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La zootecnia biologica e l’allevamento bovino
Materiale per il CD della Coldiretti
Che cos’è la Zootecnia Biologica
Un po’ di storia
Il concetto di zootecnia biologica non ha certamente più di 10 anni, ed è almeno di tre
lustri più giovane rispetto a quello di agricoltura biologica intesa come solo coltura dei
vegetali. Conviene fare qualche cenno storico per capire meglio.
All’interno del movimento ecologista internazionale negli anni ‘70 si formarono le
prime associazioni che si occupavano di agricoltura biologica. Anche in Italia molti
decisero di dedicarsi a questo tipo di produzione. C’è da dire che almeno all’inizio
pochi di quelli che decidevano di diventare produttori biologici erano agricoltori, ma
erano singoli o gruppi spesso spinti da motivazioni ideologiche che facevano loro
superare difficoltà a cui un agricoltore classico si sarebbe subito arreso. Essi agivano
spesso in maniera individuale o scollegata, tanto che in Italia verso la fine degli anni
‘70 esistevano in pratica poche associazioni che si occupavano del problema (fra le
principali Aam Terra Nuova, Suolo e Salute e l’Associazione per l’Agricoltura
biodinamica). Dopo 10 anni alla fine degli anni ‘80 c’erano già un buon numero di
associazioni che si occupavano di agricoltura biologica fra cui il movimento più
rappresentativo era la Commissione nazionale “Cos’è biologico”, gruppo di lavoro
costituto da 16 membri fra associazioni, coordinamenti regionali, centri naturali e
tecnici nato per promuovere una legge che riconoscesse i prodotti biologici in Italia
(da questa Commissione nacque in seguito l’AIAB). Fino ad allora infatti, al contrario
di molti Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda) legalmente in Italia
non esisteva nessun prodotto che si potesse chiamare biologico. Un primo
riconoscimento si ebbe nel 1988 con una circolare del Ministero dell’Agricoltura.
Si cominciò si può dire solo allora a pensare anche ad una regolamentazione per le
produzioni animali sulla base dei criteri definiti a livello internazionale dall’IFOAM.
Fino alla fine degli anni ‘80 dell’allevamento, anche se in effetti praticato dagli
agricoltori biologici che avevano normalmente nelle loro aziende api, polli, conigli,
pecore e capre si parlava poco. Il motivo era che c’era una certa renitenza a parlare di
quello che all’interno del movimento ecologista veniva senz’altro visto, con ottica già
animalista, vegetariana, o addirittura vegetaliana, come intollerabile sfruttamento degli
animali. Tanto che erano in molti a teorizzare una agricoltura biologica senza animali,
che cioè non utilizzasse nemmeno fertilizzanti di origine animale.
A titolo personale scrissi in quel periodo per Aam Terra Nuova un articolo sulla
trattamento omeopatico degli animali. Anche se mi fu richiesto di non insistere troppo
sulle tecniche di allevamento e sulle produzioni, ma di parlare soprattutto del
benessere degli animali per non irritare troppo la suscettibilità dei lettori, era già il
segno che il dibattito all’interno della Commissione nazionale “Cos’è biologico” stava
cambiando le cose.
Da allora effettivamente molto è cambiato anche sulla spinta di convegni
internazionali o nazionali e dal fatto che finalmente nel 1999 è stato approvato il
Regolamento CE 1804 che dal 24 agosto 2000 è in vigore in tutti gli stati europei.
Definizione
Secondo le norme IFOAM, da cui sono derivati tutti i disciplinari delle Associazioni e
degli Organismi di controllo e le leggi ed i regolamenti sulla zootecnia biologica, gli
animali sono una parte importante del sistema perché sono importanti per chiudere il
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ciclo ecologico dell’azienda biologica. Il letame prodotto è la fonte principale di
materia organica, ed in questo senso è importante per la fertilità del suolo. Gli animali
inoltre possono utilizzare le aree agricole non utilizzate per le produzioni vegetali.
Lasciare aree a produzione di foraggio è poi un buon sistema per evitare rotazioni
molto strette delle colture. Infine l’allevamento degli animali aiuta nella
diversificazione e nel bilanciamento del sistema agricolo.
La conversione delle proteine e dell’energia delle piante in proteine ed energia animale
determina delle perdite dovute alla conversione metabolica. Per questo, a seconda
delle circostanze, si dovrà trovare un equilibrio fra le produzioni agricole destinate al
consumo umano e quelle per l’alimentazione degli animali. Dovranno essere utilizzati
al massimo i sottoprodotti derivanti dai processi di lavorazione industriale dei prodotti
derivanti da agricoltura biologica.
Le tecniche di gestione nell’allevamento animale debbono tenere conto dei fabbisogni
fisiologici ed etologici degli animali. A questo fine deve essere loro consentito di
esplicare i loro basilari fabbisogni comportamentali, e tutte le tecniche di allevamento,
specialmente se richiedono il raggiungimento di buoni livelli di produzione e buone
performance di crescita, debbono essere dirette al mantenimento della buona salute
degli animali.
E’ necessario scegliere razze che siano adattate alle condizioni locali, questo al fine di
ottenere produzioni ragionevoli con bassi livelli alimentari, una buona resistenza e
longevità degli animali e prodotti di qualità. Le tecniche di embryo transfer non sono
concesse, sono sconsigliate, ma tollerate, quelle di inseminazione artificiale.
L’alloggiamento degli animali deve consentire loro un movimento sufficiente,
sufficiente aria fresca e luce solare, protezione dalle intemperie, ampie aree di riposo
coperte da materiali naturali, libero accesso all’acqua ed al cibo, il tutto deve essere
costruito con materiali non trattati o coperti da sostanze tossiche.
Sono vietate pratiche che determinino la mutilazione degli animali come il taglio della
coda, la castrazione, il taglio dei denti, il debeccaggio, la tarpatura delle ali, ed altre.
Possono essere consentiti solo la castrazione di suinetti e vitelli, il taglio della coda
delle pecore per prevenire la miasi, la decornazione dei vitelli.
La dieta deve essere bilanciata in accordo con le necessità nutrizionali degli animali ed
essere di buona qualità. Gli alimenti debbono provenire da agricoltura biologica.
Nell’impossibilità di produrli e reperirli tutti è consentita l’utilizzazione di una piccola
percentuale di alimenti provenienti da produzioni convenzionali. Non possono essere
utilizzati promotori di crescita, appetibilizzanti sintetici, conservanti, coloranti, urea,
sottoprodotti animali (farina di carne) per i ruminanti, alimenti trattati chimicamente
(es. farine di estrazione) o addizionati con altri agenti chimici. Le vitamine, gli
aminoacidi, gli oligoelementi, non debbono provenire da prodotti di sintesi.
Gli animali allevati dovrebbero provenire da altri allevamenti biologici. Nella
impossibilità di realizzare questa condizione, soprattutto nei primi tempi, vengono
posti dei limiti all’acquisto e vengono stabiliti i tempi minimi di permanenza
nell’allevamento dopo i quali le produzioni possono essere considerate biologiche.
Le cure agli animali e tutte le pratiche di allevamento sono rivolte ad ottenere la
massima resistenza contro le malattie e a prevenire le infezioni. Quando necessario gli
animali debbono essere curati da veterinari che pratichino la fitoterapia, l’omeopatia
od altre medicine dolci. I trattamenti classici per il momento non sono proibiti del
tutto, ma è necessario rispettare un periodo di sospensione doppio rispetto a quello di
legge. Sono consentite le vaccinazioni di legge.
Situazione attuale
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La zootecnia biologica stenta ancora a decollare in Italia al contrario di quello che
accade oltralpe. Siamo allo stadio in cui eravamo 15-20 anni fa coll’agricoltura
biologica. Sembra strano dire questo quando il pericolo della BSE incombe
sull’Europa, e non passa settimana che non vengano sequestrate partite di carne infetta
o presunte tali.
Forse le cause sono da ricercarsi in parte nella piccola dimensione delle nostre aziende
biologiche (solo da poco tempo si stanno convertendo in Toscana al biologico aziende
di bovini da carne di una certa consistenza) ed al fatto che il parallelismo fra biologico
e vegetariano non è ancora stato superato: cioè chi consuma biologico è in genere
vegetariano ed al massimo di origine animale può comprare un po’ di miele ed un po’
di formaggio.
