L’atteggiamento terapeutico nei confronti dei pazienti affetti da carcinoma della prostata Studio osservazionale italiano Si ringrazia il Dr. Giorgio Ivan Russo, Università degli Studi di Catania, per la preziosa collaborazione. © copyright 2014 by Percorsi Editoriali di Carocci editore, Roma Copertina di Falcinelli&Co/Livia Massaccesi Progetto grafico di Ulderico Iorillo Finito di stampare nel mese di marzo 2014 da Eurolit, Roma Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Indice Presentazione7 di Giuseppe Morgia Introduzione9 Lo studio CHOICE 13 Caratteristiche dei Centri e dei pazienti coinvolti13 Discussione22 Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale (PR) 22 Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti precedentemente sottoposti a RT24 Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti con pregressa terapia ormonale 25 Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti con nuova prescrizione26 Generalità27 Conclusioni28 Bibliografia 29 Presentazione Il beneficio delle linee guida nazionali e internazionali consiste nell’offrire un “supporto” di qualità per la cura dei pazienti. In questa nuova era, la gestione del tumore prostatico, e in particolar modo la terapia ormonale, è basata principalmente su dati provenienti da trial clinici, metanalisi, evidenze cliniche e molto altro. Questa moltitudine di dati, se da un lato arricchisce giornalmente la comunità scientifica e l’urologo, dall’altro rischia di confonderli. Molte di queste nuove scoperte possono risultare utili sia per il medico che per il paziente, ma possono essere limitatamente applicabili a molti pazienti osservati nella nostra pratica clinica. Frequentemente, infatti, ci troviamo a scegliere il miglior trattamento basandoci sulla nostra esperienza e non sulle indicazioni poste dalle più prestigiose società scientifiche internazionali o, più in generale, dalla comunità scientifica. L’aderenza alle linee guida varia sostanzialmente attraverso le diverse nazioni e anche all’interno dello stesso territorio italiano. In questo contesto, talora caratterizzato dall’incertezza, la LUNA, Fondazione di Ricerca della Società Italiana di Urologia, grazie anche al contributo liberale e incondizionato di Takeda, ha promosso e coordinato lo studio CHOICE, che ha raccolto dati clinici provenienti da 30 Centri di urologia e radioterapia, distribuiti sul territorio italiano. Si è cercato così di fotografare la situazione italiana in merito alla modalità d’impiego della terapia ormonale nel tumore prostatico. Ci auguriamo che il nostro sforzo riesca a svelare queste criticità e speriamo possa offrire un contributo rilevante per l’urologia italiana. Prof. Giuseppe Morgia Università degli Studi di Catania Presidente della Fondazione LUNA 7 Introduzione Il carcinoma prostatico (CaP) è il secondo tumore per frequenza nei paesi occidentali, dopo il carcinoma polmonare; rappresenta circa il 20% delle nuove diagnosi di neoplasia e la causa più comune di morte per cancro nel sesso maschile (circa l’11%). È raramente riscontrato prima dei 40 anni, con un incremento dell’incidenza e della prevalenza con l’aumentare dell’età. Le cause specifiche del tumore prostatico sono sconosciute. Il rischio che un uomo sviluppi il tumore è correlato all’età, all’etnia, a fattori ereditari, alla dieta e allo stile di vita. Il più importante fattore di rischio è la familiarità: la presenza in un parente di I grado (padre, nonno, fratello) di cancro della prostata aumenta fino a 10 volte il rischio di sviluppare lo stesso tumore. La storia naturale della malattia è estremamente variabile e comprende diverse forme: alcune latenti che non evolvono verso la fase clinica, altre con un’evoluzione lenta e progressiva, oppure con un inizio lento e successiva accelerazione della progressione, altre ancora con caratteristiche istologiche e cliniche di aggressività già all’esordio. Le terapie per il carcinoma della prostata sono molteplici e vanno sempre adattate in base alle caratteristiche del tumore e alle esigenze del paziente. La scelta più adeguata, pertanto, dovrà essere effettuata in funzione dello stadio della malattia, dell’età e dello stato di salute del paziente. Alla luce di queste valutazioni, vi sono diverse possibilità terapeutiche che possono essere impiegate singolarmente o combinate tra di loro: • la terapia chirurgica (PR, prostatectomia radicale), con tecnica open, videolaparoscopica o robot-assistita; • la terapia radiante (radioterapia); • la terapia farmacologica con ormonoterapia (OT) e chemioterapia; • la sorveglianza attiva. 