ACCERTAMENTO
E CONTENZIOSO
Contraddittorio, tutela e garanzie del contribuente
zero 2014
MENSILE
Da leggere
Il nuovo redditometro, le prime
convocazioni e le opportunità
difensive
Transazione fiscale, il punto
sull’operatività
La sospensione degli effetti delle
sentenze delle Commissioni
Tributarie
Accertamento con adesione che
determina la riduzione delle imposte
sotto le soglie stabilite dal D.Lgs.
n.74/00: quale rilevanza penale?
La pubblicazione di una rivista specifica dedicata all’accertamento e contenzioso, in un panorama certamente
variegato quale è il Fisco italiano e il connesso mondo del “commento scientifico”, porta il lettore attento inevitabilmente alle seguenti domande: perché una nuova rivista su tali argomenti? Qual è l’obiettivo?
La rivista nasce in forza delle esperienze condivise sul piano professionale dai componenti del comitato scientifico di Euroconference e dal confronto con i partecipanti agli eventi formativi.
Chiunque, in maniera più o meno ripetuta, si è trovato ad affrontare problematiche connesse all’accertamento o
al contenzioso tributario. L’ambito è quanto mai complesso, caratterizzato da una miriade di disposizioni, dal mix
di aspetti tipicamente legali da un lato e “ragionieristici” dall’altro, fino ad arrivare al coacervo di adempimenti e
indicazioni di prassi non sempre semplici in cui districarsi. Il tutto, alla luce di una giurisprudenza in diverse occasioni “bizzarra”, dove nemmeno la Corte di Cassazione riesce talvolta a tracciare un percorso univoco e affidabile.
Ecco dunque l’idea di analizzare a beneficio dei professionisti che se ne occupano, l’evoluzione dei comparti sistematicamente individuati delle varie fasi che connotano l’ambito: amministrativa e istruttoria preaccertativa;
accertativa pura; deflattiva; di riscossione; contenziosa tributaria e penal-tributaria.
Di riviste fiscali ve ne sono, ma una riflessione specifica con tale suddivisione ancora non ha visto la luce. Il proponimento è di fornire uno strumento valido, sia di riflessione che operativo, per supportare in maniera adeguata le
scelte da effettuare, i comportamenti da adottare e le possibilità che si offrono nella gestione di tali delicate fasi
del rapporto con l’Amministrazione finanziaria. In tale direzione non si mancherà di ricevere anche le interpretazioni, ancorché non istituzionali, dei rappresentanti dell’Amministrazione medesima, oltremodo utili proprio per
ampliare la visione di fondo su cui basare le predette decisioni.
La conoscenza simultanea del modus operandi del fisco, delle statuizioni e degli istituti normativi, del trend giurisprudenziale e delle eccezioni sollevabili a difesa del contribuente riteniamo possa essere una “base di partenza”
ottimale, non soltanto per la costruzione di un valido percorso difensivo in fase contenziosa, quanto anche per la
prevenzione e/o gestione dell’accertamento fiscale in fase di genesi. Prevenire i punti di debolezza o comunque saper rintuzzare, in maniera adeguata, le contestazioni mosse in sede di controllo rappresentano assunti fondamentali ai fini della preparazione di un procedimento tributario con elevate possibilità di vittoria. L’alternativa è quella
di ritrovarsi, come spesso si è avuto modo di riscontrare nelle esperienze pratiche, con situazioni profondamente
minate alla base, vale a dire con elementi contabili, gestionali, economici, comportamentali e sostanziali tali da
rendere, a prima vista, valide le conclusioni del fisco ed estremamente arduo e difficoltoso l’iter di tutela e garanzia.
In ciò si sostanzia l’obiettivo della Rivista, che non riteniamo essere ambizioso se adeguatamente ponderato. Da
un lato, non si ha la pretesa di essere esaustivi, essendo praticamente impossibile per chiunque una simile impresa: il sistema tributario italiano è talmente farraginoso e aperto a interpretazioni di vario genere che i cambi
di rotta sono ormai all’ordine del giorno, potendosi tutt’al più tracciare delle linee guida principali. Dall’altro,
la Rivista dovrà necessariamente conservare un connotato pratico. Tecnicismi e approfondimenti saranno indispensabili e inevitabili, ma senza assumere “deviazioni” teoriche, lontane dalla realtà operativa e fini a se stesse.
Al centro della riflessione saranno poste le novità normative e la più recente giurisprudenza, di merito e di legittimità, sugli istituti procedurali e processuali, oltre che ovviamente l’analisi dell’iter endoprocedimentale che
conduce dalle diverse tipologie di controllo espletate alla concretizzazione degli accertamenti.
L’idea di fondo è di consentire al consulente di disporre di un osservatorio che fornisca l’esegesi sulle ultime
novità, elemento assolutamente imprescindibile per chi intenda coltivare il diritto tributario dell’accertamento e
processuale.
L’auspicio è quello di poter soddisfare le domande del lettore professionale evidenziate innanzi.
Il grado di soddisfacimento sarà misurato dal gradimento rivolto alla Rivista.
Da parte nostra, il massimo impegno insieme gli autori per perseguire con la più elevata professionalità possibile
l’obiettivo che ci siamo prefissi con l’Editore.
Buona lettura a tutti.
Luigi Ferrajoli
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
Maurizio Tozzi
INDICE
Accertamento
Il nuovo redditometro, le prime convocazioni e le opportunità difensive
È iniziata ufficialmente la nuova stagione del redditometro. Diversi contribuenti sono stati raggiunti da specifici
inviti in cui si chiede conto degli investimenti effettuati e dello stile di vita sostenuto nel corso dell’anno 2009. In
questi mesi sono stati avviati i primi contraddittori obbligatori, rispetto ai quali vedremo quale sarà la reazione
degli uffici competenti e soprattutto l’impostazione di fondo. In linea teorica, infatti, solo le posizioni “più
controverse” dovrebbero essere state analizzate e da parte degli Uffici dovrebbe esserci massima disponibilità
alla prova difensiva. Il tempo saprà dirci quali saranno i comportamenti prevalenti, nel mentre è il caso di
analizzare le caratteristiche dello strumento di accertamento ed evidenziare anche quelli che possono essere
corretti comportamenti difensivi.
di Maurizio Tozzi
5
Legittimità dell’accertamento induttivo: analisi di casi particolari
Il tema in esame è particolarmente attuale tenuto conto del sempre più frequente ricorso da parte
dell’Amministrazione finanziaria ad accertamenti basati su presunzioni. Trattandosi di pretese erariali fondate
su dati probatori logici e non certi, il Legislatore fiscale ha limitato l’uso di questi istituti accertativi fissando
rigorosi presupposti di legittimità. Questi limiti al potere dell’Amministrazione finanziaria sono l’oggetto
specifico del presente scritto.
di Giovanni Maccagnani e Luigi Contri
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Riscossione
Rateazione delle somme iscritte a ruolo: il punto della situazione
La possibilità di pagare ratealmente gli scoperti con l’amministrazione finanziaria è ormai divenuta una
componente essenziale del sistema di riscossione; pare quasi assodato, infatti, che il già precario equilibrio di
Equitalia verrebbe minato ove non si fosse introdotto, caldeggiato e rivitalizzato il contenuto dell’art.19 d.P.R.
n.602/73. Lo strumento è certamente utile ed interessante, a condizione che il medesimo non sia utilizzato in
modo anomalo: il costo effettivo della rateazione, specialmente quando attivata dopo la scadenza del termine
di pagamento, è davvero ragguardevole. Comunque sia, riuscire a districarsi tra le norme e la prassi operativa
non appare per nulla semplice, rendendosi necessario un momento di sintesi e schematizzazione.
di Giovanni Valcarenghi
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Il pignoramento nell’esecuzione esattoriale
La riscossione coattiva dei crediti tributari (c.d. procedura esattoriale), cosi come regolata nel testo del d.P.R.
n.602/73, ricalca il modello dell’esecuzione forzata ordinaria di cui al c.p.c., diversificato in base al tipo di
esecuzione (mobiliare, immobiliare, presso terzi). Ciò, però, solo nella misura in cui il d.P.R. n.602/73 non
preveda regole in deroga alle norme ordinarie. La disciplina della procedura esattoriale presenta così una
serie di profili di specialità, sotto il profilo del ruolo assegnato al creditore procedente ed al giudice, del titolo
che ne legittima l’attivazione (il ruolo di riscossione) e dei soggetti incaricati di seguire la procedura esattoriale.
Peculiarità, queste, che si riflettono sulla disciplina delle fasi in cui la procedura esattoriale si articola, tra le
quali, in particolare, il pignoramento. É proprio quest’ultimo ad essere preso in esame, nelle sue diverse forme,
anche nell’ottica delle più recenti modifiche volte ad agevolare il pagamento spontaneo del debito.
di Andrea Carinci
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Istituti deflattivi
L’accertamento con adesione: lineamenti generali e un caso pratico
L’accertamento con adesione, disciplinato dagli articoli 5 e 6 D.Lgs. n.218/97, costituisce lo strumento di massa
per la definizione della pretesa tributaria derivante da un atto impositivo o di quella potenziale indicata in un
processo verbale di costatazione. Il corretto utilizzo di tale strumento di gestione nella fase amministrativa
dell’accertamento implica un’attenta valutazione delle norme che disciplinano il particolare strumento deflattivo,
l’incrocio applicativo dello stesso con gli altri strumenti di definizione e, non ultimo un’attenta valutazione, anche
economico finanziaria, derivante dal perfezionamento dell’adesione. Con il presente intervento si esamina la
disciplina dell’istituto del concordato, fornendo un esempio di natura pratica, utile ad un efficace approccio
allo strumento dell’accertamento con adesione.
di Mario Agostinelli
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
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INDICE
Transazione fiscale, il punto sull’operatività
La transazione fiscale è istituto introdotto nel 2006 e successivamente modificato in più occasioni. È nato nel
quadro della complessiva riforma della Legge Fallimentare, ispirata al risanamento ed al potenziamento di
strumenti che lo favorissero. Modifiche normative, giurisprudenza ondivaga e contrastata tra legittimità e
merito, oltre che indicazioni non sempre adeguate di operatività agli Uffici locali, sia fiscali che previdenziali,
ne hanno nel tempo limitato molto l’utilizzo.
di Claudio Ceradini
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Contenzioso amministrativo e tributario
La sospensione degli effetti delle sentenze delle Commissioni Tributarie
È ammissibile l’istanza di sospensione della sentenze tributaria di primo grado e di secondo grado presentata
avanti la Commissione tributaria regionale quale giudice d’appello, trattandosi dell’unica interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art.49 D.Lgs. n.546/92.
di Antonella Castrignanò
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La motivazione come elemento essenziale degli avvisi di accertamento e delle
cartelle di pagamento: conseguenze sull’atto in caso di carenza
La motivazione degli atti tributari, siano essi avvisi di accertamento ovvero cartelle di pagamento, costituisce
un elemento irrinunciabile del procedimento amministrativo. I presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste
a fondamento della pretesa devono essere illustrati in modo puntuale, ab origine e senza ricorrere a formule
di stile. La violazione di tali principi, ribaditi dall’art.7 dello statuto dei diritti del contribuente, comporta la
nullità dell’atto in caso di impugnazione.
di Massimo Conigliaro
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La prova: un esempio applicativo riferito alle contestazioni sugli immobili di
lusso per il disconoscimento delle agevolazioni “prima casa”
Il processo tributario è caratterizzato da un sistema probatorio che si distingue da quello vigente nel contenzioso
civile sia sotto l’aspetto delle limitazioni all’utilizzo di mezzi di prova sancite dall’art.7 D.Lgs. n.546/92, sia in
considerazione della circostanza che attore sostanziale nel procedimento tributario è quasi sempre il fisco.
Per meglio comprendere come le parti possano procedere nell’acquisizione delle prove necessarie a sostenere
in giudizio le proprie tesi difensive, è opportuno esaminare una fattispecie concreta, ossia il caso delle
contestazioni sugli immobili di lusso per il disconoscimento delle agevolazioni “prima casa”.
di Luigi Ferrajoli
48
Contenzioso penale tributario
Accertamento con adesione che determina la riduzione delle imposte sotto le
soglie stabilite dal D.Lgs. n.74/00: quale rilevanza penale?
Il contribuente che si avvale del procedimento di accertamento con adesione previsto dal D.Lgs. n.218/97 con
le conseguenti riduzioni di imposte e sanzioni si trova poi spesso ad affrontare un processo penale riguardante
le fattispecie di reato connesse alle violazioni tributarie accertate dal fisco. Vediamo quali sono le conseguenze
a livello penale della rideterminazione degli importi effettuati dal fisco in contraddittorio con il contribuente
con particolare riferimento all’ipotesi di riduzione delle imposte al di sotto delle soglie di punibilità sussistenti
nel nostro ordinamento penale-tributario.
di Luigi Ferrajoli
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Osservatorio
L’osservatorio di giurisprudenza
di Mara Pilla
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
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ACCERTAMENTO
Il nuovo redditometro, le prime convocazioni
e le opportunità difensive
di Maurizio Tozzi – dottore commercialista e revisore legale e direttore scientifico della rivista Accertamento e Contenzioso
È iniziata ufficialmente la nuova stagione del redditometro. Diversi contribuenti sono stati raggiunti
da specifici inviti in cui si chiede conto degli investimenti effettuati e dello stile di vita sostenuto nel
corso dell’anno 2009. In questi mesi sono stati avviati i primi contraddittori obbligatori, rispetto ai quali
vedremo quale sarà la reazione degli uffici competenti e soprattutto l’impostazione di fondo. In linea
teorica, infatti, solo le posizioni più controverse dovrebbero essere state analizzate e da parte degli
uffici dovrebbe esserci massima disponibilità alla prova difensiva. Il tempo saprà dirci quali saranno
i comportamenti prevalenti, nel mentre è il caso di analizzare le caratteristiche dello strumento di
accertamento ed evidenziare anche quelli che possono essere corretti comportamenti difensivi.
Il nuovo redditometro in sintesi
Tale impostazione risente di un limite di fondo:
le spese sostenute non necessariamente corrispondono al reddito dichiarato. Il reddito, infatti,
specifiche regole fiscali per la relativa determinazione e dunque la manifestazione finanziaria
della spesa ben può essere giustificata da eventi
non reddituali.
Il nuovo redditometro, come disciplinato dal D.M.
24 dicembre 2012 e tenuto conto delle correzioni
apportate in forza delle segnalazioni del Garante
della privacy, nel prosieguo sintetizzate, resta caratterizzato per il forte risalto attribuito alla capacità di
spesa annuale. Rispetto al passato diverse sono le
modifiche apportate, tra cui le principali riguardano
l’ampia fonte di raccolta dei dati e delle informazioni (soprattutto sul fronte delle notizie finanziarie,
importanti per il monitoraggio dell’accumulo del risparmio del contribuente) e l’imputazione annuale
degli incrementi patrimoniali eseguiti (a differenza
del precedente splittamento della spesa nell’anno
di acquisto e nei quattro anni precedenti). Ai fini
dell’accertamento non è poi più necessario uno
scostamento biennale almeno nella misura del 25%
tra il reddito accertato e quello dichiarato, essendo
attualmente sufficiente lo scostamento annuale del
20%. Di contro, vi è una maggiore attenzione all’esatto inquadramento del contribuente, avendo il
redditometro una suddivisione territoriale in cinque
zone e soprattutto un diverso impatto in relazione al
c.d. lifestage familiare.
È, però, soprattutto la rilevanza delle spese a rappresentare il tratto distintivo del nuovo redditometro
rispetto alla versione precedente: tutte le spese sostenute e conosciute dal fisco sono imputate al contribuente nell’anno di sostenimento. Alle spese si aggiungono anche altre informazioni, come l’accumulo
del risparmio, le spese per i c.d. elementi certi ed
eventualmente il fitto figurativo. Evidente l’obiettivo,
ossia porre a confronto il reddito con le manifestazioni finanziarie (e di ricchezza) del contribuente e
del suo nucleo familiare.
Sia sufficiente pensare a:
• l’impatto degli ammortamenti;
• la percezione di proventi non tassati, soggetti a
tassazione sostitutiva o forfettaria, tassati alla
fonte, etc.;
• l’utilizzo del risparmio accumulato nel tempo;
• l’intervento dei familiari o il ricorso al credito;
• la tassazione secondo il criterio di competenza;
• la dichiarazione di redditi figurativi (come nel
caso delle attività agricole).
L’assioma spese = reddito in realtà serve principalmente alla selezione del contribuente. Se, infatti,
l’insieme delle informazioni disponibili per il fisco
in ordine alle spese sostenute, confrontate con il
reddito dichiarato, manifesta una considerevole discrasia (stando, infatti, alle informazioni trapelate
dall’Amministrazione finanziaria solo le posizioni con
rilevanti scostamenti saranno selezionate, a prescindere dal valore percentuale del 20% previsto dalla
norma), appare legittimo convocare il contribuente
per ottenere le necessarie spiegazioni.
Sul punto sia consentito esprimere qualche perplessità sulle critiche avanzate alla scelta di imputare per
intero tra le spese rilevanti del periodo d’imposta
l’incremento patrimoniale. Diverse lamentele hanno
riguardato tale imputazione una tantum, peggiorativa rispetto alla soluzione del passato di ripartire
l’ammontare dell’incremento in cinque annualità.
5
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
A onor del vero non sembrano sussistere modifiche
particolari, essendo usuale l’utilizzo di fonti tracciate
per gli incrementi rilevanti, con la conseguenza che
nella stragrande maggioranza dei casi non dovrebbe
essere difficile giustificarsi ed evitare qualsiasi contestazione accertativa. Solo quando la fonte non è
dimostrabile al fisco, per evidenti implicazioni, ecco
che l’incremento non trova giustificazione, ma francamente ciò non può rappresentare un problema.
Più interessante sarà comprendere il comportamento che verrà adottato in relazione agli incrementi
patrimoniali avvenuti negli anni dal 2009 al 2012 e
che per gli accertamenti delle annualità fino al 2008,
sono stati splittati in quinti.
to sembra davvero irrisolvibile il quesito del perché,
nonostante tale considerazione del “vecchio” redditometro, ne sia stato consentito l’utilizzo fino a tutto
il 2013 per gli accertamenti riguardanti l’anno 2008.
Ad ogni buon conto, ferma restando l’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale sul tema, l’eccezione di
utilizzo del nuovo redditometro in luogo del precedente, in quanto rappresentante l’evoluzione naturale e perfezionata dello strumento, unitamente alle
dimostrazioni fattuali della grossolanità del “vecchio
redditometro” (sia sufficiente pensare all’impatto
dei mutui, delle assicurazioni etc.), si ritiene scelta
condivisibile da parte di chiunque abbia avviato il
contenzioso sulle annualità fino al 2008.
La Circolare n.6/E/14 invece commenta le variazioni
intervenute nel redditometro a seguito dell’adozione delle garanzie individuate dal Garante a tutela
dei contribuenti interessati. Nella versione “pronta
all’uso”, il redditometro è caratterizzato tra l’altro dai
seguenti fattori:
• la ricostruzione sintetica può essere effettuata
tenendo conto della quota di incremento patrimoniale imputabile al periodo d’imposta, della quota di risparmio formatasi nell’anno, delle
spese certe, ossia quelle tracciate di cui il fisco
è a conoscenza (come il pagamento di mutui o
assicurazioni) e, infine, delle spese per elementi
certi, vale a dire le spese ancorate all’esistenza di
elementi oggettivamente riscontrabili, quali, ad
esempio i metri quadrati effettivi delle abitazioni, la potenza degli autoveicoli, la lunghezza dei
natanti etc.). Solo rispetto a tali “spese per elementi certi” è ammessa ancora la rilevanza dei
dati Istat, altrimenti non più utilizzabili. Ad esempio, la valutazione dei costi per i viaggi, il tempo
libero, etc, non avrà più nessun peso nel redditometro, nemmeno ai fini della selezione del
contribuente. Ovviamente, se dette spese sono
tracciate e conosciute al fisco nella reale entità,
si rientra di fatto nel novero delle spese certe,
dunque utilizzabili. Infine, nelle sole ipotesi in
cui non risulta un titolo di possesso dell’immobile (proprietà o altro diritto reale - locazione o
leasing immobiliare - uso gratuito), sarà possibile
includere anche il c.d. fitto figurativo;
• in sede di selezione è attribuito a ogni contribuente il lifestage risultante dalla c.d. famiglia fiscale
presente nell’Anagrafe tributaria, determinata
in base ai dati delle dichiarazioni presentate dai
contribuenti. Ciò implica una probabile discrasia
rispetto alla famiglia anagrafica, che ad esempio
La domanda da porsi è cosa accadrà per l’accertamento dell’anno in cui è avvenuto l’incremento.
In termini pratici, se un incremento patrimoniale
di 500.000 euro, avvenuto nel 2011, è stato imputato per 100.000 euro sia nel 2007 che nel 2008,
in caso di nuovo accertamento, nel 2011, per
500.000 euro, si avrà un palese effetto di duplicazione delle imposte, in violazione dell’art.163 Tuir,
in quanto si andrebbe a tassare due volte l’importo complessivo di 200.000 euro.
Sul tema ancora non si registra una presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria, mentre solo la
giurisprudenza di merito, al momento, ha sancito l’illegittimità degli accertamenti ante 2009 contenenti l’imputazione di incrementi patrimoniali eseguiti
dal 2009 in poi, come accaduto con la CTR Trieste
n.50/10/13 del 10 luglio 2013.
I chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con le
Circolari n.24/E/13 e n.6/E/14, invero, hanno riguardato principalmente il meccanismo di funzionamento
del nuovo redditometro (francamente non interessante sul piano tecnico, anche in considerazione della
cancellazione della maggioranza dei dati Istat a seguito dell’intervento del Garante della privacy), pur contenendo delle precisazioni interessanti.
La Circolare n.24/E/13 in particolare argomenta in
ordine alle ragioni che impediscono (il trend giurisprudenziale di merito è del tutto contrario), l’applicazione della nuova metodologia in luogo di quella
utilizzata fino al 2008, risalente al 1992. In termini
pratici, l’Amministrazione finanziaria sostiene che
il nuovo redditometro non sia comparabile con il
vecchio, atteso che quest’ultimo è davvero grossolano, erroneo e inaffidabile ed è soprattutto una
mera presunzione induttiva basata su ricostruzioni
statistiche (dato letterale utilizzato). A questo pun-
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
comprende anche i figli maggiorenni, gli altri familiari conviventi, nonché i conviventi di fatto,
non fiscalmente a carico. Sarà onere del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, una volta
selezionato il soggetto e prima ancora di inviare
il formale invito, effettuare i necessari riscontri
sulla reale situazione familiare del contribuente.
Ovviamente anche quest’ultimo, in sede di primo
contraddittorio, potrà fornire una diversa rappresentazione della propria situazione familiare;
• se il contribuente fornisce chiarimenti esaustivi
in ordine alle spese certe, alle spese per elementi certi, agli investimenti e alla quota di risparmio
dell’anno, l’attività di controllo basata sulla ricostruzione sintetica del reddito si esaurisce nella
prima fase del contraddittorio. Il fitto figurativo,
invece, entra in gioco solo dopo la selezione del
contribuente (non influenzando tale fase) e in
ogni caso deve essere neutralizzato in presenza
di una diversa condizione abitativa dimostrata dal
contribuente (nel qual caso dovranno essere variati i dati spese per elementi certi collegati all’immobile a disposizione del contribuente.
L’invito precisa che in presenza di risposte esaustive,
l’attività di controllo si esaurisce, ma altresì sottolinea che in caso di mancata risposta allo stesso l’Amministrazione finanziaria potrà decidere di vagliare
altre tipologie di indagine (in primo luogo, l’indagine
finanziaria), nonché irrogare la sanzione per mancata comparizione e per omessa o incompleta risposta.
Il ruolo fondamentale del contraddittorio
preventivo
Il nuovo redditometro prevede espressamente la
necessità del contraddittorio preventivo e, come ribadito dai richiamati documenti di prassi, se il contribuente fornisce valide spiegazioni in relazione agli
elementi che hanno condotto alla sua selezione, non
vi è proseguimento dell’attività accertativa.
Il contraddittorio è comunque fondamentale sul
piano probatorio, adempiendo all’invito e illustrando le modalità con cui si è fatto fronte alle
spese e alla gestione della vita quotidiana. In tal
modo, infatti, si configura la stessa situazione
emersa in materia di studi di settore e l’esaustiva
risposta fornita condurrà, di fatto, all’inversione
dell’onere della prova.
Gli inviti ai contribuenti
In forza delle giustificazioni addotte dal contribuente
sarà compito dell’ufficio adeguatamente motivare in
merito alle ragioni dell’accertamento e del mancato
accoglimento delle spiegazioni di parte.
Ai fini dell’adeguata motivazione dell’avviso di accertamento soccorrono sia le precisazioni della richiamata Circolare n.24/E/13, sia lo statuto del contribuente,
sia la consolidata giurisprudenza formatasi sul tema,
di merito (ex pluribus, CTR Campania, n.463/12/12
e CTP Milano n.275/03/12), nonchè della Corte di
Cassazione, essendo ius receptum il principio secondo cui l’atto d’imposizione tributaria deve contenere
un’adeguata replica in grado di superare le deduzioni
formulate dal contribuente: in mancanza, l’atto è radicalmente nullo per difetto di motivazione (ex multis,
Cassazione, sentenza n.26638/09).
In termini sostanziali, ciò implica che se l’accertamento
nulla adduce, limitandosi a un mero rinvio ai dati statistici del redditometro e usando, magari, la standardizzata frase “ritenuto di non condividere le osservazioni
di parte”, la motivazione non può dirsi compiuta: invero, essa deve esporre le ragioni che hanno indotto
l’ufficio a disattendere le argomentazioni di parte (il
cui rifiuto, dunque, deve essere spiegato).
Gli inviti pervenuti ai contribuenti sono abbastanza
sintetici nelle informazioni. Evidenziano che la situazione reddituale emersa per il 2009 appare in contrasto con i dati presenti in Anagrafe tributaria, che invece dimostrano una capacità economica più elevata.
Pertanto, il contribuente è invitato a fornire tutte le
indicazioni utili allo scopo, soprattutto documentando
l’esistenza di altre occorrenze ovvero le ulteriori fonti
utilizzate per le spese sostenute (ad esempio, disinvestimenti e risparmi accumulati nel tempo). L’invito è corredato da un allegato. In primo luogo, vi è un
prospetto formato da tre colonne destinate alle spese
del contribuente. In particolare, nella prima colonna
sono evidenziate le spese certe conosciute dal fisco;
nella seconda le spese per elementi certi, la terza è a
disposizione del contribuente per poter modificare gli
importi indicati nelle prime due colonne.
La seconda sezione del prospetto è invece dedicata
all’evidenziazione del risparmio cumulato nel 2009,
dovendo illustrare i saldi iniziali e finali dei conti correnti bancari e postali, nonché dei conti titoli. In determinati casi è anche evidenziato che nelle banche
dati disponibili non risulta che il contribuente abbia
nel comune di residenza un immobile in proprietà o
locazione. In assenza di chiarimenti, sarà attribuito
anche il famoso fitto figurativo.
Alcuni suggerimenti per la difesa di merito
La difesa di merito transita per la dimostrazione
7
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
delle reali occorrenze del contribuente in rapporto
alle spese da egli sostenute, eventualmente anche
documentando supporti da terzi. L’articolo 38 d.P.R.
n.600/73 e il relativo decreto attuativo (D.M. 24 dicembre 2012, art.4), espressamente prevedono la
più ampia prova contraria possibile, circostanza ribadita dalla Circolare n.24/E/13 (punto 2.3).
Si è già rimarcato che le spese non coincidono con
il reddito complessivo dichiarato, potendo essere le
fonti utilizzate ulteriori e legittimamente detenute,
sia reddituali che non, quali il risparmio accumulato
nel tempo (sul punto è esplicita la medesima Agenzia
delle Entrate, Circolare n.12/E/10), il reale reddito
disponibile (Circolare n.28/E/11), i c.d. costi figurativi quali costi pluriennali o ammortamento (Circolare
n.25/E/12), addirittura i proventi di attività evasive
ormai condonate o scudate (Circolare n.27/81), non
dimenticando tutte le altre indicazioni contenute
nella Circolare n.49/E/07, che tra l’altro evidenzia la
necessità di tener conto dei componenti del nucleo
familiare (fattispecie ribadita da ultimo anche nella
Circolare n.6/E/14). E su tale falsariga si è espressa, ripetutamente, la Corte di Cassazione, tra cui si
richiamano le sentenze n.11389/08, n.12187/09,
n.19637/10 e n.1785/12.
Rinviando al prosieguo un’adeguata riflessione sulla problematica del c.d. nesso eziologico per quanto
concerne le spese certe, è evidente che la prima alternativa difensiva è quella di ricostruire, nel limite del
possibile, il reale costo sostenuto per i beni posseduti
che rientrano nella categoria delle spese per elementi certi. Così, ad esempio, può essere utile provare i
reali costi per la propria autovettura, sulla base dei
tagliandi di controllo con relativi importi pagati e con
determinazione dei chilometri percorsi per poi verificare il costo chilometrico. Dopo di che è fondamentale provare l’eventuale disponibilità di ulteriore reddito
per le occorrenze della vita quotidiana, ovvero di disponibilità finanziarie comunque ottenute, dai mutui
ai leasing, fino ad arrivare ai prestiti personali.
Un ruolo rilevante sarà rappresentato dalla composizione del nucleo familiare. Come anticipato dalla Circolare n.6/E/14, dovrebbero essere gli uffici periferici
a gestire e risolvere le discrasie esistenti tra la famiglia
fiscale, solitamente ricondotta ai coniugi e ai familiari
a carico, e la famiglia anagrafica. Essendo quest’ultima ad essere rilevante per la gestione delle spese,
sarà necessario verificare le disponibilità finanziarie di
tutti i componenti e i relativi interventi. Ma sul piano difensivo il concetto può essere spinto anche oltre la famiglia anagrafica, soprattutto nel caso degli
interventi dei genitori e/o dei figli, che devono essere
adeguatamente valorizzati. Ovviamente nessun problema pongono gli interventi documentati tramite
bonifici, assegni, etc., ma anche gli interventi in contanti o di supporto negli atti della vita quotidiana (in
Italia, fortunatamente, i genitori sopperiscono a necessità di fondo, come assistere i nipoti, fare la spesa,
preparare i pranzi, etc.) non possono essere ignorati.
Negare ciò, a ben vedere, significa andare contro la
Costituzione, secondo cui la nostra nazione si fonda,
tra l’altro, sulla famiglia, nonché l’art.433 cod.civ., che
impone a un preciso elenco di familiari di intervenire
a favore di altri soggetti che possono trovarsi in situazione di difficoltà.
In assenza di documentazione tracciata gli interventi
dei terzi, magari documentati mediante una dichiarazione sostitutiva, dovranno essere dimostrati nei
minimi della ragionevolezza. Se lo stile di vita del
contribuente è modesto e si invoca, in fase difensiva, l’aiuto minimo dei genitori compatibilmente con
i relativi redditi, si hanno buone probabilità di riuscita. Se invece lo stile di vita del soggetto accertato è
elevatissimo e magari i genitori sono dei rispettabili
ma normali pensionati, la tesi difensiva sarà sicuramente instabile.
Laddove, infine, siano necessari interventi cospicui,
la strada obbligatoria da seguire è quella dell’idonea
documentazione e tracciabilità.
Al riguardo, esplicativa è la sentenza della Corte
di Cassazione n.17805/12, secondo cui il redditometro può essere confutato dimostrando che il
denaro è stato elargito da terzi: in tal modo, infatti, non vi è alcuna manifestazione di capacità
contributiva occultata, eventualmente ravvisabile
solo in capo al soggetto che ha fornito il denaro.
In pratica, nel caso di acquisto di immobile effettuato
dal figlio, ove il genitore, comparso in atto, abbia di
fatto elargito il denaro, si è in presenza di una donazione indiretta non del denaro ma dell’immobile.
La difesa di merito deve poi avere un incrocio necessario con un assunto di legittimità inviolabile: non
può essere leso il principio della giusta tassazione in
funzione del reale reddito disponibile del contribuente, sancito dall’art.53 della Costituzione. Pertanto se
sul fronte sostanziale si dimostrano adeguatamente
le fonti utilizzate, è evidente che al contribuente non
può essere imputato un reddito mai percepito.
Il nuovo redditometro: legittimo o meno?
Si tratta sicuramente di una domanda di difficile risposta al momento. L’Amministrazione finanziaria
8
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
La portata presuntiva del nuovo redditometro
appare sicura. È, però, il caso di rammentare quanto
accaduto in sede civilistica, con una presa di posizione del Tribunale di Pozzuoli (NA), sicuramente da
monitorare.
Nel corso del 2013, infatti, il citato Tribunale di Napoli, sezione di Pozzuoli, mediante l’ordinanza del 21
febbraio, in riferimento al Provvedimento attuativo
del 24 dicembre 2012 riguardante il nuovo redditometro, ha stabilito come “il decreto ministeriale non
solo sia illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi
dell’art.21-septies L. n.241/90 per carenza di potere
e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla
normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria”.
Tale ordinanza, a seguito di impugnazione da parte
dell’Agenzia delle Entrate, è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Napoli con ordinanza di
revoca in data 11 luglio 2013, laddove però non si è
entrati nel merito della vicenda.
Il 23 settembre 2013 è quindi sopraggiunta la sentenza n.10508 sempre del Tribunale di Napoli, sezione di Pozzuoli, che assume anche una forza e valenza
probatoria maggiore, in quanto frutto di un processo
ordinario che ha seguito una istruttoria completa,
senza essere emessa in via d’urgenza.
Altro fronte aperto del dibattito in materia di redditometro è quello della sua reale portata probatoria.
Trattasi di presunzione semplice o legale relativa?
