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QUESITO
Si chiede se un dirigente medico con incarico libero professionale sia
pienamente autonomo nello svolgimento delle proprie mansioni nell’ambito
dell’unità operativa di afferenza.
Si chiede, inoltre, se lo stesso dirigente medico con incarico libero
professionale equivale ad un dirigente medico “strutturato” sotto il profilo della
responsabilità penale e/o civile per l’attività professionale svolta.
DIRITTO
Al fine di rispondere compiutamente ai quesiti sottoposti, è opportuno, in
via preliminare, chiarire la differente natura giuridica esistente fra il rapporto di
lavoro del dirigente medico assunto alle dipendenze di una ASL, a seguito delle
procedure concorsuali previste dalla legge, ed il rapporto di collaborazione del
medico convenzionato con la ASL, che svolge un’attività libero professionale
nell’ambito di una struttura ospedaliera della stessa azienda sanitaria.
Natura subordinata del rapporto di lavoro del dirigente medico
Il rapporto di lavoro del dirigente medico vincitore di concorso, a seguito
della c.d. privatizzazione del pubblico impiego (d.lgs. n. 29/1993 e successive
modifiche, ora d. lgs. n. 165/2001) è disciplinato, nei limiti stabiliti dal d.lgs. n.
165 del 2001, dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sul lavoro
subordinato applicabili per l’impresa privata e dalle regole dei contratti collettivi
di diritto comune.
A tal fine, le pubbliche amministrazioni operano “con la capacità e i poteri
del privato datore di lavoro” (art. 5, c. 2, d.lgs. n. 165 del 2001).
Il rapporto che si instaura tra il dirigente medico vincitore di concorso e
l’ASL ha natura di rapporto di lavoro di tipo subordinato, dal quale derivano, in
base alla legge, diritti inderogabili ed obblighi in capo al lavoratore, diversi
rispetto a quelli derivanti da rapporti di collaborazione di altra natura.
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In
particolare,
nell’ordinamento
lavoristico
è
definito
lavoratore
subordinato colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze
e sotto la direzione dell’imprenditore” (art. 2094 cod. civ.).
A tal fine, il lavoratore subordinato è tenuto ad “osservare le disposizioni
per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai
collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende” (art. 2104, comma 2,
cod. civ.) (c.d. obbligo di obbedienza).
Inoltre, la prestazione lavorativa deve essere svolta con “la diligenza
richiesta dalla natura della prestazione dovuta” (art. 2104, comma 1, c.c.)
(obbligo di diligenza)
La caratteristica essenziale del lavoro subordinato è l’eterodirezione
dell’attività, il che significa che la prestazione lavorativa deve essere svolta nel
modo scelto dal datore di lavoro, mediante direttive che il lavoratore è tenuto a
rispettare (c.d. eterodirezione della prestazione).
Nello specifico, la prestazione va svolta:
-
“alle dipendenze”: ciò indica che lo svolgimento della prestazione di
lavoro deve integrare una forma di collaborazione del prestatore idonea
a soddisfare l’interesse del creditore nella sua qualità di imprenditore
(c.d. subordinazione oggettiva in funzione dell’impresa);
-
“sotto la direzione”: ciò indica che l’imprenditore ha il potere di
determinare le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro
affinché la stessa soddisfi il suo interesse (c.d. subordinazione
soggettiva o in funzione delle direttive).
In virtù della natura subordinata del rapporto, il datore di lavoro è titolare
di poteri giuridici in senso proprio, riconosciutigli dall’ordinamento nella sua
qualità di creditore, come il potere direttivo, per conformare la prestazione
lavorativa alle esigenze dell’organizzazione, il potere di controllo, per verificare
l’esatto adempimento degli obblighi del dipendente, ed il potere disciplinare, per
punire il lavoratore inadempiente.
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A fronte di tali poteri e della posizione di soggezione del dipendente nei
confronti del datore di lavoro, l’ordinamento riconosce al lavoratore subordinato
particolari tutele e diritti inderogabili, quali: la retribuzione sufficiente e
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.); il
trattamento previdenziale adeguato; le ferie e i riposi settimanali; il trattamento
di malattia, gravidanza e infortunio; i permessi; il trattamento di fine rapporto; la
stabilità del posto di lavoro
Natura autonoma della prestazione lavorativa svolta dai medici
convenzionati
A differenza dei medici assunti dall’ASL a seguito delle procedure
concorsuali, il rapporto che si instaura fra i medici cosiddetti convenzionati e le
unità sanitarie locali, è regolato dalla disciplina fissata nell'art. 48 della legge 23
dicembre 1978 n. 833 (istitutiva del S.s.n.) e dagli accordi collettivi nazionali
stipulati ai sensi della citata norma.
Tali rapporti, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità
istituzionali del S.s.n., esulano dall'ambito del pubblico impiego (d.lgs. n. 165
del 2001), difettando il presupposto della subordinazione, e si configurano come
rapporti di prestazione d'opera professionale, che presentano i connotati del
rapporto parasubordinato di collaborazione continuativa e coordinata (art. 409
n. 3 c.p.c.), non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico
convenzionato alcun potere che non sia di natura negoziale.
