Seconda parte 4) L’accertamento dei redditi di impresa (art. 39 DPR 600/73) L’art. 39 del DPR 600/73 si occupa dell’accertamento dei “Redditi determinati in base alle scritture contabili” come recita il titolo dell’articolo. L’incipit dell’art. 39 (“Per i redditi di impresa delle persone fisiche ….”) può lasciare intendere ad una limitata portata di tale articolo, che – invece – ha una portata generale. Infatti: • Il 3° comma dell’art. 39 stabilisce che: “Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall' esercizio di arti e professioni”; • L’art. 40 del DPR 600/73, a sua volta, dispone che: “[1] Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dai soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche si procede con unico atto agli effetti di tale imposta e dell'imposta locale sui redditi, con riferimento unitario al reddito complessivo imponibile ma tenendo distinti i redditi fondiari. Per quanto concerne il reddito complessivo imponibile si applicano le disposizioni dell' art. 39 relative al reddito d'impresa (…)”[2] Alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni indicate nell' art. 5 del D.P.R. 29-9-1973, n. 597, si procede con unico atto ai fini dell' imposta locale sui redditi dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche o delle persone giuridiche dovute dai singoli soci o associati. Si applicano le disposizioni del primo comma del presente articolo o quelle dell'art. 38 secondo che si tratti di società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate ovvero di società semplici o di società o associazioni equiparate”. Dunque l’art. 39 contiene sostanzialmente le regole per l’accertamento (rectius: per le varie tipologie di accertamento): • • • • • Sia dei redditi di impresa delle persone fisiche; Che dei redditi delle imprese in contabilità semplificata; Che dei redditi derivanti dall’esercizio di arti e professioni; Che dei redditi di impresa delle società di persone; Che dei redditi di impresa delle persone giuridiche. 4.1) Il primo comma dell’art. 39 del DPR 600/73 L’art. 39, 1° comma, descrive almeno 5 tipi di accertamento (corredati da sottotipi): 1) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. a) quando i dati indicati in dichiarazione dei redditi non corrispondono a quelli del bilancio, e dunque a quelli delle scritture contabili (Questa norma è strettamente correlata alla determinazione del reddito di impresa a partire dal risultato dell’esercizio esposto nel bilancio. A tale riguardo cfr. artt. 56 e 83 del DPR 917/86 sulla determinazione del reddito di impresa); A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 10 Seconda parte 2) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. b) quando si riscontra una violazione di una norma in materia di reddito di impresa (ad esempio quote ammortamento dedotte in misura eccessiva, deduzione di costi non inerenti); 3) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. c) quando l’incompletezza o la falsità dei indicati in dichiarazione dei redditi si evince - in modo certo e diretto dai questionari e dai verbali di cui all’art. 32 del DPR 600/73, dai documenti e registri trasmessi in risposta ad inviti, nonché da dichiarazioni di terzi e verbali relativi a terzi; 4) Accertamento analitico-contabile (art. 39, 1° c., lett. d, primo periodo) quando “l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all' articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall’ articolo 32” (ad esempio sulla scorta delle movimentazioni bancarie). 5) Accertamento analitico-induttivo (art. 39, 1° c., lett. d, secondo periodo) quando “L'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti” Si osservi che fra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all’art., 39, 1° comma, lett. d), secondo periodo, rientrano anche quelli ai quali fa riferimento l’art. 62-sexies del D.L. 331/1993 convertito con L. 427/93: “[3] Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull' esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell' articolo 62-bis del presente decreto”. 4.2) Il secondo comma dell’art. 39 del DPR 600/73 L’accertamento analitico, anche se di tipo analitico-induttivo, richiede e presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità. Assai diverso è il caso dell’accertamento induttivo-extracontabile previsto dal 2° comma del DPR 600/73, da adottare quando la contabilità è complessivamente inattendibile oppure si verificano altre circostanze di una certa gravità. Elenco tassativo dei casi legittimanti accertamento induttivo: 1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; 2) Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione; 3) Scritture contabili complessivamente inattendibili; A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 11 Seconda parte 4) Mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti; 5) Scritture contabili indisponibili per cause di forza maggiore; 6) Indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore. In presenza di tali situazioni, all’Agenzia sono attribuite tre facoltà: • Avvalersi “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza”; • Prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili; • Avvalersi di presunzioni prive dei squisiti di gravità, precisione e concordanza. 4.3) Gli accertamenti analitico-induttivo e induttivo extracontabile: presunzioni semplici e presunzioni semplicissime 4.3.1) LA PRESUNZIONE SEMPLICE La presunzione semplice utilizzabile nel procedimento tributario altro non è che la figura disciplinata dall’art. 2729 cod.civ., il quale prevede che: <<1. Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. 2. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni>>. Tale articolo si trova nel LIBRO VI (Della tutela dei diritti), TITOLO II (Delle prove), CAPO IV (Delle presunzioni). E’ pacifico in dottrina che la presunzione semplice sia una prova, e che su di essa possa fondarsi l’accertamento. E’ riconosciuta tutela giuridica all’interesse del contribuente all'essere soggetto solo giusto tributo, sicché che le presunzioni semplici non sono utilizzabili soltanto contro di esso, ma anche a suo favore, con la conseguenza che l’ammissione delle presunzioni semplici é comunque coerente ai principi generali, e non incompatibile con essi. La presunzione semplice è una inferenza che parte e prende le mosse da un fatto noto per giungere, ricostruendolo logicamente, al fatto ignorato. Un fatto è noto se risulta con la certezza che l’ordinamento considera sufficiente perché sia fissato nella sentenza: • Se è provato; • Se è non contestato; • Se è notorio. Il fatto notorio è il fatto che rientra nella normale conoscenza dell’uomo medio in un determinato luogo e periodo di tempo. A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 12 Seconda parte Il riconoscimento ad un fatto di tale qualità (notorietà) é operazione delicata, posto che consente di tenerne conto ai fini del giudizio anche se non provato in contraddittorio tra le parti. Si comprendono dunque le raccomandazioni della dottrina circa l'opportunità di un uso prudente di tale nozione. E’ diffusamente affermato in dottrina e giurisprudenza il divieto di presunzioni a catena (praesumptum de praesumpto), cioè di una inferenza che parte da un fatto accertato, a sua volta, per via di presunzione semplice (ex multis Cass. 3568/2010; Cass. 7931/96, in cui si legge: Resta in ogni caso fondamentale l'esigenza che il presupposto della presunzione risulti con carattere di certezza e non sia a sua volta il prodotto di una presunzione, non potendo il giudice trarre presunzione da altra presunzione ("praesumptiones de praesumpto")). Il motivo del divieto della presunzione a catena è costituito, essenzialmente, dalla osservazione che dalla doppia presunzione scaturirebbe solo la possibilità di esistenza del fatto presunto, giacché combinando due probabilità il fatto presunto finale non sarebbe ragionevolmente certo almeno in termini di elevata probabilità. I requisiti di gravità, precisione e concordanza: l'interpretazione di tali requisiti può comportare alcuni problemi interpretativi ma tali problemi risultano notevolmente ridimensionati qualora si capovolga la norma: si otterrebbe un precetto secondo il quale non sarebbero ammesse le presunzioni deboli, imprecise e discordanti. In definitiva, il nucleo centrale di questa disposizione è ovvio: una circostanza può essere accertata in via induttiva purché in modo convincente. Cass. Civ., sez. I, 28-08-1996, n. 7931 <<Come è noto, il procedimento presuntivo consiste nella interpretazione di un fatto certo - in quanto pacificamente riconosciuto o acclarato dal giudice attraverso i mezzi di prova legittimamente acquisiti, o desumibile dalle nozioni di fatto che rientrano nell' ambito della comune esperienza - per risalire a un fatto ignoto, che costituisce in sè stesso oggetto del "thema probandum" e che viene ritenuto provato in quanto correlato con logica conseguenzialità al primo. Devesi tener presente al riguardo: che "gravi" sono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e come tali resistenti alle possibili obiezioni, "precisi" sono quelli dotati di specificità e concretezza e non suscettibili di diversa altrettanto (o più) verosimile interpretazione, e "concordanti" sono quelli non confliggenti tra loro e non smentiti da altri dati ugualmente certi. In altre parole, la gravità dell'elemento indiziario ne esprime la capacità dimostrativa in funzione del tema della prova, la precisione risponde a una esigenza di univocità, e la concordanza soddisfa la necessità di una valutazione integrata e complessiva di tutti gli elementi che presentino singolarmente una almeno parziale rilevanza probatoria positiva>>. L'unico ulteriore problema interpretativo si pone relativamente all'aggettivo concordanti qualora si ritenesse necessaria la convergenza tra piu’ di una presunzione e l'insufficienza di una sola. In ipotesi <<sarebbe necessaria una pluralità di elementi indizianti su cui innestare più presunzioni che concorrano tutte, come una raggiera percorsa a partire dalla circonferenza e verso il centro, nella direzione del fatto ignorato da provare. Tale opinione si può dire definitivamente respinta da una giurisprudenza ormai consolidata. Rimane il problema del significato attribuibile, allora, a “concordanti”. Esso è evidentemente limitato all'eventualità di più presunzioni, in A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 13 Seconda parte presenza di più fatti indizianti: esse in tal caso non debbono smentirsi l’un con l'altra. Adattare invece tale qualità al caso di un unico elemento indiziante non va oltre alla individuazione delle requisito di univocità. Questo però aggiunge poco alla gravità e alla precisione. In definitiva, la presunzione deve dare un risultato plausibile, che indichi in modo specifico il fatto da provare, priva di contraddizioni logiche e ragionevolmente univoca>> (A.MARCHESELLI, Accertamenti tributari difesa del contribuente, Milano, 2010, p. 174.). Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021 <<Il procedimento valutativo della prova per presunzioni, come chiarito da questa sezione (sentenza 16 maggio 2007 n. 11206 da cui gli excerpta, che richiama "Cass. 1, 13 ottobre 2005 n. 19894; id, trib., 18 settembre 2003 n. 13819"), invero, "si articola in due indefettibili momenti" per i quali il giudice del merito deve, innanzi tutto, "valutare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari (1) per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e (2) per conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravita, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria" e, di poi, "procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi". Gli elementi assunti a fonte di prova, inoltre (Cass. 1^, 11 settembre; 2007 n. 19088), non debbono essere necessariamente più d'uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purchè grave e preciso, dovendosi il requisito della "concordanza" ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi>>. Sulla necessità di una pluralità di presunzioni, si veda – al contrario – la giurisprudenza più datata della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I Civ., Sent. 1° giugno 1994, dep. 15/2/1995, n. 1628; Cass., Sez. I Civ, Sent. 17-12-1994, n. 10850): “L’insufficienza del singolo fatto noto a dar fondamento alla prova presuntiva discende dalla stessa formulazione dell’art. 2729 c.c., che fa riferimento a più presunzioni “concordanti”, confermando così che il giudizio critico deve applicarsi ad una valutazione globale dei fatti storicamente verificabili”. A questo punto rimane solo da chiarire se per poter dare per accertato in via presuntiva il thema probandum sia richiesta una implicazione necessaria tra un fatto noto ed un fatto ignorato (una certezza per imprescindibili ragioni logiche), oppure se sia sufficiente una ragionevolezza ed elevata probabilità del risultato conoscitivo raggiunto. Sembra ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, come è stato affermato da Cass. 7931/96: <<Peraltro, non si richiede che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignorato come l'unica conseguenza possibile secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo sufficiente invece che, alla luce di regole di esperienza e secondo l"id quod plerumque accidit", il fatto ignoto sia desumibile alla stregua di un canone di probabilità con riferimento a una connessione di accadimenti ragionevolmente verosimile in base a un criterio di normalità (v. per l' applicazione del detto principio in materia tributaria: Cass. I 14-8-1992 n. 9583; Cass. I 26-11-1994 n. 10058 ; Cass. I 3-12-1994 n. 10408)>>. A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 14 Seconda parte Per completezza, appare opportuno ricordar che le “percentuali medie di settore”, sovente poste dall’Agenzia delle Entrate a base di accertamenti analitico-induttivi (cioè fondati su presunzioni che siano gravi, precise e concordanti) costituiscono, per univoco indirizzo giurisprudenziale, presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, non potendo essere considerate un fatto “noto” storicamente provato, dal quale argomentare con giudizio critico quello “ignoto”, ma il mero risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa soltanto una regola di esperienza. Si veda, al riguardo, la seguente breve rassegna di giurisprudenza della Suprema Corte: Analogamnte si veda Cass. civ., sez. Tributaria, 06-08-2009, n. 18021 <<non occorre, peraltro (Cass. 1^, 1^ agosto 2007 n. 16993), che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, essendo cioè sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza>>. Per aversi una dimostrazione sufficientemente attendibile, è sufficiente – dunque – che il fatto presunto si presenti come il più probabile tra quelli ipoteticamente verificatisi; insomma é necessario che non esista un’altra probabilità dotata di uguale verosimiglianza, perché l’accertamento possa ritenersi sufficientemente attendibile (A.MARCHESELLI, cit., p. 181). La giurisprudenza di legittimità ha affermato che le percentuali medie riscontrabili nel settore di appartenenza di un determinato soggetto non possono mai, di per sé sole, costituire presunzioni gravi, precise e concordanti. Cass. civ., sez. Trib., 06-08-2009, n. 18020: <<Sulla questione, comunque, va ricordato che (Cass., trib., 14 maggio 2007 n. 10960) "in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riferimento all'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, i valori percentuali medi del settore rappresentano non tanto un "fatto noto" storicamente verificato, sul quale è possibile fondare una presunzione di reddito ex art. 2727 c.c., ma, piuttosto, il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa soltanto una regola di esperienza" per cui "tali valori in nessun caso possono giustificare presunzioni qualificabili come gravi e precise, indicando, diversamente dai risultati valutativi emergenti da medie elaborate con riferimento all'andamento economico della specifica impresa interessata, solo in via ipotetica la redditività dell'attività dell'impresa medesima, cosicchè, laddove non confortati da altre risultanze, si rivelano assolutamente inidonei ad integrare i presupposti di cui all'art. 39 citato” (Cass. 8535/98 e 18038/05)>>. Cass. Civ., sez. Trib., 07-04-2009, n. 8418: <<"in tema di IVA" (per le imposte dirette cfr., Cass., trib., 13 gennaio 2006 n. 643, con richiamo dei precedenti conformi) "l'infedeltà dei dati indicati nella dichiarazione, che può essere indirettamente desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), non può essere A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 15 Seconda parte desunta dal fatto che la percentuale di valore aggiunto dichiarato (cioè la percentuale di ricarico applicata sul costo della merce venduta) è notevolmente inferiore a quella media riscontrabile nel settore specifico di attività in aziende similari, atteso che le medie di settore non costituiscono un fatto noto storicamente provato, dal quale argomentare con giudizio critico quello ignoto, costituente l'oggetto della dimostrazione da fornire, e che peraltro, da solo, è insufficiente a dar fondamento alla prova presuntiva, ma il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di esperienza, in base alla quale poter ritenere, statisticamente, meno