LO SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA TRA ALLARGAMENTO E COSTITUZIONALIZZAZIONE * Ferruccio Pastore (CeSPI) Sono passati appena sei anni da quando il trattato di Amsterdam ha inserito lo «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (SLSG) tra gli obiettivi strategici del processo di integrazione europea e meno di un lustro da quando le norme fondamentali che tuttora lo governano sono entrate in vigore. In questo arco di tempo, relativamente breve, le aspettative e le sollecitazioni nei confronti di questo intricato e delicato policy field si sono moltiplicate e intensificate, trasformandolo in uno degli ambiti settoriali più caldi, dibattuti e dinamici dell’intero processo di integrazione europea. Dopo quella che è stata definita la «apocalittica provocazione» dell’11 settembre 20011, la gestazione dello SLSG ha subito un’accelerazione drammatica, accompagnata da una intensa politicizzazione, che si è manifestata sia a livello interno – nelle relazioni tra Stati membri e stakeholders (intesi come le diverse categorie coinvolte e interessate: magistratura, altri poteri pubblici, forze di polizia, organizzazioni per i diritti civili, etc.) – sia a livello internazionale, nei rapporti con altri attori, in primo luogo con gli Stati Uniti. Oggi ci troviamo all’inizio di una fase nuova: la spinta determinata dalla emergenza terroristica appare momentaneamente indebolita, mentre salgono alla ribalta altri potenti fattori evolutivi. In particolare, con l’allargamento e la costituzionalizzazione dell’Unione europea, lo SLSG si trova alla vigilia di cambiamenti strutturali di enorme portata, che segnano – si potrebbe dire – il suo ingresso nella maturità politica e istituzionale. E’ facile prevedere, tuttavia, che non si tratterà di una maturità serena, né esente da contraddizioni e conflitti. In queste pagine, ci proponiamo di analizzare tali dinamiche evolutive, esplorando alcuni possibili scenari futuri. Ci concentreremo dapprima sugli sviluppi più recenti del processo decisionale e normativo in materia di giustizia e affari interni, soffermandoci in particolare sul problematico rapporto che in questo settore si delinea tra emergenza e ordinaria amministrazione (par. 1). Passeremo in seguito ad analizzare gli scenari nuovi aperti dalle riforme costituzionali in via di realizzazione, in un ambito dove le novità si annunciano particolarmente sostanziose (par. 2). Ci rivolgeremo poi ai contenuti specifici delle politiche di sicurezza interna dell’Unione europea, mostrando come il «modello fortezza», ancorché respinto sul piano politico-programmatico, continui a influenzare profondamente il concreto policy-making, suscitando problemi e perplessità (par. 3). Infine (nel paragrafo 4), ci interrogheremo sul rapporto tra «identità europea» e principio di legalità (il quale costituisce, a ben vedere, il presupposto e il collante, politico e concettuale, dell’intero SLSG), all’interno di uno scenario globale drammaticamente caratterizzato da una crisi profonda della tradizionale legalità liberale di matrice occidentale. 1. Cicli dell'emergenza e oscillazioni del processo decisionale Nell'anno seguito agli attentati compiuti da al Qaeda contro il Pentagono e il World Trade Center, l'emergenza terroristica aveva rappresentato il principale fattore di definizione dell'agenda politica europea in materia di «Giustizia e affari interni» (GAI), portando a risultati politici e normativi di rilievo in materia di sicurezza interna, in parte a scapito delle altre dimensioni costitutive dello * Articolo pubblicato in G. Vacca, a cura di, Il dilemma euroatlantico. Rapporto 2004 della Fondazione Istituto Gramsci sull’integrazione europea, Dedalo, Bari, 2004, pp. 235-259. Il testo è aggiornato al 31 ottobre 2003. 1 G. Kepel, Jihad. Espansione et déclin de l’islamisme, Gallimard, Parigi, 20032, p. 17. «spazio di libertà, sicurezza e giustizia»2. Nel corso del 2003, tuttavia, il mancato verificarsi di nuovi attacchi diretti contro paesi occidentali ha determinato un relativo affievolimento del senso di emergenza3, che ha consentito ad altri fattori - di natura sia politica sia tecnica - di riconquistare una certa presa sul processo decisionale europeo in questo settore, provocandone un rallentamento rispetto al ciclo (peraltro straordinario) precedente. Tra i fattori politici che hanno recuperato un certo potere frenante rispetto all'agenda comune, spicca un ritorno di visibilità e, diremmo quasi, di legittimità, degli «interessi nazionali» degli Stati membri, non più dissimulati per non offendere la gravità del momento, ma manifestati normalmente e talvolta addirittura ostentati. Due esempi, riferiti rispettivamente alle politiche sulla cooperazione giudiziaria in materia penale e a quelle in tema di immigrazione, possono aiutare la comprensione. Il primo esempio ci riguarda da vicino, avendo per oggetto le scelte compiute sinora dal governo italiano in merito ad alcuni importanti atti normativi maturati all'interno del terzo pilastro. Dopo aver opposto una isolata ma caparbia resistenza all'approvazione della decisione-quadro sul mandato europeo, l'esecutivo italiano dovette cedere alla forte pressione dei partner in occasione del Consiglio europeo di Laeken, nel dicembre 20014. Oggi si constata che quell'assenso politico non ha appianato i contrasti all'interno della compagine governativa, in merito a un provvedimento che si configura come una vera e propria «chiave di volta» del nascente spazio europeo di giustizia. Mentre mancano ormai poche settimane alla scadenza (31 dicembre 2003) fissata per il recepimento della decisione-quadro negli ordinamenti nazionali, continua a mancare un disegno di legge di matrice governativa5. Frattanto, il nuovo strumento di cooperazione giudiziaria viene bollato pubblicamente come «incostituzionale e criminale» da un ministro della repubblica italiana6, costringendo il vicepresidente del Consiglio, nonché vicepresidente in carica del Consiglio europeo, a ribadire la fedeltà agli impegni assunti a livello europeo7. La scomposta invasione di campo da parte di interessi di parte, per di più durante il turno semestrale di presidenza dell'Unione, oltre a rappresentare un segnale inquietante di debolezza politica, costituisce un precedente pericoloso per il futuro dei processi decisionali europei. Questa situazione appare tanto più preoccupante, in quanto non si tratta di un caso isolato. Nel paragrafo 4, ci soffermeremo sul tormentato processo di recepimento nel