In relazione al vecchio redditometro l’evoluzione
giurisprudenziale è stata particolare, in quanto si è
transitati da un trend costante che inquadrava tale
strumento tra le presunzioni legali relative a delle
recenti posizioni che ritengono detto accertamento
quale presunzione semplice, tra cui si rammenta la
sentenza della Corte di Cassazione n.23554/12 dove
testualmente si legge che“D’altra parte, proprio l’accertamento sintetico disciplinato dal d.P.R. n.600/73,
art.38, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. n.78/10, art.22,
convertito in L. n.122/10, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito
complessivo presunto del contribuente mediante i
c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicita’ biennale”,
nonché la successiva sentenza, sempre della Cassazione n.2806/13, secondo cui la determinazione sintetica del reddito “consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art.2727 cod.
civ.) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un
fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di quote sociali) a quello
ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di
capacità contributiva)”.
Deve dirsi che il vecchio redditometro era altamente influenzato dalla componente induttiva, con ciò
essendo agevolata la sua collocazione nell’abito
delle presunzioni semplici. Probabilmente, nel passato a essere decisivo è stato soprattutto lo scarso
ricorso a tale tecnica di accertamento, utilizzata nei
confronti di posizioni realmente indifendibili, con la
conseguenza che l’assenza di qualsiasi motivazione
difensiva non poteva di certo sovvertire il destino
del contribuente. Nel momento in cui, invece, tale
tecnica ha trovato maggiore diffusione, le casistiche sottoposte al vaglio dei giudici sono divenute
più complesse, rendendo manifeste le gravi carenze
strutturali del redditometro ante 2009.
Sono le pagine da 8 a 12 della sentenza del
Tribunale di Pozzuoli a essere eloquenti attestando
l’illegittimità del nuovo redditometro.
Ciò in quanto, tra l’altro:
• non è operata una differenziazione tra i cluster
dei contribuenti;
• sono violate disposizioni della Costituzione e
dell’UE, in quanto si giunge alla conservazione di
tutte le spese del contribuente che dunque viene ad essere privato del diritto di avere una vita
privata;
• è violato anche il diritto di difesa in relazione alle
ricostruzioni ancorate alle medie Istat, in quanto
“non si vede come si possa provare ciò che non
si è fatto” (tale argomentazione però di fatto è
superata dalle modifiche richieste dal Garante
della privacy);
• si crea contrasto con la Costituzione in quanto
sembra essere disincentivato il risparmio ed
• è, infine, creato contrasto con il principio di proporzionalità ex art.13 del Trattato dell’Unione
Europea.
Il tema, inevitabilmente, avrà un seguito giurisprudenziale.
In merito al nuovo redditometro, sembrano essere le analogie con gli studi di settore, sia per
la suddivisione in cluster di diverse famiglie rappresentative, sia per la previsione del contraddittorio preventivo, a consentire una ragionata
conclusione su quella che può essere la portata
probatoria del nuovo strumento.
Il nuovo redditometro, in effetti, appare attratto
nell’ambito delle presunzioni semplici. L’iter da se-
9
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
guire è quello illustrato dalle SS. UU. della Corte di
Cassazione in chiusura del 2009 relativamente agli
studi di settore (sentenze nn.26635 e ss.). In particolare, gli elementi informativi disponibili consentono
la selezione del contribuente. L’ufficio è obbligato al
contraddittorio preventivo e il contribuente può, in
tale sede, adeguatamente difendersi. Se ciò accade,
come anticipato, si inverte l’onere probatorio e dovrà essere l’ufficio accertatore a dimostrare la validità dell’accertamento e la non condivisibilità delle
motivazioni difensive addotte.
Se invece il contribuente non si difende, l’ufficio è
legittimato a emettere l’avviso di accertamento.
gico, ossia se è indispensabile giungere alla completa tracciabilità della modalità dell’acquisto e delle
risorse utilizzate, oppure sia sufficiente dimostrare
la disponibilità, nel periodo d’imposta accertato, di
redditi esenti dall’imposizione, soggetti a tassazione
sostitutiva o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, nonché l’eventuale
intervento di soggetti terzi.
Il problema, ad avviso di chi scrive, non può certo porsi per alcuni elementi del redditometro, quali l’incremento di risparmio nell’anno e la spesa per elementi
certi, oppure il fitto figurativo. Tali valori, invero, o
hanno un contenuto induttivo o comunque sono indefiniti sul piano dell’effettiva concretizzazione: ad
esempio, la spesa per elementi certi legata alle vetture comunque risente di parametri ancorati alla relativa cilindrata o al cluster familiare di appartenenza del
soggetto. Ancora, l’incremento del risparmio è di carattere annuale, non essendo individuato il momento
esatto in cui detto accumulo è avvenuto.
Diverso è invece il discorso per quanto concerne
le spese certe. In tal caso, la spesa è conosciuta
dall’Amministrazione finanziaria sia in ordine all’ammontare che relativamente alla data di sostenimento. Sul fronte difensivo è necessario chiedersi alternativamente se sia:
• indispensabile una stretta connessione tra disponibilità economica e sostenimento della spesa;
• utile allo scopo la dimostrazione della disponibilità economica al momento del sostenimento
della spesa;
• sufficiente la documentazione delle disponibilità
economiche nel periodo d’imposta accertato.
In termini pratici: se un contribuente ha acquistato
una casa a marzo 2013 ed è convocato dall’Amministrazione finanziaria per i relativi chiarimenti, bisogna comprendere se:
• è indispensabile documentare con idonea tracciabilità l’avvenuto acquisto;
• è utile allo scopo dimostrare che al mese di marzo 2013 il contribuente era in possesso della disponibilità ipotizzata dal redditometro;
• è sufficiente documentare che nel periodo d’imposta 2013 il contribuente disponeva di adeguate
risorse, magari ottenute a seguito di una plusvalenza realizzata a ottobre 2013, addirittura in data
successiva all’esborso sopportato per l’acquisto.
Sul tema è sicuramente interessante la posizione
recentemente sviluppata dalla Corte di Cassazione
e riassunta soprattutto nella sentenza n.17663, depositata il 6 agosto 2014, che effettua una precisa
analisi dell’onere probatorio in materia di incrementi
patrimoniali relativamente al vecchio redditometro
Nulla vieta al contribuente di difendersi sia in sede
di accertamento con adesione che in sede contenziosa, ma in questo caso tutto sarà rimesso al
libero apprezzamento dell’organo giudicante ed il
contribuente si assumerà anche le conseguenze
della mancata partecipazione al contraddittorio.
Ovviamente, sul fronte difensivo molto dipenderà
dagli elementi disponibili per l’Amministrazione finanziaria e dalla capacità del contribuente di fornire
idonee spiegazioni. Il nuovo redditometro dovrebbe
essere caratterizzato dalla predominanza delle spese
certe e del risparmio accumulato, accadimenti incontrovertibili nel loro ammontare, mentre un ruolo
secondario dovrebbero avere le spese per elementi
certi e il fitto figurativo, maggiormente caratterizzate da un contenuto induttivo. Come anticipato, però,
il sostenimento della spesa non necessariamente
corrisponde al reddito del contribuente. In questo
si traduce la presunzione normativa, ma la difesa ha
ampia possibilità di illustrare le fonti utilizzate, anche
dimostrando gli interventi di terzi. Quanto più tale dimostrazione difensiva sarà prodotta, pur in assenza
di condivisione dell’Amministrazione finanziaria, più
si scalfisce la solidità dell’accertamento, essendo innanzi a una semplice presunzione. Se, invece, nulla
si adduce a fronte di spese insindacabili nel loro ammontare, allora sembra assolutamente inutile invocare la caratteristica di semplice presunzione del redditometro: come per gli studi di settore, l’assenza di
difesa indirettamente andrà a comprovare e validare
l’accertamento effettuato.
Il nesso eziologico: la recente posizione della Corte di Cassazione
La principale problematica difensiva riguarda la portata dell’onere probatorio da parte del contribuente
in riferimento all’applicazione del c.d. nesso eziolo-
10
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
(cui per analogia è possibile ricondurre le spese certe), richiamando anche le altre sentenze n.6396/14
e n.8995/14. Schematizzando, questa la posizione
della Suprema Corte:
• il contribuente non deve fornire nessuna prova
in merito all’effettiva destinazione della disponibilità economica all’incremento patrimoniale,
dovendo solo dimostrare l’esistenza della stessa. Inoltre, non deve essere nemmeno provata
la provenienza delle fonti utilizzate (sentenza
n.6396/14);
• atteso il tenore letterale del precedente co.6
dell’art.38 d.P.R. n.600/73, secondo cui “L’ entità
di tali redditi (ossia le disponibilità economiche
utilizzate) e la durata del loro possesso devono
risultare da idonea documentazione”, pur non
esistendo uno specifico obbligo a dimostrare
che dette disponibilità siano state utilizzate per
la copertura delle spese contestate, comunque è
necessaria la “…prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o
sia potuto accadere)”. La citata previsione ha
“…l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi
(di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità
di detti redditi per consentire la riferibilità della
maggiore capacità contributiva accertata con
metodo sintetico in capo al contribuente proprio
a tali ulteriori redditi” (sentenza n.8995/14);
• in definitiva, non essendo necessaria la prova
della provenienza delle risorse disponibili e l’effettivo impiego delle stesse, deve dimostrarsi
la disponibilità economica e la relativa durata
utile fino al sostenimento delle spese (sentenza
n.17663/14). Tornando all’esempio illustrato in
precedenza, in presenza del vecchio redditometro, la prova difensiva si concretizza dunque nel
dimostrare che al mese di marzo 2013 il contribuente era in possesso della disponibilità ipotizzata dal redditometro.
risprudenza, anche per il nuovo redditometro è da
escludere la possibilità difensiva collegata al mero
possesso delle disponibilità nel periodo d’imposta.
Non appare pertanto sufficiente difendere l’acquisto
dell’immobile di marzo 2013 in forza della plusvalenza di ottobre 2013, che certamente non ha potuto
finanziare l’incremento patrimoniale antecedente.
Per resistere contro eventuali contestazioni dell’Amministrazione finanziaria restano due alternative:
1. provare in maniera dettagliata l’acquisto e le relative fonti utilizzate. A prescindere dalle osservazioni esposte in precedenza, è evidente che
questa resta la strada privilegiata. Se il contribuente ha la disponibilità delle risorse sul conto
corrente a inizio del 2013, non avrà problemi a
produrre il conto medesimo dando continuità al
possesso della disponibilità e documenta infine
l’acquisto (ad esempio mediante il bonifico bancario). Nessuna obiezione potrà essere mossa;
2. documentare la disponibilità delle risorse al momento dell’acquisto (ossia la strada tracciata per
il vecchio redditometro dalla Suprema Corte nelle sentenze dianzi richiamate). In tale direzione,
dunque, non è necessario documentare l’acquisto ma il possesso di redditi e altre risorse al momento dello stesso. Gli uffici probabilmente non
riterranno sufficiente tale iter difensivo, ma sulla
falsariga della giurisprudenza in commento potrà asserirsi che la norma non richiede una puntuale documentazione dell’acquisto, bensì solo
della disponibilità di ulteriori risorse.
Ovviamente sarà il futuro trend giurisprudenziale a
dirimere la vicenda. L’altra sola certezza sul fronte difensivo è che anche la nuova formulazione dell’art.38
d.P.R. n.600/73 non impone l’obbligo di documentare
la provenienza delle fonti utilizzate. In tale direzione è evidente che ad assumere rilievo è il perimetro
dell’accertamento: se l’accertamento si limita a richiedere la dimostrazione delle risorse utilizzate per
la spesa, in questo deve sostanziarsi l’onere difensivo.
Sarà invece compito dell’Amministrazione finanziaria
eventualmente effettuare nuovi accertamenti per appurare l’accumulo delle fonti utilizzate.
Ad esempio, se il contribuente a inizio 2013, sul saldo di apertura del conto corrente, già dispone delle
risorse economiche in questione e che consentono di
dare adeguata copertura alla spesa e alla conseguente presunzione reddituale, non deve preoccuparsi di
documentare il relativo accumulo. Deve invece essere l’ufficio ad accertare, se ritiene necessario, l’anno
2012 per effettuare le verifiche del caso e solo in tale
ipotesi il contribuente dovrà difendersi.
L’interrogativo da porsi è se tale interpretazione
giurisprudenziale possa trovare conferma anche con il nuovo redditometro, laddove il co.4
dell’art.38 del d.P.R. n.600/73 testualmente afferma: “…salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli
posseduti nello stesso periodo d’imposta..”
Invero, il Legislatore comunque richiama il possesso
di fonti economiche nel periodo d’imposta, ma specifica che devono essere state utilizzate per il finanziamento delle spese.
A parere di chi scrive, alla luce della richiamata giu-
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
Legittimità dell’accertamento induttivo: analisi
di casi particolari
di Giovanni Maccagnani - avvocato
e Luigi Contri - avvocato
Il tema della legittimità dell’accertamento induttivo è particolarmente attuale tenuto conto del sempre
più frequente ricorso da parte dell’Amministrazione finanziaria ad accertamenti basati su presunzioni.
Trattandosi di pretese erariali fondate su dati probatori logici e non certi, il Legislatore fiscale ha
limitato l’uso di questi istituti accertativi fissando rigorosi presupposti di legittimità.
Questi limiti al potere dell’Amministrazione finanziaria sono l’oggetto specifico del presente scritto.
Prima di entrare nello specifico della tematica in esame, appare opportuno, preliminarmente, ricordare
la normativa generale di riferimento.
Norma chiave, com’è noto, è l’art.39 d.P.R. n.600/73
che si occupa dell’accertamento dei redditi determinati in base alle scritture contabili.
Da subito, va detto che l’incipit di detta norma (“Per
i redditi di impresa delle persone fisiche ….”) - almeno apparentemente - si presterebbe limitare drasticamente la sua applicazione, che - invece - per le ragioni
che seguono è applicabile a un ambito ben superiore.
Infatti, il co.3 dell’art.39 stabilisce che:
Da quanto sopra, pertanto, emerge che il citato articolo disciplina tutte le diverse tipologie di accertamento
dei redditi afferenti le persone fisiche, le imprese in
contabilità semplificata, l’esercizio di arti e professioni, le società di persone e le persone giuridiche.
L’accertamento analitico, anche nella forma più estrema e vicina a quello in commento (analitico-induttivo
- art.39, co.1, lett.d, d.P.R. n.600/73), richiede e presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità, diversamente - e qui sta il discrimine - dall’ipotesi contenuta nel secondo comma dell’art.39 d.P.R.
n.600/73 che riguarda per l’appunto l’accertamento
induttivo-extracontabile, la cui adozione è consentita
ogniqualvolta la contabilità risulti - complessivamente
- inattendibile; oppure in presenza di altre circostanze, particolarmente gravi, tassativamente (per evitare
l’indiscriminato ricorso a tale metodologia) indicate
dalla predetta norma, come di seguito:
a) mancata presentazione della dichiarazione dei
redditi;
b) mancata tenuta scritture contabili o sottrazione
delle stesse all’ispezione;
c) scritture contabili complessivamente inattendibili;
d) mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti;
e) scritture contabili indisponibili per cause di forza
maggiore;
f) indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore.
In presenza di tali presupposti, all’Ufficio vengono
attribuite tre facoltà/possibilità:
1. avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza;
2. prescindere in tutto o in parte dalle risultanze
delle scritture contabili;
3. avvalersi di presunzioni prive dei squisiti di gravità, precisione e concordanza.
“Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in
quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall’ esercizio di arti
e professioni…, e l’art.40 stesso decreto prevede
che “alla rettifica delle dichiarazioni presentate
dai soggetti all’imposta sul reddito delle persone
giuridiche si procede con unico atto agli effetti di
tale imposta e dell’imposta locale sui redditi, con
riferimento unitario al reddito complessivo imponibile ma tenendo distinti i redditi fondiari. Per
quanto concerne il reddito complessivo imponibile
si applicano le disposizioni dell’ art.39 relative al
reddito d’impresa...”. Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni indicate nell’art.5 d.P.R. n.597/73, si procede con unico
atto ai fini dell’ imposta locale sui redditi dovuta
dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche
dovute dai singoli soci o associati. Si applicano le
disposizioni del primo comma del presente articolo o quelle dell’art.38 secondo che si tratti di società in nome collettivo, in accomandita semplice ed
equiparate ovvero di società semplici o di società
o associazioni equiparate.
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
Nei suddetti casi - il cui denominatore comune è da ricercare essenzialmente in comportamenti del contribuente significativi di una condotta particolarmente
grave nei confronti dell’Amministrazione finanziaria,
dolosa o colposa che sia - l’ufficio può utilizzate, ai fini
probatori e di accertamento tributario, le c.d. presunzioni semplicissime, cioè quelle prive dei requisiti di
gravità, precisione e concordanza che invece il Legislatore richiede per l’accertamento analitico.
In sostanza, l’Ufficio può ricostruire il reddito imponibile sulla base di semplici - purché ragionevoli - argomentazioni logiche.
Questa metodologia accertativa, essendo connotata
da amplissimi margini di discrezionalità, può evidentemente consentire ricostruzioni reddituali anche
non coerenti con l’effettiva capacità contributiva del
soggetto accertato.
Il che potrebbe determinare la formalizzazione di
pretese erariali sfornite di quella ragionevole certezza - che, in qualche modo, deve accompagnare la
presunzione ordinaria - in aperta violazione di quei
principi costituzionali (artt.3, 53, e 97) che stanno
alla base dell’obbligazione tributaria.
Sul punto, la migliore dottrina si è particolarmente
interessata alla suddetta problematica, sostenendo che l’accertamento induttivo-extracontabile non
può giustificare determinazioni avulse dallo specifico
contesto imprenditoriale, pervenendo a considerare
non legittima una metodologia accertativa che individui in tale istituto un mezzo per giustificare una
inversione dell’onere della prova, come se l’ufficio
potesse affermare un imponibile qualsiasi, che il giudice dovrebbe comunque confermare in assenza di
prove contrarie allegate dal contribuente1.
La giurisprudenza di legittimità, peraltro, pare essere
orientata in un senso diverso dalla citata - e a parere
di chi scrive condivisibile - dottrina.
Infatti, le pronunce che seguono denotano un accentuato indirizzo - seppur non univoco - da parte della
Corte di Cassazione nel ritenere legittimo il ricorso
da parte dell’Amministrazione Finanziaria all’accertamento induttivo puro, in taluni casi avallandone
l’operato, anche in ipotesi che appaiono tutt’altro
che rientranti nel confine tracciato normativamente
e sopra indicato.
Nel caso trattato, la CTP aveva annullato due avvisi di
accertamento con cui erano stati contestati, con metodo induttivo, a una società dei maggiori ricavi d’impresa (comparto auto nuove e usate) e maggiore Iva,
asseritamente occultati con l’esposizione in dichiarazione delle sole provvigioni conseguite come procacciatore d’affari nella vendita di auto per conto terzi.
Il primo verdetto trovava conferma in appello.
La CTR rilevava che l’atto impositivo era viziato da illegittima applicazione del metodo induttivo, atteso
che il contribuente aveva indicato nelle dichiarazioni
annuali di svolgere entrambe le attività, contabilizzando separatamente ricavi e provvigioni, mentre
l’Ufficio non aveva fornito idonea prova dello svolgimento esclusivo dell’attività di commercio di rivendita dei veicoli, con conseguente occultamento dei
corrispettivi conseguiti.
Avverso la pronuncia di secondo grado, l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione,
deducendo vizi di motivazione e violazione di legge
(art.55 d.P.R. n.633/72 e art.39, co.1, lett. d e co.2
d.P.R. n.600/73), per erronea individuazione della
norma applicata alla controversia, considerato che
la questione dedotta concerneva la corretta valutazione dei “presupposti legali” (globale inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili) ai quali
era ricollegata l’utilizzabilità da parte dell’Ufficio del
criterio induttivo puro di ricostruzione dei ricavi, presupposti che trovano esatto riscontro nella normativa relativa alle imposte sui redditi e all’Iva.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, inoltre, la
CTR, a fronte delle numerose irregolarità contabili,
si sarebbe limitata alla mera asserzione secondo cui
l’inattendibilità non era stata desunta da dati ed elementi certi, ma da fatti semplicemente presunti ovvero basati su congetture o affermazioni indiziarie.
Con la sentenza in parola, il massimo collegio ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e, nel
cassare la sentenza impugnata, ha affermato il principio di diritto secondo cui la determinazione, con
metodo induttivo puro, dei maggiori ricavi imponibili
ai fini Iva, derivanti da omessa registrazione di corrispettivi relativi a operazioni di cessione beni (nella
fattispecie rivendita di autoveicoli), è legittimamente effettuata dall’Ufficio, alla stregua della norma di
cui all’art.55 d.P.R. n.633/72, dettata in materia Iva,
“sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti
o venuti a conoscenza”, indipendentemente dalla circostanza che i dati e gli elementi assurgano a prova
presuntiva dotata dei requisiti ex art.2729 cod.civ., tenuto conto che la gravità delle irregolarità contabili,
La sentenza n.14703/14
Chiaro esempio è il recentissimo pronunciamento
della Corte di Cassazione contenuto nella sentenza
n.14703/14.
Si veda R. Lupi, “Diritto tributario”, Milano, 1996, pag.165.
1
13
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
tale da rendere inattendibili le scritture d’impresa, legittima l’espressa deroga alla disposizione dell’art.54,
co.2, stesso decreto che, negli accertamenti condotti
con metodo analitico-extracontabile, richiede invece
almeno la prova presuntiva ai sensi degli artt.2727 e
2729 cod.civ. (cioè presunzioni connotate dei requisiti
di gravità, precisione e concordanza).
In buona sostanza, nel caso di specie, la CTR non
aveva valorizzato le diverse omissioni contabili denunciate sulla base delle quali l’Amministrazione
finanziaria aveva fondato e formalizzato la pretesa
erariale.
La Corte ha, quindi, concluso sostenendo che il metodo induttivo seguito nell’accertamento non poteva
essere oggetto di contestazione da parte della CTR in
ragione del semplicistico e superficiale ragionamento che gli elementi acquisiti fossero generici e che le
risposte fornite con i questionari non fossero dotate
di concretezza.
gittimo l’accertamento induttivo qualora la contabilità dell’azienda presenti un inventario irregolare, in
quanto privo dell’indicazione della consistenza dei
beni oggetto delle rimanenze.
In particolare, secondo gli Ermellini:
“l’incompletezza della documentazione contabile
[…] rende non attendibili le scritture e autorizza
l’accertamento in via induttiva”.
Inoltre, il riferimento al bilancio e relativa Nota integrativa - circostanza su cui aveva fondato la propria
difesa il contribuente - non è sufficiente a compensare
tale irregolarità in quanto, ai sensi dell’art.15, d.P.R.
n.600/73, l’inventario e il bilancio sono documenti
contabili distinti e aventi contenuto e finalità diverse.
La mancata esibizione della contabilità
In ordine al caso di mancata esibizione della contabilità, la Corte di Cassazione - con sentenza n.19871/12
- in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, hanno stabilito che la mancata esibizione della
contabilità alla GdF può essere utilizzata per fondare
un accertamento induttivo ai fini Iva (art.52, d.P.R.
n.633/72), anche nel caso in cui non vi sia stato accesso delle Autorità competenti ai locali dell’impresa.
La legittimità dell’accertamento induttivo è stata,
continua la pronuncia, confermata anche per il fatto che la contabilità è stata consegnata solo 4 mesi
dopo la richiesta, e per di più in fotocopia.
Analogamente, la Corte, con sentenza n.9201/11,
ha stabilito che è legittimo l’accertamento induttivo
da parte dell’Amministrazione finanziaria in caso di
smarrimento di una o più scritture contabili obbligatorie e ciò per l’effetto dell’art.39, co.2, lett.c, d.P.R.
n.600/73 secondo cui gli uffici sono autorizzati a determinare il reddito d’impresa in modo induttivo, in
caso di indisponibilità per cause di forza maggiore
dei libri contabili:
L’assenza delle scritture contabili di magazzino
Sulla diversa questione della legittimità dell’accertamento induttivo in caso di mancanza delle scritture
contabili di magazzino si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.23096/12.
Innanzitutto, la Corte ha tracciato il principio di diritto in ordine al discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico-induttivo (art.39, co.1, lett.d
d.P.R. n.600/73) e quello c.d. puro o extracontabile
(art.39, co.2, stesso decreto) da ricercare rispettivamente nella parziale od assoluta inattendibilità dei
dati risultanti dalle scritture contabili.
Da quanto sopra, ne consegue che rimane(va) riservata in via esclusiva all’Amministrazione finanziaria
la scelta del metodo di accertamento e, conseguentemente, l’individuazione degli elementi probatori,
precisando che tale scelta non poteva, conseguentemente, essere messa in discussione dall’organo giudicante (conforme sentenza n.1555/12).
Inoltre, nel censurare la pronuncia della CTR, è stato puntualizzato che la percentuale di ricarico applicata sulle merci vendute è validamente utilizzabile
ai fini della capacità dimostrativa dei maggiori ricavi
derivanti dall’attività d’impresa svolta dalla società,
poiché tale criterio, ha trovato fondamento nella
omessa tenuta dell’inventario delle merci (con conseguente impossibilità di rilevazione delle variazioni delle rimanenze finali e del giacenze iniziali e del
loro valore). Tale principio è stato confermato con la
pronuncia n.16477/14.
La Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che è le-
“l’indisponibilità del libro inventari fosse incolpevole (come la CTR sembra aver ritenuto avendo
rilevato che ne era stato denunciato lo smarrimento in data anteriore all’ispezione tributaria)
non toglie che l’incompletezza della contabilità
ne rendeva inattendibili le risultanze ed integrava uno dei presupposti di fatto che giustificavano
l’accertamento induttivo”.
Occorre ricordare che i precedenti gradi di giudizio avevano dato ragione al contribuente poiché lo
smarrimento - ritenuto incolpevole - non poteva
considerarsi causa di forza maggiore, e, pertanto, la
14
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
metodologia induttiva non risultava legittima.
Tuttavia, sul punto è opportuno segnalare che la
stessa Corte di Cassazione con sentenza n.20461/11
ha stabilito che in caso di breve ritardo circa la consegna della documentazione richiesta dall’Agenzia delle Entrate, è illegittimo il conseguente accertamento
induttivo di cui all’art.39, co.2 d.P.R. n.600/73.La Corte ha, in tal caso, fornito un’interpretazione letterale
della lett.d-bis), co.2, art.39 citato, affermando che
solamente nel caso in cui il contribuente non risponda all’invito dell’ufficio, quest’ultimo è legittimato a
procedere con un accertamento di tipo induttivo.
Il ragionamento giuridico sviluppato dalla Cassazione è particolarmente interessante.
Nel caso in esame, il ricorrente non aveva presentato all’ufficio la documentazione richiesta, poiché la
stessa risultava già in possesso dell’ufficio per averla
prodotta il ricorrente in risposta a 3 precedenti richieste.
Tale atteggiamento non poteva essere interpretato
come un comportamento omissivo del contribuente e legittimante, conseguentemente, l’applicazione
dell’art.39, co.2, lett. d-bis (a tenore del quale l’ufficio delle Entrate determina il reddito di impresa
sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti
o venuti a sua conoscenza quando il contribuente
non ha dato seguito agli inviti degli uffici formulati ai
sensi dell’art.32, co.1, nn.3 e 4 del d.P.R. n.600/73, o
dell’art.51, co.2, nn.3 e 4, del d.P.R. n.633).
Nei motivi della sentenza, la Corte ha richiamato le
disposizioni degli artt.39, co.2, lett. d-bis, e 32, co.1,
nn.3 e 4 d.P.R. n.600/73.
In particolare, l’ultima disposizione prevede che gli
uffici possono:
• occorre che sia fissato un termine minimo (non
inferiore a 15 o 30 giorni) entro cui il contribuente deve produrre gli atti e i documenti
richiesti o fornire i dati o le notizie specifiche
contenuti nei questionari, con l’avvertenza che
la mancata ottemperanza agli inviti di esibire o
alle richieste di informazione determina l’inutilizzabilità a favore del contribuente degli atti e
documenti non esibiti o dei dati e delle informazioni non forniti;
• il fatto che il contribuente ometta di esibire gli
atti o i documenti richiesti con gli inviti o non fornisca i dati e le notizie oggetto dei questionari legittima l’ufficio delle Entrate ad avvalersi del metodo induttivo per accertare il reddito d’impresa.
La circostanza che il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici e, di conseguenza, non abbia esibito o trasmesso atti e documenti
rilevanti ai fini dell’accertamento nei suoi confronti (art.32, n.3 d.P.R. n.600/73), o non abbia fornito
dati e notizie di carattere specifico richiesti mediante questionario, anch’essi valutati rilevanti ai fini
dell’accertamento (art.32, n.4 d.P.R. n.600/73), assume, per l’art.39, co.2 d.P.R. n.600/73, la medesima
portata, in termini di ostacolo all’esercizio dell’attività di controllo del reddito d’impresa, del fatto che:
• il contribuente non abbia tenuto una o più delle
scritture contabili prescritte dall’art.14 o le abbia
sottratte all’ispezione (lett.c);
• le scritture contabili siano nel complesso inattendibili a causa delle omissioni rilevate o per riportate false o inesatte indicazioni oppure per le gravi
e ripetute irregolarità di tenuta accertate (lett.d).
Esiste notevole differenza tra le due ipotesi appena richiamate, soprattutto, per quanto concerne la
definizione dei contenuti degli obblighi che se non
adempiuti legittimano l’applicazione del più volte
menzionato art.39, co.2 d.P.R. n.600/73.
Le disposizioni dell’art.32, nn.3 e 4 (e indirettamente anche quelle della lett.d-bis, co.2, art.39), sull’invito del contribuente a esibire o trasmettere atti e
documenti o sull’invio di questionari relativi a dati
e notizie di carattere specifico, lasciano all’ufficio il
compito di definire quali atti, documenti, dati e notizie sono da considerare rilevanti ai fini dell’accertamento e che, dunque, devono essere esibiti.
L’inottemperanza, anche parziale, del contribuente a
dare seguito agli inviti a esibire o trasmettere libri,
registri, atti, documenti, o a comunicare dati e informazioni viene accertata, invece, dall’ufficio senza la
partecipazione del contribuente.
“invitare il contribuente, indicandone il motivo, a
esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai
fini dell’accertamento nei loro confronti; – inviare
al contribuente questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti. Gli inviti e le richieste
debbono essere notificati ai sensi dell’art.60; dalla data di notifica decorre il termine non inferiore
a giorni 15 o a giorni 30 per le richieste di cui al
n.7 per adempiere.
I Giudici, sulla base delle norme che precedono, hanno ricavato che il Legislatore ha introdotto le seguenti regole:
• l’ufficio deve indicare il motivo per il quale invita
il contribuente a produrre atti o documenti o a
rispondere ai questionari;
15
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ACCERTAMENTO
L’articolo 11, co.1 D.Lgs. n.471/97, stabilisce che
sono puniti con la sanzione amministrativa da lire
cinquecentomila a lire quattromilioni:
• la mancata restituzione dei questionari inviati al
contribuente o la loro restituzione con risposte
incomplete o non veritiere (lett. b);
• l’inottemperanza all’invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta fatta dagli uffici o dalla GdF
nell’esercizio dei poteri loro conferiti (lett. c).
Dalla disposizione sanzionatoria che precede, si può
ricavare che restituire i questionari inviati dagli uffici con risposte complete e veritiere e ottemperare
all’invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta fatta dagli uffici e dalla GdF costituisce un obbligo per il
contribuente.
Si tratta di un obbligo da porre in relazione al potere degli uffici di controllare il corretto adempimento
degli obblighi tributari, da ritenersi di natura ausiliaria poiché finalizzato a fornire all’Ufficio dati e notizie utili all’accertamento.
La sanzione amministrativa sopra indicata è prevista
per l’inadempimento all’obbligo di restituire il questionario con risposte complete e veritiere o di ottemperare all’invito a comparire o a dare riscontro
alle richieste dell’ufficio.
Occorre tenere distinto l’obbligo di restituire il questionario o di rispondere all’invito puramente e semplicemente, dall’obbligo di restituire il questionario
con le risposte complete e veritiere o di ottemperare
alle richieste rivolte dall’ufficio.
L’articolo 32, d.P.R. n.600/73, nello stabilire che gli
Uffici possono invitare i contribuenti a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti o inviare questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai
fini dell’accertamento nei confronti dei contribuenti,
si riferisce all’obbligo per il contribuente di restituire
i questionari con risposte complete e veritiere e di rispondere agli inviti o trasmettere gli atti, i documenti, i dati e le notizie richiesti.
L’articolo 32 d.P.R. n.600/73 non si limita a elencare
i diversi poteri istruttori, ma ne precisa anche l’ampiezza.
In tal modo, una volta che l’Ufficio ha scelto di avvalersi di un determinato potere istruttorio deve procedere a definirne i contenuti che, in ipotesi di invito
a esibire o trasmettere atti e documenti, vengono
fatti coincidere con il numero, il tipo di atti e documenti che dovranno essere esibiti o trasmessi, o, nel
caso di questionari, con la quantità e qualità dei dati
e delle notizie da fornire.
Le norme che attribuiscono agli uffici i singoli poteri istruttori non fissano dei precisi limiti all’ampiezza del loro utilizzo, con il risultato che può apparire
come non soggetta a particolari vincoli normativi la
definizione del grado di intensità, la cui precisazione
sarà, di volta in volta, effettuata discrezionalmente
dall’ufficio.
Infine, a proposito dell’ipotesi - tutt’altro che infrequente - della cassa aziendale negativa, la Corte di
Cassazione, con sentenza n.11988/11, ha ribadito
(confermando, dunque, precedenti statuizioni) che,
ai fini dell’accertamento induttivo, l’esistenza di un
conto cassa negativo equivale alla presenza di ricavi
occulti.
Secondo la Cassazione, infatti,
“la sussistenza di un saldo negativo di cassa,
implicando che le voci di spesa sono di entità
superiore a quella di introiti registrati, oltre a
costituire un’anomalia contabile, fa presumere
l’esistenza di ricavi con contabilizzati in misura
pari almeno al disavanzo”.
Conclusioni
La breve ricognizione casistica testé condotta, è significativa di una evoluzione giurisprudenziale (soprattutto di legittimità: si noti che nei giudizi tributari, di cui sopra si è fatto cenno, il giudice di merito
si era pronunciato a favore del contribuente) che
tende a privilegiare un’interpretazione estensiva (e
- absit iniuria verbis – alquanto pro fisco) della possibilità di ricorrere all’istituto dell’accertamento induttivo come sopra tratteggiato.
