INSEGNAMENTO DI
DIRITTO TRIBUTARIO
LEZIONE VI
“L'AVVISO DI ACCERTAMENTO”
PROF. ANTONIO LIBONATI
Diritto tributario
Lezione V
Indice
1
L'avviso di accertamento come atto conclusivo dell'attività di controllo: caratteristiche
generali. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2
Atto di accertamento e fondamento della pretesa fiscale. In particolare la prova tra
avviso di accertamento e processo. --------------------------------------------------------------------------- 5
3
Il giudizio di fatto: la prova come elaborazione intellettuale e il suo probabilismo. -------- 6
4
L'ineliminabile probabilismo del giudizio di fatto e la relatività della « certezza ». -------- 8
5
Carattere empirico del giudizio sul fatto e funzione ausiliaria delle norme sulle prove: la
prova legale. ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
6
Il giudizio di fatto nel diritto tributario: caratteri generali. ------------------------------------ 11
7
Profili per valutare l'assolvimento degli oneri probatori da parte degli uffici tributari.- 13
8
Aspetti normativi delle rettifiche verso imprenditori e professionisti (artt. 39 d. P. R. n.
600 e 54-55 decreto IVA). ------------------------------------------------------------------------------------ 15
9
Presupposti formali e sostanziali dell'accertamento induttivo (extracontabile) e suo
contenuto (aspetti normativi). ------------------------------------------------------------------------------- 17
10 Aspetti sostanziali della prova dell'evasione: le rigidità organizzative della grande
impresa, la sua difficoltà ad occultare gli incassi e l'affidabilità complessiva del relativo
impianto contabile. -------------------------------------------------------------------------------------------- 20
11 Le modalità di evasione nel piccolo commercio e nell'artigianato diretti a consumatori
finali. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23
12 Le disposizioni sulla ricostruzione presuntiva globale del giro d'affari gli «studi di
settore». ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 25
13 Argomentazioni probatorie nei confronti dei soggetti non obbligati alla tenuta di scritture
contabili (c.d. «privati») e accertamento del reddito in base alla spesa (accertamento sintetico
e redditometro) ----------------------------------------------------------------------------------------------- 27
14 La pluralità di atti impositivi concernenti lo stesso presupposto d'imposta:
l'accertamento parziale. -------------------------------------------------------------------------------------- 29
15 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 30
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione V
1 L'avviso di accertamento come atto conclusivo
dell'attività di controllo: caratteristiche generali.
Qualora le indagini descritte precedentemente rivelino irregolarità, l'ufficio fiscale emetterà
un atto impositivo, denominato, « avviso di accertamento » o di irrogazione di sole sanzioni, come
vedremo al capitolo 11, se le irregolarità non comportano il pagamento di ulteriori imposte.
In questo libro parleremo sempre di avviso di accertamento, o brevemente di accertamento,
anche se, nel linguaggio legislativo e burocratico viene talvolta denominato « accertamento d'ufficio
» quello effettuato quando la dichiarazione del contribuente manca e «accertamento in rettifica»
(sottintendendo «in rettifica della dichiarazione») quello effettuato quando la dichiarazione esiste.
Nessun atto formale viene invece notificato al contribuente quando gli elementi raccolti
dall'ufficio non lo inducono a formulare alcun rilievo. Resta ferma perciò, in tal caso, la possibilità
di formulare, nei termini di decadenza, rilievi originariamente non ipotizzati a seguito di una
motivata nuova valutazione degli elementi raccolti.
La natura di atti amministrativi, con l'attitudine a diventare definitivi se non
tempestivamente impugnati, e la necessità di una motivazione sono tra gli elementi comuni alla
generalità degli avvisi di accertamento, mentre altri aspetti formali possono variare a seconda delle
specifiche leggi d'imposta, che prevedono l'emissione di siffatti avvisi.
In assenza di un codice tributario, manca infatti una disciplina unitaria degli avvisi di
accertamento , previsti per un buon numero di imposte ( IVA, imposte sui redditi, imposta di
registro), ciascuna delle quali può regolare con sfumature diverse alcune caratteristiche. Alcune
particolarità dell'accertamento nelle imposte « minori » saranno indicate nella parte speciale,
quando tali imposte saranno esaminate, mentre qui terremo presenti soprattutto atti in materia di
imposte dirette e di IVA.
Alcune caratteristiche formali degli avvisi sono previste a pena di nullità, che peraltro come a suo tempo rilevato – va intesa nel senso amministrativistico del termine e quindi scatta solo
se il vizio dell'atto viene eccepito dal contribuente in sede di ricorso (artt. 42 e 61, comma 2, d.P.R.
ll. 600). Al riguardo gli artt. 42 del d.P.R. n. 600 e 56 decreto IV A prevedono, tra i requisiti
dell'avviso di accertamento:
- l'indicazione degli imponibili accertati e delle aliquote applicate ;
- la determinazione dell'imposta al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto
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e dei crediti d'imposta;
- la particolare qualifica del funzionario che sottoscrive l'atto, che dev'essere il capo
dell'ufficio o un funzionario da lui delegato.
Si tratta di indicazioni spesso importanti per la tutela del contribuente, ma talvolta in
concreto secondarie; la loro previsione «a pena di nullità », può talvolta vanificare accertamenti
sotto altri versi ben motivati e fondati.
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2 Atto di accertamento e fondamento della pretesa
fiscale. In particolare la prova tra avviso di
accertamento e processo.
Abbiamo già precisato che, in virtù della funzione di controllo attribuita agli uffici fiscali,
spetta a costoro l'onere della prova delle maggiori imposte accertate; a tal fine essi devono
innanzitutto indicare nell'avviso di accertamento i fondamenti di diritto e di fatto della pretesa
(obbligo di motivazione), e se del caso fornire compiutamente le relative prove nel corso del
successivo processo; quest'ultimo si innesta insomma su una pretesa già impostata con riferimento
alle ragioni di diritto e di fatto che sono alla base dell'avviso di accertamento e del ricorso del
contribuente.
Vedremo al paragrafo 8.11. che nel processo non ci si pone il generico interrogativo se un
determinato ammontare d'imposta sia dovuto o meno, bensì se tale ammontare sia dovuto per i
motivi indicati nell'avviso di accertamento, con irrilevanza di motivazioni aggiunte in un secondo
momento.
Quando gli avvisi di accertamento determinano una maggiore imposta per, motivi di diritto,
la questione deve essere risolta alla luce delle disposizioni contenute nelle singole leggi tributarie
sostanziali, dall'IVA all'IRPEF e via discorrendo. Non si tratta quindi di questioni ricorrenti nella
generalità dei tributi, di cui possa occuparsi un manuale di parte generale.
Una questione comune a tutti gli avvisi di accertamento riguarda invece il relativo
fondamento probatorio, che per i motivi suddetti viene abitualmente studiato con riferimento agli
atti impositivi, dove la pretesa dell'ufficio deve essere «inquadrata in punto di fatto e di diritto »,
prima ancora di essere discussa davanti ai giudici, nel processo tributario.
In sintesi si può dire che la fondatezza della pretesa dell'ufficio, che viene stabilita nel
processo, è tradizionalmente descritta trattando l'atto conclusivo del procedimento, cioè l'avviso di
accertamento. Non a caso è a proposito degli avvisi di accertamento che è nata tutta la terminologia
dei cosiddetti criteri «analitici», «induttivi », «sintetici » su cui ci soffermeremo all'interno di questo
capitolo. Per ora osserviamo che il comune denominatore di queste espressioni è di definire il
particolare criterio con cui gli uffici cercano di assolvere l'onere della prova a loro carico.
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3 Il giudizio di fatto: la prova come elaborazione
intellettuale e il suo probabilismo.
Per valutare il fondamento probatorio delle pretese dell' ufficio, descritte nell'avviso di
accertamento, occorre risolvere questioni di fatto, in relazione alle quali servono alcune avvertenze
preliminari di teoria generale, comuni a qualsiasi settore del diritto interessato a questi profili.
