ALLEVAMENTO BOVINO DA LATTE: L’ORIENTAMENTO DELLE IMPRESE ITALIANE NEL POST QUOTE Indagine campionaria Ottobre 2013 INDICE 1. Premessa ..................................................................... 3 1.1 IL CONTESTO DI RIFERIMENTO.................................................................. 4 2. Obiettivi dell’indagine e metodologia .......................... 8 2.1 DEFINIZIONE DEL CAMPIONE DI INDAGINE ............................................... 8 2.1.1 Rappresentatività del Campione e Universo di riferimento ................. 12 2.2.2 Destinazione produttiva e canali di sbocco delle imprese del Campione .................................................................................................................... 13 3. I risultati dell’indagine .............................................. 14 3.1 LA PRODUZIONE AZIENDALE DI LATTE DOPO IL 2015 ........................... 14 3.2 STUDIO DEL COMPORTAMENTO DELLE IMPRESE...................................... 15 3.2.1 Sezione dedicata a chi ha risposto che manterrà inalterata la produzione................................................................................................... 15 3.2.2 Sezione dedicata a chi ha risposto che aumenterà la produzione........ 18 3.2.3 Sezione dedicata a chi ha risposto che chiuderà l’azienda .................. 22 3.2.4 Sezione dedicata a chi ha risposto che diminuirà la produzione (6 casi) .................................................................................................................... 23 3.3 LE PRINCIPALI CONSEGUENZE DELLA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LATTE: IL PARERE DEGLI OPERATORI ...................................................... 24 3.4 STRUMENTI A SOSTEGNO DELLE AZIENDE: GLI ALLEVATORI CONOSCONO IL “PACCHETTO LATTE”? ................................................................................. 28 CONCLUSIONI ................................................................ 32 Allegato: Questionario .................................................... 33 2 Responsabile della ricerca: Egidio Sardo Responsabile della redazione e coordinamento operativo: Fabio Del Bravo Indagine a cura di: Giovanna Maria Ferrari Redazione a cura di: Mariella Ronga Si ringrazia per la collaborazione tutte le imprese del campione ISMEA che hanno partecipato all’indagine mediante la compilazione del questionario. Si ringrazia, altresì, per la fattiva collaborazione gli opinion leader che hanno accettato di partecipare alle interviste dirette. 3 1. Premessa L'Organizzazione Comune di Mercato del settore lattiero-caseario ha subito varie riforme nel corso dell'ultimo decennio. Sulla base degli orientamenti di Agenda 2000, con la riforma del 2003 si è iniziato a sciogliere il nodo del sistema delle quote latte in vista di un’abolizione fissata per il 2015. Questo termine è stato confermato nel 2008 con l’Health Check della PAC, che ha definito un aumento progressivo dei livelli delle quote dei singoli Stati Membri, oltre ad aver abolito gli aiuti per lo stoccaggio dei formaggi e l'impiego del burro in pasticceria. In sede di analisi dello “Stato di salute” della politica comunitaria, è stata profondamente modificato il sistema di sostegno al reddito degli agricoltori, con il disaccoppiamento dei pagamenti diretti e la possibilità per gli Stati membri di mantenere l’aiuto accoppiato a fronte di situazioni di svantaggi specifici in zone economicamente vulnerabili o ecologicamente sensibili. Le proposte di riforma della PAC, e in particolare l’accordo raggiunto lo scorso 26 giugno, hanno confermato l'orientamento al mercato dell'agricoltura dell’Unione Europea alla luce di una maggiore concorrenza a livello mondiale. La fine del regime delle quote latte è stata inderogabilmente fissata al 31 marzo del 2015 e, in vista della preparazione al nuovo contesto economico in cui si troveranno gli operatori dopo 30 anni di contingentamento della produzione, la Commissione ha proceduto con l’introduzione di importanti modifiche all’OCM unica, con l’approvazione del cosiddetto “Pacchetto latte”. A seguito dell’imminente fine del regime delle quote latte e alla possibilità che si delinei un diverso contesto competitivo, le imprese operanti nel settore si troveranno di fronte a nuove opportunità oppure ad affrontare rischi che potrebbero richiedere dei cambiamenti nella gestione della propria azienda e nell’organizzazione dell’attività produttiva. Le decisioni di ogni allevatore a tale riguardo dipenderanno senz’altro dall’assetto produttivo attuale della propria azienda, nonché dagli scenari di mercato che egli immagina si profileranno all’indomani della liberalizzazione della produzione di latte. Allo scopo, quindi, di conoscere quali saranno le reazioni degli operatori riguardo a questo importante intervento, ISMEA, su incarico di CremonaFiere, ha condotto una specifica indagine presso un campione ragionato costituito da imprese del settore dell’allevamento bovino da latte. 1.1 Il contesto di riferimento Il Regolamento comunitario 856/1984 che introdusse il regime delle quote nasceva in un contesto produttivo caratterizzato da un eccesso di offerta con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi all’intero dell’Unione Europea. A partire dal 1984, la maggior parte degli Stati membri sono riusciti abbastanza rapidamente ad allineare sulle rispettive quote le quantità di latte commercializzate sul territorio nazionale, sia sotto forma di consegne che di vendite dirette. Sin dalla sua introduzione, il sistema si è dimostrato efficace, nel senso che la produzione comunitaria, nel suo insieme, ha rispettato i massimali imposti: anche se per le campagne 1995/1996-2004/2005 la quota per le consegne è stata superata a livello dell'UE-15, l’entità del superamento è sempre stata lieve (oltre all’Italia altri paesi splafonatori sono stati, la Germania, i Paesi Bassi, l'Austria, la Danimarca, Cipro e il Lussemburgo); a partire, poi, dalla campagna 2004/2005, la quota comunitaria di consegne è stata sottoutilizzata sia a livello dell'UE-25 che dell’UE-27. Le quote hanno inquadrato, dunque, la produzione europea di latte, mantenendo i prezzi nominali a un livello relativamente alto e stabile, anche se la regolazione dell'insieme del mercato ha richiesto, per una ventina d'anni, il ricorso all'intervento pubblico, alle esportazioni sovvenzionate e agli aiuti al consumo, al fine di smaltire le eccedenze strutturali di prodotti industriali. 4 Il contesto mondiale ha subito, negli anni più recenti, grandi cambiamenti - tuttora in corso - che hanno introdotto un’elevata dose di aleatorietà e di volatilità nel funzionamento del mercato. La crescita dell’economia e della popolazione mondiale sta determinando, infatti, una rapida espansione della domanda globale, soprattutto nei cosiddetti “paesi emergenti” - ovvero i paesi del Sud-est asiatico, Sud America e Medio Oriente – dove, grazie all’aumento del reddito pro capite, si stanno progressivamente abbandonando i regimi alimentari tradizionali a favore di diete con maggiore presenza di proteine animali. In particolare, le previsioni OECD-FAO indicano il lattiero caseario come uno dei settori più dinamici nel prossimo decennio e, pertanto, la veloce evoluzione della domanda rappresenterà il principale driver di cambiamento del mercato. Fig. 1.1 Produzione mondiale di latte nei primi 5 player mondiali (.000 tonnellate) 300 250 200 150 100 50 0 2008 2009 USA UE 27 2010 Nuova Zelanda 2011 Argentina 2012 (p) 2013 (f) Australia Fonte: elaborazioni Ismea su dati USDA e Commissione UE La produzione mondiale di latte è in crescita, seppure lieve, in tutti i bacini produttivi. Tuttavia, nel 2012, a fonte di una crescita del 2% dell’offerta globale di latte rispetto al 2011, la sola Cina ha importato circa il 30% in più di latte scremato in polvere, il 27% in più di latte intero in polvere e il 35% in più di burro. Questo eccesso di domanda a livello internazionale ha innescato, a partire dalla seconda metà dello scorso anno, una repentina corsa al rialzo dei prezzi delle commodity casearie, che appaiono tuttora assestati su livelli molto elevati anche in considerazione delle attese produttive per il 2013. Fig. 1.2 Cina: importazioni di latte in polvere e burro (.000 tonnellate) 700 SMP 600 WMP Burro 500 400 300 200 100 0 2008 2009 2010 2011 2012 gen-giu 2013 Fonte: elaborazioni Ismea su dati GLOBAL TRADE ATLAS 5 L’aumento delle quotazioni è stato più intenso