Ai sensi dell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ., rientrano nella categoria del
lavoro autonomo c.d. parasubordinato, i “rapporti di collaborazione che si
concretino
in
una
prestazione
di
opera
continuativa
e
coordinata,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. Sulla base
del testo normativo, dottrina e giurisprudenza hanno contribuito a specificare le
caratteristiche giuridiche di tale tipologia di rapporti.
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In particolare Il coordinamento tra collaboratore e committente consiste
in un collegamento funzionale tra attività svolta dal collaboratore e risultato
dedotto nel contratto.
Ciò può comportare:
-
un
«protratto»
inserimento
del
collaboratore
nell’organizzazione
aziendale;
-
una ingerenza del committente nell’attività del collaboratore stesso;
-
un
collegamento
del
collaboratore
con
le
finalità
perseguite
dall’organizzazione del committente;
-
la sussistenza di un programma preordinato, per oggetto e tempo, al
raggiungimento dei fini della azienda.
In sostanza, il coordinamento dell’attività può estrinsecarsi nei modi più
svariati, anche in relazione al tempo ed al luogo della prestazione, al fine del
migliore inserimento di questa nell’organizzazione del committente, ma non può
sconfinare nell’eterodirezione dell’attività mediante penetranti ordini e controlli
sulle relative modalità di esecuzione.
Il requisito della continuità sta ad indicare che la collaborazione deve
avere carattere continuativo nel tempo, non necessitando una ripetizione
ininterrotta di incarichi, essendo bensì sufficiente anche un unico contratto di
apprezzabile durata, purché la collaborazione permanga nel tempo.
Con
riferimento
al
carattere
prevalentemente
personale
della
prestazione, tale requisito sta ad indicare che l’apporto del collaboratore,
valutato in ragione delle sue conoscenze tecniche, della sua specifica
preparazione, della sua esperienza e della sua responsabilità, deve restare
decisivo e prevalente rispetto all’eventuale organizzazione di mezzi e beni
strumentali.
Limitata autonomia del medico convenzionato
Ciò posto, si rileva che il rapporto di lavoro del medico convenzionato,
seppur nel suo concreto atteggiarsi possa presentare caratteristiche simili a
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quelle del rapporto del medico c.d. “strutturato”, si differenzia da questo proprio
in ragione del diverso livello di assoggettamento ai poteri direttivi e di controllo
propri del datore di lavoro o dei suoi collaboratori.
Difatti, il medico convenzionato, che svolge un incarico libero
professionale nell’ambito di un’unità operativa di una ASL, è ugualmente
obbligato contrattualmente a rispettare
le prescrizioni impartite dal medico
responsabile della struttura per lo svolgimento e l'organizzazione del servizio
sanitario, sebbene queste non configurano esercizio del potere direttivo nel
senso sopra specificato, quanto, piuttosto, possono ritenersi direttive dal
contenuto generico, compatibili anche con l'esistenza di un rapporto di lavoro
autonomo.
Pertanto, nell’espletamento dei compiti affidati, il medico convenzionato
non gode di una piena e assoluta autonomia nei confronti del personale
direttivo responsabile della struttura, ma ha l’obbligo, nei limiti del contenuto del
contratto di collaborazione, di coordinare la propria attività con quella del
personale dipendente.
Da ciò deriva che la violazione da parte del medico libero professionista
delle direttive impartite dal dirigente responsabile della struttura, pur non
comportando la possibilità per il committente (ASL) di esercitare il potere
disciplinare o di controllo, ha come conseguenza, la responsabilità del medico
sotto
un
profilo
negoziale
per
violazione
degli
obblighi
contrattuali.
Responsabilità, che in caso di gravi violazioni, può portare alla rescissione, da
parte dell’ASL, della stessa convenzione di collaborazione.
Responsabilità penale e civile per colpa professionale
Sotto il diverso piano della responsabilità penale e civile del medico
convenzionato
per
ragioni
inerenti
all’esercizio
della
propria
attività
professionale, si osserva, invece, che non sussistono differenze sostanziali con
la responsabilità professionale del medico dipendente della ASL.
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Entrambe le categorie di soggetti, difatti, sono responsabili per gli illeciti
civili o penali commessi nello svolgimento delle proprie mansioni, con la
particolarità che mentre con riferimento alla responsabilità penale questa è
sempre personale (art. 27, c. 1, Cost.), sicché non si estende automaticamente
al datore di lavoro, la responsabilità civile del medico, in presenza di un
rapporto di tipo subordinato, grava anche sul datore di lavoro, il quale deve
risarcire i danni arrecati, ad altri lavoratori o a soggetti estranei all’azienda, da
fatti illeciti posti in essere dai dipendenti “nell’esercizio delle incombenze a cui
sono adibiti” (art. 2049 c.c.; per i dipendenti pubblici art. 28 Cost.).
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