La distinzione tra giudizio di fatto e di diritto è in genere intuitiva, anche se qualche volta
sfuggente. Nei casi in cui occorre stabilire in che modo si sono verificati eventi del passato la
questione è di fatto. Quando invece si tratta di applicare a tali eventi disposizioni normative, la
questione è «di diritto». Sarebbe riduttivo considerare il giudizio di fatto nei termini di una
meccanica percezione, in quanto esso è caratterizzato da una elaborazione intellettuale,
dall'attribuzione di significato a tracce di eventi passati, le quali possono essere rappresentate da
documenti, dichiarazioni, fotografie, reperti fisici, ecc. I casi in cui le controversie sul fatto mettono
a dura prova i giudici e dividono l'opinione pubblica (ad esempio tra «innocentisti» e
«colpevolisti») confermano la presenza di quell'attività intellettuale che abbiamo riscontrato, sotto
diverso profilo, a proposito dell'interpretazione.
Il giudizio di fatto ha carattere interpretativo perché in esso non viene in considerazione
l'evento nella sua realtà materiale, ormai appartenente al passato e di cui esistono solo tracce
materiali (documenti, tutt' al più fotografie, ecc.) e descrizioni orali (testimonianze, ammissioni,
ecc.). Insomma, nel mondo del diritto, «il fatto è un giudizio », una manifestazione di giudizio con
molte analogie rispetto a quanto abbiamo rilevato a proposito dell'interpretazione della legge.
L'espressione «giudizio di fatto », ormai entrata nell'uso comune, mette in secondo piano la
componente interpretativa che anche questo giudizio comporta. Sarebbero perciò più efficaci le
espressioni « giudizio sul fatto » o riguardante il fatto, le quali esprimono meglio la differenza tra
fatto materialisticamente inteso e «asserzione sul fatto ».
L'insieme delle argomentazioni di cui si compone il giudizio di fatto viene talvolta chiamato
« prova », usando il termine in un senso ben diverso da quello che lo riferisce alle tracce del mondo
sensibile, come documenti, reperti materiali, segni linguistici e altre tracce. Questi ultimi
costituiscono invece la prova in senso materiale, l'oggetto da interpretare per formulare la prova nel
diverso senso di argomentazione logica idonea al convincimento.
È quindi importante non confondere la prova come ragionamento con l'elemento materiale
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della prova, che talvolta è alla base di tale ragionamento.
Nel diritto anglosassone questa ambiguità del termine prova non sussiste in quanto
l'elemento materiale sopra indicato è definito col termine «evidence» e la prova come elaborazione
intellettuale con l'espressione «proof ».
Dato che questa componente interpretativa sussiste sempre, è artificioso contrapporre i meri
accertamenti (intesi come una meccanica percezione) e le «valutazioni» di cui si sottintende
l'opinabilità. Non è invece sostenibile una precisa linea di confine, cioè una distinzione qualitativa,
tra questioni di fatto più o meno complesse: tra le affermazioni più elementari e quelle più dubbie
non esistono steccati, ma invece tutta una gamma ininterrotta di sfumature intermedie.
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4 L'ineliminabile probabilismo del giudizio di fatto
e la relatività della « certezza ».
La suddetta componente interpretativa dei giudizi di fatto esclude che, a rigore, essi possano
mai considerarsi completamente certi. È pacifico, del resto, che la certezza non è mai oggettiva
bensì soggettiva, ed esprime quel grado di probabilità di fronte al quale, nel caso concreto, ce la
sentiamo di escludere ragionevoli dubbi. Abbandonata perciò l'artificiosa contrapposizione tra
certezza e probabilità, il giudizio di fatto deve in concreto stabilire se nei singoli casi un' ipotesi è o
meno sufficientemente probabile. A questo si giunge con una serie di considerazioni di esperienza
comune, di buonsenso empirico, di verosimiglianza, controllabili attraverso la relativa motivazione,
dell'atto di accertamento prima e della sentenza poi.
La diversità tra probabilità e certezza è quindi solo quantitativa e la certezza è un'espressione
convenzionale per esprimere un'alta probabilità , in presenza della quale ci sentiamo al riparo dal
dubbio; tra la certezza di un fatto e la certezza del contrario possono quindi esserci, e spesso ci
sono, una serie di sfumature intermedie.
Quanto precede non apre le porte ad un insindacabile soggettivismo, ma piuttosto costituisce
uno stimolo a rendere palese il percorso logico-argomentativo che ha condotto a una determinata
conclusione. Questo percorso logico-argomentativo viene manifestato attraverso la motivazione
delle sentenze, o attraverso la motivazione degli avvisi di accertamento (tenendo presenti le
distinzioni a suo tempo indicate tra motivazione dell'accertamento e motivazione della sentenza). La
motivazione spiega perché, in base a certe informazioni, si sono ritenuti provati in modo
convincente alcuni eventi del passato e perché, da questi eventi, ne sono stati presunti altri ancora.
Ripetiamo che questa descrizione si basa su considerazioni di comune esperienza con carattere
empirico e probabilistico , qualche volta così elevato che ci induce a parlare di « certezza ».
In ultima istanza è possibile un controllo di legittimità esteriore, in cui il giudice di terzo
grado (cassazione), prende per buono il giudizio di fatto svolto in precedenza, salvi eventuali «vizi
logici », contraddizioni, incoerenze, travisamento dei fatti, negligenze istruttorie, difetti di
motivazione .
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5 Carattere empirico del giudizio sul fatto e
funzione ausiliaria delle norme sulle prove: la
prova legale.
Il giudizio di fatto e quello di diritto differiscono profondamente, poiché nel giudizio di
diritto si interpretano testi normativi, mentre nel giudizio di fatto si interpretano elementi
conoscitivi riguardanti eventi passati (documenti, fotografie, reperti fisici, dichiarazioni scritte o
orali, ecc.). Ne discende che il giudizio di fatto ha una propria logica empirica, che può operare
indipendentemente da disposizioni normative. Il giudizio di fatto è quindi costruito in base alla
conoscenza dei rapporti di causa ed effetto che sussistono tra i fenomeni naturali e all'interno dei
gruppi sociali. Alla luce di quelle conoscenze empiriche, che spesso vanno sotto il nome di id quod
plerumque accidit, il giudice stabilisce se determinati eventi del passato siano stati o meno
dimostrati in modo convincente, cioè con quella sufficiente probabilità di cui abbiamo parlato al
paragrafo che precede.
È fuorviante definire tali criteri, ivi comprese le nozioni di esperienza corrente di cui si
parlerà spesso, come «regole non giuridiche» o criteri extra normativi di valutazione. Se di
disposizioni legislative c'è bisogno per contemperare i vari interessi in gioco, il giudizio di fatto in
linea di principio è neutrale rispetto ai valori da perseguire. Anche le cosiddette lacune, esaminate a
proposito dell'interpretazione analogica, possono emergere a proposito di questioni di diritto mentre
sono inconcepibili per le questioni di fatto.
L' intervento legislativo a proposito di questioni di fatto, quantunque frequente per limitati
aspetti, potrebbe sul piano logico essere del tutto escluso. Anche questo spiega perché le
disposizioni dedicate alle prove sono relativamente poco numerose rispetto all'importanza del
problema nell'esperienza giuridica.
Rispetto ai criteri empirici, attraverso cui stabilire se una certa versione dei fatti è
convincente o meno, la legislazione ha funzione collaterale e complementare.
Da un lato la legislazione stabilisce le modalità con cui determinati elementi di
convincimento debbono essere acquisiti al processo per garantire il principio del contraddittorio, il
diritto di difesa di ciascuna delle parti, contemperando la snellezza dei tempi processuali con una
soddisfacente informazione in merito alle vicende controverse. Questa categoria di disposizioni non
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riguarda la formazione del convincimento, lasciandone fermo il carattere empirico, nei termini
sopra rilevati.
