Il sistema monetario internazionale, 1870–1973 • capitolo 8.6 8 L’inflazione mondiale e la transizione verso cambi flessibili L’accelerazione dell’inflazione statunitense alla fine degli anni sessanta, mostrata nella Figura 8.3b, fu un fenomeno mondiale. La Tabella 8.1 mostra che, dall’inizio degli anni settanta, l’inflazione accelerò anche nei paesi europei. La teoria del Capitolo 7 prevede che quando i paesi a valuta di riserva accelerano la propria crescita monetaria, come avvenne negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni sessanta, un effetto è l’aumento automatico della crescita monetaria e dell’inflazione all’estero, in quanto le banche centrali straniere acquistano la valuta di riserva per mantenere il tasso di cambio, e così facendo aumentano la propria offerta di moneta. Un’interpretazione del collasso del sistema di Bretton Woods è che i paesi stranieri fossero costretti a importare inflazione dagli Stati Uniti attraverso il meccanismo descritto nel Capitolo 7. Per stabilizzare i livelli dei prezzi e tornare all’equilibrio interno, avrebbero dovuto abbandonare i cambi fissi e permettere alle loro valute di fluttuare. Quanta colpa della rottura del sistema è attribuibile alle politiche macroeconomiche degli Stati Uniti? TABELLA 8.1 Tassi d’inflazione nei paesi europei, 1966–1972 (% all’anno). Paese 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 Regno Unito 3,6 2,6 4,6 5,2 6,5 9,7 6,9 Francia 2,8 2,8 4,4 6,5 5,3 5,5 6,2 Germania 3,4 1,4 2,9 1,9 3,4 5,3 5,5 Italia 2,1 2,1 1,2 2,8 5,1 5,2 5,3 Fonte: Organization for Economic Cooperation and Development. Main Economic Indicators: Historical Statistics, 1964–1983, Parigi, OECD, 1984. I dati sono le percentuali di aumento annuo dell’indice medio dei prezzi al consumo rispetto all’indice medio dell’anno precedente. Per comprendere come l’inflazione possa essere importata dall’estero a meno che i tassi di cambio non vengano aggiustati, guardiamo di nuovo al diagramma dell’equilibrio interno ed esterno della Figura 8.1. Supponiamo che vi sia inflazione all’estero. In precedenza, il livello dei prezzi P* era ipotizzato fisso; ora, invece, P* cresce a seguito dell’inflazione internazionale. La Figura 8.4 mostra gli effetti sull’economia interna. Per vedere come si spostano le due curve, chiediamoci cosa succederebbe se il tasso di cambio nominale si riducesse in misura proporzionale all’aumento di P*. In questo caso, il tasso di cambio reale EP*/P non si modificherebbe (da- 317 parte 2 • Politiche macroeconomiche internazionali FIGURA 8.4 Effetto di un aumento del livello dei prezzi estero P* sull’equilibrio interno ed esterno. Dopo l’aumento di P*, il punto 1 è nella zona 1 (sovraoccupazione e avanzo eccessivo). La rivalutazione (una riduzione di E) ristabilisce immediatamente l’equilibrio, muovendo l’economia dal punto 1 al punto 2. T Tasso di cambio, E XX 1 XX 2 1 Distanza = E P */ P * E∆ 2 II 1 II 2 Espansione fiscale (aumento di G o riduzione di T ) to P), e l’economia rimarrebbe in equilibrio interno o esterno, se una di queste condizioni valeva in partenza. La Figura 8.4 mostra quindi che per un dato tasso di cambio iniziale, un aumento di P* sposta sia la II1 che la XX1 in basso di un uguale ammontare (pari all’aumento proporzionale di P* moltiplicato per il tasso di cambio iniziale). L’intersezione delle due nuove curve II2 e XX2 (punto 2) giace in basso sulla verticale del punto 1. Se l’economia si trova inizialmente nel punto 1, un aumento di P*, dato il tasso di cambio fisso e il livello dei prezzi interni, porta l’economia nella zona 1, con sovraoccupazione e un avanzo indesideratamente alto del conto corrente. Il fattore che provoca questo risultato è il deprezzamento reale della valuta che sposta la domanda mondiale verso il paese considerato (EP */P cresce in quanto cresce P*). Se il governo non fa nulla, la sovraoccupazione spinge in alto i prezzi interni, e questa pressione gradualmente riporta in alto le due curve fino alla loro posizione originale. Le curve finiscono di spostarsi quando P è aumentato nella stessa proporzione di P*. A questo punto, il tasso di cambio reale, l’occupazione e il saldo del conto corrente sono tornati al loro livello iniziale; in questa maniera, il punto 1 rappresenta di nuovo una posizione di equilibrio interno ed esterno. 