e più rapido in Oceania, dove nei primi nove mesi del 2013 i prezzi del latte scremato in polvere hanno evidenziato una variazione di oltre 40 punti percentuali rispetto a un anno fa. Per il prodotto statunitense e per quello comunitario, pur essendo più attenuate, le oscillazioni di prezzo hanno evidenziato comunque un 30% in più rispetto al 2012. Il generalizzato aumento dei prezzi ha consentito una migliore remunerazione del latte alla stalla, che nell’UE ha raggiunto il livello di 35,63 euro/100 kg a fronte di 33,78 €/100 kg dello scorso anno, mettendo a segno una variazione del +5%. Fig. 1.3 prezzi internazionali del latte in polvere (€/tonnellata) 4.500 4.000 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 2008 2009 2010 USA 2011 Oceania 2012 UE (DE) 2013 Fonte: elaborazioni Ismea su dati USDA e ZMB Le prospettive a medio termine per il latte e i prodotti lattiero-caseari sono previste molto favorevoli. La produzione di latte è destinata a ad aumentare dopo il 2015, ma ad un tasso di crescita moderato e comunque al di sotto del potenziale tasso di aumento conseguente all'eliminazione graduale del regime delle quote: nel 2022 la produzione comunitaria dovrebbe raggiungere i 159,3 milioni di tonnellate, pari a un aumento complessivo del 5 % rispetto al 2011. Tale aumento sarà realizzato a fronte di una contrazione - già in atto della mandria e, di conseguenza, solo grazie ad un aumento della produttività media per capo, soprattutto dei Nuovi Stati Membri (UEN-12). La maggiore disponibilità di latte dovrebbe tradursi in una maggior produzione di formaggi, stimata in crescita di quasi il 7% sul totale 2011-2022, raggiungendo i 9,6 milioni di tonnellate entro la fine della prospettiva. Per la produzione di latte in polvere scremato, che dovrebbe raggiungere circa 1,3 milioni di tonnellate nel 2022, è previsto un aumento del 23%, mentre produzione totale di burro dovrebbe rimanere costante nel breve periodo per poi recuperare negli anni subito dopo la scadenza delle quote, raggiungendo i 2,4 milioni di tonnellate nel 2022 (+8 % rispetto al 2011). La crescita della domanda mondiale rappresenterà un fattore cruciale per il mantenimento dell’equilibrio del mercato europeo. Le previsioni della Commissione UE indicano, in particolare, una maggiore apertura dell’Unione Europea rispetto ai Paesi Terzi e l’aumento di oltre 1 punto percentuale della propensione all’export (espresso in equivalente latte) rispetto ai livelli attuali. Ciò tradotto in valore assoluto significherebbe, quindi, che le previsioni al 2022 indicano, rispetto al 2011, una crescita delle esportazioni di formaggi, del +40% e del +30% per il latte scremato in polvere. 6 Fig. 1.4 – UE: previsioni di produzione 170 Produzione Latte Numero di vacche (mio di capi) 40 150 35 Consegne ai caseifici 30 25 130 UEN 10 110 20 UEN12 15 90 10 Vacche UE15 70 5 UE-15 UE-25 2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016 2015 2014 2013 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 50 2000 0 Produzione di latte e consegne (mio t) 45 UE-27 Vacche da latte UE15 (mio capi) Vacche da latte N-10 o N-12 Produzione di latte (mio t) Consegne di latte (mio t) Fonte: Commissione UE 7 2. Obiettivi dell’indagine e metodologia L’obiettivo dell’indagine è quello di conoscere l’orientamento delle imprese da latte vaccino all’indomani della liberalizzazione del mercato. In particolare, l’abbattimento del regime delle quote porterà ad una maggiore produzione di latte? O ancora, di fronte ad un mercato privo di strumenti di controllo dei prezzi, si verificherà una fuoriuscita di aziende dal settore e/o si verificheranno fenomeni di riconversione produttiva? Le impese continueranno a rivolgersi ai loro consueti mercati/canali di sbocco o valuteranno nuove opportunità, sospinte dal nuovo scenario di mercato? E quindi, potranno anche valutare un cambiamento nella destinazione della produzione (dal latte destinato all’alimentazione umana, ad esempio, al latte destinato alla trasformazione)? Per rispondere a tali finalità è stato preparato un questionario ad hoc – riportato in allegato – che è stato somministrato alle imprese individuate per l’indagine tra giugno e settembre 2013. Nel questionario sono state predisposte anche domande di tipo strutturale utili per verificare se l’atteggiamento produttivo che presumibilmente verrà assunto dalle imprese a partire dall’aprile del 2015 in qualche modo dipende dal loro assetto attuale. L’indagine campionaria è stata condotta nel periodo giugno-settembre 2013 in modalità C.A.T.I. (Computer-Assisted Telephone Interviewing). In particolare: - per 83 imprese, afferenti al Panel ISMEA delle imprese agricole, il field è stato giugno 2013; - per 156 imprese, appartenenti all’archivio ISMEA delle imprese agricole, il field è stato agosto-settembre 2013. A supporto delle informazioni rilevate presso gli operatori, l’indagine è stata completata da una serie di interviste face to face rivolte a esperti del settore con l’obiettivo di raccogliere pareri e valutazioni in merito alla possibile evoluzione del settore lattiero caseario europeo e alle ripercussioni che il sistema allevatoriale nazionale subirà in seguito all’eliminazione dei vincoli produttivi. 2.1 Definizione del campione di indagine L’indagine è stata condotta su campione ragionato, costituito da imprese del settore dell’allevamento bovino da latte afferenti al Panel ISMEA Agricoltura a da altre imprese dell’archivio ISMEA che per le loro caratteristiche (attività, area geografica, dimensione economica) sono state considerate idonee a soddisfare le finalità dell’indagine stessa. Il Panel è uno strumento di rilevazione che consente all’Istituto di svolgere il monitoraggio continuativo trimestrale della congiuntura agricola del nostro Paese a mezzo di una metodologia di analisi qualitativa e della costruzione dell’Indice di clima di fiducia degli operatori del settore (in particolare l’analisi della congiuntura viene condotta per l’agricoltura nazionale nel suo complesso e, in dettaglio, per i settori delle coltivazioni erbacee, legnose, delle olive da olio e vitivinicole e per la zootecnia da carne e da latte). L’archivio ISMEA è altresì costituito da imprese agricole provenienti dalle liste Infocamere, ma è suppletivo rispetto al Panel, in quanto è interrogato in modo mirato e in occasione di specifiche indagini. Per la definizione del campione si è dell’allevamento bovino da latte in Italia. tenuto conto della struttura del settore Per la ricognizione dell’assetto strutturale nazionale si è fatto riferimento ai dati ufficiali del VI Censimento agricoltura di fonte ISTAT. Dai dati censuari, che fotografano la struttura 8 del settore al 2010, si evince che in Italia le aziende di allevamento di bovino da latte (vacche da latte con almeno 2 anni di età) ammontano a oltre cinquanta mila (50.337) e i relativi capi a quasi un milione e seicentomila (1.599.442). Le aziende sono prevalentemente localizzate nell’area di Nord-est (37,1% del totale), mentre la maggiore concentrazione di numero di capi si riscontra nell’area di Nord-ovest (44,5%), in ragione del fatto che le aziende di quest’area hanno un numero medio di capi per azienda più elevato. Figura 2.1 – Distribuzione delle aziende italiane di allevamento di bovino da latte e dei capi per macro area (%) AZIENDE CAPI Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat La dimensione media per azienda rilevata dal Censimento è pari a 32 capi/azienda e ciò evidenzia – nonostante il fenomeno di concentrazione in atto ormai da oltre un decennio l’elevata il presenza (oltre il 60% del totale) di imprese di piccole dimensioni (con meno di 20 capi); queste rappresentano però solo il 12,4% dei bovini da latte complessivamente allevati in Italia. Ne consegue che le imprese di grandi dimensioni (con oltre 100 capi), pur rappresentando in termini di numerosità solo il 7,8%, costituiscono le realtà economicamente più produttive con ben il 45% del patrimonio nazionale. La Lombardia è la regione che presenta la maggiore numerosità in termini di unità produttive (il 16,8% del totale nazionale), con oltre un terzo dei capi allevati in Italia. Seguono per importanza numerica, le aziende del Trentino Alto Adige (15,8% del totale) prevalentemente rappresentate da realtà produttive tipiche delle regioni montane, con una dimensione media ridotta (11 capi/azienda) -, il Veneto (10,2%), la Campania (8,8%) e l’Emilia Romagna (8,5%). Considerando, poi, la distribuzione territoriale dei capi in allevamento si rileva che ben il 68% delle bovine da latte si riscontra in sole quattro regioni del Nord Italia: Lombardia (34,2% del totale nazionale), Emilia Romagna (15,5%), Veneto (9,5%) e Piemonte (9,1%). Ciò premesso, va tenuto presente che la produzione di latte di ogni regione e quindi di ciascuna macro area dipende non solo dal numero dei capi allevati, ma anche dalla resa media per capo, che risulta abbastanza variabile da una regione all’altra in quanto influenzata da molteplici fattori (tecniche di allevamento, alimentazione, genetica, ecc.). Nella campagna 2011-2012, sulla base dei dati Agea, la produzione complessiva di latte commercializzata in Italia (consegne ai caseifici + vendite dirette) è stata di oltre undici milioni di tonnellate (11.247 mila tonnellate). La metà della produzione commercializzata è 9 risultata concentrata nell’area di Nord Ovest (il 49,5%), in particolare nella regione Lombardia che da sola copre oltre i due quinti del totale nazionale (4,6 milioni di tonnellate). Seguono per importanza dei volumi prodotti: l’Emilia Romagna (1,9 milioni), il Veneto (1,1 milioni) e il Piemonte (poco meno di 1 milione). Nel Centro-Sud e nelle due Isole maggiori assume una discreta importanza la produzione di Lazio (352 mila tonnellate), Puglia (378 mila tonnellate), Campania (219 mila tonnellate), Sardegna (217 mila tonnellate) e Sicilia (192 mila tonnellate). Tabella 2.1 – Distribuzione delle aziende italiane di allevamento di bovino da latte per regione e per classe di capi (%) Classe di capi 1-9 10-19 20-49 50-99 100-199 200-499 44,0 16,8 20,8 10,6 5,7 1,9 0,2 0,0 100,0 Nord-ovest 10,9 2,8 5,0 4,4 3,3 1,3 0,1 0,0 27,8 Piemonte 3,3 1,1 1,6 1,3 0,6 0,1 0,0 0,0 8,1 Valle d'Aosta 1,0 0,5 0,6 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 2,2 Liguria 0,6 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,7 Lombardia 6,0 1,2 2,7 3,0 2,7 1,1 0,1 0,0 16,8 Italia Nord-est 500-999 1000 e più Totale 15,8 7,3 8,1 3,8 1,6 0,4 0,0 0,0 37,1 Trentino Alto Adige 9,2 4,3 2,0 0,2 0,1 0,0 0,0 0,0 15,8 Veneto 4,0 1,6 2,7 1,4 0,5 0,1 0,0 0,0 10,2 Friuli-Venezia Giulia 1,1 0,5 0,6 0,3 0,1 0,0 0,0 0,0 2,6 Emilia-Romagna 1,5 0,9 2,8 1,9 1,0 0,3 0,0 0,0 8,5 Centro 2,8 0,9 1,4 0,7 0,2 0,1 0,0 0,0 6,1 Toscana 0,8 0,1 0,2 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 1,2 Umbria 0,3 0,1 0,1 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,6 Marche 0,4 0,1 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,6 Lazio 1,3 0,6 1,1 0,5 0,2 0,1 0,0 0,0 3,7 11,8 4,5 4,8 1,1 0,3 0,1 0,0 0,0 22,6 Abruzzo 1,0 0,4 0,5 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 2,0 Molise 1,6 0,6 0,4 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 2,6 Campania 5,5 1,8 1,2 0,3 0,0 0,0 0,0 0,0 8,8 Puglia 1,3 1,0 2,0 0,4 0,1 0,0 0,0 0,0 4,9 Basilicata 1,0 0,3 0,4 0,2 0,1 0,0 0,0 0,0 1,9 Sud Calabria 1,5 0,4 0,4 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 2,4 2,7 1,3 1,6 0,6 0,2 0,1 0,0 0,0 6,4 Sicilia 1,2 0,9 1,2 0,4 0,1 0,0 0,0 0,0 3,9 Sardegna 1,4 0,3 0,3 0,2 0,2 0,0 0,0 0,0 2,5 Isole Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat 10 Tabella 2.2 – Distribuzione dei capi di bovini da latte per regione e classe di capi (%) Classe di capi 1-9 Italia 10-19 20-49 50-99 100-199 200-499 500-999 1000 e più Totale 5,2 7,2 20,2 22,4 23,7 16,5 3,7 1,1 100,0 Nord-ovest 1,2 1,2 5,0 9,6 13,9 10,9 2,3 0,4 44,5 Piemonte 0,4 0,4 1,6 2,9 2,5 1,1 0,1 0,1 9,1 Valle d'Aosta 0,1 0,2 0,5 0,2 0,0 0,0 0,0 0,0 1,1 Liguria 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1 Lombardia 0,6 0,5 2,8 6,6 11,5 9,7 2,2 0,4 34,2 2,0 3,2 7,9 7,9 6,7 3,9 1,1 0,4 33,0 Trentino Alto Adige 1,3 1,8 1,7 0,5 0,2 0,1 0,0 0,0 5,6 Veneto 0,4 0,7 2,7 2,8 1,9 0,8 0,1 0,1 9,5 Friuli-Venezia Giulia 0,1 0,2 0,6 0,7 0,6 0,2 0,1 0,0 2,4 Emilia-Romagna 0,2 0,4 2,9 4,0 4,0 2,7 0,9 0,4 15,5 Nord-est Centro 0,3 0,4 1,4 1,4 0,9 0,7 0,1 0,1 5,3 Toscana 0,1 0,1 0,2 0,1 0,1 0,2 0,0 0,0 0,7 Umbria 0,0 0,0 0,1 0,1 0,1 0,1 0,0 0,0 0,5 Marche 0,0 0,0 0,1 0,1 0,1 0,0 0,1 0,0 0,4 Lazio 0,1 0,2 1,0 1,0 0,7 0,5 0,0 0,1 3,7 1,4 1,9 4,4 2,2 1,2 0,6 0,2 0,2 12,1 Abruzzo 0,1 0,2 0,4 0,2 0,1 0,0 0,1 0,0 1,2 Molise 0,2 0,3 0,3 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 1,0 Campania 0,7 0,8 1,0 0,5 0,2 0,1 0,1 0,2 3,5 Puglia 0,2 0,4 1,9 0,8 0,5 0,1 0,0 0,0 3,9 Basilicata 0,1 0,1 0,4 0,4 0,2 0,2 0,0 0,0 1,5 Calabria 0,2 0,2 0,3 0,1 0,1 0,1 0,0 0,0 1,0 Sud Isole 0,3 0,5 1,5 1,3 0,9 0,5 0,0 0,0 5,1 Sicilia 0,2 0,4 1,2 0,8 0,3 0,1 0,0 0,0 3,0 Sardegna 0,2 0,1 0,3 0,5 0,6 0,4 0,0 0,0 2,1 Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat Tavola 2.1 – Produzione commercializzata di latte vaccino per regione e per area geografica (%) Campagna 2011-2012 Italia 11.247 Regioni 000.t Regioni 000.t Lombardia 4.567 Sicilia 192 Emilia Romagna 1.895 Basilicata 121 Veneto 1.130 Abruzzo 81 Piemonte 964 Molise 71 Trentino Alto Adige 517 Toscana 69 Puglia 378 Calabria 62 Lazio 352 Umbria 59 Friuli Venezia Giulia 266 Valle d'Aosta 45 Campania 219 Marche 36 Sardegna 217 Liguria 7 Nordovest 49,6% Nord-est 33,9% Centro 4,6% Isole 3,6% Sud 8,3% Fonte: elaborazioni Ismea su dati Agea 11 2.1.1 Rappresentatività del Campione e Universo di riferimento Per la definizione del campione di indagine si è, quindi, tenuto conto del panorama produttivo nazionale, decidendo per l’esclusione delle aziende con meno di 20 capi allevati. Per l’obiettivo dell’indagine è sembrato opportuno, infatti, concentrarsi sulle imprese che in ragione della loro produzione e del loro ruolo sul mercato sono in grado di fornire delle valutazioni sui possibili cambiamenti di scenario conseguenti all’abolizione del meccanismo di contingentamento. L’Universo Istat di riferimento è, quindi, rappresentato da 19.748 aziende con vacche da latte per un numero complessivo di capi allevati pari a 1.401.657. Il campione Ismea è costituito complessivamente da 239 aziende. Da notare che nel totale sono incluse anche 11 imprese con meno di 20 capi allevati (che rappresentano meno del 5% del campione in termini di numerosità), al fine di consentite che le regioni in cui sono localizzate queste unità produttive fossero rappresentate nel Campione. Le regioni in questione sono Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Molise, Campania, Puglia, dove la dimensione aziendale media risulta decisamente inferiore a quella media nazionale: a fronte del 12,4% nazionale, ad esempio, in Campania le aziende con meno di 20 capi rappresentano il 41%; analogamente in Trentino Alto Adige e in Molise rappresentano rispettivamente il 56% e il 46%). In complesso, il campione Ismea delle imprese è sbilanciato sulle classi dimensionali più grandi, ma tale distribuzione è funzionale agli obiettivi stessi dell’indagine, ossia valutare l’opinione delle imprese operative e presenti in modo significativo sul mercato del latte bovino. Figura 2.2 – Distribuzione delle aziende di allevamento di bovino da latte del Campione Ismea e dell’Universo Istat per classi di capi (%) Classi di capi 13,2% 20-49 16,7% 50-99 200-499 1000 e più 27,0% 18,9% 14,5% 100-199 500-999 53,1% 27,2% 4,9% 14,9% 0,4% 0,1% 9,2% Campione_Ismea* Universo_Istat *Nel grafico non sono considerate 11 imprese del campione ISMEA che hanno una dimensione inferiore ai 20 capi allevati. Fonte: campione Ismea ed elaborazioni Ismea su dati Istat 12 Rispetto all’Universo Istat, la distribuzione del Campione Ismea risulta, inoltre, sbilanciata per eccesso nelle regioni di Nord Ovest e di Nord Est. Anche in questo caso lo sbilanciamento non è casuale, ma giustificato dall’intenzione di interpellare un maggior numero di imprese nelle regioni italiane dove si concentra la maggiore produzione di latte bovino nazionale. Figura 2.3 – Distribuzione territoriale del campione Ismea e dell’Universo Istat CAMPIONE ISMEA UNIVERSO ISTAT Nord Ovest 59% Nord Ovest 28% Sud e Isole 8% Centro 4% Nord Est 29% Nord Est 37% Sud e Isole 29% Centro 6% Fonte: campione Ismea ed elaborazioni Ismea su dati Istat 2.2.2 Destinazione produttiva e canali di sbocco delle imprese del Campione Tra le imprese del Campione l’indirizzo produttivo prevalente risulta essere quello della trasformazione casearia per formaggi DOP/IGP (128/238 casi validi, ossia il 54%). Seguono, con analoghe quote di importanza, gli indirizzi produttivi del latte alimentare e del latte per formaggi che non hanno un riconoscimento comunitario di Origine (rispettivamente 24% e 22%). Figura 2.4 – Ripartizione del campione per destinazione produttiva e canale di sbocco Latte aliment. 