9 La chirurgia può essere considerata il gold standard per la cura del tumore prostatico localizzato. I migliori risultati si ottengono nei casi di malattia localizzata (stadi T1-T2), basso livello di PSA preoperatorio (<10 ng/ml) e grading Gleason score <6. Sebbene il miglioramento della tecnica chirurgica con nerve-sparing abbia consentito la riduzione delle complicanze dell’intervento, quali disfunzione erettile e incontinenza urinaria, la frequenza e l’impatto sulla qualità della vita di tali problematiche impongono un’accurata selezione dei pazienti da avviare alla sala operatoria. La probabilità di sopravvivenza, senza progressione di malattia dopo prostatectomia radicale, per un tumore localizzato è a 5 e 10 anni, pari rispettivamente all’83-94% e al 53-91%. La radioterapia (RT) è utilizzata come alternativa alla chirurgia nei tumori localizzati o insieme alla terapia ormonale, nei casi di malattia estesa oltre i margini della prostata (stadio T3). Inoltre, negli stadi più avanzati, la radioterapia può servire come trattamento palliativo del dolore da metastasi ossee. La brachiterapia (BT) prostatica è una tecnica mini-invasiva che consente di trattare il carcinoma prostatico localizzato con una dose di radiazioni estremamente elevate, senza danneggiare le strutture adiacenti alla ghiandola mediante piccoli semi, contenenti sorgenti radioattive, impiantati sotto guida ecografica. La terapia ormonale (OT) rappresenta, in accordo con le linee guida dell’European Association of Urology (EAU) e del National Comprehensive Cancer Network (NCCN), il trattamento di scelta nelle forme avanzate o metastatiche di neoplasia, oppure come terapia neoadiuvante e/o adiuvante in associazione alla radioterapia esterna, alla brachiterapia e, in caso di progressione biochimica e clinica, dopo un trattamento chirurgico con intento radicale. La deprivazione androgenica può essere ottenuta: • sopprimendo la secrezione di androgeni a livello del testicolo mediante castrazione chirurgica o farmacologica; • inibendo l’azione degli androgeni (di origine testicolare e/o surrenalica) a livello dei loro recettori prostatici con l’impiego di farmaci antiandrogeni; • combinando le precedenti modalità e realizzando un blocco androge10 nico completo. Negli ultimi anni, è stata esaminata la possibilità di utilizzare questi farmaci in alternativa alla castrazione chirurgica. Recenti evidenze infatti suggeriscono che la monoterapia con antiandrogeni non steroidei è associata a un miglioramento della sopravvivenza biochimica, ma a una più bassa sopravvivenza globale se comparata all’orchiectomia. Tuttavia, l’uso degli antiandrogeni non steroidei è stato da sempre promosso per la loro manegevolezza e per la loro mancanza di soppressione totale dei livelli di testosterone. Per tale motivo, le linee guida internazionali dell’EAU consigliano l’utilizzo di questa terapia come alternativa alla castrazione in pazienti con malattia localmente avanzata. Gli LHRH analoghi offrono, invece, un’alternativa reversibile alla castrazione chirurgica, sia nella malattia avanzata sia negli stadi più precoci. In pazienti ad alto rischio di malattia metastatica, la soppressione androgenica immediata con LHRH analoghi, somministrata durante e per 3 anni dopo RT, è in grado di migliorare significativamente la sopravvivenza globale a 10 anni. Rimane però ancora controverso quando iniziare la terapia ormonale negli stadi avanzati di malattia. Una recente review, basata su studi precedenti all’era del PSA, ha concluso che la terapia ormonale immediata fornisce un piccolo beneficio in termini di sopravvivenza globale ma non migliora la sopravvivenza cancro-specifica. Le linee guida europee ritengono, infatti, che la terapia ormonale immediata (alla diagnosi), nei pazienti con malattia avanzata, possa ridurre significativamente la progressione di malattia e le complicanze associate alla progressione se comparata all’ormonoterapia differita, ma i benefici sulla sopravvivenza globale risultano marginali. Sebbene il trattamento chirurgico in pazienti con stadio clinico T3 sia stato tradizionalmente sconsigliato, la PR effettuata da chirurghi con adeguata esperienza può raggiungere alti livelli di successo. Tuttavia, anche in questi casi, esiste la possibilità di eventuali terapie adiuvanti o di salvataggio come la RT o l’ormonoterapia. A oggi mancano evidenze scientifiche sull’utilizzo della terapia neoadiuvante alla PR, anche che se è stato dimostrato che questa migliora significativamente alcune variabili patologiche, come il tasso di margini positivi, di estensione extracapsulare o di invasione linfonodale. L’ormonoterapia immediata dopo PR e linfoadenectomia pelvica è invece in grado di migliorare la sopravvivenza globale, cancro-specifica e libera dalla malattia se comparata all’ormonoterapia differita. 11 Infine, l’ormonoterapia gioca un ruolo importante nel trattamento della recidiva sistemica dopo PR. Esistono evidenze, infatti, che dimostrano come l’ormonoterapia immediata sia in grado di dilazionare la progressione e di ottenere benefici sulla sopravvivenza. Tuttavia, la terapia ormonale presenta delle importanti limitazioni. Oltre alla comparsa di significative alterazioni metaboliche, alcuni pazienti falliscono il raggiungimento dei livelli di castrazione. È stato inoltre dimostrato che la presenza di livelli di testosteronemia superiori a 32 ng/ml riduce il tempo di insorgenza di malattia androgeno-indipendente, rispetto a pazienti con livelli inferiori. La disponibilità di diversi farmaci con differente meccanismo d’azione e formulazione per la realizzazione della terapia androgeno-soppressiva nei diversi stadi del carcinoma prostatico rende piuttosto variabile il loro impiego nella pratica clinica, anche in presenza di linee guida internazionali che ne