318 Il sistema monetario internazionale, 1870–1973 • capitolo 8 Il modo di evitare di importare inflazione sarebbe quello di rivalutare il tasso di cambio (cioè ridurre E) e muoversi verso il punto 2. Una rivalutazione ristabilisce l’equilibrio interno ed esterno immediatamente, senza inflazione interna, usando il tasso di cambio nominale per annullare l’effetto della crescita di P* sul tasso di cambio reale. Per rispondere a un aumento dei prezzi esteri è necessaria solo una politica di riallocazione della spesa. La crescita dei prezzi interni che si verifica quando non avviene alcuna rivalutazione richiede una crescita dell’offerta di moneta, poiché nel lungo periodo offerta di moneta e prezzi si muovono proporzionalmente. Il meccanismo che conduce a questa crescita sono gli interventi della banca centrale sul mercato dei cambi. Al crescere del prodotto interno e dei prezzi a seguito della crescita di P*, l’offerta reale di moneta diminuisce e la domanda di saldi monetari reali aumenta. Per prevenire le pressioni al rialzo sul tasso di interesse interno che derivano dall’apprezzamento della valuta, la banca centrale deve acquistare riserve estere ed espandere l’offerta di moneta interna. In questa maniera, le politiche inflazionistiche perseguite dal paese a valuta di riserva si propagano sull’offerta di moneta dei paesi stranieri. La stretta correlazione tra l’inflazione degli Stati Uniti e l’inflazione straniera evidente nella Figura 8.3 e nella Tabella 8.1 suggerisce che parte dell’inflazione dei paesi europei venne importata dagli Stati Uniti. Tuttavia, la distribuzione nel tempo degli episodi inflazionistici nei diversi paesi suggerisce che anche fattori specifici di ogni singola economia hanno giocato un ruolo. Nel Regno Unito, per esempio, l’inflazione accelerò notevolmente nel 1968, l’anno seguente la svalutazione della sterlina. Poiché (come visto capitolo precedente) una svalutazione è neutrale nel lungo periodo, alla fine i prezzi interni devono aumentare in proporzione. La svalutazione è probabilmente una parte della spiegazione della crescita dell’inflazione nel Regno Unito. In Francia, gli scioperi del 1968 condussero a elevati incrementi salariali, a una crisi valutaria franco-tedesca, e alla svalutazione del franco nel 1969. Questi eventi spiegano in parte la forte crescita dell’inflazione francese nel 1968–1969. Il ruolo dell’inflazione importata fu probabilmente più forte in Germania, dove la precedente dolorosa esperienza di iperinflazione aveva reso i policy maker determinati a resistere all’aumento del livello dei prezzi. L’evidenza sull’offerta di moneta conferma che la crescita monetaria nei paesi europei e in Giappone accelerò alla fine degli anni sessanta, come previsto dalla nostra teoria. La Tabella 8.2 mostra l’evoluzione delle riserve internazionali e dell’offerta di moneta della Germania Federale negli anni 1968–1972. La tabella mostra come l’espansione monetaria crebbe fortemente dopo il 1969, a seguito dell’espansione delle riserve estere della banca centrale tedesca.18 Questa evidenza è coerente con l’idea che l’inflazione statunitense venisse importata in Germania attraverso gli acquisti di dollari sul mercato dei cambi da parte della banca centrale tedesca. Tuttavia, l’accelerazione della crescita monetaria in Germania probabilmente non può essere interamente spiegata dall’accelerazione della crescita monetaria negli Stati Uniti. Un confronto tra la Figura 8.3 e la Tabella 8.2 mostra che dopo L’andamento delle riserve nel 1968 e 1969 – un forte aumento seguito da una forte diminuzione – riflette la speculazione su una rivalutazione del marco contro il franco durante la crisi valutaria franco-tedesca di quegli anni. 18 319 parte 2 • Politiche macroeconomiche internazionali TABELLA 8.2 Variazioni dell’offerta di moneta e delle riserve internazionali in Germania 1968–1972 (percentuale annua). Tasso di crescita di 1968 1969 1970 1971 1972 Offerta di moneta 6,4 –6,3 8,9 12,3 14,7 Riserve ufficiali internazionali 37,8 –43,6 215,7 36,1 35,8 Fonte Organization for Economic Cooperation and Development. Main Economic Indicators: Historical Statistics, 1964–1983, Parigi, OECD, 1984. I dati sono le percentuali annue di aumento dell’offerta di moneta o delle riserve internazionali alla fine di ciascun anno rispetto al livello della fine dell’anno precedente. Le riserve ufficiali sono calcolate al netto della parte in oro. il 1969 la crescita monetaria tedesca accelerò molto di più di quella statunitense. Questa differenza suggerisce che gran parte della crescita delle riserve valutarie tedesche fosse dovuta alla speculazione su una possibile svalutazione del dollaro all’inizio degli anni settanta, e al conseguente spostamento degli operatori di mercato da attività denominate in dollari ad attività denominate in marchi. La politica monetaria degli Stati Uniti ha certamente contributo a creare inflazione all’estero attraverso gli effetti diretti sull’offerta di moneta e sui prezzi. Essa ha aiutato a distruggere il sistema di cambi fissi mettendo i policy maker di fronte alla scelta fra il mantenimento dei cambi fissi e l’inflazione importata. Ma anche la politica fiscale degli Stati Uniti, che ha contributo a rendere necessaria la svalutazione del dollaro, ha svolto un ruolo importante nello stimolare l’inflazione estera, incoraggiando ulteriormente la fuoriuscita speculativa di capitali dal paese. La politica fiscale degli Stati Uniti della fine degli anni sessanta deve essere considerata come un’ulteriore causa dell’abbandono del sistema di Bretton Woods. Quindi, il collasso del sistema di Bretton Woods fu dovuto, in parte, all’asimmetrico potere macroeconomico degli Stati Uniti. Ma fu dovuto anche al fatto che le politiche di riallocazione della spesa necessarie all’equilibrio interno ed esterno – aggiustamenti discreti del tasso di cambio – ispirarono attacchi speculativi che resero sempre più difficile il raggiungimento dell’equilibrio interno ed esterno. I creatori del sistema di Bretton Woods avevano sperato che il membro più forte del sistema avrebbe guardato oltre i propri interessi interni e adottato politiche rivolte al benessere del mondo intero. Quando gli Stati Uniti si mostrarono reticenti ad assumersi questa responsabilità dopo la metà degli anni sessanta, il sistema di cambi fissi fu messo da parte. Sommario 1. In un’economia aperta, i policy maker cercano di mantenere l’equilibrio interno (pieno impiego e stabilità del livello dei prezzi) e l’equilibrio esterno (un saldo del conto corrente che non sia tanto negativo da impedire di ripagare il debito estero e nemmeno così positivo da mettere gli altri paesi nella stessa 320 Il sistema monetario internazionale, 1870–1973 • capitolo 8 condizione). La definizione di equilibrio esterno dipende da molti fattori, tra cui il regime del tasso di cambio e le condizioni economiche internazionali. Poiché le politiche macroeconomiche di ogni paese hanno riflessi all’estero, la capacità di un paese di raggiungere l’equilibrio interno ed esterno dipende dalle politiche che adottano gli altri paesi. 2. Il sistema di gold standard conteneva un potente meccanismo automatico per raggiungere l’equilibrio esterno, il cosiddetto price-specie-flow. Il flusso d’oro che si accompagna agli avanzi e ai disavanzi provoca variazioni dei prezzi che riducono gli squilibri del saldo del conto corrente, e quindi tendono a far ritornare in equilibrio esterno tutti i paesi. Comunque, la performance del sistema nel mantenere l’equilibrio interno fu mista. Con lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, il gold standard venne sospeso. 