nostro ordinamento del provvedimento europeo che istituisce l'unità di cooperazione giudiziaria permanente, chiamata Eurojust. Qui vogliamo richiamare le vicissitudini di un'altra importante decisione-quadro, quella 2 Abbiamo analizzato quegli sviluppi in F. Pastore, L'Europa della sicurezza interna. Sviluppi e problemi, in G. Vacca, «L'unità dell'Europa. Rapporto 2003 sull'integrazione europea», Dedalo, Bari, in part. p. 237 e ss.. 3 Ci sembra di poter rilevare una parziale attenuazione del clima politico di emergenza, probabilmente collegata alla assenza di attacchi diretti, nonostante diverse inchieste giudiziarie (alcune delle quali in corso in Italia) sembrino confermare il ruolo di «retrovia» che l'Europa occidentale avrebbe svolto e svolgerebbe per organizzazioni terroristiche di matrice islamica, e nonostante alcuni attentati (come quelli compiuti in Marocco il 16 maggio 2003) abbiano colpito obiettivi in precedenza non considerati ad alto rischio e particolarmente vicini - storicamente e politicamente all'Europa. 4 Si veda in proposito, la ricostruzione fatta in F. Pastore, L'Europa della sicurezza interna. Sviluppi e problemi, cit., in part. p. 244. 5 A tutt'oggi, l'unico progetto di legge per il recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, «relativa al mandato d' arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri», risulta essere quello presentato il 30 luglio 2003 (Atto Camera n. 4246, primo firmatario: Giovanni Kessler, gruppo DS-Ulivo). Esistono poi due testi trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri, rispettivamente nel luglio 2003 dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e nell'ottobre 2003, dal ministro delle Politiche Comunitarie, Rocco Buttiglione. Nessuno di questi due testi, però, al momento in cui scriviamo, risulta essere approdato in Parlamento. 6 Sulle più recenti esternazioni del ministro delle Riforme istituzionali, Umberto Bossi, in materia, cfr. D. Stasio, L'Euromandato divide il Polo, «Il Sole-24 Ore», 23 ottobre 2003, p. 12. Le parole del ministro Bossi non sono certo le manifestazioni più estreme di avversità al mandato di arresto europeo provenienti da ambienti leghisti: lo stesso 23 ottobre, «La Padania», organo ufficiale della Lega Nord, titolava in prima pagina: «Mandato d'arresto europeo: ritorna l'arcipelago gulag». 7 G.C., Mandato Ue, Fini gela Bossi "E' un impegno con l'Europa", «La Repubblica», 25 ottobre 2003, p. 14. Sull'importanza giuridica e politica di un recepimento puntuale della disciplina europea da parte dell'Italia, si è espresso autorevolmente Vittorio Grevi (Mandato d'arresto, il ritardo italiano, «Il Corriere della Sera», 5 ottobre 2003, p. 16). 2 sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia8, che ha subito forti rallentamenti nei negoziati in seno al Consiglio, in gran parte a causa dalle resistenze opposte dal ministro italiano di Grazia e Giustizia, Roberto Castelli. Quest'ultimo, esponente della Lega Nord, dichiarando di temere abusi persecutori nei confronti di esponenti del suo partito di appartenenza, ha bloccato la versione originaria del provvedimento, che impegnava gli Stati membri a perseguire penalmente anche gli insulti razzisti pronunciati in pubblico, difesi dal Guardasigilli italiano come legittima espressione della libertà di pensiero9. Interferenze, anche pesanti e smaccate, di interessi politici contingenti nel processo decisionale europeo non sono però limitate al settore penale, né sono il frutto esclusivo delle pur corpose anomalie dell'attuale situazione italiana. Un esempio piuttosto clamoroso è giunto dalla svolta tedesca in materia di immigrazione, all'interno della Convenzione per il futuro dell'Europa. Dopo avere affrontato la prima fase dei lavori con atteggiamento aperto a una comunitarizzazione piena su questo terreno, l'esecutivo di Berlino ha compiuto in extremis una brusca frenata10. Costretto dai precari equilibri politici interni (la coalizione rosso-verde è in minoranza al Bundesrat e subisce la pressione politica della CSU bavarese, ostile ad aperture in materia migratoria), il governo tedesco ha chiesto e ottenuto che nella bozza finale di Costituzione europea venisse inserito una robusta clausola di salvaguardia della sovranità nazionale in materia di determinazione dei flussi migratori: Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi provenienti da paesi terzi allo scopo di cercarvi un lavoro subordinato o autonomo (art. III.168, comma 5). Accanto ai fattori politici che hanno determinato, nell'anno appena trascorso, un relativo rallentamento del processo decisionale in ambito GAI, merita di essere segnalato anche un importante fattore di natura tecnica. Nella fase embrionale dell'integrazione europea in tema di «giustizia e affari interni», e anche più tardi, perlomeno sino all'entrata in vigore del trattato di Amsterdam (1° maggio 1999), gli avanzamenti più significativi si sono registrati sul terreno della cooperazione di polizia, mentre in campo giudiziario gli sviluppi concreti rimanevano limitatissimi. Questa asimmetria di fondo, che aveva giustamente alimentato critiche e preoccupazioni, non corrisponde più allo stato attuale dell'agenda europea. Anzi, nel biennio 2002-2003, a fronte di sviluppi di grande portata in campo giudiziario - Eurojust e il mandato di cattura UE non sono che le due novità più importanti11 - i progressi nell'integrazione operativa tra apparati nazionali di polizia sono risultati assai limitati12. Da un lato, questa sfasatura è benvenuta, perché contribuisce a riequilibrare l'asimmetria che si era generata nella lunga fase precedente. Dall'altro, può rappresentare un segnale preoccupante, su cui è bene interrogarsi. Bisogna allora rilevare che le difficoltà appena riscontrate derivano, in buona parte, da una persistente diffidenza di matrice «culturale» della maggior parte delle polizie nazionali verso ogni forma di cooperazione istituzionalizzata. Il livello di attività ancora insufficiente di Europol è la dimostrazione quotidiana e tangibile che, particolarmente nel caso di «operazioni» importanti e rischiose, le forze di polizia tendono a «fidarsi» solo di singoli «colleghi/e» già noti, e non di anonime istituzioni. Di conseguenza, la preferenza viene sistematicamente accordata a forme di cooperazione ristretta, informale e a geometria variabile. Per questa ragione, la «istituzionalizzazione della fiducia» 8 La proposta originaria su cui è stato dato inizio ai negoziati è l'atto COM/2001/664, pubblicato in GUCE C 075 E, 26 marzo 2002, p. 269 e ss.. 9 Agence Europe, UE/Justice: Les discussions sur le racisme et la xénophobie suspendues au Conseil, in Bulletin Quotidien Europe, N° 8453, 1° maggio 2003, p. 13. Più recentemente, il governo italiano - investito della Presidenza di turno - ha consentito la riapertura dei negoziati, proponendo però una versione fortemente annacquata del testo originario (Agence Europe, UE/JAI: Divisions sur les projets de decision-cadre sur la drogue et la xénophobie, «Bulletin Quotidien Europe», N° 8542, 16 settembre 2003, p. 11). 