frequenti i casi che si allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che si avvicinano" (Cass., trib., 19 novembre 2001 n. 14500, che richiama "Cass. 17/12/94 n. 10850; 15/02/95 n. 1628; 06/05/95 n. 4976; 28/06/2001 n. 8835")>>. Cass. Sez. Trib, Sent., 16/12/2005, n° 643: <<Considerato che il ricorso è manifestamente fondato, in considerazione del consolidato orientamento di questa corte, espresso nelle sentenze n° 10850 del 1994, n° 1628 del 1995, n° 8835 del 2001 e n° 15334 del 2002, nonché nello specifico precedente (n° 15929 del 2001) intercorso fra le stesse parti (…) che secondo tale principio, in materia di accertamento IVA, l’infedeltà dei dati indicati nella dichiarazione, che può essere anche indirettamente desunta, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (art. 54, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n° 633) non può essere inferita dalla sola circostanza costituita dal fatto che la percentuale di ricarico applicata sul costo della merce venduta è notevolmente inferiore a quella media, riscontrabile nel settore specifico di attività in aziende similari, in quanto le “medie di settore” non integrano un “fatto noto”, storicamente provato, da quale argomentare, con giudizio critico, quello “ignoto”, costituente l’oggetto del thema probandum, ma il risultato di una extrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di esperienza (…) e secondo cui, il richiamo a tale regola di esperienza, non comporta neppure un inversione dell’onere della prova addossando al contribuente l’onere di dimostrare le ragioni specifiche della divergenza dei propri dati da quelli medi (…)>>. 4.3.2) LE PRESUNZIONI SEMPLICISSIME Nel procedimento tributario vi é una parte (il fisco) che si trova in una situazione di costante inferiorità conoscitiva perché estraneo al presupposto di imposta, e l'altra parte (il contribuente) che ha rilevanti doveri di collaborazione all'accertamento: il contribuente deve documentare le sue operazioni nell'interesse del fisco (ad esempio con la contabilità), deve autodenunciarsi (con le dichiarazioni), deve fornire documenti e informazioni (in risposta a richieste e questionari, o in sede di ispezione). Poiché il fisco può trovarsi in situazione di inferiorità conoscitiva non solo perché estraneo al presupposto di imposta, ma anche per effetto della omessa collaborazione del contribuente, lo standard probatorio nel diritto tributario può variare a seconda di quanto sia stato collaborativo il contribuente. Come si ricorderà, il 2° comma dell’art. 39 del DPR 600/73 contiene l’elenco tassativo dei casi legittimanti accertamento induttivo: 1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 16 Seconda parte 2) 3) 4) 5) 6) Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione; Scritture contabili complessivamente inattendibili; Mancata risposta al questionario o mancata trasmissione di documenti; Scritture contabili indisponibili per cause di forza maggiore; Indicazione di dati infedeli in sede di compilazione degli studi di settore. Nei suddetti casi di mancata collaborazione, dolosa o colposa, posso essere utilizzate presunzioni semplicissime cioè prive dei requisiti di gravità, precisione concordanza. Ma se sono prive dei requisiti di gravità, precisione concordanza, le presunzioni semplicissime possono essere “arbitrarie, imprecise e discordanti”? Se così fosse, si legittimerebbe una imposizione non accompagnata dalla ragionevole certezza – sia del an che del quantum - con riferimento al verificarsi del presupposto di imposta, e ciò in contrasto con gli artt. 3 , 53, 97 Cost. In dottrina è stato affermato come “l’accertamento induttivo–extracontabile non possa giustificare determinazioni avulse dallo specifico contesto imprenditoriale”, considerando pertanto in errore chi “individuasse in tale strumento il mezzo per giustificare una inversione dell’onere della prova, come se l’Ufficio potesse affermare un imponibile qualsiasi, che il giudice dovrebbe comunque confermare in assenza di prove contrarie allegate dal contribuente” (R. LUPI, Diritto tributario, p.gen., Milano, 1996, pag. 165). <<La soluzione va allora individuata sul terreno quantitativo, di una plausibilità attenuata, sul piano dell'approssimazione. E’ legittimo un accertamento fondato su un tasso di probabilità inferiore allo standard normalmente richiesto, ma esso deve essere comunque dotato di intrinseca ragionevolezza (…). Se si analizzano le fattispecie nelle quali le presunzioni ultrasemplici sono espressamente menzionata dalla legge, emerge che si tratta di situazioni nelle quali il contesto conoscitivo a disposizione del fisco è particolarmente povero, significativamente più povero, che nei casi in cui esse non sono previste. Si tratta di situazioni nelle quali, o per colpa del contribuente, o per fatto obiettivo, i dati valorizzabili per ricostruire la ricchezza sono di carattere labile, sommario. In definitiva esse corrispondono a una necessità materiale e non a una scelta di arbitrio legislativo: in un contesto in cui sono disponibili informazioni meno precise, la ricostruzione non può che avere un maggior tasso di sommarietà (…). Si possono poi individuare alcuni ulteriori fattori su cui fondare una diagnosi di attendibilità. Come sempre in materia di presunzioni, possono venire qui in rilievo nozioni di comune esperienza e dati relativi al contribuente, e l'intreccio di tali elementi può determinare risultati accettabili. Come e più frequentemente che non nell'ipotesi delle presunzioni semplici, i valori ricostruiti possono essere semplici ordine di grandezza o valori approssimati (…). Allo stesso modo, il fatto che nella fattispecie di presunzioni semplicissime l’ufficio si muove in un contesto conoscitivo particolarmente povero fa sì che sussista una