Molti allevatori tradizionali, proprietari di un numero consistente di capi, non si
decidono a convertire l’azienda perché hanno paura di fare un salto nel vuoto: hanno
paura cioè di andare a produrre ad un costo maggiore senza avere la sicurezza di
spuntare un prezzo sufficiente sul mercato, anche se adesso le cose con lo scandalo
BSE stanno cambiando. Grossisti e commercianti cominciano a pensare che sarebbe
interessante mettere dei punti vendita per questi prodotti, ma non sanno dove reperirli
in discreta quantità e non sono sicuri che ci sia un mercato. I consumatori dal canto
loro comprerebbero volentieri prodotti biologici di origine animale, ma non sanno
dove trovarli ed hanno paura di doverli pagare troppo.
Vi sono però alcuni esempi importanti.
Da qualche anno la Centrale del Latte di Firenze produce una linea di prodotti
biologici (Podere Centrale) utilizzando il latte prodotto secondo il metodo biologico
nelle stalle della Cooperativa “Emilio Sereni” di Borgo S. Lorenzo (FI) e della
Cooperativa il Monte di Galliano (FI).
Dal 2000 la Cooperativa Agricola di Firenzuola (CAF), che conta più di 100 soci
perlopiù allevatori, produce e commercializza carne biologica bovina ed ovina in
Toscana.
Degne di nota sono anche iniziative sull’impiego di alimenti biologici nelle mense
scolastiche. Far conoscere i prodotti biologici alle famiglie attraverso questo sistema è
sicuramente di grande impatto psicologico e produrrà certamente effetti positivi per la
diffusione di questi alimenti. Va tutto bene per i prodotti vegetali, ormai facilmente
reperibili, ma il problema è che non essendo per adesso sufficiente, ad esempio, la
produzione di carne prodotta con metodo biologico, difficilmente sarà possibile
rifornire di questo prodotto una mensa comunale che ha bisogno di un
approvvigionamento continuo e costante durante tutto l’arco dell’anno.
Non ci sono ancora dati e statistiche sicure riguardanti il settore della zootecnia
biologica, ma ce ne saranno fra non molto, in quanto il Ministero delle Politiche
Agrarie e Forestali e l’ISTAT stanno mettendo a punto banche dati e sistemi di
rilevamento che dovranno dare un’idea di quella che è la reale consistenza di questo
settore.
Allevamento biologico “tradizionale”
Attualmente la maggior parte di quelli che fanno zootecnia biologica sono ancora
agricoltori per i quali l’allevamento rappresenta solo una parte della loro attività.
In genere appartengono ancora alla categoria di quelli per cui la scelta di fare
agricoltura biologica è stata prima di tutto un fatto ideologico e poi una scelta
imprenditoriale. Questi soggetti talvolta hanno una visione del biologico molto
“integralista”, e ritengono che alcune tecniche di allevamento, che eppure sono
consentite dai disciplinari, siano in contrasto col concetto stesso di produrre
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biologico. Mi ricordo, ad esempio, di una discussione presa durante un seminario
con un allevatore di capre che non voleva sentir parlare in nessun modo della
utilizzazione degli insilati, nella alimentazione dei sui animali. Questo tipo di
posizioni, se da una parte sono apprezzabili, perché danno al consumatore ulteriori
garanzie di serietà del prodotto, dall’altra fanno capire come siano difficili ad
ottenere produzioni di alimenti biologici di origine animale sufficienti a soddisfare
un mercato che dovrebbe essere in espansione.
Esistono ancora poche aziende specializzate di certe dimensioni come la già
ricordata Cooperativa “Emilio Sereni” di Borgo S. Lorenzo. Stanno emergendo
solo ora imprenditori classici che hanno convertito o stanno convertendo le loro
aziende e per i quali produrre biologico rappresenta una precisa scelta
imprenditoriale. Con queste aziende “moderniste” il rischio è il contrario di quello
ricordato per le “integraliste”. C’è il pericolo che questi imprenditori neobiologici, sostenuti dalla logica del profitto, tendano ad interpretare in maniera
troppo elastica i disciplinari di produzione.
Certamente i tipi di allevamento estensivo, come ad esempio quelli delle pecore o
dei bovini da carne condotti sui terreni marginali dell’Appennino, sono
generalmente di per sé molto vicini a quanto richiesto dai disciplinari di
produzione, e quindi lo sforzo da fare per adattare completamente l’allevamento al
metodo di produzione biologico è in genere modesto. Un’opera di informazione
sistematica degli allevatori potrebbe in questo caso essere utile per far conoscere
questa possibilità di valorizzazione dei prodotti dell’allevamento. Per alcune
regioni centro-meridionali, dove ancora la pastorizia e la trasformazione dei suoi
prodotti assume un aspetto rilevante, la possibilità di poter valorizzare queste
attività ecocompatibili di alta qualità mediante l’iscrizione ad Organismi di
controllo che le possano certificare, può risultare estremamente interessante. E’ ad
esempio il caso dell’Abruzzo, regione per altro ricchissima di aree protette, dove
solo in questi ultimi anni gli allevatori si sono resi conto di questa possibilità.
Spesso glio Organismi di Controllo debbono solo prendere atto della
ecocompatibilità di questi allevamenti e della loro naturale aderenza ai disciplinari
di produzione senza dover chiedere all’allevatore di effettuare cambiamenti nel
sistema di gestione.
Allevamento biologico “moderno”
Diverso è il discorso per gli allevamenti intensivi come il ricordato allevamento
dei polli da carne o da uova, e come la maggior parte degli allevamenti dei conigli
e dei maiali. Questi sono difficilmente convertibili perché spesso necessitano non
solo di un rimodernamento totale delle strutture, di solito oneroso, ma anche di un
cambiamento totale della mentalità dell’allevatore. Questo non vuol dire che
dall’oggi a domani l’allevatore classico debba diventare da inquinatore ecologista
e da sfruttatore di animali animalista. Inizialmente potrà essere spinto solo dalla
convinzione di fare una scelta economicamente valida per la propria azienda, ma
in un secondo tempo dovrà assumere una mentalità diversa, più rispettosa verso gli
animali, l’ambiente e gli utenti finali dei suoi prodotti. La conversione di grosse
aziende produttrici è del resto importante per la diffusione della zootecnia
biologica, ed per far sì che i prodotti da essa derivati possano diffondersi sempre di
più e a prezzi accettabili fra i consumatori. Del resto anche grandi aziende di
trasformazione stanno mostrando un grosso interesse per questi prodotti e stanno
cercando di acquistare carni prodotte secondo il metodo biologico da utilizzare
nelle proprie linee di alimenti per bambini.
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Ricerca
Lo sviluppo della zootecnia biologica dovrà passare anche da un approfondimento
ed una ottimizzazione dei sistemi di allevamento in zootecnia biologica, dal punto
di vista tecnico, scientifico ed economico. Questo potrà scaturire solo dalla
collaborazione fra singoli allevatori, Associazioni di produttori e consumatori,
Organismi di controllo, Università ed altri soggetti interessati al settore, come e sta
avvenendo nei Paesi del Nord Europa, ma come purtroppo ancora stenta ad
accadere nel nostro Paese.
Ma qualcosa si sta muovendo, infatti da 2 anni esiste un Network europeo
finanziato dalla UE (Contratto n° FAIR-CT98-4405) dal titolo “Network for
Animal Health and Welfare in Organic Agricolture”, coordinato dalla Università di
Reading (UK), di cui è partner anche l’Università di Firenze.
Sempre l’Università di Firenze ha partecipato alla presentazione di due fra i primi
progetti europei presentati per il finanziamento all’interno del V Programma
Quadro. Il primo, coordinato dalla Università di Kassel (D), riguarda la
prevenzione delle mastiti negli allevamenti biologici, il secondo, coordinato da un
Istituto di Ricerca olandese, è sull’allevamento biologico dei suini.
Il Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali ha istituito una Commissione per
l’Agricoltura Biologica, e Gruppi di Lavoro su diverse tematiche connesse. Fra
questi ce n’è uno sul benessere animale e sull’impatto ambientale nelle produzioni
animali biologiche, che prevede una indagine conoscitiva della situazione, ed
anche sperimentazioni in aziende campione. Di questo gruppo fanno parte sia
l’Università di Firenze che di Milano.
Oltre che a Firenze e Milano anche presso le Università di Perugia e Viterbo
esistono gruppi di ricerca attivamente impegnati nella ricerca in zootecnia
biologica.