10 H. Mahony, Germany calls to keep veto in immigration policy, in www.euobserver .com, 2 luglio 2003. 11 Per un quadro completo: http://europa.eu.int/comm/justice_home/doc_centre/criminal/doc_criminal_intro_en.htm. 12 Fa eccezione la cooperazione nel campo dei controlli migratori alle frontiere esterne dell'Unione, di cui tratteremo specificamente nel paragrafo 3. 3 (mediante il rafforzamento dei percorsi formativi multinazionali, la creazione di squadre investigative comuni, etc.) appare oggi - tanto più alla vigilia dell'allargamento - come una condizione essenziale per far compiere un definitivo salto di qualità alla cooperazione tra polizie europee13. 2. Oltre i pilastri: è possibile una politica di sicurezza a maggioranza? In una prospettiva di lungo periodo, l'evoluzione della cooperazione europea in ambito GAI si può riassumere come il frutto di una dialettica aspra e articolata tra esigenze di efficienza decisionale ed efficacia operativa, che spingono verso l'adozione di modelli decisionali maggioritari, e opposte esigenze di salvaguardia delle prerogative sovrane e della discrezionalità politica degli Stati membri, che incoraggiano a rimanere legati a procedure fondate sulla unanimità. Nel 1997, con la firma del trattato di Amsterdam, si compì una scelta di indirizzo, non vincolante, a favore del progressivo passaggio al voto a maggioranza qualificata (VMQ) nelle materie già appartenenti al terzo pilastro, di cui si decise la progressiva «comunitarizzazione»14. Il 1° maggio 2004 scadrà il periodo transitorio al termine del quale: il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all'articolo 251 e di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia (art. 67, comma 2, TCE). L'estrema prudenza di questa disposizione non è stata significativamente attenuata in occasione della firma del trattato di Nizza (entrato in vigore, dopo molte peripezie, il 1° febbraio 2003), che in questo ambito - come, d'altronde, in molti altri - si è limitato a modesti aggiustamenti. A tutt'oggi, dunque, nel vasto policy field suggestivamente battezzato «spazio di libertà, sicurezza e giustizia», solo le politiche in materia di visti e, limitatamente agli aspetti esecutivi, quelle dell'asilo, vengono adottate a maggioranza qualificata. In questo quadro, i lavori della Convenzione per il futuro dell'Europa - e in particolare del suo decimo Gruppo di lavoro, dedicato all'avvenire dello SLSG - si sono aperti nell'estate 2002, in un clima generale di insoddisfazione per la situazione istituzionale attuale e di forte propensione al cambiamento. La Commissione europea era particolarmente netta nel denunciare i rischi di paralisi del processo decisionale che, in assenza di riforme radicali, si sarebbero ulteriormente aggravati in seguito all'allargamento a dieci nuovi Stati. Ma preoccupazioni simili venivano espresse e condivise da gran parte delle forze sociali e politiche rappresentate all'interno della Convenzione. Il risultato di questa riflessione collettiva, come è stato recepito nella bozza di Costituzione attualmente all'esame della Conferenza intergovernativa (CIG), rappresenta un compromesso avanzato, anche se forse non abbastanza coraggioso. La scelta di fondo, operata dall'organismo presieduto dal Valéry Giscard d'Estaing, è quella di abolire la distinzione rigida, strutturale tra primo e terzo pilastro, e quindi di unificare l'ambiente istituzionale in cui si persegue il fondamentale obiettivo dell'Unione di consolidare, approfondire e ampliare lo SLSG. In tutto il vasto settore GAI, la regola decisionale generale diventerebbe quella della maggioranza qualificata, come modificata dall'articolo 24 della bozza di Costituzione («Quando il Consiglio europeo o il Consiglio dei ministri deliberano a maggioranza qualificata, quest'ultima è definita come voto della maggioranza degli Stati membri, che rappresenti almeno i 13 Su questo aspetto, si veda l’analisi di Neil Walker, The problem of trust in an enlarged area of freedom, security and justice: a conceptual analysis, in M. Anderson e J. Apap, a cura di, «Police and Justice Co-operation and the New European Borders», Kluwer Law International, L’Aia-Londra-New York, 2002, p. 19 e ss.. 14 Le materie in questione sono «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone» - secondo la definizione sintetica contenuta nella rubrica del titolo IV, che il trattato di Amsterdam ha introdotto ex novo nel TCE - a cui si aggiunge inoltre la cooperazione giudiziaria in materia civile. 4 tre quinti della popolazione dell'Unione», comma 1). Ma questa «rivoluzione copernicana» è in realtà accompagnata da due severe limitazioni: in primo luogo, le nuove norme «prendono effetto il 1° novembre 2009», dopo il round delle elezioni europee che avrà luogo quell'anno; in secondo luogo, nelle materie in cui si prevede che gli Stati membri mantengano il diritto di iniziativa legislativa, condividendolo con la Commissione (art. 41, comma 3), la maggioranza richiesta sarebbe in realtà «super-qualificata», definita cioè come «come voto dei due terzi degli Stati membri, che rappresenti almeno i tre quinti della popolazione dell'Unione» (art. 24, comma 2). Le deroghe temporali e sostanziali all'opzione di fondo favorevole al VMQ rappresentano, dunque, una ipotesi di compromesso tra le due esigenze, egualmente profonde e pressanti, delineate in principio di paragrafo. Indubbiamente, sempre che le soluzioni proposte dalla Convenzione vengano accolte senza variazioni dalla CIG, lo sviluppo normativo dello SLSG nella Unione a 25 (e durante tutto il quinquennio che ci separa dalla fatidica scadenza del 1° novembre 2009) risulterà particolarmente faticoso, e a poco gioveranno le clausole-passerella (che consentono, all'unanimità, di passare al voto a maggioranza) contenute nell'art. 67, comma 2, TCE, già richiamato, e nell'art. 42 TUE. Ma, più dei rischi di scarsa agilità decisionale, è da lamentare il prolungamento