24% destinazione produttiva Formaggi DOP/IGP 54% Altri formaggi 22% canale di sbocco Coop./Con sorzio di trasform. 61% Trasform. in azienda 9% Coop./Ass. raccolta 11% Industrie 19% Fonte: Panel Ismea 13 Il 61% conferisce a Cooperative/Consorzi che trasformano il latte raccolto, il 19% consegna a Industrie, l’11% a Cooperative/Associazioni che si occupano di raccolta e commercializzazione e il restante 9% trasforma il latte prodotto all’interno della stessa azienda agricola. La Cooperativa o il Consorzio di trasformazione costituiscono il canale di sbocco prevalente per le aziende che producono latte destinato a formaggi DOP. Nelle altre due destinazioni produttive (latte alimentare e formaggi non DOP) risultano relativamente importanti anche il ritiro da parte dell’industria e la trasformazione all’interno della stessa azienda agricola. 3. I risultati dell’indagine 3.1 La produzione aziendale di latte dopo il 2015 A partire dai risultati dell’indagine è emerso che, a seguito dello smantellamento del sistema delle quote, il livello della produzione nazionale non subirà sostanziali cambiamenti. Da un lato per alcune aziende si profilerà, infatti, la possibilità di incrementare la perfomance produttiva attuale, ma l’esistenza di numerosi limiti – tra cui vincoli ambientali, diponibilità di terreno, onerosità degli investimenti – non consentirà un rilevante aumento della produzione; dall’altro lato, numerose aziende cesseranno di esistere, principalmente per problematiche di ricambio generazionale o per questioni di inefficienza economica legate alla dimensione (numero di capi in allevamento) o alla localizzazione (scarsa accessibilità in termini logistici). Il risultato complessivo dovrebbe essere, quindi, quello di una compensazione a livello produttivo, frutto di un ulteriore (e fisiologico) processo di concentrazione degli allevamenti bovini da latte nazionali. Scendendo nel dettaglio, la metà delle imprese interpellate ha dichiarato che anche dopo l’abolizione delle quote manterrà inalterato il proprio livello produttivo a fronte di un altro 23% che pensa invece di aumentarlo a seguito della liberalizzazione; in soli 6 casi è stato riscontrato un orientamento al ridimensionamento produttivo, mentre il 7% dei rispondenti propenderà per la chiusura dell’attività aziendale. Quest’ultima ipotesi appare più frequente nelle aziende di piccole e medie dimensioni (fino a 100 capi) ed esclusivamente paventata da conduttori over 40; da notare che la bassa incidenza di questa risposta sul campione è molto influenzata dalla composizione stessa del campione che di fatto esclude proprio pe realtà più piccole (meno di 20 capi) e più esposte al rischio di chiusura . La riconversione aziendale, con conseguente orientamento produttivo verso altre tipologie di allevamento o verso seminativi/altre colture, non è stata presa in considerazione da nessuna impresa intervistata. Figura 3.1 – Previsioni delle aziende sulle scelte di produzione post 2015 (%) 18% 23% Aumento del livello attuale Mantenimento del livello attuale 7% Riduzione del livello attuale 3% Chiusura dell'azienda 50% Non so/Non risponde Fonte: Campione Ismea 14 Analizzando i risultati in base alla dimensione aziendale, espressa in numero di capi allevati, si evince che la decisione sul livello produttivo futuro è influenzata dall’ampiezza dell’impresa. In dettaglio, la propensione ad aumentare la produzione aziendale risulta relativamente più diffusa tra le imprese molto grandi (oltre 200 capi) e tra quelle con un numero di capi compreso tra 20 e 49: nel caso della aziende molto grandi, infatti, l’aumento della produzione potrebbe consentire il raggiungimento del grado ottimale di utilizzo della capacità produttiva; diversamente nelle aziende medio-piccole l’aumento della produzione potrebbe essere realizzato sotto l’impulso derivante, in primo luogo, dall’assenza di vincoli e, in secondo luogo, dalla disponibilità di risorse precedentemente impiegate per le gestione stessa delle quote (affitto o prelievo). L’orientamento a mantenere lo status quo, pur essendo generalmente diffuso, è stato riscontrato in misura leggermente superiore tra le imprese medio-grandi (tra 100 e 500 capi), che - probabilmente - avendo già effettuato investimenti importanti nel corso degli anni hanno già raggiunto un livello dimensionale ottimale ovvero un livello di output che permette di utilizzare i fattori produttivi nel modo tecnicamente ed economicamente più efficiente. Figura 3.2 – Scelta di produzione aziendale post 2015 per dimensione (%) <20 Aumento 70% Mantenimento 60% 50% ≥ 1.000 20-49 40% 30% 20% 10% 0% 500-999 50-99 200-499 100-199 Nota: i vertici della “ragnatela” indicano la classe dimensionale di appartenenza dell’azienda espressa in numero di capi. Fonte: Campione Ismea 3.2 Studio del comportamento delle imprese 3.2.1 Sezione dedicata a chi ha risposto che manterrà inalterata la produzione Profilo delle imprese che hanno dichiarato che manterranno inalterata la produzione dopo la fine delle quote: 120 casi Trattandosi della quota prevalente di rispondenti, il sottogruppo costituito dalle imprese che hanno dichiarato che modificheranno il livello attuale della produzione, presenta un profilo abbastanza sovrapponibile al Campione Ismea complessivamente considerato, sia per età del conduttore sia per distribuzione territoriale. 15 In termini di indirizzo produttivo, rispetto al Campione, il sottogruppo presenta una quota maggiore di aziende orientate alla produzione di latte destinato a formaggi senza una Denominazione di Origine. Il canale di sbocco prevalente per le imprese del sottogruppo è la Cooperativa o il Consorzio di trasformazione, in misura leggermente più accentuata rispetto alle caratteristiche complessive del campione. Figura 3.3 – Profilo del sottogruppo di imprese che ha dichiarato che manterrà inalterata la produzione vs il Campione di indagine Ismea Gruppo di imprese “=” Campione Ismea Per età del conduttore 4% 3% 17% 79% 14% 82% under_40 over_40 N.I. under_40 over_40 N.I. Per localizzazione geografica 4% 7% 4% 32% 58% NO NE CE 8% 29% 59% ME NO NE CE ME Per indirizzo produttivo 26% 18% 57% Latte alimentare e altri prodotti (yogurt, ecc…) Latte destinato a formaggi DOP/IGP Latte destinato ad altri formaggi 22% 24% 54% Latte alimentare e altri prodotti (yogurt, ecc…) Latte destinato a formaggi DOP/IGP Latte destinato ad altri formaggi 16 Per canale di sbocco 9% 13% 11% 9% 16% 19% 63% Coop./Consorzio di trasformazione Industria Coop./Assoc. di raccolta e comm.zione Trasform. in azienda 60% Coop./Consorzio di trasformazione Industria Coop./Assoc. di raccolta e comm.zione Trasform. in azienda Fonte: Campione Ismea L’imminente abolizione del regime delle quote non viene considerata dalle imprese di questo gruppo un evento determinante sulle scelte produttive né in termini quantitativi (incrementare/diminuire la produzione di latte) né in termini di destinazione finale. La rigida struttura della filiera non favorisce, infatti, cambiamenti rapidi né per quanto concerne i flussi di prodotto (latte alimentare e freschi -formaggi DOP- formaggi non DOP) né con riferimento ai rapporti tra gli operatori delle diverse fasi (allevatore-cooperativa o allevatore-industria). Nel complesso l’allevatore (soprattutto nel caso di realtà associative) è abbastanza indifferente rispetto alla destinazione del latte che viene prodotto nella propria stalla: le peculiarità del prodotto latte (deperibilità, impossibilità di stoccaggio, necessità di mungitura quotidiana) fanno sì che gli obiettivi principali dell’allevatore siano il ritiro del prodotto e la sua remunerazione. In dettaglio, dall’indagine è emerso che: l’84% dei rispondenti (101 imprese su 120) ha dichiarato l’intenzione di mantenere l’attuale indirizzo produttivo e il 14% (17 imprese su 120) ha assunto un atteggiamento di attesa senza esprimere un parere; il cambiamento di indirizzo produttivo è preso in considerazione dagli operatori solo in due casi e in entrambi si tratta di una scelta rivolta al segmento dei formaggi a Denominazione di Origine. Tabella 3.2 – Ipotesi di modifica della destinazione della produzione dopo il 2015 Indirizzo produttivo attuale: Latte alimentare e altri prodotti Latte destinato a Latte destinato ad (yogurt, ecc…) formaggi DOP altri formaggi Modifica della destinazione: No 