L'intervento legislativo condiziona più o meno intensamente il carattere empirico del
giudizio di fatto. Quando consente o vieta di utilizzare certi mezzi di prova (ad esempio divieto di
prova per presunzioni o per testimoni) ovvero impone di considerare provate certe circostanze in
presenza di determinate condizioni (ad es. efficacia probatoria dell'atto pubblico o della
confessione), o infine proibisce di considerare determinati elementi in quanto non esibiti in
determinati tempi e luoghi (talvolta è un divieto con funzione parasanzionatoria, come quello
relativo ai documenti sottratti all'ispezione fiscale). Nel loro complesso si tratta di disposizioni che
interferiscono con la formulazione empirica del giudizio di fatto, e che sono accomunate nell'ampio
concetto di «prove legali »; il concetto si contrappone a quello di «prova libera », in cui la
formulazione del giudizio storico viene demandata al motivato convincimento del giudice secondo i
criteri empirici sopra indicati.
Tra prova legale e prova libera c'è un'osmosi, in cui la prima condiziona la seconda. e
impensabile che ci siano meccanismi puramente legali di formazione del convincimento, mentre la
prova legale si affianca alla prova libera e la condiziona più o meno fortemente. Si va dai rigidi
condizionamenti in cui certe vicende, ad esempio quelle risultanti da atti pubblici, possono essere
messe in discussione solo mediante complessi procedimenti (querela di falso) fino ai
condizionamenti più blandi delle presunzioni legali relative, che ammettono prova contraria. Prove
legali ancora più deboli sono le disposizioni in cui si trovano generici richiami ad una ponderata
valutazione degli elementi conoscitivi a disposizione, come quelle secondo cui le presunzioni
devono essere «gravi precise e concordanti ».
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6 Il giudizio di fatto nel diritto tributario: caratteri
generali.
Il carattere interpretativo, empirico e probabilistico del giudizio di fatto, sopra rilevato in
linea generale, trova puntuali riscontri in materia tributaria.
La componente interpretativa della prova è particolarmente facile da cogliere nel settore
tributario dove la prova documentale è molto rara. La prova documentale può essere infatti
elaborata solo dai soggetti che prendono parte direttamente alle vicende economiche cui si
collegano i fatti da provare, il che non accade per gli uffici fiscali. Vedremo che anche i registri e i
documenti reperiti nell'esercizio dei poteri istruttori degli uffici operano di solito come base per la
formulazione di presunzioni. D'altra parte in materia tributaria, essendo la controparte un’
amministrazione pubblica è raro che il contribuente lamenti il riferimento a circostanze materiali
inesistenti o l'uso di documenti contraffatti.
In materia tributaria gli interventi definibili in senso ampio come prova legale, hanno
intensità diversa a seconda dei settori.
Per imprese e lavoratori autonomi, in materia di imposte sui redditi e di IVA, le disposizioni
sulla valutazione della prova hanno una certa importanza, anche se, come vedremo ai prossimi
paragrafi (soprattutto al paragrafo 6.8), più sul piano dell'influenza psicologica sul giudice che dei
veri e propri vincoli giuridici. Per gli altri contribuenti e per i tributi minori le disposizioni sulla
valutazione della prova, sono invece nel complesso scarse, salvo quanto diremo subito per le
presunzioni legali.
Sono abbastanza frequenti, nell'ambito delle prove legali, le presunzioni assolute e relative .
Entrambe sono presunzioni legali, cioè disciplinate da norme legislative. Le presuzioni legali
relative o iuris tantum sono suscettibili di prova contraria e sono le più utilizzate. Le presunzioni
assolute, c.d. iuris et de iure, non sono invece suscettibili di prova contraria e sono più rare, anche
per via dell'opera della Corte costituzionale, che spesso le ha dichiarate illegittime.
In entrambi i casi, alla dimostrazione di un certo fatto consegue automaticamente quella di
un diverso fatto con esso collegato secondo criteri di normalità: la legge rende in questi casi
automatico un passaggio logico la cui attendibilità dovrebbe altrimenti essere vagliata caso per caso,
secondo i consueti criteri empirici.
Altre volte la legge, pur non contenendo presunzioni legali, ribadisce la possibilità degli
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uffici finanziari di utilizzare, anche su alcune questioni delicate, presunzioni semplici . Le
presunzioni semplici si differenziano dalle presunzioni legali perché la legge non predetermina il
nesso tra fatto noto e fatto ignoto, che viene lasciato alle cognizioni di esperienza comune di cui
tutti ci serviamo per stabilire se e come si sono verificati eventi del passato. La presunzione
costituisce infatti la versione giuridica del generale modo di ragionare dove un evento viene
collegato con un altro evento attraverso nozioni di senso comune. Il risultato di questi ragionamenti
può essere convincente o equivoco, a seconda dei fatti che vengono collegati e della «massima di
esperienza» utilizzata per collegarli.
Non è quindi costruttivo sostenere o criticare in astratto l'uso il delle presunzioni, o
predeterminare in assoluto i requisiti che queste devono avere per essere utilizzate nel giudizio.
L'importante è che le presunzioni siano convincenti nel caso concreto, ed è alla luce delle
caratteristiche dei casi concreti che ci si deve chiedere se le presunzioni, come prevede l'art. 2729
c.c., siano o meno «gravi precise e concordanti ».
Anche alle presunzioni si addice insomma quanto abbiamo rilevato per la generalità delle
argomentazioni probatorie, la cui attitudine al convincimento deve essere stabilita volta per volta
dal giudice. Cercheremo di razionalizzare, al prossimo paragrafo, i meccanismi mentali con cui in
materia tributaria avviene questa valutazione.
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7 Profili per valutare l'assolvimento degli oneri
probatori da parte degli uffici tributari.
La valutazione di una argomentazione probatoria dipende da profili diversi, ricorrenti nel
caso concreto, vagliati alla luce delle nozioni di esperienza comune che - come abbiamo rilevato ai
paragrafi precedenti - caratterizzano il giudizio di fatto; anche il giudizio di fatto, in materia
tributaria, è diretto alla determinazione di circostanze economicamente valutabili, secondo un filo
conduttore di tutto il testo, e quindi è influenzato da indici esteriori cui si collegano nozioni di
comune esperienza, in relazione agli elementi reperiti o a circostanze pacifiche tra le parti, (ad
esempio l'attività svolta dal contribuente, le quantità di materia prima per ottenere un certo prodotto,
le tariffe praticate al pubblico ).
Le argomentazioni probatorie non sono valutate in modo asettico, bensì alla luce del
contesto generale della controversia; per questo è importante il tipo di attività svolta dal
contribuente e le sue dimensioni: presumere globalmente un certo importo di ricavi in base a
nozioni di comune esperienza (ad esempio moltiplicando le prestazioni rese per prezzi praticati) può
essere credibile nei confronti di piccolo artigiano (falegname o elettricista: paragrafo 6.11);
analoghe stime mancano invece di qualsiasi credibilità quando si tratta di una grande società di
servizi industriali.
Il rigore con cui vagliare le argomentazioni di un certo soggetto dipende anche dalla sua
disponibilità di informazioni o dai suoi poteri per acquisirle. Quando il contribuente non offre i
chiarimenti che ci si potrebbero attendere da lui, con i riscontri documentali che presumibilmente
possiede, il giudice è più disponibile verso le argomentazioni dell 'ufficio. Il contrario si verifica
quando l'ufficio affrettatamente tira le conclusioni in base a indizi ancora preliminari, su cui sono
stati omessi quei riscontri alla portata dei poteri istruttori dell'ufficio stesso: si pensi
all'affermazione, da parte dell'ufficio, di circostanze che il medesimo ha solo ipotizzato, ma non
acclarato, lasciando inutilizzati poteri istruttori potenzialmente fruttuosi.
Quanto precede si inquadra in quel complessivo atteggiamento procedimentale e processuale
delle parti, che influenza la valutazione della prova: difendersi con disquisizioni giuridiche astratte
ed affermare che l'accertamento non è sufficientemente persuasivo, senza metterne in luce
equivocità e contraddizioni, rischia di essere una sterile «difesa passiva». La valutazione della prova
può essere influenzata anche dal comportamento del contribuente nell'istruttoria amministrativa
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anteriore all'accertamento; come abbiamo rilevato al paragrafo 5.11, la reticenza del contribuente
nei confronti delle richieste dell'ufficio, pur non esimendo quest'ultimo dal fornire attendibili
argomentazioni probatorie, consente che esse siano meno rigorose di quelle altrimenti richieste.
