UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IX CICLO
CURRICULUM NUOVE TECNOLOGIE IN CHIRURGIA
NOVITA’ E IMPLICAZIONI NEL TRATTAMENTO DELLA CALCOLOSI
PRIMARIA INTRAEPATICA
IL DOTTORANDO
DR ROMEO GIULI
IL COORDINATORE DI CURRICULUM
CHIARISSIMO PROF MARIO GUERRIERI
INDICE
INTRODUZIONE
EZIOPATOGENESI
SINTOMATOLOGIA
DIAGNOSI
TRATTAMENTO
- TERAPIA NON CHIRURGICA
- TERAPIA CHIRURGICA
- ALTERNATIVE ALLA TERAPIA CHIRURGICA
COMPLICANZE
CONCLUSIONI
CASI CLINICI
BIBLIOGRAFIA
NOVITA’ E IMPLICAZIONI NEL TRATTAMENTO DELLA CALCOLOSI
PRIMARIA INTRAEPATICA
Introduzione
La calcolosi primaria intraepatica o epatolitiasi è stata per la prima volta descritta
nel sedicesimo secolo, ma la sua definizione nella letteratura anglosassone risale al
1906 (1).
Si definisce come la litiasi dei dotti biliari prossimali alla confluenza dei dotti epatici
destro e sinistro, indipendentemente dalla coesistenza di calcoli nella via biliare
principale o nella colecisti (2).
La epatolitiasi ha un carattere endemico in Asia e nell’area del Pacifico ( la maggiore
incidenza è a Taiwan, seguita da Cina, Hong Kong, Korea, Malesia e Giappone. Per
inciso anche in Brasile c’è un’alta incidenza) dove ha una prevalenza intorno al 3050%, mentre è rara in Occidente con una prevalenza variabile dallo 0,6% all’1,3%.
Tuttavia la tendenza è verso l’aumento nei paesi occidentali per la immigrazione da
aree endemiche.
Tra le cause eziologiche sono stati segnalati come rilevanti, fattori genetici, dietetici
e ambientali con particolare riferimento a fenomeni di malnutrizione associati a
condizioni socio economiche precarie, per cui si spiega l’apparente declino della
incidenza della malattia nell’estremo oriente a seguito della occidentalizzazione
degli stili di vita (3,4).
La epatolitiasi si verifica soprattutto nella 5° e 6° decade di vita senza una preferenza
di sesso. In età avanzata cioè nella settima e ottava decade in circa il 70% dei casi si
associa alla calcolosi extraepatica (3).
Eziopatogenesi
La maggior parte dei calcoli intraepatici sono composti da bilirubinato di calcio ( con
caratteristica colorazione marrone ), contengono più colesterolo rispetto ai
corrispondenti calcoli dei dotti extraepatici; in un 5,8-13,1% dei casi si riscontrano
calcoli di colesterolo.
Alla formazione dei calcoli di bilirubinato di calcio ( tipici delle aree endemiche )
concorrono diversi fattori: la precipitazione di bilirubinato di calcio, un alterato
metabolismo del colesterolo, la stenosi della via biliare, le infezioni di batteri che
producono beta-glicorunidasi. Di contro in occidente prevalgono i calcoli di
colesterolo non tanto connessi a stenosi biliari, alla stasi biliare o alla infezione
batterica, quanto correlati a fattori metabolici di natura congenita o acquisita.
Caratteristicamente l’epatolitiasi è più frequente nel lobo sinistro perché il dotto
epatico di sinistra confluisce nella via biliare principale ad angolo acuto, favorendo il
meccanismo della stasi biliare in presenza dei fattori causali su elencati (5).
Altre cause di stasi biliare e stenosi sono: stenosi post operatorie, la colangite
sclerosante, la sindrome di Caroli ( 6 ). Mentre sembrano giocare un ruolo di cofattore e non causale le infestazioni parassitarie di Clonorchis sinensis e Ascaris
lumbricoides (7,8,9).
Inoltre sono stati citati come fattori causali della epatolitiasi il ruolo della leptina
prodotta dal gene ob modulatore del metabolismo lipidico; l’ alterata espressione
del recettore CFTR nelle cellule canalicolari, determinante nella alcalinizzazione e
solubilizzazione della bile; la stenosi conseguenza di fenomeni ischemici del
parenchima o della trasformazione cavernosa della vena porta nelle sindromi antifosfolipidi; le malattie emolitiche con la sovrapproduzione di bilirubina e
conseguente formazione di calcoli pigmentari soggetti a migrazione retrograda.
(10,11).
Mentre in Occidente la calcolosi intraepatica è ritenuta secondaria alla migrazione di
calcoli originatisi nella colecisti o primariamente conseguenza di stenosi benigne o
maligne, di colangite sclerosante primaria o secondaria, di sindrome di Caroli o di
cisti coledociche, in Oriente è descritta la colangite ricorrente da piogeni con un
picco nella 3° e 4° decade di vita e comune tra le classi meno abbienti. Tra queste
classi è in uso una dieta a principale contenuto in carboidrati e basso contenuto di
grassi e proteine: entrambi fattori predisponenti alla mancata produzione di
colecistochinina ( favorisce il rilasciamento dello sfintere di Oddi ) e ai ridotti livelli di
inibitore della glicaro-1,4-lattone, alfa beta gliucuronidasi con conseguente
formazione di calcoli di bilirubinato di calcio. Inoltre la malnutrizione è un fattore
predisponente alle infezioni batteriche presenti nella colangite ricorrente:
soprattutto batteri gram – ( Escherichia coli, Klebsiella, Pseudomonas), seguiti dai
gram + ( Enterococcus) e anaerobi ( Bacteroides), isolati nel 30% dei
casi.(12,13,14,15).
Tuttavia Prakash descrive una bassa incidenza di calcolosi intraepatica in India,
nonostante una alta prevalenza di infestazione da Ascaris, povertà, scarsa igiene,
dieta a basso contenuto di grassi e proteine (16).
Una recente pubblicazione di Balandraud et al evidenzia, attraverso studi anatomici,
l’importanza della angolazione acuta dei dotti biliari, che causando turbolenze del
flusso, rappresenta una causa anatomica di stasi biliare. Gli autori hanno studiato in
particolare il fegato di destra, ipotizzando che una deviazione craniale dei dotti
paramediano destro e laterale destro possa essere una causa anatomica di
epatolitiasi (17).
Di particolare interesse un’altra recente pubblicazione sulla incompetenza dello
sfintere di Oddi come importante fattore eziologico della epatolitiasi. Ting-Bo Liang
e colleghi sono partiti dalla osservazione che nella loro pratica clinica la maggior
parte dei casi di calcolosi intraepatica era associata alla lassità dello sfintere di Oddi.
Inoltre questi pazienti avevano una tendenza alla recidiva e necessitavano sempre di
un reintervento.
