cronista - spera - non ostacolerà l'attività di scrittore. È del resto l'epoca della letteratura impegnata e i suoi maestri sono Malraux e Gide, entrambi portatori di messaggi. Il giornale è un veicolo indispensabile per diffonderli. Non per fare propaganda, ma per raccontare con rigore e con spirito critico la realtà. La tisi ha moltiplicato la sua smania di vivere, ha fretta, teme di non avere il tempo di dire quel che ha in corpo e vuole dirlo ovunque. Cosi Jean Daniel parla di Camus giornalista, al quale dedica un libro: Resistere all'"aria del tempo" (con Camus), (traduzione di Caterina Pastura, editore Mesogea, pagg. 192, euro 16): un piccolo capolavoro, un modello di asciutta prosa classica, scrive Claudio Magris nella prefazione, in cui il cronista Camus è presentato come il difensore di un'etica professionale riassumibile in tre principi: giustizia, onore e felicità. Meravigliosi principi, purtroppo poco familiari alla gente del mestiere, sia essa di sinistra o di destra o agnostica. Di ieri o di oggi. Come reporter Camus debutta su una nave nelle cui stive sono rinchiusi prigionieri destinati al penitenziario della Cayenna. E già in quel reportage si vede come le opere teatrali e i romanzi ai quali pensa o ai quali già lavora servano al giornalista, che, a sua volta, ispira lo scrittore (sottolinea Olivier Todd nella biografia di Albert Camus, pubblicata da Gallimard nel 1996). Non discute la fondatezza o l'ingiustizia delle condanne inflitte ai forzati, si limita a descrivere le loro condizioni disumane ed esprime la sua morale: «Non si tratta di pietà, ma di tutt'altra cosa. Non c'è spettacolo più abietto di quello di uomini ridotti al di sotto della condizione umana». Fa il giro dei commissariati, come un semplice cronista, per raccogliere notizie cui dedicare qualche riga; frequenta i tribunali, dove si imbatte in casi e immagini utili ai suoi futuri romanzi. È impossibile non pensare a Lo straniero, forse in gestazione. Negli articoli pubblicati su Alger républicain c'è già il tono vibrante, coinciso che più tardi lo renderà famoso e che non affascina soltanto Jean Daniel. Il quale insorge contro chi sostiene che Camus non amasse il giornalismo. Certo non amava i suoi inestirpabili vizi: la tentazione di distribuire biasimi ed elogi, la sottomissione al culto della moda (dell'"aria del tempo"), la lotta tra rivali, la calunnia eletta a sistema e i cortigiani di ogni potere. Il giornalismo è anche tutto questo: ed è quel che faceva dire a Balzac, nelle Illusioni perdute, che «se la stampa non esistesse, bisognerebbe soprattutto non inventarla». I ritmi della vita di un giornalista, cosi come lui la vedeva e la viveva, piacevano a Camus. Alla stessa maniera lo affascinava il teatro. La redazione e il palcoscenico erano un po' come dei pulpiti. Lo seduceva un'esistenza fatta di «entusiasmi e frustrazioni, intensa e futile, urgente e precaria». Anche Jean Daniel è nato in Algeriae ha sentimenti mediterranei simili a quelli di Camus: appassionato giornalista ha scoperto le sue stesse passioni nell'amico più anziano e ammirato come un inarrivabile modello. Camus sognava un giornale che non ha avuto né la possibilità né il tempo di realizzare. Nel suo giornale ideale doveva essere bandita ogni forma di menzogna; ma la serietà avrebbe assunto toni gradevoli; i tre principi - giustizia, onore e felicità sarebbero stati strenuamente difesi. Su Caliban (periodico creato da Jean Daniel nel dopoguerra) Camus scrisse che il giornalismo era «il mestiere più bello del mondo». Come tuttii grandi scrittori, in particolare americani, Camus non ha esercitato a lungo quel mestiere. Quando lavora per Alger républicain, alla fine degli anni Trenta, prevale in Algeria una stampa che esprime tutto quello che il giovane redattore detesta e rifiuta: dal razzismo alla volgarità intellettuale, dalla banalità dei benpensanti alla rapacità di un capitalismo di rapina. Ha da poco dato le dimissioni dal partito comunista, in cui si sentiva a disagio, e di cui non condivideva l'idea secondo la quale l'anticolonialismo dovesse essere messo in disparte, vista la precedenza da dare all'antifascismo. Per lui colonialismo e fascismo andavano combattuti insieme. Il patto germano-sovietico del 1939 l'avrebbe comunque allontanato dal Pc, come accadde a molti intellettuali francesi del