regolano l’utilizzo. In particolare, non sono al momento disponibili in Italia informazioni che consentano di comprendere in maniera precisa la reale modalità di utilizzo della terapia androgeno-soppressiva nei pazienti con carcinoma della prostata. Ne consegue la carenza di dati clinici sulla frequenza di utilizzo della terapia ormonale nei diversi stadi di malattia e nelle diverse situazioni cliniche. Questo rende difficile verificare se e quanto il comportamento clinico italiano si diversifichi rispetto alle raccomandazioni delle principali linee guida internazionali. L’obiettivo di questo studio osservazionale è di fotografare la situazione italiana in merito alla modalità d’impiego della terapia androgeno-soppressiva in un significativo campione di pazienti afferenti a 30 Centri italiani di urologia e radioterapia. Lo studio si propone, in una successiva fase, di porre in parallelo i dati raccolti da questo studio con i dati di letteratura presenti e le più recenti linee guida internazionali emesse dalle società scientifiche, quali la Società Europea di Urologia, per rilevare affinità e discrepanze. 12 Lo studio CHOICE Caratteristiche dei Centri e dei pazienti coinvolti Lo studio CHOICE, promosso e coordinato dalla Fondazione LUNA, la Fondazione di Ricerca della Società Italiana di Urologia, condotto tra il dicembre 2010 e il giugno 2012, si propone di fotografare l’atteggiamento terapeutico di urologi e radioterapisti nella somministrazione dell’ormonoterapia a pazienti affetti da carcinoma prostatico. Lo studio vuole descrivere le caratteristiche cliniche sia dei soggetti affetti da carcinoma prostatico già in trattamento ormonale al reclutamento, sia di quelli per i quali alla visita tale trattamento viene prescritto per la prima volta o ripreso. Lo studio osservazionale, trasversale, multicentrico, ha coinvolto per 12 mesi 30 Centri italiani di urologia e radioterapia, distribuiti sul territorio italiano. Sono stati reclutati e ritenuti validi per l’analisi 1.386 pazienti, età mediana di 75 anni (range: 49-94), indice di Charlson (CCI) mediano di 4 (range: 0-12) e con un tempo mediano dalla diagnosi di CaP di 20 mesi (range: 0-237). Al momento della diagnosi di CaP, il PSA mediano era di 10,6 ng/ml (range: 0.2-1730) e lo stadio clinico era così suddiviso tra i soggetti arruolati: T1a in 28 (2,1%), T1b in 39 (3,0%), T1c in 415 (31,4%), T2a in 312 (23,6%) e T2b in 527 (39,9%). In 783 soggetti (62,5%) non c’era evidenza clinica di coinvolgimento linfonodale (N0), mentre 36 (2,8%) risultavano N+ al momento della diagnosi di CaP. Infine, in 72 pazienti (5,8%) c’era evidenza di metastasi a distanza al momento della diagnosi. Il Gleason bioptico alla diagnosi era ≤6 in 433 soggetti (33,5%), 7 (3 + 4) in 299 (23,1%), 7 (4 + 3) in 246 (19,0%) e 8-10 in 315 (24,4%). In accordo alla classe di rischio secondo D’Amico, 190 pazienti (16,3%) risultavano a basso rischio, 400 (34,4%) a rischio intermedio, 481 (41,3%) ad alto rischio e 93 (8,0%) a rischio molto alto. 13 Al momento dell’arruolamento, il PSA mediano era di 0,7 ng/ml (range: 0-1300), 40/1.383 soggetti (2,9%) presentavano metastasi linfonodali, 73/1.383 (5,3%) metastasi a distanza e 19/1.383 (1,4%) entrambe le condizioni. Al momento dell’arruolamento, 1.014 pazienti (76,6%) non avevano in programma nessun trattamento, mentre 309 seguivano terapie programmate per il CaP, tra cui 7 (0,5%) per PR, 273 (20,6%) per RT, 12 (0,9%) per HIFU, 16 (1,2%) per altri trattamenti. Al momento dell’arruolamento, 892/1.355 soggetti (65,8%) non presentavano nessuna sintomatologia, mentre la nicturia era presente in 241/1.355 (17,8%) (mediana pari a 3; range: 1-10), il mitto ipovalido in 145/1.355 (10,7%) e la disuria in 90/1.355 (6,6%). Nella popolazione generale analizzata, 1.006 pazienti (73,1%) presentavano un trattamento ormonale in corso, dove 472 (46,9%) erano in terapia con soppressione androgenica in monoterapia, 210 (20,9%) in terapia con soli antiandrogeni e 314 in blocco androgenico totale (BAT) (31,2%). Il trattamento ormonale in corso era stato somministrato in neoadiuvante in 133 soggetti (18,1%), in adiuvante in 242 (32,9%), concomitante/complementare in 265 (36%) e intermittente in 96 (13%). La terapia di soppressione androgenica risultava costituita da leuprorelina in 634 casi (81,5%) e triptorelina in 170 (21,9%), con una frequenza di iniezione mensile in 277 casi (36,7%) e trimestrale in 478 (63,3%). La terapia con antiandrogeni era costituita da steroidei in 42 (8,0%) e 481 casi (91,3%), dove la bicalutamide è stata prescritta in 466 casi (97,3%) e la flutamide in 13 (2,7%). La tollerabilità al trattamento è stata ottima in 36 casi (3,7%), buona in 591 (60,5%) e scarsa in 350 (35,8%), mentre l’aderenza al trattamento è stata ottima in 15 casi (1,6%), buona in 446 (46,3%) e scarsa in 503 (52,2%). 