3. I tentativi di tornare al gold standard dopo il 1918 non ebbero successo. Quando l’economia mondiale cadde nella depressione del 1929, il gold standard sparì e l’integrazione economica mondiale si indebolì. Nelle turbolenti condizioni economiche di quel periodo, i governi spostarono la propria attenzione ai problemi dell’equilibrio interno, e tentarono di risolvere quelli dell’equilibrio esterno chiudendo parzialmente le proprie economie al resto del mondo. Il risultato fu un’economia mondiale in cui la situazione di tutti i paesi avrebbe potuto essere migliorata attraverso la cooperazione internazionale. 4. I creatori del Fondo Monetario Internazionale (FMI) speravano di strutturare un sistema di cambi fissi che incoraggiasse la crescita del commercio internazionale, e allo stesso tempo rendesse i requisiti dell’equilibrio esterno sufficientemente flessibili da poterli soddisfare senza sacrificare l’equilibrio interno. A questo fine, il FMI forniva aiuti finanziari ai paesi in disavanzo, e permetteva aggiustamenti del tasso di cambio in condizioni di “disequilibrio strutturale”. Tutti i paesi fissarono la propria valuta rispetto al dollaro. Gli Stati Uniti fissarono il dollaro all’oro e accettarono di cambiare i dollari in oro alle banche centrali degli altri paesi al prezzo di 35 dollari l’oncia. 5. Dopo che la convertibilità della valuta fu ristabilita in Europa nel 1958, i mercati finanziari dei paesi divennero più correlati, le politiche monetarie meno efficaci (eccetto che per gli Stati Uniti) e i movimenti di riserve valutarie sempre più volatili. Queste novità rivelarono una debolezza fondamentale del sistema. Per raggiungere l’equilibrio interno ed esterno allo stesso momento, erano necessarie politiche di riallocazione della spesa assieme a politiche di variazione della spesa. Ma la possibilità di politiche di riallocazione della spesa (variazioni del tasso di cambio) potevano provocare flussi speculativi di capitale che minarono il sistema di cambi fissi. Come paese della moneta di riserva, gli Stati Uniti avevano un unico problema di equilibrio esterno: il problema della fiducia che sarebbe sorto quando le attività estere in dollari fossero inevitabilmente cresciute fino a superare l’ammontare di oro degli Stati Uniti. 6. Le politiche macroeconomiche degli Stati Uniti alla fine del 1960 contribuirono a causare la rottura del sistema di Bretton Woods, che avvenne all’inizio del 1973. Le politiche fiscali più che espansive degli Stati Uniti contribuirono alla necessità di una svalutazione del dollaro all’inizio degli anni settanta, e il timore di quest’avvenimento diede la spinta all’uscita speculativa di capitali, 321 parte 2 • Politiche macroeconomiche internazionali che causò l’esplosione dell’offerta di moneta estera. La maggiore crescita monetaria degli Stati Uniti fece esplodere l’inflazione all’interno e all’estero, rendendo i policy maker stranieri sempre più riluttanti a continuare a importare inflazione dagli Stati Uniti attraverso i cambi fissi. Una serie di crisi internazionali condusse progressivamente all’abbandono sia del legame del dollaro con l’oro sia del tasso di cambio fisso rispetto al dollaro da parte dei paesi industrializzati nel marzo del 1973. Parole chiave accordi di Bretton Woods equilibrio della bilancia dei pagamenti equilibrio esterno equilibrio interno Fondo Monetario Internazionale (FMI) meccanismo price-specie-flow politica di riallocazione della spesa politica di variazione della spesa problema della fiducia valuta convertibile Problemi 1. Se foste responsabili della politica macroeconomica di un piccolo paese aperto agli scambi con l’estero, quali effetti qualitativi avrebbe ognuno dei seguenti fatti sul vostro obiettivo di equilibrio esterno? a) Sono state scoperte grandi riserve di uranio all’interno del vostro paese. b) Il prezzo mondiale del vostro principale bene di esportazione, il rame, cresce permanentemente. c) Il prezzo mondiale del rame cresce temporaneamente. d) C’è un aumento temporaneo del prezzo mondiale del greggio. 