della marginalità del Parlamento europeo, che - stando al testo ora all'esame della conferenza intergovernativa - verrebbe mantenuta fino alla piena applicazione della nuova procedura legislativa ordinaria (al più tardi nel 2009, dunque), in cui sono finalmente attribuiti ruoli decisionali paritari al Consiglio e all'organo elettivo. Data questa lacuna, acquista particolare rilievo la previsione, contenuta nella bozza di Costituzione, secondo cui: Nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, i parlamenti nazionali possono partecipare ai meccanismi di valutazione previsti all'articolo III-161 e sono associati al controllo politico dell'Europol e alla valutazione delle attività dell'Eurojust, conformemente agli articoli III-177 e III174 (art. 41, comma 2). Malgrado questi importanti contrappesi, la prospettiva concreta di una persistente minorità istituzionale del PE nel prossimo sviluppo dello SLSG preoccupa più dei rischi di scarsa produttività decisionale, anche perché questi ultimi trovano un correttivo significativo nelle procedure di cooperazione rafforzata, che la CIG - seguendo le raccomandazioni dei «convenzionali» - sembra avviata a riformare nel senso di una semplificazione delle modalità di avvio e, contemporaneamente, di una disciplina più chiara e rigorosa delle condizioni di ammissibilità15. Il futuro dello SLSG risulterà dunque da un mix di politiche e misure adottate all'unanimità, a maggioranza e, in casi particolari, da avanguardie di paesi willing and able. Dal corretto bilanciamento di questi tre metodi decisionali dipenderà, in buona misura, il successo futuro dell'integrazione europea in questo settore. Un'impostazione eccessivamente unanimistica condurrebbe alla paralisi decisionale e all'inerzia operativa; d'altra parte, un ricorso eccessivo e indiscriminato alla maggioranza (anche se qualificata o super-qualificata) - in materie delicate come quelle legate alla sicurezza interna - rischierebbe di pregiudicare la coesione e di indurre comportamenti poco collaborativi, in sede di esecuzione delle politiche, da parte degli Stati membri messi in minoranza e delle relative forze di polizia. Infine, sebbene le cooperazioni rafforzate possano certamente dimostrarsi utili al fine di sbloccare resistenze particolaristiche al cambiamento, occorre vigilare al fine di mantenere queste forme di integrazione ristretta e rinforzata nell'alveo istituzionale. In una Europa allargata e sempre più eterogenea, esperimenti di cooperazione intergovernativa extra-UE, sul modello del club di Schengen, rischiano di generare dinamiche profonde di gerarchizzazione e di competizione tra Stati membri, dal forte potenziale destabilizzante e disgregante. 15 Per una prima analisi, vd. G. Tiberi, Le cooperazioni rafforzate, in F. Bassanini e G. Tiberi, «Una Costituzione per l'Europa. Dalla Convenzione europea alla Conferenza Intergovernativa», Il Mulino, 2003, p. 77 e ss.. 5 Da questo punto di vista, la formalizzazione del cosiddetto «G 5», riunione periodica dei ministri dell'Interno dei cinque «grandi» dell'Unione (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna, che insieme rappresentano l'85% della popolazione dell'Unione attuale) costituisce una fonte di preoccupazione16. Malgrado le rassicurazioni fornite dai protagonisti17, il passaggio da occasionali incontri di concertazione politica a periodici vertici ristretti (e tendenzialmente chiusi) configura un embrione di «direttorio della sicurezza interna», che pone problemi reali sia dal punto di vista dello status reciproco degli Stati UE, sia con riferimento alle prerogative del Parlamento europeo e, ancor più, della Commissione. 3. La lotta all'immigrazione clandestina, priorità assoluta? Nel corso dell'ultimo biennio, e con particolare evidenza a partire dal Consiglio europeo di Siviglia (21-22 giugno 2002), la principale priorità concreta della cooperazione europea in ambito GAI non è stata la lotta al terrorismo né ad altre forme di criminalità transnazionale, bensì la lotta all'immigrazione clandestina e il rafforzamento dei controlli alle frontiere europee. Una rapida panoramica sui documenti ufficiali che hanno costellato questo periodo può dare un'idea del dinamismo frenetico registrato su questo terreno. Dopo un paio di anni, seguiti all'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, in cui la Commissione Prodi non aveva esercitato il proprio diritto di iniziativa in questo ambito specifico, nel novembre 2001 essa ruppe gli indugi con la comunicazione «su una politica comune in materia di immigrazione illegale» (COM (2001) 672). Gli orientamenti strategici e programmatici contenuti in quel documento furono in larga misura recepiti nel successivo «piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani nell'Unione europea» (doc. 6621/02), approvato dal Consiglio GAI il 28 febbraio 2002. Il dibattito si è fatto più approfondito e mirato con la pubblicazione di una seconda comunicazione della Commissione («Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli stati membri dell'unione europea», COM(2002) 233, 7 maggio 2002), su cui il Consiglio si è in parte basato per il «Piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea» (doc. 10019/02, approvato dai ministri dell'Interno nella riunione del 13 giugno 2002). Pochi giorni dopo, il summit di Siviglia ha fornito un ulteriore impulso politico al processo, dettando anche un'agenda dettagliata, poi tradotta dal Consiglio in una specifica road map (doc. 10525/02, 2 luglio 2002), periodicamente aggiornata in seguito. Con il 2003, la rincorsa istituzionale non ha subito rallentamenti. Il Consiglio europeo di Salonicco (19-20 giugno 2003) - preceduto da una nuova comunicazione della Commissione18 - e quello di Bruxelles, svoltosi sotto presidenza italiana il 16 e 17 ottobre 2003, hanno anzi confermato una tendenza che vede ormai il tema dei controlli migratori stabilmente presente - e con rilievo preminente - nell'agenda dei vertici europei. E' evidente come i Capi di stato e di governo europei - e particolarmente i tre presidenti mediterranei succedutisi in un breve arco di tempo (Aznar, Simitis e Berlusconi) - siano convinti di potere raccogliere consensi su questo terreno, intercettando una domanda diffusa di «più Europa» 19. 16 Dopo essersi riuniti una prima volta a Jerez de la Frontera, il 18maggio 2003, i cinque ministri si sono nuovamente incontrati a La Baule, in Francia, il 18 e 19 ottobre dello stesso anno. Sull'agenda e i contenuti del vertice, vd. S. Zappi, Les Cinq décident de renforcer les contrôles et les visas, Le Monde, 22 ottobre 2003, p. 2. 