14 Sul totale della popolazione generale, 567 (41,6%) avevano ricevuto un trattamento ormonale diverso da quello in corso al momento della visita, di cui 178 (31,39%) di sola soppressione androgenica, 160 (28,22%) di soli antiandrogeni e 216 (38,1%) di combinazione tra i due. I principi attivi utilizzati per la soppressione androgenica erano leuprorelina in 276 casi (72,8%), triptorelina in 99 (26,1%), goserelina in 3 (0,8%), buserelina in 1 (0,3%), con una frequenza di iniezione mensile in 185 casi (49,5%), trimestrale in 187 (50,0%) e giornaliera in 2 (0,5%). La terapia ormonale pregressa è stata somministrata con modalità neoadiuvante in 79 casi (13,9%), concomitante/complementare in 143 (25,2%), adiuvante in 151 (26,6%) e intermittente in 84 (14,8%), con una tollerabilità riferita ottima in 40 casi (7,2%), buona in 368 (66,7%) e scarsa in 144 (26,1%) e un’aderenza al trattamento ottima in 20 casi (3,7%), buona in 313 (57,2%) e scarsa in 214 (39,1%). La terapia con antiandrogeni era costituita da non steroidei in 333 casi (88,2%) e da steroidei in 43 (11,4%): tra i non steroidei la bicalutamide è stata utilizzata in 289 casi (88,7%) e la flutamide in 35 (6,6%), mentre, tra gli steroidei, il più comune era il ciproterone acetato, prescritto in 26 casi (89,7%). La modalità d’uso era di tipo continuativo in 220 casi (66,7%) e di tipo flare up in 110 (33,3%). Al reclutamento, il dato sulla testosteronemia era disponibile per soli 160 soggetti (11,6%), con un valore pari a 306,5 ± 392,9 ng/dl. A posteriori, valutata la casistica reclutata, per un’opportuna analisi i pazienti sono stati divisi in sottopopolazioni omogenee più idonee per l’interpretazione dei risultati dello studio. Il criterio adottato è stato il trattamento principale ricevuto prima della visita di arruolamento. Si è pervenuti pertanto all’identificazione di: • 401 pazienti precedentemente sottoposti a prostatectomia radicale; • 210 pazienti precedentemente sottoposti a radioterapia; • 14 pazienti precedentemente sottoposti a crioterapia/HIFU; • 584 pazienti che avevano ricevuto un trattamento ormonale diverso da quello attuale; • 177 pazienti con nuova somministrazione di terapia ormonale. Pazienti precedentemente sottoposti a prostatectomia radicale Su 1.386 pazienti, 401 soggetti (28,9%) sono stati precedentemente sottoposti a PR tra il 1991 e il 2012. La ▶ Tabella 1 mostra le caratteristiche clinico-patologiche di questi soggetti alla diagnosi. Nessun paziente presentava metastasi cliniche al momento della diagnosi. Il tempo mediano tra diagnosi di CaP e intervento chirurgico è stato di 1,8 mesi (range: -3,8-120,9). L’intervento è stato condotto con tecnica open in 335 soggetti (87,2%), laparoscopica in 25 (6,5%) e robotica in 24 (6,3%). Il tasso di concordanza tra Gleason score bioptico e patologico è stato del 73,1%, con un indice di agreement Kappa di Cohen pari a 0,59 (concordanza moderata). Pur non essendo riportata la percentuale di pazienti sottoposti a linfoadenectomia, è stato possibile determinare la presenza di positività linfonodale in 4 soggetti (1%). Il PSA mediano al momento dell’arruolamento era pari a 0,1 15 ▶ Tabella 1. Dati alla diagnosi in pazienti sottoposti a PR Pazienti, n 401 Età mediana (range), anni 70 (51-87) PSA mediano (range), ng/ml 9,7 (0,8-609) Stadio clinico, n (%) T1a 3 (0,8) T1b 8 (2,1) T1c 132 (34,5) T2a 107 (27,9) T2b 133 (34,7) N0 221 (61,7) Nx 133 (37,2) N+ 4 (1,2) Stadio linfonodale, n (%) Gleason score bioptico, n (%) ≤6 121 (33) 7 (3 + 4) 84 (22,9) 7 (4 + 3) 79 (21,5) 8-10 83 (22,6) Classificazione secondo D’Amico Low 53 (16,5) Intermediate 108 (33,5) High 157 (48,8) Very-High 3 (1,2) Gleason score patologico, n (%) ≤6 84 (21,7) 7 (3 + 4) 85 (22) 7 (4 + 3) 85 (22) 8-10 133 (34,4) pT2 140 (35,4) pT3a 113 (28,6) Stadio patologico, n (%) pT3b-4 16 142 (36) PSMs, n (%) 153 (39,5) Linfonodi positivi, n (%) 4 (1) (range: 0-140). Tra i pazienti, 122 (32,3%) avevano ricevuto trattamenti non chirurgici pregressi rispetto all’arruolamento, tra cui radioterapia in 116 (30,7%), mentre 256 (67,7%) erano rimasti in vigile attesa. Inoltre, 187 soggetti (47,9%) avevano ricevuto una terapia ormonale pregressa, di tipo neoadiuvante in 20 casi (10,7%), adiuvante in 92 (49,2%), concomitante/complementare in 26 (13,9%) e intermittente in 29 (15,5%). All’arruolamento, 18 (5,1%) avevano un trattamento radioterapico in atto, l’ormonoterapia era in corso in 283 casi (71,1%), di cui 11 (4,8%) come neoadiuvante, 135 (59,2%) come adiuvante, 49 (21,5%) come concomitante o complementare e 33 (14,5%) come intermittente. Tra questi 283 pazienti, a 215 (76,0%) e 133 (47%) era stato somministrato rispettivamente un trattamento di soppressione androgenica o di castrazione androgenica. Gli antiandrogeni erano prescritti in modo continuativo in 88 casi (84,6%) e flare up in 16 (15,4%). Nel corso della terapia ormonale, gli effetti collaterali più frequenti che si sono manifestati sono stati: disfunzione sessuale in 155 casi (60,8%), hot-flashes in 129 (49,6%), ginecomastia in 94 (36,2%) e mastodinia in 59 (22,9%). A 83 pazienti (21,2%) è stata prescritta una prima terapia ormonale all’arruolamento, mentre a 109 (27,8%) è stata modificata, per un totale di prescrizione di LHRH analoghi in 248 casi (77,3%) e di antiandrogeni in 152 (44,4%). In 45 casi (11,2%) non è stata prescritta nessuna ormonoterapia. Pazienti sottoposti a radioterapia In 210 pazienti (15,2%), l’intervento principale è stato la radioterapia effettuata prima dell’arruolamento. La ▶ Tabella 2 mostra le caratteristiche clinico-patologiche di questi soggetti alla diagnosi. Solo 3 pazienti (1,5%) presentavano metastasi cliniche al momento della diagnosi. Era stata effettuata una RT conformazionale in 150 soggetti (71,4%), IMRT in 20 (9,5%) e brachiterapia in 10 (4,8%). In 6 soggetti (3,2%) la RT era in corso. 