Tra i profili che influenzano la valutazione della prova c'è anche la regolarità delle eventuali
scritture contabili e degli altri adempimenti formali imposti al contribuente. Il corretto adempimento
di questi obblighi contabili è una delle circostanze su cui i contribuenti insistono, prendendo spunto
dalla struttura delle norme sulla prova, le quali come abbiamo visto attribuiscono grande rilevanza
alla regolarità delle scritture contabili.
Di fronte a questa pluralità di punti di vista per valutare le argomentazioni probatorie, il
contribuente deve decidere come impostare le proprie difese avverso gli avvisi di accertamento. Il
contribuente deve innanzitutto decidere se è plausibile negare che le argomentazioni indicate
nell'accertamento, ed eventualmente comprovate in sede processuale (secondo i rapporti tra
motivazione e prova indicati al paragrafo 2.4) siano idonee ad assolvere l'onere probatorio gravante
sull'ufficio; a questo fine il contribuente potrà andare al di là di una mera difesa passiva, ma anche
indicare circostanze specifiche, che non costituiscono però da parte sua una prova contraria in senso
tecnico, bensì una illustrazione delle ragioni per cui le argomentazioni dell'ufficio non sono
all'altezza di assolvere l'onere probatorio gravante sull'ufficio stesso. Se invece l'ufficio ha assolto in
modo sufficiente il proprio onere probatorio, questa prima linea difensiva del contribuente non
basta, ed egli dovrà smentire le argomentazioni dell'ufficio con una vera e propria prova contraria.
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8 Aspetti normativi delle rettifiche verso
imprenditori e professionisti (artt. 39 d. P. R. n.
600 e 54-55 decreto IVA).
Benché manchino, come già rilevato, disposizioni legislative sul fondamento probatorio
degli accertamenti in generale, regole specifiche riguardano l'impresa e il lavoro autonomo (art. 39
del d.P.R. n. 600, per le imposte sui redditi, e artt. 54 e 55 del decreto i IVA, ispirati a uno schema
sostanzialmente analogo).
L'art. 39 d.P.R. n. 600, come pure gli artt. 54-55 dell' IVA,sono incentrati sull'individuazione
di una serie di ipotesi di rettifica« analitica », cioè connessa alla regolarità esteriore delle scritture
contabili. l’ art. 39 stabilisce infatti che l'ufficio procede alla rettifica se:
a) gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli indicati nel conto dei
profitti e delle perdite ;
b) non sono state esattamente applicate le disposizioni normative sul reddito d'impresa;
c) l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza delle registrazioni contabili risulta «in modo
certo e diretto» dai verbali e dai questionari di cui all'art. 32 <<dai verbali redatti presso altri
contribuenti e da altri atti e documenti in possesso dell'ufficio » ;
d) se l'incompletezza, falsità ecco risulta dall'ispezione delle scritture contabili sulla scorta
delle fatture e degli altri atti o documenti raccolti in istruttoria. L' ultima parte di questa lettera d)
apre lo spiraglio alla valutazione della prova secondo il suo intrinseco grado di persuasività, poiché
consente di provare l'esistenza di «attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate» sulla
base di presunzioni gravi, precise e concordanti.
La normativa suddetta dà la sensazione, su quel piano emozionale e pre-logico che spesso
influenza la valutazione della prova, di richiedere alle argomentazioni dell'ufficio un notevole rigore
probatorio, in molti casi eccessivo rispetto a quello che il giudice richiederebbe se considerasse
freddamente le argomentazioni contrapposte .
Queste disposizioni si incentrano infatti sulla regolarità delle scritture contabili cui sono
tenuti i soggetti in esame; in relazione alla regolarità formale e all'attendibilità sostanziale delle
scritture contabili i citati artt. 39, d.P.R. n. 600 e 54-55 decreto IV A prevedono i tipi di
accertamento che la prassi definisce come segue:
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione V
a) il cosiddetto «accertamento analitico », regolato dal comma 1 dell'art. 39 e
dall'art. 54 dell'IVA;
b) il cosiddetto « accertamento induttivo », regolato dall'art. 55 dell'IV A e
dall'art. 39, comma 2.
La suddetta terminologia non ha nulla a che vedere coi modelli logico-filosofici
dell'induzione o della deduzione, ed è invece frutto di una tradizione in cui l'analiticità indicava il
riferimento a singoli elementi contestati, mentre l'induttività atteneva al carattere globale delle
argomentazioni utilizzate (in genere presunzioni basate sulle caratteristiche dell'attività svolta dal
contribuente). Sarebbe per questi motivi più corretto, come talvolta avviene, chiamare «contabile»
l'accertamento analitico (previsto dagli artt. 39, comma 1 e 54 dell' IVA) ed «extracontabile » quello
induttivo (art. 39, comma 2 e art. 55 IVA).
L'accertamento analitico è « contabile » in quanto non smentisce la contabilità nel suo
complesso, ma la corregge in alcuni aspetti, individuando specifici ricavi o compensi in tutto o in
parte non dichiarati, costi non documentati, fittizi, non inerenti ecc. Anche l'accertamento analitico
utilizza presunzioni, riferite però a specifici componenti del reddito o a specifiche operazioni
rilevanti ai fini dell'IVA.
Quanto più l'uso di presunzioni si spinge fino a rideterminare intere categorie di ricavi
aziendali, tanto più l'accertamento « analitico » si avvicina a quello induttivo; esistono rettifiche per
le quali i due concetti si sovrappongono ed è difficile dire se l'accertamento sia analitico o induttivo:
ad esempio la rettifica di tutti i ricavi in base a percentuali di ricarico (paragrafo 6.11), pur
smentendo in modo globale la principale voce del bilancio, viene spesso inquadrata nell'ambito
dell'accertamento « analitico » di cui all'art. 39, comma 1.
A rigor di logica, peraltro, è certamente induttivo l'accertamento che ridetermina il giro
d'affari prescindendo dalla contabilità e basandosi su caratteristiche esteriori dell'attività
commerciale o professionale; viene in questo caso disatteso l'insieme delle scritture contabili e si
spiega così la già indicata denominazione di «accertamento extracontabile » che talvolta si affianca
o si sostituisce a quella di « accertamento induttivo ».
Peraltro anche un accertamento che ridetermina l' intero ammontare dei ricavi in base alle
caratteristiche dell'azienda può smentire in modo convincente le risultanze contabili, evidenziando
contraddizioni insanabili tra esse e le caratteristiche dell'attività. Tale argomentazione
dimostrerebbe prima di tutto l'infedeltà delle scritture contabili ed essere poi idonea alla
conseguente rideterminazione del reddito o dell' IVA.
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9 Presupposti formali e sostanziali
dell'accertamento induttivo (extracontabile) e suo
contenuto (aspetti normativi).
I motivi (o «presupposti») che possono portare all'accertamento «induttivo» (extracontabile),
sono in gran parte ispirati a uno sterile formalismo contabile, come se i contribuenti precisi e
ordinati fossero anche contribuenti fedeli. L'autodeterminazione analitica dei tributi si è infatti
affermata sfruttando l'organizzazione contabile che le grandi imprese tenevano per le proprie
necessità effettive; piccoli commercianti o artigiani, privi delle stesse esigenze organizzative,
possono tenere invece una contabilità non verosimile, per quanto ordinata, come vedremo al par. 11.
L'accertamento extracontabile è però normativamente previsto anche per omissioni contabili e
documentali ormai sempre più rare e meno significative.
Si tratta precisamente di:
- mancata allegazione del bilancio (art. 39, comma 2, letto a)
- l'omessa tenuta di un libro contabile obbligatorio (art. 39, comma 2, letto c, d.P.R. n. 600);
- le negligenze istruttorie, come la mancata risposta ai questionari, che abbiamo indicato al
paragrafo 5.9.
- la presenza sui libri contabili di spazi in bianco, interlinee, cancellature,mancate
vidimazioni ecc. (art. 39, comma 2, letto d) Per dare luogo all'accertamento extracontabile queste
irregolarità formali devono essere talmente gravi numerose e ripetute da escludere le garanzie
proprie di una contabilità sistematica (art. 39 d.P.R. n. 600 e art. 55 decreto IVA).