Di questo orientamento va tenuto debito conto, sia in
via preventiva, per evitare di porre in essere condotte
che ne possono determinare l’utilizzo, sia a seguito di
accertamento, per ipotizzare e in qualche misura prevedere gli esiti contenziosi e, se del caso, formulare
coerenti ipotesi di definizioni stragiudiziali.
16
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
Rateazione delle somme iscritte a ruolo: il punto
della situazione
di Giovanni Valcarenghi - ragioniere commercialista, revisore legale e pubblicista
La possibilità di pagare ratealmente gli scoperti con l’Amministrazione finanziaria è ormai divenuta
una componente essenziale del sistema di riscossione; pare quasi assodato, infatti, che il già precario
equilibrio di Equitalia verrebbe minato ove non si fosse introdotto, caldeggiato e rivitalizzato il
contenuto dell’art.19 d.P.R. n.602/73. Lo strumento è certamente utile e interessante, a condizione che il
medesimo non sia utilizzato in modo anomalo: il costo effettivo della rateazione, specialmente quando
attivata dopo la scadenza del termine di pagamento, è davvero ragguardevole. Comunque sia, riuscire
a districarsi tra le norme e la prassi operativa non appare per nulla semplice, rendendosi necessario un
momento di sintesi e schematizzazione.
Premessa
febbraio 2014) che gestiscono in proprio la rateazione che, come tali, potrebbero utilizzare regole differenti rispetto a quelle qui commentate.
Mai come negli ultimi anni, complice la crisi economica e finanziaria, risulta condivisibile il concetto per
cui il contribuente riesce a soddisfare i propri debiti
nei confronti dell’Erario solo se gli viene concessa
la possibilità di un piano rateale; diversamente, si
rischia che le azioni esecutive esercitate in caso di
inadempienza portino le aziende e i contribuenti al
collasso.
Conferma di tale assunto sono i resoconti periodici
di Equitalia, dai quali si evince che la maggior quota
degli incassi deriva proprio da piani rateali.
Lo stesso d.P.R. n.602/73 contiene l’art.19 che è proprio dedicato alla possibilità di pagamento rateale
del debito già iscritto a ruolo. Negli ultimi anni, tuttavia, la norma è stata oggetto di numerose modifiche
e integrazioni, tanto da rendersi utile un riepilogo
delle regole che sovrintendono alla materia. Il tema
si innesta nel panorama di riferimento di questa rivista per il semplice fatto che la riscossione coattiva
è spesso connessa alla tematica dell’accertamento
e/o del contenzioso e la possibilità di rateazione del
debito può rappresentare un utile elemento per assumere le decisioni del caso.
La dilazione, poi, è applicabile in tutti i casi di riscossione a mezzo ruolo (ordinario o straordinario) e
anche per somme diverse dalle imposte dirette (vi
rientrano, ad esempio, anche i contributi Inps). Sono
interessati alla procedura anche i debiti scaturenti
da accertamenti esecutivi, quelli derivanti dalla decadenza da rateazioni amministrative di avvisi bonari
e quelli connessi agli istituti deflativi del contenzioso.
Sul sito di Equitalia, che rappresenta uno strumento
indispensabile per chi volesse utilizzare la rateazione, è presente l’elenco dei soggetti (aggiornato al 13
Le differenti tipologie di rateazione e le condizioni di accesso
Il contribuente che si accosta alla tematica si deve
confrontare con due differenti tipologie di rateazione,
cui si accompagna la possibilità di ottenere proroghe,
al ricorrere di particolari situazioni di difficoltà.
L’articolo 19 d.P.R. n.602/73, infatti, prevede che:
• l’agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso,
la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino a un massimo di 72 rate mensili
(rateazione ordinaria ex comma 1);
• la rateazione ordinaria, ove il debitore si trovi,
per ragioni estranee alla propria responsabilità,
in una comprovata e grave situazione di difficoltà
legata alla congiuntura economica, può essere
aumentata fino a 120 rate mensili (rateazione
straordinaria comma 1-quinquies). Ai fini della
concessione di tale maggiore rateazione, si intende per comprovata e grave situazione di difficoltà quella in cui ricorrono congiuntamente le
seguenti condizioni:
a)accertata impossibilità per il contribuente di
eseguire il pagamento del credito tributario
secondo un piano di rateazione ordinario;
b)solvibilità del contribuente, valutata in relazione al piano di rateazione concedibile ai
sensi del comma 1-quinquies.
Le due tipologie di frazionamento del debito sono
connesse alla ricorrenza di determinate situazioni;
17
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
così, la rateazione ordinaria richiede la presenza di
una temporanea situazione di obiettiva difficoltà del
contribuente, mentre la rateazione straordinaria una
comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla
congiuntura economica, peraltro non direttamente
dipendente da responsabilità del debitore stesso.
A fronte delle affermazioni di natura generale contenute nella norma, Equitalia ha avuto il compito di
elaborare procedure pratiche (che si sono concretiz-
zate con l’emanazione di apposite Direttive) per individuare le situazioni al ricorrere delle quali è possibile considerare ricorrente il diritto alla rateazione;
come ogni procedimento amministrativo, eventuali
dinieghi ritenuti immotivati potranno essere oggetto
di impugnazione da parte del contribuente.
Nella tabella che segue è esposto un riepilogo generale delle possibili situazioni che si possono presentare.
Denominazione Durata
Condizione
Ordinaria
Temporanea situazione di difficoltà ad adempiere (cioè a pagare il debito intero alle
scadenze prescritte)
Durata massima
72 rate mensili
Debiti a
Si può ottenere la rateizzazione con domanda semplice, senza la neces50.000,00 euro sità di dover allegare alcuna documentazione comprovante la situazione
di difficoltà economica (direttiva di Equitalia di maggio 2013)
Debiti oltre
La concessione della rateazione è subordinata alla verifica della si50.000,00 euro tuazione di difficoltà economica
Straordinaria
Durata massima
120 rate mensili
Comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, per
ragioni estranee alla propria responsabilità
Dilazioni ordinarie per debiti sino a 50.000,00
euro (per tutti i soggetti)
ziano a seconda del tipo di debitore. Peraltro, a tali
riscontri si correla anche il numero di rate concesso.
Il primo ambito soggettivo è quello:
• delle persone fisiche private e
• delle ditte individuali in contabilità semplificata
in regime delle nuove iniziative e dei contribuenti
minimi o di vantaggio.
Per tali soggetti, privi di riscontri contabili ufficiali, il
termometro per misurare la sussistenza della temporanea difficoltà ad adempiere è rappresentato dall’Isee, indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare del debitore (rilasciato, a
richiesta, dai Comuni, dai centri di assistenza fiscale
e dalla sede Inps competente per territorio).
L’Isee permette di individuare la sussistenza della
temporanea situazione di obiettiva difficoltà e anche il numero di rate concedibili, secondo un procedimento assai intuitivo (simulatore di calcolo delle
rate) presente anch’esso sul sito di Equitalia.
Va rammentato che, ove i parametri automatici non
dovessero consentire la dilazione, il contribuente può
fare valere ulteriori condizioni che abbiano cagionato
una modifica della situazione reddituale/patrimoniale
risultante dall’Isee stesso, quali ad esempio:
• la cessazione del rapporto di lavoro, nel caso di
lavoratore dipendente;
• l’insorgenza, nel nucleo familiare, di una grave
patologia che abbia comportato ingenti spese
mediche;
Sulla base delle istruzioni diramate da Equitalia, per
gli importi sino a 50.000,00 euro (soglia da verificarsi computando le somme iscritte a ruolo residue, al
netto di eventuali sgravi e/o pagamenti parziali e
senza vagliare interessi di mora, aggi, spese esecutive e diritti di notifica) esiste una procedura di dilazione semplificata che non si differenzia (nemmeno
a livello di modulistica) in ragione della natura del
debitore1.
Il richiedente indicherà succintamente sull’istanza il
motivo che genera la temporanea situazione di difficoltà ad adempiere e il numero di rate prescelto
(non oltre 72), oltre alle altre informazioni anagrafiche e di individuazione del ruolo.
Stante lo specifico automatismo della dilazione, pare
che a decorrere dal 2015 le cartelle esattoriali prevedano già, sin dall’origine, il piano di pagamento
rateale.
Dilazioni ordinarie per debiti oltre 50.000,00
euro
Quando il debito da frazionare supera la soglia dei
50.000,00 euro, invece, le Direttive di Equitalia impongono che la situazione di temporanea difficoltà ad
adempiere trovi dei riscontri numerici che si differen Sito di Equitalia, sezione Rateizzare, Modulistica, Allegato 1.
1
18
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
• la contestuale scadenza di altre obbligazioni pecuniarie, anche relative al pagamento in autoliquidazione delle imposte, che non consenta di
far fronte all’integrale pagamento;
• nel caso di imprese, si riscontrino impatti sensibili sull’attività a causa di improvvise ed oggettive
crisi del mercato di riferimento, anche di carattere locale, ovvero di eventi imprevedibili provocati da forza maggiore.
Il secondo ambito soggettivo, invece, riguarda i
soggetti che hanno un supporto documentale nelle
scritture contabili, tenute per obbligo di legge (dalla
impresa in regime di contabilità ordinaria, alla società di persone o di capitali).
In tal caso, il concetto di temporanea situazione di
obiettiva difficoltà viene fatto coincidere con quello
evocato dall’abrogato art.187 L.F., relativo all’amministrazione controllata; deve comunque trattarsi
di uno stato ritenuto reversibile, in modo tale che il
pagamento frazionato possa concedere possibilità
di mantenere gli impegni nel tempo.
La situazione di difficoltà economica viene riscontrata (o esclusa) tramite un’analisi finanziaria basata
sul c.d. indice di liquidità. Al c.d. indice Alfa, invece,
viene assegnato il compito di quantificare il numero
delle rate.
L’indice di liquidità rappresenta la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni finanziari a breve termine con le proprie disponibilità liquide, immediate
e differite; lo stesso si ottiene sommando la liquidità
corrente alla liquidità differita e dividendo il risultato
ottenuto per le passività correnti.
Secondo Equitalia, se l’indice:
• è uguale o superiore a uno (con ciò significando
che l’impresa è in grado di far fronte alle uscite
future, derivanti dall’estinzione delle passività
a breve, con le entrate future provenienti dal
realizzo delle poste maggiormente liquide delle
attività correnti), non sussiste il requisito della
temporanea difficoltà e quindi non viene concessa la dilazione;
• è inferiore a uno, è possibile concedere la dilazione.
Relativamente al numero delle rate, occorre procedere al calcolo del c.d. indice Alfa, dato dal rapporto tra
debito complessivo e valore della produzione moltiplicato per 100. Il numero di rate è così ottenibile:
Valore indice Alfa
Numero massimo rate
compreso tra 0 e 2
18
compreso tra 2,1 e 4
36
compreso tra 4,1 e 6
48
compreso tra 6,1 e 8
60
superiore a 8
72
Il meccanismo funziona in modo perfetto per le società di capitali; diversamente, le società di persone,
le ditte individuali in contabilità ordinaria e gli enti
associativi, in quanto non obbligati a redigere il bilancio nelle forme di cui agli artt.2424 ss. cod.civ,
potrebbero incontrare difficoltà a ricavare, dalle loro
scritture contabili, i dati necessari a ottenere tali parametri.
Pertanto, tali soggetti, come si evince dalla modulistica prevista:
• determinano in forma aggregata l’indice di liquidità e l’indice Alfa;
• al denominatore dell’indice Alfa indicano il valore totale dei ricavi e dei proventi.
Analogamente al caso delle persone private, è ammessa una giustificazione residuale nell’ipotesi in cui
l’applicazione degli indici non consenta l’accoglimento dell’istanza.
Al riguardo, è necessario documentare eventi straordinari che incidano in maniera così significativa da
far ritenere, comunque, sussistente la condizione di
temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Si forniscono i seguenti esempi:
• improvvise e oggettive crisi del mercato di riferimento, anche di carattere locale;
• eventi imprevedibili provocati da causa di forza
maggiore.
Le rateazioni straordinarie
Il comma 1-quinquies all’art.19 d.P.R. n.602/73, prevede la possibilità di concedere al contribuente una
rateazione straordinaria, fino ad un massimo di 120
rate mensili, a fronte della sussistenza di uno stato di
grave difficoltà finanziaria, non dallo stesso causato
ma strettamente dipendente dalla congiuntura economica.
Oltre ai presupposti base sono necessarie ulteriori
due condizioni:
Indice di liquidità
(liquidità differite + liquidità correnti):
(condizione per
passività correnti
dilazione)
Indice Alfa
debito complessivo: valore della pro(numero di rate) duzione × 100
19
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
• deve essere accertata l’impossibilità ad assolvere il debito secondo il piano di dilazione ordinario (72 rate mensili);
• deve essere esperita una valutazione (positiva) circa la sostenibilità del piano alternativo (solvibilità).
Le disposizioni di attuazione della dilazione straordinaria sono state varate con D.M. 6. novembre 2013,
da cui si desume che:
• può essere chiesta all’atto della prima domanda
di dilazione;
• così come può essere finalizzata alla proroga di
dilazioni (ordinarie o ordinarie prorogate) già
ottenute.
Inoltre, lo stesso D.M. stabilisce che il debitore, una
volta ottenuto un piano di dilazione straordinario,
può chiedere sia la proroga ordinaria (fino ad un
massimo di 72 rate) sia la proroga straordinaria (fino
ad un massimo di 120 rate).
Oltre a ciò, se non viene accolta la domanda di dilazione straordinaria, il debitore può sempre presentare domanda per quella ordinaria, oppure per la
proroga della dilazione ordinaria.
Per la richiesta dei piani di rateazione straordinari,
sono dunque necessari i seguenti requisiti:
1. l’accertamento della temporanea situazione di
obiettiva difficoltà, comunque necessario per accedere al pagamento frazionato;
2. l’attestazione, a cura del debitore, della comprovata e grave situazione di difficoltà, indipendente
dalla sua responsabilità e legata alla congiuntura
economica; si ricorre a una istanza motivata, da
produrre all’agente della riscossione;
3. l’impossibilità di provvedere secondo un piano
Tipologia di debitore
ordinario;
4. la prova di solvibilità del debitore, valutata in relazione al piano di rateazione concedibile.
Le condizioni di cui ai punti 3) e 4) hanno richiesto
l’introduzione di automatismi che, ancora una volta,
si differenziano in ragione delle condizioni soggettive
del richiedente.
In particolare:
• per le persone fisiche non imprenditori e gli imprenditori individuali che adottano regimi fiscali
semplificati (regime di contabilità semplificata,
nuove iniziative produttive, contribuenti minimi
o in regime di vantaggio), occorre produrre la
certificazione Isee, dalla quale si deve ricavare
che l’importo della rata che si dovrebbe pagare secondo la dilazione ordinaria è superiore al
20% del reddito mensile del nucleo familiare del
richiedente, avuto riguardo all’indicatore della
situazione reddituale (Isr), evincibile dall’Isee
stesso;
• per le società di persone (Snc e Sas), le società
di capitali (Spa, Sapa e Srl), le società cooperative e mutue assicuratrici, gli enti commerciali,
gli enti non commerciali e gli imprenditori individuali in contabilità ordinaria (in sostanza,
per i debitori diversi dalle persone fisiche non
imprenditori e dagli imprenditori individuali in
regimi fiscali semplificati), l’importo della rata
che si dovrebbe pagare secondo la dilazione ordinaria deve essere superiore al 10% del valore
della produzione rapportato su base mensile.
Inoltre, l’indice di liquidità deve essere compreso tra 0,50 e 1.
Importo della rata
Si accede alla rateazione straordinaria se l’importo della rata è superiore al 20% del
reddito mensile del nucleo familiare del richiedente.
Persone fisiche e
ditte individuali con regimi fiscali Il dato si desume dall’Indicatore della Situazione Reddituale (Isr), rilevabile dalla certificazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee) dello stesso
semplificati
nucleo, che va allegato all’istanza
Rata superiore al 10% del valore della produzione, rapportato su base
Condizione
1
mensile ed enucleato ai sensi dell’art.2425, num. 1), 3) e 5) cod.civ.
Soggetti diversi (con dati desunti
dalla situazione contabile aggiornal’indice di liquidità compreso tra 0,50 e 1, ove indice di liquidità è:
ta)
Condizione 2 [( liquidità differita + liquidità corrente) / passivo corrente ]
Quando non si riesce a rispettare un piano di rateazione già ottenuto
Lo stato di forte crisi di liquidità potrebbe determinare che, dopo avere ottenuto da Equitalia un piano di
rateazione (ordinario o straordinario), il contribuente non riesca più a farvi fronte.
In tali ipotesi, per evitare la decadenza, è possibile
richiedere una delle seguenti proroghe:
20
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
Rateazione in corso
Ordinaria
Straordinaria
Tipo di proroga
Condizioni
Ordinaria, con durata mas- Comprovato peggioramento della temporanea situazione di obietsima di 72 mesi
tiva difficoltà, mediante confronto del modello Red
Straordinaria, con durata Comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura
massima di 120 mesi
economica, per ragioni estranee alla propria responsabilità
Ordinaria, con durata mas- Comprovato peggioramento della temporanea situazione di obietti
sima di 72 mesi
va difficoltà
Straordinaria, con durata Comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura
massima di 120 mesi
economica, per ragioni estranee alla propria responsabilità
L’istanza di rateazione (in generale)
La concessione del differimento delle somme iscritte
a ruolo presuppone la presentazione di un’apposita
istanza, in carta semplice e sulla modulistica predisposta dell’agente della riscossione (disponibile sul
sito), da presentarsi mediante consegna diretta allo
sportello di Equitalia, oppure tramite il servizio postale (raccomandata con A/R).
In base all’articolo 19 d.P.R. n.602/73, l’istanza non
deve essere corredata da alcuna garanzia, può essere presentata anche oltre la scadenza dei 60 giorni
concessi per il pagamento della cartella esattoriale e
anche qualora fossero già avviate le azioni esecutive.
la stessa non può avvenire se la domanda di dilazione è stata accolta, mentre rimane valida quella già
iscritta prima dell’istanza.
Decadenza dal beneficio della rateazione
L’efficacia del provvedimento di rateazione viene
meno, dopo le ultime innovazioni legislative, nel
caso di mancato versamento di 8 rate del piano, anche non consecutive; in precedenza, la decadenza
scattava con il mancato pagamento di 2 rate consecutive.
In caso di decadenza, l’intero importo iscritto a ruolo non ancora versato “è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione”, con la
conseguenza che verrà iniziata (o ripresa) l’azione di
recupero coattivo delle predette somme.
Anche il decesso del debitore causa la revoca del beneficio; la rateazione, tuttavia, potrà eventualmente
essere concessa all’erede che ne faccia richiesta e
dimostri di versare in uno stato di temporanea difficoltà economica.
Nel tempo (da ultimo lo scorso 31 luglio 2014) sono
state introdotte disposizioni che consentono la ripresa di piani di rateazione già decaduti, come una sorta
di condono.
Quindi questo intervento si chiude così come è iniziato: il sistema di fatto preferisce un lento rientro
del credito piuttosto che un precoce fallimento delle
azioni di recupero.
Ovviamente, il beneficio della dilazione si accompagna all’onere di corrispondere gli interessi di
dilazione ex art.21 d.P.R. n.602/73, oltre ad eventuali interessi moratori ove il piano venga richiesto dopo la naturale scadenza del debito.
Ove la domanda sia presentata entro il termine di 60
giorni dalla notifica della cartella, risultano inibite:
• le azioni esecutive e
• le misure cautelari.
Diversamente, la richiesta successiva alla scadenza
del termine:
• inibisce azioni esecutive ma non blocca quelle
eventualmente già in corso e
• non determina la revoca delle eventuali azioni
cautelari già poste in essere.
Con particolare riferimento all’iscrizione di ipoteca,
21
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
Il pignoramento nell’esecuzione esattoriale
di Andrea Carinci - avvocato, professore straordinario di diritto tributario presso l’Università di Bologna
La riscossione coattiva dei crediti tributari (c.d. procedura esattoriale), così come regolata nel testo del
d.P.R. n.602/73, ricalca il modello dell’esecuzione forzata ordinaria di cui al c.p.c., diversificato in base
al tipo di esecuzione (mobiliare, immobiliare, presso terzi). Ciò, però, solo nella misura in cui il d.P.R.
n.602/73 non preveda regole in deroga alle norme ordinarie. La disciplina della procedura esattoriale
presenta così una serie di profili di specialità, sotto il profilo del ruolo assegnato al creditore procedente
e al giudice, del titolo che ne legittima l’attivazione (il ruolo di riscossione) e dei soggetti incaricati di
seguire la procedura esattoriale. Peculiarità, queste, che si riflettono sulla disciplina delle fasi in cui
la procedura esattoriale si articola, tra le quali, in particolare, il pignoramento. È proprio quest’ultimo
a essere preso in esame, nelle sue diverse forme, anche nell’ottica delle più recenti modifiche volte ad
agevolare il pagamento spontaneo del debito.
Caratteristiche, struttura e funzionamento
dell’espropriazione esattoriale
ma solo se e in quanto il d.P.R. n.602/73 non preveda
regole specifiche e derogatorie.
La disciplina della procedura esattoriale presenta
molteplici profili di specialità4.
Il tratto più caratterizzante detta specialità, indubbiamente, è rappresentato dal ruolo assegnato nella procedura esattoriale al creditore procedente e al giudice
rispetto a quanto previsto per quella ordinaria.
Con l’obiettivo di assicurare massima celerità ed efficienza alla riscossione dei crediti erariali, la procedura esattoriale è stata tradizionalmente connotata
dalla marcata centralità di ruolo e poteri riconosciuti
al creditore procedente5.
Come qualunque credito, anche quelli tributari sono
suscettibili di esecuzione forzata. L’esecuzione forzata costituisce quella particolare procedura volta
a realizzare, anche contro la volontà del debitore,
il soddisfacimento del credito vantato dal soggetto
che la promuove, con la conseguente estinzione della corrispondente obbligazione in capo al debitore
esecutato. Questo risultato viene perseguito - in via
ordinaria - attraverso una procedura diretta a espropriare, ossia sottrarre, determinati beni al debitore,
con l’obiettivo di venderli per destinare il relativo ricavato al soddisfacimento del credito1.
Per i crediti tributari2 la riscossione coattiva segue regole affatto peculiari. Ai sensi dell’art.49, co.2 d.P.R.
n.602/73,
Nell’esecuzione esattoriale il pignoramento e la
vendita sono così effettuati a cura e sotto la responsabilità del creditore, ossia dell’agente della riscossione, senza necessità di autorizzazione da parte
dell’autorità giudiziaria (art.52 d.P.R. n.602/73).
“Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto
non derogate dalle disposizioni del presente capo
e con esso compatibili”.
L’agente della riscossione è arbitro dell’intera procedura, laddove l’intervento del giudice della riscossione è relegato (in via generale) alla fase finale del
riparto. Tanto la fase dell’espropriazione, ossia del
pignoramento nelle diverse forme, quanto la fase
della vendita sono invece gestite interamente dal
creditore. L’intervento del giudice in queste fasi è
All’esecuzione esattoriale3 tornano pertanto applicabili le regole ordinarie dettate per l’esecuzione
coattiva dal cpc, diversificate a seconda del tipo di
esecuzione (mobiliare, immobiliare o presso terzi),
Sulla portata derogatoria rispetto alle regole di diritto comune dell’esecuzione esattoriale e, segnatamente, dei poteri ivi accordati all’agente
della riscossione nella procedura esecutiva, cfr. E. Allorio - C. Magnani,
“voce Riscossione coattiva delle imposte”, in Novv. Dig. It., Torino, 1969,
XVI, pag.34; B. Cocivera, “Manuale della riscossione delle imposte dirette”,
Milano, 1971; F. Sismondini, “La riscossione esattoriale. Gli uffici d’incasso e
riscossione”, Padova, 1977; B. Cucchi, “La nuova disciplina della riscossione
coattiva mediante ruolo”, Padova, 1999; più di recente, M. Giorgetti, “Profili dell’espropriazione forzata tributaria”, in Dir. prat. trib., 2006, I, pag.777.
5
Per considerazioni sull’evoluzione della procedura di riscossione esattoriale, cfr. F. Odoardi, “Il processo esecutivo tributario”, in “La riscossione dei tributi” (a cura di M. Basilavecchia, S. Cannizzaro, A. Carinci),
Milano, 2011, pag.273.
4
Detta articolazione della procedura esecutiva nelle 3 fasi dell’espropriazione, della vendita e del riparto del ricavato, costituisce una costante, tanto del procedimento ordinario, disciplinato dal c.p.c., quanto di
quello speciale, dedicato alla riscossione dei crediti tributari, regolato
dal d.P.R. n.602/73.
2
In ragione dell’art.17 D.Lgs. n.46/99, l’ambito d’applicazione della riscossione coattiva regolata dal d.P.R. n.602/73 non è riservata alle sole
entrate tributarie ma abbraccia tutte le entrate pubbliche.
3
Nonostante che dal 1988 non esistano più gli esattori, si continua ad
impiegare l’espressione “esecuzione esattoriale” per indicare l’esecuzione forzata disciplinata dal d.P.R. n.602/73.
1
22
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
solo eventuale e, essenzialmente, circoscritto ai casi
di opposizione (art.57 d.P.R. n.602/73). Solo nella
fase terminale della procedura, ossia al riparto del ricavato, è previsto l’intervento fisiologico del giudice6.
Proprio la portata solo eventuale dell’intervento del
giudice, accanto alla centralità del ruolo del creditore procedente, titolare e arbitro dei poteri di impulso e di iniziativa della riscossione forzata esattoriale7,
ha indotto la dottrina a interrogarsi lungamente sulla
natura, amministrativa ovvero giurisdizionale, di tale
procedura8. Le più recenti modifiche, tuttavia, inducono a concludere per la natura giurisdizionale della
procedura esattiva, nonostante le indubbie particolarità connesse alla marcata valorizzazione dei poteri di
autotutela accordati all’agente della riscossione9.
Un secondo profilo caratteristico della procedura
esecutiva esattoriale è poi integrato dalla specialità
del titolo che ne consente e legittima l’attivazione: il
ruolo di riscossione.
lizzabile per la riscossione delle imposte sui redditi,
dell’Iva e dell’Irap, nonché delle sanzioni connesse,
assolve la triplice funzione di atto di imposizione,
titolo esecutivo e precetto, cumulando in un unico
atto natura e finalità di 3 distinti atti (avviso di accertamento, ruolo e cartella di pagamento). Ebbene, in
forza dell’art.29, lett. e) D.L. n.78/10, per la riscossione in base ad accertamento esecutivo l’agente della
riscossione “procede ad espropriazione forzata con i
poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo”.
Inoltre, ai sensi della successiva lett. f), ai fini della
procedura di esecuzione forzata, i riferimenti operati
dalle norme vigenti al ruolo ed alla cartella s’intendono effettuati al nuovo accertamento esecutivo12.
La disciplina di cui al d.P.R. n.602/73 torna poi applicabile anche alla riscossione in base a ingiunzione fiscale
di cui al R.D. n.639/1013; ciò, in ragione dell’espresso
richiamo a tale disciplina contenuto all’art.7, co.2, lett.
gg-quater D.L. n.70/11 (convertito in L. n.106/11)14.
Ulteriori particolarità attengono poi ai soggetti incaricati di seguire la procedura esattoriale. Ai sensi
dell’art.49, co.3 d.P.R. n.602/73, le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione, nominati dall’agente della
riscossione fra le persone la cui idoneità allo svolgimento delle funzioni è stata conseguita ai sensi della
L. n.56/51. L’ufficiale della riscossione esercita le sue
funzioni nei Comuni compresi nell’ambito del concessionario/agente della riscossione che lo ha nominato e sotto la sua sorveglianza15.
Infine, in merito ai poteri accordati all’agente della
riscossione per ricercare i beni aggredibili del debitore, si rammenta che ai sensi dell’art.18 D.Lgs.
n.112/99 è previsto che “1. Ai soli fini della riscossione mediante ruolo, i concessionari sono autorizzati
ad accedere, gratuitamente ed anche in via telematica, a tutti i dati rilevanti a tali fini, anche se detenuti
da uffici pubblici, con facoltà di prendere visione e di
estrarre copia degli atti riguardanti i beni dei debitori
iscritti a ruolo e i coobbligati, nonché di ottenere, in
carta libera, le relative certificazioni. 2. Ai medesimi
fini i concessionari sono altresì autorizzati ad accede-
È il ruolo di riscossione, infatti, l’atto che legittima
l’avvio della particolare procedura disciplinata
dal d.P.R. n.602/73 quale speciale titolo esecutivo10, mentre la cartella di pagamento, che ne riproduce il contenuto relativo al singolo debitore,
assolve le veci del precetto11.
Per effetto dell’art.29 D.L. n.78/10, inoltre, la procedura di riscossione esattoriale torna applicabile anche al nuovo accertamento esecutivo. Tale atto, uti Ai sensi dell’art.56 d.P.R. n.602/73, rubricato “Deposito degli atti
e del prezzo”, entro 10 giorni dalla vendita l’agente della riscossione
deve depositare nella cancelleria del giudice dell’esecuzione gli atti del
procedimento di espropriazione, nonché consegnare al cancelliere la
somma ricavata dalla vendita affinché venga depositata nella forma dei
depositi giudiziari.
7
Tale specialità trova ulteriore conferma nel regime dettato per il caso di
avvio dell’esecuzione esattoriale in presenza di un’esecuzione ordinaria
già iniziata nei confronti del medesimo debitore: l’agente della riscossione può surrogarsi al creditore procedente per gli atti esecutivi già
intrapresi e li prosegue secondo le speciali regole dell’esecuzione esattoriale (art.51 d.P.R. n.600/73). Nel caso opposto di creditori privati che
intendono inserirsi nella procedura esattoriale, è loro riconosciuto solo
il diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati, mentre resta preclusa la possibilità di partecipare
alla gestione ed alla conduzione della procedura, di esclusiva titolarità
dell’agente della riscossione (art.54, co.2 d.P.R. n.602/73).
8
Per un’ampia ricognizione del dibattito, cfr. M. De Cristofaro, sub
art.50, d.P.R. n.602/73, in C. Consolo – C. Glendi, “Commentario Breve
alle leggi del processo tributario”, Padova, 2012, pag.972.
9
Così M. Giorgetti, “Profili dell’espropriazione forzata tributaria”, cit., pag.779.
10
La natura e funzione di titolo esecutivo del ruolo è esplicitata
dall’art.12, co.4 d.P.R. n.602/73. In generale, sulla natura, struttura e
funzione del ruolo si consenta un rinvio a A. Carinci, “La riscossione a
mezzo ruolo nell’attuazione del tributo”, Pisa, 2008.
11
Ai sensi dell’art.25, co.2 d.P.R. n.602/73, la cartella di pagamento deve
contenere “l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento
che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata”. Intimazione ad
adempiere ed avvertimento che, ai sensi dell’art.480 del c.p.c. integrano
il contenuto tipico del precetto.
6
A. Carinci, sub art.29, D.L. n.78/10, in C. Consolo – C. Glendi, “Commentario breve alle leggi del processo tributario”, Padova, 2012,
pag.837; Id. “L’accertamento esecutivo tra punti fermi e perduranti profili
di criticità”, in Il Fisco n.25/14, pag.2863.
13
Sul tema cfr. B. Cocivera, “Ingiunzione” (dir. trib.), Enc. dir., pag.528.
14
Cfr. A. Carinci, sub art.7, co.2, lett. gg-ter – gg-septies, D.L. n.70/11,
in C. Consolo – C. Glendi, “Commentario breve alle leggi del processo
tributario”, Padova, 2012, pag.1219.
15
Art.43 D.Lgs. n.112/99; A. Fantozzi, “Diritto tributario”, Torino, 2012,
pag.859.
12
23
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
re alle informazioni disponibili presso il sistema informativo del Ministero delle finanze e presso i sistemi
informativi degli altri soggetti creditori, salve le esigenze di riservatezza e segreto opponibili in base a
disposizioni di legge o di regolamento”.
In forza dell’art.35, co.25 e 26 D.L. n.223/06, inoltre,
gli agenti della riscossione possono accedere ai dati
che le banche e gli intermediari finanziari debbono
conservare in relazione ai rapporti intrattenuti con i
propri clienti/correntisti16.
tenente un rinnovo dell’intimazione ad adempiere18.
Stante l’assenza di specifiche previsioni derogatorie,
non sembra esservi dubbio in merito all’applicabilità
all’esecuzione esattoriale dell’istituto della conversione del pignoramento, di cui all’art.495 c.p.c..
In forza di tale istituto, il debitore, prima che sia
disposta la vendita o l’assegnazione, può domandare la sostituzione delle cose o dei crediti pignorati con una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore
pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese.
Il pignoramento in generale
La procedura esecutiva prende avvio con il pignoramento. Nell’esecuzione esattoriale tale atto non differisce, quanto a natura ed efficacia, dal pignoramento
nell’esecuzione ordinaria; tornano pertanto applicabili, in linea di massima, le medesime regole17.
Ai sensi dell’art.492 c.p.c.,
Qui, semmai, l’unico dubbio si pone per l’espropriazione immobiliare dove, in effetti, mancando un
provvedimento giudiziale di vendita e coincidendo
il momento in cui può essere promossa l’istanza di
conversione con quella in cui la vendita è disposta
(che nel regime ordinario individua il termine finale),
bisogna ritenere che l’istanza possa essere promossa
fino alla vendita19.
Appare invece difficilmente praticabile la riduzione
del pignoramento di cui all’art.496 c.p.c.20, in considerazione del fatto che nella procedura esattoriale
non è prevista la nomina fin dal principio di un giudice dell’esecuzione cui inoltrare l’istanza di riduzione.
“il pignoramento consiste in un’ingiunzione che
l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da
qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia
del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi”.
Tratto qualificante del pignoramento è l’individuazione del bene del debitore che viene sottratto alla
sua disponibilità per essere assoggettato al vincolo
della procedura, che significa sua futura vendita forzata con riparto del ricavato a soddisfacimento del
credito per cui si è proceduto.