17 ▶ Tabella 2. Dati alla diagnosi in pazienti sottoposti a RT Pazienti, n 210 Età mediana (range), anni 75 (56-92) PSA mediano (range), ng/ml 10,1 (1,3-355) Stadio clinico, n (%) T1a 1 (0,5) T1b 6 (3,0) T1c 72 (35,6) T2a 34 (16,8) T2b 89 (44,1) Stadio linfonodale, n (%) N0 132 (67,0) Nx 57 (28,9) N+ 8 (4,0) Gleason score bioptico, n (%) ≤6 75 (36,9) 7 (3 + 4) 43 (21,2) 7 (4 + 3) 38 (18,7) 8-10 47 (23,2) Classificazione secondo D’Amico Low 35 (18,8) Intermediate 70 (37,6) High 72 (38,7) Very-High 9 (4,8) Inoltre, 116 soggetti (56,0%) avevano ricevuto una terapia ormonale pregressa, di cui di tipo neoadiuvante in 24 casi (20,7%), adiuvante in 33 (28,4%), concomitante/complementare in 64 (55,2%) e intermittente in 7 (6,0%). Era stata utilizzata una terapia di soppressione androgenica in 82 casi (70,7%) e antiandrogenica in 84 (72,4%). Al momento dell’arruolamento il PSA mediano era pari a 0,2 (range: 0-32.4). 18 All’arruolamento, l’ormonoterapia era in corso in 167 casi (79,5%): 6 (4,5%) come neoadiuvante, 64 (47,8%) come adiuvante, 47 (35,1%) come concomitante o complementare e 17 (12,7%) come intermittente. Tra questi, 126 (75,4%) e 89 pazienti (53,3%) ricevevano rispettivamente un trattamento di soppressione androgenica o di castrazione androgenica. Nel corso della terapia ormonale, gli effetti collaterali più frequenti che si sono manifestati sono stati: disfunzione sessuale in 103 (60,8%), hot-flashes in 81 (49,6%), ginecomastia in 43 (36,2%) e mastodinia in 29 (22,9%). Diversamente, a 19 pazienti (9,1%) è stata prescritta una prima terapia ormonale all’arruolamento, mentre a 47 (22,6%) è stata modificata, con un totale di prescrizione di LHRH analoghi in 116 casi (76,8%) e di antiandrogeni in 72 (47,7%). A 57 pazienti (27,3%) non è stata prescritta nessuna terapia. Pazienti sottoposti a pregressa ormonoterapia Una prescrizione di ormonoterapia precedente al reclutamento veniva riferita da 584 pazienti e 546 (93,7%) erano in terapia al momento della visita. La diagnosi di neoplasia era stata posta mediamente 2,5 anni prima della visita. La ▶ Tabella 3 mostra le caratteristiche clinico-patologiche di questi soggetti al momento della diagnosi di CaP. Al momento della diagnosi 51 pazienti (9,6%) presentavano metastasi cliniche. 515 pazienti (96,3%) non avevano ricevuto nessun trattamento non chirurgico pregresso rispetto all’arruolamento, mentre 20 (3,7%) avevano ricevuto un trattamento pregresso non chirurgico. In 65 pazienti (12,5%) il trattamento radioterapico era in corso all’arruolamento. Inoltre, 255 soggetti (43,9%) avevano ricevuto una terapia ormonale pregressa, di cui di tipo neoadiuvante in 34 (13,3%), adiuvante in 24 (9,4%), concomitante/complementare in 53 (20,8%) e intermittente in 45 (17,6%). Il PSA mediano al momento dell’arruolamento era pari a 1,1 (range: 0,0-980). All’arruolamento, l’OT era in corso in 546 casi (93,7%), dei quali: 114 (31,1%) come neoadiuvante, 41 (11,2%) come adiuvante, 168 (45,8%) come concomitante o complementare e 44 (12,0%) come intermittente. Erano in trattamento con soppressione androgenica e con castrazione androgenica, rispettivamente 440 (80,6%) e 301 (55,1%) soggetti. Gli antiandrogeni erano prescritti in modo continuativo in 215 casi (82,1%) e per il flare up in 47 (17,9%). Nel corso della terapia ormonale, gli effetti collaterali più frequenti che si sono manifestati sono stati: disfunzione sessuale in 103 (60,8%), hot-flashes in 81 (49,6%), ginecomastia in 43 (36,2%) e mastodinia in 29 (22,9%). 19 ▶ Tabella 3. Dati alla diagnosi in pazienti con pregressa ormonoterapia Pazienti, n 584 Età mediana (range), anni 77 (49-94) PSA mediano (range), ng/ml 11,7 (0,2-1730) Stadio clinico, n (%) T1a 19 (3,4) T1b 21 (3,8) T1c 139 (25,1) T2a 135 (24,4) T2b 240 (43,3) Stadio linfonodale, n (%) N0 318 (59,6) Nx 196 (36,7) N+ 20 (3,8) Gleason score bioptico, n (%) ≤6 190 (34,5) 7 (3 + 4) 128 (23,2) 7 (4 + 3) 88 (16,0) 8-10 145 (26,3) Classificazione secondo D’Amico Low 80 (15,9) Intermediate 174 (34,6) High 187 (37,2) Very-High 62 (12,3) A 204 soggetti (35,6%) è stata modificata la terapia ormonale alla visita e, in totale, si è registrata una prescrizione di LHRH analoghi in 408 casi (83,8%) e di antiandrogeni in 221 (45,4%). Infine, in 69 casi (12,0%) è stata sospesa la terapia. Avevano un trattamento radioterapico programmato 151 pazienti (27,0%), mentre 4 (0,7%) avevano programmato un intervento di PR e 1 (0,2%) l’HIFU. Pazienti precedentemente non trattati 20 Dei pazienti arruolati nello studio, 177 ricevevano per la prima volta la prescrizione di terapia ormonale. La ▶ Tabella 4 mostra le caratteristiche ▶ Tabella 4. Dati alla diagnosi in pazienti non precedentemente trattati Pazienti, n 177 Età mediana (range), anni 76 (53-91) PSA mediano (range), ng/ml 12,4 (1,2-1300) Stadio clinico, n (%) T1a 5 (3,0) T1b 4 (2,4) T1c 63 (37,5) T2a 34 (20,2) T2b 62 (36,9) Stadio linfonodale, n (%) N0 100 (66,2) Nx 47 (31,1) N+ 4 (2,6) Gleason score bioptico, n (%) ≤6 39 (24,7) 7 (3 + 4) 40 (25,3) 7 (4 + 3) 40 (25,3) 8-10 39 (24,7) Classificazione secondo D’Amico Low 19 (13,3) Intermediate 43 (30,1) High 63 (44,1) Very-High 18 (12,6) clinico-patologiche di questi soggetti al momento della diagnosi di CaP. I linfonodi risultavano positivi in 4 casi (2,6%) e le metastasi erano presenti in 18 (12,0%). Il PSA mediano al momento dell’arruolamento era pari a 11,2 (range: 1,2-1300), e il tempo mediano dalla diagnosi di CaP era di 1,1 mesi. Una terapia con LHRH era stata prescritta a 63 soggetti (35,6%), con antiandrogeni a 25 (14,1%) e un blocco androgenico totale a 89 (50,3%). Gli antiandrogeni erano stati prescritti in modalità neoadiuvante in 39 pazienti (42,9%), concomitante/complementare in 41 (45,1%) e adiuvante in 11 (12,1%); mentre gli LHRH erano stati prescritti in modalità neoadiuvante in 45 casi (39,5%), concomitante/complementare in 45 (39,5%) e adiuvante in 24 (21,2%). 21 Solo 1 paziente (0,6%) aveva un trattamento in corso, nello specifico la RT, mentre 67 (39%) avevano un trattamento programmato per CaP. Questa programmazione prevedeva la RT in 53 casi (30,8%), la PR in 3 (1,7%) e l’HIFU in 9 (5,2%). Discussione Il cancro della prostata è responsabile di circa il 28% dei casi di tumore negli uomini. Nell’ultimo decennio, l’incidenza della malattia è notevolmente aumentata, anche grazie all’aumentato numero di diagnosi effettuate precocemente, ma tale aumento è accompagnato a una significativa riduzione della mortalità, legata certamente all’aumento dell’efficacia delle diverse possibili scelte terapeutiche (chirurgica, radioterapica o farmacologica). Scopo di questo studio osservazionale è stato quello di descrivere le caratteristiche cliniche e terapeutiche dei soggetti affetti da CaP che presentano un trattamento ormonale già avviato e in corso o prescritto all’arruolamento, in modo da avere una mappatura del comportamento clinico dei Centri di urologia e radioterapia. La terapia ormonale viene maggiormente usata come neoadiuvante o adiuvante alla chirurgia o radioterapia, in caso di recidiva biochimica dopo chirurgia o radioterapia, o anche come terapia primaria per la malattia non metastatica. Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale (PR) 22 Il ruolo della terapia ormonale neoadiuvante a intervento chirurgico è stato studiato da una recente review e metanalisi (Shelley et al., 2009). La sua somministrazione prima della prostatectomia sembrerebbe non migliorare la sopravvivenza globale (OS) o la sopravvivenza libera da malattia (PFS), ma riduce significativamente i tassi di margini positivi (MP) (RR: 1.63; p <0,0001) e di invasione linfonodale (RR: 0,49; p <0,02). Per questi motivi, in relazione all’assenza di miglioramenti degli outcome clinici (OS o PFS), nonostante il miglioramento degli outcome patologici, la terapia ormonale neoadiuvante non può essere consigliata in questa tipologia di pazienti. Nel nostro studio, solo 20 casi (10,7%) avevano ricevuto un trattamento ormonale pregresso alla PR in modalità neoadiuvante. Anche il ruolo della terapia ormonale in adiuvante è stato indagato da una review della Cochrane (Kumar et al., 2006). È stato dimostrato che l’ormonoterapia adiuvante non determina dei significativi vantaggi in termini di sopravvivenza a 10 anni, tuttavia l’Early Prostate Cancer Trialists’ Group (EPC) ha dimostrato un significativo miglioramento della progressione libera da malattia in pazienti con malattia localmente avanzata (McLeod et al., 2006). Nella casistica dello studio CHOICE, 160 pazienti in questa categoria presentavano una malattia localmente avanzata al momento della PR, mentre ben 282 pazienti erano in terapia ormonale adiuvante. Questi risultati sembrerebbero contrastare con le considerazioni precedenti, se si considera che i pazienti con malattia localmente avanzata erano 160 (50%), meno della metà di quelli in trattamento adiuvante. La terapia ormonale intermittente è stata recentemente esaminata come potenziale alternativa al blocco androgenico totale, al fine di ritardare la comparsa di malattia ormonorefrattaria, minimizzare gli effetti collaterali e ridurre i costi di una terapia prolungata. Un recente studio di fase 3 (follow-up 5 anni) (Calais da Silva et al., 2009) ha riportato la non inferiorità della terapia ormonale intermittente versus terapie continuative in termini di sopravvivenza e con attività sessuale maggiormente preservata, suggerendo in tal modo un suo utilizzo in pratica clinica. Tuttavia, ancora oggi le linee guida dell’American Urological Association (AUA) e dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) non consigliano l’utilizzo della terapia ormonale intermittente. Le linee guida EAU, invece, enfatizzano la maggiore tollerabilità e il miglioramento della QoL e della funzione sessuale di questa modalità di trattamento (LOE: 1b). Certamente, questa mancanza di indicazioni precise può spiegare la presenza di 29 (15,5%) e 35 casi (12,28%) in cui rispettivamente l’ormonoterapia intermittente era pregressa o in corso. Infine, è importante sottolineare come molti pazienti del nostro studio abbiano ricevuto l’ormonoterapia nonostante la negatività linfonodale (T3-4 N0) o in caso di recidiva locale. Alcuni pazienti però erano stati sottoposti a RT dopo PR (134 (35,8%), e questi potrebbero aver ricevuto il trattamento in neo- o 23 adiuvante. Quest’ultima quota di soggetti limiterebbe, infatti, il numero di casi con indicazione scorretta al trattamento ormonale. Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti precedentemente sottoposti a RT La terapia ormonale in combinazione con la radioterapia ha dimostrato dei benefici clinici soprattutto in pazienti con malattia ad alto rischio (T3a o Gleason score 8-10 o PSA >20 ng/ml). I vantaggi sembrerebbero correlati sia all’abilità dell’ormonoterapia di rendere il tumore prostatico più suscettibile all’apoptosi indotta dalla RT sia all’attività diretta di soppressione delle cellule tumorali fuoriuscite dalla ghiandola. L’aggiunta della terapia ormonale neoadiuvante/adiuvante alla RT è, infatti, considerata il gold standard in questa categoria di pazienti. Questo approccio multimodale è fortemente supportato da dati provenienti da importanti trial clinici. L’OT neoadiuvante prima della RT riduce significativamente la progressione locale a 5 anni rispetto alla sola RT (71% vs. 46%), la mortalità cancro-specifica, la comparsa di metastasi, così come la sopravvivenza libera da malattia. I benefici dell’OT adiuvante alla RT sono anch’essi ben stabiliti in termini di controllo di malattia e di sviluppo di metastasi, di progressione libera da malattia e di sviluppo di metastasi. I vantaggi di aggiungere l’OT neoadiuvante/adiuvante alla RT in pazienti con CaP localizzato a rischio intermedio (T2b-T2c, o PSA 10-20 ng/ml o Gleason score 7) non sono ancora ben definiti. Questi pazienti rappresentano una categoria eterogenea, spesso inclusa nei trial clinici insieme ai soggetti ad alto rischio. Tuttavia, l’OT neoadiuvante migliora significativamente il controllo biochimico della malattia. 24 Il timing ottimale dell’OT neoadiuvante/adiuvante non è ancora ben stabilito. Le linee guida EAU consigliano l’uso dell’OT concomitante e adiuvante per un totale di 3 anni nei pazienti con malattia localmente avanzata (T3-4 N0 M0), con dei vantaggi significativi in termini di sopravvivenza globale (Heidenreich et al., 2013). Tuttavia, una recente analisi (Williams et al., 2011) su 3.666 pazienti, ha dimostrato che i vantaggi della terapia adiuvante sembrerebbero maggiormente marcati durante il primo anno, mettendo dunque in questione le indicazioni sulla durata. L’estensione ottimale della terapia neoadiuvante rimane da definire, variando in 3-4-6 mesi. È stato, infatti, suggerito che la risposta biochimica sia molto più importante della durata della terapia. Infatti, il raggiungimento di un rapido decremento dei valori di PSA, in risposta alla terapia neoadiuvante, può permettere di minimizzare la sua durata e quindi gli eventuali effetti avversi. Infine, in assenza di studi comparativi sulle differenti forme di OT, non è chiaro se una particolare classe di farmaci possa garantire particolari benefici, quando assunti con queste indicazioni. Dall’analisi dei risultati del presente studio riguardanti i pazienti sottoposti a RT è stato possibile evincere che l’OT era in corso nell’80% dei casi, percentuale comprendente approssimativamente i pazienti a rischio intermedio, alto e molto alto, dove l’OT in associazione alla RT trova una forte indicazione. Solo in 17 pazienti (12,7%) l’OT era in corso in modalità intermittente, nonostante questo approccio non trovi un’indicazione nelle linee guida internazionali, a meno che non si tratti di pazienti con malattia sistemica, dove l’OT può trovare l’indicazione. Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti con pregressa terapia ormonale I pazienti appartenenti a questa categoria riferivano una prescrizione di ormonoterapia precedente alla visita di reclutamento e, nel 93,7% dei casi, questa era in corso. Purtroppo, non essendo riportato il numero di pazienti sottoposti a intervento chirurgico, non è possibile identificare l’indicazione con cui è stata prescritta l’OT; se quindi erano pazienti naive o pazienti con recidiva di malattia. Possiamo però fare alcune deduzioni. Il 3,7% dei pazienti aveva ricevuto un trattamento non chirurgico e il 3,8% presentava coinvolgimento linfonodale alla diagnosi di CaP. Circa il 30% aveva un trattamento ormonale in neoadiuvante e il 27% 25 aveva un trattamento radioterapico in programma, supponendo quindi una corretta indicazione al trattamento ormonale, proprio in prospettiva alla RT. Ruolo dell’ormonoterapia nei pazienti con nuova prescrizione Questi pazienti rappresentano la categoria con più casi in High-Very High Risk secondo D’Amico (56,6%), mentre solo il 15% risultava metastatico o N+ alla diagnosi. Inoltre, il tempo mediano dalla diagnosi di CaP era di 1,1 mesi. Potremmo quindi dedurre che si tratti di pazienti naive. Le linee guida dell’EAU consigliano il trattamento ormonale come standard in pazienti M+. In pazienti N+M0, l’OT viene consigliata come trattamento adiuvante alla RT o alla PR, mentre nei pazienti T1a-T2c è consigliabile solo in caso di impossibilità a sottoporli a trattamento curativo. Di questi