101 84% 14 67% 63 93% 24 77% Non so 17 14% 6 29% 5 7% 6 19% Si, vs latte alimentare - 0% - 0% Si, vs latte per formaggi DOP 2 2% 1 5% Si, vs latte per formaggi no Do - 0% - 0% - 0% 120 100% 21 100% 68 100% - 0% 1 3% 31 100% Fonte: Campione Ismea 17 3.2.2 Sezione dedicata a chi ha risposto che aumenterà la produzione Profilo delle imprese che hanno dichiarato che aumenteranno la produzione dopo la fine delle quote: 54 casi Le aziende orientate ad un accrescimento della produzione sono prevalentemente localizzate nelle regioni nordoccidentali e nordorientali e, sotto il profilo dimensionale (vedi Fig. 3.2), si tratta di realtà molto grandi (con oltre 200 capi allevati) o medio piccole (con un numero di capi compreso tra 20 e 49), prevalentemente associate a realtà di tipo cooperativo e che producono latte destinato a formaggi a denominazione e, in misura non trascurabile, latte alimentare. Questo sottogruppo di aziende, fatta eccezione della distribuzione per età del conduttore, presenta alcune differenze rispetto al Campione di indagine considerato nella sua totalità. In particolare, il sottogruppo è caratterizzato da: - una maggiore concentrazione territoriale nelle regioni di Nord Ovest, a discapito di quelle del Nord Est; - un indirizzo produttivo maggiormente orientato ai formaggi a Denominazione di Origine e al latte alimentare; - un canale di sbocco maggiormente rappresentato da Cooperative/Consorzi di trasformazione e dall’industria. Figura 3.4 – Profilo del gruppo di imprese che ha dichiarato di aumentare la produzione vs il Campione di indagine Ismea Gruppo di imprese “” Campione Ismea Per età del conduttore 4% 3% 15% 82% 81% under_40 14% over_40 N.I. under_40 over_40 N.I. Per localizzazione geografica 4% 6% 4% 8% 26% 29% 59% 65% NO NE CE ME NO NE CE ME 18 Per indirizzo produttivo 6% 22% 24% 33% 61% 54% Latte alimentare e altri prodotti (yogurt, ecc…) Latte destinato a formaggi DOP/IGP Latte destinato ad altri formaggi Latte alimentare e altri prodotti (yogurt, ecc…) Latte destinato a formaggi DOP/IGP Latte destinato ad altri formaggi Per canale di sbocco 6% 4% 9% 11% 22% 19% 60% 69% Coop./Consorzio di trasformazione Industria Coop./Assoc. di raccolta e comm.zione Trasform. in azienda Coop./Consorzio di trasformazione Industria Coop./Assoc. di raccolta e comm.zione Trasform. in azienda Fonte: Campione Ismea Per le aziende che hanno dichiarato un aumento della produzione dopo il 2015, l’entità di tale incremento si profila piuttosto esiguo e, in tutti i casi, la decisione prescinde dalle caratteristiche dell’azienda sia in termini dimensionali sia in termini di destinazione produttiva e canale di sbocco. In particolare, 2 allevatori su 5 hanno indicato che la crescita della produzione di latte non supererà il 10% degli attuali livelli aziendali e, nel complesso, solo 4 operatori hanno indicato un incremento superiore al 50% del volume attuale. Del resto, sebbene non più regolamentato dalle quote dal 2015, l’aumento della produzione aziendale è ostacolato da molteplici vincoli ambientali, strutturali ed economici. 19 In primo luogo, infatti, le prescrizioni della cosiddetta “Direttiva nitrati”1, imponendo il divieto di spargimento dei reflui degli allevamenti oltre un limite massimo annuo per ettaro (170 kg di azoto), stabiliscono una proporzione obbligatoria tra numero di capi di bestiame in allevamento e superfici idonee allo smaltimento dei reflui zootecnici prodotti. In secondo luogo, e strettamente connesso al primo punto, esiste una ridotta disponibilità di superfici agricole a causa dell’erosione del suolo per fini urbanistici e costi di affitto/acquisto molto elevati. Altri vincoli all’espansione produttiva delle strettamente connessi alla marginalità, ossia: aziende sono rappresentati da fattori - livelli di remunerazione che non consentono di effettuare investimenti finalizzati all’incremento della produttività; - struttura dei costi troppo esposta alla volatilità, in particolare con riferimento ai costi di alimentazione (che rappresentano quasi il 50% dei costi totali) che negli ultimi anni hanno subito forti oscillazioni a causa dei prezzi dei mangimi, soprattutto del mais e della soia (fenomeni speculativi, trade-off biocarburanti). Tabella 3.3 - Misura dell'incremento produttivo previsto (per classe di capi) Incremento futuro della produzione Classi di capi 20-49 50-99 100-199 200-499 500-999 >= 1.000 Totale <= 10% 5 3 2 5 4 4 11-50% 4 5 4 7 4 3 51-100% 23 27 3 >100% 1 1 2 1 Totale 9 9 6 13 10 7 54 Fonte: Campione Ismea Tabella 3.4 - Misura dell'incremento produttivo previsto (per destinazione attuale della produzione di latte) Incremento futuro della produzione Destinazione della produzione aziendale: <= 10% 11-50% 51-100% Latte alimentare e altri prodotti 9 8 1 Latte destinato a formaggi DOP/IGP 12 18 2 Latte destinato ad altri formaggi 2 1 Totale 23 27 >100% Totale 18 1 33 3 3 1 54 Fonte: Campione Ismea 1 Direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, recepita in Italia tramite il decreto legislativo dell’11 maggio 1999, n. 152 e il decreto ministeriale del 7 aprile 2006. 20 Tabella 3.5 - Misura dell'incremento produttivo previsto (per canale di sbocco) Incremento futuro della produzione Destinazione della produzione aziendale: Coop./Consorzio di trasformazione <= 10% 11-50% 51-100% >100% 17 18 1 1 Industrie 4 6 2 Coop./Assoc. di raccolta e commercializzazione 1 2 Trasformazione. in azienda 1 1 Totale 23 27 Totale 37 12 2 3 1 54 Fonte: Campione Ismea Anche gli operatori che hanno ipotizzanto un incremento della produzione (in analogia a coloro che hanno dichiarato il mantenimento die livelli attuali) non considerano l’abolizione del regime delle quote come evenienza per modificare anche l’indirizzo produttivo aziendale: - - il passaggio dalla produzione di latte alimentare a latte per formaggi DOP è stato indicato da una sola impresa e, in modo speculare, da un’altra sola impresa è stato indicato il passaggio inverso; 46 imprese su 54, infatti, hanno affermato di voler mantenere l’indirizzo attuale e altre 5 hanno assunto un atteggiamento di attesa. Le aziende si sono espresse, poi, sulle modalità di accrescimento della produzione di latte della propria azienda: - - in 4 casi su 5 il principale intervento indicato è l’aumento della rimonta interna, ma non in maniera esclusiva. Nella maggior parte dei casi l’aumento della rimonta è, infatti, previsto in associazione ad altre scelte gestionali, come l’aumento della resa per capo (diversificazione della razione alimentare, investimenti in ambito genetico e/o sanitario, investimenti in strutture aziendali finalizzate al benessere, etc.) e, in seconda battuta, l’acquisto di nuovi capi; solo 8 aziende hanno indicato un incremento della mandria come investimento primario finalizzato all’accrescimento della produzione di latte; in nessun caso è stata indicata come modalità primaria e esclusiva l’aumento della resa per capo; infine, in nessun caso (né come modalità principale né come modalità in associazione) è stata presa in considerazione l’ipotesi dell’acquisizione e/o dell’accorpamento con altri allevamenti da latte. Tabella 3.6– Ipotesi di modifica della destinazione del latte prodotto Indirizzo produttivo attuale Latte alimentare e altri Latte destinato a Latte destinato ad prodotti (yogurt, ecc…) formaggi DOP altri formaggi Modifica della destinazione No 46 14 30 Non so 5 2 3 Si, vs latte alimentare Si, vs latte per formaggi DOP 1 1 1 Si, vs latte per formaggi no Do 1 1 Totale 54 18 2 1 33 3 Fonte: Campione Ismea 21 Tabella 3.7 - Modalità di aumento della produzione di latte Intervento in associazione: Totale - Acquisto nuovi capi Aumento resa per capo 7 31 Aumento della rimonta 54 Aumento della rimonta 44 in modo esclusivo 6 in associazione ad uno o più interventi secondari 38 - 8 Acquisto nuovi capi in modo esclusivo 2 in associazione ad uno o più interventi secondari 6 - 2 Aumento resa per capo in modo esclusivo 0 in associazione ad uno o più interventi secondari 2 5 1 2 Fonte: Campione Ismea 3.2.3 Sezione dedicata a chi ha risposto che chiuderà l’azienda Profilo delle imprese che hanno dichiarato la cessazione dell’attività dopo la fine delle quote: 16 casi Le aziende che prospettano una cessazione dell’attività dopo il 2015 costituiscono un sottogruppo abbastanza ristretto, caratterizzato dal seguente profilo: - - in tutti i casi si tratta di aziende gestite da imprenditori con oltre i 40 anni di età; la chiusura