L’espropriazione e quindi il pignoramento può iniziare solo una volta decorso inutilmente il termine concesso nel precetto, integrato, a seconda dei
casi, dalla cartella di pagamento ovvero dall’avviso
di accertamento esecutivo. Nell’uno piuttosto che
nell’altro caso, tuttavia, il termine concesso al contribuente per adempiere prima dell’avvio dell’azione
esecutiva è diverso: 60 giorni dalla notifica nel caso
della cartella (art.50 d.P.R. n.602/73); il termine per
impugnare, più ulteriori 30 giorni per l’affidamento
dell’avviso all’agente della riscossione, più i 180 giorni di improcedibilità relativa da detto affidamento,
nel caso dell’accertamento esecutivo. A ogni modo,
in tutti i casi, se il pignoramento non è iniziato entro
un anno, l’agente della riscossione deve notificare un
nuovo precetto ai sensi dell’art.50 d.P.R. n.602/73, con-
Il pignoramento mobiliare nell’esecuzione
esattoriale
Come già accennato, la procedura esattoriale ricalca il modello di quella ordinaria regolata dal cpc.
Questo, innanzitutto, vale per le modalità in cui detta procedura si può articolare: anche la procedura
esattoriale conosce il pignoramento mobiliare, quello presso terzi nonché l’espropriazione immobiliare.
Ossia, le medesime 3 modalità di esecuzione previste dal c.p.c.
Inoltre, sempre in conformità al modello civilistico,
anche la procedura esattoriale si articola nelle tre fasi
del pignoramento, della vendita e del riparto. Il d.P.R.
n.602/73 dedica a queste tre fasi delle regole generali
(artt.49-61), salvo prevedere regole speciali distinte
per ciascun tipo di procedura: pignoramento mobiliare (artt.62-71 e art.86 per i beni mobili registrati); quello presso terzi (artt.72-bis); espropriazione
immobiliare (artt.76-85).
Tale nuovo precetto ha efficacia per 180 giorni, trascorsi inutilmente i
quali occorre procedere ad un’ulteriore notifica.
19
M. De Cristofaro, sub art.50, d.P.R. n.602/73, cit., pag.993.
20
Così l’art.496 c.p.c.: “Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando
il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti
di cui all’articolo precedente, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i
creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento”.
18
In argomento A. Comelli, “L’ampliamento dei poteri di indagine”, in
“La riscossione dei tributi” (a cura di A. Comelli – C. Glendi), Cedam,
2010, pag. 113.
17
In virtù dell’art.491 c.p.c. “l’espropriazione forzata si inizia col pignoramento”.
16
24
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
Volendo concentrare l’attenzione sulla fase del pignoramento e volendo altresì prendere le mosse
da quello mobiliare, si osserva preliminarmente che
la relativa disciplina va ricavata dagli artt.513 e ss.
c.p.c. nonché dalle citate disposizioni generali e da
quelle particolari dettate dal d.P.R. n.602/73 per tale
procedura21.
Il pignoramento mobiliare si compie con l’individuazione dei beni. Non è richiesta alcuna forma solenne
ma solo la redazione di un processo verbale22, una
copia del quale va consegnata al debitore o ad un
suo rappresentante che assiste al pignoramento ovvero notificata nel caso in cui nessuno dei due vi abbia assistito23.
della professione, dell’arte o del mestiere del debitore la custodia è sempre affidata al debitore. Inoltre, sempre in questo caso, il primo incanto non può
aver luogo prima che siano decorsi trecento giorni
dal pignoramento stesso26 ed il pignoramento perde
efficacia quando dalla sua esecuzione siano trascorsi 360 giorni senza che sia stato effettuato il primo
incanto.
Il pignoramento presso terzi
Nel pignoramento presso terzi l’oggetto dell’azione
esecutiva sono i crediti che il debitore esecutato vanta nei confronti di terzi (c.d. debitor debitoris).
Ai sensi del cpc, il pignoramento presso terzi si compie con la citazione davanti al giudice dell’esecuzione27 del debitore e del terzo, affinché quest’ultimo
dichiari di quali cose o di quali somme è debitore o si
trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna28. Tale dichiarazione può essere
fatta anche a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di pec. A esito
della procedura, i beni di cui il terzo si dichiara o è
dichiarato possessore ovvero i crediti di cui si dichiara o è dichiarato debitore sono assegnati o venduti a
soddisfacimento del creditore procedente29.
Anche nell’esecuzione esattoriale il pignoramento
presso terzi si deve compiere con le forme prescritte
dall’art.543 c.p.c.30, ossia mediante atto (con indicazione del credito, del titolo esecutivo e del precetto,
delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al
terzo di non disporne senza ordine di giudice) notificato personalmente al terzo e al debitore (a norma
degli artt.137 c.p.c. e ss.).
Detta procedura, tuttavia, può essere evitata. In luogo della citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice dell’esecuzione, per rendere la
dichiarazione ex art.547 c.p.c., l’atto di pignoramento può infatti contenere l’ordine ad adempiere direttamente all’agente della riscossione.
Ciò è stabilito:
• per l’atto di pignoramento di fitti o pigioni dovute da terzi al debitore iscritto a ruolo o ai co-
Rispetto alla disciplina ordinaria, quella dedicata
all’esecuzione esattoriale presenta una significativa specificità con riferimento ai beni cd. relativamente impignorabili. In forza della modifica
all’art.62, operata dall’art.52, co.1, lett.d), n.1)
D.L. n.69/13, non opera qui la particolare limitazione dettata dall’art.515 c.p.c. con riferimento
al pignoramento degli strumenti, oggetti e libri
indispensabili per l’esercizio della professione,
dell’arte o del mestiere del debitore.
Per effetto della novella, si prevede infatti che detti
beni siano pignorabili nei limiti di un quinto e solamente qualora il presumibile valore di realizzo degli
altri beni rinvenuti dall’ufficiale esattoriale o indicati
dal debitore non appaia sufficiente per la soddisfazione del credito anche nell’ipotesi - in deroga alla regola
civilistica24 - in cui il debitore sia costituito in forma
societaria ed in ogni caso se nelle attività del debitore
risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro.
Per regola generale nel pignoramento mobiliare
esattoriale la custodia dei beni mobili pignorati è
affidata allo stesso debitore o a un terzo. L’agente
non può essere nominato custode ma può, in ogni
tempo, disporre la sostituzione del custode25. Ebbene, rispetto a detta regola, nel pignoramento degli
strumenti, oggetti e libri indispensabili per l’esercizio
F. Odoardi, “Il processo esecutivo tributario”, cit., pag.280.
Torna applicabile l’art.518 c.p.c., ai sensi del quale (co. 1), “L’ufficiale
giudiziario redige delle sue operazioni processo verbale nel quale dà atto
dell’ingiunzione di cui all’art.492 e descrive le cose pignorate, nonché il
loro stato, mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di
ripresa audiovisiva, determinandone approssimativamente il presumibile valore di realizzo con l’assistenza, se ritenuta utile o richiesta dal
creditore, di un esperto stimatore da lui scelto. Se il pignoramento cade
su frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, l’ufficiale giudiziario ne
descrive la natura, la qualità e l’ubicazione”.
23
Articolo 65 d.P.R. n.602/73.
24
Cfr. articolo 515, co.3 c.p.c..
25
Articolo 64 d.P.R. n.602/73.
21
In via generale, invece, l’art.66, co.2 d.P.R. n.602/73 prevede che “Il
primo incanto non può aver luogo prima che siano decorsi dieci giorni dal
pignoramento. Il secondo incanto non può aver luogo nello stesso giorno
stabilito per il primo e deve essere fissato non oltre il decimo giorno dalla
data del primo incanto”.
27
Il giudice competente è quello di residenza del terzo debitore.
28
Ai sensi dell’art.546 c.p.c., dal giorno della notifica, il terzo è tenuto,
relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la
legge impone al custode.
29
Articoli 552-554 c.p.c..
30
Cfr. Circolare n.1/E/07, par. 6.
22
26
25
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
obbligati31;
• per l’atto di pignoramento dei crediti del debitore
verso terzi, ad eccezione dei crediti pensionistici32;
• per il pignoramento dei beni dei quali il terzo si
dichiara o è dichiarato possessore di beni appartenenti al debitore iscritto a ruolo o ai coobbligati33.
Diversi sono i termini concessi al terzo per l’adempimento (rispettivamente 15, 60 e 30 gg.).
• in misura pari ad un decimo per importi (delle
somme dovute a titolo di stipendio ecc.) fino a
2.500 euro;
• in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro ma non superiori a 5.000 euro;
• in misura pari ad un quinto ex art.545 c.p.c. se le
somme dovute superano i 50.000 euro.
Nel caso di accredito delle somme sul conto corrente
intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato
non si estendono all’ultimo emolumento accreditato
allo stesso titolo.
Si tratta, con ogni evidenza, di una grossa semplificazione della procedura esecutiva rispetto al modello ordinario, in quanto, per effetto di tale disciplina, l’agente della riscossione può soddisfare il
credito senza ricorso alcuno all’autorità giudiziale
ma stimolando semplicemente la “collaborazione”
del terzo debitore. Nel caso e solo nel caso d’inottemperanza all’ordine dell’agente, tornano applicabili le disposizioni del c.p.c. e, quindi, la citazione
del terzo intimato e del debitore34. L’inottemperanza all’ordine non prevede comunque sanzioni35.
L’espropriazione immobiliare
Diversamente dalla disciplina del cpc, dove si prevede che il pignoramento immobiliare va eseguito
mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale sono esattamente indicati i beni e i diritti immobiliari che si intendono
sottoporre a esecuzione e viene formulata l’intimazione propria del pignoramento (ex art. 492 c.p.c)38,
nel caso dell’esecuzione esattoriale il pignoramento
immobiliare si compie mediante la sola trascrizione
dell’avviso di vendita da parte dell’agente della riscossione, senza bisogno di alcun vaglio/autorizzazione giudiziale.
Detto avviso deve contenere le generalità del soggetto nei confronti del quale si procede; la descrizione
degli immobili pignorati; il giorno, l’ora e il luogo del
primo, del secondo e del terzo incanto; l’importo complessivo del credito per cui si procede, il prezzo base
dell’incanto; altre indicazioni correlate alla vendita
dei beni pignorati nonché l’ingiunzione ad astenersi
da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del
credito i beni assoggettati all’espropriazione e i frutti
di essi. Solo a seguito della trascrizione, nei 5 giorni
successivi, l’avviso di vendita va notificato al soggetto
nei confronti del quale si procede. In mancanza della
notificazione non può procedersi alla vendita39.
Proprio in ragione del particolare potere qui riconosciuto all’agente della riscossione, sono stati introdotti di recente importanti limiti all’esperimento
dell’espropriazione immobiliare.
A seguito dell’art.52, co. 1, lett. g) D.L. n.69/13, l’espropriazione immobiliare è consentita all’agente
della riscossione solo se non si tratta dell’unico immobile di proprietà del debitore adibito a uso abitativo e in cui lo stesso vi risiede anagraficamente.
Tale esclusione non vale per le abitazioni di lusso
aventi le caratteristiche individuate dal decreto del
Un’ulteriore peculiarità della disciplina dedicata
all’esecuzione esattoriale attiene al pignoramento
dei crediti, dove, in parziale deroga all’art.545 c.p.c.,
sono stati introdotti limiti specifici per l’esecuzione
esattoriale. Per effetto di tali limiti ulteriori, la procedura esattoriale si mostra meno aggressiva di quella
ordinaria.
A fronte del generale ed unico limite del quinto dettato dalla disciplina codicistica36, la disciplina fiscale
si mostra assai più articolata. Si prevede infatti che
le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o
di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di
impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall’agente della
riscossione37:
Articolo 72 d.P.R. n.602/73.
Articolo 72-bis d.P.R. n.602/73.
33
Articolo 73 d.P.R. n.602/73.
34
La facoltà di scelta del concessionario tra le modalità di esecuzione
forzata presso terzi non crea né una lesione del diritto di difesa dell’opponente né una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati,
sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto rispetto
all’utilizzo dell’una o dell’altra modalità e possono in ogni caso proporre
le opposizioni all’esecuzione o agli atti esecutivi di cui all’art.57 d.P.R.
n.602/73, sia perché non sussiste “un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali” (Corte Costituzionale, ordinanze n.393/08; n.67/07 e n.101/06).
35
Differente è invece il caso di cui all’art.75-bis d.P.R. n.602/73 della
dichiarazione stragiudiziale che l’agente della riscossione può richiedere
ai terzi per iscritto in merito alle cose o somme dovute al soggetto esecutato, per cui è prevista la sanzione di cui all’art.10 D.Lgs. n.471/97.
36
Ai sensi dell’art.545, co 4, “Tali somme [somme dovute dai privati a
titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di
lavoro o di impiego] possono essere pignorate nella misura di un quinto
per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito”.
37
Articolo 72-ter d.P.R. n.602/73.
31
32
Articolo 555 c.p.c..
Articolo 78 d.P.R. n.602/73; cfr. Nota Equitalia 1° luglio 2013.
38
39
26
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
RISCOSSIONE
Ministro per i Lavori Pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.218 del 27 agosto
1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/940.
Nei casi in cui l’espropriazione immobiliare è consentita, si può procedere solamente se l’importo complessivo del credito supera i 120.000 euro. In ogni
caso, è stabilita altresì una peculiare condizione di
procedibilità: occorre, infatti, la previa iscrizione di
ipoteca e il decorso di almeno sei mesi dall’iscrizione
senza che il debito sia stato estinto.
che la strategia vincente nel contrato all’evasione da riscossione non è (più) il potenziamento degli strumenti
esecutivi, che possono al più fungere da deterrente,
quanto il rafforzamento della rateazione del debito.
Potenziando la rateazione e quindi facilitando il debitore a pagare spontaneamente (a rate) il proprio
debito si rende infatti possibile conseguire l’adempimento del debito attraverso una strategia efficiente ed efficace, dove sia il creditore (Equitalia) sia il
contribuente escono vincitori (c.d. strategia cooperativa): il primo ottiene il pagamento del credito
(in tempi più lunghi compensati dagli interessi), e il
secondo conserva i propri beni ovvero la sua attività, che altrimenti potrebbero restare compromessi
dall’esecuzione coattiva.
Non è allora un caso che nel momento stesso41 in cui
sono stati introdotti temperamenti significativi agli
strumenti classici di aggressione al patrimonio, tipici
dell’esecuzione esattoriale, è stata modificata in senso migliorativo la disciplina della rateazione dei ruoli
di cui all’art.19 d.P.R. n.602/73 (innalzamento della
mora ad 8 rate; introduzione della rateazione a 120
rate etc.), con l’obiettivo evidente di facilitarne e incentivarne il ricorso da parte dei debitori.
Anche in questo caso, la modifica alla disciplina
dell’esecuzione esattoriale appare diretta a temperarne l’incisività, con l’effetto però di renderla
palesemente meno efficace rispetto al corrispondente modello codicistico. Ma in effetti, come
pure per la modifica al pignoramento presso terzi, anche qui la ratio ispiratrice è stata quella di
offrire un volto meno aggressivo all’azione dell’agente della riscossione (Equitalia).
In realtà, alla base vi è anche l’acquisita consapevolezza
È, inoltre, prevista l’esclusione per l’espropriazione di uno specifico
paniere di beni definiti “beni essenziali”, individuato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze d’intesa con l’Agenzia delle Entrate
e con l’Istituto nazionale di statistica.
40
Con il D.L. n.69/13 (Decreto del Fare).
41
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
L’accertamento con adesione: lineamenti generali
e un caso pratico
di Mario Agostinelli - consulente del lavoro
L’accertamento con adesione, disciplinato dagli articoli 5 e 6 D.Lgs. n.218/97, costituisce lo strumento di
massa per la definizione della pretesa tributaria derivante da un atto impositivo o di quella potenziale
indicata in un processo verbale di costatazione. Il corretto utilizzo di tale strumento di gestione nella fase
amministrativa dell’accertamento implica un’attenta valutazione delle norme che disciplinano il particolare
strumento deflattivo, l’incrocio applicativo dello stesso con gli altri strumenti di definizione e, non ultimo
un’attenta valutazione, anche economico finanziaria, derivante dal perfezionamento dell’adesione.
Con il presente intervento si esamina la disciplina dell’istituto del concordato, fornendo un esempio di
natura pratica, utile a un efficace approccio allo strumento dell’accertamento con adesione.
L’accertamento con adesione rappresenta la forma
principe degli strumenti di deflazione del contenzioso
tributario, regolati dal D.Lgs. n.218/97 e dall’art.17-bis
D.Lgs. n.546/92, quanto alla mediazione tributaria.
L’intera famiglia di tali strumenti può essere differenziata in due tipologie:
• procedure basate sul contraddittorio tra Amministrazione e contribuente, dall’esito variabile;
• procedure basate sulla adesione integrale alla pretesa dell’Amministrazione, dall’esito già predefinito.
Sempre dal punto di vista dell’inquadramento generale, va anche richiamato che:
• le definizioni che intervengono senza il preventivo
contraddittorio consentono la riduzione delle sanzioni a 1/6, mentre quando entra in gioco il confronto la riduzione delle sanzioni è limitata a 1/3;
• i vari istituti disciplinati dal D.Lgs. n.218/97 si applicano secondo precise e ordinate sequenze che
escludono la possibilità per il contribuente di poter accedere due volte alla definizione, mediante il ricorso a differenti strumenti deflattivi, con
riferimento alla medesima attività di controllo e
verifica; così, per esempio, se l’atto di accertamento è successivo a un invito dell’ufficio al contradditorio (ex art.5 D.Lgs. n.218/97), lo stesso
non potrà essere suscettibile di un accertamento
con adesione su iniziativa del contribuente (art.6
co.2 D.Lgs. n.218/97).
L’accertamento con adesione rappresenta, probabilmente, uno strumento di definizione di massa,
in quanto determina (quasi sempre) una riduzione
della pretesa, la riduzione delle sanzioni rispetto
alla misura edittale, la possibilità di accedere a un
pagamento rateale senza l’onere della prestazione di
alcuna garanzia e, non ultimo, un’estensione dei ter-
mini per l’eventuale proposizione del ricorso in CTP.
Prima di procedere a un’analisi normativa e pratica
di tale principale strumento deflattivo, si propongono delle considerazioni preliminari e una riflessione sulla natura dello stesso, riflessione che risulterà
utile per un corretto approccio al contraddittorio
deflattivo.
Dal punto di vista della stima dei rischi, lo strumento
in analisi consente di sostituire una vicenda dall’esito variabile in termini di risultati e di costo (contenzioso) con una dall’esito certo e valutabile (dopo la
procedura di confronto con l’Agenzia), posto che non
sussiste alcun obbligo o impegno di giungere alla
conclusione positiva della procedura.
Da tale riflessione emerge però una cautela da raccomandare: l’atto di accertamento con adesione non
ha natura negoziale o transattiva, non potendo l’amministrazione negoziare la pretesa tributaria, bensì
quella di atto unilaterale, espressione dell’esercizio
potestativo impositivo dell’Amministrazione finanziaria (non ci si attenda, dunque, una valutazione di
tipo economico da parte dell’Agenzia; si potrà invece
giungere a una correzione della pretesa - ove errata - o a una moderazione della medesima, ove non
pienamente sostenibile in modo certo). Ciò deve
guidare il professionista nello svolgimento del contraddittorio, avendo cura di lasciare traccia di tutti gli
elementi che, se non correttamente valutati dall’ufficio, possano condurre a un difetto di motivazione
della pretesa; i riscontri pratici sono numerosi, per
il solo fatto che la gestione del contraddittorio è affidata al medesimo ufficio che ha avanzato la pretesa
o iniziato un controllo.
28
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Ambito applicativo
ale), entro il 15° giorno antecedente la data fissata
per la comparizione. In tal caso le sanzioni sono ridotte a 1/6.
Tuttavia, nel caso in cui si ritenga non corretta la
pretesa (raccomandando di valutare la convenienza
all’attivazione del confronto, piuttosto che alla definizione subitanea, ponendo a confronto il totale
esborso da effettuare nelle due ipotesi, per effetto
del raddoppio della misura delle sanzioni), il contribuente potrebbe decidere di non attivare alcun incontro e, ove fosse emesso il successivo atto di accertamento, non si potrà più attivare la procedura di
adesione.
Diversamente, l’iniziativa può provenire dal contribuente, quando nei suoi confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche, ovvero nei cui
confronti sia stato notificato avviso di accertamento
o di rettifica, non preceduto dall’invito.
Tale iniziativa da parte del contribuente, nel caso di
mancanza di avviso di accertamento (quindi sul pvc),
potrebbe essere finalizzata a evitare che l’atto successivamente emesso possa costituire presupposto
di comunicazione di notizia di reato per una delle casistiche menzionate dal D.Lgs. n.74/00; in tal senso,
il confronto preventivo avrebbe la finalità di ridurre
l’originaria pretesa, portandola al di sotto delle soglie rilevanti.
Nel caso di notifica dell’atto di accertamento, il contribuente potrà formulare l’istanza di adesione (direttamente con consegna all’ufficio o con raccomandata
spedita) entro il termine di impugnazione dell’atto
impositivo, ai sensi del co.2 dell’art.6 D.Lgs. n.218/97.
Poiché la norma fa esatto riferimento al termine per
la presentazione del ricorso, nel calcolo dello stesso si
dovrà tenere conto anche del periodo di sospensione
feriale (a decorrere dal 2015 dal 6 agosto al 31 agosto
D.L. n.132/14 – fino all’anno 2014 dal 1° agosto al 15
settembre).
L’accertamento con adesione è applicabile sia al
comparto delle imposte dirette (tutte) e dell’Iva che
al comparto delle altre imposte indirette; per ragioni
di economicità, si soffermerà l’attenzione sul primo
comparto, con possibilità di estendere le conclusioni
anche all’altro.
Non sussistono, nemmeno differenziazioni in ragione del tipo di reddito prodotto o del tipo di accertamento o controllo esperito; tuttavia, la potenza
massima dell’istituto si sprigiona in controversie di
carattere valutativo o estimativo, in relazione alle
quali si possano trovare aree di coincidenza mediata
della visioni delle parti.
La definizione di un maggiore reddito imponibile di
impresa o di lavoro autonomo produrrà effetti anche
ai fini contributivi; al riguardo, l’art.2 D.Lgs. n.218/97
prevede che su tali somme non si applichino sanzioni e interessi.
Sono espressamente esclusi dalla materia, invece,
gli avvisi di liquidazione delle imposte, gli avvisi di
liquidazione delle dichiarazioni e gli atti espressivi di
sole sanzioni; per queste tipologie di atti sono previsti specifici strumenti di definizione agevolata.
La procedura
La procedura dell’accertamento con adesione si distingue in tre fasi: l’attivazione, il contraddittorio ed
il perfezionamento.
In merito alla attivazione, due sono le possibili
casistiche:
• l’adesione con invito espresso dall’ufficio
(art.5 D.Lgs. n.218/97);
• l’adesione su istanza del contribuente (art.6
D.Lgs. n.218/97).
È evidente che le diverse modalità di attivazione
operano in zone diverse della procedura di accertamento e in particolare: l’invito dell’ufficio è sempre
precedente l’emissione di un atto di accertamento,
mentre l’istanza del contribuente interviene, quasi
sempre, dopo la ricezione della notifica di un atto di
accertamento.
Quando l’accertamento con adesione è attivato
dall’ufficio, il contribuente può fruire dell’ulteriore
istituto deflattivo dell’adesione integrale disciplinato
dal co.1-bis e seguenti dell’art.5 D.Lgs. n.218/97.
La norma prevede che il contribuente possa prestare adesione integrale, mediante comunicazione al
competente ufficio e versamento delle somme dovute (o della prima rata in caso di pagamento rate-
Ai sensi del co.3 dell’art.6 D.Lgs. n.218/97, a seguito della corretta proposizione dell’istanza di
adesione formulata dal contribuente si determina l’effetto della sospensione dei termini per la
proposizione del ricorso e per il pagamento delle
imposte (art.29 D.L. n.78/10).
Tale sospensione è automatica e opera a prescindere
dall’esito della procedura del concordato ed è insensibile alle diverse dinamiche che interessano la stessa.
Pertanto, il contribuente, mediante la presentazione dell’istanza di adesione formulata a seguito della ricezione di un atto di accertamento, potrà fruire
29
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
del termine di 150 giorni (60 il termine ordinario a
cui vanno aggiunti 90 giorni della sospensione di cui
all’art.6 D.Lgs. n.218/97) per la proposizione del ricorso, termine di 150 giorni che si estende a 195 (fino
all’anno 2014) ovvero a 175 (a decorrere dall’anno
2015 – D.L. n.132/14) nel caso in cui lo stesso si incroci con la sospensione feriale.
Come chiarito dall’Amministrazione (Risoluzione
Data notifica atto di accertamento
n.159/E/99), la sospensione feriale di 45 giorni
opera sia nel caso in cui il termine iniziale o il termine finale dei 90 giorni cadono nel periodo feriale,
sia quando il periodo feriale sia contenuto nei 90
giorni.
Esempi di calcolo del termine con e senza la
proposizione della sospensione
Scadenza ordinaria 60 giorni
Scadenza con istanza di adesione
30 giugno 2014
14 ottobre 2014 (31 giorni mese di luglio, 13 gennaio 2015 (al termine ordinario
15 giorni mese di settembre, 14 giorni del si aggiungono 90 giorni)
mese di ottobre = 60 giorni)
31 marzo 2014
14 ottobre 2014 (al termine ordinario
si aggiungono 90 giorni oltre i 45 giorni
della sospensione feriale)
30 maggio 2014
Il contraddittorio
zio tributario quale elemento di convincimento
per l’addebito delle spese giudiziale e di assistenza legale per l’ipotesi di soccombenza dell’Amministrazione finanziaria. Inoltre, nel caso di contraddittorio su pvc, lo stesso ragionamento va
svolto per contrastare una eventuale motivazione carente del contrasto alle allegazioni del contribuente, analogamente a quanto accade per le
memorie difensive.
Si tenga conto che l’accertamento con adesione non
è strumento mediante il quale si determina la corretta pretesa tributaria; pertanto, non ci si attenda
una accurata considerazione di eventuali censure di
legittimità della pretesa, quanto piuttosto si tenti di
ottenere il riconoscimento di errori di calcolo, di valutazione dei fatti o di eccesso nella applicazione di
percentuali di ricarico etc..
Nella tabella che segue si indicano le ipotesi di esito
derivanti dal contraddittorio:
Fase essenziale della procedura con adesione è il
contradditorio tra le parti, fase nell’ambito della
quale il contribuente potrà fornire le proprie argomentazioni, informazioni e prove idonee a giustificare l’inesattezza della pretesa tributaria, sia essa
contenuta nell’atto impositivo già notificato ovvero
semplicemente indicata negli atti e documenti della
procedura di controllo (pvc).
Il contraddittorio richiede una impegnata partecipazione per le seguenti immediate conseguenze:
• è questa la fase nelle quale l’ufficio matura il convincimento della corretta misura della pretesa
tributaria;
• ragionate argomentazioni si correlano al beneficio della riduzione a 1/3 delle sanzioni;
• il mancato riscontro delle chiare e documentate
argomentazioni difensive del contribuente potrà
essere utilmente impiegato nel successivo giudiPossibile esito
Commento
Adesione
Contribuente e ufficio concordano nella rideterminazione della pretesa tributaria e procedono per il
perfezionamento della procedura
Contribuente e ufficio non concordano nella rideterminazione della pretesa tributaria e l’adesione non
Mancata adesione si perfeziona; nel caso di attivazione su proposta dell’ufficio, questi emetterà un atto di accertamento al
quale non è possibile applicare l’istituto dell’accertamento con adesione su proposta del contribuente
Archiviazione
L’ufficio, riscontrando le argomentazioni del contribuente, archivia l’atto di accertamento piuttosto
che la verifica avviata, per totale erroneità dei presupposti sulla base dei quali gli stessi sono radicati
(l’archiviazione produce gli stessi effetti di un provvedimento in autotutela)
Il perfezionamento e gli effetti
a) predisposizione e sottoscrizione dell’atto di adesione;
b) pagamento da parte del contribuente del quanto
dovuto o della prima rata in caso di rateazione;
Gli articoli 7, 8 e 9 del D.Lgs. n.218/97 disciplinano il
perfezionamento della procedura di adesione, articolata nelle seguenti fasi:
30
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
c) esibizione e consegna della ricevuta di pagamento e ritiro della copia dell’atto di adesione.
Si segnala che il perfezionamento dell’atto interviene unicamente con il pagamento di quanto dovuto
o della prima rata in caso di pagamento rateizzato,
risultando, quindi, le successive fasi, di cui alla precedente lettera c), delle mere formalità affatto incidenti sulla validità dell’atto.
Il pagamento perfezionante deve avvenire entro
il termine perentorio di 20 giorni dalla redazione
dell’atto di adesione e deve avere a oggetto o l’intero
importo indicato nell’atto stesso ovvero la prima rata
in caso di pagamento rateale1.
Il pagamento rateale potrà avvenire senza prestazione di alcuna garanzia con le seguenti modalità:
• importo complessivamente dovuto non superiore 51.645,69 euro: 8 rate trimestrali;
• importo complessivamente dovuto superiore a
51.634,69 euro: 12 rate trimestrali.
Va fatta attenzione al co.3-bis dell’art.8, il quale
disciplina in modo specifico le conseguenze del
mancato pagamento di rate successive alla prima
(in tal ultimo caso, infatti, l’adesione non si perfeziona). Se il versamento non avviene entro il termine di scadenza della successiva rata (trimestrale):
• si decade dal beneficio del termine;
• l’ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle
residue somme dovute e della sanzione di cui
all’art.13 D.Lgs. n.471/97 applicata in misura
doppia (cioè 60%) sul residuo importo dovuto
a titolo di tributo.
Pertanto, una volta deciso di aderire, sarà opportuno
procurarsi la provvista necessaria per adempiere, al
fine di non incorrere nel rischio di vedere vanificati i
benefici dell’adesione per effetto dalla sanzione maggiorata applicabile sul residuo (se non si chiarisce in
modo adeguato tale circostanza con il proprio cliente
si rischia di avere fornito una consulenza incompleta).
Il ritardo massimo tollerabile è di 3 mesi e, tra l’altro,
in tali casi è possibile beneficiare (e, si crede, non si
tratti di un obbligo) dell’istituto del ravvedimento
operoso, rapportando la sanzione da ridurre alla misura canonica del 30% e non a quella raddoppiata.
L’Agenzia raccomanda (anche se la norma non lo prevede) la consegna della ricevuta di tale versamento in
ravvedimento entro il termine di 10 giorni dalla sua
effettuazione, al fine di evitare la procedura di iscrizione a ruolo con la connessa emissione di una cartella
esattoriale che dovrebbe poi essere annuallata.
Conclusa correttamente la procedura, l’atto di accertamento, eventualmente già notificato, perde completamente efficacia; infatti, l’atto di adesione è definitivo per entrambe le parti, non è modificabile e, a
eccezione di alcuni casi specifici, non consente l’ulteriore accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Infatti, opera la relativa inibizione dell’ulteriore accertamento, fatte salve le ipotesi di cui all’art.2, co.4
D.Lgs. n.218/72.
Si segnala che la giurisprudenza e l’Amministrazione ritengono non rilevante il lieve ritardo, rispetto al termine di 20 giorni, nel pagamento
del quanto dovuto o della prima rata in caso di rateazione, attribuendo
prioritaria importanza alla conservazione della definizione funzionale
ad evitare l’incertezza e il costo di un lungo contenzioso (si veda Cass.
n.6905/11). Con Circolare n.65/E/01 l’Agenzia delle Entrate ha precisato
che in presenza di anomalie di minore entità (ad esempio, lieve carenza e tardività dei versamenti eseguiti, ovvero tardività nella prestazione
della garanzia), nonché in presenza di valide giustificazioni offerte dal
contribuente nei casi di più marcata gravità come sopra richiamati, l’ufficio può valutare il permanere o meno del concreto ed attuale interesse
pubblico al perfezionamento dell’adesione e quindi alla produzione degli
effetti giuridici dell’atto sottoscritto.
Tale valutazione, fondata sul principio di conservazione degli atti amministrativi, deve essere esercitata su elementi di riscontro oggettivi e
avendo preminente riguardo ai termini di decadenza dell’azione accertatrice, in relazione ai tempi tecnici occorrenti alle attività da porre in
essere per l’eventuale perfezionamento dell’adesione. A titolo esemplificativo, si precisa che non è ravvisabile l’interesse pubblico al perfezionamento dell’adesione qualora:
- l’accertamento già notificato, oggetto di procedimento di adesione a
seguito di istanza del contribuente, sia ormai divenuto definitivo per avvenuto decorso dei termini d’impugnativa, ovvero sia stato impugnato
dal contribuente, con conseguente rinuncia all’istanza di accertamento
con adesione ai sensi dell’ art.6, co.4 D.Lgs. n.218/97 e, conseguentemente, all’intero iter procedimentale dell’adesione;
- sia sopravvenuta la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare maggiori imponibili ovvero maggiori imposte rispetto a quelli
determinati nell’atto di adesione sottoscritto a seguito di procedimento attivato ai sensi dell’art.5 ovvero dell’art.6, co.1 dello stesso D.Lgs. n.218/97.
Sussiste invece l’interesse dell’ufficio:
- nel caso di accertamento notificato e non impugnato dal contribuente,
per il quale al momento del riscontro residuano i termini d’impugnativa,
al fine di evitare un prevedibile procedimento di contenzioso in relazione a un avviso di accertamento i cui elementi costitutivi sono già stati
oggetto di diversa valutazione da parte dello stesso Ufficio in sede di
atto di adesione;
- nel caso di procedimento di adesione innescato su iniziativa dell’ufficio,
ai sensi dell’art.5 ovvero dell’art.6, co.1 D.Lgs. n.218/97, al fine di evitare
dispersione di attività amministrativa e aggravio del generale procedimento di accertamento: l’ufficio dovrebbe infatti procedere alla notifica
di un avviso di accertamento coerente con le determinazioni assunte in
sede di sottoscrizione dell’atto di adesione e quindi con esiti contabili
sostanzialmente invariati rispetto a quelli già oggetto di adesione, con
l’unica conseguenza, pregiudizievole per l’Erario, della relativa riscossione posticipata nel tempo.