pazienti, il 31% era in programma per RT, suggerendo quindi un corretto approccio neoadiuvante dell’OT, ma solo in 1 (0,6%) l’RT era in corso. In tutti gli altri pazienti non sembrerebbero esserci le corrette indicazioni al trattamento ormonale, considerata la piccola quota di pazienti N+M0 o M+ (4 pazienti). Per quanto riguarda la tipologia di OT, in accordo con una metanalisi (Samson et al., 2002), il BAT garantisce piccoli vantaggi (<5%) vs. la monoterapia in termini di sopravvivenza a 5 anni nei pazienti metastatici. Nella nostra casistica il BAT è stato è giusto raggiunto nel 50% dei casi. Generalità 26 Dall’analisi dei risultati, 1.006 pazienti (73,1%) presentavano un trattamento ormonale in corso, dove 470 (46,92%) erano in terapia con LHRH analoghi, 210 (20,87%) in terapia con antiandrogeni e 314 in BAT (31,21%). La terapia con LHRH analoghi rappresenta, ancora oggi, una delle terapie più utilizzate per il trattamento ormonale del CaP, ma il loro uso è gravato dalla comparsa del flare up nei pazienti con stadio avanzato, caratterizzato da dolore osseo, ritenzione acuta d’urina, uropatia ostruttiva o eventi cardiovascolari. La terapia concomitante con antiandrogeni può però diminuire l’incidenza di questo fenomeno. Nella presente casistica esiste, infatti, un’adeguata percentuale di trattamento con antiandrogeno per questa indicazione, il 33% in quelli con trattamento pregresso e il 16% in quelli con trattamento in corso. Infine, 567 soggetti (41,6%) avevano ricevuto un trattamento ormonale diverso da quello in corso al momento della visita. Seppure non in possesso dei dati specifici di questi pazienti, si potrebbe evincere che in questi non vi sia stato un efficace controllo della malattia o sia stato interrotto per l’insorgenza di effetti collaterali significativi o sia stato sospeso dal paziente stesso. Tuttavia, il fatto che i soggetti presentino una terapia ormonale al momento dell’arruolamento, ci indica proprio la necessità di un controllo ormonale della malattia. Potrebbe inoltre essere utile identificare le caratteristiche di questi soggetti, tra cui precedenti trattamenti o caratteristiche clinico-patologiche, al fine di identificare eventuali fattori che possano avere influito sullo shift della terapia. Un altro dato molto interessante è dato dai valori riportati di testosteronemia. Bisogna purtroppo evidenziare la mancata misurazione dei livelli di testosterone nei pazienti in trattamento con LHRH analoghi. Circa il 13-38% dei pazienti in trattamento con LHRH analoghi, infatti, non raggiunge i valori di testosteronemia <20 ng/ml e il 2-17% non raggiunge neppure i livelli di castrazione <50 ng/ml. Per tali motivi, le linee guida dell’European Association of Urology consigliano la monitorizzazione della testosteronemia in pazienti trattati con LHRH analoghi, poiché è consigliato lo switch verso un altro LHRH o l’orchiectomia in caso di mancato raggiungimento dei valori di castrazione. Infine, la testosteronemia è considerata un parametro di estrema importanza per definire lo stato di tumore prostatico resistente alla castrazione in pazienti che sviluppano un rising del PSA. Valutando i risultati in relazione alla suddivisione in gruppi, è possibile effettuare ulteriori conclusioni. Il PSA mediano al momento dell’arruolamento era pari a 0,1, 0,2, 1,1 e 11,2 rispettivamente nei pazienti sottoposti a PR, RT, pregressa terapia ormonale e nuova ormonoterapia. Sebbene 27 non sia stata effettuata una statistica inferenziale su tali valori, è possibile notare come i primi due gruppi abbiano un buon controllo della malattia, grazie anche alla terapia ormonale in corso che viene effettuata in alcuni soggetti di entrambi i gruppi. I pazienti invece con pregressa terapia ormonale presentano un PSA elevato se considerati i cut-off utilizzati dalle linee guida europee. Ulteriori analisi su questa coorte di pazienti sono necessarie per meglio interpretare questi risultati. Conclusioni Da una prima analisi preliminare, è possibile concludere che il dosaggio del testosterone è stato poco utilizzato nei pazienti in trattamento ormonale. I pazienti sottoposti a RT sembrerebbero quelli con un’alta percentuale di concordanza tra indicazioni da linee guida e pratica clinica. I pazienti con prima prescrizione di OT sono quelli invece con una bassa concordanza, mancando infatti di un approccio multimodale, mentre i pazienti sottoposti a PR rappresentano quelli con più alta diversità in termini di somministrazione di OT. 28 Bibliografia Ahmadi H, Daneshmand S. Androgen deprivation therapy: evidence-based management of side effects. BJU Int 2013 Apr;111(4):543-8. Bartkowiak D, Bottke D, Wiegel T.Radiotherapy in the management of prostate cancer after radical prostatectomy. Future Oncol 2013 May;9(5):669-79. Williams S, Buyyounouski M, Kestin L, Duchesne G, Pickles T. Predictors of androgen deprivation therapy efficacy combined with prostatic irradiation: the central role of tumor stage and radiation dose. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2011 Mar 1;79(3):724-31. Campo S, Galante F, Galvano L, Giacovelli F, Magliozzo F, Pavone-Macaluso M et al. 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