Percorsi evolutivi per la disabilità psicofisica Edizioni Agorà - Trento Presidente Consorzio Agorà: Michele Covi Direttore Responsabile: Robert Tosin Direttore Scientiico: Luca Degasperi Responsabili di Redazione: Elisabetta Furlani e Francesca Bottura Comitato Scientiico: Donatella Cavanna, Genova; Salvatore Capodieci, Mestre-Venezia; Massimiliano Colombo, Trento; Pascale de Sainte - Marie, Besançon; Graziella Fava Vizziello, Padova; Giovanni Maria Achille Guandalini, Trento; Mario Magrini, Venezia; Eraldo Mancioppi, Trento; Antonio Alberto Semi, Venezia; Simona Taccani, Trento-Milano; Stefania Ucelli, Pavia. Comitato di Redazione: Mirella Cristel, Consuelo Leonardi, Paolo Damianis, Michele Tosin, Linda Taraborrelli. Redazione: CONSORZIO AGORÀ Sede Legale c/o Federazione Trentina Cooperazione Via G. 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Modalità del trattamento dei dati a) Il trattamento è realizzato per mezzo delle operazioni o complesso di operazioni indicate all’art. 4 co. 1 lett. a) del d.lgs. 196/03: raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, consultazione, elaborazione, modiicazione, selezione, estrazione, raffronto, utilizzo, interconnessione, blocco, comunicazione, cancellazione e distruzione dei dati. b) Le operazioni possono essere svolte sia attraverso strumenti informatici, sia attraverso la raccolta dei documenti in archivi cartacei, con logiche strettamente correlate alle inalità indicate e, comunque, in modo da garantire le sicurezza e la riservatezza dei dati stessi. c) Il trattamento è svolto dal titolare e/o dagli incaricati del trattamento da esso nominati. 3. Conferimento dei dati Il conferimento dei dati personali è strettamente necessario ai ini dello svolgimento delle attività di cui al punto 1). 4. Riiuto del conferimento di dati L’eventuale riiuto al conferimento dei dati comporta l’impossibilità di procedere all’invio della rivista Spazi e Modelli. 5. Comunicazione dei dati I Suoi dati personali possono essere portati a conoscenza degli incaricati del trattamento. Non saranno comunicati a terzi e non saranno oggetto di diffusione. 6. Diritti dell’interessato L’art. 7 del Codice privacy conferisce all’interessato l’esercizio di speciici diritti, tra cui quello di ottenere dal titolare la conferma dell’esistenza o meno di propri dati personali e la loro messa a disposizione in forma intelligibile; l’interessato ha diritto di avere conoscenza dell’origine dei dati, delle inalità e delle modalità del trattamento, della logica applicata al trattamento, degli estremi identiicativi del titolare e dei soggetti cui i dati possono essere comunicati; l’interessato ha inoltre diritto di ottenere l’aggiornamento, la rettiica e l’inte- grazione dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione della legge; l’interessato ha il diritto di opporsi, per motivi legittimi, al trattamento dei propri dati. Per l’esercizio dei propri diritti l’interessato può rivolgersi alla sede del Consorzio Agorà in via Paradisi, 15/5 – 38100 Trento; tel. e fax 0461/983672; e-mail per informazioni: [email protected] per abbonarsi: [email protected] per pubblicare con noi: [email protected] Il Presidente dott. Michele Covi Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Sezione formazione, sezione ricerca, sezione esperienze Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” A cura di: Tiziano Gomiero, Ciro Ruggerini, Alessandro Castellani e Sumire Manzotti Le persone con Disabilità Intellettiva pongono, a tutti i sistemi speciici ed ai vari livelli di assistenza, una sida particolarmente impegnativa perché viene richiesto un costante ancoraggio a tematiche non solo tecniche ma anche etiche e sociali. Il tempo della sempliicazione riduttiva agli approcci medicalizzati ha ormai lasciato il campo ad approcci di tipo integrato, in cui le parole chiave sono: diritto di cittadinanza, pari opportunità e appropriatezza degli interventi terapeutici e socio-riabilitativi. La Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità, il nuovo assetto culturale e concettuale sotto il quale devono operare, oggi, tutte le Agenzie della Comunità, informa, coordina ed orienta ogni azione di assistenza al disabile intellettivo verso un unico ine progettuale, identiicabile nella promozione dello sviluppo in una prospettiva inclusiva. Il Congresso si pone il non facile scopo di esplorare le modalità in cui si realizza, attualmente, il rapporto tra diversi tipi di culture, le varie Agenzie e le speciiche attività professionali, cercando anche di enfatizzare, oltre agli aspetti critici, sia le esperienze innovative sia le prospettive ipotizzabili, in modo realistico, per il prossimo futuro. Il campo della Disabilità Intellettiva ha potuto constatare, negli ultimi anni, un aumento quasi esponenziale dei dati della ricerca sociale, psicopedagogica e psichiatrica; l’obiettivo che scaturisce dall’impegno e dalle inalità di questo Congresso è, conseguentemente, quello di far sì che questi dati possano conluire nella promozione di sistemi di sostegno allo sviluppo che risultino eficienti ed eficaci, ma anche appropriati e sostenibili. Se, da una parte, la vastità del campo in cui ci si vuol cimentare può apparire, a prima vista, quasi scoraggiante, dall’altra molte esperienze già in atto, progetti in via di realizzazione ed idee “in progress”, ci permettono di ipotizzare la raccolta, la presentazione e la discussione di quanto, a livello di attività socio-sanitaria integrata, possa garantire una innovazione adeguata e, soprattutto, coerente con le concezioni assistenziali “di nuova generazione”. Il Congresso prevede una costante interattività, grazie ad una corretta articolazione delle aree 39 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 medica e psicologica con quella sociale e degli investimenti e delle aspettative delle associazioni dei familiari, nell’ottica di una ilosoia assistenziale che deve continuare a trovare la forza e l’interesse per un rinnovamento permanente. Le tematiche e i corsi ECM proposti sono quelli che hanno ricevuto il maggior numero di segnalazioni su un sondaggio che ha coinvolto circa 200 persone a livello nazionale. Presidenti del Congresso: Ciro Ruggerini e Luciano Enderle. Comitato Scientiico: Ciro Ruggerini, Alessandro Castellani, Marco Bertelli, Cesare Cornaggia, Sumire Manzotti, Stefano Lassi, Aldo Moretti, Annapia Verri, Gian Luigi Mansi, Michele Borghetto, Paola Vescovi (membri CD SIDiN); Tiziano Gomiero, Stefano Calzolari, Simona Sforzin, Luc De Vreese, Luigi Croce, Renzo Destefani. Referenti organizzativi per ANFFAS TRENTINO: Delorian Massimiliano e Andrea Bosetti. Segreteria organizzativa e Provider: Meet and Service GIOVEDÌ 14 MAGGIO 2015 Programma della giornata (per una descrizione più dettagliata si veda la sezione informazione in fondo al presente volume): • 17.00-17.30: Iscrizione Congresso • 17.30-18.30: Auditorium - Apertura Congresso (Presidenti S.I.Di.N. & ANFFAS) e Saluti delle Autorità - Chairman: A. Castellani • 18.30-19.30: Lezione Magistrale: “Alla base della integrazione socio-sanitaria: le dimensioni di Senso e di Signiicato nelle azioni del prendersi cura” - F. Veglia • 19.30: Cocktail di Benvenuto - “Risto 3” Ristorazione Trentina • 20.30: Presentazione e visita alla mostra AKTION T4 installata presso il centro congressi Saluti delle Autorità Chairman: Alessandro Castellani La Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo - Disturbi dello Sviluppo Intellettivo e dello Spettro Autistico - (S.I.Di.N.) (sito: http//:www.sidin.info) è la denominazione assunta nel giugno del 2013 dalla Società Italiana per lo studio del Ritardo Mentale (SIRM). La S.I.Di.N. esprime, dunque, la continuazione della attività di ricerca scientiica, divulgazione e formazione della SIRM, fondata nel 1996, accogliendo i contenuti scientiici e culturali attuali. Il momento attuale ha sue particolarità molto caratterizzanti: da una parte vi è un fermento culturale e scientiico di rilievo assoluto – sintetizzato, ad esempio, dalle novità concettuali espresse nella nuova versione del sistema nosograico DSM-V; dall’altra vi è la necessità particolarmente pressante di prestare attenzione alla sostenibilità dei progetti di assistenza. Il IX Congresso fornisce un contributo a questi temi indicando sia i nuovi temi concettuali che sottendono – o potranno sostenere – prassi di assistenza innovative, sia i modelli organizzativi in grado di tradurre in sintesi operative aspirazioni etiche e vincoli 40 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” economici. La realizzazione del Congresso con la Partnership di ANFFAS TRENTINO è espressione di un orientamento generale della S.I.Di.N. di confrontarsi con i problemi concreti della assistenza, alla luce dei quali interrogare la conoscenza scientiica. Un ringraziamento particolare ai responsabili della rivista “Spazi e Modelli. Percorsi evolutivi per la disabilità psicoisica” che hanno creduto nel valore scientiico dei contenuti del Congresso e accettato la pubblicazione degli Abstract. Ciro Ruggerini (Presidente S.I.Di.N.) Un cordiale e caloroso benvenuto a Voi tutti a questo importante appuntamento scientiico che, per noi di Anffas Trentino, si colloca in maniera organica all’interno di una ricorrenza speciale per la nostra associazione: il Cinquantesimo anniversario di presenza sul territorio provinciale. Era il 1965 quando un gruppetto di genitori accomunati dalla presenza in famiglia di una persona con disabilità, convennero che era necessario uscire dall’isolamento, sconiggere la tendenza alla rassegnazione ed individuare nuove possibili strade da percorrere assieme. E di strada ne hanno percorsa parecchia in quegli anni, operando su fronti diversi, ma strettamente connessi, quali sanità, istruzione, società, assistenza. Da allora sono mutati i numeri, l’organizzazione, le professionalità e i servizi offerti, sono invece sempre gli stessi gli ideali e gli scopi perseguiti: la promozione del benessere e la ricerca della migliore qualità della vita delle persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie. Crediamo nell’applicazione del principio di sussidiarietà e siamo soliti lavorare in rete creando relazioni e scambi a vari livelli, nell’intento di promuovere una reale e sempre più diffusa accettazione delle diversità. Per questi motivi abbiamo accolto con particolare piacere la proposta della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (S.I.Di.N.) di ospitare e condividere, per la prima volta nella nostra Provincia, e in occasione di questo importante anniversario, il loro IX Congresso Nazionale. Diventa questa l’occasione per avviare un serio e proicuo confronto, per consentire un importante momento di aggiornamento e di scambio di informazioni tra professionisti su una tematica che richiede sempre maggiore impegno, rilessione ed attenzione. Le side attuali sono molteplici e di diversa natura. Questioni quali l’eficacia, l’appropriatezza e la sostenibilità degli interventi, così come tematiche di carattere etico, ci hanno indotto, negli anni, a rivedere e riconsiderare l’intero panorama dei servizi a favore di persone con disabilità. Le buone prassi che emergeranno da questo convegno dimostreranno che è possibile coniugare eficacia ed eficienza e, di conseguenza, scongiurare il rischio di una scure indistinta sul welfare che si traduca in una sottostima dei bisogni. Auspichiamo dunque che da questa tre - giorni, durante i quali assisteremo alla discussione e alla presentazione delle esperienze più innovative in Italia, possa scaturire una sempre più ampia e profonda consapevolezza della posta in gioco, così come proposte migliorative che tengano conto della qualità della vita delle persone con disabilità. Desidero ora ringraziare quanti hanno reso possibile questo evento. A tutti i membri del Consiglio Direttivo S.I.Di.N. e del Comitato Scientiico, che in questi mesi hanno lavorato duramente per assicurarci un evento formativo di grande prestigio e ri41 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 lievo nazionale, va la nostra riconoscenza. Un ringraziamento sentito anche all’Azienda sanitaria provinciale, la cui convinta collaborazione nella costruzione del Congresso dimostra come l’integrazione di saperi ed esperienze, che poi si traducono in prassi di trattamento, è la chiave di volta che ci consente di progredire e di rispondere ai bisogni con tempestività, serietà e professionalità. Ringrazio gli Enti e le Istituzioni che hanno voluto condividere idealmente assieme a noi quest’importante appuntamento attraverso la concessione del loro patrocinio. Grazie dunque al Commissariato del Governo di Trento, alla Regione Trentino Alto Adige, alla Provincia Autonoma di Trento, al Comune di Trento, all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e all’Associazione culturale pediatri. Un ringraziamento sentito al Presidente e al Cda di Interbrennero, alle due realtà che sapranno rendere “appetitoso” il nostro Convegno, Risto Tre e la Cooperativa Ribes, a Meet and Service, ad Erickson, a CBA e a tutti quelli che, a vario titolo, hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento. Grazie ai relatori, che sono giunti da tutti Italia e non solo, così come agli autori dei numerosi poster e al folto pubblico in sala. Credo che una presenza così massiccia sia indice della grande attenzione e dell’ampio interesse che queste complesse tematiche suscitano e del bisogno di ognuno di noi di continuare ad aggiornarsi, al ine di contribuire alla diffusione di cultura e di pratiche sempre più adeguate alle persone con disabilità, in linea con i loro cambiamenti, rispondendo così alle side dei tempi. Luciano Enderle (Presidente Anffas Trentino Onlus) Lezione Magistrale: “Alla base della integrazione socio-sanitaria: le dimensioni di Senso e di Signiicato nelle azioni del prendersi cura” Fabio Veglia La vita di ogni persona, indipendentemente dal livello di abilità e di competenze che ha potuto conseguire, sembra essere guidata da almeno tre ordini di inalità: • cercare, incrementare, conservare la sicurezza personale e le occasioni riproduttive a garanzia della sopravvivenza propria e della specie, nonché del miglior adattamento possibile al contesto • cercare, costruire e conservare relazioni sociali con i propri simili • cercare un senso per la vita e costruire possibili signiicati per le proprie esperienze, raccontarli, generare accordi e condividerli. Nei progetti educativi e nei piani di cura, pur avendo escluso la vita sessuale per ragioni solo apparentemente ovvie, abbiamo dato molto rilievo al mantenimento di un ragionevole stato di salute e di sicurezza personale seguendo il mandato biologico che ci orienta verso la sopravvivenza. Da alcuni decenni, seppur compatibilmente con le sempre minori risorse economiche disponibili, abbiamo incluso nei piani socio sanitari l’obiettivo relazionale della maggior integrazione sociale possibile. Rilessioni più recenti hanno inalmente orientato gli interventi riabilitativi verso il conseguimento della massima autonomia, dell’indipendenza e dell’autodeterminazione da parte delle persone con disabilità intellettiva. Tuttavia la cornice di senso, la direzione del cambiamento, il signiicato delle scelte sono troppo spesso eterodiretti e non interpellano, né rendono protagonisti della loro emancipazione, i soggetti che li dovrebbero realizzare. 42 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Empowerment, agency, capability, se inscritti in una narrazione condivisa, sono elementi fondamentali per la ricerca di senso e per la costruzione di signiicati nella storia di vita di ogni persona umana. Spesso il pretesto per rinunciare ad un approccio narrativo alla disabilità è la grave limitazione del linguaggio verbale. In realtà, poco importa se la storia personale prende forma in un racconto verbale oppure in una sequenza di esperienze non verbali, scrive Masashi Yamaguchi, perché l’ascolto di qualunque articolazione espressiva del linguaggio costituisce sempre il punto di partenza di un’alleanza interpersonale che permette di attribuire senso alla propria esistenza. In ogni caso il corpo è il luogo privilegiato della conoscenza, dove il senso e il signiicato trovano fondamento, verità, chiarezza, dove l’incontro con l’altro si compie nella sua interezza, prima della parola, oltre la parola. Ed è anche il luogo dove la parola si fa carne, abita in noi, inalmente si manifesta e ci svela a noi stessi. Come ci insegna Ciro Ruggerini, la biograia personale e familiare, i diari e i report della vita quotidiana, le narrazioni del tempo libero, le narrazioni di sé attraverso qualsiasi forma di espressione e comunicazione, le narrazioni delle famiglie sono strumenti essenziali per la costruzione di interventi fondati sull’approccio narrativo e devono essere inclusi sia nelle fasi di progettazione, pianiicazione, conduzione e monitoraggio degli interventi riabilitativi sia nei percorsi di diagnosi e cura. Così, quando dobbiamo partecipare al misterioso disegno della vita di chi è più fragile e fatica nel cammino, piuttosto che decidere arbitrariamente ci poniamo come interlocutori e custodi, ci proponiamo per sostenere, promuovere, integrare, rendere disponibile un canovaccio capace di dare senso ai gesti quotidiani, alle scelte e all’incontro col futuro. VENERDÌ 15 MAGGIO 2015 Programma della giornata (per una descrizione più dettagliata si veda la sezione informazione in fondo al presente volume): • 08.30: Apertura Segreteria per la registrazione • 09.00-09.30: Auditorium - Saluti / Comunicazioni Organizzative / Afissioni poster - Chairman: M. Bertelli e C. Ruggerini • 09.30-11.00: Lezione Magistrale: “The hystory & epistemology of the neurodevelopmental disorders” - G. E. Berrios • 11.00-11.30: Pausa Libera • 11.30-13.30: Simposi paralleli: 1: Psicogeriatria e disabilità; 2: Esperienze di potenziamento cognitivo; 3: Clima di lavoro, formazione, innovazione; 4: Sessualità e comportamenti correlati; 5: Oltre il costrutto qualità della vita: novità concettuale e applicazioni; 6: Neurodiversità e oltre, clinica e inclusione sociale • 13.30: Light Lunch - “Risto 3” Ristorazione Trentina • 14.30-16.00: Auditorium - Il ruolo della Psichiatria nei Disturbi del Neurosviluppo - Chairman: Calzolari e A. Castellani • 14.30-15.00: “Particolarità della questione nosodromica nei disturbi del neuro sviluppo” - C. Ruggerini • 15.00-15.30: “Cromosomi, geni, genoma e oltre” - B. Dallapiccola • 15.30-16.00: “Disturbi del neurosviluppo: co-occorrenze e comorbidità e implicazioni per gli interventi terapeutici” - M. Bertelli 43 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 • • • • 16.00-16.30: Pausa Libera 16.30-18.30: Simposi paralleli: 7: La clinica delle doppie e triple diagnosi: la classiicazione diagnostica; 8: Approccio e progettazione: la pianiicazione degli interventi; 9: Residenzialità e persone con disabilità intellettiva e disturbo dello spettro autistico; 10: Etnodisabilità: emergenze, ricerche ed esperienza; 11: Malattie rare: simposio in onore di Franca Dagna Bricarelli; 12: Utilizzazione della narrazione nella assistenza 18.30: ASSEMBLEA DEI SOCI SIDiN 20.30: Rappresentazione teatrale: “IL NOSTRO PETER PAN” della Cooperativa GRAZIE ALLA VITA - Teatro “Gigi Cona” - Via Soprasasso 1 Gardolo di Trento. Presentazione di German E. Berrios Chairman: Marco O. Bertelli e Ciro Ruggerini German E. Berrios è Professore di Psichiatria presso l’Università di Cambridge. La sua ricerca è centrata sulle complicazioni psichiatriche delle malattie neurologiche e sulla storia ed epistemologia della psicopatologia descrittiva, su cui ha pubblicato 14 libri e più di 400 lavori. Ha ricevuto una laurea honoris causa dalle Università di Heidelberg (Germania), San Marcos (Perù), Barcellona (Spagna), Buenos Aires (Argentina), Cordoba (Cile). Riportiamo, di seguito, alcuni brani dell’Introduzione che Berrios ha composto per il suo testo “Towards a New Epistemology of Psychiatry” (2012) – Traduzione Italiana: Per una nuova epistemologia della psichiatria (2013), Roma, Giovanni Fioriti Editore. L’idea cardine è che i Disturbi Mentali sono “oggetti ibridi” cioè “costrutti” che elaborano segnali neurobiologici sulla base della cultura accessibile, a seconda del momento storico, nella società. La psichiatria deve essere consapevole di ciò e ricercare la sua episteme nella sua stessa storia. Questo assunto è di particolare rilievo nel campo dei Disturbi del Neurosviluppo – perché in essi le azioni del prendersi cura messe in atto dalle agenzie sociali hanno una relazione particolarmente stretta con la concettualizzazione – storica – della natura delle condizioni. “…Come ogni altra disciplina che si preigge di costruire narrazioni che consentono di fare previsioni su un sottogruppo di oggetti/fenomeni del mondo, la psichiatria per il suo funzionamento dipende dalla ricerca sia empirica che concettuale. Finché queste due metà sono in armonia tutto funziona bene. Tuttavia l’equilibrio può essere turbato quando coloro che lavorano nella ricerca empirica cominciano a credere che il loro lavoro non ponga più problemi concettuali. Questa credenza si basa sugli assunti (infondati) che: a) la realtà è stabile e conoscibile, b) il linguaggio della scienza riesce a rappresentare la realtà esattamente così com’è, c) la corrispondenza tra linguaggio e realtà costituisce una base epistemologica suficiente per la credenza, la certezza e la verità, d) la conoscenza è progressiva e accumulandosi ci porta sempre più vicini alla “verità” del mondo, e) i concetti sono strumenti che facilitano l’organizzazione cognitiva del mondo senza inluenzarla, e f) le idee sociali e culturali sono indipendenti dalla conoscenza prodotta dalle scienze. Non sorprende che queste credenze si adattino bene ai desiderata dell’attuale economia globalizzata, in particolare all’idea che le scienze della natura siano più remunerative e utili alla società e che, quindi, debbano essere preferite alle scienze sociali/umane attraverso più investimenti. Gli stessi concetti controllano la psichiatria e sono dietro l’affermazione che i disturbi mentali possono venir ridotti senza residui a modiicazioni anomale del cervello. Credere che i disturbi mentali non siano 44 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” altro che enti di natura (natural kinds) sta creando danni alla psichiatria perché ha provocato una disattenzione al pensiero, alla creatività, alla psicogenesi, a modalità alternative di caratterizzare i disturbi…in base a tutto ciò i ricercatori che si occupano di ricerca concettuale (alcuni dei quali sono anche ricercatori empirici) dovranno cercare di farsi ascoltare: abbiamo bisogno di capire perché e come sono stati costruiti il linguaggio e gli oggetti dell’attuale psichiatria. Nessun assunto o concetto dovrebbe essere lasciato senza indagine. Questo lavoro richiederà uno sforzo comune di storici e ilosoi della psichiatria…il punto di vista di Cambridge è che l’audit concettuale della psichiatria richieda che: a) l’analisi epistemologica e storica vadano insieme e b) i temi centrali della psichiatria, da affrontare per primi, siano: che sorta di disciplina/attività debba essere (o diventare) per poter aiutare chi presenta uno stato di sofferenza mentale? Di quanta parte di scienze naturali e umane ha bisogno per le sue narrazioni (ibride) afinché sia rilevante per le persone? Gli stati di sofferenza mentale che tipo di oggetto di indagine sono/dovrebbero essere? La psichiatria quale indagine sull’uomo (antropologia ilosoica) dovrebbe implementare? I valori, le prescrizioni e le regole culturali quanto penetrano in profondità nelle rivendicazioni “scientiiche” della psichiatria? Quanto l’eficacia e la funzione di cura della psichiatria vengono inluenzate dal fatto che essa viene usata anche come strumento di controllo sociale? Quanto è degradante, per la psichiatria, il fatto che sia diventata un oggetto commerciale?”. Lezione magistrale: “The history & epistemology of the neurodevelopmental disorders” German E. Berrios* 1 The clinical class “Neurodevelopmental Disorders” is deined as: “…a group of conditions with onset in the developmental period. The disorders typically manifest early in development, often before the child enters grade school, and are characterized by developmental deicits that produce impairments of personal, social, academic, or occupational functioning” (DSM-5, p31). Involving a variety of bodily and mental functions, this ragbag of phenotypes have little in common except the fact that they: a) make their presence felt at an early age and b) seem to be the expression of genomic abnormalities. Given the lack of a common deinition and the fact that the Neurodevelopmental Disorders are an open set (new candidates for membership constantly appear), the historical epistemologist must ask whether in principle it is possible to compose a history of the class in toto or whether all that can be offered is the individual history of its components. In historiographical terms, the history of the “Neurodevelopmental Disorders” is nothing more than the history of: 1) a name and of 2) the reasons and factors (social and political) that led a small group of people (a DSM-5 Working Group in the USA) to decide that the old set entitled “Disorders Usually First Diagnosed in Infancy, Childhood, or Adolescence” (DSMIV) should now be called “Neurodevelopmental Disorders”. The fact that the new category has been presented as oficial means that soon enough much scholarship will accrue around it. Indeed, psychiatrists world-wide are being asked to confer full ontology and epistemology to a new, open clinical class whose clinical components, * University of Cambridge, UK 45 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 some old and some new, have their own history and require independent justiication. In order for this work to be meaningful and coherent it is important that the deep meaning of the terms and concepts involved (e.g. childhood, growth, development and evolution) is understood by all concerned. Without this knowledge research will become mechanistic and useless. My lecture will explore the process (historical and social) that led to the convergence of: a) the concepts listed above, b) the term “Neurodevelopmental disorder”, and c) a heterogeneous set of clinical phenomena. In this sense, it offers the history of what is now a conceptual and political fait accompli. TRADUZIONE La categoria clinica “Disturbi del Neurosviluppo” è deinita come: “...un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo. I disturbi tipicamente si manifestano presto nello sviluppo, spesso prima che il bambino cominci la scuola elementare, e sono caratterizzati da deicit di sviluppo che producono danni nel funzionamento personale, sociale, scolastico, o lavorativo” (DSM-5, p. 31). Coinvolge una varietà di funzioni corporee e mentali, e questo guazzabuglio di fenotipi ha poco in comune se non il fatto che: a) evidenziano la loro presenza in tenera età e b) sembrano essere l’espressione di alterazioni genomiche. Data la mancanza di una deinizione comune e il fatto che i Disturbi del Neurosviluppo sono un insieme aperto (emergono costantemente nuovi candidati per l’adesione), lo storico dell’epistemologia deve chiedersi se in linea di principio è possibile comporre una storia di una categoria in toto o se tutto ciò che si può fare è indicare la storia individuale dei suoi componenti. In termini storiograici, la storia dei “Disturbi del Neurosviluppo” non è altro che la storia di: 1) un nome e di 2) i motivi e fattori (sociali e politici) che ha portato un piccolo gruppo di persone (un gruppo di lavoro del DSM-5 negli Stati Uniti) a decidere che il vecchio insieme denominato “Disturbi solitamente diagnosticati nell’infanzia, giovinezza o adolescenza” (DSM-IV), dovevano essere deiniti come “Disturbi del Neurosviluppo”. Il fatto che la nuova categoria sia stata presentata uficialmente signiica che abbastanza presto accumulerà intorno a sé molti studi. In effetti, gli psichiatri di tutto il mondo sono invitati a conferire piena ontologia ed epistemologia ad una nuova categoria clinica aperta, i cui componenti clinici, alcuni vecchi e altri nuovi, hanno una loro storia e richiedono una giustiicazione indipendente. Afinché questo lavoro sia signiicativo e coerente, è importante che sia compreso il senso profondo dei termini e dei concetti coinvolti (ad esempio infanzia, crescita, sviluppo ed evoluzione) da tutti gli interessati. Senza questa conoscenza la ricerca diventerà meccanicistica e inutile. La mia conferenza esplorerà il processo (storico e sociale) che ha portato alla convergenza di: a) i concetti sopra elencati, b) il termine “disordine del neurosviluppo” e c) un insieme eterogeneo di fenomeni clinici. In questo senso, presenta la storia di quello che è ormai un fatto compiuto in termini concettuali e politici. 