ulteriore differenza rispetto al caso di presunzioni semplici. Comparativamente sarà consentito all'ufficio provare il reddito con un più largo richiamo a dati e valori desunti dalla comune esperienza e da situazioni di contribuenti in condizioni “simili”, che non a dati individuali del contribuente. Nelle situazioni estreme in considerazione potrà essere giustificata una tendenziale minore individualizzazione dell'accertamento sulle particolarità della singola fattispecie, per il fatto che esse, per definizione, sono meno controllabili (…). A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 17 Seconda parte Nell'impossibilità di pervenire a una determinazione precisa si addiviene a una determinazione approssimata, ragionevole e prudente, come è proprio di istituti relativi ad altri settori giuridici che prevedono determinazioni di tipo equitativo nell'impossibilità di accertamento analitico. Si tratta, é evidente, di una equità procedimentale-processuale, come ragionevole approssimazione della prova dell'impossibilità di fare diversamente. Non si tratta di qualità sostanziale consistente in un compromesso tra valori (…)>> (A.MARCHESELLI, cit., pp. 183-187). 4.4) Particolari tipologie di accertamento analitico-induttivo: art. 62-sexis del D.L. 331/1993 Come anticipato, fra gli accertamenti analitico-induttivi di cui all’art., 39, 1° comma, lett. d), secondo periodo, rientrano anche quelli ai quali fa riferimento l’art. 62-sexies del DL 331/1993 convertito con L. 427/93: “[3] Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull' esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell' articolo 62-bis del presente decreto”. Ma che cosa si intende per “gravi incongruenze”, per “fondatamente” è quale è la relazione esistente fra “gravi incongruenze” e “presunzioni gravi, precise concordanti”? In tale prospettiva, appare interessante la lettura della Circolare Ministero Finanze n° 44E del 4/5/1994, emanata pochi mesi dopo la novella legislativa recata dall’art. 62-sexies del DL 331/93. Circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Accertamento 04-05-1994, n. 44/E-II-4-108 <<Il comma 3 dell' art. 62 sexies del citato DL n. 331/1993 consente agli Uffici delle imposte dirette e dell'IVA di disattendere i dati contabili a seguito di gravi incongruenze tra il giro d'affari contabilizzato e quello desumibile dalle condizioni di esercizio dell'attività, ovvero dallo studio di settore. In tali ipotesi, viene pertanto ad attenuarsi il vincolo e la cautela legislativa nell'uso delle presunzioni. Gli Uffici finanziari non dovranno più considerare il metodo indiretto di controllo come tecnica accertativa residuale ed eccezionale, ma come procedura valida ai fini dell'accertamento, praticabile al pari di quella analitica. Occorre, infatti, considerare che, quando si tratta di piccole imprese e professionisti, il problema della prova si presenta in modo del tutto particolare. Non sussiste quasi mai una controversia sulla veridicità di specifici fatti o specifici documenti, ma vengono in evidenza circostanze ammesse in contraddittorio da entrambe le parti del procedimento di accertamento (ad esempio, ubicazione dell' esercizio, merci vendute, numero dei dipendenti) come parametro di credibilità del volume d'affari dichiarato. (…) La presunzione va utilizzata quando è A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 18 Seconda parte persuasiva, quando cioè corrisponde, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, e segnatamente di quella della Corte costituzionale, a "canoni di giustificabilità razionale". E', pertanto, necessario mettere al centro dell'attività di controllo delle piccole imprese e dei professionisti la ragionevolezza dei ricavi e dei corrispettivi dichiarati avuto riguardo alle caratteristiche della impresa, procedendo alla rettifica indiretta esclusivamente quando esistono rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli ricostruiti indirettamente. Altro punto di rilevanza essenziale nel controllo indiretto è, poi, l'utilizzo di una motivazione adeguata. Motivare l'accertamento eseguito indirettamente ai sensi degli artt. 39, DPR n. 600/1973 e 54, DPR n. 633/1972, così come novellati dall' art. 62 sexies, richiederà un notevole impegno da parte del funzionario tributario accertatore, in quanto dovrà essere rappresentata chiaramente la ricorrenza degli indizi di evasione, la quantificazione del giro d'affari ricostruito indirettamente, la citazione eventuale dello studio di settore applicato, la spiegazione delle ragioni per cui il reddito presunto è più verosimile e credibile rispetto a quello dichiarato, l'indicazione degli elementi rilevanti ai fini della tassazione, assunti in contraddittorio con il contribuente. (…). La non plausibilità di scritture formalmente regolari - Sono invece sempre più diffuse contabilità formalmente regolari da cui però risultano ricavi inverosimili rispetto alle caratteristiche dell' attività svolta. Numerosi soggetti operanti in queste condizioni hanno confidato nel sopra descritto quadro normativo per dichiarare giri d'affari assolutamente non persuasivi, ed irrealistici rispetto alle caratteristiche dell'attività e a nozioni di comune esperienza sui vari settori del commercio e dei servizi. Un' indagine puramente cartacea e documentale è spesso insufficiente nei confronti dei soggetti in esame; l'occultamento dei corrispettivi è infatti un comportamento puramente omissivo, che raramente lascia tracce scritte, consistendo solo nella materiale apprensione, da parte del contribuente, delle somme non contabilizzate. Tali somme andranno in genere ad alimentare consumi privati dell' imprenditore o del professionista, e non saranno quindi rintracciabili neppure attraverso indagini bancarie. D'altra parte solo pochissimi