dell’impresa è un’eventualità che prescinde dalla attuale destinazione del latte prodotto e risulta più diffusa sia tra le aziende che conferiscono a Cooperative/Consorzi di trasformazione sia tra quelle che consegnano all’Industria; le imprese sono prevalentemente localizzate nelle regioni settentrionali. Figura 3.5 – Profilo del gruppo di imprese che ha dichiarato la cessazione dell’attività Per età del conduttore Per localizzazione geografica 0% 19% 38% 13% 31% 100% under_40 over_40 N.I. NO NE CE ME 22 Per indirizzo produttivo Per canale di sbocco 13% 31% 31% 6% 44% 38% 38% Latte alimentare e altri prodotti (yogurt, ecc…) Latte destinato a formaggi DOP/IGP Latte destinato ad altri formaggi Coop./Consorzio di trasformazione Industria Coop./Assoc. di raccolta e comm.zione Trasform. in azienda Fonte: Campione Ismea 3.2.4 Sezione dedicata a chi ha risposto che diminuirà la produzione (6 casi) L’ipotesi di diminuzione della produzione aziendale dopo il 2015 è stata indicata da 6 operatori e nella metà dei casi (3 su 6) si tratta di imprese di grandi dimensioni (oltre 200 capi) che destinano il latte alla trasformazione casearia. La contrazione della produzione è paventata da parte delle imprese come conseguenza della erosione dei margini aziendali, principalmente a causa degli elevati costi di produzione e di una contestuale – e temuta - riduzione dei prezzi di vendita successiva alla liberalizzazione del mercato. 23 3.3 Le principali conseguenze della liberalizzazione del mercato del latte: il parere degli operatori Nella seconda parte dell’indagine gli allevatori sono stati invitati ad esprimersi su quali saranno, a loro avviso, le principali conseguenze della liberalizzazione del mercato del latte a partire dal 1° aprile 2015. Al fine di non condizionare i giudizi e le opinioni degli operatori interpellati, si è preferito formulare questa domanda lasciando la risposta aperta, ossia senza sottoporre all’intervistato una serie di ipotesi predefinite tra le quali indicare la risposta reputata “giusta”. Le opinioni complessivamente rilasciate vertono su nove scenari: Scenari probabili: In sintesi: Flessione del prezzo nazionale del latte alla stalla, per effetto della maggiore produzione e della maggiore competitività degli altri paesi comunitari crollo prezzo latte Molte aziende chiuderanno, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni ed economicamente inefficienti. chiusura aziende Timore di fenomeni speculativi da parte dell'industria, della Grande Distribuzione, delle multinazionali. speculazioni all’interno della filiera Non si prevedono cambiamenti rilevanti dell’assetto attuale del settore lattiero caseario nazionale nessun cambiamento Migliore andamento del mercato del latte, regolato dalle leggi della domanda e dell’offerta e senza condizionamenti derivanti dal contingentamento della produzione. miglioramento del mercato L’abolizione delle quote penalizzerà coloro che hanno rispettato il regime di contingentamento, favorendo chi non ha rispettato le norme e/o non ha pagato le multe penalizzazione degli “onesti” Aumenterà l’importazione di latte proveniente da altri Paesi comunitari, a loro volta liberi di accrescere la produzione. più latte estero nel nostro Paese I piccoli allevatori di pianura verranno fagocitati da quelli più grandi; quelli di montagna resisteranno per l’oggettiva difficoltà di espansione da parte delle grandi imprese. differenze tra piccoli allevamenti di pianura e di montagna Scenario incerto, in merito al quale l’operatore non sa ancora esprimersi o non è in grado di fare una previsione. incertezza Su tutti gli scenari paventati dagli operatori risulta prevalente quello della contrazione del numero di allevamenti: l’uscita dal mercato delle aziende, soprattutto di quelle di dimensioni ridotte e di quelle meno efficienti sotto il profilo dei costi, è l’ipotesi confermata da circa un terzo degli intervistati. Gli operatori sono pervasi, poi, da una sensazione di incertezza sul “cosa accadrà dopo” e non riescono a formulare ipotesi ben precise sull’evoluzione futura del mercato. Abbastanza condiviso è anche il timore del calo del 24 prezzo del latte - come conseguenza di una maggiore offerta e di una più spinta concorrenza in ambito nazionale ed europeo - e il verificarsi di speculazioni a danno degli allevatori da parte degli industriali o della GDO o ancora delle multinazionali. Una quota analoga di rispondenti ha indicato che non ci saranno cambiamenti significativi e che lo scenario rimarrà sostanzialmente rispetto allo stato attuale. Presenti anche pareri favorevoli all’abolizione del regime delle quote che ravvisano all’indomani della liberalizzazione un miglioramento del funzionamento del mercato del latte. Più pessimistica, invece, la previsione di chi si attende una penalizzazione degli “onesti”, ossia di coloro che hanno sempre rispettato le quote a vantaggio di chi non le ha rispettate e che si teme rimarrà impunito con l’abolizione delle stesse. Questa preoccupazione è emersa anche in relazione al fatto allo stato attuale non è previsto alcun indennizzo per coloro che hanno effettuato investimenti per l’acquisto di quote e che al 1° aprile 2015 vedranno di colpo azzerato il valore patrimoniale delle stesse, con conseguenze anche dal punto di vista dell’esposizione finanziaria. Minoritarie, poi, altre opinioni che indicano, come principale conseguenza della fine delle quote, l’aumento delle importazioni di latte nel nostro Paese. Poco frequente - ma presente - infine, anche il punto di vista di chi ha posto l’accento sulla diversa collocazione altimetrica degli allevamenti, ipotizzando una situazione più difficile per i piccoli allevamenti di pianura che verosimilmente subiranno le pressioni e la concorrenza degli operatori più grandi. Di converso, l’assetto produttivo degli allevamenti di montagna risulterebbe preservato dalle nuove dinamiche della liberalizzazione proprio a motivo della loro localizzazione geografica. L’analisi dei risultati per area geografica di appartenenza dei rispondenti evidenzia, tuttavia, alcune differenze rispetto ai risultati analizzati nel loro complesso, esemplificate da ranking diversi in ciascuna macro area del Paese. In tutte le aree è condivisa al primo posto l’ipotesi della chiusura delle aziende meno efficienti e meno competitive. Le maggiori differenze si riscontrano al Nord Ovest, dove la flessione del prezzo del latte appare la seconda ipotesi, seguita dal timore di atteggiamenti speculativi da parte di soggetti in posizione dominante rispetto alla parte allevatoriale. Tabella 3.8 – Le principali conseguenze dell’abolizione del regime delle quote latte, in totale e per macro area Ranking* Principali conseguenze dell'abolizione delle quote: Campione NO NE CE ME chiusura aziende 31% 1 1 1 1 1 incertezza 17% 2 4 2 1 2 crollo prezzo del latte 15% 3 2 3 1 3 speculazioni all’interno della filiera 13% 4 3 4 2 4 nessun cambiamento 12% 5 4 5 2 4 miglioramento del mercato del latte 5% 6 5 6 2 4 penalizzazione degli "onesti" 3% 7 6 6 - - più latte estero importato nel nostro Paese 3% 8 7 - - - differenze tra allevamenti di pianura e di montagna 0% 9 8 - - - *Si tratta di un Ranking di ordine decrescente, dove alla posizione “1” viene collocata l’ipotesi di scenario a più alta frequenza di risposte e all’ultima posizione quella a più bassa frequenza di risposte. Fonte: Campione Ismea 25 Delle differenze ancora più evidenti di ranking emergono nell’analisi dei risultati per indirizzo produttivo dell’azienda: - - tra i produttori di latte destinato formaggi DOP, non vi è incertezza dello scenario post 2015 mentre risulta più temuto il verificarsi di fenomeni speculativi, soprattutto a svantaggio della qualità del latte; nel segmento della produzione di latte destinato alla produzione di formaggi che non hanno un riconoscimento di origine la quota maggiore di operatori si è dichiarata incerta riguardo al dopo liberalizzazione; una quota più contenuta ha esplicitato il timore della chiusura di alcune aziende; mentre una rappresentanza di poco inferiore ha ipotizzato un miglioramento del funzionamento del mercato del latte. Tabella 3.9 – Le principali conseguenze dell’abolizione del regime delle quote latte, in totale e per indirizzo produttivo dell’azienda Ranking* Principali conseguenze dell'abolizione delle quote: Campione L_A Form_DOP Form_NoDO chiusura aziende 31% 1 1 1 2 incertezza 17% 2 3 5 1 crollo prezzo del latte 15% 3 2 4 