Nei pazienti con incompetenza dello sfintere di Oddi, l’orifizio della papilla ha un
diametro maggiore, il che è la conseguenza di una lesione delle fibre muscolari e
della non regolare contrazione dello sfintere. Ne consegue un reflusso nel duodeno
simile a quello che si verifica nella coledocoduodenostomia. Pertanto ne deriva non
solo la possibilità del passaggio di cibo nella via biliare principale, ma anche una
maggiore suscettibilità alle infezioni e una riduzione del ph biliare. L’ Escherichia Coli
può generare beta glicuronidasi, che idrolizza la bilirubina diretta idrosolubile in
bilirubina indiretta non idrosolubile, con possibile formazione di calcoli. Tuttavia le
cause di lassità dello sfintere rimangono non ben definite: si ipotizzano anomalie
congenite, lesioni meccaniche da calcoli, lesioni chimiche da batteri, lesioni
iatrogene ( la sfinterotomia endoscopica). In particolare sottoposto a continui insulti
da parte dei mediatori della infiammazione, lo sfintere di Oddi potrebbe perdere la
responsività ai neurotrasmettitori. Pertanto la sfinterotomia endoscopica non
dovrebbe essere applicata ai pazienti senza lassità dello sfintere , sostituita in
alternativa dalla dilatazione endoscopica con pallone, con la quale si ha un ripristino
della funzionalità entro 21 giorni. Evitando così colangiti recidivanti e il rischio di
colangiocarcinoma, nonché nel caso di pazienti affetti da epatolitiasi, un più alto
rischio di recidiva e di reintervento. Una possibile terapia a questo problema può
essere il confezionamento di una coledocodigiunostomia con ansa intestinale anti
reflusso (18).
6) G. Clemente, F. Giuliante, A.M. De Rose, F. Ardito,I. Giovannini, G. Nuzzo. Liver resection for
intrahepatic stones in congenital bile duct dilatation.Journal of Visceral surgery (2010) 147, e175e180.
Sintomatologia
La malattia può decorrere asintomatica, per cui in alcuni pazienti può essere un
riscontro occasionale alla diagnostica di imaging.
Oppure può presentarsi con la sintomatologia della triade di Charcot tipica della
colangite: dolore in epigastrio e in ipocondrio destro, ittero e febbre.
La colangite da piogeni può avere una grave evoluzione fino alla formazione di
ascessi o alla sepsi biliare.
Raramente possono verificarsi disturbi della coagulazione e fibrinolisi per
trombocitopenia e attivazione delle piastrine (19).
La morbilità è da mettersi in relazione primariamente ad episodi ricorrenti di
colangite batterica con conseguente sviluppo di colangite sclerosante secondaria,
stenosi biliari, atrofia del parenchima, ascessi epatici e sepsi.
Per la propagazione dei calcoli nella via biliare principale ne può derivare una
pancreatite biliare, che in alcuni pazienti può rappresentare la forma di esordio (20).
L’epatolitiasi si può associare al colangiocarcinoma, con una prevalenza variabile dal
2,4 al 10,0% (21) o secondo altri autori dal 17% al 27% (22); in occidente con una
prevalenza variabile dal 8,6%-12% (2).
L’infezione batterica cronica, la stasi biliare e l’ irritazione meccanica sarebbero
all’origine della iperplasia adenomatosa della mucosa e della colangite proliferativa
cronica da cui poi discenderebbe il colangiocarcinoma.
Il colangiocarcinoma è più frequente con i calcoli di bilirubinato di calcio piuttosto
che con quelli di colesterolo.
Comporta una sopravvivenza a 5 anni del 5-10%, per cui va tenuto in conto nella
pianificazione del trattamento (23).
Per la classificazione della gravità della malattia si riportano due tabelle: quella di
Tsunoda basata sui reperti anatomici intraepatici, e quella che fa riferimento ai
sintomi proposta dall’Hepatolithiasis Research Group in Giappone (20):
Diagnosi
Nell’ambito della diagnosi di epatolitiasi si dovrebbe porre una particolare
attenzione alla localizzazione dei calcoli, delle stenosi biliari e dei segmenti del
fegato coinvolti, avendo premura di escludere un concomitante colangiocarcinoma.
L’ecografia può evidenziare i calcoli e le dilatazioni dei dotti biliari.
I calcoli appaiono con il caratteristico cono d’ombra; un alone ecogeno intenso sulla
superficie anteriore dei calcoli è espressione di un alto contenuto di calcio.
La dilatazione dei dotti biliari nei calcoli di bilirubinato di calcio non è limitata al
punto in cui è localizzato il calcolo come si verifica nei calcoli di colesterolo.
Tuttavia l’ultrasonografia è una tecnica operatore dipendente e non è in grado di
differenziare i calcoli dalla presenza di aria nelle vie biliari (8).
La TC con mezzo di contrasto dell’addome può distinguere tra la dilatazione biliare e
i calcoli, definisce l’anatomia del fegato e identifica le stenosi biliari. La colangio TC
ha una maggiore sensibilità per i calcoli intraduttali rispetto alla TC diretta (92%),
anche se in questo caso può rappresentare elemento fuorviante la inadeguata
escrezione del mezzo di contrasto da parte di un segmento epatico mal funzionante
(8).
La TC è in grado di diagnosticare un colangiocarcinoma attraverso la valutazione di
elementi come la densità del tessuto lasso periduttale, l’ispessimento e il contrasto
della parete duttale, il coinvolgimento o l’ostruzione della vena porta,
l’ingrandimento linfonodale. La presenza di due di questi elementi consente di porre
diagnosi con una specificità dell’ 87%-100% (8,22).
Nell’ittero ostruttivo la MRCP (colangiopancreatografia RM) ha una accuratezza del
96-100% e del 90% per rispettivamente la individuazione del livello e della causa di
ostruzione, così come una sensibilità, una specificità e una accuratezza del 97%, 99%
e 98% rispettivamente nell’individuare e localizzare i calcoli intraepatici (7). La
recente introduzione di nuovi mezzi di contrasto ( alcuni captati dalle cellule del SRE
epatico e della milza, e altri dagli epatociti ) per la MRI ha ulteriormente ampliato le
possibilità diagnostiche (24,25).
La individuazione del colangiocarcinoma tuttavia può risultare difficoltosa sia con la
TC che con la MRI per cui è stata consigliata anche la determinazione preoperatoria
del CEA, del CA 19-9, della alfa fetoproteina (26,67).
Il gold standard per la diagnosi della epatolitiasi con una sensibilità di quasi il 100% è
rappresentato dalla colangiografia diretta, sia essa la ERCP –colangiopancreatografia
retrograda endoscopica- o PTC-colangiografia transepatica percutanea- (8).