Motivi per scegliere la zootecnia biologica
Lo studio dell’ecologia applicato alle produzioni animali mette in evidenza quanto
poco rispettosa dell’ecosistema possa essere la zootecnia intensiva, che al fine di
ottenere il massimo profitto col minimo della spesa, utilizza sistemi che non tengono
conto né del benessere degli animali allevati, né della salvaguardia dell’ambiente, con
poco riguardo anche al consumatore finale.
Come in tutti gli usi intensivi e specializzati della terra, nell’agricoltura intensiva, ci
sono costi e profitti, che includono l’erosione del suolo, l’inquinamento da pesticidi e
fertilizzanti, l’alto costo dei carburanti e l’accresciuta vulnerabilità ai cambiamenti
climatici ed ai parassiti. Anche l’allevamento intensivo è caratterizzato da
un’utilizzazione massiccia di energia sottoforma di elettricità e combustibili, da un
accrescimento della vulnerabilità degli animali ai patogeni, ma soprattutto dalla
creazione di inquinamento. Lo produce perché utilizzando farmaci di sintesi per gli
animali e prodotti chimici per migliorare le produzione foraggere, inquina l’ambiente e
produce alimenti anch’essi inquinati.
Solo gravi fatti di cronaca portano a conoscenza dell’opinione pubblica questi
problemi, almeno per il breve tempo per cui la cosa fa “notizia”; è il caso di quando
accadono gravi episodi di danneggiamento dell’ambiente, come l’eutrofizzazione delle
alghe dell’Adriatico dovuta agli allevamenti dei maiali della Pianura Padana, o di
quando esistono pericoli immediati per la salute umana, come nel caso degli estrogeni
ritrovati nelle carni di bovini trattati fraudolentemente dagli allevatori a scopo di
profitto, la diossina nei mangimi e quindi nelle carni dei maiali, o dell’epidemia di
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BSE, la malattia della mucca pazza, originata dall’utilizzazione delle farine di carne di
pecore ammalate nella alimentazione di altri animali. Per inciso Rudolph Steiner,
fondatore della Antroposofia e della Agricoltura Biodinamica, aveva già predetto nel
1919 che se le vacche fossero state alimentate con residui animali sarebbero diventate
pazze.
Non troviamo però notizia sui quotidiani dei gravi rischi per l’ecosistema, e dei
pericoli per la salute umana prodotti quotidianamente dall’allevamento intensivo degli
animali. Ne è un esempio l’inquinamento dell’ambiente dovuto alla dispersione di
farmaci e dei loro metaboliti, come nel caso dei prodotti utilizzati per sverminare gli
animali, difficilmente degradabili, che si ritrovano nelle loro deiezioni e quindi nei
liquami utilizzati per fertirrigare i campi, o l’inquinamento dell’organismo degli stessi
consumatori dovuto all’assunzione continua di molecole farmacologiche attraverso il
consumo di carni di animali trattati. I tempi di sospensione, anche se rispettati
dall’allevatore, risultano infatti spesso insufficienti perché le molecole farmacologiche
ed i loro metaboliti vengano completamente eliminate dal corpo dell’animale. Questo
fatto è particolarmente grave perché, ad esempio, l’assunzione continua di farmaci ad
azione antibiotica pian piano fa sì che si selezionino nuovi ceppi di batteri patogeni
resistenti, che per essere distrutti hanno bisogno di farmaci sempre più potenti e
sempre più nuovi, che funzionano solo per pochi anni prima di diventare anche loro
inefficaci. Se la ricerca e l’industria farmaceutica trae profitto da ciò, non così e per
l’organismo umano ed animale, oggetto dell’inquinamento farmacologico, che viene
indebolito dalla assunzione di antibiotici sempre più potenti.
I consumatori più accorti cominciano a dubitare dei prodotti di questo tipo di
zootecnia e cercano alimenti sani prodotti nel rispetti della natura e degli animali e
sono pronti a pagarli anche relativamente di più.
Giunti ad una eccessiva industrializzazione si tratta quindi di ritornare ad un tipo di
zootecnica non inquinante, rispettosa della natura, degli animali e dell’uomo. Questo
però non deve e non può essere un mero ritorno all’antico, all’immagine stereotipata
del buon mezzadro toscano che all’interno del podere realizzava una sorta di “ciclo
chiuso aziendale”, al contrario si tratta di rendere possibili, attraverso tecniche
appropriate, produzioni animali ecocompatibili che soddisfino un gran numero di
consumatori, a costi, se possibile, non di molto superiori a quelli della zootecnia
industriale.
Il benessere animale
Il rispetto del benessere degli animali fa la grande differenza con i sistemi di
allevamento tradizionali sia intensivi che estensivi.
Esistono ancora controversie rispetto a tutte le tematiche riguardanti il benessere
animale. Anche la definizione di che cosa sia il benessere suscita ed ha suscitato
infinite discussioni. Il fatto è che questo concetto è presente da tempo nelle “linee
guida” redatte da alcuni Paesi e, quel più conta, in alcune normative della Comunità
Europea, compreso il Reg. CE 1804/99.
Il benessere di un individuo è lo stato in cui si trova in relazione ai suoi tentativi di far
fronte al proprio ambiente. Questo concetto si riferisce sia al numero dei tentativi fatti
sia alla quantità di tentativi che hanno successo. I tentativi di far fronte all’ambiente
includono il funzionamento dei sistemi di riparazione del corpo, le difese immunitarie,
le risposte fisiologiche d’emergenza, ed una varietà di risposte comportamentali. In
sintesi il benessere animale è la misura di quanto l’animale riesce, in un dato ambiente,
a soddisfare i suoi bisogni (fame, sete, relazioni sociali, riparo, ecc.), di evitare
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sensazioni sgradevoli (paura, sofferenza, noia, ecc.), di sfuggire possibili pericoli
(predatori, parassiti, malattie).
Un aspetto importante del benessere di un animale sono le sue sensazioni soggettive.
Sensazioni piacevoli e spiacevoli sono parte dell’esperienza di un individuo quando
cerca di far fronte al suo ambiente. La nostra conoscenza della complessità della
organizzazione del cervello e del comportamento degli animali è tale che è ora
inconcepibile che qualcuno non pensi che anche questi animali non abbiano sensazioni
soggettive. E’ difficile conoscere le sensazioni soggettive degli animali, come del resto
lo è anche dei nostri simili, ma dobbiamo accettare che queste sensazioni esistano e
che siano simili alle nostre.
DA AMPLIARE
Principali leggi e Regolamenti della zootecnia biologica
In Italia la materia era normata, prima del 24 agosto 2000, oltre che dai Disciplinari
privati Delle Associazioni del Biologico (tutti ispirati a quello IFOAM), da alcune
leggi emanate da alcune Province Autonome e Regioni. Fra queste c’è da ricordare la
L.R. n.54 della Toscana promulgata il 12 aprile 1995 dal Consiglio Regionale:
"Norme per le produzioni animali ottenute mediante metodi biologici".
Il 24 agosto 1999 è stato pubblicato il Regolamento CE n. 1804/99 che completa, per
le produzioni animali, il Regolamento CEE n. 2092/91 relativo al metodo di
produzione biologico di prodotti agricoli e all'indicazione di tale metodo sui prodotti
agricoli e sulle derrate alimentari.
Il 4 agosto 2000, con il Decreto n. 91436, il Ministro delle Politiche Agrarie e
Forestali, ha stabilito le modalità di attuazione il Italia del Regolamento CE n.
1804/99.
Allevamento biologico dei bovini
Conversione dell’allevamento
Il processo di conversione può essere sintetizzato nei seguenti punti:
1. Conversione della produzione vegetale aziendale
2. Conversione del sistema di allevamento
3. Conversione ideologica dell’allevatore
I primi due sono squisitamente tecnici, il terzo è un elemento concettuale non inerente
solamente la scelta del biologico, ma riguarda la necessità di assumere da parte
dell’allevatore una visione d’insieme, olistica, che gli consenta di ottimizzare le fasi
tecniche della conversione. In particolare l’allevatore non dovrà semplicemente
cercare delle soluzioni derivate dalle tecniche convenzionali e sostitutive delle stesse.
Così facendo probabilmente riuscirebbe a rispettare formalmente le normative, ma non
sempre raggiungerebbe obiettivi economici soddisfacenti.