4 speculazioni all’interno della filiera 13% 4 4 2 5 nessun cambiamento 12% 5 4 3 4 miglioramento del mercato del latte 5% 6 6 6 3 penalizzazione degli "onesti" 3% 7 5 6 6 più latte estero importato nel nostro Paese 3% 8 - 7 5 differenze tra allevamenti di pianura e di montagna 0% 9 - - 6 *Si tratta di un Ranking di ordine decrescente, dove alla posizione “1” viene collocata l’ipotesi di scenario a più alta frequenza di risposte e all’ultima posizione quella a più bassa frequenza di risposte. Fonte: Panel Ismea Legenda: L_A: Latte alimentare; Form_DOP: Latte destinato alla produzione di formaggi DOP/IGP; Form_NoDO: Latte destinato alla produzione di formaggi senza DO. Fonte: Campione Ismea Al fine di capire se le prospettive generali del settore di fatto risultano influenzate dalla grandezza dell’azienda sono state analizzate anche le risposte in base alla numerosità di capi allevati. I dati mettono in risalto che in modo trasversale i due scenari più di frequente indicati sono quelli della chiusura della aziende e dell’incertezza. Nel caso delle imprese molto grandi (oltre 500 capi) assume una rilevanza di primo piano l’ipotesi della flessione del prezzo del latte, che è quasi sempre indicata al terzo posto anche nelle realtà di dimensioni più ridotte (fino a 100 capi). 26 Tabella 3.10 – Le principali conseguenze dell’abolizione del regime delle quote latte, in totale e dimensione dell’azienda (classi di capi) Ranking* Principali conseguenze dell'abolizione delle quote: T O T <20 2049 5099 100 - 200 - 500 ≥ 199 499 999 1.000 chiusura aziende 31% 1 1 2 1 1 1 1 2 incertezza 17% 2 2 1 2 3 2 4 4 crollo prezzo del latte speculazioni all’interno della filiera 15% 3 3 3 3 4 4 2 1 13% 4 3 3 5 2 3 4 3 nessun cambiamento miglioramento del mercato del latte 12% 5 1 5 4 5 2 3 3 5% 5 3 4 5 7 5 - 5 penalizzazione degli "onesti" più latte estero importato nel nostro Paese differenze tra allevamenti di pianura e di montagna 3% 7 - 5 - 4 6 - 5 3% 8 - 5 6 6 6 - - 0% 8 - - - - - 5 - *Si tratta di un Ranking di ordine decrescente, dove alla posizione “1” viene collocata l’ipotesi di scenario a più alta frequenza di risposte e all’ultima posizione quella a più bassa frequenza di risposte. Fonte: Campione Ismea Altre interessanti considerazioni in merito ai possibili scenari post 2015 sono emerse dalle interviste realizzate face to face. - Tutti gli esperti intervistati sono concordi nell’affermare che la fine delle quote latte non determinerà grandi stravolgimenti negli assetti produttivi attuali né a livello nazionale né a livello comunitario. - L’eventuale maggiore disponibilità di latte a livello comunitario potrebbe rappresentare un rischio in situazioni contingenti di prezzi esteri più vantaggiosi: l’afflusso di latte estero in cisterna potrebbe rappresentare un grande limite per le aziende nazionali che puntano tutto sulla territorialità del prodotto. Il timore è che si perda il valore aggiunto dei prodotti caratterizzati da un forte legame con il territorio (latte fresco e formaggi a denominazione) e che si svilisca eccessivamente la remunerazione delle stalle nazionali. - Attualmente, molti Stati Membri (soprattutto dell’Europa orientale) producono già abbondantemente sotto quota; pertanto l’eventuale aumento della produzione, soprattutto da parte grandi Paesi tradizionalmente produttori di latte (Germania, Francia, Olanda, Danimarca), non dipenderebbe dalla liberalizzazione del mercato, piuttosto dal profilarsi di nuove opportunità di sbocco giustificate dalla rapida evoluzione della domanda mondiale. Rispetto al sistema italiano, principalmente orientato alle produzioni di qualità e incentrato sul mercato domestico, i produttori comunitari possono fare affidamento su una maggiore apertura internazionale dei propri sistemi produttivi, oltre che su una diversa organizzazione della filiera e potrebbero, quindi, cogliere le opportunità derivanti dal mercato mondiale. - La consapevolezza dell’importanza delle proteine nella dieta, la diffusione di modelli consumo più evoluti e la maggiore solvibilità da parte dei Paesi emergenti hanno fatto crescere la domanda in misura esponenziale, creando un gap di offerta a 27 livello mondiale e generando fenomeni di elevata volatilità. I prezzi delle commodity (soprattutto latte in polvere e burro) hanno, quindi, subito un’impennata tanto da divenire un business appetibile a livello di fondi di investimento (future) e l’introduzione di elementi speculativi potrebbe avere risvolti negativi sulla filiera ed esasperare la volatilità del settore (come già accaduto per il mercato dei cereali). 3.4 Strumenti a sostegno delle aziende: gli allevatori conoscono il “Pacchetto latte”? L’indagine si è conclusa con una domanda sulle misure previste dal Regolamento (UE) n. 261/20122, ovvero il cosiddetto “Pacchetto latte”, al fine di verificare quanti sono gli operatori del settore che le conoscono e, tra quelli che le conoscono, quanti sono quelli che le considerano uno strumento idoneo ad attenuare i probabili effetti negativi derivanti dall’abolizione del regime delle quote e, più in generale, dal minore sostegno al mercato previsto dalla nuova PAC. Dal punto di vista giuridico, il “Pacchetto latte” è un regolamento che modifica il regolamento dell’OCM unica (Reg. Ce 1234/2007), in cui sono introdotte alcune misure specifiche finalizzate al rafforzamento della posizione dei produttori lattiero-caseari nella filiera. L’orientamento del “Pacchetto latte” non è rivolto, come nel passato, alla stabilizzazione dei prezzi sui mercati interni, ma ad aiutare gli agricoltori a convivere con la volatilità, migliorando le relazioni di filiera. In sintesi gli strumenti individuati sono quattro: - relazioni contrattuali: contratti scritti tra produttori di latte e trasformatori; - possibilità di negoziare collettivamente le condizioni contrattuali attraverso le organizzazioni dei produttori (OP); - norme specifiche per la costituzione e il funzionamento delle organizzazioni interprofessionali (OI); - programmazione dell’offerta dei formaggi DOP e IGP. Le nuove misure, che saranno riesaminate nel 2014 e nel 2018 e che dovrebbero rimanere in vigore fino al 2020, sono state emanate dal legislatore comunitario con la finalità di accompagnare i produttori di latte dopo l’abolizione delle quote e migliorare la loro organizzazione secondo una logica più orientata al mercato. Poco più della metà degli operatori intervistati ha dichiarato di conoscere le misure del “Pacchetto latte”. Ne consegue che circa 2 aziende su 5 non sono informate sulle nuove misure che riguardano i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattierocaseari. La disinformazione è generalmente diffusa a livello territoriale sebbene con maggiore intensità nelle aree del Centro-Sud e tra gli imprenditori più giovani. In base 2 Regolamento (UE) n. 261/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012 che modifica il regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. 28 all’aspetto dimensionale, sembra invece che siano meno informate le aziende piccole (con meno di 50 capi allevati), mentre la conoscenza risulta decisamente superiore alla media se si considerano le imprese molto grandi (con un numero di capi allevati compreso tra 500 e 999). Tra quelli che hanno affermato di conoscere il “Pacchetto Latte”, però, in 8 casi su 10 è stata dichiarata un’insoddisfazione rispetto alla tutela assicurata dalla normativa. Figura 3.6 – Quota di imprese che conosce le misure del pacchetto latte No 44% Sì 56% Fonte: Campione Ismea Figura 3.7 – La conoscenza delle misure del pacchetto latte tra le imprese del Campione Ismea (per area geografica, età del conduttore e dimensione economica) Per area geografica Campione 56% 44% NO 57% 43% NE 59% 41% CE 44% ME 56% 50% 0% 20% 50% 40% Sì 60% 80% 100% No 29 Per età del conduttore Campione 57% 43% over_40 58% 42% under_40 53% 0% 47% 20% 40% 60% Sì 80% 100% No Per dimensionale (classe di capi) Campione 56% 44% ≥ 1.000 57% 43% 500-999 65% 200-499 35% 55% 45% 100-199 58% 42% 50-99 58% 42% 20-49 47% <20 53% 55% 0% 20% 45% 40% 60% Sì 80% 100% No Fonte: Campione Ismea Anche gli esperti intervistati si sono espressi in merito alla valenza del “Pacchetto Latte”, sottolineando l’importanza della presa di coscienza da parte del legislatore europeo dello squilibrio strutturale tra la forza contrattuale dei produttori di latte e l’industria. Tuttavia, per quanto riguarda l’efficacia della misura esistono