Nonostante ERCP e PTC siano gravate da una morbilità del 1-7% e 3-5%
rispettivamente, le loro possibilità terapeutiche con riferimento alla estrazione di
calcoli, alla biopsia delle lesioni intraduttali e alla inserzione di stents ne fanno uno
strumento essenziale (20).
Trattamento
Gli obiettivi del trattamento sono innanzi tutto la cura delle infezioni subentranti, il
prevenire la colangite ricorrente e la conseguente fibrosi epatica, l’ evitare la
necessità di continue manovre invasive e il prevenire la progressione verso il
colangiocarcinoma.
Le opzioni chirurgiche comprendono la coledocotomia, la sfinteroplatica, la
coledocoduodenostomia, la coledoco-epaticodigiunostomia, con o senza gli stents
trans-epatici o l’epaticocutaneodigiunostomia, e la resezione epatica.
Le alternative non chirurgiche comprendono la coledocoscopia endoscopica o
percutanea trans epatica con o senza stents, la litotrissia, la dissoluzione chimica, la
litotrissia trans corporea,e la terapia con acidi biliari (27).
Terapia non chirurgica
La terapia non chirurgica si avvale della estrazione dei calcoli per via radiologica (
attraverso la PTC con o senza litotrissia o con l’accesso attraverso un tubo a T ) o
endoscopica ( per mezzo dell’ERCP con o senza litotrissia ).
La litotrissia extracorporea è particolarmente utile per i calcoli di colesterolo,
mentre per i calcoli di bilirubinato di calcio lo (Ho) YAG laser ha dato buoni risultati.
Sebbene la ERCP sia meno invasiva e più facile nella maggior parte dei casi, le
stenosi, le angolazioni dei dotti e il grado di compattamento dei calcoli limitano
comunque la possibilità di accesso.
La colangioscopia trans-epatica percutanea con litotomia o litotrissia è ampiamente
praticata per la rimozione dei calcoli e la dilatazione delle stenosi, particolarmente
nella malattia del fegato destro, nella malattia bilaterale con interessamento di più
segmenti e nelle forme recidive.
Tuttavia non si deve dimenticare che in quasi il 40% dei casi le stenosi biliari
intraepatiche impediscono la estrazione dei calcoli, per cui la terapia non chirurgica
è per lo più utile nella calcolosi intraepatica bilaterale senza stenosi o nei pazienti ad
alto rischio chirurgico o con brevi aspettative di vita (28).
Inoltre Uchiyama consiglia una PTCLS ( colangioscopia trans epatica percutanea)
anche in fase preoperatoria, per accertare la localizzazione di eventuali calcoli e la
severità delle stenosi e delle dilatazioni, proprio per evitare delle procedure
chirurgiche inadeguate, e riducendo altresì i calcoli residui al termine del
trattamento. Prima del 1985 la colangio-digiunostomia era uno dei trattamenti più
eseguiti per epatolitiasi, con una percentuale di calcoli residui del 56%; dopo il 1986
la combinazione di epatectomia e PTCLS ha portato a una percentuale di calcoli
residui del 31%.
L’autore riserva la colangiodigiunostomia o il drenaggio con il tubo a T per il
trattamento dei calcoli intraepatici impilati, secondari alla coledoco litiasi, quando
non associati alla atrofia epatica o alla stenosi dell’ albero biliare intraepatico.
Di fondamentale importanza inoltre nell’ambito della esecuzione della PTCS o ESWL,
la eventuale biopsia per accertare la presenza di colangiocarcinoma.
L’autore giapponese ha selezionato 2353 pazienti con epatolitiasi su 105.062
pazienti con calcolosi della cistifellea ( 2,2%) tra il 1989 e il 1992. L’accuratezza
diagnostica è stata affinata dalla disponibilità della colangio RMN e dalla TC
tridimensionale (28).
Min-Ho Huang ( Taiwan ) ribadisce che la colangioscopia intraoperatoria e post
operatoria (POC) possono influire significativamente sul tasso di recidiva.
La prevalenza della epatolitiasi tra i malati con calcolosi della colecisti a Taiwan è del
20% (29).
L’autore fa riferimento anch’egli alla tecnica di litotomia colangioscopica perorale,
che ha un tasso di bonifica completa del 64% inferiore rispetto alla PTCSL, ma un
tasso cumultivo di recidiva sovrapponibile ( 21,7% a un follow up di 164 mesi ), e una
mortalità inferiore rispetto alla PTCSL.
La PTCSL ( litotomia colangioscopica percutanea) ha carattere di maggiore invasività
con il rischio di emorragia, stravaso biliare e distruzione della via biliare percutanea.
Il tasso di bonifica in questo studio raggiunge l’85,3%; sono state cause di
insuccesso: le stenosi dei dotti prossimali al deposito di calcoli, l’ angolazione dei
dotti biliari, la fanghiglia biliare e la distribuzione periferica dei calcoli,
l’interessamento bilaterale rispetto all’unilaterale (Tsunoda type IV vs III).
E’ richiesto un follow up a lungo termine, poiché il tasso di recidiva della epatolitiasi
e di colangite è alto.
Il tasso di bonifica completa della litiasi e il tempo medio alla recidiva della litiasi
diminuiscono in presenza di stenosi, ma il tasso assoluto di recidiva non è
significativamente correlato alle stenosi. In assenza delle stenosi il tasso di recidiva
della calcolosi è più alto nei pazienti con i dotti intraepatici dilatati.
E’ importante la bonifica definitiva, perché l’incidenza di colangite recidiva o di
colangiocarcinoma è più alta nei pazienti con bonifica incompleta o recidiva della
litiasi intraepatica .
Si sa d’altronde che le colangiti recidive possono aprire la strada ad ascessi epatici,
cirrosi biliare secondaria,ipertensione portale e morte dovuta a sepsi ed
insufficienza epatica (29).
Per inciso ripercorrendo la storia della tecnica, si ricorda che invece di rimuovere i
calcoli per via fluoroscopia, Yamakawa e colleghi migliorarono la efficacia della
bonifica usando un coledoco-fibroscopio per visualizzare direttamente i calcoli, i
coaguli di sangue, le bolle d’aria e le stenosi dei dotti (30).
Nimura per primo descrisse la tecnica di litotomia colangioscopica trans epatica
percutanea attraverso la via del drenaggio biliare trans epatico percutaneo nel 1981,
a proposito del trattamento della epatolitiasi (31).
Yu Fan Cheng afferma come lo stent e la dilatazione dei dotti biliari post operatoria,
combinata con la litotrissia elettroidraulica endoscopica se indicata, è efficace nel
trattamento della epatolitiasi residua, complicata con la stenosi biliare, nell’ottica di
ridurre le recidive.
Il persistere di dilatazioni dei dotti biliari intraepatici o il riscontro di aree di atrofia
nel lobo epatico interessato da malattia, sono segni di colangite recidiva, litiasi
recidiva e colangiocarcinoma, che potrebbero porre l’ indicazione a una resezione
chirurgica limitata dopo l’intervento radiologico.