2. In un sistema di gold standard del tipo analizzato da Hume, descrivete come l’equilibrio della bilancia dei pagamenti fra due paesi, A e B, viene ristabilito dopo un trasferimento di reddito da B ad A. 3. Nonostante le crisi del gold standard prima del 1914, le variazioni dei tassi di cambio erano rare per le economie principali (inclusi i paesi europei più ricchi e gli Stati Uniti). Al contrario, tali variazioni divennero frequenti nel periodo fra le due guerre. Potete dare ragione di questo contrasto? 4. In un sistema di gold standard, i paesi possono adottare politiche monetarie eccessivamente restrittive se tutti cercano invano di appropriarsi di una fetta maggiore delle limitate riserve mondiali di oro. Possono gli stessi problemi sorgere in un sistema con moneta di riserva, quando i titoli denominati nelle differenti valute sono perfetti sostituti? 5. Una banca centrale che adotta tassi di cambio fissi può sacrificare la propria autonomia nel determinare la politica monetaria interna. A volte si ritiene che in questo caso la banca centrale debba rinunciare alla possibilità di usare la politica monetaria per combattere la spirale prezzi-salari. Il ragionamento procede in questo modo: “Supponete che i lavoratori domandino salari più elevati, 322 Il sistema monetario internazionale, 1870–1973 • capitolo 8 e che gli imprenditori li concedano, ma che allo stesso tempo aumentino i prezzi dei prodotti per coprire i maggiori costi di produzione. I prezzi sono quindi più elevati, e i saldi reali momentaneamente più bassi, così che per evitare un aumento del tasso di interesse che porterebbe all’apprezzamento della valuta, la banca centrale deve acquistare valuta estera ed espandere l’offerta di moneta. Questa politica ‘accomoda’ l’iniziale domanda di maggiori salari con una crescita monetaria, e l’economia si sposta permanentemente a un livello più elevato di salari e prezzi. Con un tasso di cambio fisso non c’è dunque modo di contenere i prezzi e i salari”. Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento? 6. Gli economisti hanno a lungo dibattuto se la crescita delle riserve in dollari detenute negli anni di Bretton Woods fosse “determinata dalla domanda” (cioè determinata dal desiderio delle banche centrali di incrementare le proprie riserve valutarie) o “determinata dall’offerta” (cioè determinata dalla crescita monetaria degli Stati Uniti). Quale sarebbe la vostra risposta? Quali sono le conseguenze dell’analisi della relazione tra la crescita dello stock internazionale di riserve e l’inflazione mondiale? 7. Supponete che la banca centrale di un piccolo paese si trovi di fronte a un aumento del tasso di interesse mondiale R*. Qual è l’effetto sulle sue riserve valutarie? E sull’offerta di moneta? Può la banca centrale contrastare uno o entrambi questi effetti attraverso operazioni domestiche di mercato aperto? 8. Come possono le restrizioni sulle transazioni private di capitale modificare il problema del raggiungimento dell’equilibrio interno ed esterno in presenza di tassi di cambio fissi? Quali costi possono comportare tali restrizioni? 9. “I governi di economie in disavanzo normalmente subiscono pressioni maggiori per ristabilire l’equilibrio esterno rispetto a quelli di economie in avanzo. Di conseguenza, il problema dell’equilibrio esterno di un paese in disavanzo è più grave di quello di un paese in avanzo.” Siete d’accordo? 