17 Il ministro dell'Interno francese, Nicolas Sarkozy, ha definito questo nuovo foro di concertazione strategica e coordinamento operativo in materia di sicurezza interna come «un gruppo pioniere che si colloca al centro dell'Unione e che ha come obiettivo quello di muoversi più rapidamente verso obiettivi operativi comuni» (EU's 'G5' agree to more co-operation on illegal immigration, www.euractiv.com, sezione «Migrations», 20 ottobre 2003; cfr. anche R. Carter, Five EU states push ahead on immigration, www.euobserver.com, 21 ottobre 2003). 18 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio in vista del Consiglio europeo di Salonicco sullo sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione illegale, di introduzione clandestina e tratta di esseri umani, di frontiere esterne e di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente, COM(2003) 323, 3 giugno 2003. 19 In realtà, anche su questo terreno specifico, l'opinione pubblica europea non è affatto compatta e omogenea. Una recente indagine condotta su incarico della Commissione europea - dopo aver sottolineato la «ignoranza diffusa» tra gli intervistati circa le politiche europee in questa materia – sintetizza così le opinioni prevalenti: 6 Anche a livello europeo, dunque, le migrazioni sono ormai definitivamente assurte nella sfera della high politics. Ma in quale forma e con quali obiettivi? Malgrado i richiami frequenti e un po' rituali all'approccio «integrato» solennemente adottato a Tampere, nell'ottobre 1999, la «ricetta» europea in materia migratoria rimane essenzialmente incentrata sul rafforzamento della dimensione di controllo e repressiva di questa politica20. Ciò non toglie che l’ultimo biennio abbia prodotto, seppure in questa prospettiva limitata, novità di grande rilievo, sia sul piano concettuale sia su quello tecnico-operativo21; ecco le innovazioni che ci paiono più rilevanti: A) nella elaborazione delle politiche europee di controllo migratorio, si è passati da un approccio tecnico-funzionalistico piuttosto frammentato, che era quello prevalente in ambito Schengen, a un approccio sistemico che mira a una «gestione integrata delle frontiere esterne» nel quadro di una strategia «globale» di prevenzione e lotta all’immigrazione clandestina. B) Questi obiettivi di ordine sistemico non sono perseguiti solo attraverso il coordinamento operativo delle strutture di controllo nazionali (uffici-visti dei consolati, polizie di frontiera) e il mutuo riconoscimento dei rispettivi provvedimenti (rilascio di visti, decisioni di allontanamento), come avveniva nel sistema Schengen, bensì anche attraverso la creazione di strutture di controllo comuni. A parte l’esperimento volto a istituire un ufficio-visti dell’Unione, avviato a Pristina (Kosovo) e già abbandonato a causa di gravi difficoltà giuridiche e organizzative, importanti passi avanti si stanno compiendo su altri due terreni-chiave. Il primo è ancora quello della politica dei visti, dove il progetto di costituire una nuova banca-dati europea, denominata VIS (Visa Identification System), per la schedatura biometrica di tutti i cittadini di paesi terzi che chiedono un visto al fine di fare ingresso nell’Unione, è ormai entrato in fase di realizzazione. La seconda novità strutturale riguarda l’integrazione tra apparati nazionali di controllo delle frontiere: sebbene la prospettiva di una vera e propria Guardia di frontiera europea rimanga per il momento incerta e, in ogni caso, remota, gli scambi e le operazioni congiunte tra organismi nazionali in questo campo sono diventati numerosi e frequenti; inoltre, la prospettiva, ormai molto concreta, della creazione di una agenzia europea per il coordinamento della attività degli Stati membri in questo campo, rappresenta un salto di qualità decisivo22. «In alcuni [Stati membri], nei quali le persone credono, in linea di principio, nell’utilità di controlli comuni per affrontare un problema che trascende il livello nazionale, la reazione è nettamente positiva, mentre in diversi altri paesi, è generalmente positiva, ma con perplessità e difficoltà a immaginare concretamente che forma possa assumere una azione comune europea in questo settore. Dubbi e riserve emergono in paesi altamente "sensibili", come la Francia, la Spagna, la Grecia e la Slovenia. Forte scetticismo affiora poi nel Regno Unito e in Svezia, dove è diffusa la tendenza ad attribuire alla Unione europea la responsabilità di avere "aperto le frontiere" o ad altri Stati membri quella di tentare di "liberarsi" dei propri immigrati "scaricandoli" oltrefrontiera» (European Citizens and Freedom, Security and Justice. Qualitative Survey of Citizens of the 15 Member States and the 13 Applicant Countries, Indagine realizzata dalla società OPTEM su incarico della Commissione europea, marzo 2003, p. 20; il rapporto finale è disponibile all’indirizzo http://www.europa.eu.int/comm/justice_home/news/intro/news_0703_en.htm). 20 Sul piano formale, qualche passo avanti nella comunitarizzazione delle politiche in materia di immigrazioni regolare si è registrato. Si tratta, però, nella maggioranza dei casi, di forme di armonizzazione assai blanda, che lasciano sostanzialmente immutata la situazione normativa nei paesi membri, o addirittura rischiano di favorire ulteriori riforme di segno restrittivo. L’esempio più clamoroso viene dalla direttiva in materia di ricongiungimento famigliare (2003/86/CE del 22 settembre 2003, in GUCE L 251/12, 3 ottobre 2003), i cui contenuti regressivi rispetto alla normativa attuale di molti Stati membri hanno innescato una vasta mobilitazione (UE/Immigration: 90 associations appellent le Parlement européen à demander l'annulation de la directive sur le regroupement familial, Agence Europe, Bulletin Quotidien Europe, 8 ottobre 2003, n° 8558, p. 14). 21 Per una analisi più approfondita, rinviamo a F. Pastore, Visas, borders, immigration. Formation, structure and current evolution of the EU entry control system, in «The EU Area of Freedom, Security and Justice» (titolo provvisorio), Collected Courses of the Academy of European Law, Istituto Universitario Europeo (Firenze), Oxford University Press, Oxford, 2004, in corso di pubblicazione. 