Di particolare interesse gli incisi che: la cateterizzazione dei dotti occlusi potrebbe
prevenire l’evoluzione di un processo infettivo verso una sepsi letale; o che la PTCSL
potrebbe preparare il paziente a un successivo intervento chirurgico, attraverso un
miglioramento delle condizioni; o che ancora la bonifica di dotti intraepatici
approcciabili, potrebbe rendere possibile un intervento chirurgico meno esteso (32).
Edward C.S. Lai (Hong Kong) evidenzia come i chirurghi di Taiwan sono favorevoli a
un accesso temporaneo, sia attraverso un tragitto percutaneo trans epatico, che un
tubo a T; dopo la bonifica si applica uno stent per una durata variabile da 3 a 6 mesi.
A Hong Kong si preferisce l’approntamento di una epatico cutaneo digiunostomia, di
modo tale da avere a disposizione il loop digiunale, per accessi ripetuti al sistema
duttale intraepatico, che l’autore definisce molto meno impegnativi di una puntura
percutanea di un dotto biliare segmentario ammalato (33).
Di contro Yu Fan Cheng osserva come lo stoma cutaneo possa esporre a complicanze
come la formazione di una fistola, infezioni, un’ ernia parastomale, una chiusura
preoce della stomia e una prolungata ospedalizzazione (32).
Al proposito Min-Ho Huang propone una ricostruzione Roux en Y bilioenterica e una
duodenodigiunostomia latero laterale che possa permettere un accesso
endoscopico trans orale all’albero biliare (29).
M.-T. Cheung ( Hong Kong) riferisce di uno studio retrospettico di 79 pazienti
sottoposti a PTCS ( coledocoscopia trans epatica percutanea), con un tasso di
complicanze complessivo ( con riferimento soprattutto al sanguinamento massivo e
alla perforazione del dotto) del 21,5%, ( probabilmente per l’accortezza di una
dilatazione progressiva del tramite).
Il tasso di successo è stato del 76,8%, valutato con TC senza mezzo di contrasto.
Il tasso di ristenosi è stato definito nella misura del 45%, in un periodo di follow up
di 5-7,5 anni (34).
L’autore è intervenuto su 79 pazienti, in cui non si erano riscontrate aree di marcata
atrofia nei lobi ammalati e in cui la malattia non era localizzata.
Prima della PTCS tutti i pazienti sono stati sottoposti ad ERCP, proprio per valutare la
anatomia biliare e la presenza di stenosi biliari. La sfinterotomia endoscopica è stata
effettuata in tutti i pazienti con calcolosi extraepatica, per la rimozione dei calcoli. E’
stata ugualmente eseguita, in fase preoperatoria, una TC senza e con mezzo di
contrasto, nella prima fase meglio evidenziando i calcoli e nella seconda i segmenti
con calcoli, eventuali aree di atrofia, ascessi o colangiocarcinoma.
La puntura percutanea trans epatica e la cateterizzazione sono stati effettuati
attraverso una guida fluoroscopia o ecografica, in sedazione e con anestesia locale.
La dilatazione del tramite è stata ripetuta dopo 4-6 settimane. I calcoli sono stati
rimossi, sempre in sedazione e sotto copertura antibiotica, con palloncini o basket,
mentre le formazioni più grandi sono state sottoposte o a litotrissia elettroidraulica
o laser terapia. Le stenosi dilatate con tecniche di angioplastica e biopsiate. Durante
la coledocoscopia , una colangiografia selettiva aiutava a localizzare i calcoli al di la
delle stenosi. La tecnica poteva essere ripetuta dopo 3-7 giorni, e sia la
colangiografia che la TC sono servite ad accertare la avvenuta bonifica (34).
34) M.-T. Cheung, S.-H. Wai and P. C.-H. Kwok Percutaneous transhepatic choledochoscopic
removal of intrahepatic stones. British Journal of Surgery 2003; 90: 1409–1415.
Terapia chirurgica
L’approccio chirurgico consiste nell’ asportazione dei segmenti interessati: nel
contempo si rimuovono i calcoli, le stenosi e la stasi biliare che è causa della litiasi; si
esegue la profilassi del colangiocarcinoma.
Le indicazioni all’intervento sono: malattia di un solo lobo e particolarmente
limitata a quello sinistro; il riscontro di atrofia, fibrosi e ascessi multipli, secondari ad
episodi di colangite; il sospetto di un concomitante colangiocarcinoma epatico; una
calcolosi epatica con stenosi dei dotti biliari, che non può essere trattata per via
endoscopica o percutanea. In particolare è importantissima la rimozione completa
della parte interessata da malattia, per evitare le recidive e la malattia epatica
progressiva (20).
Otani e colleghi hanno eseguito retrospettivamente una revisione di 54 pazienti
trattati per epatolitiasi: dopo un follow up di 10 anni i pazienti che avevano subito
una epatectomia ( 26 pazienti ), avevano un tasso di stenosi delle vie biliari più basso
( 18,2% vs 58,3%), una sopravvivenza più lunga ( 77,0% vs 50%), e un tasso inferiore
di recidiva della malattia (16% vs 54,3%), rispetto a quelli che avevano subito la
PTCSL (28 pazienti).
La resezione epatica è stata per lo più eseguita per la calcolosi del lobo sinistro, per
la presenza di aree di atrofia e per la possibile presenza di un colangiocarcinoma. La
PTCSL soprattutto per malattia localizzata a destra o bilateralmente o per calcolosi
recidiva; si è avuta una media di trattamenti di 6 ( con un range da 1 a 20) (35).
Cheung e Kwok nella loro casistica di 174 pazienti hanno messo in evidenza un più
alto tasso di rimozione di calcoli con la resezione epatica rispetto alla PTCSL (98% vs
70,5%). Inoltre hanno descritto una più bassa percentuale di colangite o sepsi
biliare a 5 anni di follow up, nel gruppo della epatectomia (13,3% vs 29,3%) (36).
Lee e colleghi nella loro esperienza di 123 pazienti trattati, hanno riportato un tasso
di successo nella bonifica dei calcoli del 92,7% (114/123) con la chirurgia, per salire
al 95,9% (118/123) se combinata alla litotrissia coledocoscopica post operatoria o
all’ERCP. Il tasso globale di sopravvivenza è stato del 91,7% (111/121) dopo un
follow up medio di 40,3 mesi (37).
Uchiyama e colleghi ( in una casistica di 97 pazienti trattati tra il 1971 e 2006 ),
hanno ribadito una simile percentuale di riduzione della recidiva di malattia con la
epatectomia, ulteriormente migliorabile con la associazione della colangioscopia
intra e post operatoria. Anche questi autori riservano l’ epatectomia per la maggior
parte al trattamento della epatolitiasi sinistra, mentre è raramente indicata per i
pazienti con epatolitiasi destra. (28,38).