1
Il comma 4 dell’art.2 D.Lgs. n.218/97 prevede che: la definizione non
esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’art.43 del d.P.R. n.600/73 relativo all’accertamento delle imposte
sui redditi, e dall’ art.57 del d.P.R. n.633/72, riguardante l’imposta sul
valore aggiunto:
a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del
reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire;
b) se la definizione riguarda accertamenti parziali;
c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle
società o nelle associazioni indicate nell’art.5 Tuir, approvato con d.P.R.
n.917/86, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria;
d) se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa
il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione.
2
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Un esempio pratico alla ricerca del limite di
convenienza
L’atto di accertamento è notificato in data 31 marzo
2014.
Il contribuente, ricevuto l’atto di accertamento, avrà
interesse ad avviare la procedura per ottenere i benefici già sopra rammentati; l’istanza deve essere
presentata entro il termine di proposizione del ricorso, quindi entro il 30 maggio 2014.
Nell’ambito del contraddittorio, l’incidenza di convincimento delle argomentazioni proposte dall’ufficio è inversamente proporzionale alla riduzione di
quanto dovuto dal contribuente.
Ai fini di una corretta valutazione di convenienza e
decisoria del contribuente, questi deve, dapprima,
ben valutare la ricostruzione di maggiori ricavi e imposte fornita dall’ufficio e la possibilità di contrasto
in sede giudiziale.
Per il contribuente, il massimo risultato ottenibile sarebbe la riduzione della pretesa tributaria, calcolata
su di un imponibile rideterminato in sede di contraddittorio in 20.000 euro.
Così facendo potrà fruire della riduzione delle sanzioni a 1/3, di una buona rateazione, e non ultimo,
potrà evitare un incerto contenzioso giudiziario.
Tuttavia per il contribuente possono essere interessanti anche risultati intermedi.
Per valutare la convenienza dell’accoglimento della
definizione si deve tenere presente dell’effetto della riduzione delle sanzioni a 1/3 ottenibile in caso di
perfezionamento della procedura.
Se il contribuente si attende, con un certo margine
di certezza, che in giudizio potrebbe ottenere la riduzione dell’imponibile accertamento da 50.000
euro a 20.000 euro, il punto di equilibrio patrimoniale dell’adesione è determinato in una riduzione a
27.291 euro.
Si vedano i seguenti due prospetti:
Ricordato quanto sopra, si ipotizzi che un contribuente riceva la notifica di un atto di accertamento
da cui derivi la seguente pretesa:
Imposte sul reddito
e relative addizionali:
10.000 euro
Irap
2.500 euro
Iva
11.000 euro
Contributi previdenziali e assistenziali
11.645 euro
L’atto di accertamento è fondato su una ricostruzione analitico induttiva dei maggiori ricavi dell’impresa
e le sanzioni sono state irrogate nella misura edittale
del 100%; complessivamente, risulta dovuto un importo di 58.645 euro.
Le sanzioni sono irrogate nella misura del 100% delle imposte accertate ai sensi del co.2 dell’art.1 del
D.Lgs. n.471/97, e a dire in 23.500 euro (si trascura,
per comodità, il comparto contributivo).
L’atto impositivo esprime quindi un totale dovuto
pari ad 58.645 euro.
Il contribuente ha valutato la pretesa nei seguenti
termini:
• manifestamente infondata con riferimento alla
ricostruzione dei maggiori ricavi fino a concorrenza di 30.000 euro (importo che, con alta
probabilità, potrà essere il valore di riduzione
dell’imponibile ottenibile in giudizio);
• per la restante parte, pari a 20.000 euro, il contribuente ritiene incerta la valutazione esercitabile
in giudizio (incerta possibilità di riduzione = valore del probabile esito giudiziale).
1. Ipotesi di determinazione del quanto dovuto in sede giudiziale in ragione delle attese ragionevoli formulate
dal contribuente (riduzione dell’imponibile a 27.291 euro):
Maggiore imponibile
Titolo della pretesa
20.000,00
Aliquote
Pretese
Sanzioni piene
Irpef
20%
4.000,00
4.000,00
Irap
5%
1.000,00
1.000,00
Iva
22%
4.400,00
4.400,00
23,29%
4.658,00
-
14.058,00
9.400,00
Contributi Inps
Totale dovuto
32
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
23.458,00
ISTITUTI DEFLATTIVI
2. Ipotesi di adesione con riduzione dell’imponibile a 27.291 euro.
Maggiore imponibile
27.291,00
Titolo della pretesa
Aliquote
Pretese
Sanzioni piene
Irpef
20%
5.458,20
1.819,40
Irap
5%
1.364,55
454,85
Iva
22%
6.004,02
2.001,34
23,29%
6.356,07
-
19.182,84
4.275,59
Contributi Inps
Totale dovuto
23.458,43
Per quanto sopra il contribuente avrà tutto il vantaggio ad accettare la definizione anche se espressiva di una
riduzione dell’imponibile in misura inferiore a quanto lo stesso ritenga sia giusto.
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33
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Transazione fiscale, il punto sull’operatività
di Claudio Ceradini - dottore commercialista e revisore legale
La transazione fiscale è istituto introdotto nel 2006 e successivamente modificato in più occasioni.
È nato nel quadro della complessiva riforma della Legge Fallimentare, ispirata al risanamento e
al potenziamento di strumenti che lo favorissero. Modifiche normative, giurisprudenza ondivaga e
contrastata tra legittimità e merito, oltre che indicazioni non sempre adeguate di operatività agli uffici
locali, sia fiscali che previdenziali, ne hanno nel tempo limitato molto l’utilizzo.
debito, ex art.182-bis L.F.. Egli può richiedere all’Amministrazione finanziaria e agli Enti previdenziali di
beneficiare della falcidia del loro credito, nel quadro
dei citati strumenti di composizione della crisi, seppur tra loro così diversi, e in coerenza con le regole
che li governano. La richiesta può essere formulata
con riferimento a tutti i tributi amministrati dalle
Agenzie fiscali, anche non iscritti a ruolo, con l’eccezione, che avremo tra poco modo di commentare, di
tutti i tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione Europea.
A quasi dieci anni dalla introduzione dell’istituto della transazione fiscale, per effetto del D.Lgs. n.5/06,
è opportuno valutare quali siano i risultati ottenuti, per una norma che è stata ispirata dalla necessità di provvedere a un procedimento eventuale, di
supporto a quello principale, destinato alla gestione
delle posizioni erariali, originariamente nell’ambito
dei soli piani concordatari, e poi estesa anche agli
accordi di ristrutturazione. La riforma trae spunto
nel 2005 dalla constatazione che la struttura degli
strumenti concorsuali disponibili appare ormai inadeguata, perché orientata alla sola liquidazione del
patrimonio del debitore, e non al risanamento. La
stessa relazione al D.Lgs. n.5/06 osservava come la
legislazione di molti dei paesi europei si fosse da
tempo evoluta, nella comune tendenza volta a considerare le procedure concorsuali non più in termini
meramente liquidatori, ma piuttosto strumentali alla
conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa,
assicurandone o solo favorendone la sopravvivenza,
nel presupposto che meglio della liquidazione potesse offrire alla collettività, e in primo luogo ai creditori stessi, una più consistente garanzia patrimoniale e
una migliore soddisfazione, in termini generali.
Come ogni strumento nuovo, aveva bisogno di collaudo e maturazione nell’operatività di professionisti
e imprese e, in effetti, dalla introduzione a oggi passi ne sono stati compiuti, numerosi e non tutti nello
stesso senso.
Il risultato, per motivi diversi, non è soddisfacente,
l’utilizzo dell’istituto è minimo ed improduttivo, carente rispetto alle aspettative. Diventa quindi importante comprenderne i motivi, e con essi la reale
operatività.
Principio generale della proposta di transazione
(art. 182-ter, co.1 L.F.) è che i crediti tributari e
contributivi privilegiati non possono essere assoggettati a un trattamento deteriore rispetto a quello proposto ad altri crediti assistiti da privilegi di
grado inferiore o caratterizzati da omogeneo interesse economico in caso di suddivisione in classi,
mentre i crediti chirografari non possono essere
apoditticamente sottoposti a falcidia diversa e più
penalizzante rispetto agli altri creditori.
La norma viene introdotta per effetto dell’art.146,
co.1 D.Lgs. n.5/06, con effetto dal 16 luglio 2006,
nell’ambito della più ampia e radicale riformulazione
del diritto fallimentare. È norma tributaria, di fatto,
di cui la relazione accompagnatoria espone le finalità precisando come l’istituto costituisse la naturale
integrazione della disciplina, dopo l’apertura normativa a una struttura del piano concordatario di cui
all’art.160 L.F., così come sostituito dal D.L. n.30/05 e
convertito nella L. n.80/05, contenente una proposta
di soddisfazione anche parziale dei crediti privilegiati, pur nel limite della capienza cauzionale del valore
di liquidazione dei beni e dei diritti su cui sussiste la
prelazione1. La ratio pare quindi animata dalle migliori intenzioni, e si colloca in un quadro di misure
orientate a potenziare l’efficacia degli strumenti di
composizione della crisi aziendale.
Lineamenti dell’istituto e riferimenti principali
La transazione fiscale è strumento riservato al debitore che acceda alla procedura di concordato
preventivo di cui agli artt.160 e ss. L.F. o richieda
l’omologazione di un accordo di ristrutturazione del
Cfr relazione di accompagnamento al D.Lgs. n.5/06.
1
34
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Dall’introduzione, si sono succedute una serie di modifiche che è opportuno pedissequamente elencare
e ricordare, non fosse altro che per evidenziare il
nemmeno tanto lento declino delle succitate migliori intenzioni:
a) D.Lgs. n.169/07: l’istituto viene espressamente
sdoganato anche negli accordi di ristrutturazione del debito, nei i quali originariamente non era
chiaro potesse essere adottato;
b) D.L. n.185/08 (L. n.28/09): l’utilizzo della transazione è esteso anche ai debiti di carattere previdenziale, per i quali prima era precluso, e nel
contempo si prevede esplicitamente la possibilità di includere nella istanza di transazione fiscale
unicamente la proposta di dilazione del debito
per Iva, e non la sua falcidia. La relazione tecnica
molto, troppo, semplicemente:
෮෮ riferisce il nuovo limite al contenuto del piano
concordatario ex art.160 L.F., quando invece
si riferisce alla sola transazione fiscale, e
෮෮ lo giustifica con il divieto di provenienza comunitaria, che in realtà si riferisce a tutt’altro;
la Direttiva comunitaria, ammette la stessa relazione, vieta infatti allo Stato membro di disporre
una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e
verifica, fattispecie decisamente diversa;
c) Decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 4 agosto 2009, con cui sono
state fornite le condizioni di operatività della transazione con riferimento ai crediti previdenziali;
d) D.L. n.78/10 (L. n.122/10): previsione anche per
le ritenute fiscali della sola possibilità di dilazione,
al pari dell’Iva. In realtà, ma ai nostri fini meno rilevante, viene introdotto il reato di transazione in
frode al fisco e la possibilità di revoca per inadempimento negli accordi di ristrutturazione e
e) D.L. n.98/11 (L. n.111/11), il cui art.23, co.37,
provvede a modificare il regime dei privilegi che
assistono il credito tributario, ampliandolo a interessi e sanzioni2 con riferimento, retroattivo, a
tutti i debiti sorti prima del 6 luglio 2011.
stiti dalle Agenzie fiscali, che la Direzione Regionale
Sicilia con propria pubblicazione3 dettaglia in Ires,
Irpef, accise, imposta di bollo, registro, ipotecarie e
catastali, Irap, più ovviamente per i nostalgici Irpeg
e Ilor. Rimangono quindi escluse, oltre all’Iva e alle
ritenute per espressa disposizione legislativa, anche
i tributi cosiddetti locali, comunali provinciali e regionali quali Ici, Imu, Tosap, Cosap, Tia, Tari, Tasi e
tutte le sigle che si sono succedute nella loro anche
recente riforma.
La sintesi non è confortante. A chi abbia esperienza nei cosiddetti turnover plans non sfugge come
il debito eventualmente accumulato verso lo Stato
dall’azienda in crisi sia normalmente composto da
Iva, ritenute e contributi previdenziali, in misura
straordinariamente superiore rispetto a eventuali
Ires od Irap non versati, per non parlare delle accise o dei tributi locali. È piuttosto evidente quindi
che lo strumento non appare, sotto questo profilo, particolarmente attraente, escludendo apoditticamente proprio quella categoria di tributi che
richiederebbe, invece, più attenzione.
Dal punto di vista delle valutazioni di merito4, va
detto che l’orientamento espresso nella Circolare
n.40/E/08 appare invece in sintonia con lo spirito e
con le esigenze dei piani di risanamento, ed equilibrato rispetto sia alle esigenze di tutela dell’interesse erariale5 che anche delle indicazioni comunitarie.
In sintesi:
a) verifica di correttezza formale e documentale,
doverosa;
b) convenienza rispetto all’ipotesi alternativa di
liquidazione, presumibilmente fallimentare,
avendo in considerazione anche gli emergenti
costi amministrativi di recupero;
c) analisi del complesso degli interessi coinvolti nel
piano di turnaround, e che il risanamento tutela,
quali i livelli occupazionali e il vantaggio complessivo del ceto creditorio;
d) valutazione delle conseguenze dell’eventuale
diniego, nel complessivo quadro della proposta
concordataria o dell’accordo di ristrutturazione,
che non potrà che condurre alla espressione di
Tipologia di tributi transabili
La successione degli interventi manifesta una progressiva riduzione delle reali opzioni di utilizzo dell’istituto, con riferimento soprattutto alla tipologia e
natura dei tributi. La Circolare n.40/E/08 ricorda che
i tributi assoggettabili a transazione sono quelli ge-
Cfr “Il fisco a sostegno delle imprese in crisi – La Transazione Fiscale”,
D.R. Sicilia a cura dell’Ufficio Riscossione – Settore Controlli e Riscossione
– agg. Novembre 2013
4
Non ci soffermiamo sugli aspetti procedurali della transazione fiscale,
francamente meno interessanti e sufficientemente chiariti sia dalla Circolare n.40/E/08 sia anche nel citato contributo della D.R.E. Sicilia.
5
Sul punto è interessante la posizione espressa dalla Corte Costituzionale con propria sentenza n.225/14.
3
Più dettagliatamente subiscono la modifica gli artt.2752, co.1, 2771
co.2 e 2776, co.3 cod.civ..
2
35
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
voto negativo ai fini dell’art.177 L.F. e quindi preludere al fallimento.
In punto, vero è che tali indicazioni, ragionevolissime,
trovano scarsissima applicazione, proprio perché il
quadro dei tributi transabili è estremamente povero,
nei fatti. Iva e ritenute sono il vero problema, e di conseguenza è lì che si misura l’efficienza dell’istituto.
poter costruire un piano concordatario serio, e soprattutto suscettibile di essere ammesso. Ogni qualvolta si presenti la necessità di ricorrere all’art.160,
co.2 L.F. per mancanza di risorse, non è secondario
sapere se un debito che nell’ordine delle prelazioni
di cui agli artt.2741, 2777 e 2778 cod.civ. si trova al
18mo posto debba essere integralmente soddisfatto
o meno.
A noi francamente pare che l’integrità del debito per
Iva e ritenute nel piano concordatario sia forse comprensibile nell’ambito della transazione fiscale, in cui
i divieti comunitari non possono essere pacificamente rimessi alla valutazione dei funzionari degli enti
impositori, ma non in via generale. In senso diverso,
ma con analoga prospettiva, il Tribunale di Verona,
con provvedimento depositato il 10 aprile 2013,
avuto in considerazione il ruolo del Tribunale stesso
nella verifica delle condizioni di ammissibilità di una
procedura concordataria, così come precisato dalla
Corte di Cassazione con sentenza n.1521/2013, ha
evidenziato un potenziale contrasto tra l’intangibilità del debito Iva e gli artt.3 e 94 della Costituzione,
poiché appare contrario all’interesse dell’Amministrazione un meccanismo in cui l’automatica inammissibilità delle proposte che includano la falcidia
del debito per Iva o ritenute, di fatto conduca inevitabilmente a una liquidazione del credito medesimo, diversa da quella concordataria, e peggiorativa7.
La Corte Costituzionale con sentenza n.225/14 si è
espressa sul tema, anche in questo caso negativamente. Il credito Iva è nell’opinione della Corte ancora una volta assegnatario di una disciplina del tutto
originale, “attributiva di un trattamento peculiare ed
inderogabile” e finalizzata ad assicurare il pagamento di un tributo in realtà assistito da un privilegio di
grado postergato, in deroga al principio dell’ordine
legale delle prelazioni8.
Iva e ritenute nella transazione fiscale
Abbiamo già provveduto a ricordare che l’art.32, co.5
D.L. n.185/08 (L. n.2/09) ha esplicitamente limitato
l’utilizzo della transazione fiscale per l’Iva, alla quale
l’art.29, co.2, D.L. n.78/10 (L. n.122/10) ha aggiunto
le ritenute fiscali:
• il capitale deve rimanere intonso e può unicamente essere richiesta una dilazione, mentre
• sanzioni ed interessi possono essere sottoposti
a falcidia.
La questione è sostanziale e dal punto operativo talvolta dirimente, e merita qualche riflessione.
Non senza un certo ottimismo abbiamo più volte
avuto modo di considerare positivamente l’orientamento di parte della giurisprudenza di merito6 che
piuttosto fermamente attribuisce solo alla adozione
dello strumento transattivo di cui all’art.182-ter L.F.
la capacità protettiva dell’integrità del debito erariale
per Iva e ritenute fiscali, assegnando di conseguenza
alla norma carattere meramente processuale. In altri
termini, l’attuale disciplina vieterebbe la falcidia solo
in caso di utilizzo della transazione fiscale, e non in
caso opposto.
Che la transazione fiscale non sia elemento obbligatorio, costitutivo ed essenziale, ma solo eventuale, del processo concordatario è questione che
anche l’orientamento di legittimità a partire dalle
due sentenze gemelle (n.22931/11 e n.22932/11)
della Corte di Cassazione ha confermato.
Il caso è quello di un concordato contenente una proposta ai creditori in cui l’intero patrimonio è destinato alla soddisfazione, peraltro solo
parziale, del credito Iva, mentre un contributo esterno e condizionato
all’omologa avrebbe costituito la provvista per la soddisfazione degli altri
creditori, nella misura proposta per ogni classe. È di tutta evidenza come
ogni ipotesi diversa da quella concordataria avrebbe comportato il concorso dell’intero ceto sul patrimonio, diminuendo significativamente la
soddisfazione dell’Amministrazione finanziaria.
8
Abbiamo già avuto modo di considerare in altre occasione come non
possa non stupire la clamorosa disparità di trattamento tra soggetti che
accedono alla procedura di concordato preventivo e quelli sottoposti a
fallimento, ove l’integrità del debito Iva non è nemmeno ipotizzabile. Le
ragioni addotte dalla Corte sono che il concordato preventivo è procedura rimessa all’arbitrio dei creditori, cui non parrebbe possibile affidare le
sorti del credito Iva, mentre il fallimento sarebbe procedura autoritativa,
oltre che di carattere eccezionale (non si comprende in che senso, visto
che più del 90% delle procedure concorsuali sono fallimenti, e meno del
10% concordati preventivi), in cui il Tribunale autonomamente giunge
alla definizione dello stato passivo. Si dovrebbe concludere quindi che
7
Queste stesse pronunce, e altre che vi hanno fatto
seguito, hanno per contro assegnato al debito per
Iva e ritenute fiscali una sorta di tutela assoluta e
tanto speciale quanto francamente sconosciuta al
quadro normativo. Poiché tali posizioni sono tipicamente parte del passivo concordatario, è immediato
comprendere in che misura la stabilità, coerenza e
allineamento dell’orientamento giurisprudenziale
di merito e di legittimità sarebbero importanti, per
A mero titolo esemplificativo citiamo Cosenza - Sezione Fallimentare,
29 maggio 2013 e Genova - Corte d’Appello Rep. 1326, depositata il 27
luglio 2013 - Padova, 3 ottobre 2013 depositata l’11 ottobre 2013 - Busto
Arsizio n.15/13 del 4 ottobre 2013, depositata il 7 ottobre 2014.
6
36
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Al di là di questi aspetti, che superano l’istituto in sé
ma che hanno determinante importanza nella formazione del quadro complessivo, è chiaro che l’adozione della transazione fiscale implica un onere elevato, e cioè il mantenimento nel piano concordatario
dell’intero debito per Iva e ritenute, che altrimenti
potrebbe godere di certo margine di riduzione, rimesso peraltro alla ondivaga posizione dei diversi
tribunali. Si tratta ora di comprendere nel loro complesso gli altri effetti della transazione, affinchè sia
possibile valutarne la potenziale convenienza.
per il contribuente di accedere alla dilazione del pagamento dei propri debiti. In via ordinaria, il contribuente può richiedere la rateazione dei propri debiti
iscritti a ruolo, giustificando e documentando la temporanea situazione di oggettiva difficoltà nel caso di
importi superiori a 20.000 euro. La rateazione può
essere concessa sino a 72 rate, estese a 120 per effetto del nuovo co.1-quinquies10 introdotto all’art.19
d.P.R. n.600/73 in forza dell’art.52, co.1, lett. a), n.1),
del D.L. n.69/13, (L. n.98/13). Il vantaggio della transazione fiscale appare quindi percepibile nel caso in cui:
• la rateazione debba essere richiesta per tributi
non iscritti a ruolo, o
• per periodi più lunghi di quelli già previsti dalla
norma. Francamente è poca cosa.
Effetti e vantaggi della transazione fiscale
La questione è purtroppo tutt’altro che chiara, e trae
origine dalla formulazione particolarmente scarna
dell’art.182-ter, co.5 L.F., che si limita a prevedere la
chiusura delle liti riferibili ai tributi inclusi nella proposta di transazione fiscale.
Sulla base di quanto riportato nella citata Circolare
n.40/E/08, all’ufficio non sarebbero peraltro inibiti i
poteri di ulteriore accertamento, che possono condurre alla maturazione di ulteriori debiti rispetto a
quelli inclusi e consolidati nella transazione ipoteticamente approvata, applicandosi quindi l’art.43
d.P.R. 600/73, che assegna agli uffici il diritto di modificare od integrare precedenti controlli sulla base
di elementi nuovi, nei limiti della prescrizione9. Gli
effetti della transazione fiscale non sarebbero quindi
tombali, rimanendo il debitore esposto al rischio di
ulteriori interventi. La questione è delicata, e la posizione dell’Amministrazione finanziaria francamente
comprensibile, e coerente con il disposto letterale
dell’art.182-ter L.F. Tuttavia, è innegabile che il solo
consolidamento delle liti esistenti comporta un vantaggio molto relativo, in termini sia di risparmio, che
anche di limitazione dell’alea del piano, che rimane
esposto a ulteriori interventi.
Anche le potenzialità dilatorie della transazione fiscale appaiono poco attraenti. La disciplina ordinaria
già prevede, all’art.19 d.P.R. n.602/73 la possibilità
La transazione previdenziale
Con il D.L. n.185/08 l’utilizzo della transazione fiscale è stato ampliato ai debiti previdenziali. L’iniziativa
è stata salutata positivamente, incidendo su un rapporto delicato e suscettibile di presentare posizioni di
debito tutt’altro che trascurabili, oltre che privilegiate.
Con Decreto del 4 agosto 2009 il Ministero del Lavoro e della Salute ha emanato la disciplina operativa,
a sua volta recepita dagli enti11 per consentire agli
uffici di valutare nel merito le proposte ricevute.
Le condizioni di valutazione appaiono purtroppo
estremamente restrittive, oltre che forse male impostate. Il Decreto, all’art. 3, dispone che la proposta di
pagamento parziale per i crediti privilegiati non può
essere inferiore a
a) 100% per i crediti privilegiati di cui n. 1) del primo comma dell’art.2778 cod.civ. e per i crediti
per premi,
b) 40% per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art.2778 cod.civ..
Con riferimento ai crediti chirografari, il medesimo
articolo impone un limite minimo del 30% alla proposta di pagamento parziale.
Infine, la proposta di pagamento dilazionato non
può essere superiore a sessanta rate mensili
con applicazione degli interessi al tasso legale,
nel tempo, vigente12.
il privilegio dipende da chi decide, se il Tribunale o i creditori, e che le
procedure esecutive individuali tra soggetti in bonis sono eccezionali
come il fallimento, consentendo la falcidia. Pare privo di spessore anche
il richiamo dell’Avvocatura di Stato alla Raccomandazione n.272/07 della
Commissione Europea, che attiene il recupero degli aiuti di Stato erogati
illegalmente, e dimentica la Raccomandazione del 12 marzo 2014 della
stessa Commissione, in cui si invita caldamente a una approccio semplificato ed efficiente della gestione delle crisi di impresa, e possibilmente
poco costoso.
9
Va peraltro ricordato che le citate sentenze gemelle della Corte di Cassazione (n.22931 e n.22932 del 2011) evidenziano proprio nel consolidamento delle posizioni tributarie il vantaggio della transazione fiscale;
alcuni hanno da qui tratto la convinzione che i poteri ordinari di integrazione degli accertamenti risulterebbero inibiti. Onestamente questa
impostazione ci sembra piuttosto coraggiosa, se non ardita.
La nuova norma prevede che la rateazione ordinaria, ove il debitore
si trovi per ragioni “estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica”,
possa essere aumentata fino a 120 rate mensili.
11
Cfr Circolare Inps n.28/10 e Circolare Inail n.8/10.
12
L’Inail impone il 100% per i crediti per premi, e per gli accessori (che
hanno natura privilegiata) un limite del 40% quale pagamento minimo
per la quota non degradata a chirografo (minimo il 50%) e del 30% per la
residua, degradata.
10
37
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
ISTITUTI DEFLATTIVI
Ci permettiamo di osservare che le percentuali così
stabilite, e sulle quali non ci pare il caso di esprimere
alcun giudizio di congruità, costituiscono di per sé un
ostacolo, imponendo necessariamente una gradazione della falcidia che nel rispetto della par condicio
non può in alcun caso essere inferiore sia per le posizioni privilegiate di grado poziore, e non sono poche,
sia per il ceto chirografario.
ri che il Legislatore ha voluto confezionare, agendo
anche sulla limitazione delle garanzie. Per contro,
le limitazioni che impone, e le conseguenze che la
struttura della norma ha dettato in termini anche generali, con riferimento al trattamento dei debiti per
Iva e ritenute, indipendentemente dalla adozione
dell’istituto transattivo, sono significativi, al punto
da aver rivitalizzato, involontariamente, istituti che
reputavamo desueti, e che trovano nuova linfa proprio e solo nella totale estraneità rispetto alla transazione fiscale. In questo senso, la ormai datata e quasi
dimenticata operazione di affitto dell’azienda del debitore, richiesta di fallimento in proprio, e successiva
proposta di concordato fallimentare torna ad essere
interessante.
Conclusioni
Allo stato, pare purtroppo di dover concludere che
l’operatività dell’istituto della transazione fiscale sia
sostanzialmente teorica.
I vantaggi sono molto relativi, in relazione anche alla
rinnovata efficacia degli ordinari strumenti dilato-
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
La sospensione degli effetti delle sentenze delle
Commissioni Tributarie
di Antonella Castrignanò – avvocato tributarista
È ammissibile l’istanza di sospensione della sentenze tributaria di primo grado e di secondo grado
presentata avanti la Commissione tributaria regionale quale giudice d’appello, trattandosi dell’unica
interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.49 D.Lgs. n.546/92.
Uno dei maggiori problemi concernenti il processo tributario è certamente quello della applicabilità dello
strumento cautelare in sede di giudizio d’impugnazione.
Tutta la problematica di cui si discute nasce essenzialmente dal disposto dell’art.49 D.Lgs. n.546/92, là
dove dispone che:
ma - in sostanza riproduttiva della precedente – ordinanza n.25/14.
È dunque opportuno affrontare la questione, evidenziando le differenti tesi prospettate da dottrina
e giurisprudenza e la soluzione infine data dalla Consulta, chiamata più volte a pronunciarsi sul tema.
Prima di esaminare le posizioni assunte, appare utile
compiere una rassegna del dato normativo.
“alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II c.p.c. escluso l’art.337 e
fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.
Il problema della tutela cautelare nel processo tributario nei gradi successivi al primo: il quadro normativo di riferimento
Prendendo le mosse da tale norma, ci si è chiesti se
siano applicabili al processo tributario disciplinato
da D.Lgs. n.546/92 gli artt.283 e 373 c.p.c. che prevedono, l’uno, la facoltà per il giudice di appello di
sospendere, in presenza di gravi e fondati motivi,
l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e,
l’altro, la possibilità, in pendenza di ricorso per cassazione, per il giudice di appello che ha emesso la sentenza impugnata di sospenderne l’esecuzione, qualora dall’esecuzione possa derivare alla parte istante
un pregiudizio grave e irreparabile.
L’interesse per la questione è sempre più attuale
anche e soprattutto a seguito della nuova disciplina dell’attività di accertamento e di riscossione introdotta dall’art.2, D.L. n.78/10, (convertito nella L.
n.122/10), che, con riferimento alle imposte sui redditi e all’Iva, porta a un accorpamento degli atti esattivi in quelli impositivi, che, in quanto dotati di per sé
di efficacia esecutiva, legittimano quindi l’immediata
attuazione dell’esecuzione esattoriale senza dover
attendere, come accadeva in passato, la notifica della cartella di pagamento1.
La problematica in oggetto è inoltre di stringente
attualità a seguito di alcune pronunce della Corte
Costituzionale che è intervenuta di recente sul tema
prima con la sentenza n.217/10, poi con la successiva sentenza n.109/12 e, da ultimo, con la recentissi-
Nel processo tributario delineato dal D.Lgs. n.546/92
la materia cautelare è specificatamente trattata all’interno del Capo II del Titolo II dedicato al procedimento dinanzi alla CTP.
Il contribuente che voglia sospendere l’azione amministrativa di riscossione, una volta avviato il processo tributario, può avvalersi della disposizione di cui
all’art.47 D.Lgs. n.546/92, a mente della quale
“il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere
alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso”.
La sospensione disciplinata dall’art.47 D.Lgs. n.546/92
è dunque quella dell’atto impugnato e può essere
proposta solo innanzi alla CTP nel ricorso o con atto
separato2.
Prosegue il co.7 dello stesso art.47 specificando che
gli effetti della sospensione dell’atto impugnato,
eventualmente disposta dal Presidente o dal collegio
ex art.47, “cessano dalla data di pubblicazione della
sentenza di primo grado”.
Una volta pubblicata la sentenza della CTP, valgono
le regole di esecutività frazionata di cui agli artt.68
ss, D.Lgs. n.546/92.
In particolare, ai sensi dell’art.68, le sentenze favo La norma è consona al dettato della legge delega sul processo tributario. Infatti, la direttiva di cui all’art.30 co.1, lett. h) L. n.413/91 limita
l’introduzione della tutela cautelare alla decisione di primo grado.
2
C. Glendi, “Nuove frontiere per la tutela cautelare”, in Corr. trib.,
2163/10 ss..
1
39
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
revoli all’Amministrazione finanziaria determinano
la riscossione frazionata del tributo e degli interessi,
senza bisogno di attendere il passaggio in giudicato:
• per i 2/3 dopo la sentenza della CTP che respinge
il ricorso;
• per l’ammontare e non oltre i 2/3 dopo la sentenza della CTP che accoglie parzialmente il ricorso;
• per il residuo ammontare determinato dalla sentenza della CTR.
Nessuna disposizione contempla, invece, la possibilità di sospensione dell’esecutività della sentenza
di primo o secondo grado pendente il ricorso in appello o per cassazione: soltanto l’art.19, co.2 D.Lgs.
n.472/97 estende l’applicabilità nel giudizio di appello del procedimento per la sospensione cautelare di
cui al citato art.47 D.Lgs. n.546/92, ma limitatamente alla riscossione delle sanzioni.
te opposti3.
Secondo un primo orientamento, in passato prevalente, la sospensione dell’esecutività della sentenza
di secondo grado, in pendenza del ricorso in cassazione, sarebbe stata esclusa dal combinato disposto
degli artt.47 e 49 D.Lgs. n.546/92, con conseguente
limitazione della sospensione al solo atto impugnato
nel processo di primo grado, ai sensi dell’art.47.4
Tale orientamento era avvallato, in prima battuta
anche dalla Corte Costituzionale che aveva ritenuto
legittima l’assenza di una tutela cautelare in secondo
grado, posto che ciò rientrava nella discrezione del
Legislatore e che l’esistenza di una pronuncia di merito di primo grado costituiva una sufficiente garanzia dei diritti di parte (Corte Costituzionale n.165/00,
n.325/01 e n.119/07)5.
Una seconda tesi, in passato minoritaria, aveva invece sostenuto la configurabilità della tutela cautelare anche avverso le sentenze di primo e di secondo
grado, sulla base di una lettura articolata dell’art.49
D.Lgs. n.546/92 e sulla compatibilità del giudizio di
cui all’art.47 anche con riferimento agli effetti delle
sentenze delle commissioni tributarie.6
Nel caso in cui il contribuente proponga appello,
si applica quindi la norma dell’art.49 dello stesso
Decreto che, per quel che riguarda la disciplina
applicabile alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni, compie un rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, con esclusione
dell’art.337 c.p.c..
La sospendibilità degli effetti delle sentenze
secondo la Corte Costituzionale e la giurisprudenza
La norma esclusa, dal canto suo, afferma che l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto della sua impugnazione, e fa salve le disposizioni degli
artt.283 e 373 c.p.c.. (rispettivamente per i giudizi di
appello e di cassazione).
Infine, l’art.283 c.p.c., stabilisce che il giudice d’appello, su istanza di parte, “quando ricorrano gravi motivi, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva
o l’esecuzione della sentenza impugnata” e l’art.373
c.p.c., stabilisce, dal canto suo, che, in caso di ricorso
per cassazione, “il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora
dalla esecuzione possa derivare grave e irreparabile
danno, disporre con ordinanza non impugnabile che
la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua
cauzione”.