La scelta delle razze da allevare, ad esempio, non può essere limitata alla semplice
potenzialità produttiva. Questa è infatti il risultato di scelte effettuate a monte
riguardanti l’economicità di orientamenti ecocompatibili quali, ad esempio, la gestione
delle superfici destinate ai foraggi, e gli orientamenti presi nel rispetto del benessere
animale (ricoveri, terapie naturali, razioni rispettose della fisiologia dell’animale).
Scelte di conduzione in cui interagiscano molteplici fattori, come quella della razza,
sono numerose nella conduzione zootecnica e ciò rende complessa l’identificazione
delle esigenze aziendali nella fase critica della conversione.
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E’ opinione comune che la conversione per certi tipi di allevamento è più facile e per
altri è più difficile, e che certi tipi di allevamento bovino solitamente condotti in
maniera estensiva (come la linea vacca vitello), più facilmente si adattano ad essere
convertiti.
E vero però che mentre in alcune aree della penisola si sono continuati ad utilizzare
sistemi tradizionali, certamente vicini a concetto di “biologico”, in altre sono stata
adottati “moderni” sistemi e tecnologie che ne potrebbero rendere più difficile e
problematica la conversione.
Anche l’ambiente dove gli animali vengono condotti al pascolo è cambiato, e certe
zone sono sicuramente rischiose perché le essenze di cui si nutrono gli animali
potrebbero essere ricche di metalli pesanti e di inquinanti. Lo stesso vale per l’acqua
utilizzata per abbeverare gli animali talvolta proveniente da falde sottostanti zone dove
viene effettuata agricoltura intensiva.
L’utilizzazione indiscriminata di medicinali pericolosi per la salute degli animali,
dell’uomo e dell’ambiente viene purtroppo soltanto limitata dagli ultimi regolamenti.
E qua si pone il problema fra la differenza di una produzione zootecnica veramente
biologica ed una solamente certificata. Purtroppo non sono la stessa cosa, e prima di
arrivare a produzioni veramente biologiche in certi casi passano anni.
Altro problema di questo tipo di produzioni è che spesso la conversione degli animali
e delle loro produzioni non viene neanche iniziata perché i proprietari, pur avendo
spesso tutte le colture ed i prati pascoli in biologico, non ne vedono il vantaggio
economico né prospettive di mercato per il futuro.
Anche gli Organismi preposti alla certificazione ed al controllo hanno le loro colpe.
Non esistono, ad esempio, statistiche certe per quello che riguardano gli allevatori che
potenzialmente potrebbero essere convertiti e potrebbero entrare in programmi di
avvio alla utilizzazione di Medicine Non Convenzionali in zootecnia biologica
Non ci sono sufficienti tecnici esperti nella riconversione e assistenza agli allevamenti.
Cominciano ad esserci abbastanza veterinari esperti di Medicine Non Convenzionali,
ma gli aspetti da seguire non sono solo quelli sanitari, vanno dalla alimentazione, al
sistema di allevamento, alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti.
La sperimentazione è iniziata, soprattutto per quello che riguarda la utilizzazione delle
Medicine Non Convenzionali, ma non copre tutti gli aspetti e le esigenze di questo
nuovo tipo di allevamento. Non esistono studi sicuri su molti aspetti, ed anche i
parametri indicati dai regolamenti e dalle deroghe sono più frutto di accordi politici
che dettati da dati scientifici.
In realtà le normative dei regolamenti sono tutte norme di convenienza e di transizione
verso un tipo di produzione biologica che non è stato ancora definitivamente stabilito,
ma che dovrà essere fissato anche in base ai risultati della ricerca.
Gli allevatori stessi non debbono seguire in maniera passiva i regolamenti, ma si
debbono trasformare in ricercatori e contribuire a mettere in risalto le problematiche
dell’allevamento biologico ed a risolverle.
Densità degli animali e benessere animale
Il numero di animali presenti in azienda deve essere proporzionato alle dimensioni
dell’azienda ed alla sua capacità produttiva nel rispetto del benessere degli stessi e
dell’ambiente. Gli ammassamenti eccessivi di animali portano sicuramente a problemi
sanitari. In natura infatti gli animali sottoposti a stress, in caso di sovrappopolazione,
abbassano le loro difese organiche, si ammalano e muoiono. Questo ha il significato di
far diminuire il numero degli individui a favore della sopravvivenza dei più forti. Così
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accade che quando la densità degli animali di un allevamento è eccessiva questi
tendono ad ammalarsi.
Gli animali in produzione e le loro deiezioni, a loro volta, si devono integrare con le
coltivazioni agrarie al fine di non produrre inquinamento, ma anzi di migliorare la
fertilità del terreno. Questo si può ottenere mediante la corretta gestione dei reflui
dell’allevamento, nel rispetto della direttiva europea relativa alla protezione delle
acque dall’inquinamento provocato da nitriti provenienti da fonti agricole ( Reg. CEE
676/91). A questo scopo il Reg. CE 1804/99 fissa il carico massimo di animali per ha
corrispondente a 170 kg N/ha/anno.
Massimo numero di animali per ettaro (equivalenti a 170/kg N/ha/anno)
Vitelli da ingrasso
Altri bovini < 1 anno
Bovini maschi 1-2 anni
Bovini femmine 1-2 anni
Bovini maschi >2 anni
Giovenche da allevamento
Giovenche da ingrasso
Vacche da latte
Vacche lattifere da riforma
Altre vacche
5
5
3.3
3.3
2
2.5
2.5
2
2
2.5
Questo limite potrebbe essere in effetti criticabile perché tiene sì conto delle deiezioni
prodotte, ma non della sostenibilità dell’azienda. Due bovini adulti per ha infatti
potrebbero anche essere troppi per una azienda della Maremma Toscana, regione con
terreni aridi e poco produttivi, o pochi in zone di pianura con suoli molto fertili come
un polder olandese o la stessa Pianura Padana.
Comportamento in stalla
Il comportamento sociale dei bovini è estremamente complesso. Anche in stalle dove
le vacche vengono allevate senza toro si creano delle gerarchie e dei rapporti
complessi fra gli animali. Adottare sistemi permanenti di stabulazione fissa (a catena)
significa negare la possibilità agli animali di avere rapporti sociali fra di loro, il che ne
inficia inevitabilmente la condizione di benessere e quindi le produzioni.
Zimmerman e Zebb (1971) studiarono il comportamento di una mandria di vacche
allevate tutte insieme a stabulazione libera. Il gruppo delle vacche più anziane (7 – 8
anni) rappresentava nella loro prova quello gerarchicamente più importante. Il gruppo
di media età (4 – 5 anni) comprendeva la massa della mandria, nella quale si
integravano lentamente gli animali più giovani. Gli animali ancora più giovani (figlie)
tentavano di integrarsi nel gruppo delle vacche di media età o delle più giovani, alcune
addirittura cercavano di inserirsi direttamente in quello delle più anziane.
Tutti i gruppi rifiutavano quello degli animali giovani acquistati di recente, ed alcuni
soggetti che non godevano di ottima salute.
DA AMPLIARE
I sistemi di allevamento de bovini
Si riportano schematicamente i principali sistemi di allevamento dei bovini.
Strutture ed ubicazioni degli allevamenti da latte
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Bradi
Semibradi
Stabulazione libera
Stabulazione fissa
Strutture ed ubicazioni degli allevamenti da carne
Si riportano schematicamente
•
Produzione vitelli
In stalla a stabulazione libera
Bradi o semibradi, linea vacca vitello
•
Strutture ed ubicazioni degli allevamenti di ingrasso
Bradi
Semibradi
Stabulazione libera
Stabulazione fissa
Le stalle a posta fissa sono consentite nell’allevamento biologico solo per periodi
limitati di tempo in quanto impediscono agli animali un normale comportamento
sociale. Questo tipo di stalla quindi presuppone che gli animali si rechino pwe la
maggior parte del tempo al pascolo od abbiano a disposizione ampi paddock dove
muoversi.
Si possono distinguere essenzialmente 3 tipi di stalla di questo tipo.
1. Stalla longitudinale ad una fila con deposito di foraggio dalla parte del muro dove
sono legati gli animali. Rappresenta il tipo più antico e tradizionale di molte zone
montane. Implica un lavoro notevole da parte dell’allevatore.
2. Stalla a posta fissa a due file con corsia di alimentazione nel mezzo e deposito di
fieno e paglia in alto. E’ il caso di stalle in cui il fieno viene ancora raccolto e
conservato in presse che vengono ammassate sopra la stalla e calate attraverso
apposite feritoie.