Al-Sukhni e colleghi riferiscono di una percentuale di successo nella bonifica dai
calcoli dell’85,2% (23/27), dei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico. In questa
casistica i pazienti hanno subito una esplorazione della via biliare principale (10/27),
con estrazione dei calcoli o una concomitante resezione epatica (17/27), con o senza
una coledocodigiunostomia latero laterale e un accesso di Hutson ( un’ansa
sottocutanea di digiuno come via interventistica). L’accesso di Hutson per malattia
residua o recidiva, non ha comportato un concomitante aumento di morbidità (39).
Nuzzo e colleghi confermano buoni risultati a distanza per una casistica di 26
pazienti sottoposti ad epatectomia parziale per epatolitiasi primaria. Il 76,9% dei
pazienti (20/26) non hanno avuto episodi di colangite recidiva, un altro 15,4%
(4/26) non è stato interessato da più di due episodi colangitici per anno, nel follow
up medio di 63 mesi. Non è stata riportata alcuna mortalità post operatoria, la
morbilità è stata del 20%, riferibile per lo più a lesione dei dotti biliari, dato si pensa
migliorabile con l’affinamento della tecnica (40).
Catena e altri hanno ribadito che la morbidità e la mortalità, in centri specializzati,
per pazienti che subiscono interventi chirurgici al fegato per epatolitiasi o masse
epatiche è sovrapponibile (2).
Herman e coll riportano uno studio di 27 pazienti sottoposti a resezione epatica,
associata ad epaticodigiunoanastomosi nei casi con significativo grado di dilatazione
della via biliare principale. Gli autori auspicano una estensione delle indicazioni
chirurgiche a pazienti con calcolosi intraepatica primitiva unilaterale, anche in
assenza del riscontro di fibrosi/atrofia o stenosi biliari (41 ).
Uenishi e coll riferiscono di uno studio retrospettivo di 87 pazienti con epatolitiasi,
sottoposti a resezione epatica. Il tasso di bonifica finale è stato del 95%, ed è stata
rilevata una differenza significativa nella recidiva calcolotica tra pazienti con o senza
stenosi biliari residue. Alla analisi multivariata il presentarsi di un colangiocarcinoma
è stato un fattore predittivo indipendente di sopravvivenza, in pazienti che hanno
subito una resezione epatica per epatolitiasi (42) .
Nonostante reports ottimistici sulla terapia chirurgica della epatolitiasi, Vetrone e
colleghi sottolineano le limitazioni di questa terapia: la calcolosi del fegato di destra
che richiede una epatectomia destra, si associa a una più alta morbilità; in presenza
di una stenosi della via biliare principale, cioè di epatolitiasi intra ed extra epatica, gli
autori promuovono la resezione dei segmenti epatici atrofici nella malattia bilobare
e una epatico digiuno anastomosi (43).
Di contro Li e altri raccomandano un uso selettivo della epaticodigiunoanastomosi
nel trattamento della epatolitiasi, e concludono che la epatectomia con la
esplorazione della via biliare principale e un tubo a T di drenaggio da migliori
risultati a distanza (44).
Tian Yang e colleghi riferiscono la propria casistica, la più grande in letteratura, di
epatectomia parziale in pazienti con stenosi biliare ed epatolitiasi bilaterale. Dal
2000 al 2006 sono stati arruolati nello studio 136 pazienti, di cui 54 hanno subito
una epatectomia unilaterale e 82 una epatectomia bilaterale. La percentuale di
bonifica dopo una epatectomia bilaterale e unilaterale è stata dell’81,5% e 65,9%
rispettivamente; percentuali salite all’85,2% e 81,7% dopo la aggiunta di una
litotrissia coledocoscopica postoperatoria. La mortalità operatoria è stata del 5,6% e
0% , il tasso di complicanze è del 46,3% e 46,3 %. La sopravvivenza a 5 anni del 98%
e 91,5%. Le maggiori cause di mortalità post operatoria sono state l’insufficienza
epatica, il sanguinamento e la sepsi (45).
Shao-Qiang Li riporta una casistica analoga di 101 pazienti sottoposti a resezione
bilaterale, per calcolosi intraepatica bilaterale, in cui si è registrata una mortalità
operatoria pari a 0 e una morbilità del 28,7%.
Gli autori hanno superato la pregiudiziale riluttanza ad effettuare una resezione
epatica bilaterale per malattia bilobare. Infatti una precedente strategia era quella
di effettuare una epatectomia nel lato maggiormente interessato dalla malattia e
una epatico digiunostomia per la rimozione dei calcoli nell’altro lato. Gli autori
invece, proprio per evitare la sequela delle recidive e del colangiocarcinoma, hanno
supportato in maniera convinta la necessità della asportazione della porzione di
parenchima atrofico e interessato dalle stenosi. In caso di non adeguata funzionalità
del parenchima residuo, Shao-Qiang Li e colleghi hanno associato l’ epatectomia
della zona più patologica alla litotrissia coledoscopica intraoperatoria.
Gli autori hanno cercato di evitare il confezionamento della epaticodigiunostomia,
preservando la normale anatomia del dotto epatico comune, perché comunque la
epaticodigiunostomia non drena efficacemente i calcoli ed è gravata da un’alta
incidenza di colangite.
Di fondamentale importanza la valutazione preoperatoria volumetrica TC relata,
soprattutto per pazienti che vanno incontro alla resezione di più di 4 segmenti
epatici. Inoltre per i pazienti con colangite acuta è indicata l’esecuzione di PTCD o
ENBD per alleviare lo stato di sepsi, con l’avviso di aspettare almeno 1 mese per
l’esecuzione della epatectomia (46).
Tutti i 101 pazienti di questo studio hanno eseguito epatectomie maggiori ovvero
con coinvolgimento di più di tre segmenti.
Hui Jiang e colleghi in uno studio retrospettico di 106 pazienti sottoposti ad
epatectomia parziale per epatolitiasi regionale, hanno eseguito la comparazione tra
la resezione epatica limitata (n 59 ) e la resezione epatica anatomica (n 47). Ebbene
i pazienti sottoposti a resezione anatomica hanno avuto un tasso di calcoli residui
inferiore, minori casi di fistola biliare e di recidive della litiasi a un follow up medio di
40 mesi, probabilmente per una più radicale rimozione delle lesioni, possibili focus
di ripresa di malattia ( 47 ).
L’ epatectomia laparoscopica per epatolitiasi è stata descritta recentemente, ha i
vantaggi di una degenza post operatoria più breve e una più rapida ripresa della
alimentazione e uno stress operatorio inferiore ( più alti livelli di albumina serica
post operatoria).