22 «Il Consiglio europeo accoglie con favore l'intenzione della Commissione di presentare una proposta per la creazione di un organismo di gestione delle frontiere [“Border Management Agency” nel testo inglese] per migliorare la cooperazione concreta in tema di gestione delle frontiere esterne in tempo utile affinché il Consiglio raggiunga un accordo politico sui principali elementi entro la fine dell'anno. Questa proposta si baserà sull'esperienza dell'organo comune di esperti delle frontiere esterne» (Consiglio europeo di Bruxelles, 16-17 ottobre 2003, Conclusioni della Presidenza, punto 28, corsivo aggiunto). 7 C) Infine, gli ultimi due anni hanno segnato avanzamenti su un terreno cruciale come quello finanziario. Da tempo, gli Stati membri situati lungo il perimetro esterno dell’Unione europea e investiti, pertanto, del compito di sorvegliare le frontiere marittime e/o terrestri dello spazio comune, lamentavano l’onere sproporzionato che deriva loro da questa collocazione geografica. La necessità di europeizzare, in qualche misura, quest’onere, conformemente a un generale principio di solidarietà tra Stati membri, è stato affermato, fino a trovare riconoscimento esplicito nel progetto di Costituzione: Le politiche dell'Unione di cui alla presente sezione e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell'Unione adottati in virtù della presente sezione contengono misure appropriate ai fini dell'applicazione di tale principio (articolo III-169). Una prima concretizzazione di tale innovativo principio è rappresentata dai 140 milioni di euro che la Commissione, con il sostegno esplicito del Consiglio e del Consiglio europeo, ha stabilito di assegnare nel periodo 2004-2006 «per far fronte alle esigenze più pressanti in questo settore, con particolare riguardo al sostegno alla gestione delle frontiere esterne, all'attuazione del programma d'azione in materia di rimpatrio e allo sviluppo del Sistema d'informazione visti (VIS)»23. Questa scelta rappresenta un segnale importante; tuttavia, la vera partita circa i futuri equilibri finanziari della politica migratoria europea, e più in generale dello SLSG, è rinviata alla definizione delle prossime prospettive finanziarie dell’Unione, che riguarderanno il periodo dopo il 2006. 4. Identità europea e legalità: le due facce della problematica La nuova Europa, che sta nascendo dai processi paralleli di costituzionalizzazione e di allargamento, ha nel principio di legalità un collante fondamentale. Questo è vero, innanzitutto, sul piano dei principi: di un «ruolo centrale [nella vita della società europea] della persona, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e del rispetto del diritto» parla il Preambolo al progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa. Poco oltre, nel definire i «valori dell'Unione», lo stesso testo sancisce: L'Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione (art. I-2). In queste righe, dove diritto e legalità hanno un rilievo assolutamente centrale, si compie definitivamente quel rovesciamento dell’impostazione ideale dell'integrazione europea (da un funzionalismo economicistico a un costituzionalismo liberale di tipo nuovo), avviato a Maastricht con l’istituzione della cittadinanza europea. Oltre che sul piano dei principi, la centralità della legalità nel processo di integrazione europea si riscontra nelle modalità concrete di tale integrazione, in cui la dimensione regolativa ha svolto a lungo un ruolo preponderante, talora persino ipertrofico, che solo oggi si comincia faticosamente a controbilanciare, a beneficio della dimensione più propriamente politica. Proprio l’entrata del processo di integrazione in una fase più esplicitamente politica (con la costituzionalizzazione, ma anche con il trasferimento avviato di competenze sovrane in materia monetaria, innanzitutto, e ora di sicurezza, interna ed esterna), genera tensioni crescenti intorno al concetto di legalità europea. Queste tensioni si manifestano con modalità diverse, ma tra loro connesse, I) all'interno dello spazio politico, giuridico e giudiziario europeo, e II) all'esterno di esso, 23 Consiglio europeo di Bruxelles, 16-17 ottobre 2003, Conclusioni della Presidenza, punto 26. 8 nei rapporti con altri soggetti internazionali. Ci sembra utile soffermarci su alcune manifestazioni recenti di questa «crisi di crescita» della legalità europea, che appare destinata segnare profondamente la vita politica dell'Unione negli anni a venire. I) Il primo esempio attiene a quella che si può definire come la dimensione interna della problematica e ha origine nell'atipica evoluzione del contesto politico italiano in questo inizio di XXI secolo. Nel paragrafo 1, abbiamo descritto come alcuni connotati politici dell'attuale coalizione governativa italiana (aperta diffidenza nei confronti della magistratura, specialmente di quella inquirente; presenza di posizioni esplicitamente xenofobe in seno alla maggioranza; macroscopici conflitti di interessi in capo al presidente dell'esecutivo)24 abbiano indotto atteggiamenti frenanti rispetto al processo decisionale europeo in ambito GAI, sia nella sua fase ascendente, sia in quella discendente. In altre circostanze, si è invece osservato quello che a molti è apparso un uso strumentale del processo legislativo europeo, per conseguire obiettivi non dichiarati di ridefinizione del sistema interno dei rapporti tra esecutivo e magistratura. E' ad esempio quanto è accaduto con il disegno di legge attuativo della decisione del Consiglio su Eurojust25 che, nella versione originariamente licenziata dal governo, stabiliva che il rappresentante italiano nell'organo di coordinamento giudiziario europeo fosse un magistrato di nomina governativa, ma ciononostante venisse investito del potere di acquisire atti giudiziari relativi a procedimenti in corso, anche se coperti dal segreto istruttorio. Questa soluzione è stata ritenuta di dubbia compatibilità con il principio di separazione e autonomia reciproca dei poteri dello Stato, e ha dato luogo a un rinvio del provvedimento da parte del Presidente della Repubblica, con la conseguente necessità, per il governo, di ripresentare il disegno di legge, con alcune puntuali, ma sostanziali modifiche26. Episodi di questo tipo, e l’anomalo stato di cose che essi segnalano, non sono passati inosservati in sede europea. Mentre le reazioni della stampa internazionale sono state perlopiù fortemente critiche27, sul terreno politico si è registrata una maggiore varietà di posizioni. La raison d’Etat comunitaria, particolarmente pressante in una fase così delicata del processo di integrazione, in cui per di più l'Italia detiene la Presidenza, ha indotto i governi degli Stati membri - con poche e marginali eccezioni - a comportamenti prudenti, ispirati a un principio di non ingerenza28. Diverso è l'atteggiamento che sembra prevalere in seno ad altre istituzioni e, in particolare, al Parlamento europeo. Un primo segnale è giunto con i rilievi fortemente critici nei confronti dell'Italia inseriti nel secondo rapporto, relativo al 2002, in merito allo stato di protezione dei diritti fondamentali 24 Non si vuole, con ciò, sostenere che questi tratti siano esclusivi della situazione italiana, ma soltanto che, sulla scena politica del nostro paese, essi si manifestano con particolare acutezza e continuità. Sulla conflittualità crescente tra potere esecutivo e magistratura, letta come una tendenza evolutiva propria di tutte le democrazie occidentali contemporanee, e sulle peculiarità in questo contesto del caso italiano, rimane una lettura illuminante A. Pizzorno, Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù, Laterza, Roma-Bari, 1998. 