?. G. Ital. Card. 2013; 14(12): 817-27 2) Thysegen K, Alpert JS, Jaffe AS et al.; Joint ESC/ACCF/AHA/WHF Task Force for the Universal Definition of Myocardial Infarction. Third Universal Definition of Myocardial Infarction. Circulation 2012; 126: 2020-35 3) Bugiardini R, Manfrini O, De Ferrari GM.; unanswered questions for management of acute coronary syndrome: risk stratification of patients with minimal disease or normal findings on coronary angiography. Arch Intern Med. 2006 Jul 10;166:1391-5. 4) Gehrie ER, Reynolds HR, Chen AY, Neelon BH, Roe MT, Gibler WB, Ohman EM, Newby LK, Peterson ED, Hochman JS. 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