Cai X e colleghi hanno sottoposto,nel periodo 2002-2006, 29 pazienti ad intervento
laparoscopico per epatolitiasi e nello stesso periodo sono stati eseguiti 22 interventi
di chirurgia aperta per analoga patologia. I dati riferibili alla percentuale di bonifica
delle vie biliari, alla recidiva calcolotica, al tempo operatorio e alla perdita di sangue
intraoperatoria sono sovrapponibili tra i due gruppi. Si sono verificate sei
complicanze: 2 (6,8%) nel gruppo laparoscopico e 4 (18,2%) nel gruppo di chirurgia
aperta. Non c’è stata alcuna mortalità perioperatoria nei due gruppi (48).
Eric C.H. Lai e colleghi dal 1995 al 2008 hanno sottoposto 55 pazienti ad intervento
chirurgico laparoscopico, di cui 19 hanno subito un intervento chirurgico di
epatectomia parziale e 36 pazienti una esplorazione del dotto biliare comune; 25
pazienti sono stati sottoposti a concomitante by pass laparoscopico
(coledocoduodenostomia).
Sono stati considerati per la epatectomia parziale solo i pazienti con calcolosi
intraepatica associata a stenosi dei dotti o atrofia del parenchima, localizzata nei
segmenti II e III del fegato. I pazienti senza stenosi duttali, se i calcoli erano
localizzati al di sopra della porzione prossimale dei dotti intraepatici, sono stati
sottoposti ad esplorazione laparoscopica dei dotti biliari, posto che la tecnica
sperimentata per la rimozione di calcoli della via biliare principale possa essere
applicata anche alla rimozione di calcoli intraepatici. I calcoli in questo caso sono
stati rimossi con forceps, basket e soluzioni saline a pressione, sotto visione
coledocoscopica, o anche con l’uso di litotrissia elettroidraulica. Al termine della
procedura in alcuni pazienti è stata eseguita una coledocoduodenostomia. In
pazienti selezionati in cui si sospettava la presenza di calcoli residui si è inserito un
tubo a T per la colangiografia post operatoria, eseguita in genere 1 settimana dopo
l’intervento.
Gli autori riferiscono un tasso di bonifica immediato del 91% e finale dopo
susseguente coledocoscopia del 94,5%. Concludono che in pazienti selezionati
l’approccio laparoscopico deve considerarsi sicuro ed efficace, con risultati
immediati e a distanza buoni (49,50).
Yoo-Seok Yoon e colleghi hanno riportato l’esperienza di 76 casi trattati da ottobre
1998 a giugno 2007 : 30 casi di esplorazione laparoscopica dei dotti intraepatici e 46
casi di resezione epatica laparoscopica.
Gli autori premettendo la particolare difficoltà di trattare questa patologia, proprio
per l’alta percentuale di calcoli residui o recidivi, hanno preso le distanze dalla
tecnica di PTCSL, che evita l’intervento ma crea una situazione stressante per il
paziente.
Nello studio la tecnica LIHDE (esplorazione laparoscopica dei dotti intraepatici) ha
potuto effettuare una completa rimozione dei calcoli in una sola sessione nell’80%
dei casi, inoltre il riscontro di stenosi da moderate a severe o di calcoli occlusivi
permette di opzionare la scelta di una resezione epatica laparoscopica. Infatti
sebbene le immagini radiologiche pre operatorie diano comunque delle indicazioni,
tuttavia nel corso della esecuzione della coledocoscopia intraoperatoria si possono
riscontrare nuovi reperti: infatti in questa casistica il 50% delle epatectomie sono
state decise intraoperatoriamente. Da tener conto inoltre che questi pazienti hanno
anche spesso una associata calcolosi della colecisti, per cui si evita un altro
intervento, eseguendo la colecistectomia nel contempo della rimozione dei calcoli
intra epatici e della via biliare principale.
Per quanto riguarda la esplorazione laparoscopica dei dotti intraepatici, gli autori
hanno seguito la tecnica messa a punto nella ispezione del dotto coledoco, con l’uso
di una doppia telecamera, una laparoscopica e l’ altra per il coledocoscopio. I calcoli
rinvenuti nella via biliare principale e intraepatici sono stati rimossi con varie
metodiche coledoscopiche, fino alla litotrissia elettroidraulica. Al termine
dell’intervento è stato applicato un tubo a T 14-18 French; mentre una chiusura
immediata del coledoco è stata eseguita solo nei pazienti in cui in fase preoperatoria
era stato applicato un drenaggio naso biliare (ENBD) e un drenaggio biliare trans
epatico (PTBD).
Yoo-Seok Yoon e colleghi riguardo alla resezione laparoscopica avvertono che è
comunque più impegnativa rispetto a quella eseguita per neoplasia, per le aderenze
e le variazioni anatomiche indotte da ripetuti attacchi di colangite, con incremento
della complicanza della fistola biliare. In questa casistica gli autori si sono limitati alle
sole epatectomie sinistre; non sono state eseguite epatectomie laparoscopiche
destre e la tecnica laparoscopica non è stata applicata ai casi di epatolitiasi
bilaterale.
Comunque gli autori concludono che i dati di questo studio sono sovrapponibili a
quelli degli studi di chirurgia aperta, relativamente alla bonifica dei calcoli e alla
morbidità post operatoria: rispettivamente 78,9% ( 84,2% dopo una coledoscopia
addizionale) e 36,8% (51).
Chung-Ngai Tang e colleghi in uno studio di 17 pazienti operati tra il 1994 e 2004,
per colangite piogenica ricorrente, 10 con la tecnica laparoscopica hand assisted e
10 in chirugia aperta, confermano la bontà della tecnica laparoscopica per il minor
dolore che provoca e la minore degenza post operatoria. Tra l’altro con la tecnica
laparoscopica ci si può avvalere della ecografia laparoscopica e della coledocoscopia
al tavolo operatorio (52 ).
Gli stessi autori in un precedente studio sulla colangite ricorrente piogenica,
ribadiscono come la localizzazione delle stenosi e dei calcoli influenza la strategia di
trattamento. In particolare se i calcoli e le stenosi sono localizzati nel dotto biliare
extraepatico il trattamento di scelta è l’esplorazione del dotto biliare comune e il by
pass biliare, il cui scopo è di eliminare la stasi e la recidiva calcolotica
(coledocoduodenostomia, coledocodigiunostomia e sfinteroplatica). Il vantaggio
della coledocoduodenostomia è che non richiede una ricostruzione complicata come
nella sfinteroplastica, mantiene l’accesso endoscopico alla via biliare nella
ricostruzione in latero laterale, può essere effettuata anche in laparoscopia. (53,54).
LING Xiao-feng e colleghi analizzano 46 casi di epatolitiasi che hanno subito la
coledocoduodenostomia, con un follow up medio di 17,3 anni. Si è rilevato un alto
tasso di calcoli residui (39,1% 18/46), di calcolosi recidiva (31,1% 14/45), di stenosi
non corrette (85%, 17/20) e di mortalità (24,4% 11/45).