di questi consumi sono individuabili e quantificabili ai fini dell' accertamento con metodo sintetico, che può perciò rivelarsi anch' esso inidoneo a contrastare il fenomeno in esame. Quanto precede dimostra l'importanza, nei confronti di tali soggetti, della rettifica indiretta del volume d'affari, intendendo per tale quella che prescinde dal reperimento di prove documentali di specifici ricavi non contabilizzati, ma smentisce le risultanze contabili argomentando in base alle loro incongruenze rispetto alla caratteristica dell' attività svolta. Questo tipo di rettifica non può avere ovviamente la pretesa di individuare l'esatto ammontare dei ricavi, e procede ovviamente per ordini di grandezza. (…). Il controllo indiretto come fonte di presunzioni potenzialmente persuasive - Questa interpretazione doveva considerarsi già raggiungibile, in quanto rispondente ad elementari criteri di logicità, anche prima della precisazione introdotta dall'articolo 62 sexies dal citato DL n. 331/1993, il quale comunque conferma che le presunzioni gravi precise e concordanti di infedeltà delle risultanze contabili possono derivare anche da gravi sproporzioni tra il giro d'affari dichiarato e quello desumibile dalle caratteristiche dell' attività. Ovviamente, occorrerà stabilire caso per caso quando le sproporzioni in esame debbano considerarsi "gravi". Ove lo siano può trovare ingresso qualunque determinazione dei ricavi appaia più attendibile di quella dichiarata (…). Prima di procedere alla rettifica indiretta occorre avere riguardo alla plausibilità del giro d'affari dichiarato dal contribuente rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta. Ciò proprio in quanto la rettifica indiretta serve a dimostrare, in modo globale, la presenza di gravi infedeltà contabili, cioè l'incompatibilità tra il giro d' affari dichiarato e le caratteristiche dell' attività. A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 19 Seconda parte E' perciò improprio attendersi dal controllo indiretto un preciso importo di ricavi non contabilizzati, spesso sconosciuti, nella loro reale entità, persino al contribuente. L'obiettivo del controllo indiretto è invece prima di tutto dimostrare che il giro d'affari dichiarato è inattendibile. E' chiaro che la determinazione indiretta stabilisce un ordine di grandezza, cioè l'ammontare minimo che il giro d'affari dovrebbe avere per essere plausibile rispetto alle caratteristiche dell'attività, alle percentuali di ricarico direttamente rilevate alle attrezzature, ecc. Su queste basi è pertanto opportuno ricorrere alla determinazione indiretta solo nei casi in cui le incongruenze tra giro d'affari dichiarato e caratteristiche dell'attività siano ragionevolmente attribuibili alla mancata contabilizzazione di una parte significativa dei corrispettivi. Quando i ricavi determinati indirettamente non si discostano significativamente da quelli dichiarati, la persuasività dell'eventuale rettifica si indebolisce perché la differenza è spiegabile con le inevitabili imprecisioni del calcolo indiretto>>. In dottrina é stato altresì affermato che: <<(…) attraverso il c.d. "controllo indiretto" del giro d'affari, che si concretizza in una ricostruzione presuntiva basata, come dice il citato art. 62-sexies, sulle caratteristiche strutturali e sull'effettive condizioni di esercizio dell'attività. Questa ricostruzione deve, in definitiva, condurre all'individuazione del volume dei ricavi, compensi e corrispettivi ragionevolmente riconducibile alla potenzialità produttiva messa in campo dal contribuente, volume che, ove si discosti da quello dichiarato, potrà essere posto a base di una rettifica analitica della dichiarazione. Si tratta, quindi, di una rettifica che prescinde dal reperimento di prove circa la mancata contabilizzazione di specifici ricavi, compensi o corrispettivi, "ma smentisce le risultanze contabili argomentando in base alle loro incongruenze rispetto alle caratteristiche dell'attività svolta" Non ci si deve, tuttavia, nascondere che questo particolare metodo accertativo presenta un punto di forte debolezza. Se, infatti, il controllo indiretto può, anche agevolmente, consentire di stabilire che il giro d'affari dichiarato è inverosimile, esso non consente con altrettanta facilità di individuare quello esattamente attribuibile al contribuente. In altre parole, attraverso il controllo indiretto si giunge alla certezza che una evasione vi è stata, permanendo la difficoltà di provare in modo persuasivo l'ammontare dell'evasione medesima>> (L. MAGISTRO, Accertamento fondato sugli studi di settore e sui parametri, in Corr. Trib. n.42/2001, pag. 3170). Sulla scorta della lettura della prassi amministrativa e della dottrina sopra richiamate possiamo delineare la seguente lettura della norma in esame: Fondatamente: è un avverbio riferito al procedimento di ricostruzione dell'imponibile. Insomma, é necessario che il procedimento di ricostruzione presuntiva dei ricavi che conduce all'accertamento sia plausibile, credibile, privo di vizi logici, improntato a “canoni di giustificabilità razionale”. Gravi incongruenze: la differenza fra volume di ricavi dichiarati e ricavi ricostruiti deve essere di entità non lieve. In dottrina è stato affermato che: <<Resta da stabilire il significato del requisito della gravità. In effetti, solo se questo requisito ha un significato autonomo assume rilievo la motivazione sul punto. Come noto, la giurisprudenza di merito ha ritenuto talora che tale aggettivo indichi la necessità del superamento di una soglia minima, talvolta espressamente fissata (Comm. trib prov. Milano, Sez. VIII, Sent. 13 aprile 2005 ritiene che essa debba ammontare almeno al 25-30%.). Questa soluzione è indubbiamente corretta A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 