La questione è stata definitivamente risolta con la
pronuncia della Corte Costituzionale n.217/10 che occupandosi ancora una volta della sospettata illegit3
Per un approfondimento sul dibattito: E. Della Valle, “La sospensione dell’esecuzione della sentenza del giudice tributario”, in Rass. trib.,
4/2002, n.1213;
4
Sul tema: R. Rinaldi, “La sospensione degli effetti delle sentenze da
parte del giudice tributario”, in Riv.dir.trib., 2004, I, pag.101 ss.; In giurisprudenza, tra le altre, v. CTR Firenze, sez. I, ordinanza 19 marzo 1998 in
Rass. Trib., 3/98, pag.827, con nota di M. Cantillo “Un nodo da sciogliere:
il potere di sospensione cautelare dell’efficacia delle sentenze dei giudici
tributari”; CTR Marche, sez. X, ord. 24 febbraio 1997; CTR Umbria, sez. I,
ord. 17 settembre 1998.
5
Si ricorda brevemente che la Corte Costituzionale con le prime tre pronunce riportate aveva affermato che la tutela cautelare costituisce senza
dubbio una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita
dall’art.24 Cost., riferibile anche al processo tributario, che si spiega “con
l’esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell’attore
che ha ragione e che, durante il tempo occorrente per l’accertamento in
via ordinaria del suo diritto, è esposto al rischio di subire un danno irreparabile”. In ragione di ciò, concludeva la Corte, “risulta allora evidente come
la garanzia debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia
esecutiva – la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure
cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena,
la sussistenza del diritto e dunque il presupposto dell’invocata tutela. Con
la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nel merito,
deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del Legislatore”.
6
Così in dottrina: P. Russo, “Manuale di diritto tributario”, Milano, 1999,
pag.514-515. In giurisprudenza: CTR Liguria del 28 maggio 1999; CTR Friuli
del 16 dicembre 1999; CTR Lazio del 14 gennaio 1999; CTR Liguria, sez. VI,
ordinanza 31 maggio 1999.
Queste essendo le norme di riferimento e vista l’esistenza di un vuoto normativo, ci si è posti la seguente domanda: la non applicabilità dell’art.337
c.p.c. al processo tributario (disposta dall’art.49
D.Lgs. n.546/92) comporta anche la non applicabilità delle disposizioni di cui agli artt.282 e 373
c.p.c. e quindi della possibile sospensione delle
sentenze di primo e di secondo grado?
Sul punto, vi sono stati orientamenti diametralmen-
40
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
sioni tributarie regionali si applica la disposizione di
cui all’art.373, primo comma, secondo periodo, c.p.c.,
giusta la quale “il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora
dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile
danno, disporre con ordinanza non impugnabile che
l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua
cauzione”. La specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle
imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del “fumus boni iuris” dell’istanza cautelare e del
“periculum in mora”8.
Poco dopo la Corte Costituzionale, investita nuovamente della questione, ha ribadito, con la sentenza
del n.109/12, il principio di diritto che le sentenze possono essere sospese anche nel processo tributario9.
La Corte Costituzionale, inoltre, in quest’ultima sentenza lascia questa volta chiaramente intendere che
la tutela cautelare nel processo tributario debba
trovare applicazione tanto in pendenza del giudizio
di cassazione, in forza del disposto di cui all’art.373
c.p.c., quanto in pendenza del giudizio di appello, in
forza del disposto di cui all’art.283, c.p.c., essendo
entrambe le disposizioni applicabili in tale processo.
La sentenza è stata da poco ribadita dalla Corte Costituzionale con ordinanza n.25/14.
A questa soluzione si è allineata la prevalente giurisprudenza di merito successiva (ex plurimis, CTR Milano, ord. n. 1146/14; CTR Milano, ord. n.9/13; CTR
Torino, ord. n.4/10; CTR Milano, ord. n.2/11; CTR
Roma, ord. n.136/11; CTR Roma., ord. n.1/11).
Si segnala però che non mancano nella giurisprudenza anche pronunce di avviso contrario (cfr. CTR di
Roma, ord. n.3/11, CTR di Brescia, ord. n.26/10; CTR
Lazio, ord. 217/13).
La questione non sembra quindi, a oggi, avere ancora
trovato in giurisprudenza una sistemazione definitiva.
In una tale ottica, è quindi auspicabile che sia il Legislatore a disegnare molto presto la normativa sulla
sospensione dell’esecuzione in appello e in Cassazione.
timità costituzionale dell’art.49 del D.Lgs. n.546/92, in
ragione della ritenuta inapplicabilità dell’art.337 c.p.c.
nel processo tributario – ha stabilito che nel rito fiscale può essere sospesa l’esecutività della sentenza.
La Consulta, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.49
D.Lgs. n.546/92, ha chiarito che:
• siccome l’art.49 D.Lgs. n.546/92 prevede l’inapplicabilità nel processo tributario dell’art.337
c.p.c. (relativo all’esecutività delle sentenze) e,
a sua volta, tale norma contempla un’ulteriore
eccezione alla regola (ossia, le norme in tema
di sospensione delle sentenze, eccezione alla
regola dell’immediata esecutività),
• l’inapplicabilità della regola dell’art.337 c.p.c.
non comporta necessariamente l’inapplicabilità anche “delle sopraindicate eccezioni alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza
di appello impugnata per cassazione”.
L’articolo 49, dunque, non escluderebbe, di per sé, la
sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza impugnata7.
Ne consegue che, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, anche nel
processo tributario può ammettersi la sospensione
delle sentenze e la tutela cautelare non può ritenersi
circoscritta al primo grado di giudizio.
In particolare, l’ordinanza di rimessione alla Corte
aveva a oggetto la sospensione di una sentenza della
CTR, conseguentemente la Consulta ha potuto affermare l’applicabilità dell’art.373 c.p.c., che appunto
prevede la possibile sospensione delle sentenze di
appello, in caso di ricorso per Cassazione.
La sentenza n.217/10 della Corte Costituzionale non
aveva però fatto riferimento alla sospendibilità degli
effetti della sentenza di primo grado, perché il quesito sottoposto non prevedeva tale ipotesi.
Tuttavia, già in relazione a tale pronuncia del 2010, le
affermazioni generali contenute nella sentenza della
Consulta parevano inequivocabili e portavano a ritenere applicabili al processo tributario sia l’art.373
c.p.c. sia l’art.283 c.p.c..
Questa interpretazione della Corte Costituzionale è
stata confermata anche dalla Corte di Cassazione,
sezione V, la quale, con la sentenza n.2845/12, ha
espresso il seguente principio di diritto: “al ricorso
per cassazione avverso una sentenza delle Commis-
Anche se la Cassazione, nella sentenza qui in commento, si riferisce
espressamente al caso della sospensione della esecuzione della sentenza di secondo grado, pendente il giudizio di legittimità, non dovrebbero
esservi dubbi in ordine alla possibilità di far valere le medesime conclusioni anche alla ipotesi di sospensione della esecuzione della sentenza
di primo grado, pendente il ricorso in appello. Sul tema: M. Nardelli, “La
Corte di Cassazione ammette la sospensione della sentenza d’appello nel
processo tributario”, in Corr. Trib. 19/12, pag.1483; M. Allena, “Tutela
cautelare e norme processuali: una conferma della Corte di Cassazione”,
in Rass. Trib., 5/12, pag.1306.
9
C. Glendi, “Nuovi orizzonti per la tutela cautelare del contribuente durante il giudizio contro la decisione del giudice tributario di secondo grado in Cassazione”, in Il Corr. Giur., 5/13, pag.667.
8
C. Glendi, “Verso la costituzionalizzazione della tutela cautelare oltre il
primo grado”, in Corr.trib., 30/10, 2401 ss.
7
41
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
Conclusioni
• il potere di sospensione della sentenza di appello
è regolato dall’art.373 c.p.c.;
• la competenza per la sospensione è dello stesso
giudice che ha pronunciato la sentenza e quindi
della stessa CTR, che procede con ordinanza non
impugnabile su istanza di parte;
• la istanza deve motivare con riferimento al danno grave e irreparabile che può derivare dalla
esecuzione della sentenza. In questa prospettiva,
si pone anche il problema del requisito della immediatezza del danno che, ad avviso di parte della giurisprudenza di merito, è necessario per la
concessione della tutela cautelare e che potrebbe realizzarsi solo quando sia emesso l’atto di riscossione dopo l’emanazione della sentenza. Sul
punto, la recente CTR Torino, ordinanza n.4/10,
sembra richiedere addirittura l’inizio della esecuzione coattiva, ma tale lettura non pare poter
essere accolta10, dovendosi ritenere sufficiente
la notifica al contribuente dell’atto della riscossione (cartella di pagamento e, a partire dal 1°
luglio 2011, lo stesso avviso di accertamento). La
Cassazione, con sentenza n.2845/12, peraltro,
ha affermato che occorre una rigorosa valutazione del requisito del danno grave e irreparabile;
• la sospensione è condizionata alla proposizione
del ricorso per Cassazione, requisito che deve essere dimostrato dal contribuente11.
In conclusione, le recenti sentenze della Corte Costituzionale, avvalorate dalla giurisprudenza di legittimità
e di merito, comportano la possibilità, per la CTR, di
sospendere l’esecuzione della sentenza di primo grado e di secondo grado impugnata mediante ricorso
per Cassazione.
In particolare, si deve rilevare che, con riferimento
alla sospendibilità degli effetti della sentenza della
CTP:
• il potere di sospensione della sentenza di primo
grado è attribuito al giudice dall’art.283 c.p.c.;
• la richiesta di sospensione deve essere presentata alla CTR, unitamente all’appello principale o
nell’atto dell’appello incidentale;
• il giudice deve operare una valutazione di opportunità, posto che deve valutare la sommaria
fondatezza dell’impugnazione e il pregiudizio patrimoniale che la parte soccombente può subire.
Merita segnalare che il potere attribuito dall’art.283
c.p.c. è più ampio rispetto a quello di cui all’art.373
c.p.c. (il quale prevede la possibilità del giudice di
appello di sospendere la sentenza dallo stesso emanata impugnata in Cassazione), in cui è richiesto il
danno grave ed irreparabile (Cass. n.4060/05).
Alla luce di ciò, è possibile sostenere che le ipotesi in
cui il giudice può sospendere gli effetti della sentenza di primo grado sono più estese rispetto a quelle
in cui egli può sospendere l’efficacia dell’atto, siccome, in relazione a quest’ultimo punto, l’art.47 D.Lgs.
n.546/92 parla di danno grave e irreparabile, mentre
l’art.283 c.p.c. di gravi e fondati motivi.
Diversamente, con riferimento alla sospendibilità della sentenza della CTR:
C. Glendi, “Sulla sospensione della riscossione dei tributi in pendenza
di ricorso per Cassazione”, in Riv. giur. trib., 2011, pag.76; M. Nardelli,
“La sospensione delle sentenze tra soluzioni pratiche e critiche (non solo)
teoriche”, in Corr. trib., 2011, pag.440.
11
C. Glendi, “Sulla sospensione della riscossione dei tributi in pendenza
di ricorso per Cassazione”, cit., 73 ss.
10
42
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
La motivazione come elemento essenziale degli
avvisi di accertamento e delle cartelle di pagamento: conseguenze sull’atto in caso di carenza
di Massimo Conigliaro - dottore commercialista, pubblicista e professore incaricato di diritto tributario presso
SSEF e la Link Campus University di Catania
La motivazione degli atti tributari, siano essi avvisi di accertamento ovvero cartelle di pagamento,
costituisce un elemento irrinunciabile del procedimento amministrativo. I presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche poste a fondamento della pretesa devono essere illustrati in modo puntuale, ab
origine e senza ricorrere a formule di stile. La violazione di tali principi, ribaditi dall’art.7 dello statuto
dei diritti del contribuente, comporta la nullità dell’atto in caso di impugnazione.
L’elemento fondamentale di qualsiasi avviso di accertamento è costituito dalla compiuta indicazione
dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche
poste a fondamento della pretesa tributaria. Tali
elementi costituiscono il fulcro della rinomata legge sulla trasparenza degli atti amministrativi - la L.
n.241/90 - che già un quarto di secolo addietro declinava all’art.3 i requisiti essenziali dei provvedimenti
amministrativi. A distanza di dieci anni - nei quali si
è lungamente dibattuto sull’applicabilità dei principi espressi dalla L. n.241/90 in ambito tributario - il
Legislatore ha avvertito l’esigenza di ribadire nello
Statuto del contribuente l’immanenza di tali principi,
codificandoli nell’art.7 della L. n.212/00; una norma
che ha poi imposto le conseguenti modifiche nonché
gli adattamenti alle disposizioni in tema di motivazione degli accertamenti nelle imposte dirette, nelle
indirette e nei tributi locali.
del diritto di difesa1.
La motivazione dell’accertamento tributario, elemento necessario dell’atto, in funzione di tutela
dei diritti costituzionalmente garantiti previsti
dagli artt.24 e 113 della Costituzione, assume
quindi una funzione di garanzia nei confronti del
destinatario dell’atto, poiché è solo attraverso
la motivazione che a quest’ultimo è consentito
di reagire agli effetti negativi che produce l’atto,
nelle forme consentite dalla legge.
La motivazione degli atti impositivi e, in particolare,
degli atti di accertamento, descrive quindi l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa
dell’ufficio, al fine di rendere edotto il contribuente
delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando, altresì, il destinatario
dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella
sfera giuridica del destinatario. La motivazione spiega, quindi, una funzione di “cerniera della legalità”,
consentendo il sindacato giurisdizionale della legittimità e correttezza dell’operato dell’Amministrazione
finanziaria, costituendo una sorta di barriera contro
possibili abusi.
La motivazione quale cerniera di legalità
dell’atto amministrativo
L’indicazione nell’avviso di accertamento dei “presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche” che lo
hanno determinato, persegue la finalità di porre il
contribuente in condizione di avere adeguata informazione delle circostanze di fatto e del titolo giuridico della pretesa impositiva, così da consentirgli
di valutarne la fondatezza e quindi l’opportunità di
esperire l’azione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. Tali
elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato non solo tempestivamente (inserendoli cioè
ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche
con quel grado di determinatezza e intelligibilità che
permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso
La motivazione dell’avviso di accertamento.
Quando un atto può dirsi realmente motivato? Al di
là di qualsiasi notazione tecnica, la risposta più adeguata è quella più semplice: quando consente anche
al c.d. uomo della strada di comprendere le ragioni di una pretesa di pagamento. Ciò non vuol dire
Il termine motivazione deriva dal sostantivo latino motus che significa
movente, causa, ragione; la motivazione trova forma ed espressione in
un discorso, in un insieme di entità linguistiche rappresentate da proposizioni che svolgono una funzione di comunicazione.
1
43
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
che un provvedimento amministrativo non debba
contenere riferimenti di legge e interpretazioni più
o meno complesse. Tutt’altro. Occorre però che il
contribuente sia messo in grado di comprendere per
quale motivo lo Stato chiede delle somme (ad esempio hai venduto un terreno, ti tasso la plusvalenza);
poi, probabilmente, si renderà necessario consultare
il professionista di propria fiducia per comprendere
se la richiesta è corretta (ad esempio “avevo affrancato la plusvalenza con il pagamento dell’imposta
sostitutiva, ma l’Agenzia delle Entrate ritiene la norma non applicabile al caso di specie”) ovvero se ci
sono margini di contestazione (autotutela o ricorso).
stereotipe e, soprattutto, improvvise conclusioni in
base alle quali l’ufficio applica - per esempio - arbitrarie percentuali di redditività desunte da non meglio specificati “studi compiuti dall’Amministrazione
finanziaria nonché da imprese similari che operano
in condizione di una normale gestione economica”,
imprese delle quali non abbiamo indicazione o notizia. Orbene, questo - a giudizio di chi scrive - non può
certo dirsi motivare.
La motivazione per relationem
In passato il dibattito dottrinario e giurisprudenziale è stato serrato. La possibilità di motivare un atto
rinviando a provvedimenti conoscibili da parte del
contribuente ha occupato i giudici tributari per lungo
tempo. Poi si è passati dal concetto di conoscibilità a
quello di conoscenza effettiva e con l’ultimo periodo del co.1 dell’art.7 L. n.212/00 si è definitivamente
chiarito che “se nella motivazione si fa riferimento
ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto
che lo richiama”.
Tale disposizione è stata oggetto di ulteriore precisazione nel momento in cui è stata trasposta in materia di accertamento delle imposte dirette e dell’Iva.
Precisa l’ultimo periodo del co.2 dell’art.42 d.P.R.
n.600/73 che se la motivazione fa riferimento a un
altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Analogamente dispone l’art.56, co.3
d.P.R. n.633/72 in materia di Iva.
Sia la giurisprudenza che la dottrina sono ormai
concordi nel ritenere che la funzione di informazione della motivazione venga rispettata anche nel caso
di motivazione per relationem, quando questa rinvia, ad esempio, a un precedente processo verbale
di constatazione, se tale atto è in possesso del contribuente ed è idoneo a illustrare le ragioni della rettifica, in quanto descrive chiaramente tutti i passaggi
logici che conducono all’accertamento e consente,
pertanto, l’esercizio del sindacato di legittimità.
Peraltro, con sorprendente quanto censurabile statuizione, la Corte di Cassazione ha da tempo stabilito3
che “in tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem non è illegittima per mancanza
di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli
elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza, ma è
idonea (se i documenti richiamati siano allegati o
conosciuti dal contribuente) ad indicare le ragioni di
La previsione dell’obbligo della motivazione si inserisce, in particolare, nell’ambito di quelle norme dello statuto dei diritti del contribuente2 che
assolvono all’essenziale funzione di garantire la
conoscenza e l’informazione del contribuente,
nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica,
i rapporti tra fisco e contribuente.
Ne deriva che nell’avviso di accertamento devono
confluire tutte le conoscenze dell’ufficio e deve essere esternato con chiarezza, quand’anche sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere
alla conclusione prospettata, fermo restando che
tale contenuto della motivazione si atteggia diversamente in relazione alle singole norme applicabili nel
caso specifico. Tale obbligo viene sovente disatteso
ovvero assolto con formule di stile, al punto da poter
distinguere atti la cui motivazione è:
• del tutto assente;
• carente;
• apparente;
• di stile.
E infatti, se da un lato è vero che ormai gli avvisi di
accertamento contengono una congrua motivazione sotto il profilo quantitativo, dall’altro rimangono
spesso carenti sotto quello qualitativo. Ci sono casi
in cui l’avviso di accertamento contiene una lunga e articolata dissertazione sui motivi di carattere
generale che consentono quel tipo di accertamento (dagli studi di settore all’induttivo puro a quello
sull’antieconomicità solo per citarne alcuni) ma nulla si rileva sul caso concreto: frasi di stile, motivazioni
Oltre all’art.7 della L. n.212/00 anche gli artt.2, 5, 6 e 10, che come
è stato più volte affermato dalla Corte di Cassazione, sono espressivi di
principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nell’ordinamento tributario e costituiscono perciò criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme tributarie anche anteriormente vigenti.
2
Sent. n.11994/03; id. n.13578/07.
3
44
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
fatto e di diritto della pretesa impositiva: condividendo le argomentazioni e conclusioni della Guardia di
Finanza, l’ufficio realizza semplicemente una economia di scrittura, tale da non arrecare alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio con il
contribuente ed ai diritti di difesa di quest’ultimo”.
La stessa Cassazione (n.1418/08) ha ribadito che,
anteriormente alle modifiche operate dallo Statuto
dei diritti del contribuente, L. n.212/00, il requisito
motivazionale dell’avviso di accertamento poteva
essere assolto per relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto offerti da altri documenti, a condizione che gli stessi fossero conosciuti dal
destinatario; che, peraltro, mentre tale presupposto
è in re ipsa quando il riferimento attiene a verbali
d’ispezione o verifica compiuti alla presenza del contribuente, o a lui notificati o comunicati nei modi di
legge, quando i verbali oggetto di relatio riguardano
un soggetto diverso, l’Amministrazione deve dimostrare - sia pure, eventualmente, tramite presunzioni
- l’effettiva e tempestiva conoscenza dei documenti
da parte del contribuente, non essendo sufficiente il
riferimento a un atto del quale il contribuente stesso
possa semplicemente procurarsi la conoscenza, poiché ciò comporterebbe una più o meno accentuata
e non giustificata riduzione del lasso di tempo a lui
concesso per valutare la fondatezza dell’atto impositivo, con indebita menomazione del diritto di difesa.
In ogni caso, l’obbligo di motivazione non si può eludere e se un avviso di accertamento richiama un pvc,
tale circostanza non esime l’ufficio da una propria
valutazione autonoma dei presupposti impositivi.
L’Agenzia delle Entrate – ha ricordato una recente
sentenza della CTP di Rovigo (n.92/01/13) - ha quindi l’onere di un attento e puntuale esame dei rilievi
contenuti nel processo verbale di constatazione e
di tale percorso logico valutativo deve essere data
esplicita evidenza nell’atto impositivo; altrimenti
l’accertamento è viziato e l’avviso è nullo. Nel caso
trattato dai giudici veneti, è stato precisato che alla
GdF è attribuita una funzione ausiliaria e le valutazioni della stessa possono essere anche disattese
dall’ufficio che è tenuto a operare una valutazione
critica dei dati e degli elementi informativi loro forniti dagli organi competenti a svolgere le indagini.
La sentenza ricorda che “l’ufficio deve vagliare con
attenzione l’operato dell’organo di Polizia, attraverso
l’esame del materiale raccolto e tramite una precisa
indagine critica delle argomentazioni utilizzate dai
verbalizzanti per stabilire l’eventuale evasione d’imposta. Nel caso di specie l’ufficio non ha proceduto
ad alcuna valutazione sua propria in ordine alla sussistenza del presupposto dell’imposta, limitandosi a
tassare in capo al ricorrente l’ammontare di alcune
poste di bilancio così come indicate dalla Guardia di
Finanza”.
Viene infine evidenziata e censurata la ben nota formula di stile presente in tutti gli avvisi di accertamento “visto il pvc il cui contenuto si intende integralmente richiamato e condiviso dall’ufficio” in quanto nel
caso di specie non sono state indicate le autonome
valutazioni dell’ente impositore che si è limitato a riportare passivamente quanto emerso nel pvc.
Vi è pertanto uno specifico obbligo di procedere
ad una valutazione critica del contenuto del verbale di constatazione senza limitarsi ad una mera
ricezione. Tale principio non deve però restare
sul piano della mera enunciazione dovendo trovare concreta applicazione non soltanto nella sua
componente contenutistica, ma anche in quella
formale, dando prova dell’attività posta in essere
e dei risultati conseguiti4.
È evidente, pertanto, che un avviso di accertamento
deve in concreto argomentare se il pvc notificato al
contribuente contiene o meno tutti gli elementi necessari a individuare la pretesa tributaria. Peraltro,
è noto che il pvc rimane un documento di parte che
si inserisce nell’area endoprocedimentale che porta
all’emissione dell’atto impositivo e deve, pertanto,
essere ulteriormente supportato dall’attività dell’Agenzia delle Entrate in capo alla quale rimane il potere (e l’autonomia) di accertamento.
L’obbligo di motivazione della cartella di pagamento
La Corte di Cassazione (con la sentenza n.26330/09)
ha ribadito che gli atti impositivi devono contenere
una motivazione congrua, sufficiente e intellegibile a
rendere edotto il contribuente destinatario dell’an e
del quantum della pretesa tributaria al fine di esercitare con pienezza di facoltà il diritto alla difesa.
Conformemente all’orientamento della Corte Costituzionale5, la Cassazione ha precisato che l’obbligo
di una congrua, sufficiente ed intelligibile motivazione non può essere riservato ai soli avvisi di accertamento, atteso che alla cartella di pagamento devono
ritenersi comunque applicabili i principi di ordine
generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dall’art.3 L. n.241/90 e richiamati dall’art.7
Cfr. Cassazione n.10855/94.
Cfr. sent. n.229/99 e ordinanza n.117/00.
4
5
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
dello Statuto dei diritti del contribuente: una diversa
interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto
con la Costituzione, in riferimento agli artt. 3 (sotto il profilo della disparità di trattamento, rispetto
agli altri atti della Pubblica Amministrazione, e del
difetto di ragionevolezza) e 24 (sotto il profilo della
ingiustificata lesione del diritto di difesa del contribuente). Ciò a maggior ragione allorché la cartella di
pagamento non sia stata preceduta da un motivato
avviso di accertamento.
Tali principi, sanciti dalla Suprema Corte originariamente in tema di Tarsu6, sono stati ribaditi in tema
di liquidazione delle dichiarazioni ex art.36-bis del
d.P.R. n.600/73 e 54-bis d.P.R. n.633/72.
Nella sentenza n.26330/09, la Corte di Cassazione ha
affrontato un caso che trova sovente riscontro nella
ordinaria attività di controllo delle dichiarazioni: una
cartella priva di alcuna motivazione circa la pretesa
erariale, che si limita a riportare dei dati numerici, dai quali risulterebbe una riduzione del credito
d’imposta formatosi a seguito delle eccedenze degli
anni precedenti, senza, però, che vi sia traccia delle
ragioni per cui sarebbe stata operata tale riduzione.
Tale omissione - in genere riportata con la criptica locuzione eccedenza non detraibile - è stata
contestata dalla parte contribuente, eccependo la
nullità della cartella di pagamento per palese violazione dell’obbligo di motivazione sancito dalla
L. n.241/90, art.3, e riaffermato dalla L. n.212/00,
art.7, in relazione agli atti tributari anche riscossivi;
eccepivano i ricorrenti anche la violazione e la falsa
applicazione del d.P.R. n.600/73, art.36-bis, co.2,
lett. b), in relazione all’art.360 c.p.c., co.1, n.3.
L’Ufficio finanziario, in sede d’appello, sosteneva che
sarebbe rientrata nei propri poteri la possibilità di
non riconoscere un credito non spettante sia nell’esercizio in cui questo scaturirebbe, sia in quello successivo, quando verrebbe riportato in dichiarazione
quale eccedenza d’imposta derivante dall’anno precedente: tale tesi poggerebbe sulla interpretazione
delle disposizioni contenute nel d.P.R. n.600/73,
art.36-bis, co.2.
In realtà, la possibilità di correzioni dei dati esposti
nelle dichiarazioni dei redditi, riconosciuta all’Ufficio
finanziario dal d.P.R. n.600/73, art.36-bis, è rigorosamente circoscritta alla correzione di errori materiali
e di calcolo immediatamente rilevabili a seguito di
riscontro cartolare.
Nel caso di specie, però, non si trattava di una mera
correzione di calcolo dell’importo delle eccedenze,
bensì di una rettifica dell’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi 1991, senza che
venisse chiarita la ragione di tale rettifica.
Pertanto, l’ufficio finanziario aveva rettificato le eccedenze indicate dai ricorrenti non in base a un errore
materiale o di calcolo commesso dalla parte contribuente e direttamente desumibile dalla dichiarazione presentata, bensì rettificando surrettiziamente e
immotivatamente l’eccedenza d’imposta risultante
dalla dichiarazione dei redditi 1991.
L’eccepita carenza di motivazione – ha rilevato la Suprema Corte - veniva confermata dal fatto che solo in
grado di appello l’Amministrazione finanziaria aveva
precisato le ragioni dell’iscrizione a ruolo.
Come accennato, anche nella cartella di pagamento l’ente impositore ha l’obbligo di chiarire,
sia pure succintamente, le ragioni intese come
indicazione sia della mera causale che della motivazione vera e propria, dell’iscrizione nel ruolo
dell’importo dovuto, in modo tale da consentire
al contribuente un non eccessivamente difficoltoso esercizio del diritto di difesa.
Né è consentito all’Amministrazione esimersi da
questo obbligo affermando che non è necessario riportare nella cartella criteri che siano noti per essere
stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale7.
Le superiori indicazioni, troppo spesso, risultano disattese dall’Amministrazione finanziaria nelle cartelle di pagamento, anche nei casi della contestazione
degli omessi versamenti: basti rilevare la ricorrente
circostanza nella quale la motivazione è del tenore
omesso/carente/tardivo versamento, fattispecie tutte diverse che richiederebbero, invece, una dettagliata spiegazione. È ben diversa infatti la circostanza
dell’omesso versamento (che comporta la debenza
dell’intera imposta, con relative sanzioni e interessi dalla data di scadenza del singolo pagamento) da
quella del carente versamento (che richiederebbe di
sapere l’entità del versamento originariamente dovuto da confrontarsi con quello effettivamente eseguito, con la conseguente quantificazione di interessi
e sanzioni da calcolarsi sul residuo dovuto) ovvero
da quella del tardivo versamento (che impone un
raffronto tra la data di scadenza e quella di effettivo
pagamento, con consequenziali sanzioni e interessi). Anche in tali circostanze l’obbligo di motivazione
deve essere assolto nel rispetto dei presupposti di
Sentenza n.15638/04.
Cfr. Cassazione sent. n.11251/07.
6
7
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
legge, così come ribaditi anche dalla giurisprudenza
di legittimità.
scendo però che la motivazione specifica del provvedimento era limitata all’enunciazione dei meri dati
catastali.
Le regole generali di motivazione degli atti si applicano anche all’Ici e l’eventuale carenza non è sanata dall’impugnazione dell’avviso di accertamento. È
circostanza diffusa quella di trovarsi di fronte ad atti
degli Enti locali composti sostanzialmente da un prospetto con i dati del contribuente e i riferimenti normativi ed una c.d. scheda di liquidazione, nella quale
in modo del tutto acritico vengono riportati i dati catastali degli immobili, l’imposta che si assume dovuta e quella da versare. Tante volte, in tali circostanze,
non si comprende per quale ragione gli importi che
l’Amministrazione comunale richiede sono superiori
a quelli versati. Orbene, anche in materia di Ici un
atto può ritenersi motivato non soltanto quando illustra i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla
base della pretesa tributaria, ma anche e soprattutto
quando mette il contribuente in grado di comprendere le ragioni della pretesa.
La carenza di motivazione negli atti di classamento e nei tributi locali
I principi illustrati in tema di presupposti di fatto e
ragioni giuridiche poste a fondamento della pretesa erariale costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e si applicano anche alle altre
imposte. In tema di classamento immobiliare l’atto
privo di concreta motivazione che rinvia a formule
stereotipate che non lasciano realmente comprendere le ragioni per le quali sarebbe cambiato il valore
fiscale di un’abitazione è viziato e, come tale, nullo.8.
Quando procede all’attribuzione d’ufficio di un nuovo classamento a un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Agenzia del Territorio deve specificare
se tale mutato classamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dalla unità immobiliare in questione; oppure a una risistemazione dei parametri
relativi alla microzona, in cui si colloca l’unità immobiliare. Nel primo caso, l’Agenzia deve indicare le trasformazioni edilizie intervenute. Nel secondo caso,
deve indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito
di significativi e concreti miglioramenti del contesto
urbano; rendendo così possibile la conoscenza dei
presupposti del riclassamento da parte del contribuente.
Osserva la Cassazione che l’avviso dell’Agenzia del
Territorio è conseguente alla richiesta del Comune
di provvedere alla verifica dei classamenti in essere
e dell’eventuale assegnazione di nuovi classamenti,
per una serie di fabbricati con valori non aggiornati
ovvero palesemente non congrui rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche; dunque
l’attribuzione di rendita è stata eseguita sulla base
delle disposizioni fondate sull’estimo comparativo.
L’Agenzia aggiungeva di avere effettuato il nuovo
classamento tenendo conto dei caratteri tipologici e
costruttivi specifici dell’immobile, delle sue caratteristiche edilizie e del fabbricato che lo comprende,
anche attraverso un dettagliato esame delle mutate capacità reddituali degli immobili ricadenti nella
stessa zona aventi analoghe caratteristiche tipologiche, costruttive e funzionali, nonchè della qualità
urbana e ambientale del contesto insediativo, che
aveva subito significativi miglioramenti a seguito
dell’incremento delle infrastrutture urbane, ricono-
Conclusioni
La carenza di motivazione di un atto costituisce eccezione tipica di molti ricorsi, alla quale ciascun difensore fatica a rinunciare. Pur tuttavia, se un atto è
realmente carente di motivazione e non se ne comprendono le ragioni, la difesa dovrebbe limitarsi a
poche righe nelle quali si rileva il vizio. Nulla più.
Inserire la subordinata - per tuziorismo difensivo,
come si ama dire - nella quale si deduce con dovizia di particolari nel merito della controversia
e si mostra di avere, in realtà, ben compreso per
quale motivo l’erario avanza le proprie pretese,
vuol dire esporsi alla osservazione di controparte
di aver sanato il vizio, avendo potuto esercitare
in modo compiuto il proprio diritto di difesa.
Una buona regola è quella di verificare con attenzione se nel proprio atto di controdeduzioni l’ufficio
impositore integri l’eccepita carenza di motivazione,
ponendo in essere un comportamento già più volte
censurato dalla giurisprudenza e offrendo così una
buona chance alla parte contribuente, che potrà valorizzare il vizio con un’apposita memoria illustrativa.
Cfr. Cass.n.2386/14, id. n.17322/14.
8
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
La prova: un esempio applicativo riferito alle
contestazioni sugli immobili di lusso per il disconoscimento delle agevolazioni “prima casa”
di Luigi Ferrajoli - avvocato patrocinante in Cassazione, dottore commercialista, revisore legale e direttore
scientifico della rivista Accertamento e Contenzioso
Il processo tributario è caratterizzato da un sistema probatorio che si distingue da quello vigente nel
contenzioso civile sia sotto l’aspetto delle limitazioni all’utilizzo di mezzi di prova sancite dall’art.7 D.Lgs.
n.546/92, sia in considerazione della circostanza che attore sostanziale nel procedimento tributario
è quasi sempre il fisco. Per meglio comprendere come le parti possano procedere nell’acquisizione
delle prove necessarie a sostenere in giudizio le proprie tesi difensive, è opportuno esaminare una
fattispecie concreta, ossia il caso delle contestazioni sugli immobili di lusso per il disconoscimento delle
agevolazioni c.d. prima casa.