Secondo loro la colodescoduodenostomia non raggiunge l’obiettivo di promuovere
la bonifica dai calcoli, la correzione delle stenosi, e la correzione delle lesioni biliari
di per sè. Anzi la coledocoduodenostomia senza la colangioplastica ha provocato un
aumento della colangite da reflusso severo, per la mancanza della funzione
antireflusso dello sfintere di Oddi (46,7% 21/45 vs20% 9/45 del periodo
preoperatorio). Gli autori pertanto sconsigliano la sfinteterotomia dello sfintere di
Oddi sia chirurgica che endoscopica, soprattutto nei casi in cui la funzione dello
sfintere di Oddi è rinvenuta normale nel controllo intraoperatorio (55,56).
Paulo Herman e colleghi osservano che la recidiva dei sintomi in pazienti con epatico
digiuno anastomosi ha indotto a pensare che questa possa non essere la soluzione
ideale. Sono necessari ulteriori studi per stabilire il trattamento ottimale per pazienti
con malattia bilaterale o unilaterale e dotti extraepatici dilatati (57,58).
Bilge Tunc Demirel e colleghi descrivono la ERCP come la tecnica in grado di gestire i
pazienti con coledocoduodenostomia complicata ( le principali complicanze sono la
colangite, la stenosi biliare e la sump syndrome) (59).
Ibrahim Dagher e colleghi rilevano come il trattamento laparoscopico della
dilatazione dei dotti biliari intraepatici richieda la conoscenza approfondita della
chirurgia epatobiliare e della laparoscopia. Gli autori riportano 10 casi di resezioni
laparoscopiche epatiche per malattia localizzata: due epatectomie destre, 4
epatectomie sinistre e 4 segmentectomie laterali sinistre.
I calcoli della via biliare principale sono trattati di routine con la laparoscopia
durante la resezione epatica. In due pazienti sottoposti a una epatectomia sinistra ci
si è avvalsi della colangioscopia attraverso il moncone del dotto epatico sinistro,
evitando la coledocotomia. Nel terzo paziente è stata eseguita la coledocotomia.
associata alla segmentectomia laterale sinistra (60).
Altri autori, oltre Dagher, sottolineano la possibilità di eseguire resezioni epatiche
maggiori laparoscopiche per epatolitiasi.
Di Giuro e colleghi descrivono un caso di di epatectomia sinistra con esplorazione
intraoperatoria del rimanente albero biliare (61).
Anche Jin-Fu Tu e colleghi riportano che la epatectomia sinistra laparoscopica per
epatolitiasi è possible e sicura in pazienti selezionati e con la stessa efficacia
terapeutica dell’intervento tradizionale in chirurgia aperta (62).
M. A. C. Machado e colleghi descrivono in un video gli aspetti tecnici di una
epatectomia destra laparoscopica, in un paziente con epatolitiasi (63,64,65,66).
Han e coll stressano il concetto che bisogna ben tenere in conto la possibilità di
neoplasia maligna nel trattamento di pazienti con una lunga storia di epatolitiasi. Gli
autori riportano una casistica di 23 pazienti con colangiocarcinoma associato ad
epatolitiasi; tutti i pazienti che sono stati sottoposti a un trattamento palliativo o alla
laparotomia esplorativa sono morti entro 1 anno e i tassi di sopravvivenza
cumulativi a 1, 3 e 5 anni sono stati del 43,8% (10/23),13,0% (3/23) e 4,3% (1/23)
rispettivamente. Per quelli che hanno subito una resezione curativa sono stati del
88,9% (8/9), 33,3% (3/9) e 11,1% ( 1/9) rispettivamente, assai migliori di quelli che
hanno subito una resezione palliativa (67).
In presenza di malattia avanzata con cirrosi, ipertensione portale e con il rischio di
insorgenza di insufficienza epatica il trapianto può essere l’unica alternativa (68).
Alternative alla terapia chirurgica
E’ stata proposta come alternativa alla terapia chirurgica la embolizzazione chimica
dei dotti biliari usando etanolo e N-butil ciano acrilato .
Secondo Fu Yu Li e colleghi né la dilatazione con palloncino né l’inserimento di
endoprotesi metalliche garantiscono dalla recidiva delle stenosi, vuoi per il formarsi
di residui di fanghiglia all’interno o all’esterno della endoprotesi, vuoi per il
fenomeno della iperplasia nella parete dei dotti biliari intorno allo stent. Addirittura
le protesi metalliche sono un nido di recidiva di calcoli, soprattutto nei pazienti con
colangite cronica proliferativa severa. Inoltre l’ancoraggio dello stent e la iperplasia
dell’epitelio rendono particolarmente difficile anche la loro rimozione. Se teniamo
conto della frequente distribuzione bilobare dei calcoli (40%), che non sempre i
pazienti tollerano ripetuti interventi, che anche i pazienti operati sviluppano recidive
calcolitiche in altre sedi ( 16% in un report da Hong Kong a 47 mesi), che anche una
epaticodigiunostomia associata alla bonifica dei calcoli si associa in un 10-30% dei
casi alla recidiva della stenosi della anastomosi e il 35% dei pazienti ha una colangite
recidiva,( per cui la si dovrebbe evitare il più possibile nel trattamento delle stenosi
biliari), si conclude che è inadeguato affidarsi alla sola chirurgia nel trattamento
della epatolitiasi.
Secondo gli autori si stabilirebbe un circolo vizioso: i calcoli e l’ infezione secondaria
stimolerebbero la iperplasia persistente nella parete dei dotti biliari, determinando
la colangite proliferativa cronica e le stenosi biliari, che a loro volta stimolerebbero
la formazione di nuovi calcoli e nuove stenosi. Per cui sarebbe strategico il controllo
della CPC (colangite proliferativa cronica), che consiste in una estesa formazione di
tessuto connettivo fibroso, in un infiltrato di cellule infiammatorie da moderato a
severo, in una proliferazione di ghiandole muco secernenti peribiliari nella parete
dei dotti anche a distanza dai luoghi di sedimento dei calcoli. Inoltre queste
ghiandole iperplastiche sono in genere racchiuse in tessuto connettivo fibroso e
possono divenire nidi di batteri, che a loro volta diventano sorgente di nuove
infezioni biliari. I vasi sanguigni circostanti, occlusi dalla proliferazione fibrosa, non
veicolano adeguatamente gli antibiotici e gli agenti antiinfiammatori, rendendo la
infezione dei dotti biliari resistente al trattamento con agenti antimicrobici. La
secrezione di mucoglicoproteine aumenta la viscosità della bile e la stasi biliare,
focus di formazione e successivo accrescimento di calcoli. Per cui gli autori hanno
proposto la embolizazione chimica dei dotti biliari con ciano acrilato per eradicare la
CPC, la quale terapia comunque provoca la distruzione del segmento epatico e del
dotto epatico relativo. Sono stati proposti anche altri agenti antiproliferativi come
paclitaxel e terapie geniche citostatiche (69,70).