25 Decisione del Consiglio 2002/187/GAI, del 28 febbraio 2002, in GUCE L 63/1, 6 marzo 2002. 26 D. Stasio, Ciampi non firma il Ddl su Eurojust, «Il Sole-24 Ore», 4 settembre 2003, p. 12; C. Fusani, E sul ddl per Eurojust Ciampi boccia Castelli, «La Repubblica», 5 settembre 2003, p. 4; D. Stasio, Eurojust, Governo al bivio dopo l'altolà del Colle, «Il Sole-24 Ore», 5 settembre 2003, p. 12; L. Mi., Compromesso su Eurojust. Castelli cambia il ddl: "superate le perplessità di Ciampi", «La Repubblica», 13 settembre 2003, p. 19. Il testo presentato è attualmente all'esame della Commissione Giustizia della Camera dei deputati (Atto Camera n. 4293). 27 Per una rassegna, parziale ma significativa, cfr. «Internazionale», 4-10 luglio 2003, N° 495, anno 10. 28 Come esempio di un tale atteggiamento, si possono citare le dichiarazioni del cancelliere tedesco Gerhard Schröder, in occasione del vertice italo-tedesco svoltosi tra Verona e la Sardegna il 23 agosto 2003: D: «[…] Crede che nell’Europa sempre più integrata esista un diritto reciproco a immischiarsi?» R: «[…] Per un capo di governo non è opportuno immischiarsi in vicende interne altrui: farlo vuol dire ridurre le possibilità di capirsi. Semmai tocca alle presidenze di turno europee o alle istituzioni europee». D: «Però in Germania né Kirch né Springer, magnati dell’editoria, sarebbero mai diventati cancellieri…» R: «E’ diritto della stampa tedesca parlarne, è pari diritto della stampa italiana commentare gli sviluppi da noi. Ma non è compito del cancelliere tedesco dire se la politica mediatica italiana sia giusta o no». Il brano è estratto da A. Tarquini, Come salvare il welfare, intervista al cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, «La Repubblica», 27 agosto 2003, p. 3. Va rilevato come simili dichiarazioni programmatiche di non ingerenza possano costituire un segnale pericoloso nei confronti delle classi dirigenti dei nuovi Stati membri e di quelli futuri, giacché esse possono essere interpretate nel senso che la condizionalità politica opera solo nella fase di adesione, per poi attenuarsi fino a svanire. 9 nell'Unione, presentato a Bruxelles il 31 marzo 200329. Ma scalpore ben maggiore ha destato, in seguito, l'iniziativa della Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni che, nell'ottobre 2003, ha deciso a maggioranza (con il solo voto contrario di un rappresentante del partito popolare austriaco), su proposta dei coordinatori dei gruppi parlamentari all'interno della Commissione, di chiedere alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari di autorizzare la redazione di un rapporto «sui rischi di gravi violazioni dei diritti fondamentali di libertà, espressione, informazione in Italia»30. La mossa è clamorosa, perché si tratta della prima volta in assoluto che viene attivata - seppure a uno stadio assolutamente preliminare - la procedura prevista dall'art. 7 TUE, come modificato dal trattato di Nizza. Tale procedura, introdotta sulla scorta dell'imbarazzo e della preoccupazione destate in Europa dall'ascesa al potere in Austria del FPÖ di Jörg Haider (2000)31, è particolarmente lunga e richiede maggioranze elevate sia in Parlamento sia, ancor più, in Consiglio32. Tuttavia, il segnale politico lanciato da Strasburgo è forte e non riguarda solo il nostro paese, ma tocca un nodo fondamentale del rapporto tra identità europea e legalità, specialmente nella prospettiva di questa e altre future ondate di allargamento dell’UE verso giovani democrazie in via di consolidamento. II) Il secondo esempio della centralità del concetto di legalità rispetto al futuro dell'Unione riguarda la dimensione esterna del processo di integrazione europea e, in particolare, i rapporti con gli Stati Uniti d'America. Storicamente, nel corso del XX secolo, l’Europa e gli USA hanno sviluppato concezioni e atteggiamenti diversi in merito al ruolo e al peso della legalità in ambito internazionale. Questa differenza di impostazione si è accentuata in seguito all’elezione alla presidenza di George W. Bush (novembre 2000). Dopo l’11 settembre 2001, trascorsa una fase di forte e incondizionata solidarietà europea, le divergenze transatlantiche nell’interpretazione della legalità internazionale si sono nuovamente inasprite, superando ogni soglia precedente. Le manifestazioni concrete e recenti di questo dissidio, che ha radici culturali profonde33, sono molteplici: si va dall’aspra polemica sullo status e sul trattamento dei prigionieri di Guantanamo Bay, 22 dei quali sono cittadini UE34, alla complessa diatriba sul bilanciamento tra valore della privacy ed esigenze di controllo legate alla lotta al terrorismo35. 29 Il rapporto, realizzato su incarico della Commissione europea da un team di esperti indipendenti, è disponibile sul sito http://www.statewatch.org/news/2003/apr/CFR-CDF.2002.report.en.pdf. 30 M. Marozzi, "Processo" europeo all'Italia a Strasburgo è polemica, «La Repubblica», 24 settembre 2003, p. 13. Si veda anche A. Bonanni, Italia sotto inchiesta a Strasburgo "Libertà di informazione a rischio", «La Repubblica», 23 settembre 2003, p. 24. Segnali preoccupanti sul grado di salvaguardia effettiva della libertà di informazione in Italia vengono anche dal rapporto annuale per il 2003 della organizzazione indipendente Reporters sans Frontières (www.rsf.org), che colloca l'Italia all'ultimo posto tra gli Stati dell'Unione, alle spalle di numerosi paesi in transizione e in via di sviluppo. 