3. Stalla a posta fissa a due file con copertura del tetto ed il deposito di fieno e paglia
nel capannone annesso. E’ il caso più frequente nel caso in cui il fieno e la paglia
vengano raccolti e conservati in rotoballe.
Come si è detto per le vacche da latte la stabulazione fissa non può essere prolungata
per tutto l’anno perché ciò comporta una limitazione di movimento e quindi una
diminuzione del benessere. Anche l’Ordinanza Svizzera per la tutela degli animali del
1981, quindi prima che si parlasse di zootecnia biologica, nell’articolo 18 afferma : “I
bovini che vengono tenuti legati devono avere la possibilità di muoversi di tanto in
tanto al di fuori del loro posto fisso”.
Fino a quando nelle stalle a posta fissa non c’erano ancora gli abbeveratoi automatici
era uso condurre le vacche all’abbeveratoio del paese o al pozzo nel cortile, e di
conseguenza queste si muovevano camminando due volte al giorno. Dato che però
l’assunzione di acqua durante il pasto migliora la fisiologia ruminale, è auspicabile
l’installazione di abbeveratoi automatici. In questo modo viene meno la necessità di
spostare gli animali.
Nell’allevamento biologico bisogna tenere di conto che se anche il movimento
dell’animale
AMPLIARE IN TUTTI I MODI
11
I sistemi di alimentazione
Si riportano schematicamente i principali sistemi di alimentazione utilizzati
nell’allevamento bovino.
Sistemi di alimentazione allevamenti da latte
Tradizionale
Unifeed
Con integrazione individuale
Sistemi di alimentazione allevamenti da carne
Tradizionale
Unifeed
L’obiettivo è che gli animali abbiano una alimentazione sana, priva di alimenti
pericolosi (OGM, farine di carne, farine proteiche di estrazione, ecc.). I regolamenti
fissano la quantità di alimenti convenzionali ed in conversione consentita, in modo che
gli animali vengano alimentati il più possibile con alimenti derivanti da agricoltura
biologica, preferibilmente provenienti dalla stessa azienda di allevamento.
Questo perché non dovrebbero esistere aziende biologiche “senza terra”, dove gli
animali vengono allevati, ma non vengono effettuate produzioni foraggere e le
deiezioni vengono esclusivamente smaltite al di fuori dell'azienda. Questo tipo di
allevamento esiste soprattutto nelle produzioni avicole e cunicole, ma in Italia vi sono
anche alcune grandi aziende del Sud che allevano bovine da latte acquistando fuori
tutti gli alimenti necessari.
Il rapporto fra foraggi e concentrati non deve superare 60/40 per non forzare la
normale fisiologia ruminale e le performance produttive come avviene nella zootecnia
intensiva, in cui gli animali vengono portati allo stremo delle loro capacità.
Gli insilati vengono consentiti se accompagnati da fibra lunga. C’è però da dire che
non tutti però sono d’accordo che siano compatibili con produzioni di alta qualità, in
quanto influenzerebbero soprattutto il sapore del prodotto. Nelle condizioni attuali, e
con razze bovine selezionate per alte produzioni, e quindi alti fabbisogni alimentari
dalla zootecnia classica, solo in pochi casi possiamo pensare di fare a meno di
utilizzare questo sistema di conservazione dei foraggi.
Un grosso problema per il nostro Paese è quello degli alimenti proteici. Non avendo
pascoli permanenti che assicurino alte produzioni foraggere di qualità per tutto l’anno
come nel nord Europa, e non potendo utilizzare né farine di estrazione, né prodotti
OGM, non è facile superare il problema. La soia che viene commercializzata è
perlopiù di provenienza USA, e quindi quasi certamente OGM, quindi non resta che
produrre leguminose alternative come il pisello proteico od il favino per venire
incontro ai fabbisogni proteici della razione.
Un altro problema, è quello della diatriba sulla possibilità di utilizzare o meno
vitamine di sintesi, che non riguarda tanto l’allevamento dei bovini, che sintetizzano le
vitamine nel rumine, quanto quello degli avicoli e dei maiali.
Da ultimo va accennato alla scarsa disponibilità di alimenti bio, che però va sempre
più diminuendo perché molti agricoltori biologici si sono messi a produrre alimenti per
il bestiame, molti mangimifici producono e commercializzano alimenti bio, o
compatibili (sfruttando la percentuale di alimento convenzionale consentita).
Acquisto degli animali
Il problema della provenienza degli animali da rimonta sta esplodendo in questo
momento di epidemia di mucca pazza. Come è successo in l’agricoltura biologica per i
12
semi e per le piante si sta permettendo la utilizzazione di animali provenienti dagli
allevamenti tradizionali e si stabilisce un periodo di conversione.
Il Reg. CE 1804/99 modificato dal DM 4/8/00 recita infatti che I prodotti animali
possono essere venduti con la denominazione biologica soltanto se gli animali sono
stati allevati secondo le norme del presente regolamento per un periodo di almeno:
— 12 mesi per gli equini ed i bovini (comprese le specie Bubalus e Bison) destinati
alla produzione di carne ed in ogni caso per almeno tre quarti della loro vita;
— 6 mesi per gli animali da latte.
Il problema è che questa normativa non ci garantisce dal fatto che questi animali siano
liberi da BSE, perché per adesso i controlli per tale malattia in Italia sono ancora
limitati e perché la maggior parte dei bovini ingrassati in Italia proviene dall’estero.
C’è per assurdo, al contrario, anche un problema di sotto utilizzazione di animali
provenienti da agricoltura biologica. I vitelli maschi degli allevamenti biologici da
latte finiscono infatti il più delle volte in centri di ingrasso convenzionale per la
produzione di baby beef.
AMPLIARE
Le razze
L'importanza della utilizzazione di razze rustiche, autoctone, adattabili alle condizioni
ambientali esistenti, resistenti alla malattie, selezionate al fine di evitare malattie
specifiche o problemi sanitari, viene ribadita in tutte le leggi e disciplinari fino ad
adesso esistenti.
La realtà dell'allevamento italiano rende per molti tipi di allevamento quasi
impossibile l'applicazione di questo principio. Troppe razze bovine, ovine, caprine,
cunicole ed avicole sono state ridotte a livelli prossimi all'estinzione da una politica
agricola sconsiderata iniziata negli anni '60.
Per quello che riguarda l’allevamento bovino da carne un esempio classico di razza
rustica adatta a produzioni biologiche di alta qualità è dato dalla Maremmana.
La Maremmana è sopravvissuta fino ad oggi perché adattata ad ambienti dove
difficilmente potrebbero essere allevati altri bovini.
La resistenza alle malattie è indubbia, in quanto tradizionalmente questi animali,
almeno nella Maremma Toscana, non subiscono alcun tipo di trattamento, neanche
antiparassitario, durante la loro vita, se non in casi veramente eccezionali.
La Maremmana ha quindi subito una selezione più vicina a quella naturale dei
selvatici che vivono allo stato libero: questa ha permesso la sopravvivenza solo dei
soggetti più forti ed adattati all’ambiente. Selezione ben diversa è stata fatta sulle
moderne razze bovine da carne, che hanno guadagnato in produttività, ma perduto
molto in rusticità e resistenza alle malattie.
Gli individui di Maremmana che oggi alleviamo sono resistenti a malattie infettive e
parassitarie che decimerebbero capi di altre razze allevati negli stessi luoghi e nelle
stesse condizioni. La Maremmana sarebbe infatti naturalmente resistente alla
Piroplasmosi, malattia endemica sulle coste della Maremma. Contribuirebbe a questa
sua caratteristica la cute spessa che la renderebbe più difficilmente attaccabile dalle
zecche vettrici della malattia.
Gli attuali problemi di positività alla IBR ed alla BVD sarebbero dovuti agli incroci
effettuati immettendo negli allevamenti tori di razze francesi da carne, che avrebbero
infettato le mandrie. In effetti gli animali delle aziende che non hanno subito
introduzioni di bovini dall’esterno da moltissimi anni, come quelli della tenuta
presidenziale di Castelporziano, sono tutti sieronegativi.
13
Altra caratteristica che rende questa razza adatta a produzioni biologiche è l’estrema
frugalità e la capacità di sfruttare il pascolo arboreo per integrare la sua dieta,
soprattutto durante i periodi di siccità estiva. La Maremmana è quindi una grande
utilizzatrice delle risorse naturali di quei “terreni marginali” di cui è ricca la Toscana,
e che vanno preservati e valorizzati in quanto facenti parte di una delle più grandi
foreste esistenti ancora nell’Europa occidentale.