46 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 1: Psicogeriatria e Disabilità Chairman: Marco O. Bertelli e Tiziano Gomiero GERIATRIA E DISABILITÀ Andrea Fabbo* 2 La nuova longevità della Disabilità Intellettiva (DI), essendo un fenomeno recente, fa emergere almeno due problematiche in termini non solo assistenziali ma anche di valutazione, diagnosi e cura. La prima riguarda la comorbilità organica. A tutt’oggi è poco chiaro come evolvano alcune comorbilità associate al problema della disabilità intellettiva durante il processo di invecchiamento. La geriatria, che utilizza approcci tecnici speciici come la valutazione multidimensionale e che si occupa della gestione della complessità (bio-psico-sociale), è probabilmente la disciplina più adeguata per la presa in carico e la cura di questa “nuova” tipologia di paziente. Il secondo problema è la demenza, spesso misconosciuta (falsi negativi, anche per motivi di carattere culturale) o sovrastimata (falsi positivi, in particolare per la frequente copresenza di psicopatologia cronica premorbosa) tenendo presente che la popolazione adulta/anziana con DI è maggiormente a rischio di demenza rispetto alla popolazione generale. La diagnosi di demenza in una persona con DI, specie se di grado severo-profondo, pur non essendo agevole, oggi è possibile a condizione che si rispettino alcune regole fondamentali come la dimostrazione di un declino rispetto ad un livello di eficienza precedente e la ricerca di tutte le cause non neurologiche (comorbilità organica, iatrogena, psichiatrica, relazionale e ambientale) in grado di incidere sulla velocità e sulla persistenza del decadimento cognitivo. La diagnosi tempestiva e corretta di demenza in una persona con DI è essenziale per i futuri progetti assistenziali che richiedono accorgimenti ambientali e profondi cambiamenti negli approcci alla persona con interventi non farmacologici e/o psico-sociali e modalità tipiche della cultura geriatrica (assessment, lavoro di équipe, deinizione del piano assistenziale individuale, coinvolgimento del caregiver). LA COMORBILITÀ ORGANICA NELLE PERSONE ADULTE E ANZIANE CON DISABILITA’ INTELLETTIVA (DI) E IL DELIRIUM Luc P. De Vreese° 3 L’elevata vulnerabilità alla demenza nelle persone con Disabilità Intellettiva (DI) che invecchiano - si presume - derivi da una complessa interazione tra fattori genetici, stile di vita, trauma, bassa riserva cerebrale, psicopatologia cronica e da comorbilità organica. Purtroppo una corretta o tempestiva diagnosi o un adeguato monitoraggio della comorbilità organica (sindrome-speciica, età - o demenza - correlata) sono spesso ostacolate da una compromissione della comunicazione verbale, da limitazioni isiche o dalla presenza di alterazioni com* Responsabile Programma Demenze A.USL Modena, Area Fragilità e Demenze- Innovazione Sociale- Agenzia Sociale e Sanitaria della Regione Emilia-Romagna ° Programma Aziendale Demenze, ASL Modena 47 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 portamentali. Questa dificoltà espone gli adulti/anziani con DI e demenza ad un aumentato rischio di ospedalizzazione che, a sua volta, facilita l’insorgenza di un delirium (D). Sorprende il fatto che ad oggi mancano strumenti di screening o algoritmi e studi clinici speciici per questa popolazione. Tuttavia, sappiamo dalla ricerca condotta nella popolazione generale, che il D aumenta la probabilità di altri ricoveri o di istituzionalizzazione con un incremento sostanziale dei costi sanitari e sociali e con un peggioramento della qualità della vita della persona e della sua famiglia. Spesso misconosciuto, il D allunga la degenza e si associa a complicanze e a stress del personale e dei famigliari. Due azioni potrebbero colmare suddette lacune. La prima riguarda la prevenzione primaria e secondaria della comorbilità organica nelle persone adulte e anziane con DI nel tentativo di ridurre l’ospedalizzazione. Urge, quindi, la stesura di linee-guida pratiche per la diagnosi e cura delle patologie organiche (croniche) che si sovrappongono alla DI (con demenza). La seconda è una sensibilizzazione del personale ospedaliero mediante corsi di formazione sulla prevenzione, diagnosi e corretta gestione del D in persone con demenza, ma soprattutto quando è in concomitanza a una DI, perché sono le persone più fragili tra tutte le fragili. STRUMENTI DI SCREENING PER IL DECLINO COGNITIVO NELLA DISABILITA’ INTELLETTIVA (DI) ADULTA E ANZIANA Elisa De Bastiani*, Elisabeth Weger*, Ulrico Mantesso*, Annachiara Marangoni*, Luc DeVreese°, Tiziano Gomiero* 4 5 La valutazione della Demenza negli adulti con Disabilità Intellettiva (DI) e SD non è agevole perché i segni progressivi della malattia si sovrappongono a limiti preesistenti, ma un corretto assessment è il primo intervento afinché l’invecchiamento delle persone con DI possa essere un periodo con un’adeguata qualità della vita. La diagnosi viene spesso posta solo al momento della comparsa di disturbi grossolani. Diventa, quindi, prioritario riuscire a valutare correttamente lo stato funzionale della persona,sia nell’iter diagnostico della demenza che in quello post-diagnostico. Per fare ciò bisogna utilizzare strumenti di screening appositi per la DI per evitare il cosiddetto “effetto pavimento”. Gli strumenti generali utilizzabili in Italia sono soprattutto di tipo indiretto, quali il Questionario per la Demenza nelle persone con Ritardo Mentale (DMR) e la versione italiana del questionario Dementia Screening Questionnaire for Individuals with ID (DSQIID) recentemente raccomandato dalle linee guida pubblicate dal National Task Group (NTG). Il DSQIID è stato validato nelle sue proprietà psicometriche su 200 persone adulte e anziane con DI provenienti da tutto il territorio italiano. Per quanto riguarda gli strumenti di screening diretti, l’unico attualmente validato con uno studio pilota in Italia, è il Prudhoe Cognitive Function Test (PCFT), che serve per misurare direttamente le capacità cognitive nelle persone con DI e stabilire un livello basale delle abilità cognitive. Il suo uso ripetuto a distanza di tempo può aiutare a valutare eventuali cambiamenti cognitivi. I risultati iniziali suggeriscono una buona afidabilità psicometrica della versione italiana del PCFT. Una pro* Anffas Trentino Onlus, Trento ° Programma Aziendale Demenze, ASL Modena 48 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” va cognitiva diretta come PCFT può consentire, accanto agli altri strumenti di screening, di avere un quadro più chiaro del proilo cognitivo dei soggetti con DI e predisporre precoci e adeguati correttivi ambientali e formativi nei confronti dei caregiver diretti. LA CONDUZIONE DELLE TERAPIE CON FARMACI ANTIEPILETTICI NELLE PERSONE CON DISABILITA’ INTELLETTIVA IN ETÀ AVANZATA: QUALI PARTICOLARITÀ? Massimiliano Beghi* e Cesare Maria Cornaggia° 6 7 Circa il 20% dei pazienti con Epilessia presenta un Disturbo dello Sviluppo Intellettivo e, analogamente, il 20% dei pazienti con Disabilità Intellettiva presenta Epilessia. I farmaci antiepilettici nella Disabilità Intellettiva sono molto usati e sono secondi solo ai farmaci neurolettici (26% vs 35%); il loro utilizzo non è legato unicamente al controllo delle crisi epilettiche (assenza di crisi in oltre il 40% dei pazienti), ma sono utilizzati anche per la disregolazione emotiva e per il discontrollo degli impulsi. Alcuni farmaci antiepilettici (Fenobarbital, Topiramato, Fenitoina) presentano in misura maggiore rispetto ad altri (Valproato, Carbamazepina, Lamotrigina, Gabapentin) effetti negativi intrinseci sulle funzioni cognitive (attenzione e capacità di concentrazione) o comportamentali. I pazienti con Disabilità Intellettiva, così come bambini e anziani, risultano più sensibili a questi effetti collaterali che spesso sono meno riconoscibili (i.e. Diplopia). Gli anziani sono a maggior rischio di sviluppare effetti collaterali per fattori legati al paziente, modiicazioni farmacocinetiche, modiicazioni farmacodinamiche, presenza di più patologie, maggiori interazioni tra farmaci, minori riserve isiologiche. A livello farmacocinetico si può obiettivare un aumento dei livelli sierici per una riduzione dei tassi di iltrazione glomerulare dei farmaci idrosolubili ed emivita incrementata dei farmaci liposolubili per l’aumento dei grassi. Inoltre, una riduzione della funzionalità del citocromo P-450 (ed in particolare della subunità CYP3A4) riduce il metabolismo dei farmaci stessi. Questo comporta, nell’anziano, la necessità di una riduzione del dosaggio di molti farmaci, compresi quelli antiepilettici. In conclusione, si ritiene che il trattamento di soggetti con Disabilità Intellettiva non debba differire rispetto ai pazienti senza Disabilità Intellettiva, ponendo l’attenzione sugli effetti collaterali cognitivi intrinseci dei farmaci. L’uso di Fenobarbital e di Benzodiazepine sarebbe, quindi, da evitare e, nel caso, è necessario utilizzare prodotti dall’emivita breve. Valproato, Carbamazepina, Gabapentin e Pregabalin compromettono signiicativamente in misura minore le funzioni cognitive. * Department of Mental Health, “G.Salvini” Hospital, Garbagnate Milanese, (MI) ° Department of Surgery and Translational Medicine, University of Milano Bicocca, Monza (MI) 49 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Simposio 2: Esperienze di potenziamento cognitivo Chairman: Ciro Ruggerini e Margherita Orsolini LA NUOVA PROSPETTIVA DI VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA SECONDO IL DSM-5 Ciro Ruggerini* e Omar Daolio° 9 8 Il DSM-V offre una nuova prospettiva nella concettualizzazione della Disabilità Intellettiva (Disturbo dello Sviluppo Intellettivo), coerente con la rilessione avviata dal gruppo di lavoro dell’OMS per la revisione della deinizione di Ritardo Mentale nell’ICD-11. Tale cambio di paradigma ha notevoli implicazioni nella valutazione neuropsicologica di tale condizione. Innanzitutto colloca la Disabilità Intellettiva (Disturbo dello Sviluppo Intellettivo) all’interno del cluster dei Disturbi del Neurosviluppo, ponendola così nel solco della rilessione delle Neuroscienze sul rapporto fra genetica, epigenetica e contesto. Nell’ambito della valutazione clinica pone in secondo piano il ricorso al Quoziente Intellettivo, a favore dello sviluppo e dell’utilizzo di batterie neuropsicologiche che indaghino competenze intellettive (tra cui ragionamento, problem solving, pianiicazione, pensiero astratto, capacità di giudizio, apprendimento scolastico e apprendimento dall’esperienza) che possono essere ricondotte alla più ampia area delle funzioni esecutive. Questa nuova edizione del manuale dell’American Psychiatric Association (APA) si differenzia inoltre dalla concettualizzazione corrente di comportamento adattivo dell’American Association on Intellectual and Developmental Disabilities (AAIDD), riformulandolo nei termini di funzionamento adattivo; in questo modo mette in risalto la necessità di valutare con strumenti adatti l’elaborazione cognitiva che precede e condiziona il comportamento adattivo dell’individuo al proprio contesto di vita, piuttosto che limitarsi ad esaminare i comportamenti esterni. Il funzionamento adattivo così inteso comporta un ragionamento adattivo declinato in tre ambiti: concettuale, sociale e pratico. Scopo del presente contributo è presentare le implicazioni cliniche della revisione diagnostica operata dal DSM-V, proponendo un esempio di valutazione neuropsicologica del funzionamento adattivo. IL POTENZIAMENTO DELLA MEMORIA DI LAVORO VISUO-SPAZIALE IN BAMBINI CON SINDROME DI DOWN Silvia Lanfranchi*, Barbara Carretti°, Irene Mammarella* e Francesca Pulina* 10 11 Il presente contributo presenta i risultati della sperimentazione di un training computerizzato centrato sulla memoria di lavoro visuo-spaziale in bambini con sindrome di Down. Studi recenti hanno, infatti, mostrato come questo aspetto della memoria di lavoro, che in passato si riteneva essere relativamente preservato, presenti invece delle compromissioni, soprattutto * Cooperativa di Servizi “Progetto Crescere” (Reggio Emilia) ° Residenza Terapeutica Intensiva per Minori “Il Nespolo”, Ospedale Privato Accreditato “Villa Igea” (Modena) * Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Padova ° Dipartimento di Psicologia Generale, Padova 50 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” per quanto riguarda la presentazione simultanea di stimoli spaziali. Il training prende spunto da un software pensato per lo sviluppo tipico e riadattato sulla base delle caratteristiche del proilo cognitivo della sindrome di Down, tenendo in considerazione, ad esempio, le dificoltà nel linguaggio, i bassi tempi di attenzione, le dificoltà nelle funzioni esecutive, nell’analisi visuo-percettiva e nel pensiero astratto. Il primo obiettivo del contributo è quello di testare l’eficacia del programma di potenziamento della memoria di lavoro spaziale-simultanea con bambini con sindrome di Down. In secondo luogo ci proponiamo di confrontare gli effetti del training proposto da una persona esperta in psicologia piuttosto che dai genitori. In generale, i risultati mostrano che è possibile ottenere dei beneici da un lavoro intensivo sulla memoria di lavoro spaziale simultanea, con qualche effetto di trasferimento e di mantenimento delle acquisizioni a distanza di tempo. POTENZIARE LA MEMORIA DI LAVORO VERBALE IN CASI CON DISABILITÀ INTELLETTIVA (DI) LIEVE O FUNZIONAMENTO INTELLETTIVO LIMITE (FIL) Margherita Orsolini*, Sergio Melogno*, Nausica Latini*, Samantha Salomone* e Jacopo D’Andreagiovanni* 12 In questo studio ci chiediamo se una stimolazione delle funzioni esecutive di inibizione e switching e della capacità di affrontare doppi compiti di natura verbale (in cui sia prevista sia una memorizzazione di informazioni verbali sia una loro elaborazione) produca un miglioramento nella memoria di lavoro verbale in ragazzi con disabilità intellettiva (DI) lieve o Funzionamento Intellettivo Limite (FIL). Abbiamo coinvolto 8 partecipanti, di cui 4 con DI (QI: 45-66; età media 12.5) e 4 con FIL (QI: 78-80; età media 12.6). Ogni caso è stato valutato per le funzioni di inibizione, switching, digit span diretto e memoria di lavoro verbale (digit span inverso e listening span test). Nei casi 1 e 2 gli interventi sperimentali e di controllo sono stati proposti allo stesso individuo, in successione, con una valutazione effettuata prima e dopo ogni intervento. Negli altri 6 casi sono state invece costituite tre coppie, simili dal punto di vista del livello di QI, proponendo ad un membro della coppia l’intervento sperimentale e all’altro membro l’intervento di controllo. I risultati mostrano che l’intervento sperimentale produce miglioramenti nella memoria di lavoro verbale (nel listening span test) di almeno 1 deviazione standard in 4 casi su 5. Dopo l’intervento di controllo questo tipo di miglioramento si produce invece in 1 caso su 5. UNA ESPERIENZA DI POTENZIAMENTO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE IN DUE GEMELLE OMOZIGOTI CON DISABILITA’ INTELLETTIVA (DI): CONSIDERAZIONI SUGLI ESITI QUANTITATIVI E QUALITATIVI Chiara Costi°, Ciro Ruggerini°, Simona Tagliazucchi°, Caterina Casolari° e Mariachiara Canovi° 13 Servizio di consulenza sulle dificoltà d’apprendimento del Dipartimento di Psicologia dei processi di Sviluppo e Socializzazione, Università La Sapienza (Roma) * ° Cooperativa di Servizi “Progetto crescere” (Reggio Emilia) 51 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Il DSM-5 (2013) suggerisce di utilizzare nella comprensione della Disabilità Intellettiva (DI) nuovi sistemi di valutazione capaci di individuare i particolari tipi di funzioni cognitive implicate nei comportamenti disfunzionali dei singoli soggetti1. Il Metodo di Trattamento proposto da Orsolini2 si distingue da altri metodi di potenziamento cognitivo (come il metodo Feuerstein ) per la continuità con i dati della valutazione neuropsicologica. MATERIALE E METODI: hanno partecipato allo studio due gemelle di 12 anni con DI di Severità Lieve. Sono stati considerati tre momenti della valutazione: momento 0: prima dell’inizio del Trattamento; momento 1: a distanza di 6 mesi dall’inizio del Trattamento del soggetto A – Trattamento sostituito, nel soggetto B, da un trattamento logopedico tradizionale; momento 2: a distanza di 6 mesi dall’inizio di un Trattamento del soggetto B – in presenza di un trattamento di mantenimento tradizionale del soggetto A. Il Trattamento si è articolato in sedute di Training delle funzioni esecutive e della Capacità di Narrazione sia di sé che di esperienze del proprio contesto. RISULTATI: una valutazione quantitativa indica un aumento nella eficienza delle funzioni esecutive allenate. Le valutazioni qualitative3 indicano un cambiamento radicale, come effetto del trattamento, nello stile e nella capacità di relazionarsi e di porsi come agente attivo nel proprio contesto. CONCLUSIONE: questa esperienza evidenzia che la partecipazione ad un training attiva sia abilità settoriali che funzioni adattive più generali. Simposio 3: Clima di lavoro, formazione, innovazione Chairman: Paola Vescovi e Michele Borghetto LA NOZIONE DEL CLIMA DI LAVORO NELLE ORGANIZZAZIONI PER LE RELAZIONI D’AIUTO D. (nome completo) Gandini e Andrea Bongioanni CLIMA LAVORATIVO E QUALITÀ DI VITA DELL’UTENTE: DIMENSIONI A STRETTO CONTATTO. STRATEGIE E BUONE PRASSI PER MIGLIORARE L’AMBIENTE DI LAVORO DELL’ÉQUIPE MULTIPROFESSIONALE. L’ESPERIENZA DEL CENTRO RIABILITATIVO P.AM.A.P.I. Filippo Trovato* e Michele Boschetto* 4 1 Ruggerini C., Daolio O. & Manzotti S. (2014) DSM-5, Disturbi del Neurosviluppo e Disabilità Intellettiva (Disturbo dello Sviluppo Intellettivo), Gior Neuropsich Età Evol, 34:87-93 2 Orsolini M. (2011) Quando imparare è dificile. Roma: Carocci 3 Ruggerini C., Manzotti S., Griffo G. & Veglia F. (2013) Narrazione e disabilità intellettiva – valorizzare le esperienze individuali nei percorsi educativi e di cura. Trento: Erickson * Centro Riabilitativo P.AM.A.P.I. (Firenze) 52 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Nell’analisi delle dimensioni che direttamente inluiscono sul benessere dell’utente con Disabilità Intellettiva (DI) grave e Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) inserito in contesto di centro diurno, il clima interno all’équipe multiprofessionale merita senz’altro grande attenzione. Un clima interno positivo ha una ricaduta immediata sulla motivazione degli operatori e si correla positivamente con la soddisfazione degli utenti e la riduzione dei comportamenti problema. Nell’esperienza P.AM.A.P.I. l’attenzione alla promozione di una cultura democratica e lo sviluppo dell’empowerment individuale e di gruppo ha contribuito sensibilmente a migliorare la qualità di vita dell’utenza. Attraverso il coinvolgimento delle risorse interne si è giunti a strutturare una procedura di intervisione che favorisce il mantenimento di alti livelli di monitoraggio e condivisione. La valutazione di dimensioni quali cooperazione, comunicazione e spirito di gruppo con strumenti statistici conferma l’importanza di questo investimento. Si riportano i dati statistici relativi all’analisi longitudinale effettuata negli ultimi tre anni. FLESSIBILITÀ E VALORI NELLA GESTIONE DELL’ÉQUIPE MULTIPROFESSIONALE Mauro Leoni° 5 Molti di noi dedicano in una giornata più tempo al lavoro rispetto a tutte le altre attività. Il lavoro è fonte di soddisfazione e gratiicazioni, ma anche di stress e disagio emozionale (rabbia, conlitti, disperazione, etc.). Stranamente i contesti lavorativi sono spesso trascurati dagli specialisti della “salute mentale”, così come i consulenti aziendali spesso non hanno competenze cliniche o psicologiche evidence-based. La pervasività e il costo della sofferenza psicologica sono stati presi in considerazione solo recentemente, e possiamo ritenerli ancora sottostimati. Bethay et al. (2013) suggeriscono che nei contesti come quello di chi lavora con le Disabilità Intellettive (DI), caratterizzati dall’esposizione prolungata a fattori critici (come alti carichi assistenziali, comportamenti problematici), il rischio di disagi psicologici è addirittura maggiore. La prospettiva delle scienze comportamentali contestualiste, da cui recentemente ha gemmato l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), hanno un modello fondante estremamente sensibile alle interazioni funzionali, alla modiicabilità e alla misurabilità. È attraverso l’ACT che otteniamo il collegamento più funzionale tra la clinica e il contesto lavorativo. La tesi sostenuta è che è possibile sostenere gli operatori dei servizi alle persone, nel processo che li rende più consapevoli ed eficaci e che potenzia le loro risorse psicologiche e comportamentali, utilizzando i principi ACT e RFT (Flaxman, Bond e Livheim, 2014). Il lavoro presenta gli adattamenti necessari per portare i principi ACT e RFT nella gestione quotidiana dei gruppi di lavoro dedicati alle persone con disabilità intellettive. Gli esempi mostreranno come adattare le note strategie di time management con il lavoro centrato sulla lessibilità psicologica, e come questo approccio per gli operatori sia pienamente allineato alle procedure evidence-based di gestione del Progetto di Vita della persona disabile e sia la ° Psicologo e Psicoterapeuta, Dirigente Sanitario presso Fondazione Sospiro. Dottore di ricerca in Psicologia dello sviluppo e delle disabilità, docente presso l’Università di Pavia 53 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 via più fruttuosa per potenziare gli interventi educativi specialistici. Vengono, inine, presentati alcuni dati sperimentali (assessment e processo) ottenuti in due contesti (residenziale e diurno) per adulti con DI. FORMAZIONE E TRASFORMAZIONI DI UN MESTIERE: L’EDUCATORE PROFESSIONALE Manuela Caula* 6 L’intervento prevede una presentazione di rilessioni sulla trasformazione del lavoro dell’Educatore Professionale nella Disabilità Intellettiva (DI) con riferimenti e precisazioni sull’iter formativo previsto e la delineazione di competenze speciiche. La rilessione pedagogica moderna ha proposto una distinzione tra la Pedagogia e l’Educazione, suggerendo di considerare la Pedagogia come scienza, sapere teorico (saper pensare) e l’Educazione come arte (saper fare, sapere pratico). L’arte è un habitus operativo, una capacità di esercizio, un esercizio regolato e sistematico di una competenza. Educare signiica essere coinvolti in un agire pratico, appunto, nel quale si fa fronte a situazioni problematiche aperte per le quali si mette in atto un sapere che ha a che fare con la saggezza. Un buon pratico è colui che sa manovrare nell’agire pensato, cioè costruisce sapere a partire dall’esperienza (Mortari, 2003). La Pedagogia come momento di studio per l’Educatore Professionale contribuisce ad iscrivere le competenze professionali nei luoghi delle conoscenze accademiche, una sorta di veriica ricognitiva dei momenti, degli strumenti e dei luoghi dell’arte dell’Educare. L’aggettivo «professionale» accanto al termine educatore ha contribuito positivamente a porre in evidenza l’importanza di acquisire competenze speciiche per chi si trova a gestire dinamiche educative, in quanto complessi sono i quadri antropologici e societari in cui queste dinamiche avvengono. Si recupera l’importanza di riconcettualizzare la pratica e riteorizzare l’agire educativo. La igura professionale vede nel tempo anche la necessità di qualiicare meglio il suo operato e di deinire degli strumenti del suo lavoro; strumenti per agire e strumenti per pensare, necessari alla gestione della relazione educativa: la progettazione educativa, la valutazione e l’identità professionale. FARE FORMAZIONE IN UN SERVIZIO DI CURA E RIABILITAZIONE A PERSONE CON DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO/DISTURBI DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO E DELLO SPETTRO AUTISTICO Claudio Ciavatta* 7 * Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Torino, Tutor Corso di Laurea Interdipartimentale in Educazione Professionale * Fisioterapista, Case manager e Responsabile Sistema Qualità Centro di Riabilitazione Padri Trinitari Venosa. Membro Commissione nazionale ECM 54 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” In letteratura è evidente come la presa in carico delle persone con Disabilità Intellettiva (DI) risulti essere critica, sia rispetto ai possibili proili complessi di speciicità clinica, sia, più in generale, quando ci si rivolge all’età adulta. A tal proposito l’Organizzazione Mondiale della Sanità1 ha identiicato diversi fattori che causano tali dificoltà, tra cui la mancanza di competenze tecniche e organizzative adeguate alle problematiche delle persone adulte con Disabilità Intellettiva (DI). La formazione continua può rappresentare una leva strategica fondamentale. In particolare, una review della Cochrane2, relativa agli effetti sulla pratica professionale e sugli outcome dell’attività formativa, ha evidenziato come le strategie interattive risultano essere più eficaci. L’obiettivo del presente lavoro è descrivere, attraverso la banca dati del Sistema ECM (Ministero della Salute), lo stato dell’arte della formazione nel nostro paese relativamente alla DI e fare delle valutazioni circa gli elementi critici emersi. Successivamente, illustrare l’esperienza sul campo dell’Ente PP Trinitari di Venosa nella progettazione ed erogazione della formazione aziendale. 