L'accertamento «induttivo extracontabile» è ammesso anche:
- in caso di omessa dichiarazione del reddito d'impresa (art. 39, comma 2, letto a), ipotesi
che riguarda chi presenta la dichiarazione per altri tipi di reddito (ad es. di lavoro dipendente o
fondiario );
- omessa dichiarazione dei redditi, nel qual caso scatta il cosiddetto «accertamento d'
ufficio», peraltro sempre più raro con la progressiva diminuzione dei c.d. « evasori totali ».
La lettera d dell'art. 39, comma 2, consente l'accertamento induttivo extracontabile quando:
le omissioni e le false e inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma 1 sono così
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gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per
mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.
Questa norma scatta quando le evasioni specificamente dimostrate sono talmente gravi e
numerose da escludere l'attendibilità complessiva delle scritture, oppure quando le contraddizioni
tra dati dichiarati e caratteristiche dell'azienda fanno presumere l'occultamento di una gran massa di
operazioni; ciò accade soprattutto per artigiani e piccoli commercianti (negozi di abbigliamento,
ristoranti, autofficine, ecc.), che effettuano un gran numero di operazioni di piccolo importo, delle
quali non resta traccia e la cui evasione non può essere provata in modo specifico. In questo caso gli
uffici non possono che tentare di rideterminare l'intero importo dei ricavi secondo criteri più
convincenti di quelli dichiarati dal contribuente, procedendo perciò a un accertamento «
extracontabile » o «induttivo ».
Una attendibile presunzione (ad es. macroscopica e inspiegabile divergenza tra versamenti
bancari e incassi registrati) può rispettare simultaneamente il primo e il secondo comma dell'art. 39
(o nell' IVA l'art. 54 e l'art. 55), perché serve sia a smentire le scritture sia a ride terminare il
reddito.
Quanto sopra dimostra che talvolta una sola argomentazione serve al tempo stesso a
dimostrare l' infedeltà delle scritture contabili e i maggiori imponibili accertati: quando
l'accertamento « induttivo extracontabile » non deriva da violazioni formali, esiste perciò una
frequente conseguenzialità logica tra la « parte distruttiva» dell'accertamento, che smentisce la
contabilità e la « parte costruttiva », che spiega come sono stati determinati i maggiori imponibili.
Non è possibile stabilire a priori quando le infedeltà sostanziali siano talmente gravi da
comportare l'inaffidabilità complessiva delle scritture e dare quindi ingresso all'accertamento
induttivo extracontabile. Si tratta di una valutazione da effettuare nel caso concreto, in relazione alle
caratteristiche e alle dimensioni dell'impresa.
Ad esempio l'occultamento di ricavi per cento sarà molto grave quando l'impresa aveva
dichiarato ricavi per duecento, mentre sarà meno grave se i ricavi dichiarati ammontavano a
diecimila . La scoperta di dieci operai « clandestini» è grave per un'impresa con venti operai,
mentre è tutto sommato modesta quando gli operai sono duecento.
Occorrerà quindi esaminare caso per caso il numero e la gravità delle irregolarità sostanziali
accertate (art. 39, comma 2, letto d e art. 55 decreto IVA).
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Il minor rigore probatorio richiesto all'accertamento induttivo non riguarda certo la prova dei
suoi presupposti, che andranno dimostrati nei modi ordinari: ad esempio la pretesa omissione della
dichiarazione deve essere dimostrata con tutti i crismi dall'ufficio.
Solo a questo punto l'imponibile potrà essere accertato secondo criteri più elastici. Si parla
quindi giustamente di un « doppio ordine di motivazione », l'uno più rigoroso, riguardante i
presupposti
dell'accertamento
induttivo,
e
l'altro
più
tenue
riguardante
il
contenuto
dell'accertamento, che vedremo subito.
L'accertamento induttivo (o extracontabile), è frequentemente fondato su stime e, in genere,
su argomentazioni dotate di un modesto grado di probabilità. La legge consente infatti agli uffici di
determinare il reddito in base « a dati e notizie comunque raccolti» e in base a presunzioni anche
prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza; quest'ultima è l'espressione usata nell'art. 39,
d.P.R. n. 600, mentre nell' IVA si parla invece di accertamento effettuato « induttivamente». La
differenza è però meramente terminologica, ed in entrambi i casi, comunque, l'accertamento dovrà
possedere una certa attitudine al convincimento; in particolare, l'autorizzazione ad utilizzare
presunzioni «prive dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c. » non vuoI dire che esse possano essere,
invece che «gravi, precise e concordanti », « arbitrarie, imprecise e contraddittorie ».
L'accertamento induttivo non consente affatto agli uffici di accertare imponibili privi di plausibilità:
anche qui, come in tutte le questioni probatorie, le previsioni legislative devono conciliarsi con
canoni empirici di valutazione della prova,la quale deve avere comunque una certa attitudine al
convincimento .
L'onere della prova spetta, comunque, anche qui all'ufficio, che non può limitarsi a
dimostrare i presupposti dell'accertamento induttivo e dovrà giustificarne il contenuto, sia pure
senza particolare rigore. In pratica l'accertamento induttivo extracontabile è in genere basato su
caratteristiche esteriori dell'azienda, quali la capacità produttiva dei macchinari, la resa delle materie
prime o il rendimento degli addetti (ne vedremo esempi ai paragrafi successivi). Anche in questo
caso la prova, pur potendo essere meno rigorosa, deve comunque provenire dall'ufficio e possedere
una certa credibilità.
Sarebbe in errore chi individuasse nell'accertamento induttivo-extracontabile una
«inversione dell'onere della prova », come se l'ufficio potesse affermare un imponibile qualsiasi,
che il giudice dovrebbe comunque confermare in assenza di prove contrarie da parte del
contribuente.
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10 Aspetti sostanziali della prova dell'evasione: le
rigidità organizzative della grande impresa, la sua
difficoltà ad occultare gli incassi e l'affidabilità
complessiva del relativo impianto contabile.
Benché la normativa descritta ai paragrafi precedenti (art. 39 d.P.R. n. 600 e artt. 54 e 55
IVA) non distingue tra grandi e piccole attività , l'evasione fiscale, e le argomentazioni per
scoprirla, cambiano a seconda del tipo d'impresa, delle sue dimensioni e della tipologia della sua
clientela: ai due estremi troviamo le « piccole imprese operanti con consumatori finali » e le «
grandi imprese organizzate burocraticamente ». Si tratta, in estrema sintesi, di due schemi-tipo di
evasione fiscale: quella che omette la registrazione di ricavi, prassi diffusa presso piccoli
commercianti e artigiani operanti con consumatori finali, e per i quali la contabilità è solo una
sovrastruttura fiscale, non una esigenza operativa.
La grande impresa ha invece una oggettiva difficoltà, per esigenze di controllo interno,
connesse alla mancata coincidenza tra chi maneggia gli incassi ed i soci di riferimento, a omettere
sistematicamente la registrazione dei ricavi. Per essa, l'eventuale evasione si annida all'interno della
contabilità, in genere sotto forma di documenti di spesa fittizi.
Le grandi imprese costituiscono, proprio per questa « spersonalizzazione» della loro
amministrazione, buona parte dei soggetti che hanno reso possibile l'attuale autodeterminazione
analitica delle imposte, come rilevato anche in altri paragrafi di questo testo. Per esse, infatti:
1) la contabilità è un'esigenza oggettiva, indispensabile alla direzione e alla proprietà per
capire come stanno andando gli affari e tenere sotto controllo la gestione;
2) con l'aumentare delle dimensioni aziendali è sempre più difficile occultare i ricavi in
modo sistematico, perché le tracce si moltiplicano e aumenta il personale amministrativo, cui non è
prudente far conoscere l'esistenza di irregolarità fiscali; si accresce cioè la distanza tra la proprietà
dell'impresa e il personale che gestisce l'acquisizione degli incassi. L'amministrazione aziendale si
articola inoltre su una pluralità di uffici (clienti, fornitori, acquisti, magazzino, tesoreria, contabilità
industriale ecc.) che in un certo senso «si controllano reciprocamente ». Le frodi fiscali tendono
casomai a concentrarsi su sporadiche operazioni di rilevante importo, che possono essere gestite
direttamente dai titolari o da persone di fiducia, senza interferire con l'ordinaria routine
amministrativa;
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3) la redditività di una grande impresa non si presta a stime globali basate sulle sue
caratteristiche esteriori (superficie, attrezzature, dipendenti, clientela ecc.); quando l'impresa ha
richiesto grandi investimenti ed ha una capacità di «stare sul mercato» è credibile che la si
mantenga in vita nonostante produca perdite, che invece appaiono meno credibili per le imprese
minori .