La natura documentale del processo tributario
re (di persona o per mezzo di procuratore generale o
speciale) per fornire chiarimenti; di richiedere dati e
notizie relative ai contribuenti a uffici pubblici, banche, compagnie di assicurazioni, o di chiedere copie
ed estratti di documenti presso notai, conservatori
dei registri immobiliari.
Al fine di capire quale sia, in linea generale, l’onere probatorio posto in capo al contribuente e quale
quello di pertinenza dell’Amministrazione finanziaria
nel contenzioso tributario, è opportuno iniziare da
una breve analisi dei mezzi di prova posti a disposizione delle parti dal nostro sistema normativo.
Il processo tributario ha natura fondamentalmente
documentale, essendo informato al principio cardine di economia processuale e non essendo neppure
strutturato in modo da permettere l’acquisizione di
una prova orale.
L’articolo 7, co.4 D.Lgs. n.546/92 stabilisce infatti
espressamente il divieto di assunzione della prova
testimoniale e del giuramento della parte.
La prova regina del contenzioso è quindi quella scritta, che può essere o prodotta dalle parti in giudizio,
oppure acquisita dai giudici di propria iniziativa,
come statuito dal co.3 del predetto art.7 che prevede la possibilità che le parti, per ordine del giudice,
producano in qualunque fase del processo ogni documento ritenuto necessario per la decisione.
Il comma 2 dell’art.7 concede inoltre alle Commissioni la facoltà di disporre una c.t.u. quando occorra
l’acquisizione di elementi conoscitivi di particolare
complessità, chiedendo la redazione di apposite relazioni sia ad organi tecnici dell’Amministrazione dello Stato e del Corpo della GdF, sia a consulenti tecnici
nominati ad hoc dalla stessa Commissione.
Anche se non esplicitamente indicato nella norma, è
infine pacificamente riconosciuto ai giudici tributari
anche il potere di invitare il contribuente a compari-
È importante evidenziare che il processo tributario risulta sostanzialmente dispositivo, con solo
alcuni elementi propri di quello inquisitorio, poiché i Giudici possono sì esercitare alcuni poteri
istruttori - quali tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta - tuttavia devono attenersi
entro i limiti dei fatti dedotti dalle parti.
Nella disciplina del contenzioso tributario ha inciso anche la riforma del processo civile di cui alla L.
n.69/20, che ha istituzionalizzato il principio di non
contestazione di cui all’art.115 c.p.c. e ha recepito
l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale
i fatti allegati da una delle parti vanno considerati
pacifici se la controparte li abbia esplicitamente ammessi, ovvero abbia assunto una posizione difensiva
incompatibile con la loro negazione, ammettendone, così, implicitamente l’esistenza.
Il giudice tributario non è infatti tenuto ad acquisire
di ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuitigli dal citato art.7, trattandosi di poteri meramente
integrativi dell’onere probatorio principale che resta
a carico delle parti.
Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria dovrà
necessariamente contestare nei propri scritti difen-
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
sivi tutti i fatti che vengono enunciati nel ricorso dal
contribuente, altrimenti i giudici non potranno che
ritenerli per ammessi, senza alcuna ulteriore attività
istruttoria.
fiche da effettuarsi, anche tramite la cooperazione
della GdF, presso i contribuenti, con le garanzie previste dalla L. n.212/00 (ossia lo “Statuto del contribuente”) a tutela della privacy dei medesimi.
L’Amministrazione finanziaria può inoltre inviare
inviti a comparire personalmente o con rappresentante per fornire dati/notizie rilevanti per l’accertamento; inviti ad esibire o a trasmettere atti
e documenti; questionari relativi a dati/notizie di
carattere specifico, con obbligo di compilazione
e restituzione; può, inoltre, richiedere agli organi
e alle Amministrazioni dello Stato, dati e notizie
relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie; richiedere a notai e altri pubblici ufficiali atti e documenti depositati; invitare ogni altro
soggetto ad esibire o trasmettere atti o documenti
fiscalmente rilevanti, concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi.
Al riguardo è bene ricordare che, in virtù del generale principio contenuto all’art.6, co.4 L. n.212/00 e
all’art.18, co.2 L. n.241/90 (recante “Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi”), la P.A. non
può richiedere al contribuente dati, documenti ed
informazioni che siano già in proprio possesso, ovvero detenuti istituzionalmente da altre Pubbliche
Amministrazioni, in virtù del consolidato principio di
leale collaborazione che dovrebbe informare il rapporto tra P.A. e privati.
Inoltre vi sono le indagini finanziarie: gli uffici e la
GdF possono richiedere, previa apposita autorizzazione, ai soggetti sottoposti a controllo il rilascio di
una dichiarazione contenente l’indicazione dei rapporti intrattenuti con istituti bancari e assicurativi;
inoltre possono richiedere a banche ed assicurazioni,
sempre previa apposita autorizzazione, dati notizie e
documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto
od operazione effettuata.
Infine, il nostro sistema normativo concede al fisco la
possibilità di utilizzare una serie di presunzioni1 che
vanno a incidere sulla ripartizione dell’onere della
prova tra contribuente e Fisco; in particolare le presunzioni semplici hanno avuto enorme diffusione nel
L’onere della prova nel processo tributario
Nel diritto civile, il principio cardine in materia di prove è sancito dall’art.2697 cod.civ. che prevede che
“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare
i fatti che ne costituiscono fondamento”.
In applicazione di tale principio l’onere della prova
è posto in primo luogo a carico di colui che riveste
nel contenzioso il ruolo di attore in senso sostanziale. Poiché nella maggior parte dei casi il giudizio
tributario verte sulla contestazione, da parte del
privato, di un presunto diritto dell’Amministrazione finanziaria alla riscossione di tributi, alla stregua del principio sopra enunciato incombe sul
Fisco l’onere di provare i fatti che costituiscono il
fondamento della pretesa tributaria.
Ed invero in un giudizio tributario avente quale oggetto, ad esempio, l’impugnazione di un atto impositivo (avviso di accertamento o avviso di liquidazione
di imposta), il ricorrente solitamente riveste il ruolo di attore solo in senso formale; ovviamente sono
fatti salvi i casi in cui sia il contribuente a chiedere
il riconoscimento del suo diritto a un’esenzione, a
un rimborso o a un’agevolazione: in tali ipotesi è da
considerare un attore in senso sostanziale e l’onere
della prova graverà in prima battuta sul medesimo
ricorrente.
Prima interessata a raccogliere e precostituirsi le
prove in ordine alla fondatezza del provvedimento
amministrativo è quindi la stessa Amministrazione finanziaria, che deve necessariamente operare prima
che inizi il processo vero e proprio.
Al riguardo è interessante richiamare brevemente
quali siano i poteri di cui dispone il fisco nell’istruttoria amministrativa e quali i mezzi di prova concessi
dal diritto tributario.
Nel nostro ordinamento non esiste un testo organico
che disciplina unitariamente la materia delle attribuzioni ed i poteri degli uffici che, in linea di massima,
sono contenuti all’interno di due diverse fonti normative:
a) il d.P.R. n.633/72, in tema di imposta sul valore
aggiunto;
b) il d.P.R. n.600/73, in tema di imposte dirette.
Innanzitutto, il fisco ha ampi poteri ispettivi che si
possono concretizzare in accessi, ispezioni e veri-
1
Le presunzioni, definite dall’art.2727 cod.civ. come le conseguenze che
la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato,
si distinguono in: legali assolute, previste ex lege e per le quali non è
ammessa prova contraria; legali relative, previste ex lege ma che ammettono prova contraria da parte del soggetto contro il quale sono stabilite;
semplici: si tratta di deduzioni che il giudice può trarre, in presenza di
circostanze gravi, precise e concordanti, per formare il proprio convincimento in relazione a fatti non provati.
49
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
processo tributario (si pensi ai vari coefficienti presuntivi, minimum tax, studi di settore).
presenza di più di un ascensore per scala, scala di
servizio etc.).
In particolare, l’art.6 classifica come di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq. esclusi i balconi, le terrazze,
le cantine, le soffitte, le scale e il posto macchina.
Proprio con riferimento alla sussistenza di quest’ultima caratteristica, accade piuttosto frequentemente
che l’Amministrazione finanziaria riqualifichi l’immobile come di lusso, contestando al contribuente l’applicazione dell’agevolazione prima casa e recuperando a tassazione le maggiori imposte dovute.
Qualora il Fisco ritenga che l’abitazione abbia una
superficie utile complessiva maggiore dei 240 mq
previsti dall’art.6 D.M. del 02 agosto 1969, viene
quindi emesso il relativo avviso di liquidazione delle imposte.
L’onere della prova nelle contestazioni sugli immobili di lusso per il disconoscimento
dell’agevolazione “prima casa”
Un interessante esempio di ripartizione dell’onere
della prova tra contribuente e Amministrazione finanziaria è rappresentato dal caso, molto comune,
in cui il fisco attribuisce la qualifica di abitazione di
lusso a un immobile, già oggetto di trasferimento,
con conseguente disconoscimento dell’agevolazione
prima casa.
Com’è noto, nei trasferimenti di immobili, sia inter
vivos che mortis causa, qualora l’abitazione soddisfi
alcuni requisiti, i contribuenti possono dichiarare di
usufruire dell’agevolazione prima casa con conseguente trattamento fiscale più favorevole con riferimento all’Iva, all’imposta di registro e alle imposte
ipocatastali.
Per quanto riguarda i trasferimenti soggetti a Iva, il
numero 21 della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R.
n.633/72 (aliquota del 4%) prevede che sia possibile
fruire delle agevolazioni prima casa per le abitazioni
“non di lusso”, da individuare secondo i criteri dettati
dal D.M. 2 agosto 1969.
In caso di trasferimento di proprietà di abitazioni derivanti da successioni, l’art.69, co.3 L. n.342/00 consente, per gli immobili non qualificabili come di lusso, il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale
in misura fissa, in luogo della misura percentuale,
qualora sussistano i requisiti e le condizioni previste
in materia di acquisto della prima casa di cui all’art.1,
co.1, quinto periodo, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n.131/862.
I criteri per individuare un’abitazione di lusso
sono appunto individuati dal D.M. 2 agosto 1969:
gli articoli da 1 a 7 qualificano come di lusso alcune tipologie di unità immobiliari che presentano specifici requisiti, mentre l’art. 8 del decreto
stabilisce che sono considerate di lusso le case e
le singole unità immobiliari che presentano oltre
4 delle caratteristiche indicate nella Tabella allegata al decreto (superficie superiore a 160 mq,
Il problema in questo ambito nasce principalmente dal fatto che manca una definizione normativa del concetto di superficie utile complessiva:
la materia è contraddistinta da oggettivi profili
di criticità se si considera, da un lato, l’oggettiva arretratezza della norma di legge e, dall’altro,
la totale assenza di univoci criteri interpretativi,
siano essi di natura legislativa, di prassi ministeriale o giurisprudenziale, poiché anche dottrina e
giurisprudenza non concordano sul significato da
attribuire al concetto in esame.
L’Amministrazione finanziaria fa propria un’interpretazione legislativa particolarmente ampia, secondo
cui la locuzione superficie utile implicherebbe un
concetto più ampio rispetto a quello direttamente
riferibile alla superficie abitabile, facendo quindi rientrare nel novero delle superfici utile complessiva
anche locali interni all’abitazione privi del requisito
dell’abitabilità.
Secondo tale orientamento, al fine di ottenere la superficie utile complessiva dell’immobile sarebbe necessario conteggiare tutta la zona interna dell’abitazione, compresi i muri perimetrali, i tramezzi interni,
in quanto “il criterio della norma non è quello della
calpestabilità (poiché tale caratteristica riguarderebbe anche le zone esterne) ma quello dell’appartenenza alla parte interna dell’unità abitativa” (CTR
Lazio sentenza n.44/08).
Inoltre, risulterebbe irrilevante sia l’eventuale difetto di abitabilità o agibilità (Cassazione, sentenza
n.12942/13), sia l’abusività di una parte degli stessi
(Cassazione, sentenza n.12517/13).
Ma come opera in concreto l’Amministrazione per
Analogamente avveniva in materia di imposta di registro sino al 1 gennaio del 2014, tuttavia l’art.10 D.Lgs. n.23/11 (come modificato dal D.L.
n.104/13, come convertito dalla L. n.128/13 e dalla Legge di Stabilità
2014) ha previsto che, dall’inizio dell’anno in corso, le agevolazioni “prima casa” applicabili all’imposta di registro per i trasferimenti di abitazioni sono vincolate alla categoria catastale in cui è classificato o classificabile l’immobile e non più alle caratteristiche individuate dal D.M. 2
agosto 1969.
2
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
ricostruire la superficie dell’immobile?
L’attività di accertamento da parte dell’Ufficio dovrebbe trovare il proprio necessario fondamento
nella preventiva verifica tecnica da parte dell’Agenzia del Territorio (organo istituzionalmente preposto,
come peraltro indicato anche nel relativo sito web,
ad “assicurare al cittadino e ai professionisti, alle
pubbliche amministrazioni, agli enti pubblici e privati, una corretta ed efficace gestione dell’anagrafe dei
beni immobiliari attraverso l’offerta di servizi relativi
al catasto, alla pubblicità immobiliare ed alla cartografia”).
Il contribuente oggetto di accertamento viene invitato, con apposita comunicazione, a consentire il sopralluogo tecnico dell’Agenzia del Territorio “al fine
di esprimere motivato parere in merito a quanto richiesto dalla nominata Agenzia delle Entrate”. Solo
nell’eventualità in cui il predetto sopralluogo non
dovesse essere reso possibile, la valutazione circa
la sussistenza dei requisiti di abitazione non di lusso
dovrebbe essere svolta sulla base “della documentazione agli atti dello scrivente”.
Al contrario, molto spesso il fisco si limita a recepire le metrature ricavate dagli estratti catastali, senza
considerare l’effettivo utilizzo e lo stato degli ambienti che compongono l’immobile; in tal modo, l’ufficio procede con la contestazione della decadenza
dai benefici “prima casa” omettendo qualsiasi tipo di
verifica di carattere tecnico da parte dell’Agenzia del
Territorio, fondando la propria pretesa sulla base del
mero esame delle planimetrie catastali e senza fornire alcun criterio e/o parametro che consenta al contribuente di comprendere il calcolo effettuato per
quantificare in concreto la superficie dell’immobile.
Ovviamente un atto impositivo fondato sulla perizia
di un tecnico che abbia proceduto al sopralluogo e
alla misurazione delle superfici dell’immobile, con
indicazione dei criteri utilizzati, risulterà più difficilmente impugnabile rispetto a un atto nel quale vengono solo riportate le misure presenti negli estratti
catastali, senza alcun riferimento allo stato degli ambienti e ai criteri utilizzati per il calcolo.
tamente letterale dell’art.6 D.M. 2 agosto 1969, si
finirebbe per comprendere nel calcolo della superficie rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota
agevolata alcuni locali a prescindere che siano agibili
o meno, estromettendone invece altri, identici per
caratteristiche e dimensioni, esplicitamente espunti
dalla lettera del testo.
Applicando questo principio ai casi concreti, potrebbe accadere che una cantina verrebbe correttamente esclusa dal calcolo per esplicito riferimento
di legge, mentre ad esempio un locale lavanderia,
pur avente le medesime dimensioni e caratteristiche
tecniche della cantina e a essa adiacente, dovrebbe
essere computato nel calcolo.
Inoltre l’adozione del criterio “dell’appartenenza alla
parte interna dell’unità abitativa” imporrebbe di
computare nel calcolo anche soffitte, scale e cantine, ambienti volontariamente esclusi dal Legislatore.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, se
l’intenzione del Legislatore fosse stata quella di comprendere nella definizione di superficie utile complessiva tutti gli spazi interni all’abitazione, fino a
estenderla a muri, tramezzi, ecc, certamente avrebbe utilizzato la locuzione “superficie lorda” ovvero
“superficie totale complessiva”.
Di conseguenza, la definizione di superficie utile
complessiva dovrebbe presupporre quale requisito
minimo la concreta utilizzabilità e vivibilità degli spazi abitativi, finendo per coincidere con la nozione di
superficie abitabile o - quantomeno - agibile.
La Corte di Cassazione ha confermato tale ragionevole interpretazione con diverse pronunce; con riferimento alle soffitte, nell’ordinanza n.17450/10 ha
precisato in particolare che
“al fine di stabilire se la singola unità immobiliare
non superi i limiti massimi di superficie per la sua
qualificabilità come abitazione non di lusso, secondo la previsione del D.M. 2 agosto 1969, l’indagine diretta ad accertare se una soffitta debba
essere o meno inclusa in detta superficie implica
la necessità di riscontrare se la soffitta medesima
presenti, anche alla stregua dei regolamenti edilizi, le caratteristiche prescritte per l’abitabilità”.
L’onere della prova a carico del contribuente
Il contribuente può contestare la ricostruzione operata dall’Ufficio basandosi sia su elementi certi e oggettivi sia su una diversa interpretazione, più restrittiva, del concetto di superficie utile complessiva.
Con riferimento a tale ultimo aspetto, è necessario
richiamare quella parte della giurisprudenza secondo cui, se si aderisse a un’interpretazione stret-
Secondo tale orientamento di legittimità la superficie rilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota
agevolata per l’acquisto della prima casa è quindi
soltanto quella abitabile e agibile e il contribuente
può quindi evidenziare nelle proprie difese la carenza del requisito di abitabilità e agibilità relativamente
a locali inclusi nei conteggi dell’Agenzia delle Entrate.
51
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
A tal fine è necessaria una perizia di stima, dalla quale risultino individuati gli ambienti che compongono
l’immobile, le relative metrature e le specifiche caratteristiche e destinazioni d’uso; è inoltre opportuno
che l’elaborato peritale sia corredato di fotografie che
ritraggano l’effettivo stato degli ambienti indicati.
È opportuno inoltre allegare eventuali dichiarazioni
Docfa presentate per denuncie di variazione dalle
quali risulti una metratura inferiore a quella rilevata
dall’Agenzia o una distribuzione degli spazi che comprenda anche locali espressamente esclusi dal conteggio dell’art.6 D.M. 2 agosto 1969.
L’accertamento dell’Ufficio può essere contestato
anche richiamando eventuali norme urbanistiche,
ad esempio regolamenti edilizi comunali, che prevedano il divieto di utilizzare come spazi abitativi alcuni
ambienti non espressamente compresi nell’elenco di
cui all’art.6 D.M. 2 agosto 1969 o dai quali emerga
una particolare restrizione nell’utilizzo di ambienti
privi di certe caratteristiche.
Infine, è possibile produrre documentazione inerente immobili situati nella medesima zona dell’abitazione oggetto di accertamento e aventi caratteristiche
analoghe, per i quali sia stata applicata l’agevolazione prima casa senza alcuna contestazione da parte
dell’Ufficio.
Conclusioni
Nel caso in esame, in applicazione del principio
generale di riparto dell’onere della prova di cui
all’art.2697 cod.civ., l’Amministrazione finanziaria
dovrà dimostrare, quale attore sostanziale, che l’immobile oggetto di accertamento ha una superficie
maggiore dei 240 mq. previsti dall’art.6 D.M. 2 agosto 1969, mentre il contribuente potrà confutare la
tesi del Fisco sulla base di una diversa e documentata ricostruzione della planimetria dell’immobile e
dell’utilizzo degli spazi interni.
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO PENALE TRIBUTARIO
Accertamento con adesione che determina la riduzione delle imposte sotto le soglie stabilite dal
D.Lgs. n.74/00: quale rilevanza penale?
di Luigi Ferrajoli - avvocato patrocinante in Cassazione, dottore commercialista, revisore legale e direttore
scientifico della rivista Accertamento e Contenzioso
Il contribuente che si avvale del procedimento di accertamento con adesione previsto dal D.Lgs. n.218/97
con le conseguenti riduzioni di imposte e sanzioni si trova poi spesso ad affrontare un processo penale
riguardante le fattispecie di reato connesse alle violazioni tributarie accertate dal fisco. Vediamo
quali sono le conseguenze a livello penale della rideterminazione degli importi effettuati dal fisco in
contraddittorio con il contribuente con particolare riferimento all’ipotesi di riduzione delle imposte al
di sotto delle soglie di punibilità sussistenti nel nostro ordinamento penale-tributario.
Gli effetti dell’accertamento con adesione
nell’ambito penale
Tra gli strumenti alternativi al contenzioso con il Fisco, l’accertamento con adesione è sicuramente tra
quelli più utilizzati da contribuenti e Amministrazione finanziaria grazie agli effetti premiali che conseguono a vantaggio di entrambe le parti.
Tramite lo svolgersi del contraddittorio tra fisco e
contribuente, il primo riesce ad ottenere in tempi
rapidi la soddisfazione della propria pretesa impositiva e il secondo evita le lungaggini e le incertezze
del contenzioso tributario a fronte di vantaggi certi
in ordine a riduzione di imposte e sanzioni.
La scelta del contribuente di trovare un accordo con
il fisco è inoltre spesso influenzata dagli ulteriori vantaggi che ne possono derivare, tra i quali preminente
importanza hanno i riflessi sugli eventuali risvolti penali della vicenda tributaria.
Il D.Lgs. n.74/00 ha confermato il principio della
piena e reciproca autonomia (c.d. regime del “doppio binario”) tra procedimento penale, processo
tributario e procedimento amministrativo di accertamento, escludendo qualsiasi rapporto di pregiudizialità: l’attività di accertamento degli uffici e i
contenziosi avanti alle Commissioni tributarie proseguono il loro iter anche nelle ipotesi in cui sia in
corso un procedimento penale avente a oggetto i
medesimi fatti.
Nel rispetto di tale principio, parte della giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha riconosciuto un
importante canone, ossia quello della rilevanza della
riduzione delle imposte, operata dal fisco con l’accertamento con adesione, anche ai fini della configurabilità di fattispecie di reato.
Il principale vantaggio della procedura di accertamento con adesione, regolata dal D.Lgs. n.218/97, è
ovviamente il fatto che le sanzioni comminate dal fisco vengono ridotte ad un terzo del minimo ex art.2,
co.5 D.Lgs. n.218/97.
Ma vi è di più.
A indurre il contribuente a rinunciare a impugnare
l’atto impositivo sono anche gli effetti del concordato sugli eventuali rilievi penali che conseguono alle
violazioni tributarie accertate dal fisco.
Infatti, il pagamento delle somme dovute rappresenta
una circostanza attenuante dei reati stessi, le sanzioni
penali previste vengono ridotte fino a un terzo, mentre quelle accessorie non vengono applicate.
Il comma 3 dell’art.2 del D.Lgs. n.218/97 prevede
che l’accertamento con adesione “non rileva ... ai
fini extratributari”: non può quindi essere utilizzato in altri ambiti, quali il processo penale, come
prova o come indizio di colpevolezza.
In realtà, per le adesioni perfezionate entro il 14 aprile 2000 (ossia prima dell’entrata in vigore del D.Lgs.
n.74/00) era previsto un ben più incisivo effetto premiale, poiché il co.3 dell’art.2 D.Lgs. n.218/97 disponeva con effetto retroattivo la non punibilità per alcune fattispecie di reato: “La definizione esclude, anche
con effetto retroattivo, in deroga all’art.20 della L. n.4
del 7 gennaio 1929, la punibilità per i reati previsti dal
D.L. n.429/82, convertito, con modificazioni, dalla L.
n.516/82, limitatamente ai fatti oggetto dell’accertamento; la definizione non esclude comunque la punibilità per i reati di cui agli artt.2, co.3, e 4 del medesimo
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO PENALE TRIBUTARIO
D.L. [ossia mancato versamento di ritenute d’imposta,
occultamento e distruzione di scritture contabili e ipotesi di falso e frode fiscale]”.
Con l’entrata in vigore della nuova disciplina dei reati sulle imposte dei redditi e sull’Iva di cui al D.Lgs.
n.74/00, tale effetto premiale di esclusione della
punibilità non è stato più previsto in conseguenza
dell’accertamento con adesione, ma è stata introdotta ad hoc una circostanza attenuante speciale.
tra contribuente e ufficio, l’imposta evasa si collochi
sotto la rilevanza penale?
Com’è noto, la disposizione incriminatrice dell’art.4
L. n.74/00 in materia di infedele dichiarazione prevede infatti, ai fini della punibilità, una soglia al di sotto
della quale la condotta non ha rilevanza penale.
Il superamento della soglia, rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa, costituisce una condizione oggettiva di punibilità in mancanza della quale
l’interesse dell’Amministrazione finanziaria è presidiato esclusivamente dalle conseguenze civilistiche
della violazione dell’obbligo posto a carico del contribuente (interessi di mora e sanzioni).
Qualora nel corso di un accertamento emerga che
la violazione tributaria contestata abbia comportato
il superamento delle soglie di punibilità, l’Amministrazione finanziaria invia alla competente Procura
della Repubblica una comunicazione di notizia di reato; qualora successivamente l’accertamento venga
definito con l’individuazione di un’imposta evasa al
di sotto della soglia di punibilità, quindi inferiore a
quella contestata in precedenza, può accadere che lo
stesso ufficio segnali alla Procura l’avvenuta definizione senza rilevanza penale e che, di conseguenza,
la segnalazione venga archiviata.
Ciò tuttavia avviene nella pratica professionale molto raramente e più spesso il procedimento penale
segue il suo corso, sfociando nel processo vero e
proprio.
Nel silenzio della legge sul punto, la problematica
della rilevanza dell’esito dell’adesione ai fini della
successiva configurabilità del reato tributario è stata
oggetto di dibattito nella giurisprudenza di merito e
di legittimità, con esiti altalenanti.
L’articolo 13, co.1 D.Lgs. n.74/00 prevede infatti
che “le pene previste per i delitti di cui al presente
decreto sono diminuite fino ad un terzo e non si
applicano le pene accessorie indicate nell’articolo
121 se, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono
stati estinti mediante pagamento, anche a seguito
delle speciali procedure conciliative o di adesione
all’accertamento previste dalle norme tributarie”
Poiché nel testo della norma non viene precisato chi
sia il soggetto che deve procedere al pagamento,
tale attenuante speciale può essere concessa anche
nel caso in cui l’obbligazione tributaria venga estinta
da un soggetto diverso dall’autore della violazione,
come peraltro precisato dalla Circolare n.154/E/00.
Inoltre, l’art.14 del medesimo D.Lgs. n.74/00 prevede che se i debiti indicati nell’art.13 risultano
estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato
per reati tributari può comunque essere ammesso
a pagare, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, una somma a titolo di
equa riparazione del danno cagionato all’interesse
pubblico tutelato dalla norma violata; tale somma
non può essere inferiore a alla pena minima prevista
per il delitto contestato. Con il pagamento la pena è
diminuita fino alla metà e non si applicano le pene
accessorie; in caso di assoluzione o di proscioglimento la somma pagata è restituita.
La più recente giurisprudenza è giunta ad affermare al riguardo che, se a seguito della procedura di adesione l’importo dell’imposta accertata dall’Ufficio si riduca al di sotto della soglia
di punibilità, il reato non è ipotizzabile, a meno
che non vi siano concreti elementi di fatto da cui
risulti che l’iniziale quantificazione dell’imposta
dovuta fosse più attendibile rispetto a quella derivata dall’adesione.
La riduzione delle imposte sotto la soglia di
punibilità di cui al D.Lgs. n.74/00
Ma cosa succede nel caso in cui, all’esito dell’accordo
Le sanzioni accessorie previste dall’art.12 D.Lgs. n.74/00 sono:
a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
b) l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per un
periodo non inferiore ad un anno e non superiore a 3 anni;
c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia
tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore
a 5 anni;
d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di Commissione
Tributaria;
e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’art.36 c.p..
1
Ciò in quanto al giudice penale verrebbe riconosciuto un autonomo potere di valutazione, in forza del
quale questi potrebbe quantificare l’imposta evasa
in modo del tutto indipendente rispetto agli esiti degli accertamenti tributari, il che costituisce il principale nodo della questione.
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO E TRIBUTARIO
La posizione della giurisprudenza di merito e di legittimità
La giurisprudenza di merito si è da tempo occupata della tematica in esame; in particolare si sono
pronunciati sul punto con esiti simili sia il Gip presso il Tribunale di Torino con sentenza del 7 settembre 2010, sia il Tribunale di Milano con la sentenza
n.1826 del 5 febbraio 2009.
Con le predette pronunce, entrambe inerenti la
fattispecie di reato di dichiarazione infedele di cui
all’art.4 D.Lgs. n.74/00, i giudici hanno riconosciuto
che, a seguito dell’accertamento con adesione nel
quale l’Ufficio aveva parzialmente accolto le tesi del
contribuente con conseguente rideterminazione
dell’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità, il reato era venuto meno.
Il giudice torinese in particolare ha evidenziato che
Tale orientamento è stato condiviso dalla sentenza
n.17706/13, mentre la sentenza n.5640/12 è giunta
a conclusioni in parte diverse, accogliendo la tesi difensiva del contribuente e soffermandosi sulla qualificazione della procedura di accertamento con adesione quale atto negoziale.
In quest’ultima pronuncia i giudici di legittimità hanno ribadito che spetta esclusivamente al giudice
penale l’accertamento e la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa attraverso una verifica
che può anche sovrapporsi e contraddire gli esiti del
procedimento amministrativo tributario.
Secondo la Suprema Corte, il giudice penale non è
vincolato dall’esito del giudizio tributario, ma non
può prescindere dalla pretesa dell’Amministrazione finanziaria che fissa il limite della soglia di punibilità; in ogni caso, non ha vincoli neanche dal
limite dell’imposta definita in adesione ma, per
discostarsi da tale nuovo dato quantitativo, per tenere conto, invece, dell’iniziale pretesa tributaria
dell’Ufficio finanziario, detto giudice deve essere
in possesso di concreti elementi di fatto che fanno
ritenere maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta che aveva fatto scattare l’azione penale.
Nella pronuncia si legge infatti che “L’accertamento
con adesione e ogni forma di concordato fiscale si
collocano sul crinale della distinzione appena tracciata: c’è un’iniziale pretesa tributaria che poi viene
ridimensionata non già dal giudice tributario, ma
da un atto negoziale concordato tra le parti del rapporto. Nondimeno il giudice penale non è vincolato
all’imposta così “accertata”; ma per discostarsi dal
dato quantitativo risultante dall’accertamento con
adesione o dal concordato fiscale per tener conto
invece dell’iniziale pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria al fine della verifica della soglia
di punibilità prevista dagli artt.4 e 5 citati occorre
che risultino concreti elementi di fatto che rendano
maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione
dell’imposta dovuta”.
“la giurisprudenza della V sezione civile (tributaria) e quella della III sezione penale della Suprema Corte si stanno orientando, in maniera sempre più frequente negli ultimi tempi, a favore di
un parziale superamento del doppio binario: se
in una data sede processuale vengono ricostruiti i
fatti in un certo modo, appare assurdo che nell’atra sede tali ricostruzioni fattuali, in omaggio alla
regola del buon senso processuale, siano completamente pretermesse”.
La giurisprudenza di legittimità si è espressa sul tema
con esiti diversi, sempre partendo dal presupposto
che il giudice penale non debba considerarsi vincolato dalle risultanze del procedimento di adesione, ma
che possa valutare autonomamente le risultanze processuali per giungere a un proprio convincimento che
può anche non rispecchiare quanto accertato dal fisco
in sede di contraddittorio con il contribuente.
In tal senso ha concluso la Corte di Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n.24811/11, nella
quale i giudici, respingendo la tesi difensiva del contribuente e richiamando una giurisprudenza risalente, hanno precisato che
“… è altrettanto indubitabile che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs.
n.74/00, art.5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla
determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con
quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice
tributario (cfr. Cassazione penale n.21213/08)”.
Il caso Raul Bova
Con la recente sentenza n.7615/14 la Suprema Corte si è occupata della tematica in esame con riferimento a un famoso personaggio dello spettacolo
italiano.
Si tratta della nota vicenda coinvolgente l’attore Raul
Bova, di cui abbiamo appreso dai giornali, soggetto
che era stato indagato per avere indicato nelle dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi.
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO PENALE TRIBUTARIO
All’esito di verifiche espletate dalla Polizia Tributaria
era infatti emerso che il medesimo avrebbe asseritamente creato con le sorelle e l’ex moglie una società
schermo, alla quale avrebbe poi ceduto i propri diritti di immagine, secondo il fisco allo scopo di ottenere
un indebito risparmio fiscale.
La Procura aveva richiesto il sequestro preventivo
per equivalente di immobili di proprietà dell’indagato per l’importo di circa un milione e mezzo di euro e
la vicenda era giunta in Cassazione.
La difesa dell’attore eccepiva, tra l’altro, che era stato
erroneamente ravvisato il superamento, nelle fattispecie considerate, delle soglie di punibilità previste
dall’art.4 D.Lgs. n.74/00 ed era stata altrettanto erroneamente calcolata l’imposta evasa ai sensi dell’art.
1 del medesimo decreto, derivandone l’erroneo riscontro del fumus commissi delicti.
Infatti, tramite accertamento con adesione, la stessa
Amministrazione finanziaria aveva provveduto alla
ridefinizione degli importi recuperati a tassazione
ponendo la relativa pretesa, per ciascun anno di imposta, al di sotto della soglia di rilevanza penale.
La tesi difensiva dell’indagato si basava sul già citato
consolidato principio giurisprudenziale secondo cui,
sebbene il giudice penale non è vincolato dall’accertamento in sede tributaria, il medesimo non può
prescindere dalla pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria e, con riferimento all’accertamento
per adesione, se è vero che esso non ha efficacia vincolante per il giudice penale, tuttavia, per disconoscerlo e aderire alla quantificazione iniziale, sarebbe
necessario indicare concreti elementi di fatto che
rendono quest’ultima più attendibile rispetto alla rideterminazione negoziale.
La Suprema Corte ha ritenuto fondata la difesa ed ha
accolto il ricorso dell’attore, evidenziando che
escludersi che quest’ultimo pervenga - sulla base di
elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario - a un convincimento diverso e ritenere
nondimeno superata la soglia di punibilità per essere
l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella
accertata nel giudizio tributario.