suo stesso stampo. Penso a Paul Nizan. In Algeria Camus si impegna con passione in vari processi. Quello in cui è sul banco degli accusati un colono povero, monsieur Hodent, impiegato di un'azienda agricola, lo interessa in particolare. Hodent è stato ingiustamente arrestato in seguito all'equivoca denuncia del suo padrone, un colono facoltoso. Il giovane cronista giudiziario contribuisce, almeno in parte, alla sua assoluzione. Continua con tenacia a occuparsi della vicenda, anche quando l'interesse del pubblico si è ormai spento. Questa fedeltà a una causa non più alla moda, non più nell'"aria del tempo", è un primo modesto esempio di giornalismo, che Camus seguirà poi in altre occasioni. Con il processo Hodent, vive il suo piccolo "caso Calas" (l' affaire che impegnò Voltaire nel Settecento e che è rimasto negli annali giudiziari e letterari). Con l'assidua frequentazione dei tribunali il cronista fornisce un materiale prezioso allo scrittore nella cui mente comincia disegnarsi la figura di Meursault, l'eroe del futuro celebre romanzo - Lo straniero - che finisce in Assise e poi sulla ghigliottina. Il travaso di idee e immagini tra il cronista e lo scrittore è continuo e inevitabile nei due sensi. Gli undici articoli sovrastati dal titolo "Miseria della Kabylia", e pubblicati tra il marzo e il giugno 1939, rappresentano il suo più grande contributo all'effimero quotidiano della sinistra algerina, e anche la testimonianza più netta delle sue convinzioni anticoloniali. Europeo d'Algeria e figlio di petits blancs, di bianchi poveri, prova dei rimorsi incontrando nel suo viaggio mendicanti, donne spossate dalle maternità e dal lavoro nei campi, scolari che svengono in classe per la fame, borghi senza fogne e senza medici. L'inviato speciale di Alger républicain studiai salari, le abitazioni, il sistema scolastico, l'usura, l'artigianato. E conclude che il lavoro in Kabylia è una schiavitù, una vergogna, e che per ridare dignità alla popolazione bisogna assimilarla a quella francese. In quegli articoli, che indigneranno la destra, l'anticolonialismo di Camus non arriva a invocare l'indipendenza dell'Algeria. Chiede in sostanza la parità dei diritti tra il milione di europei e i sei milioni di "indigeni", come si dicea quei tempi. Il meglio di sé il Camus giornalista lo dà come direttore di Combat, nella Parigi appena liberata. È già uno scrittore conosciuto. Lo straniero e Il Mito di Sisifo sono stati pubblicati da Gallimard nel 1942. Ha partecipato alla resistenza non con le armi, ma redigendo e diffondendo giornali clandestini. Di Combat sono stati stampati 58 numeri clandestini, il 59esimo viene venduto dagli strilloni per le strade di Parigi. È il 21 agosto 1944 e l'editoriale anonimo di prima pagina, con il titolo "La lotta continua",è stato scritto da Albert Camus: «Oggi, 21 agosto, nel momento in cui usciamo, giunge al termine la Liberazione di Parigi. Ma sarebbe dannoso ricominciare a vivere nell'illusione che la libertà che spetta all'individuo gli venga accordata senza sforzo e dolore». Sono trascorsi appena dieci giorni dalla liberazione di Parigi, quando il direttore di Combat (al quale collaborano saltuariamente Sartre, Malraux, Aron) denuncia la stampa, non più imbavagliata dalla censura, che sta recuperando i vecchi vizi. Lui è per un'informazione critica. Un editoriale deve essere «un'idea, due esempi, tre cartelle». E deve sempre prevalere la sintesi, che lui chiama la «formula». La sua presenza a Combat dura fino al 1947. Poi getta la spugna. Il giornale ideale, appena abbozzato, resta un sogno. I due anni li ha vissuti intensamente: in redazione, in tipografia, nei caffè di Saint-Germain la sera, dopo la chiusura del giornale. Scriveva in quei mesi La Peste. Ed era spesso in compagnia di Maria Casares, l'attrice, che era l'intenso amore cominciato durante la resistenza. Camus diceva ai giovani redattori: «Vi chiederò di fare delle cose noiose, ma mai sporche». Molto dopo, nel 1955, sarebbe ritornato di nuovo al giornalismo collaborando per più di nove mesia L'Express, il settimanale della sinistra liberale. - BERNARDO VALLI La url di questa pagina è http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/01/25/albertcamus.html Abbonati a Repubblica a questo indirizzo http://www.servizioclienti.repubblica.it/index.php?page=abbonamenti_page