Complicanze
Un inadeguato trattamento della calcolosi e delle stenosi biliari può causare a lungo
termine la sepsi biliare recidiva, la fibrosi epatica e la cirrosi.
Le complicanze delle epatectomie sono stimate in una percentuale del 30-40%,
comparabili a quelle delle tecniche non chirurgiche.
La complicanza più frequente è la infezione della ferita con una percentuale del
17%.
Un’altra complicanza maggiore è la fistola biliare per la quale Li e altri hanno
riportato una incidenza del 7,4% in una casistica di 312 pazienti, che hanno subito
una epatectomia per epatolitiasi. Nella maggioranza di questi pazienti (20/23) lo
stravaso di bile è stato trattato con un drenaggio percutaneo eco-guidato; un
paziente ha richiesto un drenaggio endoscopico naso biliare e altri due hanno
necessitato di antibiotici per complicanze settiche.
L’ analisi multivariata ha mostrato che l’ epatectomia sinistra e la distanza di almeno
1 mese tra l’intervento e l’ultimo attacco di colangite acuta sono fattori di rischio
indipendenti per l’evenienza di una fistola biliare.
I dotti del lobo caudato e dotti anomali che drenano le sezioni anteriore o posteriore
destra nei dotti epatici di sinistra, relativamente comuni, sono un’altra sorgente di
stravaso biliare essendo a rischio di lesione nel corso di una epatectomia sinistra
(58).
In generale la epatolitiasi interessa soprattutto il sistema epato biliare di sinistra e il
segmento laterale sinistro ( i segmenti 2 e 3). Per cui la segmentectomia laterale
sinistra o la epatectomia sinistra, che sono gli interventi maggiormente eseguiti,
richiedono una conoscenza precisa della anatomia dei dotti biliari per evitare una
lesione dei medesimi (71).
(44) Li SQ, Liang LJ, Peng BG, Lu MD, Lai JM, Li DM. (2007) Bile leakage after
hepatectomy for hepatolithiasis: risk factors and management. Surgery
141:340–345.
Conclusioni
Sia la ERCP che la PTC sono dei mezzi preziosi per la diagnosi e il trattamento della
epatolitiasi consentendo la rimozione dei calcoli, la biopsia di lesioni sospette e
l’impianto di stents.
Tuttavia sebbene siano degli strumenti affidabili nella rimozione dei calcoli e nella
temporanea risoluzione del problema della colestasi, non sono in grado di
rimuovere i dotti sclerotici. Così che può recidivare la colangite e la situazione
settica a tal punto da richiedere ulteriori interventi.
Infatti senza la rimozione dei dotti stenotici o dilatati permangono i fattori causali
della stasi, della colangite e della formazione dei calcoli; per cui la chirurgia appare
come il trattamento definitivo della epatolitiasi riducendo il rischio di colangiti
recidivanti, e dello sviluppo di un colangiocarcinoma.
Si sottolinea come la PTCSL debba essere eseguita prima delle altre procedure
proprio per accertare la condizione dei dotti biliari intraepatici, con la eventuale
presenza di calcoli, stenosi e dilatazioni.
In particolare nei pazienti asintomatici in cui la epatolitiasi è un reperto incidentale,
l’obiettivo dovrebbe essere di escludere la possibile presenza di un concomitante
colangiocarcinoma e nel sospetto si deve procedere alla epatectomia (20).
Young Koog Cheon e colleghi in uno studio retrospettico su 311 pazienti con un
follow up medio di 8 anni hanno dimostrato come la terapia non operatoria, la
cirrosi biliare, calcoli residui e le stenosi biliari sono associati a recidiva della
calcolosi e/o della colangite dopo il trattamento. Le stenosi, la calcolosi bilobare, e i
trattamenti non operatori sono fattori di rischio significativi per una incompleta
rimozione dei calcoli alla analisi multivariata (72).
72) Young Koog Cheon, MD, Young Deok Cho, MD, Jong Ho Moon, MD, Joon Seong Lee, MD, and
Chan Sup Shim, MD, Seoul, Korea. Evaluation of long-term results
and recurrent factors after operative and nonoperative treatment for hepatolithiasis. Surgery
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20) Sujit Vijay Sakpal, Nitin Babel & Ronald Scott Chamberlain. Surgical management of
hepatolithiasis.HPB2009,11,194-202.
Casi clinici
Tra il 2000 e il 2010 sono stati trattati presso il dipartimento chirurgico della USL 8 di
Arezzo, due pazienti per calcolosi intraepatica primaria: una paziente di 38 anni e un
paziente di 45 anni.
I sintomi di esordio sono stati per entrambi quelli di colangite, febbre, dolore ai
quadranti addominali superiori, con alterazione degli indici di funzionalità epatica.
La paziente di 38 anni aveva in precedenza subito un intervento di colecistectomia
laparoscopica ( 32 mesi prima).
L’iter diagnostico si è avvalso della ecografia, MRCP e CT da cui si è rinvenuta per
entrambi i pazienti una dilatazione duttale e una litiasi prossimale alle stenosi
duttali, con associata atrofia del parenchima. In entrambi i pazienti è stato
interessato il dotto epatico di sinistra.
Non è stata riscontrata calcolosi del coledoco, e alla risonanza magnetica non si
sono rilevate all’imaging preoperatorio segni suggestivi di colangiocarcinoma.
L’ ecografia intraoperatoria ha confermato l’ estensione della lesione.
In entrambi i casi la litiasi ha interessato il lobo sinistro ed entrambi i pazienti sono
stati sottoposti ad epatectomia sinistra, il secondo paziente anche a colecistectomia.
Non è stata eseguita la coledocoscopia intraoperatoria per il dotto epatico destro.
Al termine della procedura la colangiografia intraoperatoria ha verificato l’assenza di
calcoli residui e la anatomia dell’albero biliare.
In entrambi i pazienti non è stato effettuato un drenaggio biliare esterno.
Macroscopicamente si sono messe in evidenza aree di atrofia e fibrosi con
dilatazione dei dotti biliari. I calcoli erano di colesterolo.
Non è stato riscontrato all’esame istologico un colangiocarcinoma.
Non si riporta nessuna mortalità perioperatoria; nell’ambito della morbilità un
paziente ha avuto febbre persistente trattata con terapia antibiotica per 3
settimane.
Il follow up è stato di 48 mesi e 35 mesi rispettivamente con risultati soddisfacenti
(meno di due episodi di dolore e febbre per anno, senza compromissione della
qualità di vita).
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