8 9 Simposio 4: Sessualità e comportamenti correlati Chairman: Alessandro Castellani e Fabio Veglia AGGIORNAMENTI IN MERITO A SESSUALITA’ E DISABILITA’ Fabio Veglia “SAI, A ME PIACEREBBE...”: UN PERCORSO DI SOSTEGNO ALLA SESSUALITÀ DI UNA PERSONA ADULTA IN COMUNITÀ RESIDENZIALE Augusto Enea Filimberti10* Quante volte abbiamo sentito parlare di sessualità nella condizione di Disabilità Intellettiva (DI) e autismo? Quante volte nell’ambito dei servizi residenziali ci siamo trovati di fronte a richieste esplicite o/e implicite delle persone disabili verso questo tipo di bisogno? Quante volte, forse in modo difensivo, abbiamo implicitamente sottratto la loro condizione esistenziale ad una connotazione anagraica di persone adulte e ad una dimensione sessuata del loro esistere? Il contributo del presente intervento costituisce un tentativo di restituire l’attributo della adul1 WHO (2000) Ageing and Intellectual Disabilities - Improving Longevity and Promoting Healthy 2 Forsetlund L., Bjørndal A., Rashidian A., Jamtvedt G., O’Brien M.A., Wolf F.M., Davis D., Odgaard-Jensen J. & Oxman A.D. (2012) Continuing education meetings and workshops for health professionals (Review). Cochrane Collaboration * Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro; Maria Luigia Ospedale Privato 55 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 tità ad una persona con Disabilità Intellettiva conigurando un piccolo, ma per lei signiicativo, percorso volto a raccogliere e soddisfare una speciica esigenza sessuale posta da una persona disabile adulta di sesso femminile che vive all’interno di una comunità residenziale. Il breve itinerario presentato mette in luce il profondo rispetto per l’autodeterminazione di questa persona in qualità di agente causale primario nell’esercizio della propria sessualità. In particolare verrà esposta la modalità di raccolta del bisogno, la negoziazione di un necessario consenso con la igura di sostegno giuridico, la fase di accompagnamento e sostegno, la costruzione di un iter educativo volto a garantire nel contempo condizioni di igiene e di privacy nell’esercizio della pratica auto-erotica. Il percorso svolto mostra concretamente come sia possibile produrre l’insegnamento di queste pratiche in un registro di autoregolazione da parte del soggetto e che tale comportamento, contrariamente a molti timori espressi spesso dal personale educativo, si è armonizzato col complesso delle normali attività di vita senza divenire un interesse pervasivo, totalizzante e disfunzionale. INTERVENTO TERAPEUTICO-RIABILITATIVO IN UN TRAUMA DA ABUSO Cristina Santinon°, Vania Pizzato° e Alessandro Castellani 11 Attraverso un approccio arte terapeutico si dipana la storia di un abuso che, dal non detto, emerge attraverso le immagini e da esse trova riscatto attraverso nuove esperienze, foriere di nuovi signiicati e relazioni. DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO E SESSUALITÀ Francesca Poli* 12 Le persone con un Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) vivono una condizione complessa che coinvolge e compromette, a vari livelli di gravità, la sfera della comunicazione intesa come linguaggio, percezione sensoriale, socialità ed apprendimento. Tali dificoltà incidono in maniera rilevante sull’espressione della sessualità. La letteratura che affronta il tema delle persone con autismo a basso funzionamento si concentra generalmente sulla problematicità dei comportamenti con una componente sessuale. Tali comportamenti, che compaiono per lo più in età prepuberale, vengono spesso ignorati ino a che, in età adulta, rappresentano un problema per la persona stessa e per i caregivers. L’intervento verterà in ambito relativo a persone con DSA a basso funzionamento. La letteratura che tratta delle persone con autismo a basso funzionamento si concentra generalmente sulla problematicità dei comportamenti con una componente sessuale. Le dificoltà si manifestano in maniera molto differente da persona a persona, anche in relazione al livello di competenze, alla presenza ed al grado di ritardo cognitivo ed al percorso educativo effettuato. Alcuni di questi comportamenti compaiono in età prepuberale e spesso non vengono considerati fortemente problematici quando si presentano nei bambini, mentre ° Istituto Palazzolo Rosà * Psicologa, Psicoterapeuta, Consulente in Sessuologia, P.AM.A.P.I. Firenze 56 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” creano grande disagio ai caregiver quando la persona con autismo entra in età adolescenziale. Nel momento in cui il comportamento è ormai presente, generalmente si cerca di farne diminuire la frequenza intervenendo sul comportamento stesso o anche farmacologicamente. È evidente che la situazione pone dei problemi prima di tutto etici. Il primo problema riguarda il modo in cui è possibile conciliare la legittimità della sessualità con la necessità di indirizzarne l’espressione in modalità socialmente accettabili. Un secondo problema è riferibile ai modi dell’educazione ed alle persone che devono insegnare comportamenti sessuali appropriati. QUALE FORMAZIONE PER QUALI OPERATORI Sabrina Giorcelli° e Pamela Gusmeroli* 13 14 L’affettività e la sessualità costituiscono aspetti importanti dell’esperienza di tutte le persone, normodotate e disabili, ai ini della propria crescita e realizzazione personale. Tutti gli individui sono mossi da un bisogno irrinunciabile di ricerca di signiicato nei gesti, nei vissuti e negli incontri, da includere nel racconto della propria storia di vita. Le persone disabili, nel cercare di comprendere e attribuire un signiicato a pensieri, immagini, sensazioni, emozioni che sperimentano in relazione alle dimensioni affettive e sessuali, cercano un supporto e riferimento nei propri caregivers, così come accade per le altre sfere della loro vita. Familiari e operatori costituiscono, quindi, le igure principalmente coinvolte, nei differenti ruoli che rivestono, nell’accompagnare le persone disabili nel loro sviluppo affettivo e sessuale. Nella relazione presentata verrà posta un’attenzione particolare su come gli operatori, all’interno delle loro relazioni signiicative di aiuto, possano sostenere le persone disabili nella loro crescita, anche in riferimento alle dimensioni affettive e sessuali. Talvolta, in questo percorso, gli operatori possono sentirsi disorientati, preoccupati e soli, senza il supporto di una rete di persone con cui poter condividere obiettivi e modalità di intervento. Saranno brevemente introdotte teorie e possibili metodi, come il modello interattivo narrativo per l’educazione sessuale. CONSIGLI BIBLIOGRAFICI: Veglia F. e Pellegrini R. (2003); Veglia F. (2004) e (2005), possono orientare e facilitare le diverse igure nell’affrontare queste tematiche. ° Psicologa Psicoterapeuta, Torino * Psicologa Psicoterapeuta, Sondrio e Lecco 57 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Simposio 5: Oltre il costrutto Qualità della Vita: novità concettuali e applicazioni Chairman: Sumire Manzotti e Anna Chiara Marangoni INTRODUZIONE: RIFLESSIONI SULLA ATTUALITÀ E I LIMITI DEL COSTRUTTO DI QUALITÀ DELLA VITA Sumire Manzotti* e Luigi Croce° 15 16 “Qualità della vita” (QdV) è un costrutto multidisciplinare (applicato a temi economici, medici, psicologici e ilosoici) di cui non esiste una deinizione universalmente condivisa, essendo “solo apparentemente intuitivo e semplice” ma, in realtà, “complesso e sovra determinato”. Il costrutto ha seguito una evoluzione concettuale e, di conseguenza, terminologica. All’inizio degli anni Ottanta, essendo applicato allo sviluppo economico, i termini che lo designavano erano, in prevalenza, quelli di “sviluppo”, “politica” o “sistema”. Negli anni Novanta i termini “benessere” e “soggettivo” hanno sottolineato la dimensione individuale della QdV, insieme a termini come “felicità”, “comportamento”, “umore”, “religiosità”, “soddisfazione della vita”, etc.. Gli anni successivi - ino ai primi anni 2000 – introducono una valutazione etica della diseguaglianza sociale che traspare da termini come “povertà” e “questione femminile”. La sida concettuale attuale consiste nel riconsiderare il benessere umano all’interno di un concetto etico-morale deinito dalla nozione di “sostenibilità” – “QdV Sostenibile”. L’approccio Capability di A. Sen – che costituisce pur sempre una cornice valutativa etica di non immediata applicazione – propone, a questo proposito, una rivalutazione del concetto della Qualità della Vita anche come indicatore degli esiti dell’assistenza socio-sanitaria; l’approccio Capability, che indica l’obiettivo ultimo di azioni politiche e sociali, converge nella stessa direzione individuata dai documenti ONU come Indice dello Sviluppo Umano. BIBLIOGRAFIA: Montecolle S. & S. Orsini (2008) La qualità della vita: una analisi dell’evoluzione del concetto attraverso la produzione scientiica della rivista Social Indicators Research, Actes JAGD, marzo, pp.12-14; Sen A. (2015) The Ends and Means of Sustainability, Journal of Human Development and Capabilities: A Multi – Disciplinary Journal for People-Centered Development, 14:1, 6-20. RIORGANIZZARE I SERVIZI SULLA BASE DEI PRINCIPI ISPIRATORI DEL CONTESTUALISMO E DELLA QUALITÀ DELLA VITA: L’ESPERIENZA DI FONDAZIONE “SOSPIRO” Seraino Corti* 17 La dimensione organizzativa di un servizio rappresenta la cornice che consente ed armonizza il complesso sistema degli interventi, siano essi clinici, educativi o assistenziali. Lungi * Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) ° Università Cattolica del Sacro Cuore * Direttore Dipartimento Disabili della Fondazione Sospiro (Cremona); Docente di Psicologia delle Disabilità presso l’Università Cattolica di Brescia 58 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” dall’essere un corpo statico fatto di norme e regolamenti, l’organizzazione rappresenta un organismo vivo che va investito di intenzionalità progettuali al pari di quello che tipicamente facciamo con l’utenza inserita all’interno dei servizi. Anche in quest’ambito, così come nell’educazione e nella clinica delle disabilità, possiamo parlare di interventi di sistema evidence based. Sulla scorta di queste premesse il contributo vuole illustrare il percorso di riprogettazione all’interno della Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro, realtà ad alta complessità che accoglie 408 persone con Disabilità Intellettiva (DI) e Disturbo Generalizzato dello Sviluppo (DGS) in condizione di gravità. L’intervento, implementato a partire dal 2006, è stato contraddistinto dall’applicazione di procedure derivanti dall’analisi comportamentale applicata e, in particolare, dall’Organizational Behavior Management (O.B.M.) e dai principi ispiratori propri del costrutto generale di Qualità della Vita (Meta-modello di R. Schalock, 2002) quale cornice culturale e valoriale sulla cui scorta è stato modellato l’assetto clinico e gestionale. Interventi basati sul modello contestualistico che vede la modiicazione dei comportamenti aziendali sulla base di speciici interventi sugli antecedenti (A) e sulle conseguenze (B) hanno intersecato pertanto la dimensione della Qualità della Vita nella sua duplice veste di costrutto scientiico e di riferimento assiologico. Vengono riportati gli esiti di questo lavoro sia sul versante clinico che su quello relativo ai caregiver operanti all’interno dei servizi della Fondazione. RIQUALIFICAZIONE DI SERVIZI ATTRAVERSO I MODELLI DELLA QUALITÀ DELLA VITA: INDICATORI D’ESITO Simone Zorzi°, Raffaela Donati°, Anna Zilli° e Pietro Pastori° Il presente contributo illustra il percorso di riqualiicazione intrapreso all’interno dei servizi diurni dell’ASS 4 Medio Friuli attraverso l’applicazione dei modelli orientati alla Qualità della Vita (QDV) (Verdugo Alonso & Schalock, 2002; Schalock, Gardner & Bradley, 2007). Il processo ha coinvolto 156 utenti (di cui 66 femmine) inseriti in 12 centri diurni. I bisogni di queste persone sono notevolmente cambiati nel corso degli anni in riferimento all’aumento dell’età e alle mutuate condizioni clinico funzionali. La popolazione accolta conferma i dati delle ricerche che evidenziano un signiicativo incremento di spettanza di vita media delle persone con Disabilità Intellettiva (DI) (Zigman et al. 2004; Bittles et al. 2002; Cottini, 2003). Inoltre all’avanzamento d’età si associa spesso un rapido decadimento funzionale e la frequente presenza di problematiche sanitarie, psicopatologiche e di disturbi del comportamento. In conseguenza dei fenomeni elencati e della pluridecennale permanenza di un importante numero di persone nei medesimi servizi, si è venuta a determinare, all’interno dei singoli centri, un’elevata eterogeneità delle condizioni cliniche, funzionali e dei relativi bisogni. Per queste ragioni sono state intraprese, attraverso l’applicazione di modelli promossi dalla 1819 ° AAS n. 4 Friuli Centrale ° Università Cattolica del Sacro Cuore ° Università Cattolica del Sacro Cuore ° Università Cattolica del Sacro Cuore 20 21 59 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 comunità scientiica (AAIDD; AIRIM), delle azioni di cambiamento inalizzate alla riqualiicazione dell’offerta e al raggiungimento di esiti orientati alla QDV. Il percorso sta concentrando i propri sforzi nel deinire “il come” pianiicare sostegni e opportunità che assumano reale signiicato per la vita delle persone. Ciò a partire dal superamento delle logiche tradizionali tendenti a considerare come start-up progettuale “le attività” e le “questioni organizzative”, in favore di una visione centrata sulla persona e sugli obiettivi per la stessa rilevanti. Saranno evidenziati i punti di forza e le criticità del processo assieme agli esiti in qui ottenuti. CASE STUDY: CONFRONTO DI DIVERSI STRUMENTI PER LA MISURA DELLA QUALITÀ DI VITA (QDV) E DEI BISOGNI DI SOSTEGNO IN PERSONE AFFETTE DA DISABILITÀ INTELLETTIVA (DI) UNDER 18 Luisa Calliari*, Elisa Caminada°, Valeria Lanzi°, Annalisa Bertoldi*, Erica Fronza*, Anna Giovanazzi*, Francesca Dorigatti*, Tiziana Carli* e Elisabetta Torzi* 22 23 Il campione dello studio pilota è composto da 17 persone con Disabilità Intellettiva (DI) con un età media di 13 anni e 10 mesi (ds=3 anni), con 6 ragazze e 11 ragazzi tra cui il 82% (n. 14) vive con i propri genitori. Il campione è composto da persone con DI di diversa eziologia e livelli di comportamento adattivo, sulle quali sono stati somministrati, nel corso del processo di validazione italiana, tre scale che misurano aspetti diversi in persone under 18. Le scale utilizzate sono state la SIS CY, la POS CA e la QdV di Brown, somministrate in tempi molto ravvicinati (di norma entro un mese) normalmente dagli stessi intervistatori agli stessi rispondenti (per la maggior parte composti dai genitori o da operatori con una buona conoscenza delle persone esaminate). SCOPO DELLO STUDIO: veriicare in un primo campione pilota multicentrico la validità concorrente e l’eventuale correlazione o sovrapposizione (validità convergente) di tre strumenti per la valutazione di aspetti legati ai bisogni di sostegno e Qualità della Vita nelle persone con DI under 18. RISULTATI: questo studio evidenzia la differenza e la non sovrapponibilità dei costrutti psicometrici misurati da questi strumenti e suggerisce un uso mirato e inalizzato agli obiettivi che si vogliono conseguire. Sono strumenti non pensati per un uso diagnostico e il nostro case study mostra che se uno strumento come la SIS può essere utilizzato per la rilevazione dei bisogni di sostegno, non può essere valido come scala d’esito per gli interventi, come rivela la bassa correlazione sulla POS. Quest’ultima, al contrario, evidenzia come le necessità rilevate sugli otto domini di QdV possano essere diverse da quello che viene ritenuto rilevante da parte dei genitori (QdV di Brown) o dei proxy, suggerendo una sorta di dicotomia tra quelli che in letteratura sono ritenuti domini non rinunciabili e la rilevanza che questi hanno nelle aspettative dei familiari. Se questi primi dati verranno confermati dovranno orientare la misurazione degli esiti delle nostre pianiicazioni tenendo distinte le diverse percezioni ed evitare semplicistiche riduzioni della complessità ritenendo che un’eventuale diminuzione dei bisogni di sostegno si riletta in modo lineare sulla QdV della persona. * Paese di OZ, ANFFAS TRENTINO Onlus, Trento ° Villa Santa Maria, Polo territoriale di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Tavernerio (CO) 60 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 6: Neurodiversità e oltre, clinica e inclusione sociale Chairman: Gian Luigi Mansi e Pietro Barbetta NEURODIVERSITÀ E SICKNESS: RIFLESSIONI SULLA NATURA BIFRONTE DELLA PSICHIATRIA Gian Luigi Mansi* 24 Negli anni Novanta del secolo scorso il termine “neurodiversità” era stato proposto nello spettro autistico come principio attorno cui le persone potevano costruire la propria identità. In seguito lo slancio che lo voleva principio per la costituzione di una soggettività politica, nello spirito del “minority model” americano (omosessuali, neri, donne), è venuto meno. Le ragioni sono molte: “neurodiversità” localizza il problema nel cervello, prospettiva riduzionista e vaga (visto che non ci sono cervelli strutturalmente identici), così come si è rivelata velleitaria la pretesa di farne una bandiera comune, data la molteplicità delle condizioni che rientrano nello spettro autistico. Non di meno, alla perdita del ruolo di bandiera per l’affermazione di una soggettività collettiva è corrisposta la sua diffusione come principio inclusivo, più generico ma sottoscritto e riproposto da genitori, operatori, clinici e autistici. In qualche modo è servito per tematizzare la questione della legittimità della differenza posta dalla disabilità relazionale (lungo tutto lo spettro autistico) e il diritto all’inclusione e alla piena fruizione delle risorse sociali, ed è stato la matrice di analoghe rivendicazioni da parte di persone in altre condizioni socialmente disabilitanti (bipolari, OCD). All’interno della vasta produzione teorica che si occupa delle contestualizzazioni culturali delle disabilità (i Disability Studies), si stanno sviluppando analisi in prospettiva emancipativa che riprendono e rilanciano la proposta affermativa a cui il termine voleva dare valore, indagando lo statuto eminentemente culturale dell’individuazione delle problematiche relazionali e cognitive. Una simile contestualizzazione, in termini non deicitari ma focalizzati sulla speciicità individuale delle problematiche, può sortire ricadute positive per la consapevolezza dell’intervento clinico. LA PIUMA DI DANIELE. RILEVANZA ESTETICA NELLA CLINICA CON L’AUTISMO Pietro Barbetta° 25 Incontrai la famiglia di Daniele molti anni fa: era l’epoca in cui un certo tipo di psicoanalisi (nota anche come Ego-Psychology), che aveva avuto seguito nelle terapie con i bambini con diagnosi di autismo, era ormai in declino. Si trattava del tempo in cui le teorie di Leo Kanner e le sue applicazioni da parte di Bruno Bettelheim erano dominanti. Il loro declino si fondava su vari aspetti: l’assenza di evidenti elementi di “miglioramento” di questi bambini e i discorsi di colpevolizzazione dei genitori e della famiglia. Ciò provocò una giusta e forte rivolta da parte dei genitori, che fu subito sfruttata da altri gruppi di orientamento behaviourista. Tra questi due orientamenti, tuttavia, c’era un tratto comune: l’intervento normalizzatore. En* Medico Psichiatra IRCCS E. Medea, Associazione La Nostra Famiglia, Bosisio Parini (Lc) ° Direttore Centro Milanese di Terapia della Famiglia 61 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 trambi proponevano letture “ortopediche”, l’una basata, come scritto, sulla colpevolizzazione, l’altra sull’espiazione legata a un insieme di rigide istruzioni per “stimolare” il bambino a raggiungere quanto più possibile una “normalità” standard, tutta da discutere. Il padre e la madre di D. erano separati e la madre aveva ricevuto diversi trattamenti psichiatrici a seguito di una diagnosi di schizofrenia. D. era in afidamento al padre, che non aveva mai escluso la madre dal rapporto con il iglio, benché a volte appariva preoccupato per le possibili reazioni materne a certe condotte di D., che era un bambino simpatico, dolce e attento ai dettagli (non quelli ai quali davamo attenzione noi, altri, da scoprire). Durante gli incontri familiari lavorammo sul futuro di D., riconoscendo che la condizione esistenziale autistica gli permetteva di fare cose sorprendenti, a volte poco comprensibili a un primo sguardo, e non gli permetteva di farne altre, che spesso sono considerate scontate (come uscire con gruppi di amici, giocare a calcio, etc.). A D. piaceva molto passare il tempo seduto su un sofà, a consultare l’enciclopedia della scienza e della tecnica, dondolandosi avanti e indietro. Durante il convegno saranno messi in evidenza alcuni aspetti dell’intervento in terapia. NEURODIVERSITÀ: DA MARCA IDENTITARIA A PRINCIPIO AFFERMATIVO Enrico Valtellina* 26 Condizione considerata rara ino a pochi decenni fa, l’autismo è oggi un’emergenza culturale prima ancora che clinica, le diagnosi sono proliferate ino a far pensare ad un evento epidemico. In effetti l’epidemia è stata nominale, corrispondendo per lo più a un passaggio da un’interpretazione a dominante cognitiva (che ha dominato il discorso novecentesco, partendo dalla fortuna dei test del QI di Binet-Simon-Stanford) ad una a dominante relazionale. L’interessante vicenda della fortuna del termine, creato da Bleuler per individuare un sintomo negativo della schizofrenia e ripreso come marca per condizioni speciiche negli anni Quaranta da Leo Kanner e Hans Asperger, è legata a fattori per lo più esterni alla pratica diagnostica, che ne hanno fatto un piano di affermazione delle soggettività coinvolte. In primo luogo i genitori, attraverso le cui associazioni, di fatto, la questione autismo si è posta (come suggerisce Eyal in The autism matrix, il discorso contemporaneo si è generato con la deistituzionalizzazione e con la presa in carico da parte dei genitori della gestione delle problematiche dei igli), poi le persone autistiche stesse, per lo più senza compromissione cognitiva, quindi con sindrome di Asperger, che hanno cominciato, dagli anni Novanta del secolo scorso, ad affermare la legittimità della propria condizione e il diritto a non esserne stigmatizzate. Verso la ine del Millennio si è posta, inoltre, l’eventualità di costruire intorno alla soggettività collettiva delle persone autistiche un piano affermativo-rivendicativo strutturato sul minority model americano, ovvero l’affermatività di neri, donne ed omosessuali. Il luogo di agglutinazione delle istanze degli attivisti per l’autismo divenne il termine “neurodiversità”, coniato da Harvey Blume e Judy Singer. La straordinaria e immediata fortuna di tale nozione è testimoniata tra l’altro dal nome di un sito di riferimento per materiali a tema autismo/Asperger: neurodiversity.com. Benché in origine stesse a signiicare essenzialmente sindrome di Asperger, presto altre condizioni (sindrome bipolare, OCD) cominciarono a rivendicare la propria “neurodiversità”, come testimoniato dal volume A mind apart: Travels * Collaborazione con la cattedra di Psicologia Dinamica presso l’Università di Bergamo di Pietro Barbetta 62 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” in a neurodiverse world di Susanne Antonetta, diagnosticata bipolare. Invero il termine è problematico, fa segno a un riduzionismo biologico estremo, in piena sintonia con la dominante del pensiero psichiatrico contemporaneo, incapace di dar conto delle problematiche poste dalla condizione; inoltre autismo è una diagnosi contenitore, non un’entità clinica, assorta condizioni di vita e sensibilità disparate, per cui presto ha perso la forza che sembrava manifestare al suo apparire. “Neurodiversità” ha rinunciato, così, ad essere il vessillo di una rivendicazione collettiva, pur restando come principio affermativo di singoli attivisti dei diritti delle persone autistiche. Negli anni Duemila si era posta una contrapposizione tra genitori pro-cura, che sostenevano l’autismo essere una disabilità, e attivisti autistici, che attraverso la rivendicazione della propria“neurodiversità” sostenevano il diritto alla piena inclusione sociale, alla valorizzazione della propria differenza. Attualmente le posizioni si sono stemperate, come segnalano alcune analisi etnograiche recenti, e la mia percezione personale dello sviluppo dei discorsi è che a parlare di “neurodiversità” sono gli stessi genitori pro-cura, non più nel senso forte delle origini, ma come piano affermativo condiviso, in cui il rimando alla matrice “neuro” rimane come residuo in mancanza di un termine più adeguato. Vista la scarsa praticabilità di un’affermatività collettiva, questa diffusione depotenziata del termine appare positiva, fa segno a un principio di empowerment condiviso e condivisibile. APPROCCIO CATEGORIALE VS DIMENSIONALE E NEURODIVERSITÀ Gian Paolo Guaraldi° e Giovanni Ziosi* 27 28 Gli Autori mostrano i cambiamenti dei modelli di classiicazione dei Disturbi Mentali, considerando come caso “principe” l’evoluzione di ciò che oggi si deinisce Disabilità Intellettiva. Partendo, dunque, dal DSM-I, passando per i capisaldi italiani della letteratura neuropsichiatrica, sino ad arrivare all’odierno DSM-5, si illustreranno le trasformazioni del concetto di Ritardo Mentale, recepite anche dalla SIRM, che difatti ha cambiato la propria denominazione in SIDiN. Novità importante, nella nosograia psichiatrica attuale, è l’introduzione di un approccio dimensionale che si afianca al modello categoriale. Si farà ancora riferimento all’esempio della Disabilità Intellettiva per la valutazione della sua gravità, non più su base psicometrica, ma maggiormente improntata alla capacità di adattamento e problem solving. L’introduzione del concetto di spettro e una rinnovata attenzione alla “quantità” a scapito dell’“etichetta” dei disturbi psichici, sono da considerare come naturale conseguenza dell’antesignana nozione di neurodiversità, ossia l’idea che lo sviluppo neurologico atipico sia una differenza normale che deve essere riconosciuta e rispettata come ogni altra variazione umana, e non circoscritta in rigide categorie etichettate come problematiche. Dal punto di vista della neurodiversità dunque, anziché considerare la Disabilità Intellettiva come un’anomalia o un deicit è preferibile intenderla come “caratteristica” o “differenza” del funzionamento cognitivo. In conclusione, l’approccio maggiormente dimensionale alla Disabilità Intellettiva mostra ° Professore Emerito, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia * Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica presso “La Lucciola” - Centro di Terapia Integrata per l’Infanzia, Ravarino (MO) 63 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 comunque alcune criticità. Per esempio: vi è il rischio di un appiattimento delle diagnosi, poiché venendo a mancare la sicurezza di un parametro rigido come il QI alcuni operatori si trovano in dificoltà nello stabilire differenti livelli di gravità del disturbo, non riuscendo, quindi, a rispettare l’unicità del paziente. Sessione Plenaria: “Il ruolo della Psichiatria nei Disturbi del Neurosviluppo” Chairman: Stefano Calzolari e Alessandro Castellani Particolarità della questione nosodromica nei Disturbi del Neurosviluppo Ciro Ruggerini*, Sumire Manzotti° e Omar Daolio+ 29 30 31 La questione nosodromica si pone in modo del tutto particolare nei Disturbi del Neurosviluppo rispetto a ciò che avviene negli altri Cluster di Disturbi rubricati nel DSM-5. La nozione che i Disturbi del Neurosviluppo persistono nell’arco intero della vita richiede molteplici speciicazioni. E’ necessario distinguere, in primis, tra persistenza dei singoli comportamenti e persistenza dell’insieme dei comportamenti che deiniscono la categoria diagnostica. Ad esempio: nei Disturbi dello Spettro Autistico i sintomi possono attenuarsi nel tempo, ma solo 1 bambino su 5 che ha ricevuto una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico nella prima infanzia può “lasciare” la categoria diagnostica entro la seconda infanzia. Se si assume, tuttavia, che questi disturbi possono essere caratterizzati anche come condizione esistenziale – cosa che non avviene per nessuno dei Disturbi degli altri Cluster dei Disturbi Mentali – bisogna concludere che il riferimento ai comportamenti-sintomo non può riassumere i termini della questione nosodromica. Se le categorie diagnostiche dei Disturbi del Neurosviluppo sono “costrutti” – conigurazioni concettuali di segnali neurobiologici (1) - pensati per essere utili, bisogna esplicitare quali sviluppi – più che guarigioni - essi permettono di prevedere in una prospettiva life-span. Per fare ciò è necessario, tuttavia, riferirsi esplicitamente ad altri costrutti relativi al rapporto tra caratteristiche individuali neurobiologiche, opportunità del contesto e sviluppo. Questi costrutti rimandano, a loro volta, ad altri costrutti, come quelli di Diritti, Qualità della Vita e Capability. Si assume che il Cluster dei Disturbi del Neurosviluppo costringa la psichiatria a esplicitare la natura del rapporto tra individuo e ambiente: l’evoluzione life-span di alcuni Disturbi Mentali dipende, in gran parte, dall’eficacia delle terapie psicofarmacologiche, ma l’evoluzione life-span dei Disturbi del Neurosviluppo dipende, in massima parte, dalla qualità del contesto di vita321. * ASP Charitas (Modena); Cooperativa Progetto Crescere (Reggio Emilia) ° Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) + Residenza Terapeutica Intensiva per Minori “Il Nespolo”, Ospedale Privato Accreditato “Villa Igea” (Modena) 1 Berrios G. E. (2011) Psychiatry and its obiects. Rev Psiquiatr Salud Ment (Barc.) 4: 179-182 64 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Cromosomi, geni, genoma e oltre Bruno Dalla Piccola33+ Disturbi del neurosviluppo: co-occorrenze, comorbidità e implicazioni per gli interventi terapeutici Marco O. Bertelli34* Il 25-44% delle persone con Disabilità Intellettiva (DI) presenta almeno un disturbo psichiatrico, il 21% ne presenta due contemporaneamente, l’8% tre. La categoria diagnostica più frequente è quella dei disturbi dello spettro autistico, seguita dai disturbi dell’umore e d’ansia. In chi presenta DI e un disturbo dello spettro autistico la probabilità di sviluppare un ulteriore disturbo psichiatrico è circa 5 volte superiore rispetto a chi ha solo DI. Le peculiarità della presentazione dei sintomi e dei disturbi psichiatrici nelle persone con DI stanno ricevendo attenzione crescente. Mentre la prima edizione del Diagnostic Manual-Intellectual Disability è uscita 13 anni dopo il DSM-IV e 7 anni dopo il DSM-IV-TR, la seconda edizione (DM-ID2) è già in fase di completamento, a meno di 2 anni dalla pubblicazione del DSM-5. L’opinione prevalente nel gruppo di lavoro internazionale per questo manuale è che i criteri DSM-5 siano applicabili a molte persone con DI lieve senza nessun adattamento o con adattamenti minimi, mentre siano necessarie alcune modiiche per le forme moderate e modiiche consistenti per le forme gravi e gravissime. L’aumento della ricerca sulla fenomenologia psichiatrica nella DI sta anche permettendo di precisare la frequenza con cui gli equivalenti comportamentali dei vari sintomi si presentano nei diversi raggruppamenti sindromici. L’aggressività, ad esempio, sembra essere molto più frequente nei cortei sintomatologici ascrivibili a episodi maniacali che in quelli ascrivibili a episodi depressivi. Queste evoluzioni hanno importanti implicazioni per la ricerca della caratterizzazione neuropsichica e comportamentale delle persone con DI sulla base di funzioni cognitive speciiche, funzioni psichiche speciiche, fattori ambientali speciici e speciiche attribuzioni d’importanza ai vari ambiti della vita. Le prime conferme rilevanti arrivano dalla revisione della letteratura sulle sindromi genetiche includenti DI. Parallelamente a quella sulla comorbilità e sulle presentazioni cliniche anche la ricerca sull’intervento farmacologico sta facendo registrare importanti avanzamenti. I neurolettici tradizionali sembrano determinare, accanto ai noti effetti extrapiramidali, sintomi cognitivi avversi, complessivamente inscrivibili in una condizione deinibile come “sindrome deicitaria indotta da neurolettici”. Per questo motivo il loro uso nelle persone con DI è stato, ed è tuttora, oggetto di numerose riserve ed attenzioni. Al contrario gli antipsicotici atipici vengono associati a miglioramenti di diversi domini neuropsicologici, quali la luenza verbale, la + Professore di Genetica Medica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, direttore scientiico dell’Istituto Mendel di Roma e dell’I.R.C.C.S. Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo Psichiatra; Direttore Scientiico, Centro di Ricerca e Ambulatori (CREA) della Fondazione San Sebastiano, Firenze; Presidente, Sezione Disabilità Intellettiva dell’Associazione Mondiale di Psichiatria (WPA-SPID); Presidente, Associazione Europea per la Salute Mentale nella Disabilità Intellettiva (EAMH-ID); Segretario, Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN) * 65 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 memoria operazionale e l’attenzione, oltre che di funzioni motorie ini. Dati più recenti hanno evidenziato differenze più modeste tra antipsicotici di prima e seconda generazione, con un miglioramento parziale delle funzioni cognitive in seguito al trattamento con antipsicotici atipici, espresso sia in termini di funzionamento cognitivo sia globale che speciico. Una buona modulazione dei processi cognitivi è stata dimostrata anche per i nuovissimi farmaci attivi sul sistema GABAergico, per i quali è stata rilevata anche una spiccata azione antidepressiva e un miglioramento di alcuni aspetti nucleari del disturbo dello spettro autistico. La memantina, antagonista non competitivo dei recettori per l’N-Metil-D-Aspartato, sembra poter potenziare l’eficacia di alcuni antipsicotici atipici nella riduzione dei comportamentiproblema associati a disturbi psichiatrici. Effetti simili sono stati documentati anche per gli add-on con pentoxiillina e colecoxib, con meccanismi ancora imprecisati rispetto alle rispettive attività note sul lusso ematico e sull’iniammazione. Gli studi non includono quasi mai le implicazioni dell’aderenza al trattamento farmacologico e delle misure di esito centrate sulla persona, come la qualità di vita. I risultati potrebbero rivelare un uso improprio degli interventi farmacologici, ma anche differenze più chiare tra molecole di vecchia e nuova generazione. BIBLIOGRAFIA: - Bertelli M., Piva Merli M., Rossi M. et al. (2013) Quality of life in pharmacological intervention on autism spectrum disorders, Advances in Mental Health and Intellectual Disabilities, Vol. 7 Iss: 1, pp.40-48 - Bertelli M., Salvador-Carulla L., Scuticchio D. et al. (2014) Moving beyond intelligence in the revision of ICD-10: speciic cognitive functions in intellectual developmental disorders, World Psychiatry, 13(1): 93-94 - Bertelli M., Scuticchio D., Ferrandi A. et al. (2012) Reliability and validity of the SPAIDG checklist for detecting psychiatric disorders in adults with intellectual disability, Res Dev Disabil., 33(2):382-90 - Tyrer P., Cooper S.A. & Hassiotis A. (2014) Drug treatments in people with intellectual disability and challenging behaviour, BMJ, 4;349:g4323. 66 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 7: La clinica delle doppie e triple diagnosi: la classiicazione diagnostica Chairman: Marco O. Bertelli e Alfredo Vivaldelli LA PSICHIATRIA DELLA DISABILITÀ: UNA VISIONE ETICA DELLA DIAGNOSI IN PSICHIATRIA Alfredo Vivaldelli* 35 Numerosi comportamenti problematici si associano alla Disabilità Intellettiva (DI): aggressività, dipendenza, impulsività, passività, testardaggine, basso o eccessivamente alto livello di autostima, autolesionismo, scarsa tolleranza alle frustrazioni, ingenuità e credulità, tutte caratteristiche che, prese come sintomi, a volte simulano disturbi psicotici. A volte alla DI si associano anche franchi disturbi psicotici, disturbi dell’umore o disturbi d’ansia. L’autore in questo lavoro non si concentra, però, sulla comorbilità della DI con i disturbi psichiatrici, ma intende interrogarsi sul signiicato etico della diagnosi in psichiatria. Gli operatori dei servizi si dividono tra quelli che ritengono fondamentale deinire una diagnosi per ogni paziente perché da questa discende il trattamento appropriato, eficace ed eficiente (protocolli, procedure, evidenze), da altri che respingono la diagnosi perché in questa si cela il rischio del “già noto”, dello stigma come giudizio supericiale, precipitoso ed erroneo, associato al riiuto di mettere in dubbio la fondatezza e veriicarne la pertinenza per una adesione acritica a un punto di vista o a una ideologia perdendo in questo modo la centralità della persona nella sua totalità. Il lavoro prende in considerazione i più accreditati strumenti diagnostici cogliendone pregi e difetti. Con l’aiuto di situazioni cliniche, l’autore mette in evidenza l’utilità della diagnosi strutturale per mettere i servizi in condizione di leggere la totalità della persona bisognosa e condividere una rappresentazione che aiuta i professionisti a sopportare l’intensa onda emotiva che si sviluppa nella relazione con casi gravi. Se la diagnosi si mantiene in relazione con la persona e non con il soggetto o l’individuo e si svuota del signiicato deinitivo, la vita delle persone torna ad essere il principio etico su cui si fonda il pensiero e l’agire del terapeuta e dei servizi che si occupano di persone, soprattutto di quelle gravemente sofferenti. DIAGNOSTICA IN NPI: AUTISMO AD ALTO FUNZIONAMENTO Emanuela Contardo° e Marusca Crognale* 36 37 Nonostante siano ormai avviati e stabilizzati i programmi orientati alla diagnosi precoce del Disturbo dello Spettro Autistico (DSA), che coinvolgono i servizi destinati alla salute mentale dell’infanzia, non sono ancora sempre chiare le più eficaci strategie per il riconoscimento dei DSA cosiddetti ad “alto funzionamento intellettivo”, che rischiano ancora di essere sottostimati o mal diagnosticati. * Direttore U.O. 4 Psichiatria Dist. Centro Sud ambito Vallagarina Rovereto; Responsabile Area Psichiatria D.S.M. Trento; Membro del Gruppo Interregionale per la Salute Mentale; Membro del coordinamento macroregionale per superamento O.P.G. ° Medico, Neuropsichiatra Infantile * Tecnico della riabilitazione psichiatrica, U.O.1 Neuropsichiatria Infantile, distretto Ovest, Trento 67 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Il maggiore accesso a lussi di informazione sta permettendo una crescita di sindromi “autodiagnosticate” che non trovano, però, nei clinici una adeguata preparazione o esperienza nell’accompagnamento del paziente alla conferma o esclusione diagnostica. Si tratta spesso di giovani adulti che riconoscono nelle piattaforme destinate ai soggetti con sindrome di Asperger le caratteristiche che da sempre li hanno portati a considerarsi inadeguati, impreparati e strani nelle relazioni con gli altri e nella società e che non hanno mai trovato una soluzione né una causa alla loro ipersensibilità agli stimoli sensoriali esterni. Sono persone che non sono transitate dalla NPI o che non hanno comunque ricevuto una diagnosi corretta perché non chiaramente inquadrabili nelle categorie diagnostiche tradizionali. Si tratta di ragazzi o giovani adulti con netta discrepanza tra competenze scolastiche e abilità sociali, intelligenti ma non indipendenti come i pari età, socialmente ingenui e a rischio di atti di bullismo; persone che sono a rischio di sviluppare suicidalità, dipendenza da sostanze, disturbi dell’umore, fobie sociali, iperattività. Nel nostro intervento verranno ricordate le caratteristiche cliniche della sindrome di Asperger alla luce delle nuove categorie nosograiche e presentato un aggiornamento delle statistiche epidemiologiche dei DSA su scala internazionale, nazionale e territoriale. Verranno presentate le proposte e i progetti in via di realizzazione sul territorio trentino, progetti che prevedono un’alta integrazione tra le aree afferenti al dipartimento della salute mentale (NPI, Psichiatria e Psicologia) nell’ottica di migliorare le capacità clinico-diagnostiche e migliorare l’appropriatezza degli interventi a favore della salute mentale, in particolare nelle fasi di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO, DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO E DELLO SPETTRO SCHIZOFRENICO: RIDEFINIRE IL CONFINE DIAGNOSTICO Micaela Piva Merli, Marco Bertelli e Stefano Lassi OBIETTIVO: negli ultimi 5 anni la prevalenza dell’autismo è aumentata in modo sorprendente, anche a seguito dell’introduzione della categoria di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) attuata dal DSM-5. Negli Anni ’60 il disturbo riguardava 0.5 persone su 1000, mentre oggi la prevalenza arriva all’1%, superando addirittura, in un recente studio dell’Università di Yale, il 2%. Questo incremento pone grandi problemi epidemiologici, economici e psicopatologici. Fra questi ultimi il più importante è rappresentato dal conine con i Disturbi dello Sviluppo Intellettivo (DSI) e con i Disturbi dello Spettro Schizofrenico (DSS). Obiettivo dello studio è deinire i conini e le sovrapposizioni cliniche fra DSA, DSI e DSS per contribuire allo sviluppo di migliori criteri e strumenti di diagnosi differenziale. MATERIALI E METODI: è stata condotta una mappatura sistematica sulla base delle seguenti domande: 1) quali sono i sintomi core e i sintomi sovrapponibili di DSA, DSI e DSS?; 2) quali sono i principali problemi nella pratica clinica?; 3) quali caratteristiche diagnostiche possono essere identiicate per aiutare a differenziare tra le tre categorie quando queste condizioni sono in comorbilità? RISULTATI: nella pratica clinica il 25-80% delle persone con DSA presentano anche disabilità intellettiva e il 50% dei casi riceve, soprattutto in età adulta, una diagnosi di disturbo schizofrenico. I tre disturbi hanno in comune deicit delle abilità cognitive, sociali, comunicative e adattive. Anche evidenze recenti provenienti dalla genetica suggeriscono che le 68 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” tre categorie diagnostiche facciano parte di un unico gruppo di disturbi del neurosviluppo. Le differenze principali da utilizzare nella clinica riguardano alcune dimensioni psicopatologiche tradizionali e alcune funzioni cognitive speciiche, che si esprimono anche nell’età d’esordio e nella modalità di sviluppo patogenetico. FENOMENOLOGIA DEI DISTURBI DELL’UMORE IN PERSONE CON DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO: IL PROGETTO SPAID-U Michele Rossi* e Marco Bertelli* 38 OBIETTIVO: nelle persone con Disturbo dello Sviluppo Intellettivo (DSI) i disturbi dell’umore hanno una prevalenza maggiore rispetto alla popolazione generale. Nonostante ciò le conoscenze sull’eziopatogenesi, la presentazione, la valutazione e il trattamento di questi disturbi nelle persone con DSI sono molto limitate. Il presente contributo sintetizza i risultati di una mappatura della letteratura sull’argomento e presenta dati originali sulla prevalenza dei disturbi dell’umore in adulti con DSI. MATERIALI E METODI: i dati sulla prevalenza fanno riferimento a un campione di 90 persone valutate consecutivamente con lo SPAID-U (Strumento Psichiatrico per l’Adulto Intellettivamente Disabile – versione per i disturbi dell’Umore). Parte dei soggetti è stata, inoltre, valutata attraverso l’impiego della DASH e l’applicazione clinica dei criteri DSM-5. Lo studio della concordanza tra valutatori è stato effettuato attraverso una sessione speciale di utilizzo dello strumento, in cui 5 valutatori hanno attribuito punteggi, indipendentemente l’uno dall’altro, su un caso clinico descritto da un educatore, inconsapevole della inalità della sua presentazione. RISULTATI: la letteratura scientiica ha messo in discussione l’utilità dei criteri diagnostici standard per le persone con DSI, anche per i casi con minor compromissione cognitiva, e ha suggerito alcuni equivalenti comportamentali dei principali sintomi soggettivi. La prevalenza dei disturbi dell’umore nel nostro campione si è confermata molto alta: più del 20% dei soggetti ha infatti soddisfatto i criteri diagnostici per disturbo depressivo maggiore o disturbo bipolare. Le proprietà psicometriche dello strumento sono risultate buone. La correlazione tra i punteggi dello SPAID-U e degli altri strumenti è risultata superiore al 90%. CONCLUSIONI: lo SPAID-U sembra, quindi, essere uno strumento diagnosticamente valido, di rapido e facile impiego nella valutazione dei disturbi dell’umore in persone con DSI. * CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze 69 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 TURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE NELLE PERSONE CON DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO E DELLO SPETTRO AUTISTICO Micaela Piva Merli*, Marco O. Bertelli° e Stefano Lassi+ 39 40 41 OBIETTIVO: nelle persone con Disturbo dello Sviluppo Intellettivo (DSI) i Disturbi Del Comportamento Alimentare (DCA) e della nutrizione hanno un’alta prevalenza: circa un terzo di questa popolazione ne è affetto, e il tasso è più alto in coloro che hanno un grado di disabilità intellettiva più grave, Comportamenti Problema (CP) e Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) in comorbilità. Nonostante ciò le conoscenze sulla valutazione diagnostica e strumentale nelle persone con DSI sono limitate. Obiettivo di questo studio è stato valutare la prevalenza dei DCA e di altri problemi alimentari in un campione di individui con solo DSI e DSI più DSA in comorbilità. Un secondo obiettivo è stato indagare la relazione tra DCA e speciici comportamenti problema. MATERIALI E METODI: il campione risulta costituito da 206 adulti con DSI. I partecipanti sono stati sottoposti a screening per la compresenza di DSA attraverso la Scala di valutazione dei Tratti Autistici nelle persone con Disabilità Intellettiva (STA-DI) e la diagnosi inale è stata formulata da uno psichiatra, secondo i criteri del Manuale Diagnostico americano per la diagnosi dei disturbi psichiatrici nella Disabilità Intellettiva (DM-ID). La presenza di DCA e di altri problemi alimentari è stata valutata preliminarmente attraverso la compilazione di una nuova intervista strutturata, appositamente sviluppata per le persone con DSI e confermata clinicamente seguendo i criteri DM-ID. RISULTATI: l’8,3% del campione ha presentato due o più sintomi dei criteri per porre diagnosi di Anoressia Nervosa, il 7,3% ha riportato due o più sintomi per la diagnosi di Bulimia Nervosa e il 24,3% due o più sintomi per la diagnosi di Binge Eating Disorder (BED). La presenza di DSA è associata con un tasso di prevalenza di DCA e CP più alto. Aggressività, autolesionismo e comportamento oppositivo hanno mostrato una correlazione positiva con il numero di sintomi per la diagnosi di DCA, in particolare Bulimia Nervosa e BED. * CREA – Centro di Ricerca e Ambulatori, Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze; DSNP – Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Firenze ° CREA – Centro di Ricerca e Ambulatori, Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze; WPA-SPID Associazione Mondiale di Psichiatria – Sezione Psichiatria della Disabilità Intellettiva + Fondazione Opera Diocesana Assistenza Firenze ONLUS, Firenze 70 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 8: Approccio e progettazione: la pianiicazione degli interventi Chairman: Paola Vescovi e Simona Sforzin RIFLESSIONI CRITICHE SULLA NOZIONE DEL PROGETTO DI VITA Paola Vescovi* 42 Parlare di Progetto di Vita, a 15 anni dall’uscita della Legge 328/2000, ci permette di fare delle considerazioni importanti su quanto accaduto nel momento in cui, messa la persona al centro dell’attenzione e deinito l’importante valore dell’ambiente e delle reti di sostegno primarie e secondarie, del Terzo Settore e dell’Associazionismo nel favorire l’integrazione, si sia potuta organizzare una prospettiva della vita adulta della persona con disabilità, deinendone concretamente la possibilità di empowerment. Valutare la soggettività nella capacità di collaborazione e partecipazione della persona con disabilità e della sua famiglia, scegliendo il processo di inclusione sociale laddove possibile, ha permesso di migliorare l’ottimizzazione delle risorse istituzionali disponibili, deinendo progetti personalizzati in funzione degli obiettivi da raggiungere al ine di migliorare la Qualità di Vita. I nuovi sistemi di Classiicazione (ICF e ICF-CY) ed i core set utilizzati ai ini della valutazione funzionale hanno permesso l’utilizzo di un linguaggio comune e la costruzione di data base condivisibili tra soggetti che lavorano sulle progettualità condivise (scuola, famiglia, servizi e mondo del lavoro) e porre le basi per la cultura della “funzionalità” e non della “mancanza” che determina la disabilità, riuscendo a dare continuità nei processi di presa in carico e concretezza ai processi di integrazione. La valutazione funzionale, l’utilizzo di strumenti standardizzati a deinire le caratteristiche della persona con disabilità ed il suo ambiente, l’analisi dei bisogni che tenga conto dell’ambito sociale in cui la persona vive, e la multidimensionalità dell’impatto delle situazioni di disagio, sono ad oggi gli elementi fondanti su cui costruire il Progetto di Vita della persona con disabilità. Ma il sistema dei Servizi è in grado di modiicarsi per intercettare in maniera migliore i bisogni di autonomia e realizzazione dell’utenza? PROGETTO ICF-CY IN AMBITO SANITARIO-RIABILITATIVO: PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE LABORATORIO ESPRESSIVO – PRESTAZIONALE Lisa Possamai* e Sonia Bortolot* 43 La classiicazione ICF-CY è uno strumento che permette di cogliere gli aspetti peculiari del funzionamento e dello sviluppo di ogni bambino e ragazzo nel suo ambiente di vita. Tale strumento diventa utile in ambito riabilitativo. La relazione descrive l’ideazione e l’utilizzo di un protocollo di valutazione, in linguaggio ICF, all’interno di una proposta riabilitativa di terapia occupazionale. Il protocollo è inalizzato a descrivere il bambino all’inizio del trattamento, a individuarne gli obiettivi e a deinire un proilo conclusivo. * Responsabile Servizio Disabilità Età Adulta ULSS 7 – Pieve di Soligo (TV) * Ass. ne La Nostra Famiglia di Conegliano (TV) 71 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Questo protocollo permette l’utilizzo di un linguaggio condiviso con l’équipe riabilitativa, fornisce una visione completa del funzionamento del bambino, consente di deinire al meglio gli obiettivi speciici del bambino mettendo in evidenza i punti di forza e le dificoltà sia del bambino stesso, sia dell’ambiente in cui vive, inine permette il monitoraggio dei risultati nel tempo. L’intervento viene offerto presso il presidio di riabilitazione de La Nostra Famiglia di Conegliano all’interno di un laboratorio espressivo – prestazionale. Tale laboratorio è rivolto a bambini con dificoltà di apprendimento e/o deicit motori, che hanno un vissuto di inadeguatezza tra le loro potenzialità e le richieste che vengono loro fatte. IL PEDIATRIC ACTIVITY CARD SORT Anna Petris° 44 La Terapia Occupazionale (TO) ha lo scopo di permettere alle persone di qualsiasi età di svolgere le attività di vita quotidiana al massimo livello di autonomia, sicurezza e soddisfazione possibile, agendo su tre elementi: la persona, l’attività e l’ambiente (isico e sociale). Per i bambini lo sviluppo e il benessere sono possibili anche grazie alla partecipazione nelle attività, alcune di queste sono interessanti e stimolanti, in altre la partecipazione è il risultato di richieste culturali e sociali (Davis & Polatajko, 2004). Da qui le premesse del progetto di traduzione e validazione del Pediatric Activity Card Sort (PACS). Il PACS è una valutazione standardizzata che ha la capacità di rilevare la partecipazione nelle attività in età evolutiva (dai 5 ai 14 anni), è stato realizzato dalle Terapiste Occupazionali canadesi Angela Mandich ed Helene Polataiko. Il PACS comprende 75 attività divise in 3 ambiti (cura di sé, attività domestiche/scolastiche e del tempo libero), la sua peculiarità è quella di utilizzare un Metodo Card Sort, ovvero le attività in esame sono indagate attraverso l’utilizzo di carte illustrate rafiguranti immagini reali di vita quotidiana. Il PACS permette al bambino di individuare le attività che svolge quotidianamente facendo emergere le più signiicative, ma anche quelle in cui sperimenta dificoltà e desidererebbe essere più abile. Questo progetto è iniziato con una prima ricerca bibliograica per deinire il protocollo di traduzione, quindi il PACS è stato tradotto applicando il Protocollo di Traduzione di Beaton e successivamente, dopo una seconda ricerca bibliograica, è in atto la fase di validazione. L’ASSESSMENT DELLE PREFERENZE A STIMOLO SINGOLO, GLI EFFETTI SUL PROGETTO DI VITA DELLA PERSONA CON DISABILITÀ INTELLETTIVA (DI) GRAVE Paola Laura Sabrina° 45 La progettazione educativa individualizzata che si presenta deriva dall’adozione delle Linee Guida dell’AIRiM (Associazione Italiana per lo studio delle Disabilità Intellettive ed ° Itaca Società Cooperativa Sociale Onlus ° Associazione Comunità Mamrè Onlus 72 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Evolutive) e dal modello paradigmatico sulla Qualità di Vita di Schalock e colleghi (2000) per la stesura del progetto di vita della persona con Disabilità Intellettiva. La fase di assessment si sviluppa attraverso la somministrazione periodica di alcuni strumenti di valutazione standardizzati letti in una logica comportamentista contestualista ed ecologica attraverso lo strumento del Bilancio Ecologico. L’esempio portato è quello di una persona con grave Disabilità Intellettiva e motoria, residente in una RSD. Si illustrerà come sia stato organizzato e condotto un assessment a stimolo singolo delle sue preferenze attraverso la presentazione di diversi stimoli sensoriali. L’osservazione dei suoi comportamenti di avvicinamento e di allontanamento nei confronti di ciascun item è stata codiicata con il sistema SPCS (Stimulus Preferences Coding System di Smith A.J. e altri, 2005). È, così, stato possibile identiicare e suddividere gli stimoli in altamente, mediamente e non preferiti. Ciò ha reso fruibili queste informazioni nel bilancio ecologico al ine di poterle integrare e opportunamente valorizzare nel progetto di vita della persona. Nel caso illustrato verranno descritti i programmi d intervento attuati grazie al risultato emerso dall’assessment delle preferenze per il perseguimento di obiettivi relativi al dominio di Benessere emozionale e a quello di Autodeterminazione. OSTACOLI NEI PERCORSI DI CURA DELLE PERSONE ADULTE CON DISABILITÀ INTELLETTIVE Francesco Mango* 46 È ormai riconosciuto nella maggior parte dei paesi sviluppati, che si vive in una società che invecchia. Questo cambiamento demograico è evidente anche per le persone con Disabilità Intellettiva (DI) che, nonostante continuino ad avere tassi più alti di incidenza di malattia e di mortalità rispetto alla popolazione generale, vivono più a lungo grazie ai progressi nel trattamento medico e al miglioramento degli standard di vita. Nonostante queste evidenze le persone DI hanno un tasso molto più basso di assistenza adeguata ai bisogni di salute e dificoltà molto più grandi nel raggiungere i servizi (Salvador-Carulla & Saxena, 2009). L’Organizzazione Mondiale della Sanità1 ha identiicato diversi fattori che causano tali dificoltà: dalla mancanza di sistemi organizzati sia pubblici che privati, alla necessità di sostegno ai caregiver, ad arrivare alla mancanza di competenze tecniche e organizzative adeguate alle problematiche delle persone adulte con DI. Il contributo illustra l’esperienza sul campo del Centro di Riabilitazione e Formazione professionale dei Padri Trinitari di Venosa nell’erogazione di servizi di cura e riabilitazione ad un gruppo di persone con Disturbi del Neurosviluppo/Disturbi dello Sviluppo Intellettivo e delle Spettro Autistico, over 55, provenienti dalle regioni del centro/sud Italia. 