Per questi motivi l'evasione dell'impresa medio-grande si colloca di solito all'interno della
contabilità : per questo, nella pratica,gli accertamenti alla grande impresa sono in genere «analiticocontabili », di solito basati su questioni giuridico interpretative.
Un primo strumento evasivo è costituito da documenti di spesa fittizi (le c.d. fatture false),
per far uscire dalla società, somme destinate ai consumi personali dei soci . E improbabile però che
il documento fittizio riguardi beni materiali, che avrebbero dovuto essere presi in carico nel
magazzino, facendo scattare i suddetti controlli interni tra vari uffici aziendali. Si tratta spesso di
prestazioni di servizi, come provvigioni, spese di pubblicità « gonfiate », e simili.
Il documento può essere fittizio in molti sensi: può essere emesso da società di comodo (le
cosiddette «cartiere »), che non dichiarano il corrispondente ricavo, non versano l ' IVA e poi
spariscono nel nulla, prassi rischiosa perché è facile per gli uffici fiscali presumere che tutte le
fatture emesse da questi soggetti siano fittizie, e quindi individuare e perseguire i fittizi acquirenti.
Sono meno rischiose fatture fittizie emesse da soggetti realmente esistenti, che però non pagano
imposte in quanto «non commerciali», in regimi forfettari, residenti all'estero o in situazione di
irrecuperabile perdita .
Tra la grande impresa e il piccolo commerciante, esistono una serie di realtà intermedie.
Anche imprese di una certa dimensione possono, più o meno sporadicamente, occultare i ricavi: il
caso è frequente soprattutto per le medie aziende che riforniscono dettaglianti, spesso desiderosi di
acquistare «in nero » per nascondere a loro volta i ricavi. Si tratta di prassi cui frequentemente
indulgono piccole industrie tessili o di pelletteria, magari nate su laboratori artigianali e che cercano
di perpetuare abitudini evasive tipiche delle dimensioni di un tempo .
Anche la tipologia del cliente e delle prestazioni rese concorre a definire e possibilità di
evasione; quando le vendite derivano da poche prestazioni di rilevante valore unitario, rese a privati
non interessati a documentare il costo, diventa più agevole accordarsi con i clienti per omettere la
registrazione degli incassi. Quando le operazioni sottostanti non possono essere negate, come
avviene per la vendita di immobili, non si occulta la cessione, ma una parte del corrispettivo,
palesando un prezzo inferiore a quello effettivo, mentre la differenza è incassata « in nero» .
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La propensione a queste frodi è maggiore quando si tratta di società a ristretta base
azionaria, in cui proprietà e direzione si identificano; un forte potere dei dirigenti, e la separazione
tra proprietà e gestione (si pensi al caso limite delle società quotate in borsa), innesta una serie di
controlli reciproci che diminuiscono il ischio di occultamenti e frodi .
Abbastanza frequente è poi la tendenza ad imputare alle imprese spese personali degli
amministratori o dei soci (ad esempio spese alberghiere o di ristorazione), soprattutto nei suddetti
casi di base azionaria ristretta.
Si tratta però di una evasione facile da scoprire, con un'analisi dei conti « spese generali »,
«spese di rappresentanza », per vedere se appaiono in essi cifre significative su cui vale la pena di
indagare; la questione si sposta poi sul piano delle discussioni sull' «inerenza» che abbiamo
esaminato nella parte speciale.
Alla grande impresa sono correntemente riferiti anche i comportamenti genericamente
etichettati con l'espressione «elusione fiscale» esaminata al paragrafo 3.6, e di cui riparleremo, a
proposito di specifiche prassi elusive, nella parte speciale.
Quanto più l'organizzazione dell'impresa è complessa e articolata, con l'aumento delle merci
da movimentare e del denaro da gestire, aumentano le tracce contabili di vendite non registrate.
L'impresa può non riuscire a nascondere tutti i fattori di produzione dei ricavi occultati, ed
emergono squilibri tra i fattori della produzione: pensiamo a una fabbrica di pantaloni, che acquista
stoffa, filo, cerniere lampo, bottoni, etichette, servizi di trasporto, di intermediazione, ecc.;
un'inspiegabile sproporzione di uno o più di questi acquisti rispetto agli altri, o rispetto ai ricavi, è
un indizio di ricavi occultati. È accaduto persino che, in base all'acquisto di una quantità di
imballaggi più elevata rispetto ai beni ceduti « con fattura », gli uffici presumano cessioni non
contabilizzate.
Altri indizi dell'evasione derivano dall'esigenza di tenere traccia dei rapporti con le
controparti. Non è raro trovare agende o annotazioni in cui sono annotate le vendite non fatturate,
copie di ordini di acquisto o di contratti, ricevute, matrici di assegni, annotazioni di nomi e cifre.
Verso queste tracce, e verso le movimentazioni delle merci, presso i magazzini dell'impresa o in
viaggio, si dirigono ispezioni alle quali è particolarmente adatta la guardia di finanza. In questi casi
la controversia tra amministrazione e contribuente si sposta di solito sulla persuasività delle
presunzioni di evasione che l'ufficio ha formulato in base a tali indizi .
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11 Le modalità di evasione nel piccolo commercio e
nell'artigianato diretti a consumatori finali.
L'evasione di piccoli imprenditori e professionisti avviene occultando ricavi e compensi,
procedura più facile per la ridotta dimensione e la clientela composta di consumatori finali, non
interessati a documentare i propri acquisti . Le piccole imprese operanti con consumatori finali si
prestano a un controllo in tutto o in parte indipendente dalle scritture contabili perché:
a) quando l'impresa sostanzialmente coincide col suo titolare, è più facile omettere la
registrazione contabile delle operazioni. Quando il titolare dell'impresa acquisisce in
prima persona il denaro versato da consumatori finali che non hanno bisogno di
ricevere fattura, né di documentare in altro modo l'operazione, la propensione
all'evasione è massima;
b) la contabilità non è un'esigenza oggettiva per capire come stanno andando gli affari
di queste imprese, ma in buona parte è una mera sovrastruttura imposta dalla
normativa fiscale, nell'illusione di poter ottenere in questo modo la stessa affidabilità
descritta al paragrafo precedente per le grandi organizzazioni;
c) trattandosi di piccole attività, conosciute e tradizionali, è spesso possibile valutare la
credibilità dei dati dichiarati anche senza un'analisi contabile, valutando se l'ordine di
grandezza dei ricavi è congruo rispetto alle caratteristiche esteriori dell'attività, come
superficie, attrezzature, ubicazione, dipendenti, acquisti ecc.;
d) è antieconomico, quando manca una grande organizzazione da salvaguardare,
proseguire attività che fruttano solo perdite o redditi inferiori al minimo di
sussistenza. L'evasione fiscale, per questi soggetti, è spesso la più convincente
spiegazione degli irrisori redditi dichiarati.
È insomma più facile dimostrare, in questi casi, che manifeste sproporzioni tra ricavi
dichiarati e caratteristiche dell'impresa costituiscono presunzioni « gravi precise e concordanti » di
occultamento degli incassi. Le più diffuse argomentazioni di tipo globale, basate sulla comune
esperienza e sulle caratteristiche esteriori dell'attività, si inquadrano a rigore nell'accertamento
induttivo, perché smentiscono nel loro complesso i ricavi contabilizzati, cioè la stessa base di
partenza delle scritture.
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Di frequente, pertanto, accertamenti che disattendevano la contabilità a favore di una
rideterminazione globale dei ricavi in base ad alcune caratteristiche dell'attività svolta sono stati
confermati dai giudici. Esaminiamo ora le più frequenti di tali argomentazioni.