20 Seconda parte linguisticamente. Nel linguaggio giuridico l'aggettivo "grave ", contrapposto a "lieve ", segnala un requisito quantitativo: il fatto che una grandezza non sia di piccola entità. Come tutti i concetti relativi, è però arbitrario fissare una volta per tutte la soglia superata la quale si arrivi alla gravità. Nei valori esiste una serie continua e non discreta e la gravità, comunque, è qualità che dipende dal contesto complessivo. L'affermazione secondo la quale un accertamento fondato sugli studi di settore dovrebbe portare a un risultato di almeno 1/4 (o qualsiasi altro valore, ovviamente) superiore al dichiarato è immotivata e aprioristica>> (A.MARCHSELLI, La pretesa "autosufficienza " degli studi di settore, in GT - Rivista di giurisprudenza tributaria n. 9 /2007, pag. 801). Se è vero che la norma non fissa una percentuale di scostamento al verificarsi della quale diviene automatico il verificarsi di una “grave incongruenza”, è anche vero che altre norme tributarie prevedono implicitamente il concetto di “grave sproporzione”, come è il caso dell’art. 38, 6° c., DPR 600/73, che legittima l’accertamento sintetico - nei confronti delle persone fisiche - qualora si registri per un biennio uno scostamento fra reddito dichiarato e reddito accertabile in base al “redditometro” ed alla “spesa globale” almeno pari al 20%. Anche in altri settori del nostro ordinamento esiste il concetto di grave sproporzione, come nel caso: • della stima dei conferimenti in natura (art. 2343 Cod.civ.), in cui la soglia di rilevanza è fissata al 20%; • delle revocatorie fallimentari (art. 67 L.F.), in cui la soglia di significatività è prevista nella misura del 25%; • del reato di “falso in bilancio” (Art. 2621, 4° c., Cod.civ.), con una soglia di allarme fissata al 10%. Una volta che il volume di ricavi desumibile dalle caratteristiche dell’attività svolta è stato fondatamente ricostruito con un metodo presuntivo che possa essere ritenuto razionale e credibile, e qualora tale volume di ricavi presenti, sotto un profilo quantitativo, gravi incongruenze rispetto ai ricavi dichiarati, allora verrà ad essere integrata la prova per presunzioni, gravi, precise e concordanti di cui all’art. 39, 1° c., lett. d). 4.5) Un particolare accertamento ex art. 62-sexis del D.L. 331/93: accertamento basato sugli “Studi di Settore” Lo Studio di Settore è uno strumento di accertamento “presuntivo” e “standardizzato” che: • E’ normativamente previsto e disciplinato; • E’ stato realizzato con una metodologia dichiarata pubblicamente, intelligibile, e messa a disposizione di tutti gli operatori sul sito internet della SOSE - Società per gli Studi di Settore S.p.A. (la quale è posseduta al 88% dal Ministero dell’Economia ed al 12% da Bankitalia); • E’ stato realizzato con procedure di elaborazione statistica codificate, previa suddivisione della platea dei contribuenti in raggruppamenti omogenei per caratteristiche (clusters). <<In particolare le imprese sono divise in gruppi omogenei (clusters) in base una molteplicità di fattori (modelli organizzativi, tipo di clientela, area di mercato, modalità di svolgimento A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 21 Seconda parte dell'attività). Sulla base di tali elaborazioni e valutando la situazione di campioni significativi contribuenti appartenenti ciascun gruppo omogeneo, é individuata la relazione matematica tra le caratteristiche dell'attività (capitale investito, prezzi ordinari praticati, costo medio di acquisto di beni servizi, numero di addetti, ecc.) e l'ammontare presunto dei ricavi o compensi. L'elemento caratteristico degli studi di settore é dunque la relazione matematica con cui, per ciascun cluster, muovendo dai dati contabili strutturali (variabili indipendenti) si calcola la variabile dipendente cioè l'importo presunto dei ricavi o dei compensi (…). Ogni contribuente che appartenga ad una categoria alla quale si applicano gli studi di settore deve presentare, insieme con la dichiarazione dei redditi,un modello con cui comunica i dati (contabili ed extracontabili) rilevanti ai fini degli studi. I moduli si compiano si trasmettono attraverso un software che applica automaticamente lo studio di settore e indica: cluster di appartenenza congruità e coerenza, oltre che volume di ricavi o compensi previsti dallo studio. (…). Con l'uso del software, ogni contribuente può controllare la propria posizione reddituale alla luce dello studio di settore che lo riguarda. Al contribuente é anche consentito di “adeguarsi” al risultato degli studi: se in sede di presentazione della dichiarazione il contribuente si avvede che il risultato delle proprie scritture contabili é inferiore a quello previsto dello studio di settore, può innalzare il valore dei propri ricavi, indicando dichiarazione quello risultato dagli studi e pagando una piccola maggiorazione del 3%. (…) Gli studi di settore sono “atti amministrativi generali di organizzazione”. Essi non possono essere applicati in via automatica per rettificare i ricavi dichiarati (e quindi reddito), essendo necessario che l'ufficio svolga un’attività istruttoria in contraddittorio con il contribuente, per verificare se vi sono, nel caso concreto, ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore o ragioni che giustificano la produzione di ricavi in misura inferiore. Secondo la giurisprudenza, gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata ex lege, ma nasce dal contraddittorio con il contribuente, da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'avviso di accertamento, che deve essere motivato esponendo le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano stati disattesi>>. (F.TESAURO, Istituzioni di Diritto Tributario, part.gen., Milano, 2011, pag. 222). Oggi tale lettura appare