pareri abbastanza contrastanti. Tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che a un anno di distanza dall’entrata in vigore della norma, ad eccezione, della programmazione produttiva dei formaggi a 30 denominazione, poco o nulla è stato fatto in tema di Organizzazione dei Produttori e, quindi, di contrattazione. Tab. 3.11 - Le opinioni degli esperti in merito al “Pacchetto Latte” “FAVOREVOLI” “CONTRARI” Strumento importante per la riorganizzazione dei produttori (fare sistema, massa critica di prodotto). Scarso interesse da parte degli allevatori (intervento non monetizzato) e difficoltà di comunicazione da parte degli organismi associativi. Ruolo organizzativo delle OP: in assenza di vincoli produttivi, importante strumento di governo della produzione. Creazione di OP non commerciali, che non acquistano il latte degli allevatori associati, ma si limitano a eseguire la negoziazione collettiva del prezzo del latte. Contrastare gli squilibri nella distribuzione della ricchezza lungo la filiera. La portata innovativa dell’intervento è relegata allo strumento dell’associazionismo, ma in Italia esiste ancora un forte vincolo culturale a questo tipo di approccio. Programmazione produttiva dei formaggi DOP, per limitare le oscillazioni di mercato. La programmazione della formaggi DOP tutela solo produttori di latte. produzione una parte dei dei 31 CONCLUSIONI Dopo un trentennio di applicazione, la maggior parte degli operatori ha tracciato un bilancio complessivamente positivo sul regime delle quote latte. Il sistema è stato uno strumento molto efficace di organizzazione della produzione e non ha rappresentato un limite all’espansione produttiva delle aziende, poiché, a fronte della significativa contrazione del numero di allevamenti, la produzione nazionale è rimasta sostanzialmente costante. I vincoli produttivi hanno, quindi, rappresentato una misura efficace rispetto al mantenimento del livello dei prezzi alla stalla e il prezzo del latte crudo italiano ha continuato ad essere il più alto del mondo. L’esistenza del regime ha, inoltre, tutelato la zootecnia da latte anche nelle aree meno vocate, come le zone di montagna e li Centro-Sud della penisola, dove l’allevamento ha rappresentato l’unica alternativa possibile con risvolti molto positivi anche in termini di gestione e mantenimento. Il sistema ha però evidenziato negli anni numerose criticità che ne hanno attutito i risvolti positivi sulla filiera nazionale. L’anomala gestione del prelievo supplementare ha di fatto costituito una turbativa al funzionamento del mercato interno, rappresentando un forte limite concorrenziale per le aziende che hanno operato nel rispetto della normativa europea. Inoltre, molti allevatori hanno fortemente investito per l’acquisto di quote e alla fine del regime vedranno completamente azzerato il valore del capitale, mentre l’indebitamento per gli investimenti effettuati continuerà a rappresentare una voce importante del loro bilancio economico. Il “Pacchetto Latte” è considerato un insieme di misure abbastanza inefficace - oltre che difficilmente applicabile - per il sostegno della produzione nazionale e la sopravvivenza delle aziende, che, dal canto loro, nella maggior parte dei casi auspicano ad altri provvedimenti. Tra quelli citati: - l’avanzamento in sede WTO del processo di riconoscimento dei marchi di tutela, per fronte al grave problema della contraffazione e dell’Italian sounding; - l’importanza del monitoraggio dei mercati per una corretta diffusione delle informazioni a tutti gli operatori della filiera; - una maggiore diffusione della cultura d’impresa, soprattutto in merito alla gestione dei costi e della marginalità aziendale. A partire dal 1° aprile 2015 bisognerà voltare pagina e il sistema produttivo nazionale non sembra orientato a grandi stravolgimenti, per l’esistenza di oggettivi vincoli di tipo strutturale all’accrescimento della produzione delle aziende da latte. Al di là del temuto scenario di chiusura delle aziende più piccole e meno efficienti (fenomeno peraltro fisiologico vista la mancanza di ricambio generazionale), gli operatori sono pervasi da un grande senso di incertezza e di pessimismo che deriva soprattutto dalla applicazione della nuova Politica Agricola Comunitaria. L’entrata i vigore della PAC – e la conseguente riduzione del sostegno al reddito degli agricoltori - avrà un impatto decisamente più pregnante che l’abolizione del sistema delle quote latte. Il taglio dei pagamenti diretti avrà un impatto devastante sulle aziende poco efficienti, che non sono state in grado di attuare scelte gestionali adeguate nel corso degli anni e che hanno imperniato la loro marginalità sul premio comunitario. 32 Allegato: Questionario D1 - Qual è il numero totale di capi allevati dalla sua azienda? n. _______ D2 - In riferimento alla campagna 2012/2013, potrebbe dire quale è stato il numero medio di capi in produzione nella sua azienda? n. _______ D3 - In riferimento alla campagna 2012/2013, qual è stata la produzione media annua di latte per capo nella sua azienda? kg _______ D4 - Qual è la destinazione prevalente del latte prodotto dalla sua azienda? (una sola risposta) 1 Latte alimentare e altre destinazioni (yogurt, ecc…) 2 Latte destinato alla produzione di formaggi a Denominazione di Origine (DO) 3 Latte destinato alla produzione di formaggi che non sono a Denominazione di Origine D5 - Qual è il canale di sbocco prevalente del latte prodotto dalla sua azienda? (una sola risposta) 1 Conferimento a cooperativa/consorzio per la lavorazione del latte alimentare 2 Industria 3 Cooperative/Associazioni per la raccolta e la commercializzazione del latte 4 Il latte prodotto è prevalentemente trasformato in azienda D6 - In previsione dell’abolizione del regime delle quote latte (a partire da aprile 2015), pensa di: 1 Aumentare la produzione complessiva di latte della sua azienda vai alla D7 2 Mantenere inalterata la produzione complessiva di latte della sua azienda vai alla D12 3 Ridurre la produzione complessiva di latte della sua azienda vai alla D9 33 4 Riconvertire la produzione della sua azienda vai alla D10 5 Pensa di chiudere la sua azienda vai alla D13 6 Non è in grado di fare delle previsioni a riguardo vai alla D13 7 Non sono informato sull’abolizione delle quote e non so rispondere vai alla D13 D7 - Di quanto, in percentuale? 1 10% 2 11%-50% 3 51%-100% 4 più del 100% D8 - In che modo? Domanda a risposta multipla (fino a 4 risposte) Indicare, utilizzando i parametri da 1 a 4, l’ordine degli interventi che si intende adottare, dove: “1” indica il primo “2” indica il secondo “3” indica il terzo “4” indica il quarto, l’ultimo 1 Incrementando il numero di capi della sua azienda: aumentando la rimonta 1 2 3 4 2 Incrementando il numero di capi della sua azienda: acquistando nuovi capi 1 2 3 4 3 Aumentando la resa per capo (investimenti in ambito genetico, in ambito sanitario, nell’alimentazione degli animali, investimenti sulle strutture dell’azienda) 1 2 3 4 4 Acquisizione e/o accorpamento di altre aziende di allevamento di bovino da latte 1 2 3 4 N.B. dopo la D8 passare alla D 12 34 D9 - Potrebbe dirci perché? (Domanda aperta) ………………………………………………………………………… vai alla D12 D10 - Potrebbe dirci perché? (Domanda aperta) ………………………………………………………………………… D11 In particolare, potrebbe dirci verso quale orientamento produttivo prevalente? (una sola risposta) 1 Altre produzioni zootecniche, specificare. …………………………………………. 2 Seminativi 3 Colture permanenti N.B. dopo la D11 passare alla D 13 D12 In previsione della liberalizzazione del mercato del latte e in riferimento all’attuale specializzazione della sua azienda, pensa di modificare la destinazione della sua produzione? 1 No 2 Non sono ancora in grado di fare previsioni 3 Si, verso il latte alimentare 4 Si, verso il latte destinato alla produzione di formaggi Origine (DO) a Denominazione di 5 Si, verso il latte destinato alla produzione di formaggi Denominazione di Origine che non sono a D13 E in generale, a suo avviso, quali saranno le principali conseguenze dell’abolizione del regime delle quote latte? (Domanda aperta) …………………………………………………………………………….. D14 Secondo lei, le misure del “pacchetto latte” serviranno ad attenuare i probabili effetti negativi sul prezzo del latte derivanti dall’abolizione del regime? 1 Non conosco le misure del pacchetto latte 2 Si, sono convinto che sono delle misure adatte 3 No, sono convinto che sono insufficienti/inutili 35