10. Nel 1961, la Germania si trovò ad affrontare il dilemma posto da un avanzo esterno e da un’economia in forte espansione. Di conseguenza, flussi di capitali speculativi entrarono in Germania e il governo si sentì obbligato a rivalutare la propria moneta (invece di svalutarla). Riuscite a spiegare in che modo questa “crisi della rivalutazione” o “attacco mediante afflussi speculativi” potrebbe operare quando un governo (come quello tedesco al tempo) teme fortemente l’inflazione? Il ragionamento è diverso da quello alla base della crisi da svalutazione discussa nel Capitolo 7, in quanto i tassi di interesse vengono spinti verso il basso dagli speculatori e non c’è pericolo di esaurimento delle riserve estere. (Tali attacchi mediante afflussi di capitale non sono completamente scomparsi: l’Ungheria ne ha subìto uno nel gennaio del 2003.) Ulteriori letture Ben S. Bernanke, Essays on the Great Depression, Princeton, NJ: Princeton University Press, 2000. Contiene numerosi capitoli sul ruolo del gold standard internazionale. Michael D. Bordo e Barry Eichengreen (a cura di), A Retrospective on the Bretton Woods System, Chicago: University of Chicago Press, 1993. Una raccolta di lavori che rivalutano l’esperienza di Bretton Woods. 323 parte 2 • Politiche macroeconomiche internazionali W. Max Corden, “The Geometric Representation of Policies to Attain Internal and External Balance”, in Richard N. Cooper (a cura di), International Finance, Harmondsworth, UK: Penguin Books, 1969, pp. 256-290. Una classica analisi diagrammatica delle politiche macroeconomiche di variazione e di riallocazione della spesa. Barry Eichengreen e Marc Flandreau (a cura di), The Gold Standard in Theory and History, II edizione, Londra: Routledge, 1997. Un’importante raccolta di articoli sulla performance del gold standard in diversi periodi storici. Richard N. Gardner, Sterling-Dollar Diplomacy in Current Perspective, New York, Columbia University Press, 1980. Un resoconto semplice dei negoziati che portarono alla fondazione del FMI, della Banca Mondiale e del GATT. Harold James, The End of Globalization: Lessons from the Great Depression, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2001. Analisi politica ed economica della disintegrazione economica internazionale tra il 1914 e il 1939. Charles P. Kindleberger, The World in Depression 1929–1939, edizione rivista, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1986. Uno dei principali economisti internazionali esamina le cause e gli effetti della Grande Depressione. Ronald I. McKinnon, “The Rules of the Game: International Money in Historical Perspective”, Journal of Economic Literature 31 (marzo 1993), pp. 1-44. Una rassegna illuminante dei meccanismi e delle regole implicite di diversi accordi monetari internazionali. Ragnar Nurske, International Currency Experience: Lessons of the Inter-War Period, Ginevra, League of the Nations, 1944. Una classica critica delle politiche macroeconomiche nazionalistiche che molti paesi adottarono nel periodo tra le due guerre mondiali. Maurice Obstfeld e Alan M. Taylor, Global Capital Markets: Integration, Crisis, and Growth, Cambridge, UK: Cambridge University Press, 2004. Rassegna dei legami fra integrazione finanziaria internazionale e regimi di tassi di cambio. Robert Solomon, The International Monetary System, 1945–1981, New York, Harper & Row, 1982. I Capitoli 1-14 fanno la cronaca delle relazioni monetarie internazionali tra la seconda guerra mondiale e i primi anni settanta. L’autore fu capo della divisione finanza internazionale della Federal Reserve durante il periodo che condusse all’abbandono del sistema di tassi di cambio fissi. Riferimenti e dati sul Web Serie storiche su tassi di interesse, tassi di cambio e prezzo dell’oro sono ottenibili dal Macrohistory Database nel sito del National Bureau of Economic Research (NBER) [http://nber.nber.org/databases/macrohistory/contents/index.html]. Per approfondimenti sul sistema finanziario internazionale si veda la sezione Bretton Woods 2 nel sito Global Macroeconomics del professor Nouriel Roubini della New York University [http://www.rgemonitor.com/4]. Sui Diritti Speciali di Prelievo (DSP) il Fondo Monetario internazionale fornisce dati e informazioni [http://www.imf.org/external/np/exr/facts/sdr. HTM]. 324