Una diffusa rettifica globale dei ricavi è basata sulle c.d. percentuali di ricarico, cioè sul
rapporto tra i ricavi contabilizzati e gli acquisti registrati nella contabilità. Confrontando i margini
di guadagno sulle merci constatati direttamente con quelli risultanti dalla contabilità, si può
fondatamente presumere che acquisti registrati abbiano dato luogo a vendite non registrate. Questo
metodo è molto efficace quando l'impresa deve contabilizzare integralmente i costi di acquisto,
poiché questi ultimi sono regolarmente fatturati dai fornitori La credibilità di queste presunzioni va
valutata caso per caso, verificando se la percentuale è stata calcolata con riferimento a una quantità
significativa di merce, se è stato tenuto conto delle diverse quantità acquistate, se è stato considerato
tutto l'arco dell'anno, compresi i periodi di liquidazione. Il metodo delle percentuali di ricarico è
invece poco incisivo quando il contribuente occulta proporzionalmente ricavi e costi, nel qual caso
una anomalia può essere rappresentata da acquisti non registrati, rilevabili controllando se i beni
rinvenuti presso l'impresa sono corredati da fatture, ovvero se esiste un sufficiente ammontare di
fatture per beni che il contribuente non può credibilmente negare di aver acquistato; l'occultamento
dei costi rende infatti molto probabile l'esistenza di un corrispondente ammontare di ricavi non
contabilizzati.
Per le imprese di servizi (albergatori, baristi, autoriparatori,parrucchieri, ecc.) il sistema
delle percentuali di ricarico è poco efficace, in quanto i beni acquistati non vengono rivenduti nello
stato in cui si trovano, e manca perciò la possibilità di confrontare prezzi di acquisto e di vendita.
Il controllo dei ricavi è quindi più plausibile quando basato su altri aspetti della capacità
produttiva dell'esercizio o sul consumo di un certo fattore produttivo, correlato con le prestazioni
rese. Si pensi ad esempio al consumo di farina per una pizzeria, di energia elettrica per una
lavanderia, di caffè per un bar, di vernice per un carrozziere, di gasolio per un autotrasportatore.
Quanto precede non significa che l'accertamento nei confronti delle piccole attività commerciali e
artigianali debba essere necessariamente basato sulle caratteristiche economico strutturali
dell'azienda (anche l'accertamento nei confronti di questi soggetti potrebbe riguardare costi non
deducibili o specifici ricavi non dichiarati). Si vuole solo segnalare che, ferma restando la
rettificabilità anche delle piccole aziende con le argomentazioni « analitiche» descritte ai precedenti
paragrafi, in questi casi risultano spesso di fatto convincenti anche rettifiche basate sulle
caratteristiche economico strutturali dell'attività.
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12 Le disposizioni sulla ricostruzione presuntiva
globale del giro d'affari gli «studi di settore».
Abbiamo già rilevato che in linea di principio le rettifiche presuntive e globali dei ricavi di
piccoli commercianti e artigiani,basate sulle caratteristiche generali dell'attività svolta, sono
compatibili con le ordinarie disposizioni di cui agli artt. 39 d.P.R. n. 600 e 54-55 IVA.
Ciononostante, il tenore complessivo di tali disposizioni finiva spesso per indurre una parte della
giurisprudenza ad assumere un atteggiamento troppo rigoroso nei confronti degli accertamenti
basati sulle caratteristiche economico strutturali dell'azienda.
Il già scarso numero di controlli si accompagnava quindi ad una percentuale di
soccombenza, per l'amministrazione finanziaria, che sminuiva fortemente l'efficacia dissuasiva del
sistema nel suo complesso. Ciò anche in quanto,nella massa dei piccoli contribuenti, si era fatta
strada la convinzione che una contabilità regolarmente tenuta ponesse sempre e comunque al riparo
da accertamenti basati sulle caratteristiche dell'attività. I dati statistici delle dichiarazioni relative
agli anni successivi alla riforma del 1973 si presentarono infatti così scarsamente credibili, da
generare notevole frustrazione per gli uffici e comprensibile disorientamento nell'opinione pubblica.
Il problema era aggravato dall'estrema frammentazione del sistema commerciale italiano,
affollatissimo di botteghe e negozietti incapaci al tempo stesso di arginare la concorrenza della
grande distribuzione, pagare le tasse ed offrire un reddito decoroso al titolare.
Sono ormai vent'anni che vengono invano emanate norme legislative tese da una parte a
contrastare l'evasione di piccole imprese e professionisti, tenendo peraltro conto della quantità di
contribuenti coinvolti e senza assumere atteggiamenti punitivi nei confronti di soggetti spesso
operanti in situazioni di crisi e disagio.
Dopo gli accertamenti induttivi di cui alla legge n. 17/1985, mai messi in pratica, il
legislatore inaugurò la tendenza a stabilire presuntivamente, secondo procedimenti matematicostatistici, l'ammontare di ricavi collegato a determinate caratteristiche dell'attività.
Un primo strumento fu quello dei «coefficienti presuntivi », introdotti dagli artt. 11 e 12 del
d.l. n. 69/1989 poi quello del « contributo diretto lavorativo »,secondo cui il reddito degli artigiani
o piccoli commercianti avrebbe dovuto essere «in linea » con quello di chi svolgesse analoghe
mansioni come lavoratore dipendente, poi i c.d. «parametri» predecessori degli studi di settore di
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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cui diremo più avanti. Non è opportuno soffermarsi su queste prime disposizioni, mai applicate su
larga scala in sede di controllo, in quanto già superate da norme successive, anche a causa dei
lunghi termini previsti per l'accertamento e dei condoni intervenuti nel frattempo.
Gli strumenti numerico-statistici oggi utilizzati sono i c.d.« studi di settore» , che
individuano, per ciascuna attività commerciale e di servizi, una serie di caratteristiche economico
strutturali in base alle quali presumere i ricavi. Lo studio di settore ripercorre, formalizzandoli
numericamente in base a tecniche statistiche, i passaggi logici tradizionalmente svolti dagli uffici
fiscali per stimare l'ordine di grandezza dei ricavi a fronte delle caratteristiche economico strutturali
dell'attività.
L'applicazione degli studi dà luogo a presunzioni legali relative, suscettibili non solo di
prova contraria in giudizio, ma anche di un riesame ponderato da parte dei giudici.
Nelle intenzioni, gli studi di settore non avrebbero dovuto avere carattere sostanziale, ma
probatorio (si ripete di presunzione relativa), agevolando gli uffici nel redigere in modo più
convincente e snello gli avvisi d'accertamento, perseguendo l'adesione del contribuente ed evitando
estenuanti processi . Nei fatti, però, gli studi di settore, determinati secondo processi matematico
statistici tutt'altro che comprensibili all'esterno, si stanno assestando su valori assai modesti rispetto
a quelli spesso presumibili in relazione alle caratteristiche concrete dell'attività. Inoltre, i dati
contabili rilevanti ai fini degli studi di settore possono essere facilmente «pilotati» dagli stessi
contribuenti, vista la rarità dei sopralluoghi fisici, anche per il gran numero dei soggetti interessati. I
casi di scostamento dei redditi dichiarati rispetto a quanto risulta dagli studi sono quindi modesti, e
definiti in genere mediante accertamento con adesione. Come tutte le forfetizzazioni, anche gli studi
di settore si attestano inevitabilmente al ribasso, e danno luogo in genere a rendite fiscali più o
meno elevate, esattamente come avviene per il catasto. Del resto non deve stupire la difficoltà di
assoggettare a una credibile tassazione,senza un capillare e snello intervento amministrativo, redditi
di piccoli commercianti e artigiani non intercettati dai grandi sostituti d'imposta e operanti
direttamente con consumatori finali. È una delle tante conseguenze delle diverse modalità di
formazione e circolazione della ricchezza, da cui derivano disuguaglianze che possono essere
contenute, ma non certo eliminate.