47 * Medico Psicologo Clinico, Responsabile équipe riabilitativa Centro di Riabilitazione Padri Trinitari Venosa e Bernalda 1 WHO (2000) Ageing and Intellectual Disabilities - Improving Longevity and Promoting Healthy 73 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Simposio 9: Residenzialità e persone con Disabilità Intellettiva e Disturbo dello Spettro Autistico Chairman: Stefano Lassi e D. Gandini (nome completo?) INTRODUZIONE: NECESSITÀ DI UNA RICONCETTUALIZZAZIONE DELLE RESIDENZE COME RISORSA D. Gandini (nome completo?) VALUTARE IL DOLORE NELLA GRAVE DISABILITÀ INTELLETTIVA Maria Laura Galli* 48 La International Association for the Study of Pain (IASP) deinisce il dolore come “una esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”. E’ esperienza trasversale e frequente che spesso mina l’integrità isica e psichica della persona con un notevole impatto sulla QOL. Essendo un’esperienza altamente soggettiva le metodiche di valutazione possono non essere eficaci quando il repertorio comunicativo della persona è estremamente ridotto e le limitazioni isiche possono interferire anche con le abilità di comunicazione di tipo non verbale. Le persone con IDD e Autismo sono soggette a numerosi problemi di salute isica e a condizioni potenzialmente dolorose, in modo particolare quando consideriamo gli adulti con esiti di PCI; le condizioni potenzialmente dolorose di cui soffrono rischiano di venire sottodiagnosticate e, quindi, sotto-trattate. Durante la presentazione saranno mostrati i dati di rilevanza dell’espressione del dolore nella popolazione generale e le sue peculiarità nelle persone con Autismo e Disabilità Intellettiva. Sarà, inoltre, fornito un aggiornamento sugli strumenti di valutazione, e un particolare riferimento sarà posto agli strumenti utilizzabili nelle persone con Autismo e Disabilità Intellettiva. Tra i vari strumenti a disposizione particolare attenzione sarà, poi, rivolta all’esperienza di Fondazione Sospiro nell’utilizzo della scala PADS (Pain and Discomfort Scale); accanto alla traduzione della scala e del manuale di utilizzo è stato prodotto un video che illustra la sua applicazione e di cui saranno presentate alcune parti. La presentazione vuole, inoltre, essere l’occasione per suggerire alcune considerazioni sulla tematica del dolore in situazioni di gravità, in particolare in presenza di scarso repertorio comunicativo. * Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro Onlus 74 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” ESPERIENZE DI APPARTENENZA AL TERRITORIO NELLA RESIDENZIALITÀ ADULTA Cristina Santinon° 49 L’intervento è volto a sottolineare l’importanza e la necessità di incrementare, con modalità che si sono diversiicate nel tempo, le occasioni di inclusione, potenziando le possibilità di determinare esperienze, opportunità e situazioni in cui persone con disabilità, accolte in Istituto, possano stabilire contatti e mettersi in relazione con qualcosa che le colpisca positivamente, lasciando intravedere ambiti di crescente soddisfazione ed evoluzione nelle relazioni con la comunità di appartenenza. ESPERIENZE DI ACCOGLIENZA DEL TERRITORIO NELLA RESIDENZIALITÀ ADULTA Cristina Cora* 50 L’intervento è volto a mettere in evidenza l’importanza della partecipazione attiva delle famiglie alla progettualità per la persona con disabilità accolta in Istituto condividendone obiettivi e interventi. Inoltre si andrà a sottolineare il valore delle reti relazionali informali del territorio che diventano risorsa per ampliare il ventaglio di offerte e opportunità di relazione, oltre che di sostegno economico, per le persone disabili che vivono in Istituto. ESPERIENZA URBANA E DISABILITÀ COGNITIVA Elisa Rondini+ e Marco O. Bertelli* 51 52 OBIETTIVO: utilizzando una metodologia diversa rispetto alle ricerche inora effettuate, il presente studio vuole mettere al centro dell’attenzione la dimensione spaziale ed indagare quali pratiche concrete e quali elementi speciici dell’assetto urbano incidono sull’esperienza interattiva di persone con dificoltà cognitive, associate a disturbi dello spettro schizofrenico con e senza funzionamento intellettivo limite, condizionandone la sfera percettiva ed il comportamento. METODI: lo studio è stato impostato su tre tecniche di rilevazione dei dati: osservazione partecipata, interviste semi-strutturate e tracking su percorsi urbani.L’osservazione è stata condotta prendendo parte a programmi semiresidenziali e residenziali di centri iorentini specializzati, accompagnando gli utenti in alcune delle loro percorrenze quotidiane. Le interviste sono state condotte con 10 pazienti di età compresa tra i 20 e i 40 anni. I percorsi sono stati registrati con l’utilizzo di un GPS (Global Positioning System) in modo da collegare i dati percettivi e comportamentali a concreti spazi urbani. ° Istituto Palazzolo Rosà (VI) * Istituto Palazzolo Rosà (VI) + CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze, Firenze; LaGeS - Laboratorio di Geograia Sociale, Università degli Studi di Firenze, Firenze * CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze, Firenze 75 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 RISULTATI: la ricerca è attualmente nella fase di completamento della raccolta dati. Una valutazione preliminare del materiale inora disponibile sembra confermare che l’analisi della concreta esperienza urbana dei pazienti possa permettere di identiicare con precisione quali luoghi e quale costellazione di elementi del contesto spaziale generano particolare stress o, viceversa, sensazioni positive. Simposio 10: Etnodisabilità: emergenze, ricerche ed esperienza Chairman: Alessandro Castellani e Sumire Manzotti INTRODUZIONE ALL’ETNODISABILITÀ Alessandro Castellani In questa presentazione introduttiva al Simposio “Etnodisabilita’: emergenze, ricerche ed esperienze” viene ricordato l’interesse, ormai presente già da alcuni anni nella S.I.Di.N., alla conoscenza speciica e all’approfondimento delle problematiche connesse alle persone disabili appartenenti ad altre etnie e ad altre culture e vengono sintetizzati alcuni concetti-base che riguardano l’approccio all’etnodisabilità. Lo sforzo rappresentato da questa relazione è sintetizzabile nella volontà di iniziare a suggerire constatazioni, considerazioni e, quando possibile, adeguati indirizzi operativi sia nel campo della ricerca che dell’assistenza, soprattutto in funzione e nel rispetto dei contesti di provenienza. AGGIORNAMENTI IN TEMA DI ETNODISABILITÀ: LINEE GUIDA DELLA WPA, IMPOSTAZIONE DSM-5, ESPERIENZE INTERNAZIONALI Sumire Manzotti* 53 La Società Italiana di Psichiatria (SIP) (novembre 2014) ha documentato l’aumento dei disturbi psichiatrici tra gli immigrati nel nostro paese e la conseguente necessità di porre in atto piani di interventi mirati – tra i quali la formazione dei medici. Nei sistemi di Welfare (sistemi di distribuzione della ricchezza tra le classi sociali e tra gli autoctoni e gli immigrati) l’equità, tuttavia, non è da intendersi come la fornitura di servizi standard ed uguali per tutti, ma come la capacità dei servizi di adeguarsi alle speciiche esigenze di salute di gruppi di popolazione. In risposta a questa situazione di emergenza l’ambito di studi che conluisce sotto le etichette di etnopsichiatria, psichiatria transculturale o culturale, etnopsicologia, antropologia psicologica o psicoantropologia, etnomedicina, etc., sta rapidamente ampliandosi. Nel 1969 l’American Psychiatric Association (APA) ha deinito l’ambito della psichiatria transculturale nello studio comparativo della salute e della malattia mentale presso diverse società, nazioni e culture e nello studio delle inter-relazioni tra disturbi mentali e contesti culturali. Per quanto riguarda l’ambito clinico, la psichiatria culturale si preigge il compito di occu* Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) 76 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” parsi del trattamento dei disturbi psichiatrici di persone di diverse etnie o con un differente bagaglio culturale. Ciò implica una valutazione, un trattamento ed una riabilitazione adatte alla cultura a cui ci si riferisce. Dalla psichiatria culturale, inine, sono derivate la psichiatria delle minoranze e l’etnopsichiatria. La psichiatria delle minoranze si occupa dello studio delle minoranze etniche. Il presupposto di questa scienza è che le minoranze - sottogruppi meno privilegiati di persone in una certa società, abbiano esperienze speciali e negative come, ad esempio, la discriminazione, la deprivazione culturale, problemi di identiicazione etnica o la carenza dei servizi sanitari compresi quelli riguardanti la cura dei disturbi psichiatrici. ESPERIENZA RIGUARDO A MULTICULTURALITÀ E DISABILITÀ NEL SERVIZIO DI NPIA DI REGGIO EMILIA Gabriela Gildoni*, Gloria Dazzani° e Serena Nannini+ 54 55 56 In Italia si inizia a parlare in modo speciico di handicap e immigrazione, ma l’iter diagnostico tradizionale non lascia spazio alla multiproblematicità di situazioni di disagio sociale e sradicamento culturale. Lo spaesamento delle famiglie immigrate caratterizzato da carenza di legami sociali signiicativi e funzionali ostacola l’elaborazione emotiva e la capacità organizzativa di affrontare la disabilità dei igli. Reggio Emilia ha avuto, negli ultimi 20 anni, un incremento demograico tra i più alti in Italia dovuto a un massiccio fenomeno migratorio sia interno sia proveniente da paesi nord-africani, est europei e asiatici ed è la seconda provincia in regione per percentuale di cittadini stranieri sul totale della popolazione. In NPIA i pazienti migranti con diagnosi nell’ambito di disabilità gravi hanno percentuali superiori a quelle dei migranti nella popolazione generale rispetto alla popolazione italiana. Cause accertate o verosimili appaiono migrazioni e ricongiungimenti selettivi quando c’è un familiare disabile, matrimonio tra consanguinei, minore prevenzione nella gravidanza e nel parto. Emerge una grossa criticità nel seguire questi pazienti da parte dei tecnici della riabilitazione, soprattutto quando i genitori non conoscono la lingua italiana, in quanto il lavoro è basato anche su un confronto continuo con i caregiver. Come mettere a punto strategie di intervento interculturalmente calibrate? Descrizione di intervento di C.A.A. in un bambino con sindrome malformativa congenita e gravissimo disturbo di linguaggio di una famiglia di origine egiziana, i cui genitori non parlano italiano, con l’aiuto della mediazione culturale. CASCINA DOSSO S. ANDREA (BRESCIA) La mia esperienza di Riabilitazione della Disabilità Intellettiva con Extracomunitari Mariangela Lamagni Nella mia esperienza lavorativa mi sono occupata di riabilitazione nel campo della disabilità intellettiva con utenti provenienti in particolare dal mondo arabo. La maggiore dificoltà ri* Direttore di Struttura Complessa NPIA AUSL di Reggio Emilia ° Responsabile di Struttura Semplice NPIA di Reggio Emilia + Coordinatore degli operatori sanitari della NPIA, Reggio Emilia 77 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 scontrata, come dirigente donna, che ho condiviso anche con le mie operatrici, è stata quella di trovare la giusta modalità di interazione con ragazzi di provenienza culturale così diversa dalla nostra. D’altra parte ho notato un grosso limite, anche da parte di questi ragazzi, a idarsi di me in quanto donna, dunque non ritenuta all’altezza del compito educativo che mi accingevo a svolgere con loro. Una ulteriore dificoltà è nella comunicazione con questi ragazzi, che quasi sempre non conoscono la lingua italiana, e che hanno problemi di comprensione, spesso erroneamente interpretati come deicit cognitivi. E’ dificile, inoltre, far capire sia ai ragazzi che alle loro famiglie l’entità di eventuali problemi cognitivi, poiché spesso manca la conoscenza di determinate patologie nella loro cultura. Una strategia eficace per migliorare la comunicazione tra questi ragazzi e le loro famiglie è stata l’assunzione di un operatore giovane di lingua araba. Mediazione culturale di un operatore di origine Araba Mahmoud Abdalla La mia esperienza nella comunità dove lavoro è di mediare tra gli operatori e gli utenti, e tra gli utenti, le loro famiglie e i servizi sociali. Il mio compito, tuttavia, non è semplicemente di tradurre dei concetti da una lingua ad un’altra, ma da una cultura ad un’altra, cercando di agevolare la comprensione di tanti aspetti della cultura italiana a noi sconosciuti e dunque dificilmente comprensibile. L’esempio più lampante è la dificoltà nella gestione degli spazi e dei tempi della giornata, che possono essere scambiati per dificoltà di apprendimento. Occupandomi in questo periodo di casi di disabilità intellettiva certiicata, trovo dificoltà, da un lato, nel far capire al ragazzo che avrebbe bisogno di un supporto psicologico o psichiatrico, e dall’altro, nel comunicare alle famiglie tale disabilità, facendo loro comprendere la necessità e l’utilità di questi supporti, di cui essi sono quasi sempre all’oscuro, proprio per la diversità del loro sistema e della loro cultura. PRESENTAZIONE/PROPOSTA DI UN QUESTIONARIO DA DISCUTERE, PERFEZIONARE E DEFINIRE INTERATTIVAMENTE FINALIZZATO A RILEVAZIONE ED EVIDENZIAZIONE DI COSTI E BISOGNI Alessandro Castellani e Sumire Manzotti* 57 Viene proposto un questionario per la rilevazione dei problemi che le persone con disabilità provenienti da paesi extracomunitari pongono al nostro sistema di assistenza socio - sanitaria. Il questionario si compone delle seguenti parti: A. anagraica; B. descrizione della disabilità (esiste una documentazione clinica dei paesi di provenienza?); C. tipi di bisogni: medico - specialistici, abilitativi, di trattamento; D. esperienze e vissuti di contatto e/o presa in carico. Il questionario sarà discusso e integrato nell’ambito del simposio. * Minamiyachimata Mental Hospital 78 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 11: Malattie rare. Simposio in onore di Franca Dagna Bricarelli Chairman: Annapia Verri e Aldo Moretti INTRODUZIONE: PROFILO DI FRANCA DAGNA BRICARELLI Aldo Moretti MALATTIE RARE E DISABILITÀ INTELLETTIVA Annapia Verri* 58 “Malattie rare” (MR) è un termine clinicamente vago, estesamente comprensivo e, al contempo, indeinito, che mette insieme le malattie più disparate, essenzialmente accomunate da una loro relativamente bassa prevalenza, spesso non disgiunta da un elevato livello di complessità assistenziale-terapeutica (quando non anche socio-relazionale) (Burgio, 2012). Una malattia rara ha una prevalenza di 1:2000 in Europa e 1:5000 negli Stati Uniti. Fino ad oggi sono state descritte 7000 MR e nuove descrizioni vengono regolarmente aggiunte alla lista. Nel complesso colpiscono una parte signiicativa della popolazione e l’incidenza cumulativa annuale di MR è stimato al 1,3-2,2% della popolazione generale per le 199 più comuni. Queste malattie appaiono sia durante l’infanzia o più tardi nella vita; sono spesso croniche e invalidanti, associate a diversi tipi di disabilità ed a diversi livelli di gravità. La maggior parte (80%) sono di origine genetica (cromosomica, monogenica o complessa genetica), ma alcune sono di origine infettiva o autoimmune. Le malformazioni congenite sono geneticamente eterogenee. Alcune possono essere monogeniche, ma queste sono spesso casi sporadici, e la mancanza di una storia familiare rende impossibile identiicare un’eziologia monogenica. Altre sono complesse malattie genetiche che possono essere considerate di origine oligogenica, poligenica o multifattoriale. Almeno alcune sono di origine epigenetica. La valutazione diagnostica del bambino affetto da Disabilità Intellettiva rappresenta una sida per i clinici (Cereda, 2008). “I pazienti con “malattie rare” hanno il diritto di fruire di una preparazione culturale medica di prim’ordine, di una diagnosi rapida, di ricerca e terapia” (Remuzzi & Garattini, 2008). Anche dopo una dettagliata analisi clinica il numero di pazienti senza una diagnosi eziologica speciica rimane elevata, tra il 30 al 50%. I bambini con Disabilità Intellettiva più comunemente presentano malformazioni e altre anomalie strutturali rispetto ai soggetti senza Disabilità Intellettiva. In molti casi le anomalie associate alla disabilità comprendono sindromi riconoscibili causate da danni genetici o ambientali. La co-morbidità di anomalie strutturali e ritardo psicomotorio aiuta, quindi, nella valutazione diagnostica, soprattutto nei neonati e nei bambini piccoli. Variabilità di espressione fenotipica ed eterogeneità genetica sono i problemi aperti. Una prospettiva genetica clinica è l’approccio moderno per affrontare meglio la complessità della valutazione diagnostica. * Fondazione Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino, IRCCS, Pavia 79 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 MALATTIE RARE: TRA SCIENZA, ETICA, SOCIETÀ E SOSTENIBILITÀ Renza Barbon Galluppi° 59 L’essere affetti da malattia rara può portare le persone a sentirsi incomprese o a rendere psicologicamente fragile il contesto familiare. Non è inusuale, in questo contesto, l’alternarsi di situazioni estreme: dall’autogestione ai viaggi della speranza in cerca di una cura o trattamento adeguato. Come non è altrettanto inusuale la lotta quotidiana per avere il rispetto di propri diritti a volte inopinatamente negati o al vivere un repentino decadimento inanziario del nucleo familiare, arrivando in breve alla soglia di povertà. Le nuove frontiere alle quali ci apre la medicina rigenerativa ci richiamano ad una responsabilità rinnovata rispetto allo sviluppo della scienza ed al suo impatto sulle scelte sociali e individuali ed esigono un modello più avanzato di cittadinanza. Non è più sostenibile un processo scientiico senza il coinvolgimento dei cittadini, in particolare le scienze della salute, come da anni l’Unione Europea fortemente sostiene. “Scienza, Etica, Ricerca, Assistenza, Responsabilità Sociale e Sostenibilità” una sida aperta che un modello di ricerca e cura dedicate, innovative e sostenibili, pone: la creazione di infrastrutture interconnesse per la raccolta, la validazione e la fruizione di un dato globale (clinico, biologico, genomico) secondo criteri di qualità ed etici. Si rivela determinante una conigurazione del dato globale che superi una concezione separata di registro per la ricerca e di biobanca e che determini una governance rinnovata, non evasiva delle questioni etiche e sociali implicate. Il Biobanking ci conduce alla stipula di un nuovo Patto sociale nello sfondo di una svolta biomolecolare della Scienza. Questo impone la necessità ineludibile di un coinvolgimento diretto, un dialogo costante sia con le persone affette da malattia rara e loro familiari, sia con i cittadini in generale, ad iniziare dai più giovani, per una ricerca etica, sostenibile e prospettata col cittadino. LA CONDUZIONE DELLA TERAPIA CON FARMACI ANTIEPILETTICI NELLE PERSONE CON DISABILITA’ INTELLETTIVA DA MALATTIE RARE Cesare Maria Cornaggia*, Cecilia Perin* e Massimiliano Beghi° 60 61 Le sei condizioni di salute più frequenti nel bambino con Disabilità Intellettiva sono Epilessia, (22.0/100), Paralisi Cerebrale (19.8/100), Disturbi d’Ansia (17.1/100), Disturbo Oppositivo Provocatorio (12.4/100), Sindrome di Down (11.0/100) e Disturbo Autistico (10.1/100); inoltre circa l’80% dei pazienti con Disturbi dello Spettro Autistico presenta un certo livello di Disabilità Intellettiva. L’Epilessia è, inoltre, presente nel 20-40% dei pazienti con Paralisi Cerebrale, nel 20% di tutti i Disturbi dello Sviluppo Intellettivo, è più comune negli emi-tetra paretici ed è associata a una compromissione della cognizione. Atteggiamenti autolesionistici e aggressività etero- ° UNIAMO F.I.M.R. onlus * Department of Surgery and Translational Medicine, University of Milano Bicocca ° Department of Mental Health, “G.Salvini” Hospital, Garbagnate Milanese, (MI) 80 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” diretta sono spesso trattati con Stabilizzatori dell’Umore e sono molto comuni nella Disabilità Intellettiva. Nello speciico, una signiicativa più alta prevalenza di autolesionismo è obiettivabile nelle sindromi Cornelia de Lange, Cri du Chat, X Fragile, Prader-Willi e SmithMagenis. La prevalenza di aggressività è, invece, sensibilmente aumentata nelle sindromi di Angelman e Smith-Magenis. L’autolesionismo è associato a comportamento repetitivo ed impulsivo in Cornelia de Lange, Fragile X, Prader-Willi. L’impulsività e l’iperattività sono signiicativamente più elevate in coloro che mostrano aggressività in tutti i gruppi di pazienti sopracitati. Nei Disturbi Bipolari e del comportamento, Valproato e Carbamazepina sono i farmaci più studiati e risultati eficaci anche in monoterapia, anche in pazienti con Disabilità Intellettiva. I nuovi farmaci antiepilettici sembrano agire anch’essi positivamente sui disturbi del comportamento in pazienti con Epilessia e Disabilità Intellettiva; in particolare il Gabapentin e il Pregabalin sono eficaci su Ansia e Disturbi del Tono dell’Umore. Inoltre, trovare l’appropriato trattamento di prima scelta per tipo di crisi epilettica e sindrome (crisi focali o generalizzate) appare essenziale. Se il paziente continua ad avere crisi, bisogna rivedere la diagnosi, l’aderenza al trattamento e veriicare che sia stata utilizzata la massima dose tollerata. Alcuni farmaci antiepilettici (Fenobarbital, Topiramato, Fenitoina) presentano in misura maggiore rispetto ad altri (Valproato, Carbamazepina, Lamotrigina, Gabapentin) effetti negativi intrinseci sulle funzioni cognitive (attenzione e capacità di concentrazione) o comportamentali. Il trattamento di tali soggetti non deve, quindi, differire rispetto ai pazienti senza deicit intellettivi, ponendo l’attenzione sugli effetti collaterali cognitivi intrinseci dei farmaci. DISTURBI PSICHIATRICI E COGNITIVITÀ NELLE SINDROMI GENETICHE: PROGETTO PSICOGEN Annamaria Bianco+, Niccolò Varrucciu* e Marco O. Bertelli° 62 63 64 OBIETTIVO: la prevalenza dei disturbi psichiatrici nelle persone con Disturbi dello Sviluppo Intellettivo (DSI) è superiore a quella della popolazione generale. La ricerca sul nesso causale con speciiche sindromi genetiche è scarsa e discordante. Lo scopo del presente lavoro è identiicare speciici proili cognitivi e psicopatologici nelle principali sindromi genetiche includenti DSI. MATERIALI E METODI: è stata condotta una mappatura sistematica della letteratura sulla relazione fra disturbi psichiatrici e disfunzioni cognitive nelle sindromi genetiche includenti DSI. I quesiti di riferimento per la mappatura sono stati: “quali aspetti psicopatologici risultano prevalenti nelle sindromi genetiche includenti DSI?” e “quali disfunzioni cognitive speciiche sono prevalenti nelle diverse sindromi genetiche includenti DSI?”. Gli articoli sono stati esaminati utilizzando i 5 livelli di evidenza dei criteri Cochrane per la ricerca. La ricerca degli articoli è stata condotta utilizzando i principali motori di ricerca. Per la deini+ * CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori - Fondazione San Sebastiano), Firenze CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori - Fondazione San Sebastiano), Firenze ° CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori - Fondazione San Sebastiano), Firenze; WPA-SPID (World Psychiatric Association-Section Psychiatry of Intellectual Disability) 81 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 zione della prevalenza dei disturbi psichiatrici e del grado di compromissione del QI nelle diverse sindromi genetiche sono stati considerati solo studi con metodi complessi (tipo I, II e III Cochrane). RISULTATI: la maggior parte degli articoli trovati corrispondevano a bassi livelli di evidenza (IV e V Cochrane). Anche se la dimensione dei campioni era spesso limitata, un discreto numero di studi ha mostrato proili cognitivi e psicopatologici molto diversi in sindromi genetiche con QI simile. Nella maggior parte dei casi la letteratura riporta descrizioni non ben deinite, apparentemente legate a dificoltà di valutazione. Lo studio delle caratteristiche psicopatologiche e cognitive speciiche potrebbe migliorare la comprensione della relazione fra genotipo, epigenotipo e fenotipo, non solo in termini di vulnerabilità ma anche di abilità alla soddisfazione di vita e indicare, così, nuovi percorsi terapeutici e ri-abilitativi. Simposio 12: Utilizzazione della narrazione nella assistenza Chairman: Ciro Ruggerini e Luca Genoni INTRODUZIONE: PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO ISS SULLA MEDICINA NARRATIVA NELLA ASSISTENZA Ciro Ruggerini* 65 Il momento storico attuale è caratterizzato da una rilevante sintonia di concezioni che provengono da aree culturali distanti. Un’area Etica sta imponendo, anche nel campo della disabilità, il costrutto di “Capability” di Sen come l’obiettivo sovraordinato di ogni azione. Le parole chiave che deiniscono questo costrutto sono: “ioritura”, opportunità, scelta e libertà. Nella Psicologia dello Sviluppo viene considerato chiave il costrutto di Agency: l’individuo può elaborare una rappresentazione positiva di sé solo quando può dirigere in modo consapevole il proprio percorso. La medicina ha valorizzato la narrazione della propria condizione, non più solo come “disease” ma anche come “illness”. La recentissima Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (2014), che ha consacrato in un documento la “svolta” del riconoscimento “uficiale” del ruolo della narrazione nella assistenza, deinisce la Medicina Narrativa come una “…metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una speciica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il ine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura)…”. Le persone con Disabilità sono predestinate come tutti gli esseri umani a ricercare un loro destino e a sceglierlo tra le opportunità che incontrano nel loro contesto. Per fare questo hanno bisogno di narrarsi. La loro narrazione può contribuire non solo al miglioramento dei percorsi * ASP Charitas (Modena); Cooperativa “Progetto Crescere” (Reggio Emilia) 82 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” assistenziali che li coinvolgono ma, anche, allo sviluppo di una Comunità più competente nel riconoscimento dei diritti umani. BIBLIOGRAFIA: Istituto Superiore di Sanità (2014) Documento della Consensus Conference “Linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”, www.malattierare.it FATTORI SOCIO-AMBIENTALI E DISABILITÀ INTELLETTIVA: UNO STUDIO DI RELAZIONE Marco O. Bertelli*, Elisa Rondini° e Daniela Scuticchio+ 67 66 68 OBIETTIVO: la letteratura inora prodotta sembra indicare che le persone con Disabilità Intellettiva (DI) presentano peculiarità quantitative e qualitative di vari fattori socio-ambientali rispetto alla popolazione generale. L’identiicazione di tali peculiarità avrebbe implicazioni molto importanti per la prevenzione e gli interventi riabilitativi/terapeutici e per lo sviluppo di procedure d’inclusione sempre più eficaci. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare la portata delle relazioni fra variabili socio-ambientali nella persona con DI, con particolare riferimento alla storia individuale e ai contesti di vita. MATERIALI E METODI: un campione consecutivo e multicentrico di 107 persone con DI afferenti a servizi residenziali o clinico/riabilitativi di diverse regioni d’Italia è stato valutato attraverso la somministrazione di ISTORIA (Indagine Storiograica Organizzata per il Ritardo Intellettivo nell’Adulto), un questionario semi-strutturato volto ad indagare le dimensioni cliniche ed esistenziali del paziente, con particolare riferimento alle aree sopra menzionate. I punteggi ottenuti sono stati elaborati statisticamente, attraverso analisi di frequenza e calcolo degli indici di correlazione. RISULTATI: sono state rilevate correlazioni signiicative tra le dimensioni relative all’ambiente famigliare ed educativo/professionale e l’integrazione a livello di comunità. Ulteriori associazioni hanno riguardato i parametri relativi alle relazioni con individui o gruppi fuori dalla famiglia, ai cambiamenti di residenza e/o domicilio e al livello di stimolazione ambientale ricevuto. IL “VOCABOLARIO” DEL DISAGIO EMOZIONALE Giuseppe Chiodelli* 69 Il linguaggio è lo strumento che l’evoluzione ci ha dato per comunicare con il mondo, con gli altri, con noi stessi allo scopo di conoscere e apprendere nuove realtà. Non si può non comunicare (Paul Watzlawick), poiché ogni comportamento ha valore di messaggio: anche il silenzio, la distrazione o l’isolamento di un bambino o il non comunicare del comportamento * CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano, Firenze; WPA-SPID (World Psychiatric Association – Section Psychiatry of Intellectual Disability) ° CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano, Firenze; Università degli Studi di Firenze + CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano, Firenze * Istituto Fondazione Sospiro Onlus, Sospiro (Cremona) 83 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 schizofrenico, costituiscono messaggi che inluenzano gli altri. Secondo la Relational Frame Theory (RFT) il linguaggio (inteso come attività simbolica speciica degli esseri umani) da un lato è ed è stato la più grande arma del progresso ma, contemporaneamente, rappresenta il silenzioso strumento che genera la sofferenza psicologica modulando (sottraendo) ciascuno di noi al contatto diretto con la realtà. Secondo la ilosoia e la cultura che informano l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la sofferenza psicologica è connaturata ed ubiquitaria alla natura umana. Le persone con IDD hanno, per la natura stessa della loro condizione esistenziale, fragilità negli strumenti della comunicazione: le persone più gravi, a causa dei marcati deicit del linguaggio, sono quelle maggiormente esposte all’azione delle contingenze ambientali; le persone a minor grado di compromissione dello sviluppo sono più esposte all’effetto di generazione della sofferenza psicologica da parte di un linguaggio più fragile e meno capace di promuovere quella lessibilità psicologica come capacità di vivere il reale in modo adattivo. Tutto ciò ci porta a dover considerare che tutti gli interventi a favore delle persone con DI, in modo ineludibile, debbano essere rivolti a sostenere sia i contesti di vita sia la comunicazione della persona disabile e degli operatori in quanto fonti di sofferenza psicologica e freno allo sviluppo degli individui stessi. IL SOGGETTO SCOTOMIZZATO: LA DISTORSIONE DEL RAPPORTO MEDICO PAZIENTE NEL CAMPO DELLA DISABILITÀ Luca Genoni* 70 Molte fondamentali categorie sono costituite da un tris: i trascendenti, le dimensioni dello spazio, i tempi, i pronomi personali soggetto. In “L’unicità del paziente – L’ettagono di Ippocrate” insisto su sette tris quali condizioni necessarie per istaurare rapporti capaci di tutelare l’inviolabilità del singolo e di promuoverne la crescita. Il primo tris riguarda l’essere umano. Le tre componenti sono il corpo biologico-analizzabile, il personaggio relazionale e il sempre diverso soggetto. Ognuna è indispensabile ma non suficiente. Ci vogliono sempre tutte tre. Insieme formano l’indivisibile individuo, che con la sua identità vivente è rappresentabile tramite il triangolo, la forma geometrica stabile per eccellenza e in grado di variare la sua forma (vita) senza cambiare la supericie (identità). Il cerchio, mutando la forma, cambia anche la supericie diventando un altro cerchio: è pura identità, è perciò divino. Il triangolo, invece, è umano. Al primo triangolo sull’essere umano ne seguono altri sei, tutti allineati come quelli del cioccolato Toblerone: ogni lato del primo triangolo ha sei corrispondenti. La visione triangolare è garante che non si oltrepassi il limite, la hybris. L’uomo da sempre vuole superare i limiti umani del triangolo, aspirando a una circolare onnipotenza divina tramite eclatanti ed efimere monovisioni o a più camuffate e longeve visioni bipolari. In queste ultime il lato del triangolo reietto è quello del soggetto e con esso quelli del presente, del bello e del tu. Rimangono il passato con la verità della scienza e il futuro con le estrapolate idee del bene: il disabile è ridotto a punto di applicazione della scienza e burattino di astratti pensieri, privo del suo tu e, perciò, senza possibilità di costituire con un io un noi. Per essere umani bisogna, però, essere almeno in due. Un tris velenoso: tripla disabilità relazionale. * Lugano 84 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” SABATO 16 MAGGIO 2015 Programma della giornata (per una descrizione più dettagliata si veda la sezione informazione in fondo al presente volume): • • • • • • • • • • • • • • • 08.00: Apertura Segreteria per la registrazione 08.45-09.00: Auditorium - Saluti / Comunicazioni Organizzative 09.00-10.30: La nozione di integrazione socio-sanitaria; Chairman: M.R. Grossa e P. Vescovi 09.00-09.30: “Innovazione sociale, sostenibilità economica e diritti umani” - S. Manzotti 09.30-10.00: “La progettazione di un modello socio – sanitario tra lessibilità dei servizi, qualità di risposta alla complessità dei bisogni e nuovi modelli di valutazione” - A. Moretti, S. Rossi e U. Cammeo 10.00-10.30: “L’integrazione socio sanitaria in Trento” - P. Maccani 10.30-11.00: Coffee Break - “Cooperativa Ribes” che occupa ed impegna persone con dificoltà o svantaggiate 11.00-13.00: Simposi paralleli: 13: La clinica delle doppie e triple diagnosi: prassi terapeutiche; 14: Tecniche e tecnologie per la ri-abilitazione; 15: Le transizioni nella vita dei disabili; 16: Spiritualità, salute mentale, disabilità e resilienza; 17: Economia e welfare dei servizi, oltre la miopia dei costi; 18: I lati oscuri del neuro sviluppo: percorsi verso il comportamento antisociale 13.00-14.00: Pausa Libera 14.00-14.30: Auditorium - Chairman: T. Gomiero - Premiazione dei Poster: Relazione sui tre Poster premiati e presentazione (max 5 minuti ciascuno) Auditorium - Chairman: A.L. Sangalli 14.30-15.00 (NO ECM): Presentazione della rivista “Spazi e Modelli. Percorsi evolutivi per la disabilità psicoisica” edita da Consorzio Agorà. - F. Bottura, E. Furlani. 