31 Si ricorderà che l’ingresso nella coalizione di governo del Partito della Libertà di Jörg Haider (febbraio 2000) aveva indotto in un primo tempo i governi degli altri 14 Stati membri a deliberare un congelamento delle relazioni diplomatiche con la repubblica mitteleuropea. L’Unione aveva poi nominato una commissione di «saggi», presieduta dall’ex presidente finlandese, Martti Ahtisaari, il cui rapporto, presentato nel settembre 2000, aveva condotto in tempi rapidi a un ritorno alla normalità nelle relazioni Austria-UE. 32 La Commissione europea ha espresso i suoi orientamenti programmatici in merito alla applicazione dell’art. 7 TUE, che privilegiano metodi preventivi, in una Comunicazione adottata il 15 ottobre 2003; cfr. Comunicato stampa IP/03/1385. Al momento in cui scriviamo, il testo integrale della Comunicazione non è ancora disponibile. 33 La dimensione teorica di questo dissidio - che in larga misura gravita intorno alle diverse accezioni della legalità internazionale che prevalgono da una parte e dall’altra dell’Atlantico – è oggetto di una letteratura sempre più vasta. Tra i tanti contributi, merita di essere segnalato quello di Timothy Garton Ash e Ralf Dahrendorf (L’Europa e l’America come noi le vogliamo, «La Repubblica», 5 luglio 2003, p. 1; lo stesso articolo è stato pubblicato su «Le Monde» del 10 luglio 2003), che contrappongono apertamente il proprio liberalismo pragmatico agli approcci cosmopolitici e legalitari, pur diversissimi tra loro, di due tra i massimi pensatori europei, quali Jürgen Habermas e Jacques Derrida (su cui, vd. G. Borradori, a cura di, Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques Derrida, Laterza, Roma-Bari, 2003). 34 Sulla dura presa di posizione del Parlamento europeo in materia, vd. S. Spiteri, EU urged to press US on Guantanamo, www.euobserver.com, 1 ottobre 2003. La condizione, illegale dal punto di vista internazionale, dei detenuti nella base statunitense situata sull’isola di Cuba, ha formato uno dei nodi più intricati del negoziato sul trattato 10 Ma, forse, il contrasto più netto e denso di implicazioni per il futuro, tra l’approccio europeo e quello statunitense alla legalità internazionale – tralasciando qui la questione centrale delle condizioni per l’uso della forza militare, che esula decisamente dal tema di questa rubrica – è emerso sul terreno della giustizia penale internazionale. Il 6 maggio 2002, il Presidente Bush jr. ha «ritirato» la firma allo Statuto del Tribunale penale internazionale (TPI)36, tardivamente apposta dal suo predecessore, Bill Clinton, il 31 dicembre 2000. In seguito a questo clamoroso gesto, il governo USA ha sviluppato una capillare e tenace azione diplomatica, volta ad ottenere per i propri cittadini, mediante la sottoscrizione di una rete di accordi bilaterali con gli Stati firmatari dello Statuto di Roma, una condizione di sostanziale immunità dall’eventuale giudizio del TPI37. Questo obiettivo è stato perseguito utilizzando ogni mezzo di pressione, tra cui la minaccia dell’interruzione di ogni aiuto militare bilaterale38. Mentre questo forcing diplomatico è ancora in pieno svolgimento, 60 accordi bilaterali di immunità sono già stati sottoscritti39; ne scaturisce, nei fatti, un ordinamento penale internazionale drammaticamente spaccato e strutturalmente iniquo, il cui riequilibrio rappresenterà in futuro un compito essenziale e ineludibile per l’Unione europea. UE-USA in materia di estradizione e assistenza giudiziaria reciproca, infine firmato in occasione del vertice di Washington del 25 giugno 2003. 35 Il tema è vasto e tecnicamente assai complesso; ci limitiamo a due esempi: 1) la richiesta statunitense che le compagnie aeree europee forniscano alle autorità dati e informazioni personali relativi ai passeggeri per gli Stati Uniti ha dato luogo a difficili trattative, che hanno visto il Parlamento europeo sostenere posizioni più rigide di quelle della Commissione (cfr. EU Parliament wants to halt air passenger data transfer to US, in www.statewatch.org/news/2003/oct/17eppnr.htm, dove si trova anche un ricco e utile dossier sull'intera vicenda). 2) Il sistema di controllo globale delle comunicazioni elettroniche tra privati denominato "Terrorist Information Awareness", allo studio tra le polemiche negli USA, ha dato luogo a dure reazioni da parte europea; esso, per esempio, è stato definito «orwelliano e in contrasto con tutte le norme europee in materia di privacy» dal presidente del Gruppo di lavoro dell'Unione sulla protezione dei dati personali, l'italiano Stefano Rodotà (EU worried about US antiterror surveillance system, www.euractiv, sezione «Media&Commerce», 24 maggio 2003). Per un prezioso inquadramento generale della problematica, si veda il rapporto su Security and Privacy for the Citizen in the Post-September 11 Age: A Prospective Overview, preparato dal Joint Research Centre della Commissione europea su richiesta del Parlamento europeo, disponibile su www.jrc.es/home/publications/publication.cfm?pub=1118. 36 Lo Statuto del TPI fu adottato a Roma, il 17 luglio 1998. Per lo stato delle ratifiche e numerose altre informazioni, vd. http://www.un.org/law/icc/. 37 La discussa linea dell’amministrazione USA è stata difesa denunciando un presunto rischio di utilizzo politico e strumentale del TPI, in chiave anti-statunitense. Per una argomentata confutazione dei timori di simili abusi della potestà inquirente e punitiva della International Criminal Court, si veda l'intervista al procuratore capo (chief prosecutor) della Corte, Luis Moreno-Ocampo, pubblicata sul bollettino on-line dell'associazione MoveOn, www.moveon.org/moveonbulletin. 38 Il 1° luglio 2003, a un anno esatto dall'entrata in vigore dello Statuto del Tribunale penale internazionale, il governo statunitense ha comunicato la propria decisione di cancellare ogni aiuto militare agli Stati firmatari del trattato istitutivo del TPI i quali si fossero sino ad allora rifiutati di sottoscrivere accordi bilaterali «di immunità» con gli USA. Solo pochi Stati sono stati esonerati da questo «ricatto diplomatico» (tra questi, i membri della NATO e alcuni alleati particolarmente stretti degli USA, come l’Australia, la Corea del sud, l’Egitto, le Filippine e il Giappone). Tra le vittime del taglio dei finanziamenti, a meno di futuri ripensamenti, vi sono anche diversi membri futuri dell'Unione, nonché alcuni paesi in lista d'attesa per l'ingresso nella NATO. 39 Alla data del 23 ottobre 2003: una lista completa dei paesi firmatari si trova in http://www.iccnow.org/documents/otherissues/impunityart98/BIASignatories23Oct03.doc. 11