pacifica, ma per lungo tempo l’Agenzia delle Entrate ha espresso l’avviso che le risultanze dello Studio di Settore costituissero una “presunzione legale” determinando una inversione dell’onere della prova in capo al contribuente. Come conseguenza, l’Agenzia delle Entrate provvedeva a notificare un avviso di accertamento a tutti i contribuenti per i quali si verificava uno scostamento, anche minimo, fra ricavi determinabili in base allo Studio di Settore e ricavi dichiarati, motivandoli con stereotipate formule di stile nelle quali si faceva riferimento: • Alle risultanze dello Studio di Settore; • All’esito negativo del contraddittorio; • Al fatto che le giustificazioni addotte dal contribuente fossero state in generale ritenute non credibili. Tale solco interpretativo è stato spazzato via dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel 2009: Sentenza Cassazione civile, sez. Unite, 18-12-2009, n. 26635 <<In buona sostanza, gli studi di settore - come, peraltro, in precedenza i parametri, anche se caratterizzati quest'ultimi da una minore approssimazione probabilistica - rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 22 Seconda parte dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all'ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l'elaborazione statistica stabilisce essere il livello "normale" in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante. Lo scostamento non deve essere "qualsiasi", ma testimoniare una "grave incongruenza" (come espressamente prevede il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera e-spressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l'avvio di una procedura finalizzata all'accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere "corretti", in contraddittorio con il contribuente, in modo da "fotografare" la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell'ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa "incoerenza" con la "normale redditività" delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato. 8.3. Ancora una volta, quindi, è il contraddittorio - previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, comma 409, lett. b), e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dalla espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229 del 2006), e dalla prassi amministrativa - l'elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l'ipotesi dello studio di settore. 8.4. Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito, con una illegittima compressione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e 53 Cost.: se appare ammissibile la predisposizione di mezzi di contrasto all'evasione fiscale che rendano più agile e, quindi, più efficace l'azione dell'Ufficio, come indubbiamente sono i sistemi di accertamento per standard (parametri e studi di settore), il limite della utilizzabilità degli stessi sta, da un lato, nella impossibilità di far conseguire, alla eventuale incongruenza tra standard e ricavi dichiarati, un automatismo dell'accertamento, che eluderebbe lo scopo precipuo dell'attività accertativa che è quello di giungere alla determinazione del reddito effettivo del contribuente in coerenza con il principio di cui all'art. 53 Cost.; dall'altro, nel riconoscimento della partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell'atto di accertamento mediante un contraddittorio preventivo, che consente di adeguare il risultato dello standard alla concreta realtà economica del destinatario dell'accertamento, concedendo a quest'ultimo, nella eventuale fase processuale, la più ampia facoltà di prova (anche per presunzioni), che sarà, unitamente agli elementi forniti dall'Ufficio, liberamente valutata dal giudice adito. 9. Alla luce di tali considerazioni quello dell'accertamento per standard appare un sistema unitario con il quale il legislatore, nel quadro di un medesimo disegno funzionale ad agevolare l'attività accertatrice nel perseguire Invasione fiscale, ha individuato strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, di determinate attività catalogate per settori omogenei. Tali strumenti, rilevando, rispetto ai redditi dichiarali, eventuali significative incongruenze, legittimano l'avvio delle procedure di accertamento a carico del contribuente con invito a quest'ultimo, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell'inapplicabilità nella specie dello standard. (…). Si può, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "La procedura di accertamento standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 23 Seconda parte in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell'accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell'attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all'impugnazione dell'atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall'ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente">>. Dunque, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sopra riportata Sent. n° 26635 del 19 dicembre 2009, hanno definitivamente stabilito che: 1. Gli studi di settore sono una elaborazione statistica, il cui frutto è una ipotesi probabilistica che può solo costituire una mera presunzione semplice (e non una presunzione legale); 2. Lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto alle risultanze dello Studio di settore non deve essere “qualsiasi”, ma testimoniare una “grave incongruenza”; 3. Deve essere preventivamente obbligatoriamente attivato il contraddittorio con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento; 4. Nella motivazione dell’accertamento vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano stati disattesi al termine del contraddittorio, pena la carenza di motivazione (e la conseguente nullità) dell’accertamento. A cura di Stefano Gorgoni, novembre 2012 24