Con la pratica della introduzione delle mandrie di Maremmane nel bosco,
“vaccinazione” secondo un termine utilizzato correntemente in Maremma, si ottiene la
fertilizzazione del terreno e la pulizia del sottobosco, utile anche alla prevenzione
degli incendi.
L’allevamento brado di questa razza è facilitato dal carattere docile, lo stesso che nei
secoli passati la aveva fatta apprezzare nel lavoro dei campi, e ne aveva determinato la
diffusione dal litorale tirreno fino alla Romagna ed alle Marche. Anche gli incroci con
la Chianina erano apprezzati per il lavoro, in quanto univano la forza e la mole della
Chianina alla rusticità ed al carattere docile della Maremmana.
Strutture zootecniche spazi destinati agli animali
In tutti i disciplinari viene vietato a priori l’allevamento intensivo e la stabulazione
fissa permanente e vengono date delle indicazioni di come e soprattutto in che spazi
devono essere tenuti gli animali. E’ quindi essenzialmente il benessere dell’animale
che spinge i compilatori di questi testi a definire le superfici di allevamento, coperte e
scoperte, che debbono essere riservate a ciascuna specie. Queste debbono essere
abbastanza ampie da permettere agli animali di muoversi liberamente ed accedere con
facilità ad acqua e cibo e debbono essere fornite di una buona ventilazione ed
illuminazione naturale. La scelta delle misure è abbastanza difficile in quanto in realtà
mancano studi approfonditi a livello mondiale sulle superfici ottimali di allevamento
che assicurino il benessere agli animali. Fanno eccezione le norme dettate dal “Codes
of recommanadations for the welfare of livestock” del “Ministry of Agicolture, Fishers
and Food” del Regno Unito. Le superfici definite dalle normative sono comunque
sempre già un compromesso fra quello che si pensa siano i fabbisogni degli animali,
ed una supposta economicità dell’allevamento biologico. Per quanto riguarda bovini e
bufalini, ovini e caprini, equini ed asinini le superfici non sono molto più grandi e
diverse da quelle degli allevamenti tradizionali, anche se condotti con metodi
intensivi. In genere con modesti riadattamenti è possibile modificare anche le stalle
chiuse tradizionali, praticando delle aperture per consentire agli animali di accedere
liberamente ai recinti esterni, ritenuti indispensabili al fine di consentire il libero
movimento ed il benessere degli animali. Il problema sorge con tipi di allevamento che
prevedono l’utilizzazione della catena che viene concessa dal Reg. CE 1804/99 solo in
determinati casi e per brevi periodi di tempo.
Il problema sorge anche quando si desiderano fare delle produzioni più consistenti
magari convertendo allevamenti tradizionali già esistenti.
Le superfici minime coperte e scoperte ed altre caratteristiche di stabulazione previste
per i differenti tipi e specie di produzione previsti dal Reg. CE 1804/99 sono riportate
nella seguente tabella.
SUPERFICI COPERTE
(superficie netta disponibile per gli animali)
SUPERFICI
SCOPERTE
(spiazzi liberi,
esclusi
i
pascoli)
14
Peso vivo minimo mq/capo
(kg)
Fino a 100
1.5
mq/capo
1.1
Fino a 200
2.5
1.9
4.0
3
5 con un minimo di
1 m2/100 kg
3.7 con un
numero
di
0.75
mq/100kg
Vacche da latte
6
4.5
Tori
10
30
bovini ed equini
da allevamento e Fino a 350
destinati all'ingrasso
oltre 350
Il problema dei pascoli
Il Reg. CE 1804/99 integrato e modificato dal D.M. 4/8/00 prevede che ai ruminanti
venga assicurata la possibilità di pascolare. Questo punto è forse il più difficile da
realizzare nel nostro Paese e nella nostra Regione per i sistemi di allevamento
utilizzati e per la mentalità degli allevatori, perché per un grande periodo dell’anno
non c’è pascolo fresco nella maggio parte delle aree, perché vengono utilizzati per al
produzione del latte animali altamente produttivi che hanno bisogno di una
alimentazione molto spinta ed equilibrata e che il pascolo potrebbe squilibrare.
Si riportano integralmente gli articoli che vi si riferiscono.
Reg. CE 1804/99
8.3.1. Fatte salve le disposizioni del punto 5.3, tutti i mammiferi devono avere
accesso a pascoli o a spiazzi liberi o a parchetti all'aria aperta che possono essere
parzialmente coperti, e devono essere in grado di usare tali aree ogniqualvolta lo
consentano le loro condizioni fisiologiche, le condizioni climatiche e lo stato del
terreno, a meno che vi siano requisiti comunitari o nazionali relativi a specifici
problemi di salute degli animali che lo impediscano. Gli erbivori devono avere
accesso ai pascoli ogniqualvolta lo consentano le condizioni.
8.3.2. Nei casi in cui gli erbivori hanno accesso ai pascoli durante il periodo del
pascolo e quando il sistema di stabulazione invernale permette agli animali la
libertà di movimento, si può derogare all'obbligo di prevedere spiazzi liberi o
parchetti all'aria aperta nei mesi invernali.
8.3.3. Fatta salva l'ultima frase del punto 8.3.1, i tori di più di un anno di età
devono avere accesso a pascoli o a spiazzi liberi o a parchetti all'aria aperta.
8.3.4. In deroga al punto 8.3.1, la fase finale di ingrasso dei bovini, dei suini e
delle pecore per la produzione di carne può avvenire in stalla, purché il periodo in
stalla non superi un quinto della loro vita e comunque per un periodo massimo di
tre mesi.
15
8.5.1. In deroga ai requisiti di cui ai punti 8.3.1, 8.4.2, 8.4.3 e 8.4.5, e alle densità
di stabulazione di cui all'allegato VIII, le autorità competenti degli Stati membri
possono concedere deroghe ai requisiti di detti punti e dell'allegato VIII per un
periodo transitorio che scade il 31 dicembre 2010. Tale deroga si applica
esclusivamente alle aziende dedite all'allevamento aventi edifici preesistenti,
costruiti anteriormente al 24 agosto 1999 e nella misura in cui tali edifici adibiti
all'allevamento soddisfano le norme nazionali concernenti la produzione biologica
in vigore anteriormente a tale data o, in mancanza, le norme private accettate o
riconosciute dagli Stati membri.
DM 4/8/00
8.5.1 La deroga generale sulla stabulazione del bestiame, nonché quella sulla
stabulazione fissa nelle piccole aziende, è applicabile dalla data di entrata in vigore
del regolamento a quelle aziende che si sono sottoposte ad un sistema di controllo
basato su norme regionali o su norme private riconosciute, accettate dallo Stato e
comunque in conformità a quanto previsto al precedente punto 6.1.5 del presente
Decreto.
6.1.5 In deroga alle disposizioni del punto 6.1.4, la stabulazione fissa può essere
praticata in edifici esistenti prima del 24 agosto 2000, a condizione che il
responsabile dell’azienda, prima dell’avvio, sottoscriva un piano di adeguamento
delle strutture aziendali della durata massima di due anni e che nel periodo estivo
ricadente nell’applicazione della deroga, venga comunque assicurato il
pascolo agli animali e che nel resto dell’anno non vengano tenuti alla catena. Tale
piano dovrà prevedere l’adeguamento degli spazi esterni entro il primo anno ed
entro due anni, l’adeguamento riguardante le strutture coperte. In ogni caso le
deroghe sugli spazi disponibili non potranno superare il 20% degli spazi richiesti
dal Reg. (CE) n. 1804/99
Aspetti sanitari
In tutti i regolamenti e disciplinari si insiste molto sull’aspetto della prevenzione. La
profilassi nella zootecnica biologica è basata sui seguenti principi:
a) scelta delle razze o delle linee e ceppi appropriati di animali;
b) applicazione di pratiche di allevamento adeguate alle esigenze di ciascuna specie
che stimolino un'elevata resistenza alle malattie ed evitino le infezioni;
c) uso di alimenti di alta qualità, abbinato a movimento regolare fisico e accesso ai
pascoli, stimolando così le difese immunologiche naturali degli animali;
d) adeguata densità degli animali, evitando così il sovraffollamento e qualsiasi
problema sanitario che ne potrebbe derivare.