15.00-15.30: Qualità di vita ed integrazione dei Servizi: esperienza di collaborazione Anffas - APSP Anaunia. - U. Mantesso, K. Molinari 15.30-16.00: Anffas Trentino e Cani da Vita di san Patrignano: 20 anni di pet – therapy - O. Zuccatti, A. Linari 16.00-16.30: Tavola rotonda: “Etica, conoscenze e innovazione dell’assistenza” - Coordinamento a cura di G.L. Nicoletti (giornalista/genitore). Partecipano: Presidente Anffas; Presidente SIDiN; Direttore Generale della Azienda Sanitaria Trento; Direttori dei Servizi Sociali; MMG (Mantesso); Rappresentante del Vescovo di Trento; Assessorato Politiche sociali-sanitari della Provincia di Trento (Borgonovo Re); coordinamento didattico disabilità (Tonelli). 85 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Sessione Plenaria: “La nozione di integrazione socio-sanitaria” Chairman: Paola Vescovi INNOVAZIONE SOCIALE, SOSTENIBILITÀ ECONOMICA E DIRITTI UMANI Sumire Manzotti*, Giampiero Griffo** e Ciro Ruggerini*** 71 72 73 L’idea dello “sviluppo sostenibile” costituisce una delle aspirazioni fondamentali e persistenti di tutta l’umanità del ventunesimo secolo. La necessità di conciliare crescita economica ed equa distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo ha iniziato ad essere esplicitamente riconosciuta negli anni ‘70 in ambito ecologico, in seguito alla presa di coscienza del fatto che un concetto (classico) di sviluppo, legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe necessariamente causato, prima o poi, il collasso dei sistemi ambientali. La deinizione di “sviluppo sostenibile” più ampiamente condivisa è quella fornita nel 1987 dalla Commissione Indipendente sull’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development), presieduta dal premier norvegese Gro Harlem Brundtland: “…l’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo cioè far sì che esso soddisi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro…”. La sostenibilità è, dunque, da intendersi come un processo che deve coniugare nel tempo di più generazioni le dimensioni fondamentali e inscindibili della nozione di sviluppo: Ambientali, Economiche, Sociali. Un altro paradigma, nato dalla critica alla visione classica dello sviluppo è stato proposto dall’economista-ilosofo Amartya Sen ed è sintetizzato nel concetto di Capability (Manzotti, 2013); questo paradigma mette in discussione l’impostazione fortemente utilitaristica delle teorie economiche neoclassiche, soprattutto per le ripercussioni che tale impronta ha avuto sull’economia del benessere - branca dell’economia che si propone di valutare le conseguenze sociali delle politiche economiche. Il Capability Approach di Amartya Sen, contrapponendosi alle idee tradizionali che identiicano lo sviluppo con la crescita della produzione e del reddito o con il progresso tecnologico, origina da una visione dello sviluppo inteso come processo di espansione delle libertà reali degli esseri umani. In quest’ottica, l’obiettivo principale dello sviluppo è la rimozione delle varie forme di “oppressione” che impediscono alle persone di scegliere ed agire con dignità. Negli anni recenti (Voget-Kleschin, 2013) gli studiosi di diversi discipline sociali esplorano la possibilità di integrare i due paradigmi in una concettualizzazione utilizzabile nella costruzione dei modelli di sviluppo capaci di orientare politici, professionisti e cittadini nel formulare strategie concrete di azione. BIBLIOGRAFIA Manzotti S. (2013) Narrazione e allocazione delle risorse in una prospettiva extra -welfarista: una metodologia botton-up. In: Ruggerini C., Manzotti S., Griffo G. & Veglia F. (a cura di) Narrazione e disabilità intellettiva – valorizzare le esperienze individuali nei percorsi educativi e di cura. Trento: Erickson. * Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) ** Disabled People International (DPI) *** 86 Cooperativa di Servizi “Progetto Crescere” (Reggio Emilia) Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Voget-Kleschin L. (2013) Employng the Capability Approach in Conceptualizing Sustainable Development, Journal of Human Development and Capabilities: A Multi – Disciplinary Journal for People – Centered Development, 14:4, 403-502. LA PROGETTAZIONE DI UN MODELLO SOCIO – SANITARIO TRA FLESSIBILITA’ DEI SERVIZI, QUALITA’ DI RISPOSTA ALLA COMPLESSITA’ DEI BISOGNI E NUOVI MODELLI DI VALUTAZIONE. Aldo Moretti*, Umberta Cammeo° e Sara Rossi+ 74 75 76 I principi che a mio avviso vanno valutati sono quelli relativi il presupposto dell’integrazione socio-sanitaria, valore questo indiscutibile sul piano culturale e ilosoico, ma estremamente rischioso al momento dell’applicazione complementare dei vari servizi siano essi sociali che sanitari. L’intervento sanitario riabilitativo richiede conoscenze altamente specialistiche e strutture operative che abbiano un’organizzazione idonea a promuovere ed attuare interventi speciici a seconda del bisogno, dell’età e della situazione complessiva della persona disabile. La disabilità pur avendo una dimensione sociale ed esistenziale importantissima è anche una patologia che richiede risposte tecnico-scientiiche adeguate ed idonee ad ogni singolo caso. Gestire il percorso assistenziale presuppone una forte competenza e capacità nell’equilibrare l’aspetto prevalente sanitario con quello sociale ed ambientale altrimenti si corre il rischio di creare un mixer che non ha chiari i tempi ed i modi di esecuzione e che può essere deviato a seconda della competenza o della prevalenza di un’interpretazione culturale. E’ indispensabile pertanto disporre di servizi molto snelli e lessibili oltre ad avere una determinata componente di eficienza ed eficacia. Quanto sopra presuppone un livello culturale di competenza tecnica ad altissimo livello. La riabilitazione oggi è tutt’altra cosa rispetto a quella di 30/40 anni or sono. Si è transitati dalla igura dell’operatore unico a quello del terapista altamente qualiicato capace di progettare e programmare ed intervenire con azioni molto speciiche e rafinate. Questo evidenzia il bisogno di valutare ogni azione anche in termini di costi- beneici non solo sanitari ma anche sociali. Si evidenzia che una alta percentuale di persone disabili se precocemente ed adeguatamente “trattate” possono arrivare ad una integrazione sociale, lavorativa e di autonomia pressoché totale. Si può con buona certezza affermare che almeno il 30% della popolazione disabile può pervenire a questi livelli e quindi uscire da un sistema di “assistenza a vita” per entrare in un modello di tutela non più diretto ma organizzato in termini di monitoraggio. Un altro aspetto è relativo alla continuità delle cure che è determinante per evitare forme di regressione e di aggravamento tali da ricondurre le persone in una situazione di regressione pressoché totale. E’ evidente che nel principio di “continuità della cura” ovvero nel “prendersi cura di” rientrano tutte quelle azioni non solo strettamente socio-riabilitative ma anche tutte quelle azioni sociali, educative, relazionali che sono il tessuto di base per il mantenimento di un equilibrio e stabilità. Il concetto di riabilitazione acquisisce come principio primario * Direttore Scientiico Fondazione CEPIM Genova, Coordinatore Scientiico Centro Boggiano Pico Opera Don Orione ° Psichiatra, Direttore Sanitario Cooperativa Sociale Genova Integrazione a marchio ANFFAS + Psichiatra, Direttore Sanitario Area Disabili Istituti Camaldoli e Paverano – Don Orione, Genova 87 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 l’insieme della persona nei suoi aspetti funzionali, relazionali, culturali ed esistenziali. Sintetizzando si può affermare che la riabilitazione opera su tre fondamentali pilastri che sono: prevenzione, cura e mantenimento e che in ogni pilastro deve essere presente un’azione tecnico-scientiica di ordine sanitario da un lato e di una corrispettiva azione sociale (educativa, economica, etc.) dall’altro. La complementarietà di queste due azioni permette la costruzione del progetto riabilitativo, l’alternanza o univocità di una delle due risposte è presupposto di fallimento e regressione. Non esiste un’età o patologia per la quale si possa a priori deinire un inizio e un termine dell’intervento, ogni caso ha una sua speciica identità e una sua speciica soluzione. Anche se gli interventi rivolti alle persone disabili possono assumere forme che non rientrano nella comune cultura sanitaria, devono essere considerati a tutti gli effetti un’azione di intervento terapeutico che richiede la competenza, la modalità e la capacità progettuale tipica di qualsiasi altra azione sanitaria. Sequenze di interventi scientiicamente validati, coordinamento delle azioni, condivisione del progetto necessitano di molte competenze professionali che debbono rientrare in un contesto culturale comune per differenziarsi solo nella speciicità dell’azione e dell’intervento. Tutti gli interventi effettuati debbono avere una validità conosciuta e condivisa e devono essere strutturati come risposta a quello speciico individuo evitando un utilizzo esasperato di protocolli e modalità generiche. Deve essere molto chiara la differenza dell’intervento riabilitativo da quello socio-assistenziale. I tempi e le modalità di cura devono essere dichiarati e veriicati nei loro risultati, cosa ben diversa rispetto a forme di assistenza generica alla persona che non ha e non può avere un riscontro alternativo all’intervento terapeutico. E’ indispensabile chiarire un ultimo punto, ovvero l’improprio uso terminologico che ha creato e continua a creare confusioni che si riverberano sul sistema organizzativo e gestionale. Un esempio per tutti: quando si parla di interventi intensi/estensivi/mantenimento si deve chiarire che nell’ambito dei servizi ex art. 26 il concetto di intensivo non esiste in quanto la patologia è acclamata ed ha superato la fase acuta che giustiica l’intensività (attività tipicamente ospedaliera) pertanto si deve considerare univocamente la possibilità di interventi estensivi di mantenimento, i primi a totale carico del servizio sanitario i secondi compartecipati come previsto dall’attuale legislazione. Nel corso degli ultimi anni, le ristrettezze economiche che la sanità ha subito, hanno imposto in Liguria una graduale modiica dell’organizzazione pubblica che, inizialmente è stata centrata prevalentemente sugli aspetti economici e di contrazione delle risorse. Nel campo della disabilità, ciò ha reso ancora più emergenti alcune carenze nel sistema di risposte fornito a livello regionale e la conseguente necessità di rivedere la iliera dei servizi offerti. La Regione ha così istituito un tavolo di lavoro che ha visto presenti rappresentanti delle ASL, dei Comuni, della Consulta e delle strutture sociosanitarie. Il confronto è partito dal presupposto di fornire risposte alla complessità espressa dalla disabilità, a tutti i livelli: clinico, riabilitativo e ambientale. La iliera dei servizi è stata ampliata e per integrare risposte maggiormente lessibili e individualizzate. 88 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” L’INTEGRAZIONE SOCIO – SANITARIA IN TRENTINO Paola Maccani* 77 Il tema della integrazione socio - sanitaria non è certo nuovo, ma appare sempre più attuale per una serie di ragioni: la prima, la consapevolezza ormai diffusa che il concetto di salute non va inteso come assenza di malattia, ma piuttosto come complessivo stato di benessere psicoisico dell’individuo. Tale concetto non può prescindere da un approccio integrato che tenga conto sia degli aspetti sanitari che di quelli sociali largamente intesi, cioè, in sintesi, del progetto di vita della persona. La seconda ragione consiste nella chiara, documentata evidenza di quanto i beneici dell’integrazione socio sanitaria, o meglio la deinizione di progetti di cura ed assistenza che comprendano sia risposte a bisogni sanitari che interventi di tipo sociale intesi nel signiicato più ampio, comportino un miglioramento nella qualità dei servizi e nel grado di soddisfazione dell’esperienza dei cittadini, tanto quanto una riduzione dell’accesso ai servizi d’urgenza del Servizio sanitario. Questo effetto è tanto più evidente nelle persone con bisogni complessi, come ad esempio i bambini e gli adulti con disabilità, gli anziani, le persone che soffrono di malattie croniche o di disturbi mentali o di dipendenze. Per queste considerazioni la Provincia Autonoma di Trento, con la legge provinciale 16/ 2010, “Tutela della salute in provincia di Trento”, ha inteso riconoscere la rilevanza della integrazione socio - sanitaria prevedendo speciiche azioni innovative che, soprattutto per le persone più fragili, consentissero di assicurare la disponibilità di un unico Punto di riferimento informativo e di presa in carico socio - sanitario (Punto Unico di Accesso), la valutazione congiunta dei bisogni e della attese dei cittadini (Unità Valutative Multidisciplinari), la costruzione condivisa di progetti di vita in grado di adeguarsi al naturale evolversi del ciclo di vita delle persone (Piano individualizzato), alcuni strumenti di integrazione tra istituzioni (Comitati, Tavoli, etc.). In questi ultimi anni, la realizzazione delle previsioni normative ha consentito alla sanità (Azienda Provinciale per i Servizi sanitari) e al sociale (Comunità di Valle) di mettere a sistema esperienze consolidate di integrazione, ma anche di rivitalizzare il tema attraverso una condivisione di culture, di linguaggi, di formazione, di idee, di realizzazioni concrete che hanno già consentito un miglioramento nella qualità dei servizi diretti ai cittadini. Inoltre, l’attività svolta ha messo in campo importanti cantieri di lavoro, su aree che sidano quotidianamente i servizi pubblici nell’aumentare la capacità di risposta ai cittadini, che ci aspettiamo producano a breve ulteriori beneici soprattutto per le persone fragili e per le loro famiglie. * Direttore della Direzione per l’integrazione sociosanitaria, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, Trento 89 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Simposio 13: La clinica delle doppie e triple diagnosi: prassi terapeutiche Chairman: Gian Luigi Mansi e Stefano Calzolari OLTRE LA TERAPIA: PROMOZIONE DEL FUNCTIONING E DELLO SVILUPPO Valeria Vianello Dri* e Stefano Calzolari** 78 79 Il lavoro clinico in NPI si situa all’interno di un processo che per deinizione presenta caratteristiche evolutive: - per la fascia d’età coinvolta (0-18 anni), che dal punto di vista neurobiologico è una fase altamente «plastica» (espansione e e sviluppo di capacità e funzioni); - per i percorsi necessari a promuovere una piena integrazione del bambino con disabilità anche cognitiva: dall’integrazione nelle scuole di ogni ordine e grado, alle collaborazioni con strutture di tipo socio-educativo , ino al lavoro protetto; - in termini di impatto sulle famiglie (coinvolte in misura eguale a quella del piccolo paziente): in questo caso il lavoro sull’intero nucleo familiare rappresenta un fattore protettivo nei confronti di un’evoluzione negativa del sistema familiare. Le malattie che comportano un coinvolgimento attivo del Sistema Nervoso Centrale rappresentano ino al 25-30% del care pediatrico. Sia le malattie neurologiche acute (infezioni e iniammazioni del SNC, traumi cranici, stroke, etc.) che le patologie croniche (metaboliche, malformative, epilessie, malattie genetiche sindromiche, etc.) possono produrre signiicative alterazioni sul piano neuromotorio e neurocognitivo. Si tratta dunque di una clinica che si presenta sovente in termini di complessità: - diagnostica (alterazioni a carico di più organi e sistemi); - terapeutica: riabilitativa/abilitativa; - di promozione dello sviluppo e del funzionamento globale. Se, in tutte queste situazioni, il percorso di sviluppo è sicuramente un percorso non lineare e il lavoro clinico è di non facile gestione in termini di complessità delle cure necessarie, essi possono tuttavia diventare una sida e un’occasione a livello della promozione e di integrazione «funzionale» dei nostri pazienti e delle loro famiglie. L’ASSESSMENT DEI DISTURBI DELL’UMORE Roberto Cavagnola* 80 La presenza di problematiche di tipo depressivo è stata a lungo una condizione non riconosciuta all’interno della disabilità intellettiva grave. In questa autentica ombreggiatura diagnostica ha storicamente pesato non poco il paradigma psicodinamico che, come affermato da Penrose (1963), vedeva le persone con disabilità intellettiva “immunizzate” dal disturbo depressivo in ragione di una strutturale debolezza dell’Io e, di conseguenza, del Super IO dove: “...i sensi di colpa e di autosvalutazione a livello conscio e inconscio, caratteristici dei * * * Dirigente medico, UOC1 Neuropsichiatria Infantile, APSS Trento * Direttore, UOC1 Neuropsichiatria Infantile, APSS Trento Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro, Presidente “Amico Di” 90 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” disturbi affettivi generati da un super-io ipertroico, ne risultano attenuati”. I paradigmi culturali non sono stati ovviamente l’unico ostacolo nel riconoscimento di questa condizione: l’assenza di self report verbali rende la semiologia di tale quadro spesso del tutto sovrapponibile ad un variegato quadro morboso. Per converso oggi sappiamo che la prevalenza della depressione unipolare in questa popolazione, pur in un quadro dove i dati appaiono ancora molto difformi e legati agli strumenti diagnostici utilizzati, è maggiore che nella popolazione normotipica e, al contrario di quanto si riteneva, la condizione di disabilità intellettiva grave rappresenta una speciica condizione di rischio per l’insorgenza di un disturbo dell’umore. A fronte di una prevalenza non residuale del disturbo depressivo sono ancora molto rari, in letteratura, gli studi all’interno di questa popolazione. L’intervento si avvale del “Modello Psicosociale Integrato della Depressione nelle persone con disabilità intellettiva grave” di W. Gardner e P. Willmering, che, a sua volta, rappresenta una sintesi eficace ed originale di alcuni contributi storici della Behavior Therapy (Lewinson, Seligman, Ferster), quale guida per giungere ad una adeguata concettualizzazione della Depressione nella popolazione con disabilità intellettiva. LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE PER PROBLEMI DI SALUTE MENTALE NEI DISTURBI DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO Daniela Scuticchio*, Marco Bertelli** e Stefano Lassi*** 81 82 83 OBIETTIVO: La presenza di un Disturbo dello Sviluppo Intellettivo (DSI) è stata considerata a lungo un criterio di esclusione dalla psicoterapia. Tuttavia, evidenze scientiiche crescenti sulla maggiore vulnerabilità psichica e sulla diffusione di disturbi mentali nella popolazione con DSI hanno favorito l’incremento di approcci psicoterapeutici. Lo studio si propone di riassumere i contributi più validi sulla psicoterapia e, in particolare, sulla Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) per la cura di problemi di salute mentale nei DSI. MATERIALI E METODI: È stata condotta una mappatura sistematica della letteratura basandosi sui seguenti quesiti: “quali sono i principali interventi psicoterapeutici per i disturbi mentali in presenza di DSI?”, “la TCC è eficace per i problemi di salute mentale nelle persone con DSI?”, e “quali sono le strategie e le tecniche cognitivo-comportamentali più utilizzate?”. Gli articoli sono stati individuati attraverso i principali motori di ricerca: Medline, Medmatrix, NHS Evidence, Cochrane Library e Web of Science. Le parole-chiave utilizzate: intellectual disability/ies o intellectual developmental disorders o mental retardation o cognitive impairment/s e psychotherapy/ies o cognitive-behavioral therapy e psychiatric disorders o psychopathology o mental health problems. I lavori sono stati selezionati in relazione alla pertinenza del titolo, poi alla coerenza dell’abstract, inine all’attinenza del contenuto integrale con i quesiti suddetti. RISULTATI: I contributi sull’argomento sono scarsi e spesso metodologicamente scorretti. Tuttavia, molti studi hanno evidenziato la possibilità per le persone con DSI di fruire di in* CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze ** CREA (Centro di Ricerca e Ambulatori), Fondazione San Sebastiano della Misericordia di Firenze e WPA-SPID (Associazione Mondiale di Psichiatria – Sezione Psichiatria della Disabilità Intellettiva) *** Fondazione ODA (Opera Diocesana Assistenza), Onlus, Firenze 91 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 terventi psicoterapeutici. In particolare la TCC, con adeguamenti dei tradizionali protocolli, appare la più diffusa ed eficace, soprattutto nei casi di compromissione intellettiva lievemoderata. La ricerca necessita di ulteriori sviluppi per chiarire l’applicabilità della TCC e creare protocolli terapeutici adatti ai DSI. INTERVENTO SUI DISTURBI D’ANSIA NELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA Francesco Ettore Fioriti* 84 Il disturbo ossessivo compulsivo rappresenta una condizione non infrequente nella popolazione con Disabilità Intellettiva spesso non riconosciuta in ragione della dificoltà di diagnosi differenziale derivante dal fatto che alcune caratteristiche comportamentali similari dal punto di vista topograico sono normalmente rintracciabili nelle persone con grave Disabilità e con disturbi dello spettro dell’Autismo. Il contributo illustra un intervento comportamentale effettuato su una persona adulta con Disabilità Intellettiva, inserita in un servizio residenziale, affetta da Disturbo Ossessivo Compulsivo con una variegata topograia di compulsioni (prevalentemente di hoarding e checking) che nella storia della persona era accompagnata da importanti disturbi del comportamento e della condotta (aggressività isica eterodiretta ed autolesionismo). L’intervento comportamentale ha fatto uso di procedure derivanti dalla tradizione degli interventi evidence based della Behavior Therapy all’interno di package di intervento multicomponenziale: - esposizione e prevenzione della risposta; - una rivisitazione della tecnica dei “Rituali Obbligati”; - funzionalizzazione e contenimento di alcune topograie di compulsione; - contrattazione educativa. L’intervento ha messo in evidenza la necessità di rimodulare i sistemi procedurali in considerazione della speciica condizione di Disabilità Intellettiva, ponendo l’accento sui fattori motivazionali e di adesione al trattamento in considerazione della caratteristica assolutamente egosintonica del disturbo ossessivo compulsivo. Gli esiti mostrano l’eficacia dell’intervento comportamentale evidenziando una signiicativa riduzione dei comportamenti compulsivi e dei disturbi comportamentali correlati. ORIENTARSI NELLE FUNZIONI DEL GRAVE DISTURBO DEL COMPORTAMENTO Anna Percudani* 85 Viene presentato un single case study su una grave condotta di autolesionismo associata ad altri comportamenti problematici in un soggetto di 49 anni con lunga storia di interventi contenitivi-restrittivi e un funzionamento personale connotato da signiicative limitazioni, in particolare a livello concettuale (es. comunicativo) e sociale. * * Fondazione Isituto Ospedaliero di Sospiro, membro consiglio direttivo “Amico DI” Psicologa, Coordinatrice di servizio residenza per disabili adulti Fondazione Sospiro Onlus 92 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Il lavoro ha come obiettivo generale quello di garantire maggiore autonomia e libertà, quindi ridurre progressivamente le contenzioni garantendo sicurezza. Nello speciico gli obiettivi sono di decrementare i comportamenti problematici (autolesionismo, aggressività, picacismo) e ampliare le opportunità di interazione con l’ambiente di vita, arricchendo i repertori e potenziando le opportunità di rinforzamento, gratiicazione e raggiungimento di stimoli positivi per il soggetto. La metodologia di lavoro ha previsto una gestione multidisciplinare di matrice contestualista con l’applicazione di procedure e interventi propri dell’Applied Behavior Analysis. In particolare viene presentato la procedura di assessment iniziale e quindi i risultati relativi a: – analisi funzionale per condizioni analoghe nella versione sperimentale e naturalistica, proponendo un modello innovativo rispetto a quelli presenti in letteratura; – assessment dei desideri attraverso la somministrazione della Batteria di valutazione delle preferenze valutazione per singolo stimolo, con uno strumento di recente costruzione; – training per apprendere le transizioni tra i contesti di vita; – training alla comunicazione funzionale. I risultati di queste procedure deiniscono i valori funzionali dei comportamenti problematici, le preferenze e le opportunità dell’ambiente, e consentono di descrivere il trattamento scelto secondo la matrice del Functional Behavioral Approach. Simposio 14: Tecniche e tecnologie per la ri-abilitazione Chairman: Alessandro Castellani e Anna Chiara Marangoni INTRODUZIONE: “ABILITAZIONE, FACILITAZIONE E TRATTAMENTO: QUALE OBIETTIVO?” Alessandro Castellani INTRODUZIONE DI PRASSI DI COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA IN UNA RESIDENZA: FILOSOFIA, METODI E RISULTATI NELLA ESPERIENZA DELL’ASP CHARITAS (MODENA) Andagua S. Hernandez*, Silvia Gozzi*, Chiara Arletti*, Iginio Beneventi*, Sumire Manzotti**, Ciro Ruggerini*** e Rita Mari 86 87 88 PREMESSE: l’implementazione di prassi di CAA in una Residenza richiede la disseminazione preparatoria di: 1. una concezione della Residenza come “Luogo di risorse” in grado di rispondere a bisogni complessi di abilitazione; 2. una concezione etica che pone in primo piano le azioni autodeterminazione; * ASP Charitas (Modena) ** Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) *** Cooperativa Progetto Crescere (Reggio Emilia) 93 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 3. una concezione della CAA che privilegia, al di là della tecnica, una postura comunicativa dell’ambiente di vita. Le persone con DI e DS Autistico possono avere particolari dificoltà di adattamento alla vita residenziale. Le Evidence sono a favore di esperienze di vita guidate dalla logica della “Educazione Strutturata”. Questa logica non esaurisce, tuttavia, i bisogni comunicativi delle persone ma crea, piuttosto, condizioni nelle quali esse possono emergere. CASISTICA e RISULTATI: si descrivono le classiicazioni diagnostiche di 8 persone con DI Severa e DS Autistico, residenti, i metodi di applicazione delle tecniche di CAA e i risultati. I risultati sono descritti in termini di cambiamento delle modalità di funzionamento, secondo un’analisi qualitativa e quantitativa. I risultati indicano che le persone traggono vantaggio dall’utilizzazione di queste tecniche, che aumentano la qualità della loro partecipazione alla vita del contesto. CONCLUSIONE: L’esperienza descritta evidenzia come sia possibile introdurre tecniche di CAA in una Residenza e che questa introduzione è utile per aumentare la qualità dell’interazione degli ospiti con il loro contesto. Questa prassi risponde a un principio Etico – che può essere descritto con la nozione di Capability - e costituisce, secondo il linguaggio della Convenzione ONU, un “accomodamento ragionevole”. Le prospettive aperte dall’esperienza sono: deinire le condizioni organizzative che possono dare continuità all’esperienza e deinire le modalità di disseminazione nel gruppo di lavoro di una cultura omogenea. Poiché il gruppo di lavoro è costituito da operatori eterogenei per formazione professionale e compiti assistenziali le prospettive evidenziate sono cruciali. IL RUOLO DELLA RIABILITAZIONE EQUESTRE E DELLA PET THERAPY IN UN CONTESTO RESIDENZIALE PER DISABILI INTELLETTIVI E/O AFFETTI DA DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO Renato Rondinella La Relazione illustra il ruolo propositivo degli “Interventi assistiti con animali”(I.A.A.), in particolare con i cavalli, in una struttura di tipo residenziale con persone che presentano disabilità intellettive a genesi multipla e/o disturbi dello spettro autistico. Viene documentata, con l’ausilio di un’ampia iconograia foto-cinematograica, l’eficacia delle tecniche equestri usate nell’affrontare problematiche relative alla formazione e allo sviluppo di “senso di appartenenza ad un gruppo”, socializzazione, mutua assistenza, sviluppo dell’autostima, oltre che potenziamento cognitivo e inclusione. La Relazione affronta più aree tematiche e in particolare si pone l’obiettivo di illustrare l’utilità del lavoro sia individuale sia di gruppo, inteso come lavoro “in sella” o in percorsi con calesse. Vengono illustrati anche quali vantaggi possano essere offerti a questo tipo di utenza, afiancando ai tradizionali approcci medicalizzati, approcci di tipo integrato e socio- riabilitativo appropriati, con lo scopo dichiarato di promuovere prospettive di inclusività, attraverso sistemi di sostegno allo sviluppo di capacità eficienti ed eficaci oltreché appropriati e sostenibili. Si pone in evidenza come gli interventi proposti mediati dal cavallo si dimostrino particolarmente indicati sia nel caso di persone adulte che invecchiano, passando gran parte della propria esperienza esistenziale in una struttura socio- assistenziale protetta, sia nel caso di persone che vivono in famiglia ed iniziano l’attività in età infantile o assai precoce. 