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13 Argomentazioni probatorie nei confronti dei
soggetti non obbligati alla tenuta di scritture
contabili (c.d. «privati») e accertamento del
reddito in base alla spesa (accertamento sintetico
e redditometro)
Per i soggetti non imprenditori né professionisti, ad esempio percettori di redditi fondiari, o
lavoratori dipendenti che ricevono somme «fuori busta », le rettifiche fiscali vanno valutate in base
ai consueti criteri empirici che governano il giudizio di fatto.
Nell'attività ordinaria degli uffici gli accertamenti di questo tipo si basano in genere su
documenti o informazioni specifiche:si pensi ad esempio a verifiche presso il datore di lavoro da cui
risulti che il dipendente aveva percepito compensi non dichiarati.
In simili controversie verrà di solito in considerazione l'attendibilità della fonte da cui
l'ufficio ha ottenuto l'informazione: segnaliamo ad esempio gli accertamenti di «interessi attivi
presunti»nei confronti di titolari di crediti o nei confronti di soggetti che abbiano incassato somme
di cui non risulta l'impiego.
Analoghe necessità di informazioni specifiche sussistono per i rari accertamenti nei
confronti dei sostituti d'imposta, per dimostrare il mancato assoggettamento a ritenuta di somme
erogate, ad esempio compensi pagati «fuori busta» o redditi in natura su cui non sono state
effettuate le ritenute.
Il cosiddetto «accertamento sintetico» (art. 38, comma 4.d.P.R. n. 600), a differenza di quelli
finora esposti, non ricerca il reddito attraverso la sua fonte produttiva, ma attraverso la sua
utilizzazione per consumi e investimenti personali. In base al tenore di vita e alle spese per
investimenti privati, eccedenti i redditi dichiarati, viene presunto un maggior reddito. Questo
accertamento viene definito « sintetico » perché non si basa sulle fonti di produzione del reddito
(impresa, lavoro, capitale, ecc.) ma utilizza il suddetto procedimento logico «a ritroso» (dalla spesa
al reddito) presumendo - salvo prova contraria - che le spese suddette siano state finanziate prima di
tutto con il reddito del periodo d'imposta .
Questo criterio di accertamento è regolato dall'art. 38, comma 4 del d.P.R. n. 600/1973, che
supera d'autorità le perplessità che pure potrebbero esistere sulla possibilità di assolvere l'onere
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della prova con argomentazioni di questo tipo. Visto però che solo il contribuente sa da dove ha
ricavato le somme spese è logico che la legge gli faccia carico di dimostrare il finanziamento delle
spese con somme diverse da redditi non dichiarati. L'ufficio deve dimostrare il sostenimento delle
spese, il che è abbastanza facile quando si tratta di consumi o investimenti facilmente rilevabili,
come il mantenimento di autovetture, di residenze secondarie, di imbarcazioni da diporto ecc.. A
questo punto occorre quantificare le spese, e a tal fine alcune di esse sono quantificate da decreti
ministeriali cui fa rinvio l'art. 38 ; ali decreti abbinano alle caratteristiche materiali del bene o del
servizio, ad esempio la potenza fiscale dell'autovettura o i metri quadrati della residenza secondaria,
una certa spesa di mantenimento.
Sommando queste spese, ed aggiungendovi eventuali spese diverse da quelle predeterminate
dal decreto, l' ufficio accerta un maggior reddito, a condizione che la differenza sia di oltre il 25%
rispetto al reddito dichiarato e sussista almeno per due periodi d'imposta.
Resta ferma la possibilità che gli uffici utilizzino altri indici di spesa, non previsti dal
decreto ministeriale, tra cui segnaliamo soprattutto le spese per investimenti patrimoniali, come la
sottoscrizione di capitale societario o l'acquisto di immobili .
Nel contrastare l'accertamento sintetico, il contribuente potrà prima di tutto dimostrare che
l'indice di spesa non esisteva. Anche ammettendo di aver sostenuto la spesa, il contribuente
potrebbe poi dimostrare che essa venne fronteggiata con somme non costituenti reddito imponibile,
prima di tutto dimostrando redditi esenti o soggetti a ritenuta a titolo d'imposta come ad esempio
redditi finanziari, non soggetti a dichiarazione fiscale secondo quanto indicato al par. B6 della parte
speciale.
Rileva comunque qualsiasi altra ragione possa spiegare l'eccessività della spesa rispetto al
reddito dichiarato, come disinvestimenti patrimoniali, realizzazione di plusvalenze fiscalmente non
imponibili, rendite fiscali per via di redditi agrari tassati con redditi catastali inferiori a quello
effettivo , accensione di prestiti ecc. Una frequente prova contraria è il sostenimento delle spese da
altri soggetti, come genitori o coniugi , in rapporti familiari dove titolarità di beni e sostenimento
delle spese si confondono in vario modo.
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14 La pluralità di atti impositivi concernenti lo
stesso presupposto d'imposta: l'accertamento
parziale.
Quando molti elementi influiscono sulla determinazione dell'imposta (il che avviene spesso
nelle imposte sui redditi e nell 'IVA) può accadere che, dopo un avviso di accertamento, gli uffici
individuino ulteriori violazioni attribuibili al contribuente.
Da un punto di vista puramente logico non ci sarebbero ostacoli a un nuovo controllo, con la
formulazione di rilievi ulteriori rispetto a quelli precedenti ; una reiterazione di accertamenti
contrasta però con numerose esigenze meritevoli di tutela. Per il contribuente sarebbe infatti più
difficile difendersi se fosse esposto, a discrezione dell'ufficio, ad ulteriori controlli . Inoltre la
decisione di non impugnare l'accertamento può essere presa con cognizione di causa solo sapendo
se l'atto è quello conclusivo, oppure potranno giungerne altri.
Queste preoccupazioni sono alla base delle norme che consentono agli uffici nuovi
accertamenti solo per sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (c.d. «accertamento integrativo»
di cui agli artt. 43, d.P.R. n. 600 e 57, comma 3, decreto IVA). La « sopravvenuta conoscenza di
nuovi elementi» andrà naturalmente ricercata caso per caso, allo scopo di stabilire se si tratti
davvero di « sopravvenuta conoscenza » ovvero del riesame di circostanze che avrebbero dovuto
già anteriormente essere valutate.
Per evitare intralci eccessivi all'attività di controllo, la « sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi » non è richiesta dopo i c.d. « accertamenti parziali» (art. 41-bis, d.P.R. n. 600).
L'esigenza alla base degli «accertamenti parziali» si comprende facilmente considerando che
la frammentazione del presupposto in una pluralità «elementi» diversi tra loro consente di
individuarne alcuni con controlli abbastanza specifici. Il legislatore ha voluto, in questi casi, lasciare
impregiudicata l'ulteriore attività accertatrice, altrimenti subordinata alla «sopravvenuta conoscenza
di nuovi elementi».
L'accertamento parziale di cui all'art. 41-bis, è consentito anche per alcune rettifiche molto
specifiche, come quelle derivanti dai « controlli incrociati », redatti informaticamente dall'anagrafe
tributaria: casi classici sono gli « incroci » tra dichiarazione dei sostituti d'imposta e del
contribuente (per individuare la mancata dichiarazione di redditi assoggettati a ritenuta d'acconto) ,
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o tra dichiarazioni di società personali e dichiarazioni dei soci. Quest'accertamento « parziale
automatizzato » è praticabile solo per i dati immagazzinati nel sistema dell'anagrafe tributaria, ed ha
quindi un ambito applicativo molto limitato. A seguito di successive modifiche normative, l'art. 41bis, e quindi la possibilità di procedere ad accertamenti integrativi senza il vincolo della
«sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi» è applicabile a tutte le rettifiche basate su
segnalazioni di amministrazioni pubbliche e delle Guardia di Finanza. La prassi del ministero delle
finanze tende a dare un 'interpretazione ampia del concetto di « segnalazioni » della Guardia di
Finanza, fino a inserire tra gli accertamenti parziali molti di quelli basati su processi verbali di
constatazione redatti da tale ente.
In ogni caso i dubbi e le incertezze sulla qualificabilità del primo accertamento come
«parziale» emergono solo all'atto di un secondo accertamento, e siccome quest'eventualità è
abbastanza rara, i dubbi in esame acquistano raramente rilevanza pratica.
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