Ciò nonostante se gli animali si ammalano vanno curati utilizzando però sistemi meno
inquinanti possibile.
Il concetto è che come non possono essere usati prodotti chimici nel trattamento e
nella prevenzione delle malattie delle piante, così dovrebbe essere, per quanto
possibile, per le produzioni animali.
Si riportano schematicamente le principali patologie che possano colpire un
allevamento bovino.
Problemi sanitari allevamenti da latte
Mastiti
Infertilità
16
Dismetabolie alimentari
Problemi podalici
Zoonosi
Tubercolosi
Brucellosi
Altre malattie
Problemi sanitari allevamenti da carne
Dismetabolie alimentari
Patologie broncopolmonari
Parassitosi
Altre malattie
Le medicine non convenzionali
Si riportano i punti principali del Reg. CE 1804/99 e del DM 4/8/00 riguardanti le
terapie consentite.
•
Reg. CE 1804/99
5. Profilassi e cure veterinarie
5.4. L'uso di medicinali veterinari nell'agricoltura biologica deve essere
conforme ai seguenti principi:
a) i prodotti fitoterapici (ad es. estratti vegetali — esclusi gli antibiotici —
essenze, ecc.), omeopatici (ad es. sostanze vegetali, animali o minerali), gli
oligoelementi e i prodotti elencati all'allegato II, parte C, sezione 3, sono
preferiti agli antibiotici o ai medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi
chimica, purché abbiano efficacia terapeutica per la specie animale e tenuto
conto delle circostanze che hanno richiesto la cura;
b) qualora l'uso dei suddetti prodotti non sia verosimilmente efficace, o non si
dimostri tale per le malattie o le ferite, e qualora la cura sia essenziale per
evitare sofferenze o disagi all'animale, possono essere utilizzati antibiotici o
medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi chimica sotto la
responsabilità di un veterinario;
c) è vietato l'uso di medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi chimica
o di antibiotici per trattamenti preventivi.
5.8. Ad eccezione delle vaccinazioni, delle cure antiparassitarie e dei piani
obbligatori di eradicazione attuati negli Stati membri, nel caso in cui un
animale o un gruppo di animali sia sottoposto a più di due o massimo tre cicli
di trattamenti con medicinali veterinari allopatici ottenuti per sintesi chimica o
antibiotici in un anno (o a più di un ciclo di trattamenti se la sua vita produttiva
è inferiore a un anno), gli animali interessati o i prodotti da essi derivati non
possono essere venduti come prodotti ottenuti conformemente alle disposizioni
del presente regolamento. Tali animali devono essere sottoposti ai periodi di
conversione previsti al capitolo del presente allegato, con il consenso
dell'autorità o dell'organismo di controllo.
•
D.M. 4/8/00
5.8. Tenuto conto della corrente prassi di allevamento, i trattamenti
antiparassitari possono essere limitati a due nel corso dell’anno compresi quelli
per gli ectoparassiti somministrati per via parenterale e/o per applicazioni
esterne con prodotto ottenuti per sintesi chimica.
17
Le molecole da utilizzare per detti trattamenti debbono essere
caratterizzate da un basso impatto ambientale, una rapida
metabolizzazione, limitati effetti tossici e tempi di sospensione inferiori ai
dieci giorni.
Uno degli “anelli deboli” della riconversione agrozootecnica è quello della
necessità di passare da un tipo di prevenzione e terapia delle malattie di tipo
tradizionale (allopatia) altamente inquinante, ad un sistema diverso che utilizzi
medicine naturali dolci. Questo al fine di eliminare la presenza dei residui
chimico-farmaceutici nei prodotti zootecnici e per far sì che le produzioni
biologiche animali corrispondano veramente alle aspettative dei consumatori.
Le medicine dolci utilizzabili, fra le quali l’omeopatia, l’omotossicologia,
l’isopatia, la fitoterapia e l’agopuntura, devono dare tutte la sicurezza che le carni
degli animali e le loro produzioni (latte) non contengano alcuna molecola
farmacologica estranea.
Fra le medicine proponibili è sicuramente l’omeopatia a dare al tempo stesso
maggiori garanzie di efficacia sia per la salute degli animali che per la salubrità
delle derrate alimentari. L’omeopatia infatti è costituita da un corpo dottrinario,
volto alla salvaguardia del benessere sia umano che animale, consolidatosi nel
corso di due secoli, ed utilizza rimedi ad altissima diluizione dove non sono
neanche più presenti in tracce le molecole originarie.
2) Il farmaco omeopatico nella legislazione italiana
Sono due le leggi che disciplinano il settore:
1. la L. 110 del 17/3/95 che si occupa di regolamentare i medicinali omeopatici
per uso veterinario (recepimento Direttiva CEE 92/74);
2. la L. 185 del 22/5/95 che tratta la regolamentazione dei medicinali omeopatici
per uso umano (recepimento Direttiva CEE 92/73).
I medicinali omeopatici che abbiano una concentrazione di principio attivo pari o
inferiore a una parte per milione sono da considerarsi atossici e non necessitano di
tempi di sospensione.
I medicinali omeopatici destinati agli animali da reddito, che producono alimenti
per l’uomo, debbono sottostare alla registrazione completa come le molecole
farmacologiche classiche. Per prescrivere questi prodotti è necessaria la ricetta
veterinaria in triplice copia non ripetibile prevista dal D.L. 119/92.
Per i medicinali destinati alle specie di affezione ed esotiche è sufficiente la
registrazione semplificata. Per la loro prescrizione è sufficiente la ricetta
veterinaria unica non ripetibile.
Per uso umano, purché si usi la via orale o esterna, non è necessaria ricetta
medica. Qualsiasi allevatore potrebbe quindi recarsi in farmacia ed acquistare per
uso personale i medicinali omeopatici senza ricetta e poi diluire i rimedi in
soluzione sterile apirogena iniettabile se non volesse usare la via orale o esterna
per somministrare questi ai sui animali.
A tutt’oggi mancano ancora purtroppo la approvazione di una Farmacopea
ufficiale omeopatica, il riconoscimento ufficiale delle Scuole omeopatiche,
l’insegnamento ufficiale dell’Omeopatia nelle Università italiane.
C’è una effettiva difficoltà culturale e pratica nella introduzione della Omeopatia
negli allevamenti. La effettiva difficoltà di passare dall’allopatia alle medicine
naturali sta nel fatto che le basi teoriche su cui queste si basano sono generalmente
lontane dal comune modo di intendere la medicina, per questo i futuri utenti sono
diffidenti ed hanno difficoltà ad accettarle.
18
Per diffondere questi sistemi e metodi di cura comunque è soprattutto necessario
sensibilizzare al massimo i futuri utenti, diffondendo i principi teorici basilari di
queste medicine e dimostrando la loro reale efficacia nella cura degli animali.
Allo stesso tempo è necessario che queste siano loro facilmente accessibili: cioè
debbono essere disponibili veterinari naturopati esperti che possano seguire gli
allevamenti, e facilmente reperibili i farmaci ed i rimedi che essi prescrivano.
Sulla scorta di esperienze effettuate soprattutto in altri Paesi europei, anche nel
nostro Paese, anche presso l’Università di Firenze, vengono effettuate alcune
esperienze di confronto di gruppi di animali trattati con medicine dolci e non.
Esperienze dimostrative di animali curati unicamente con l’omeopatia messi a
confronto con altri curati con l’allopatia, svolte in aziende limitrofe, sono la
migliore dimostrazione per gli allevatori della possibilità reale di utilizzare questa
medicina. Questo tipo di prove servono anche a spingere i veterinari delle aziende
ad avvicinarsi a questa antica disciplina e a verificarne di persona gli effetti
terapeutici.
Esistono comunque già anche in Italia alcune stalle che utilizzano unicamente
l’omeopatia nella cura degli animali, e non solo biologiche.
Il costo dei medicinali è in genere inferiore a quello della medicina
convenzionale. Dipende molto che tipo di terapia viene utilizzata. Certamente un
veterinario che utilizzi soprattutto rimedi omeopatici unitari farà risparmiare
molto l’allevatore.
I veterinari naturopati debbono in genere affrontare un lavoro molto lungo e
complesso soprattutto nei primi tempi che vengono chiamati ad occuparsi di un
allevamento. In seguito il lavoro, e quindi il costo, se tutto va bene, non dovrebbe
essere molto più gravoso di quello riservato un normale veterinario aziendale.