94 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” DALLA TERAPIA ALLO SPORT INTEGRATO: ESPERIENZE DEL CENTRO DI RIABILITAZIONE EQUESTRE VITTORIO DI CAPUA Alice Passarini*, Annalisa Roscio*, Roberta Giobellina*, Aurora Sotgiu* e Chiara Luzzoli* 89 Il Centro di Riabilitazione Equestre Vittorio di Capua, dell’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, costituisce da più di 30 anni un punto di riferimento per le discipline medico-riabilitative che utilizzano il cavallo come strumento terapeutico. Il Centro è un reparto della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, il cui servizio si rivolge a pazienti della fascia di età 2-16 anni, ma collabora attivamente anche con altri reparti ospedalieri e del territorio, al ine di dare la possibilità di creare un percorso di riabilitazione equestre anche per i loro pazienti. L’Associazione “Amici del Centro Vittorio di Capua, Onlus” che sostiene il Centro dal 2002 e, fra i suoi scopi, ha anche quello di ideare, attivare e sviluppare iniziative complementari alla terapia che offrano a pazienti ed ex-pazienti del Centro l’opportunità di integrazione con soggetti normodotati, sempre in un contesto formativo e educativo, oltre che ludico. E’ questo il caso del progetto “A SCUOLA DI VITA DAL PROFESSOR CAVALLO” pensato come un’evoluzione e un completamento “a tutto tondo” della terapia stessa. Prevede infatti la creazione di corsi di equitazione e volteggio rivolti a gruppi misti di bambini/ragazzi con e senza disabilità, senza ini agonistici, ma con scopo educativo e di integrazione. Il progetto prevede inoltre una seconda fase dove gli atleti, che al Centro hanno maturato le competenze necessarie vengono inviati a scuole di equitazione esterne per inserirsi in un contesto meno “protetto”. La parte conclusiva ha l’obiettivo di dare la possibilità ai partecipanti di intraprendere attività lavorativa in ambito equestre, così da consentire loro di affacciarsi al mondo esterno con adeguate competenze. L’iniziativa è nata dieci anni fa con un progetto pilota e nel tempo, alla luce dei risultati positivi che si sono riscontrati anche in termini di piena soddisfazione degli utenti e delle rispettive famiglie, si è sviluppato ino ad arrivare agli attuali 8 corsi per un totale di 33 atleti e numerosi aspiranti. * A. O. Ospedale Niguarda Cà Granda Milano 95 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Simposio 15: Le transizioni nella vita dei disabili Chairman: Michele Borghetto e Simona Sforzin IL CONCETTO DI TRANSIZIONE NELLE DISABILITÀ Simona Sforzin* 90 Le transizioni nella vita delle persone disabili rappresentano una sida per le organizzazioni socio-sanitarie, che tendono per loro logica ad operare compartimentazioni strutturali delle competenze, delle funzioni e naturalmente dei servizi. La prima transizione critica è quella del passaggio dall’età evolutiva all’età adulta. Tutti i servizi sia sanitari che sociali sono strutturati in servizi per i minori e servizi per gli adulti. Ecco che dalla presa in carico delle Neuropsichiatrie Infantili, che rappresentano il punto di riferimento sanitario per le famiglie, si passa all’incertezza di servizi attivabili solo al bisogno con modalità consulenziale, dalla neurologia alla isiatria, senza una reale presa in carico continuativa del giovane e della famiglia e spesso in discontinuità anche nell’approccio terapeutico riabilitativo proposto. Parallelamente anche il Servizio Sociale prevede il passaggio alle aree dell’adulto, con i relativi servizi attivabili. È la fase della vita in cui termina l’obbligo scolastico ed il ruolo della scuola viene meno, soprattutto laddove non siano possibili progettualità mirate ai prerequisiti lavorativi ed all’entrata nel mondo del lavoro protetto. In numerosi lavori di audit con i genitori, si rileva che questa discontinuità è l’aspetto vissuto con maggiore ansia e con relativo senso di abbandono, quasi che con l’ingresso nella maggiore età i bisogni espressi dal giovane disabile si modiicassero per adattarsi alle tipologie ed alle modalità di accesso dei servizi. Altra fase critica di transizione è quella del disabile adulto che invecchia, soprattutto ciò avviene in un contesto residenziale, socio educativo o sociosanitario. In entrambi i casi la mission principale è sugli aspetti riabilitativi, educativi e relazionali. Quando la prevalenza del bisogno, invece, si sposta sul piano assistenziale o sanitario, è il sistema nel suo complesso che deve garantire il setting più appropriato ai bisogni prevalenti del disabile, in una logica di equità e di sostenibilità, e nel rispetto della storia di vita. Si presentano alcune buone pratiche attuate in Trentino in questi anni. LA FORMAZIONE PROFESSIONALE IN ETÀ ADOLESCENZIALE COME PORTA D’ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO. SOSTENERE E CERTIFICARE LE COMPETENZE Michele Borghetto e Andrea Coluccia** 91 La ricerca, condotta nel 2014 su 25 adolescenti con diagnosi di Disabilità Intellettiva e di età compresa tra i 14 e i 19 anni, presso l’Associazione La Nostra Famiglia, ha evidenziato le relazioni tra livello esecutivo, abilità sociali e problem solving relazionale, con particolare riferimento alla capacità di esprimere desideri e obiettivi per il futuro. * Azienda per i Servizi Sanitari – Provincia Autonoma di Trento Direttore U.O. Cure Primarie Distretto di Trento ** Tirocinio post-lauream presso l’Ulss 10 “Veneto Orientale” 96 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Gli obiettivi sono stati quelli, una volta individuati i proili di funzionamento esecutivo nelle componenti cognitive e comportamentali e i proili socio – relazionali (utilizzando le Scale Wechsler e i questionari Astrid), di analizzare il ruolo della disabilità, delle abilità esecutive e delle alterazioni comportamentali su autodeterminazione, abilità sociali e problem solving relazionale e di analizzare la capacità di pianiicare il futuro, ovvero la capacità di porsi obiettivi, e le possibili relazioni con i proili descritti. Nello studio sulla capacità di esprimere obiettivi e desideri, ai partecipanti è stato richiesto di pensare alle attività della giornata e di provare a descriverle. A ciascuno è stato richiesto poi di pensare alle attività che svolgono nei diversi mesi dell’anno e alle attività e ai progetti che vedono nel loro futuro. Si è rilevato che il livello intellettivo incide sulle abilità sociali per quanto concerne l’indice di velocità di elaborazione e sul problem solving relazionale relativamente al comportamento adattivo in determinate situazioni. Il livello esecutivo inluisce sull’autodeterminazione per quanto riguarda le attività da svolgere e sulle abilità sociali per quanto concerne l’iniziativa sociale; la capacità di fare osservazioni e critiche inluisce signiicativamente sulle attività desiderate e pensate per il proprio futuro. I risultati suggeriscono l’utilità di un approccio multidimensionale che, valorizzando i punti di forza, porti all’utilizzo di training speciici e attività ecologiche per l’inclusione socio – relazionale e lavorativa di soggetti con disabilità intellettive. IL PROGETTO PROGRAMMA SU BASE ICF. DALLA TEORIA DELLA CLINICA ALLA PRATICA DEL TRATTAMENTO Gianni De Polo* 92 La riabilitazione è un processo complesso teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile. Con azioni dirette ed indirette essa si interessa dell’individuo nella sua globalità isica, mentale, affettiva, comunicativa e relazionale (carattere olistico), coinvolgendo il suo contesto familiare, sociale ed ambientale. La classiicazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organismo Mondiale della Sanità – ICF, è uno strumento che offre un linguaggio condiviso a livello internazionale, utile anche per deinizione e condivisione dei percorsi di riabilitazione a beneicio di soggetti in età evolutiva in situazione di disabilità. Per il suo approccio olistico ed ecologico, ICF si presta di fatto a sviluppare, in condivisione con la famiglia e quando possibile con il soggetto stesso, progetti di vita che possono accompagnare la persona anche nel fondamentale e delicato passaggio dall’età evolutiva a quella adulta. Presso il Centro di Riabilitazione “La Nostra Famiglia” di Conegliano, dal 2010 ICF viene concretamente utilizzato a tal ine, anche nel percorso di transizione dal nostro servizio a quello territoriale per l’età adulta, fase in cui la condivisione del progetto con il soggetto e la sua famiglia, nonché l’uso di un linguaggio comune tra i diversi attori coinvolti, sono indispensabili per garantire chiarezza nelle informazioni e alleanza nella pianiicazione. L’uso di ICF ha portato notevoli vantaggi nel lavoro di équipe, confermati dagli operatori scolastici, riabilitativi e dalle famiglie dei soggetti interessati, in termini di coinvolgimento attivo, di responsabilizzazione, di comprensione dei ruoli e deinizione comune di obiettivi e strategie di lavoro. * Responsabile medico Centro di Riabilitazione “La Nostra Famiglia”, Conegliano (TV) 97 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 LA GESTIONE DEL PASSAGGIO ALL’ETÀ ADULTA Paola Vescovi* 93 Il periodo che precede la chiusura dell’iter scolastico risulta un periodo vissuto con angoscia dalle famiglie che vivono con tensione le preoccupazioni legate alle incertezze del passaggio all’età adulta, per le dificoltà riconosciute nei igli con disabilità. La preoccupazione è quella di non sapere cosa riserva il futuro, a causa della mancanza di punti di riferimento. Si presenta il modello dell’ULSS 7 del Veneto, territorio con presenza di più realtà che intervengono nella fase riabilitativa in età evolutiva, e nel rispondere ai bisogni delle persone con disabilità favorendone benessere e autonomia nel Progetto di Vita in età adulta, organizzando risposte in una Rete di Servizi dedicati. L’esistenza di un sistema organizzato favorisce attenzione alla deinizione delle fasi di passaggio tra la ine del percorso scolastico e l’entrata nel mondo dell’adulto, l’utilizzo di strumenti e linguaggi comuni (l’introduzione di ICF ha permesso di creare un linguaggio unico tra diversi soggetti, scuola, famiglia, servizi e mondo del lavoro) e garantisce la continuità nella presa in carico della persona che diventa adulta. Il Protocollo di collaborazione favorisce la condivisione ed il dialogo sugli obiettivi del Progetto di Vita nello scorrere del Ciclo vitale, favorendo l’accompagnamento del giovane con disabilità e della famiglia nella gestione delle fasi di progettazione dei percorsi costruiti sulla base di valutazioni individualizzate e di attenzione ai bisogni individuali emersi in fase riabilitativa. Importante l’attenzione a favorire la comunicazione tra Servizi, Enti, ed Associazioni, con momenti di presentazione alle famiglie delle risorse messe a disposizione dal territorio, garantendo le modalità di passaggio ed accompagnamento, utili a dare punti di riferimento e tranquillizzare il giovane e la sua famiglia, diventando momento cruciale per deinire i termini di acquisizione dei Diritti della persona adulta e possibilità di espressione della propria “Adultità”. * Responsabile Servizio Disabilità Età Adulta ULSS 7 – Pieve di Soligo (TV) 98 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Simposio 16: Spiritualità, salute mentale, disabilità e resilienza Chairman: Stefano Lassi e Gian Paolo Guaraldi INTRODUZIONE: CONCEZIONI ANTROPOLOGICHE E PARADIGMI CLINICI Stefano Lassi e Daniele Mugnaini LITTLE EDEN SOCIETY FOR THE CARE OF PERSONS WITH MENTAL HANDICAP Mabel Giraldo* 94 Il saggio si propone di mostrare gli esiti del lavoro di ricerca condotto dal Dipartimento di Scienze Umane e Sociali in collaborazione con Domitilla Rota Hyams ONLUS. Il progetto mira a restituire una fotograia dell’istituzione sudafricana supportata dalla ONLUS, Little Eden Society for the Care of Persons with Mental Handicap (fondata nel 1967), in termini di pratiche terapeutiche ed educative in essa agite per affrontare la Disabilità Intellettiva. Sottolineando la cornice teorico-pedagogica (esplicita ed implicita) che muove queste pratiche educative, nel presente lavoro si cercherà di porre in evidenza come e perché i valori cattolici su cui Little Eden si fonda possano inluenzare le sue “buone pratiche”. Una rilessione critica che non potrà prescindere dall’analisi del contesto sociale, politico e culturale del “nuovo” Sudafrica post-apartheid. SPIRITUALITÀ, SALUTE MENTALE, DISABILITÀ E RESILIENZA: REVIEW E POSITION STATEMENT Stefano Lassi*, Elena Fondelli** e Daniele Mugnaini*** 95 96 97 La dimensione esistenziale e spirituale/religiosa è spesso trascurata nella clinica psicologica e neuropsichiatrica, è spesso poco integrata nel modello che il clinico ha del paziente della salute mentale, quindi viene spesso scarsamente indagata e poco valorizzata sia in fase di bilancio delle risorse e dei fattori di vulnerabilità, sia nella consulenza stessa, fatta di colloqui, indicazioni e suggerimenti che mirano alla compliance e all’empowerment personale. In particolare, molti bambini e adolescenti crescono in famiglie in cui la religione e la spiritualità sono fattori chiave per il loro sviluppo e la loro identità: affrontare questa spiritualità senza pregiudizi ma con competenza può aiutare il processo terapeutico. Questo lavoro intende illustrare lo stato dell’arte della relativa letteratura scientiica e stimolare i professionisti del settore a sviluppare un approccio clinico che tenga anche conto in modo informato e rispettoso della dimensione spirituale e religiosa. La salute mentale infatti * Scuola Internazionale di Dottorato in Formazione della Persona e Mercato del Lavoro Università degli Studi di Bergamo * Fondazione ODA Firenze Onlus, Firenze, Italia e Associazione Psicologi e Psichiatria Cattolici Toscana, Firenze, Italia ** Fondazione ODA Firenze Onlus, Firenze, Italia *** Associazione Psicologi e Psichiatria Cattolici Toscana, Firenze, Italia 99 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 costituisce uno degli elementi essenziali per la resilienza e l’adattamento positivo di una persona nel corso delle avversità. Fino ad oggi poca attenzione è stata rivolta al rapporto tra spiritualità e resilienza nell’ambito della salute mentale e della disabilità. I risultati di una review su tale tematica verranno condivisi e discussi. Dei 67 lavori individuati ben il 58,2 % mostra una relazione tra il coinvolgimento spirituale e una maggiore resilienza oltre che minor problemi di salute mentale. Verranno anche analizzati i position statement della WPA S/R/P section e della APPCT rispetto a tali argomenti illustrando e discutendo le possibili ricadute sulle buone pratiche dei servizi. L’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE DELLA PERSONA CON DISABILITÀ INTELLETTIVA ALL’INTERNO DI UNA COMUNITÀ RESIDENZIALE, COME RISPOSTA ESISTENZIALE E FATTORE DI SVILUPPO DELLA PROPRIA IDENTITÀ E Lotti (NOME COMPLETO?) In un tempo in cui si preferisce l’esteriorità all’interiorità, l’apparire all’essere, è importante ritrovare il senso del vivere la disabilità o essere accanto alla persona con condizione mentale e/o isica segnata da gravi limitazioni. Dopo la tentazione di interpretare “tutto” come “non senso” o “beffa” di una natura malvagia, con il rischio di cadere nella disperazione più cupa, la luce della Fede dona una nuova visione delle cose e il senso ultimo di tutto. Quale Spiritualità vivere e proporre in una comunità residenziale e nei servizi alla persona con disabilità intellettiva? Lo Spirito stesso è guida suggerendo il grado di afidamento alla Parola se non è possibile l’ascolto, di preghiera silenziosa se non è possibile quella orante e come accogliere l’Eucaristia se è impedita la partecipazione piena alla liturgia. Nel mistero insondabile della vita, il dolore e la sofferenza uniscono indissolubilmente la vita di Dio a quella dell’uomo in Cristo. Grazie a quel mistero di pietà anche i limiti imposti dalla disabilità avvicinano la persona a Cristo e in Cristo diventano forza positiva, di puriicazione e risurrezione, assumendo il carattere redentivo mediante la partecipazione al Suo dolore. All’uomo spetta di credere a questa verità abbandonandosi alla volontà del Padre amorevole afinché il dolore, accettato e offerto per amore, “acquisti una tale carica di vita da trasformare e redimere il mondo intero”. Alle persone che vivono condizioni di disabilità e a chi li accompagna nella loro faticosa esistenza, è dato di far risuonare questo messaggio di speranza, soprattutto presso altre realtà con analoghe situazioni di vita, perché neppure una stilla di questo capitale enorme, che è il dolore, vada perduta in quanto “le sofferenze sono come tesori agli occhi di Dio” (Sal 56). CONSENSO, COMPLIANCE, FINE VITA Michela Uberti* 98 Molte patologie degenerative, le comorbilità, l’invecchiamento, pongono la persona con Disabilità Intellettiva in una condizione di estrema fragilità: le patologie correlate, la solitudine, * Istituto Fondazione Sospiro Onlus, Sospiro (Cremona) 100 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” l’isolamento sociale, contribuiscono a ridurre la qualità di vita già per lo più compromessa dalla condizione di Disabilità Intellettiva. La vicinanza della morte e il precipitare delle condizioni isiche danno luogo a un progressivo deteriorarsi di ogni condizione personale: l’identità corporea, il ruolo sociale, lo status economico, l’equilibrio psicoisico, la sfera spirituale, il soddisfacimento dei bisogni primari. Questo complesso di circostanze rende diverso il malato terminale da ogni altro paziente in quanto produce e continua ad aggravare quella particolare e complessa sofferenza che è stata deinita come dolore totale, l’insieme di sofferenza isica, psichica, sociale e spirituale. Affrontare l’ultima transizione per la persona con disabilità intellettiva costituisce un momento di grande sofferenza: l’incapacità a comprendere a fondo cosa sta accadendo, il dolore isico, l’incapacità a comunicare la paura della solitudine. Per chi rimane la dificoltà a esprimere le proprie emozioni, a comprendere e accettare la perdita. Garantire il miglior livello di qualità di vita possibile in questa fase della vita signiica garantire alla persona con Disabilità Intellettiva di continuare a essere protagonista nelle scelte riguardo la propria salute isica, psichica ed emozionale fornendo alla persona stessa e alla sua rete famigliare i sostegni necessari. Informazioni precise utilizzando un linguaggio chiaro e semplice, dedicare il tempo necessario perché le informazioni vengano assimilate e prendersi il tempo per conoscere la persona e i valori per lei importanti sono passi fondamentali per costruire una relazione del prendersi cura che renda piene e signiicative anche le ultime fasi della vita. Simposio 17: Economia e Welfare dei servizi, oltre la miopia dei costi Chairman: Sumire Manzotti e Lucilla Frattura INTRODUZIONE: PRINCIPI E IMPLEMENTAZIONE DELLA “RAZIONALIZZAZIONE ECONOMICA” Sumire Manzotti* 99 Dalle recenti analisi ECOFIN e OCSE emerge che nei prossimi decenni i Paesi ad economia e welfare sviluppati dovranno fronteggiare spese sanitarie costantemente crescenti. I servizi sanitari delle regioni italiane saranno sempre più in dificoltà nel fronteggiare la domanda di salute. In tale contesto un punto chiave è rappresentato dalla valutazione dell’appropriatezza dei servizi assistenziali. Un valido supporto per rispondere a questa esigenza viene fornito dall’Health Technology Assessment (HTA), una metodologia di Economia Sanitaria, inalizzata ad assistere i decision-maker nella deinizione delle scelte di politica sanitaria. L’Economia Sanitaria, disciplina importante per il technology assessment, si occupa delle scelte riguardanti l’allocazione delle risorse della società – sempre e ovunque scarse–. Le limitate risorse economiche rendono necessaria l’introduzione del concetto di “razionalità economica” nella deinizione di criteri che supportino il processo di allocazione delle risorse. La valutazione economica in sanità va intesa come l’insieme degli strumenti logici e metodologici inalizzati ad affrontare, in base ai principi della razionalità economica, il problema della scelta tra modalità alternative di utilizzo delle risorse e avvalendosi dei metodi del * Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) 101 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 technology assessment, potrebbe dare a tutte le parti interessate al successo della sanità un contributo di carattere sistemico. Essa si applica, infatti, ai vari livelli del sistema sanitario: a quello macro con scelte tipicamente programmatorie, epidemiologiche, macroeconomiche; a quello meso che riguarda la gestione delle aziende sanitarie; a quello micro che riguarda la conduzione clinica e organizzativa di dipartimenti e unità operative. BIBLIOGRAFIA Drummond M.F., Sanford Schwartz J., Jonsson B., Luce B.R., Neumann P.J., Siebert U. & Sullivan S.D. (2008) Key principles for the improved conduct of health technology assessments for resource allocation decisions. International Journal of Technology Assessment in Health Care, 24:3, 244–258. LA GESTIONE ECONOMICA DEI SERVIZI ALLE PERSONE CON DISABILITA’ IN UNA STRUTTURA RESIDENZIALE: QUALI SCELTE OPERATIVE E INNOVATIVE ADOTTARE PER UNA CERTIFICAZIONE EVOLUTA DELLA QUALITÀ? G. Benatti e C. Trabacchin? (NOMI COMPLETI?) Il principio dell’analisi economica per confrontare diversi servizi alla persona ha lo scopo di permettere la scelta tra una modalità assistenziale che dà il massimo esito (outcome) con il minore costo, oppure il massimo esito all’interno di risorse predeinite. Gli approcci generalmente usati per la gestione economica consentono un’analisi per centri di costo e la valutazione qualitativa dei processi produttivi. I medesimi criteri sono utilizzati per la comparazione tra centri di costo all’interno della stessa azienda con analoghi servizi esterni, presupponendo in ogni caso esiti equivalenti. La sperimentazione avviata presso l’ASP Charitas ha consentito di valutare l’eficacia dell’applicazione della metodologia basata sul costo delle attività riferite a ciascun ospite o gruppi omogenei, nota da oltre un ventennio a livello internazionale e denominata “Activity Based Costing”, o ABC. Lo studio1 ha evidenziato le potenzialità derivanti dall’introduzione di ABC utilizzando i dati economici del Consuntivo 2013, sviluppato con criteri economici tradizionali. Il confronto dei risultati derivanti da ABC e dal sistema per Centri di Costo ha mostrato l’inadeguatezza di quest’ultimo nell’evidenziare i costi sostenuti per i diversi utenti in base alle tariffe corrispondenti al livello di disabilità. Un’ulteriore sviluppo dell’analisi dei costi assorbiti, a fronte degli esiti riscontrati, consente di attuare politiche di gestione delle attività miranti a massimizzare il rapporto eficacia/costo, introdurre adeguate azioni correttive e promuovere la sostenibilità dei costi, evidenziati dalla qualità dell’esito assistenziale e dei riscontri clinici attestanti il benessere della persona. 