Nella pronuncia in esame si legge inoltre che
“Gli esiti del giudizio tributario, che può definirsi
anche con una pronuncia meramente in rito, costituiscono un dato ben distinto dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria che fissa il
limite della soglia di punibilità: il giudice penale non
è vincolato all’accertamento del giudice tributario,
ma non può prescindere dalla pretesa tributaria
dell’Amministrazione finanziaria (così sentenza
n.5640/11 - dep. 14/02/2012, Manco, Rv. 251892)”.
I giudici concludono quindi ribadendo la natura di
atto negoziale dell’accertamento con adesione, con
conseguente autonomia del giudice penale che non
è vincolato all’imposta così accertata, ma che per discostarsi dal dato quantitativo risultante dall’accertamento con adesione o dal concordato fiscale deve
verificare la sussistenza di concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale
quantificazione dell’imposta dovuta.
Vi è davvero spazio per un’autonoma valutazione da parte del giudice penale?
Le conclusioni cui giungono gli orientamenti giurisprudenziali sopra indicati, anche nel riconoscere la rilevanza della riduzione delle imposte,
come accertate a seguito di accertamento con
adesione, al di sotto della soglia di punibilità, non
sono tuttavia condivisibili per ragioni di puro carattere tecnico nella parte in cui riconoscono una
autonoma possibilità di valutazione della pretesa
tributaria da parte del giudice penale.
“Il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa costituisce dunque una
condizione oggettiva di punibilità, in mancanza
della quale (ossia al di sotto della predetta soglia)
l’interesse dell’amministrazione finanziaria all’esattezza delle dichiarazioni annuali dei redditi e dell’Iva
è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell’obbligo posto a carico del contribuente
(interessi di mora e sanzioni).”
Innanzitutto si rammenta che l’art.1 lett. f) D.Lgs.
n.74/00 definisce l’imposta evasa quale “differenza
tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata
nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta
nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta
imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”.
L’utilizzo dell’avverbio “effettivamente” indica che
l’imposta da considerare ai fine della valutazione
del superamento o meno della soglia di punibilità è
Secondo la Suprema Corte, è possibile che la pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria venga
ridimensionata o addirittura invalidata nel giudizio
innanzi al giudice tributario, senza che ciò possa
vincolare il giudice penale e senza che possa quindi
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
CONTENZIOSO PENALE TRIBUTARIO
quella risultante dall’esito dell’accertamento tributario una volta divenuto definitivo, come nel caso del
procedimento di accertamento con adesione.
In secondo luogo si evidenzia che il procedimento di
accertamento con adesione non comporta alcuna discrezionalità da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nel contraddittorio con il contribuente vengono
infatti individuate ed espunte dall’atto impositivo le
eventuali parti viziate e annullati i rilievi infondati,
sulla base della mera applicazione tecnica, e non
certo discrezionale, delle norme di diritto tributario
sostanziale.
e non vi sono spazi di discrezionalità amministrativa
suscettibili di valutazione ed eventualmente di censura. Né può detto giudice sostituirsi all’Amministrazione finanziaria per determinare l’entità delle imposte, che solo a essa compete.
A parere dello scrivente, il giudice penale non dovrebbe quindi inserirsi nella valutazione del quantum debeatur già operata dagli organi tecnici del
fisco, sconfessando quanto già determinato in via
amministrativa, poiché in tal modo si potrebbe giungere a risultati aberranti.
L’unica ipotesi nella quale risulterebbe possibile
l’intervento del sindacato penale sul quantum debeatur è quella in cui il procedimento amministrativo risulti oggetto dell’illecito del funzionario del
Fisco, allorquando, ad esempio, questi abbia determinato la pretesa tributaria applicando in senso favorevole al contribuente, magari in cambio di
un proprio illecito vantaggio, la normativa fiscale.
L’accertamento con adesione non può quindi essere qualificato quale istituto transattivo – qual
è nel nostro sistema solo la transazione fiscale
ai sensi dell’art.182-ter Legge Fallimentare2 – ma
rappresenta una forma di autotutela parziale con
la quale il Fisco riconosce l’applicazione errata di
norme e vi pone rimedio.
Il giudice penale chiamato a decidere in relazione
a un’imputazione per la quale l’accertamento con
adesione ha comportato la riduzione dell’imposta
accertata al di sotto della soglia di punibilità non può
pertanto sindacare il merito della determinazione
dell’imposta, in quanto nella stessa si è proceduto
esclusivamente all’applicazione di norme di diritto
In caso contrario, l’unica conclusione possibile del
procedimento penale che giunga dinanzi al giudice
dibattimentale per asserita violazione dell’art.4 senza superamento della soglia di rilevanza dovrebbe
quindi essere la dichiarazione di proscioglimento del
contribuente ex art.129 c.p.p..
L’articolo 182-ter L.F. prevede che con la proposta di concordato preventivo il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, di tributi e contributi limitatamente alla quota di debito avente
natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, a eccezione dei tributi
costituenti risorse proprie dell’Unione europea.
2
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
L’osservatorio di giurisprudenza
di Mara Pilla - dottore commercialista
Diritto tributario – parte generale – reddito
d’impresa
l’imprenditore mira è pur sempre aumentare i ricavi e
conseguire l’utile, quindi aumentare le vendite.
La Cassazione si era già pronunciata sull’argomento,
tentando di precisare la nozione di spese di pubblicità, ritenute di tipo oggettivo poiché basate sull’esigenza di informare i consumatori circa l’esistenza di
beni e servizi prodotti da una determinata azienda,
con l’evidenziazione e l’esaltazione delle relative caratteristiche (Cass. n.17602/08 e nello stesso senso
anche Cass. n.15318/14).
Le spese di rappresentanza vengono, invece, reputate di tipo soggettivo, come quei costi sostenuti
per creare, mantenere o accrescere il prestigio del
nome della società e migliorarne l’immagine, ma
che non danno luogo ad aspettativa di incremento
delle vendite, come nel caso in cui la vendita del prodotto sia già avvenuta (cfr. Cass. n.17645/13, Cass.
n.17602/08, Cass. n.10959/07).
Inoltre, si aggiunga come l’Agenzia delle Entrate concordi con questa interpretazione che distingue le
spese in oggettive e soggettive (Risoluzione n.6/E/98,
Risoluzione n.27/E/14, Circolare n.34/E/09) e come
la Corte di Giustizia, in generale, abbia rilevato “che
la nozione di pubblicità implica necessariamente la
diffusione di un messaggio destinato ad informare il
consumatore dell’esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio, allo scopo di incrementare le
vendite” (Corte Giust. UE C-68/92).
Infine, si sottolinea che in questo tipo di controversie
il punto nodale della questione deve rinvenirsi nella
prova, ritualmente posta a carico del contribuente.
In sede di verifica, infatti, viene chiesta al contribuente, con riferimento alle spese di pubblicità o di
rappresentanza, di norma muovendo dalla pretesa
carenza di documentazione allegata o dalla ritenuta
genericità della descrizione delle fatture, l’esibizione
di documentazione idonea a garantire il requisito
delle certezza e dell’inerenza del costo, necessario
ai fini della deducibilità (ad esempio, non vengono
considerate dai verificatori sufficienti le prove fornite a mezzo di contratti, volantini, foto, perché, a
loro detta, non permetterebbero di individuare né
l’ammontare complessivo delle spese né l’effettiva
attività svolta). Quindi, vengono chieste prove più
specifiche, onde inquadrare il costo tra le spese di
rappresentanza o di pubblicità.
La sottile linea tra spese di rappresentanza e spese
di pubblicità
Le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di
rappresentanza, limitatamente deducibili
In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art.108
del d.P.R. n.917/86, costituiscono spese di rappresentanza quelle sostenute per accrescere il prestigio
e l’immagine dell’impresa, oltre che a potenziarne
le capacità di sviluppo. Costituiscono, invece, spese
di pubblicità o di propaganda, quelle erogate per la
realizzazione di iniziative volte prevalentemente alla
pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.14252/14,
ha stabilito che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei
limiti della normativa vigente, in quanto idonee
al più ad accrescere il prestigio dell’impresa, ove il
contribuente non provi che all’attività sponsorizzata
sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno
commerciale. Nel caso di specie, si trattava di una
contestazione nei confronti di un’impresa che, a seguito dell’acquisto di uno spazio pubblicitario su una
Maserati partecipante ad un campionato sportivo,
aveva classificato il costo tra le spese di pubblicità. E
del resto, l’apposizione del logo della propria azienda su un’auto prestigiosa di tal fatta, nella buona sostanza è certamente rivolta proprio a incrementare
le vendite dell’azienda, non il mero prestigio fine a
se stesso. Si trattava, quindi, non dell’ipotesi di sponsorizzazione classica, ossia quella in cui lo sponsee si
impegna ad offrire spazi per la promozione del nome
dello sponsor a fronte di un corrispettivo in denaro,
ma riguardava il caso in cui lo sponsor, a fronte di un
corrispettivo, mette a disposzione uno spazio sull’autovettura per il logo dello sponsee, decisamente più
prestigioso dello sponsor.
In generale, per determinare se le spese (di rappresentanza, di pubblicità, di sponsorizzazione), quale
che sia il loro inquadramento in una specifica categoria, siano o meno deducibili, è necessario preliminarmente verificare oltre alla loro inerenza, l’effettiva
finalità dei costi sostenuti. Tuttavia, non può non rilevarsi come, nonostante i numerosi distinguo, ciò cui
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
Diritto tributario – parte generale – Irap
Attività medica, Irap e autonoma organizzazione
Il presupposto dell’autonoma organizzazione da verificare a mezzo di accertamento in fatto
L’assenza di personale dipendente esclude il requisito dell’autonoma organizzazione, ma anche la presenza di un dipendente part-time lo esclude.
La giurisprudenza ha più volte ribadito la non debenza dell’Irap in capo a un medico, libero professionista, sulla base della considerazione per
cui l’esatto senso da attribuire all’espressione autonomamente organizzata non è quello di carattere soggettivo, ma quello di carattere oggettivo,
che impone la necessità di accertare la presenza o
l’assenza in concreto degli elementi di organizzazione1. E difatti, la Corte Costituzionale (n.156/01)
si era espressa nei seguenti termini: “è evidente
che nel caso di un’attività professionale che fosse
svolta in assenza di elementi di organizzazione, il
cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero
fatto, risulterà mancante il presupposto stesso
dell’imposta sulle attività produttive”. La stessa
Agenzia delle Entrate (Circolare n.45/E/08) era già
intervenuta uniformandosi alla giurisprudenza.
Più recentemente, la Corte di Cassazione, con sentenze n.15306/14, ha confermato l’orientamento
secondo il quale “la disponibilità, da parte dei medici…di uno studio…non integra, di per sé, in assenza
di personale dipendente, il requisito dell’autonoma
organizzazione”2.
Inoltre, si segnala anche la sentenza della Corte di
Cassazione n.13613/14, la quale ha sottolineato
come la giurisprudenza tenda ad escludere “che la
presenza di un dipendente part-time costituisca elemento che, di per sé, provi la sussistenza” di un’autonoma organizzazione3.
Sempre in tema di attività medica, si evidenzia Cass.
n.2589/14, la quale si è espressa in favore di un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, mentre in senso contrario, invece, si è pronunciata la CTR Umbria n.212/04/13, la quale ha ritenuto
che il medico generico convenzionato con il Servizio
sanitario nazionale, che esercita la propria attività in
più studi, dispone di una organizzazione superiore
allo standard minimo.
Decentramento fiscale
Sull’applicabilità o meno della maggiorazione
dell’aliquota Irap disposta dalla legge della Regione
In tema di Irap, l’art.16, co.3, del D.L.gs. n.446/97,
dà facoltà alle Regioni di incrementare la relativa aliquota fino a un massimo di un punto percentuale e
deve essere interpretato coerentemente con l’intento del Legislatore di perseguire obiettivi di autonomia e decentramento fiscale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.13453/14,
è tornata a pronunciarsi sul tema della maggiorazione dell’aliquota Irap disposta dalla Legge regionale, in
particolare dalla Regione Veneto, n.34 del 22 novembre 2002, affermando che “in tema di Irap, l’art.16,
co.3 D.Lgs. n.446/97, … deve essere interpretato coerentemente con l’intento del legislatore di perseguire
obiettivi di autonomia e decentramento fiscale; nella
stessa ottica va inteso anche il disposto dell’art.3, co.1,
lett. a) L. n.289/02, che, nel sospendere l’efficacia degli aumenti dell’aliquota Irap “deliberati” dalla Regione successivamente al 29 settembre 2002 … ha inteso
comunque limitare l’effetto sospensivo a quelle maggiorazioni che determinassero … il superamento delle
aliquote effettivamente in vigore nel 2002 (cioè non
“confermative” di esse), al fine di non pregiudicare del
tutto l’obiettivo finale suindicato”.
A tale riguardo, si osserva che la Corte Costituzionale
n.381/04, proprio con specifico riferimento alla sospensione degli effetti della maggiorazione dell’aliquota Irap
disposta con legge regionale, ha precisato che “la disciplina sostanziale dell’imposta rientra tuttora nella
esclusiva competenza dello Stato in materia di tributi
erariali, secondo quanto previsto dall’art.117, co.2, lett.
e), della Costituzione, ed è escluso che essa possa considerarsi oggetto di legislazione concorrente” e, quindi, la
sospensione del “potere delle Regioni di utilizzare uno
spazio di autonomia nel prelievo tributario, che la legge
statale loro riconosceva … risulta giustificabile, sul piano della legittimità costituzionale”.
Aggiunge, inoltre, la sentenza in commento, in tema
di motivazione che, nonostante la domanda si basasse su altra e diversa normativa che non ha mai costituito titolo per la pretesa, “l’erronea indicazione,
nell’avviso di accertamento, della norma di legge in
tesi violata non è, di per sè, causa di nullità dell’atto
...quando il recupero si fondi su presupposti di fatto
espressamente indicati, i quali, comunque, legittimano la pretesa impositiva, eventualmente anche sulla
base di altra disposizione legislativa”.
In questo senso, Cass. n.10271/11; Cass. n.22020/13; CTR Puglia
n.322/13; Cass. n.2967/14; CTR Roma n.372/01/10; CTR Venezia
n.36/29/13.
2
Cfr. Cass. n.10240/10 e Cass. n.1158/12.
3
Cfr.si veda anche Cass. n.3755/14.
1
59
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
Diritto penale tributario – doppio binario
Accertamento – principi generali – vizi fase
istruttoria e mancata integrazione del contraddittorio
Riflessi del giudicato penale sul processo tributario
La sentenza di applicazione di pena patteggiata esonera la controparte dall’onere della prova
Il patteggiamento, pur non facendo stato nel giudizio
civile o in quello amministrativo ed essendo, quindi,
privo di automatica e ineludibile efficacia probatoria,
implicherebbe pur sempre un’ammissione di colpevolezza, che costituirebbe indiscutibile elemento di
prova almeno di natura presuntiva.
La Corte di Cassazione, con sentenza n.16848/14,
stabilisce che, nonostante la più volte affermata indipendenza del processo penale rispetto a quello
tributario, anche sotto l’aspetto dell’autonoma valutazione del materiale probatorio (Cass. n.14855/12),
“la sentenza penale di applicazione della pena ex
art.444 c.p.p., costituisce un importante elemento di
prova per il giudice di merito il quale, ove intenda
disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe
ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il
giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una
ammissione di colpevolezza, esonera la controparte
dall’onere della prova”.
Per quanto riguarda la sentenza penale di assoluzione, invece, non può non rilevarsi come il giudice
penale, statuendo che il soggetto, perché il fatto non
sussiste ma anche perché il soggetto non ha commesso il fatto e, quindi, assolvendolo, confermerebbe le ragioni del contribuente anche nel processo tributario, se avente a oggetto i medesimi fatti dal cui
accertamento dipendeva l’esito del processo penale.
Di qui, in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento e della funzione giudiziaria, a seguito della decisione del giudice penale, è necessario che il
giudice tributario si uniformi a essa. Difatti, se egli
volesse discostarsi dalla sentenza che assolve l’imputato perché il fatto non sussiste o perché non ha
commesso il fatto, non sarebbe sufficiente che affermasse di aver riponderato la fattispecie, con diverse valutazioni dei fatti, ma bisognerebbe si basasse
su fatti nuovi, fatti specifici preesistenti non valutati
nel processo penale. La ratio di tale principio è che
l’ordinamento non tollera che il medesimo fatto sia
negato e affermato al contempo, principio ancor più
generale di quello del ne bis in idem, poiché va oltre
la specificità della giurisdizione.
Ancora la Cassazione sullo Statuto del contribuente
Il principio del contraddittorio è immanente, vale
anche in tema di atto di recupero del credito
Deve ritenersi consolidata la tesi secondo cui l’atto di
recupero è atto accertativo della pretesa tributaria
e impositivo. Essendo, quindi, tale atto completamente equiparato all’avviso di accertamento, si applica al medesimo la disciplina procedimentale di cui
all’art.12, co.7, dello Statuto del contribuente.
La Corte di Cassazione, con la sent.n.15634/14, ha
affermato il consolidamento della tesi secondo la
quale, per il fatto che l’atto di recupero del credito
d’imposta è sostanzialmente equiparato all’avviso di
accertamento, poiché rappresenta l’espressione della volontà impositiva dell’Amministrazione finanziaria e, come tale, è impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie ai sensi dell’art.19 D.Lgs. n.546/92, è
necessario che anche ad esso si applichi la garanzia
procedimentale dettata dall’art.12, co.7 dello Statuto del contribuente, il quale afferma che “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura …
il contribuente può comunicare entro sessanta giorni
osservazioni e richieste … L’avviso di accertamento
non può essere emanato prima della scadenza del
predetto termine, salvo casi di particolare e motivata
urgenza”.
E difatti, già le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, proprio con sentenza riguardante un atto di
recupero del credito d’imposta ai sensi dell’art.8 L.
n.388/00, hanno enunciato il seguente principio di
diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente
sottoposto a verifiche fiscali, la L. n.212/00, art.12,
co.7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per
l’emanazione dell’avviso di accertamento … determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di
urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso
ante tempus” (Cass. n.18184/13). Tale pronuncia ha
dato conto dell’evoluzione interpretativa della giurisprudenza4.
Si rammentano: Corte Giust. UE, C-349/07, sulla necessità che il contribuente sia messo in condizione di far valere le proprie osservazioni nella
fase procedimentale, nel pieno rispetto dell’art.41 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea; Cass. SS.UU. n.26635/09, sulla nullità - non esplicitamente comminata - degli avvisi di accertamento emessi
con il metodo degli studi di settore, in assenza di previa attivazione del
contraddittorio; Cass. n.28049/09, sullo scopo di favorire il dialogo tra
fisco e contribuente improntato a lealtà, correttezza e collaborazione in
caso di invio di un questionario ex art.32 d.P.R. n.600/73 (e in tal senso
anche la Corte Costituzionale n.351/00); recente Cass. n.453/13; in tema
4
60
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
un atto emesso su rapporto tributario divenuto definitivo, non rientra nella previsione dell’art.19 D.Lgs
n.546/92, e quindi non è impugnabile” (cfr. Cass.
SS.UU. n.3698/09 e n.11457/10).
Pare opportuno evidenziare, inoltre, come riprendendo il costante indirizzo giurisprudenziale, la Cassazione ha ricordato “che l’esercizio del potere di
autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicchè, rimosso con effetto “ex tunc” l’atto
di accertamento illegittimo od infondato … il provvedimento di riforma adottato in sede di autotutela,
non dispone per l’avvenire ma retroagisce al momento della applicazione del imposta, proprio in quanto
“viene a sostituirsi” all’originario atto impositivo”
(Cass. n.27200/13). Di qui, la conclusione secondo la
quale, per il caso di ritiro da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’atto illegittimo, con emissione
di uno nuovo che sostituisce il primo e ridetermina
la pretesa erariale nel rispetto della legge, il soggetto
accertato deve essere rimesso nelle condizioni originarie di poter definire la pretesa corretta, con il beneficio delle sanzioni ridotte. Ma vi è di più, il contribuente avrebbe diritto alla fruizione delle sanzioni in
misura ridotta non solo nel caso sopra descritto, ma
anche per il caso di annullamento parziale dell’atto
impositivo. Giova a tale proposito richiamare i principi enunciati dall’Amministrazione finanziaria nella
Circolare n.198/E/98: “se, a seguito di tale verifica,
la pretesa tributaria risulta infondata in tutto o in
parte, essa va ritirata ovvero opportunamente ridotta in modo da ristabilire un corretto rapporto con il
contribuente, il quale non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge”. Nello stesso senso, in materia di
sanzioni tributarie ex artt.16 e 17 D.Lgs. n.472/97, si
vedano anche la Circolare n.292/D/98 e la Circolare
n.4/E/09, con riferimento all’art.5, co.1-bis, D.Lgs.
n.218/97, ma valevole quale principio informatore
dell’azione dell’Amministrazione.
In sostanza, l’esercizio del potere/dovere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria deve
coesistere con il diritto del contribuente di definire, nei modi e nei termini di legge, l’atto impositivo
come risultante dopo la correzione dell’errore in cui
è incorsa l’Amministrazione.
Tra le ragioni che hanno portato le Sezioni Unite
(Cass. SS.UU. n.18184/13) a tale decisione si evidenzia il fatto che la norma sopra citata è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (L. n.212/00),
il cui art.1 prevede, al co.1, una specifica “clausola
rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni
stesse come attuative delle norme costituzionali e
dei principi generali dell’ordinamento tributario, nonostante non sia espressamente prevista la sanzione
dell’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento5.
Di qui, il termine di 60 giorni è posto a garanzia del
pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi costituzionali di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente -nel rispetto degli artt.97, 53 e 3 Cost.6:
pertanto, il vizio invalidante consiste non solo nella
mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che abbiano determinato l’emissione anticipata, ma anche nell’effettiva assenza di detto requisito,
la prova della cui ricorrenza è a carico dell’Ufficio7.
Procedimento - autotutela
Il potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria
Il provvedimento emesso in via di autotutela non è
impugnabile
Avverso l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non
è esperibile un’autonoma tutela giurisdizionale sia
perchè l’attività di autotutela è discrezionale sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso a una controversia sulla legittimità
di un atto impositivo ormai definitivo.
La Corte di Cassazione, con sentenza n.17294/14,
ribadisce il principio generale secondo cui il potere di autotutela tributaria ha come presupposto o
la mancata formazione del giudicato (salvo il caso,
come sostenuto dalla stessa Agenzia delle Entrate, di
contribuente che abbia presentato ricorso e questo
sia stato respinto per motivi di rito, quali inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) o la mancata
decadenza da un termine fissato per l’azione amministrativa8. Inoltre, prosegue la Corte, “l’atto con
il quale l’Amministrazione ritira, in via di autotutela,
di rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria improntati al
principio della collaborazione e della buona fede; inoltre, si veda anche
Cass. n.15624/14, in tema di equiparazione, quanto al rispetto del termine dei sessanta giorni previsti dall’art.12, co.7 dello Statuto, tra verbale
di chiusura delle operazioni di controllo o di mero accesso istantaneo
diretto ad acquisire documentazione.
5
Cfr. Cass. n.17576/02, n.7080/04, n.9407/05, n.21513/06, n.9308/13
6
Cfr. Cass. n.24217/08, n.3559/09 e n.25197/09, n.21070/11, n.6627/13.
7
in senso conforme Cass. n.1264/14 e Cass. n.5367/14.
8
Cfr. Cass. n.25314/02, n.7335/10, n.21778/12.
Processo – principi generali
Impugnazione – merito negli atti a motivazione vincolata?
Il giudice non può limitarsi a statuire sull’infondatezza dell’atto impositivo, ma deve quantificare la
pretesa ritenuta corretta
61
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
La natura dell’atto di accertamento è oggetto di due
storiche interpretazioni. Secondo la teoria c.d. costitutiva il debito d’imposta nasce quando viene a esistenza l’atto di accertamento: la giurisdizione, quindi,
sarebbe “di annullamento dell’atto”. Secondo la teoria
c.d. dichiarativa, invece, il debito d’imposta nasce al
verificarsi del presupposto: la giurisdizione, quindi, sarebbe “di accertamento del rapporto d’imposta”.
Il processo tributario in quanto tendente a una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione
resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, non sarebbe ricompreso
tra quelli di impugnazione- annullamento, cui conseguirebbe una mera eliminazione dell’atto impugnato, ma tra quelli di impugnazione-merito. Pertanto,
il giudice, se ravvisa la parziale infondatezza dell’atto
impositivo, non potrebbe arrestare la sua decisione
all’invalidazione parziale dello stesso, ma dovrebbe
precisare il quantum dovuto dal contribuente.
Nel caso di specie, infatti, era stata impugnata una sentenza della CTR, che si era limitata a dichiarare l’illegittimità di una rettifica dell’ufficio ai sensi dell’art.51,
co.3 d.P.R. n.131/86. L’articolo suddetto stabilisce
che l’ufficio, ai fini della rettifica, può procedere alla
comparazione con altri trasferimenti avvenuti nel
triennio (e in tal caso, come sancito dalla Cassazione
n.3262/13, ha l’obbligo di allegare l’atto assunto quale
termine di paragone); in alternativa (così deve essere
letto il termine “ovvero”) ha la possibilità di fare riferimento al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla
detta data e nella stessa località per gli investimenti
immobiliari, e inoltre, in maniera residuale (“nonché”), in relazione a ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente
fornite dai Comuni. Insomma, un atto a motivazione
(e prova) vincolata.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.14418/14,
torna a occuparsi della natura del processo tributario
e, cogliendo un aspetto problematico che consegue
alle pronunce delle Commissioni tributarie, ovvero
l’esatta quantificazione della pretesa rideterminata a
seguito dell’annullamento parziale dell’atto, sancisce
che il giudice “non deve, né può, limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento, ma deve quantificare
la pretesa tributaria ritenuta corretta, entro i limiti
del petitum delle parti”9. Anzi, la Cassazione ritiene
che la domanda di esatta commisurazione dell’importo dovuto dal contribuente, in caso di pronuncia
parzialmente favorevole, sia implicita nella domanda
di annullamento dell’atto (così Cass. n.15313/14, la
quale a sua volta cita Cass. n.17592/13 e n.7393/12).
La pronuncia costitutiva di annullamento, invece,
sarà corretta solo nei casi di vizi formali invalidanti
dell’atto impugnato (si veda Cass. n.13844/14, riferita a controversia iniziata in anno antecedente
all’abrogazione del co.3 dell’art.7 D.Lgs. n.546/92;
inoltre, Cass. n.17127/07). Nessun potere equitativo
è configurabile, invece, in capo al giudice tributario
(Cass. n.19079/09).
Sempre in tema di poteri-doveri decisori del giudice tributario, poi, si ricordi come il Legislatore, con
L. n.248/05, abbia abrogato co.3 dell’art.7 D.Lgs.
n.546/92, secondo cui era “sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per
la decisione della controversia”, irrigidendo così
la natura dispositiva del processo tributario, poiché il
potere di cui all’abrogato il co.3 dell’art.7, nonostante astrattamente indirizzabile in maniera oggettiva
nei riguardi delle parti, di fatto induceva alla sostituzione del giudice all’Amministrazione finanziaria
nell’incombente dell’onere probatorio.
In conclusione, si rileva come, forse trincerandosi
dietro la propensione per la natura del processo tributario come giudizio di impugnazione-merito, i giudici abbiano voluto dare dimostrazione di una certa
apertura nei confronti dell’Amministrazione nonostante la tipologia accertativa rigida, all’interno della
quale le metodologie di rettifica del valore sono tutte
normativamente previste e regolamentate. Difatti, la
sentenza della Cassazione di cui si discute ha cassato
con rinvio la pronuncia di secondo grado, la quale
aveva dichiarato l’illegittimità della rettifica, limitandosi a stabilire la mancanza di prova di concreti trasferimenti dello stesso immobile o di immobile con
analoghe caratteristiche nel triennio precedente,
non colmabile a mezzo di perizia di stima dell’UTE.
La Cassazione, invece, ritenendo sufficiente la motivazione dell’avviso basata sulla relazione di stima
dell’immobile, ravvisa carenza del giudice d’appello, che non si è spinto fino alla rideterminazione del
quantum evincendolo dalla perizia. La CTR si era pronunciata escludendo che il contenuto della perizia
UTE fosse idoneo a integrare una delle alternative di
motivazione (e prova) indicate dalla norma. I criteri
di rettifica di cui all’art.51, co.3 d.P.R. n.131/86, infatti, non possono che ritenersi alternativi: o trasferimenti del triennio o redditività.
Cfr. Cass. n.21759/11 e Cass. n.11212/07
9
62
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
Processo - notificazioni
(Cass. n.3389/14).
Busta chiusa o plico senza busta
Nel processo tributario, la spedizione del ricorso o
dell’atto d’appello a mezzo posta in busta chiusa, anziché in plico senza busta ai sensi del D.Lgs. n.546/92,
art.20, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della relativa busta e la riferibilità alla parte non
siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata (Cass. n.15309/14).
Destinatario: il difensore o la parte presso il difensore?
La notificazione dell’impugnazione presso il procuratore costituito, a norma dell’art.330 c.p.c., che identifica il luogo della notificazione, si considera equivalente alla notificazione al procuratore medesimo ex
art.84 c.p.c., mentre la vocatio in jus ha quale destinatario la parte personalmente, poichè la rappresentanza processuale del difensore è limitata a ciascun
grado di giudizio (Cass. n.15201/14).
Busta contenente proprio l’atto impugnato?
Se dalla copia dell’avviso di ricevimento in atti risulta
che la cartella di pagamento era stata notificata in
una certa data e il contribuente non dimostra che la
relativa raccomandata si riferisce ad atto differente,
non può non considerarsi quella la data dell’avvenuta notifica (Cass. n.15581/14).
Ancora l’art.156 c.p.c.
L’invalidità della notificazione di un atto impositivo è
irrilevante ove l’atto sia stato impugnato, dal momento che l’impugnazione provvede a sanare il vizio di
notificazione con effetto ex nunc (Cass. n.14416/14).
Processo – litisconsorzio e solidarietà
Deposito della copia dell’appello in CTP
È insufficiente a fornire la prova legale della percezione della raccomandata in grado di appello il solo
deposito dell’esito della consultazione del sito internet delle Poste: è necessario che l’Agenzia produca
la ricevuta di ritorno della raccomandata con cui è
stato proposto l’appello e fornisca prova di essersi
attivata per ottenere una adeguata certificazione
dell’Amministrazione postale (Cass. n.17243/14).
Limiti soggettivi del giudicato
L’estensione degli effetti della sentenza favorevole
a un coobbligato è ammessa anche per chi abbia
impugnato l’accertamento
Il coobbligato d’imposta può avvalersi del giudicato
favorevole emesso in un giudizio promosso da un
altro obbligato, secondo la regola generale stabilita
dall’art.1306 cod.civ., non soltanto laddove il coobbligato sia rimasto inerte, ma anche quando abbia
impugnato autonomamente l’atto impositivo.
Con sentenza n.14434/14, la Cassazione è tornata
sull’ambito di applicazione, in materia tributaria,
dell’art.1306 cod.civ. e ha confermato un orientamento che si andava consolidando, così disponendo
“qualora uno dei coobbligati, insorgendo avverso
l’avviso di accertamento, ottenga un giudicato riduttivo del maggior valore accertato, non è precluso all’altro coobbligato che abbia impugnato autonomamente l’avviso di accertamento e l’avviso di
liquidazione, finchè non si è formato il giudicato sul
ricorso, opporre all’Amministrazione, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, tale giudicato favorevole (salva l’irripetibilità di quanto già
versato), ai sensi dell’art.1306 cod.civ., co.2” (così
anche Cass. n.16117/13).
La Cassazione ha da tempo affermato che non ostano all’estensione del giudicato le vicende extraprocessuali relative alla posizione sostanziale del condebitore inerte, eventualmente costituite da un atto
amministrativo non impugnato, perché l’art.1306,
co.2, cod.civ. disciplina il meccanismo processuale
delle obbligazioni solidali, comprese quelle tributa-
Deposito del ricorso in appello presso la segreteria
della commissione del giudice a quo
Se il ricorso in appello non è stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso
la segreteria della commissione che ha emesso la
sentenza impugnata, in quanto prescritto dal D.Lgs.
n.546/92, art.53, co.2, seconda parte, a pena d’inammissibilità dell’appello, deve aver luogo entro
un termine perentorio, di 30 giorni, indicato dalla
prima parte della medesima disposizione, attraverso
il richiamo all’art.22, co.1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione ad quem
(Cass. n.15659/14).
Ricorso per Cassazione - autosufficienza
È inammissibile la proposizione dei c.d. ricorsi farciti,
ossia “confezionati in modo tale che siano riprodotti
con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei
pregressi gradi e i documenti ivi prodotti, tra di loro
giustapposti con mere proposizioni di collegamento”,
per violazione del criterio di autosufficienza, dal momento che essi rinviano puramente e semplicemente agli atti di causa e violano l’art.366 c.p.c., co.1, n.3,
che impone l’esposizione sommaria dei fatti di causa
63
Accertamento e contenzioso n.zero 2014
OSSERVATORIO
ga ai limiti soggettivi del giudicato e consente la sua
estensione, come regola assoluta del titolo dell’obbligazione, prescindendo dalla situazione sostanziale in
cui versi il condebitore inerte, il quale non incontra,
perciò, limiti diversi da quelli del giudicato diretto o
da preclusioni processuali”10.
rie, privilegiando il momento della genesi unitaria
rispetto alla struttura pluralistica (in tal senso Cass.
SS.UU. n.7053/91). Inoltre, la giurisprudenza ha ribadito: “La prevalenza dell’unitarietà dell’obbligazione
solidale nascente dallo stesso titolo sul suo aspetto
pluralistico opera sul piano processuale come dero-
Cfr. CTR Lazio n.359/09 e ex multis Cass. n.6748/07, n.6189/07.
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
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Maurizio Tozzi - dottore commercialista e revisore legale
Giovanni Valcarenghi – ragioniere commercialista e revisore
legale
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REDAZIONE
Milena Martini e Silvia Righetti
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Accertamento e contenzioso n.zero 2014
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