Nei casi acuti si possono avere dei successi immediati, del tutto comparabili a
quelli della allopatia.
Molti casi cronici che per l’allopatia sono incurabili vengono risolti ogni giorno
con la utilizzazione di medicine dolci negli uomini come negli animali.
La qualità dei prodotti provenienti dagli animali curati con medicine dolci non
aggressive sono qualitativamente superiori e privi di pericolosi residui.
Interventi sugli animali (decornazione)
La cauterizzazione dell’abbozzo corneale è consentita solo al di sotto delle 3 settimane
di vita. E’ questo però il punto di maggiore scontro ed attrito con i biodinamici. Infatti
essi considerano indispensabile che i bovini abbiano le corna. Diversi centri di ricerca
tedeschi, austriaci, olandesi e svizzeri, dove la Biodinamica è più diffusa, stanno
studiando sistemi di gestione della mandria che rendano possibile tenere gli animali
con le corna senza che questi debbano essere necessariamente legati.
Qualità della carne
Tipi di produzione
Si riportano in sintesi i tipi di produzione ottenibili da un allevamento da carne
Vitelli da latte
Vitelli leggeri (12 mesi)
Vitelloni (16-18 mesi)
19
La filiera della carne
La filiera della carne, soprattutto in alcuni passaggi fondamentali, come il trasporto
degli animali e la macellazione ha influenza sul benessere dell’animale e quindi sulla
qualità del prodotto.
Trasporto degli animali
Acquisto animali
Trasporto agli impianti di macellazione
Impianti di macellazione
Struttura ed attrezzature
Prodotti
Carcasse in canale
Quarti anteriori e posteriori
Quinto quarto
Pelli
Ossa, grasso e scarti
Macellerie ed impianti di lavorazione
Struttura ed attrezzature
Differenti tagli
Tagli di prima qualità
Tagli di seconda qualità
Tagli di terza qualità
Frattaglie
Commercializzazione dei prodotti
Prodotti con marchio DOP
Prodotti biologici
La tracciabilità del prodotto
La tracciabilità del prodotto è fondamentale per assicurare al consumatore la
qualità e la sicurezza di quello che compra. Anche nel biologico il sistema di
tracciabilità deve essere messo a regime anche se è molto più avanti che per il
prodotto convenzionale.
Qualità del latte
La filiera del latte dalla stalla
Impianti di mungitura
Qualità degli impianti
Manutenzione
Conservazione del latte alla stalla
Contenitori frigoriferi
Raccolta e trasporto del latte
Rete di raccolta del latte
Trasporto alle centrali od ai caseifici
Centrale del latte
Struttura ed attrezzature
Prodotti
Latte fresco
Panna
Burro
20
Yogurt
Caseificio
Struttura ed attrezzature
Differenti tipi di lavorazione (cagliata naturale, vegetale, lattica)
Prodotti
Formaggi a pasta filata
Formaggi freschi e stagionati
Formaggi tipici e di qualità
Commercializzazione dei prodotti
Prodotti con marchio DOP
Prodotti biologici
La situazione italiana della produzione di latte bio è certamente indietro rispetto a
quella di molti paesi del nord Europa.
Le cause sono da ricercarsi:
1. incertezza legislativa che abbiamo avuto fino ad oggi,
2. immaturità del mercato.
Le cose però stanno rapidamente cambiando perché l’interesse dei consumatori sta
crescendo rapidamente, ed insieme a questo anche il numero delle aziende che si
convertono al biologico.
In Italia dovrebbero esserci circa 200 stalle da latte certificate dai vari Organismi di
controllo e circa 100 aziende che trasformano il latte o lo commercializzano fresco, la
maggio parte delle stalle si trova al nord del paese, ma anche nel centro e nel sud si sta
sviluppando la produzione di latte bio.
Le produzioni di latte biologico sono in genere effettuate in stalle che erano
originariamente convenzionali. Gli animali che vengono utilizzati sono spesso di alta
genealogia (Holstein nelle zone di pianura, e Brown Swiss in quelle di montagna),
capaci di dare produzioni molto spinte, ma poco rustici e facilmente soggetti a
squilibri metabolici e mastiti.
Il latte biologico viene venduto fresco o trasformato:
1. Vengono prodotti formaggi di alta qualità come il Gorgonzola ed il Parmigiano
Reggiano. Esistono anche stalle di bufale (Bubalus bubalus) certificate per la
produzione di Mozzarella biologica. La produzione e la commercializzazione di
formaggi viene perlopiù effettuata da piccole aziende. Le aziende che fanno latte
per la caseificazione di formaggi di alta qualità aderiscono spesso anche ad altri
disciplinari di produzione. Alcuni di questi sono più restrittivi dei disciplinari di
produzione biologica e non permettono la utilizzazione di insilati (Parmigiano
Reggiano).
2. Il latte commercializzato fresco o sottoforma di yogurt viene invece
prevalentemente raccolto da grossi gruppi industriali che hanno delle linee
commerciali biologiche. Molte stalle che producono latte per il consumo diretto
aderiscono a programmi di alta qualità che non consentono SCC superiori a
300.000. In queste stalle la composizione del latte e le SCC vengono controllate
individualmente almeno una volta al mese. Il latte di massa viene analizzato tutte
le volte che arriva alla Centrale del Latte.
Dati sulla produzione del latte
Bovini da latte: situazione dei controlli
Razza
Lattazione
Allevamenti
Kg
%
%
21
>200 gg
96.425
controllati
11.331
Bruna
Frisona
612.906
14.750
Italiana
Valdosta
na
3.920
1.286
Pezzata
Rossa
Pezzata
28.944
3.854
Rossa
Italiana
Piemonte
18
3
se
Bianca
192
39
Val
Padana
91
Reggiana 483
Modican
5.308
384
a
Oropa P.
1.561
170
R.
204
Rendena 2.784
Grigia
6.156
1.027
Alpina
3
2
Tarina
Rossa
10
5
Danese
110
Pinzgau 687
1.945
242
Jersey
Abbonda
4
3
nce
Valdosta
na
281
584
Pezzata
Nera
14
Burlina 187
93
4
Angler
851
Castana 851
Cabannin
151
55
a
4
Varzese 3
Fonte: relazione annuale A.I.A. 1996
latte
5.481
grasso
3,86
proteine
3,39
7.782
3,52
3,17
3.224
3,54
3,28
5.195
3,87
3,39
1.677
3,72
3,63
4.345
3,44
3,40
4.892
3,60
3,37
2.981
3,52
3,49
2.487
3,59
3,35
4.440
3,47
3,23
4.302
3,69
3,35
2.520
3,45
3,36
6.908
4,34
3,50
5.154
4.689
3,88
5,73
3,40
4,10
3.902
3,55
3,42
2.626
3,46
3,34
4.055
5.676
2.513
3,62
4,70
3,41
3,12
3,68
3,34
2.527
3,56
3,19
3.091
3,67
3,28
Bovini da latte: produzioni medie a lattazione chiusa
Anno
N. lattazioni Kg latte
% grasso
% proteine
721.379
6.492
3,52
3,08
1991
Kg proteine
144.242
22
704.540
6.657
1992
708.533
6.786
1993
708.103
6.897
1994
737.420
7.003
1995
768.341
7.247
1996
Fonte: relazioni annuali A.I.A.
3,54
3,54
3,55
3,55
3,57
3,11
3,11
3,15
3,15
3,21
145.862
149.532
153.839
162.670
n.d.
Aziende
Capi/azienda
402
10,15
2.021
27,20
91
19,43
4.415
5,79
807
15,31
121
31,12
957
8,58
43
45,86
465
275
22
30,49
20,25
4,5
63
15,03
Dati sulla produzione della carne
Bovini da carne: situazione dei controlli (1995)
Razza
Manze
Vacche
Totale
Pezzata
138
3.904
4.042
Rossa
Piemonte
4.384
50.579
54.963
se
Charolais
48
1.720
1.768
e
Marchigi
1.578
24.003
25.581
ana
12.159
12.353
Chianina 194
Limousin
113
3.653
3.766
e
Romagno
505
7.705
8.210
la
Maremm
-1.972
1.972
ana
14.178
14.180
Podolica 2
Sarda
-5.568
5.568
6
93
99
Pisana
Sardo
-947
947
modicana
Fonte: relazione annuale A.I.A. 1995
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La zootecnia biologica e l`allevamento bovino