102 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” PERSONE CON DISABILITÀ, AZIENDE E INCLUSIONE LAVORATIVA: UNA PROSPETTIVA DI INTERVENTO MULTIDIMENSIONALE Linda Pizzo* 100 Nello scenario socioeconomico attuale, le politiche di inclusione lavorativa a favore delle persone con disabilità devono avvalersi di modelli di intervento inalizzati a promuovere l’occupabilità entro una duplice prospettiva dinamica: nell’incontro tra le caratteristiche dell’azienda assumente e le potenzialità del lavoratore e nel rispetto dello sviluppo che la relazione professionale assume nel tempo. La buona riuscita di un inserimento lavorativo è legata a molteplici fattori, ascrivibili alla persona e al contesto produttivo, che ne determinano lo stato di bilanciamento. In modo particolare la performance lavorativa di una persona con Disabilità Intellettiva si attua in risposta alla capacità dell’azienda di essere performante nei suoi confronti, attraverso la qualità delle relazioni professionali, la capacità di adeguare lo standard produttivo alle sue potenzialità, afidando compiti utili e intervenendo proicuamente nella risoluzione di problematiche emergenti. Lo stesso lavoratore con disabilità può presentare fragilità relative al proprio contesto sociale, che possono incidere mutevolmente sulla prestazione professionale e subentrare successivamente. L’equilibrio non si raggiunge spontaneamente con l’assunzione, ma è il risultato di interventi di supporto e mediazione lessibili, che favoriscono la capacità del sistema di autoregolarsi nel tempo. I bisogni di sostegno del lavoratore e del contesto produttivo possono essere variamente affrontati: tutoring durante il tirocinio aziendale, sensibilizzazione, consulenza, mediazione, strategie di sempliicazione e di risoluzione, counseling al lavoratore, incontri di gruppo per lavoratori e caregivers. Tali risorse possono essere ottimizzate dall’impiego di igure professionali di raccordo che favoriscano modalità operative di rete fra tutti i soggetti del sistema lavoro. PRESA IN CARICO INTEGRATA, PROGETTO PERSONALIZZATO E VALUTAZIONE DEI RISULTATI. PRIME EVIDENZE ITALIANE E PROSPETTIVE DI UTILIZZO DEL SISTEMA VILMAFABER Lucilla Frattura LA COOPERATIVA: UN POSSIBILE MODELLO DI INTEGRAZIONE TRA BISOGNI DELL’UTENZA, RISORSE PUBBLICHE E QUALITÀ DELL’INTERVENTO Carla Patrizi* 101 Siamo una cooperativa sociale che si è costituita 33 anni fa. Negli anni le tipologie di interventi erogati si sono via via differenziate e abbracciano servizi sociali, servizi sanitari e formativi. Ci occupiamo di persone con disturbi del neurosviluppo nel nostro Centro di * * Anffas Trentino Onlus Presidente Coop Idea Prisma 82, Direttore Centro Tangram Roma 103 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 riabilitazione (accreditato con la Regione Lazio), nel Servizio di assistenza domiciliare e nel Servizio di assistenza scolastica (convenzione MunicipioRMIII), nei servizi di socializzazione e di formazione lavoro. Questo ci permette di avere una panoramica sui bisogni dell’utente, sulle problematicità dei Servizi e su come si possano ottimizzare le risorse esistenti, sia in termini economici che di professionalità. Alcune caratteristiche della dimensione Cooperativa sono state salienti nello sviluppo del nostro lavoro come: – la dimensione etica che porta a farci carico della tutela dei diritti; – l’attitudine ad affrontare i problemi all’interno del gruppo di lavoro; – la massima utilizzazione delle risorse presenti; – il radicamento nel territorio; – la prassi incentrata sul lavoro di rete; – la collaborazione concreta e fattiva con le associazioni dei familiari; – la mission che tende allo sviluppo delle potenzialità della persona e del contesto sociale; – l’impegno nel superamento dello stato di malessere della società. Il nostro impegno nel dare risposte eficaci ma sostenibili, ci ha portato ad iniziare una collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità allo scopo di creare una documentazione sull’eficacia degli interventi, sulla loro riproducibilità in altri contesti e sulla sostenibilità. Presenteremo anche un caso clinico sia su un piano sanitario che sociale (riabilitazione, assistenza, scuola) per evidenziare nel concreto l’importanza dell’integrazione socio-sanitaria, anzi la non scindibilità. Simposio 18: I lati oscuri del neurosviluppo: percorsi verso il comportamento antisociale Chairman: Ciro Ruggerini e Ulrico Mantesso INTRODUZIONE: IL RISCHIO DI VIOLENZA NELLE PERSONE CON DISABILITÀ INTELLETTIVA: RIFLESSI DALL’OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO (OPG) DI REGGIO EMILIA Valentina Moretti*, Francesca Villanti** e Elisabetta Centrone*** 102 103 104 Le persone con Disabilità Intellettiva (DI) e disturbi psichiatrici spesso manifestano disturbi del comportamento che possono aumentare la probabilità di un contatto con il sistema forense (Holland et al, 2002; Mason & Murphy, 2002). Gli studi di prevalenza nel mondo anglosassone continuano a essere viziati da problemi metodologici con stime che variano dal 2% al 10% per le persone con DI fra la popolazione di coloro che sono in carico alla giustizia per aver compiuto reati (Lindsay, 2011). Alcuni autori hanno esplorato le caratteristiche della storia di queste persone sottolineando il * OPA Maria Luigia, Monticelli Terme (PR), DSM-DP AUSL di Modena * * DSM-DP AUSL di Modena * ** OPG, DSM-DP AUSL di Reggio Emilia 104 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” dato relativo alla carenza di fattori protettivi nello sviluppo (Lunsky et al, 2011). La ricerca sul Risk Assessment ha conosciuto grandi progressi negli ultimi 10 anni, suggerendo che la valutazione clinica strutturata che si avvale dei principali strumenti di assessment è valida anche per gli autori di reato con DI (Fitzgerald et al, 2013). I dati relativi alla popolazione in oggetto in Italia sono tuttavia assenti. L’introduzione nella pratica clinica dell’OPG di Reggio Emilia dello strumento per la valutazione del rischio di violenza HCR-20 (Webster, 1997) ha fornito i seguenti risultati: 5 pazienti (8%) sui 63 del campione esaminato hanno una diagnosi di DI, 4 caratteristiche cliniche e storiche che fanno ipotizzare una DI, 6 un QI limite; la media dei punteggi ad HCR-20 è 21,6 (rischio medio di violenza); tutti i pazienti hanno punteggi elevati alle sottoscale H e R: il ricovero in OPG è spesso associato a precedenti fallimenti terapeutici e a scarse risorse socio-ambientali, in linea con i dati di letteratura (O’Shea et al, 2015; Vinkers DJ, 2013). LE PERSONE CON DISABILITÀ INTELLETTIVA CHE COMMETTONO REATI: TRA PSICHIATRIA E GIUSTIZIA Francesca Villanti, Elisabetta Centrone e Valentina Moretti Le persone con Disabilità Intellettiva vengono frequentemente e in modo sottostimato a contatto con la giustizia (Hauser MJ, 2014). In Italia solo recentemente (2008-2014) è aumentato l’interesse scientiico per le persone con Disturbi Mentali autori di reato mentre non è ancora stata introdotta una vera e propria cultura clinico- forense rivolta ai rei con DI. Anche la letteratura internazionale sull’argomento è ancora molto limitata (Wheeler JR, 2013) e solo negli ultimi quindici anni si è rapidamente sviluppata (Lindsay WR, 2013). La realtà italiana è ancora molto nebulosa e include scenari tra loro molto differenti che vanno dall’afidamento ai servizi, all’applicazione della pericolosità sociale che, ino al 31 marzo 2015 prevedeva il ricovero in OPG e dal 1 aprile nelle nuove Rems (legge 81, 2014). Nel nostro studio, effettuato presso un reparto aperto dell’OPG di Reggio Emilia, emerge che la popolazione di persone con DI che commettono un reato ha caratteristiche diverse dalle persone con QI nella norma; i risultati dell’osservazione sul campo impongono come urgente l’introduzione di percorsi terapeutici e riabilitativi specializzati. LE PERSONE CON DISABILITÀ INTELLETTIVA CHE COMMETTONO REATI: TRA PSICHIATRIA E GIUSTIZIA Elisabetta Centrone, Valentina Moretti e Francesca Villanti La Disabilità Intellettiva è una condizione che si caratterizza per importanti deicit del funzionamento intellettivo e concomitanti limitazioni sul piano del funzionamento adattivo (autonomia personale, partecipazione sociale, comunicazione), e che può esitare in comportamenti aggressivi e violenti in maniera sottostimata. È importante mettere in primo piano la necessità di un intervento speciico mirato. Nonostante perplessità nella comunità scientiica di proporre a pazienti con Disabilità Intellettiva (DI) un percorso di psicoterapia, si è sviluppato ultimamente un consenso informale per cui la Terapia Cognitivo – Comportamentale può essere il mezzo più eficace per affrontare proble105 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 mi di salute mentale nelle persone con limitata capacità cognitiva (Willner e Hatton, 2006), in particolar modo se questo intervento integra riabilitazione e rieducazione delle funzioni compromesse anche sul piano sociale, abbracciando dunque una pluralità di aree per ottenere risultati migliori (Bouras et al., 2000). L’intervento speciico mirato che utilizzi risorse come la psicoeducazione sul tema della disabilità e del ritardo cognitivo, il training per le abilità sociali, la gestione delle emozioni, la pianiicazione del comportamento, il problem solving, l’applicazione del modello ABC e la ristrutturazione cognitiva è una modalità di intervento che la letteratura italiana non ha ancora approfondito in maniera adeguata quanto quella inglese o americana. Essendo il focus sulle risorse e non sui deicit del paziente a promuovere il cambiamento positivo (Raffensperger, 2009), il presente lavoro narra in quest’ottica l’intervento su due casi clinici effettuato all’interno dell’OPG di Reggio Emilia, mettendo in luce i fattori protettivi che hanno consentito, pur all’interno dell’istituzione, un netto miglioramento della qualità di vita del paziente, e quelli critici che invece hanno fortemente ostacolato la messa in atto di strategie di intervento psicologiche e psicoterapiche. Inine, l’esperienza clinica ci porta a pensare che sia necessaria l’individuazione di percorsi terapeutici speciici per pazienti con DI in quanto la contestualità disomogenea non ne promuove il decorso positivo. DSM-5 E IMPLICAZIONI MEDICO – LEGALI: QUALI NOVITÀ NELL’APPORTO DELLA PSICHIATRIA ALLA TUTELA GIURIDICA? (MANCA RELAZIONE) Sergio Monchieri Esempliicazione di buone prassi in Trentino Chairman: Angelo Luigi Sangalli+ 105 PRESENTAZIONE DELLA RIVISTA “SPAZI E MODELLI. PERCORSI EVOLUTIVI PER LA DISABILITÀ PSICOFISICA” EDITA DA CONSORZIO AGORÀ. Francesca Bottura* ed Elisabetta Furlani** 106 107 Edita dal 2004 dal Consorzio di cooperative sociali Agorà di Trento, “Spazi e modelli. Percorsi evolutivi per la disabilità psicoisica” è una rivista quadrimestrale a diffusione nazionale. La pubblicazione si inserisce nel settore della formazione e della divulgazione delle esperienze in considerazione della necessità di afiancare all’operatività quotidiana nell’erogazione dei servizi degli spazi di rilessione e di documentazione della stessa. Per questo motivo, il “Gruppo Sensibilizzazione Hanicap” di Cles (Tn) e la “Cooperativa Sociale Villa Maria” di Lenzima d’Isera (Tn) hanno proposto un’ulteriore articolazione del proprio servizio, realizzando, attraverso il Consorzio Agorá, una rivista di vasto approfondimento che si occupa di disabilitá psicoisica a 360 gradi, avvalendosi di un comitato scienti+ Docente di Didattica e Pedagogia Speciale Università di Verona * Psicologa, Musicoterapeuta, Responsabile di Redazione ** Psicologa, Psicoterapeuta, Responsabile di Redazione 106 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” ico formato da 11 affermati professionisti del settore, di varia estrazione formativa. Organizzata in cinque sezioni tematiche (Esperienza, Ricerca, Formazione, Famiglie e Informazione), la rivista si rivolge alle organizzazioni, ai centri di studio, ai tecnici, alle associazioni e alle famiglie che si confrontano con la disabilità psicoisica. A tutti costoro Spazi e modelli intende porsi come uno strumento di dialogo e condivisione, offrendo spazi di discussione e presentazione di contributi speciici, riferibili a diversi sguardi di approfondimento da quello esperienziale a quello sperimentale, da quello epistemologico a quello divulgativo. QUALITÀ DI VITA ED INTEGRAZIONE DEI SERVIZI: ESPERIENZA DI COLLABORAZIONE ANFFAS - APSP ANAUNIA Ulrico Mantesso* e Katia Molinari** 109 108 Nel 2006 è stata stipulata una convenzione speciale tra ANFFAS Trentino Onlus e l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona ANAUNIA di Taio. Il progetto ha come inalità l’inserimento presso la struttura di Taio di quegli utenti di Anffas Trentino Onlus che, con l’avanzare dell’età, presentano la necessità di ricevere prestazioni di tipo sanitario età/demenza correlate, non più gestibili all’interno dei servizi offerti dall’Associazione che non offre nelle sue strutture interventi ad alta intensità infermieristica. Anffas Trentino Onlus ha provveduto a svolgere una formazione speciica al personale della struttura di Taio. Ha inoltre effettuato degli incontri annuali di formazione speciica su temi attinenti le pratiche di cura che vanno dagli aggiornamenti sulle tematiche delle demenze e del decadimento cognitivo, gestione dei BPSD, alle modalità relazionali o di gestione emotiva da parte dei caregiver, a tematiche di bioetica medica relative al ine vita. Il dato più eclatante che si è prodotto è il processo di reale inclusione delle persone con DI all’interno dei processi normali di gestione degli ospiti superando lo stigma sociale e il travaso delle competenze e buone prassi da un ambito all’altro, consentendo un’integrazione concreta dei saperi che è andata a vantaggio di tutti gli ospiti della struttura. ANFFAS TRENTINO E CANI DA VITA DI SAN PATRIGNANO: 20 ANNI DI PET THERAPY. Zuccatti Oscar* e Linari Aroldo** 110 111 Da 50 anni Anffas Tentino Onlus opera, al ianco delle famiglie di persone con disabilità intellettiva e relazionale. L’agire dell’associazione, è da sempre indirizzato al raggiungimento della miglior qualità di vita delle persone ad esse afidate. Dal 1978 San Patrignano è un luogo umano in cui ogni forma di vita è sacra, nel quale i ragazzi quotidianamente si impegnano a difenderla, in quest’ottica gli animali hanno da sempre avuto un ruolo fondamentale nei * Anffas Trentino Onlus ** * APSP Anaunia (Taio) Anffas Trentino Onlus ** San Patrignano 107 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 percorsi di riabilitazione, attraverso un rapporto muto e silenzioso ma carico di signiicato e di affetto. Nel 1997 presso la sede trentina di San Patrignano, sita in San Vito di Pergine (TN) è nato il gruppo cinoilo Cani da Vita, con lo scopo di approfondire le tematiche inerenti alla relazione uomo-animale come strumento di supporto a persone diversamente abili. L’incontro di queste due realtà è avvenuto quasi naturalmente nell’agosto del 1998 grazie ad un ampio progetto di sperimentazione promosso dalla Provincia Autonoma di Trento. L’incontro si è trasformato ben presto in una stretta collaborazione che nel corso degli anni, ha prodotto una serie di buone prassi che hanno permesso la realizzazione di attività sempre più centrate sui i bisogni delle persone coinvolte nel rispetto del loro progetto di vita, ma anche nell’assoluto rispetto degli animali coinvolti che da sempre non sono stati visti come strumento ma come interpreti principali della relazione di cura. Ad oggi sono state sviluppate da Anffas Trentino in collaborazione con Cani da Vita di San Patrignano svariate migliaia di ore di attività, molte sono state le persone con disabilità che hanno potuto godere della vicinanza di quel fantastico mediatore educativo che è il cane, inoltre, quest’attività ha permesso la rinascita alla vita di molti ragazzi che hanno trovato in questa nuova relazione fatta da animali e da altre persone uniche ed irripetibili la forza indispensabile per procedere alla propria crescita umana. SESSIONE POSTER IL SAPORE DELLA MELA. VISITE MUSEALI E ATTIVITÀ A MEDIAZIONE ARTISTICA IN CENTRO DIURNO Francesca Barni ed Enrico Muccio* 112 Il progetto, svoltosi fra febbraio e dicembre 2014, si rivolge a 19 persone con disabilità intellettiva (DI) in età adulta-anziana ospiti del Centro Terapeutico Riabilitativo ANFFAS ONLUS di Prato (CTR) e si connota come intervento psico-sociale che vuole offrire una stimolazione sul piano sensoriale-percettivo, cognitivo-attenzionale e affettivo-emotivo attraverso laboratori a mediazione artistica. Come riportato in letteratura queste esperienze possono migliorare il tono dell’umore, ridurre l’ansia, e favorire il mantenimento delle funzioni residue e una migliore qualità della vita (QdV). Gli incontri sono condotti da due educatori del CTR e una storica dell’arte sul modello di “intervento protesico” promosso nel “Gentlecare”. L’approccio è attento alla storia di vita dei partecipanti e coniuga l’ambito medico-clinico ed espressivo-educativo. Gli utenti sono stati divisi in tre piccoli gruppi eterogenei per diagnosi e genere, e monitorati attraverso i test DMR e QUALID negli anni 2013 e 2014. Sono inoltre rilevati la valutazione di gradimento e il raggiungimento degli obiettivi preissati nei singoli progetti individuali. Il percorso è organizzato in cicli di tre laboratori espressivi al CTR e una successiva visita al Museo degli Ufizi e di Palazzo Pretorio a Prato. Come obiettivo parallelo, si pone lo sviluppo di un rapporto di reciprocità tra persone con DI e personale e istituzione stessa del museo. * Educatori Professionali Centro Terapeutico Riabilitativo ANFFAS ONLUS di Prato, Prato 108 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” Tramite il DMR si registra un declino funzionale marcato in sei casi, in modo sovrapponibile tra soggetti con sindrome di Down (SD) e non-SD. Tali casi non sono concentrati solo nelle età più elevate e non sempre vi è un peggioramento della QdV. Il livello di soddisfazione espresso dai partecipanti è stato mediamente molto elevato, senza sostanziali differenze fra soggetti con o senza SD e indipendentemente da altri livelli di disabilità. Sono in corso nuovi percorsi a mediazione artistica, oltre che nei suddetti musei, presso la Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze. T’INSEGNO QUINDI SONO GRANDE: IL PROGETTO “MAESTRI DEL FARE” Carlo Dalmonego*, Vigilio Ferretti** e Gino Malfer*** 113 114 115 Per una persona con disabilità intellettiva (DI), lo sviluppo di un’identità adulta rappresenta un obiettivo che ha importanti ricadute in molti domini che compongono il costrutto della Qualità di Vita. Per costruire una visione adulta di sé, la persona deve poter accedere a contesti d’interazione sociale che prevedano, per loro, dei ruoli “adulti”. Da questo presupposto teorico è nata l’idea di proporre la realizzazione di laboratori artigianali all’interno della scuola primaria in cui le persone con DI potessero insegnare ai bambini; l’interazione adulto con DI-bambini era supportata e sostenuta dalla presenza degli educatori di riferimento. Il primo laboratorio artigianale realizzato è stato chiamato “Corso legno” e ha visto il coinvolgimento di bambini delle prime 3 classi della scuola primaria. I laboratori erano organizzati in coda all’orario scolastico e prevedevano la realizzazione di semplici oggetti in legno (es: giocattolo, cassetta porta attrezzi) nel corso di 6/8 incontri a cadenza settimanale. In ogni fase della costruzione dell’oggetto, le persone con DI supportavano gli alunni in maniera diversa a seconda delle proprie capacità. La seconda proposta, denominata “un cesto a 4 mani” consisteva in un laboratorio di cesteria dove agli alunni veniva insegnato a realizzare un piccolo cesto in midollino. In questo caso i laboratori erano rivolti agli alunni delle ultime tre classi della scuola primaria ed erano organizzati all’interno dell’orario scolastico prevedendo la presenza degli insegnanti di classe. Attraverso l’osservazione partecipante gli educatori hanno riscontrato una forte motivazione delle persone con DI ad essere coinvolte nel progetto e un miglioramento delle modalità di relazione. Un’altra ricaduta positiva indiretta ha riguardato la sensibilizzazione al tema dell’inclusione testimoniata da alcuni report consistenti nelle rielaborazioni svolte in classe dagli alunni al termine dell’esperienza. * Vicedirettore e responsabile area psicopedagogica Cooperativa Laboratorio Sociale di Trento * Assistente educatore Cooperativa Laboratorio Sociale di Trento * Assistente educatore referente progetto “Un cesto a 4 mani” della Cooperativa Laboratorio Sociale di Trento 109 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 APPLICAZIONE DELLA SUPPORT INTENSITY SCALE ALL’ORGANIZZAZIONE DI SERVIZI RESIDENZIALI PER LA DI Silvia Gentilini° e Tiziano Gomiero°° 116 117 INTRODUZIONE: Lo scopo di questo lavoro era quello di veriicare se vi era una relazione riscontrabile a posteriori tra i bisogni di sostegno misurati con la SIS (Support Intensity Scale) e l’effettiva organizzazione di servizi rivolti alla DI (Disabilità Intellettiva). METODOLOGIA E CAMPIONE: In questo case study, sono state analizzate due Comunità Alloggio di ANFFAS TRENTINO, San Marco (SM) e La Meridiana (LM) di Trento. Per ciascuna delle due Comunità è stato randomizzato un campione di otto ospiti e analizzati i dati contenuti nell’ultima SIS disponibile, (i campioni sono composti da persone adulte e anziane con DI grave o moderata e che ricevono da parte dei servizi di welfare il medesimo trattamento di indennità economica). Ci siamo concentrati su quattro speciiche dimensioni della SIS ritenute più signiicative per l’ambito della nostra valutazione: “Attività relative all’ambiente domestico” (Sub A) e “Attività relative alla salute e sicurezza” (Sub E), che abbiamo raggruppato come Indice “Assistenziale”, in quanto fanno riferimento alle ADL (Activities of Daily Living) e IADL (Instrumental Activities of Daily Living), mentre “Attività sociali” (Sub F) e “Attività relative alla vita nella comunità” (Sub B) sono stati ricompresi in un Indice deinito “Sociale”. RISULTATI: Gli ospiti della Comunità SM hanno mostrato maggior autonomia e minor bisogno di sostegno, aspetto in linea con l’indice di sostegno totale SIS, più elevato tra gli ospiti de LM. Per quanto riguarda l’Indice “Sociale” (Sub B e F) l’intensità del bisogno di sostegno degli utenti delle due Comunità è sovrapponibile, aspetto che è legato alla presenza di disturbi comportamentali che riducono la capacità di coinvolgimento in attività sociali e comunitarie, quanto l’essere limitati a causa di bisogni assistenziali. Abbiamo veriicato il rapporto tra numero di ore giornaliere svolte dal personale e bisogni di sostegno degli utenti riscontrando che nella comunità LM vi era una più alta presenza di personale con ruoli assistenziali e maggior copertura oraria per persona, mentre presso SM vi era una prevalenza di personale con funzioni educative e una minor copertura oraria, dato correlato con il bisogno di sostegno presentato nelle due Comunità. Successivamente è stata svolta un’indagine qualitativa per capire le percezioni soggettive degli operatori, (sondate attraverso un’intervista di gruppo somministrata agli operatori) rispetto all’utilità dello strumento. CONCLUSIONI: L’uso della SIS favorisce una maggiore attenzione alla QdV (Qualità della Vita) delle persone riconoscendo loro maggior autonomia, autodeterminazione e offre una maggiore spinta motivazionale agli operatori La scala risulta molto vasta (andrebbe adattata all’età e al tipo di ospiti) e astratta (richiede di lavorare su ipotesi) ma costituisce uno strumento di valutazione valido e afidabile non solo nella progettazione individuale ma anche nella pianiicazione dei servizi. ° Laureanda Corso di Laurea Magistrale in Metodologia, Organizzazione e Valutazione dei Servizi Sociali, presso la Facoltà di Sociologia di Trento °° Anffas Trentino Onlus 110 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” PROGETTO PILOTA-SPERIMENTALE DEL SISTEMA DI TRATTAMENTO PER LE PERSONE CON DISTRUBI DELLO SPETTRO AUTISTICO RESIDENTI NELLA PROVINCIA DI MODENA DI ETÀ SCOLARE (6-15 ANNI) Giulia Bergonzini, Valentina Ciulla, Sabrina Morgillo, Elena Orlandi, Laura Richiusa, Federica Rinaldi, Angela Salis, Emanuele Moretti e Mauro Martinelli* 118 I Disturbi dello Spettro Autistico (Autistic Spectrum Disorders, ASD) sono disordini biologici del neurosviluppo esordienti entro i primi 3 anni di vita, con dificoltà di comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi (DSM-5TM). Possono essere associati a disabilità intellettiva e ad altri disturbi neurologici o psichiatrici. Negli ultimi anni si segnala un signiicativo incremento nella prevalenza del disturbo di 90-100 casi su 10.000 (DSM-5TM, APA 2013). Il Percorso Diagnostico, Terapeutico e Assistenziale (PDTA) della provincia di Modena propone agli utenti più interventi integrati. Il progetto pilota inizia a novembre 2014, nell’Ospedale privato accreditato “Villa Igea”, con supervisione scientiico-clinica della N.P.I.A dell’Ausl di Modena (Direttore: Dott. Stagi P.), in collaborazione con l’Associazione Aut Aut di Modena. L’Equipe ospedaliera comprende: Responsabile, Coordinatore e sette Case Manager eroganti trattamenti secondo le Linee Guida ISS (2011), con metodologie ABA Analisi Comportamentale Applicata (Cooper, Heron e Heward, 2007). Il trattamento prevede 4 ore settimanali erogate nei confronti di 38 minori. Elemento innovativo è la pianiicazione del trattamento individualizzato con la collaborazione di Ausl, privato accreditato, famiglia, istituti scolastici, enti locali, associazioni, eventuali consulenti esterni. L’intervento individualizzato è oggetto di veriica periodica tramite stesura di report qualitativi e quantitativi del Case Manager ed incontri periodici con NPIA territoriale, famiglia e scuola. ICF CORE SET E DISABILITÀ INTELLETTIVA Domenico Del Po** 119 Esiste un ampio consenso sul fatto che la sola diagnosi di malattia non sia suficiente a descrivere lo stato di salute di una persona, in quanto da sola non fornisce informazioni su come sta una persona o come essa organizza la vita di tutti i giorni nonostante la malattia. Attraverso la Classiicazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e Salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto mettere al centro della valutazione della condizione di salute il suo lato positivo, ovvero il “Funzionamento”, descrivendo nel modo più dettagliato possibile le funzioni e abilità che caratterizzano qualsiasi persona nel contesto in cui vive. Per esigenze di praticità (con le sue 1400 categorie l’ICF si accompagna ad una percezione di “impraticabilità” nell’utilizzo) dopo il 2001 l’OMS in associazione con l’ICF Research Branch ha sviluppato alcuni Core Set ICF speciici per malattia o un gruppo di malattie e per speciico contesto sanitario6. Un Core Set ICF deriva dalla selezione delle categorie più rilevanti estratte dalla classiicazione ICF utili a descrivere il funzionamento e la Disabilità. 120 * Equipe Autismo del Nespolo Ospedale Privato Accreditato “Villa Igea”, Modena ** 6 Fisioterapista Centro di Riabilitazione Padri Trinitari Venosa, L.M. Scienze della Riabilitazione Bickenbach J et al. (2012) “Core Set ICF. Manuale per la pratica clinica”, Firenze: Giunti O.S. 111 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Ad oggi non sono disponibili Core Set speciici per tutte le condizioni di salute, o comunque esistono delle esperienze di Core Set che non hanno però un ampia condivisione scientiica. Il contributo, partendo dall’esperienza maturata dal Centro di riabilitazione dei Padri Trinitari di Venosa, vuole illustrare una proposta di Core set speciico, relativo alla Disabilità Intellettiva che possa essere utilizzato all’interno di Strutture riabilitative a carattere residenziale e ciclo diurno. ABILITÀ SOCIALI E ORIENTAMENTO AL FUTURO IN SOGGETTI CON DI Michele Borghetto* e Andrea Coluccia** 121 122 La ricerca, condotta nel 2014 su 25 adolescenti con diagnosi di disabilità intellettiva e di età compresa tra i 14 e i 19 anni, presso l’Associazione La Nostra Famiglia, ha evidenziato le relazioni tra livello esecutivo, abilità sociali e problem solving relazionale, con particolare riferimento alla capacità di esprimere desideri e obiettivi per il futuro. Gli obiettivi sono stati quelli, una volta individuati i proili di funzionamento esecutivo nelle componenti cognitive e comportamentali e i proili socio – relazionali (utilizzando le Scale Wechsler e i questionari Astrid), di analizzare il ruolo della disabilità, delle abilità esecutive e delle alterazioni comportamentali su autodeterminazione, abilità sociali e problem solving relazionale e di analizzare la capacità di pianiicare il futuro, ovvero la capacità di porsi obiettivi, e le possibili relazioni con i proili descritti. Nello studio sulla capacità di esprimere obiettivi e desideri, ai partecipanti è stato richiesto di pensare alle attività della giornata e di provare a descriverle. A ciascuno è stato richiesto poi di pensare alle attività che svolgono nei diversi mesi dell’anno e alle attività e ai progetti che vedono nel loro futuro. Si è rilevato che il livello intellettivo incide sulle abilità sociali per quanto concerne l’indice di velocità di elaborazione e sul problem solving relazionale relativamente al comportamento adattivo in determinate situazioni. Il livello esecutivo inluisce sull’autodeterminazione per quanto riguarda le attività da svolgere e sulle abilità sociali per quanto concerne l’iniziativa sociale; la capacità di fare osservazioni e critiche inluisce signiicativamente sulle attività desiderate e pensate per il proprio futuro. I risultati suggeriscono l’utilità di un approccio multidimensionale che valorizzando i punti di forza porti all’utilizzo di training speciici e attività ecologiche per l’inclusione socio – relazionale e lavorativa di soggetti con disabilità intellettive. * Psicologo – psicoterapeuta -“Associazione La Nostra Famiglia – Cornegliano” ** Psicologo - tirocinio professionalizzante post-lauream presso l’Ulss 10 “Veneto Orientale” 112 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” PROGETTO DI INTERVENTI RIABILITATIVI DI GRUPPO IN SOGGETTI AFFETTI DA DISABILITÀ INTELLETTIVA Sicuro Francesca, Barisone Maria Giorgia, Priola Donatella, Croni Bono Anna, Amata Irene*, Pavesi Carlo**, Ascrizzi Elena*** e Venuti Silvio**** 123 124 125 126 Il progetto nasce, presso la S.C. STCC (Servizio Territoriale di Continuità delle Cure) dell’ASLTO3 al ine di promuovere uno stato di “ben-essere” con conseguente miglioramento della qualità della vita rivolto a soggetti disabili ed al nucleo familiare di appartenenza. Prevede la presa in carico globale della Persona con disabilità cognitiva e l’offerta di servizi integrati di riabilitazione psicoisica e socio-educazionale. La metodologia di lavoro si ispira al paradigma dello sviluppo umano e dell’approccio delle capability; quest’ultimo guarda allo sviluppo come ad un processo di espansione delle capacità e delle opportunità reali delle persone afinchè ciascuno possa scegliere di condurre una vita a cui attribuisce valore. Tale prospettiva, in un’ottica “from cure to care”, ha condotto alla costruzione di percorsi riabilitativi integrati di gruppo delle funzioni cognitive, isiche e relazionali. Il progetto sperimentale nasce nel mese di Settembre 2014, ed in seguito ad una prima fase di progettazione, si è passati ad una attuale fase operativa che vede ad oggi coinvolte 18 persone con un’età media di 35 anni. La collaborazione con le famiglie delle persone coinvolte ha assunto un ruolo fondamentale sia nella fase di presentazione del percorso sia nelle tappe di monitoraggio intermedie ed in quella conclusiva per la restituzione dell’intervento proposto. Al ine di offrire un servizio mirato alle esigenze dei singoli partecipanti vengono condotti alcuni colloqui preliminari motivazionali e psicodiagnostici con l’ausilio di una batteria testistica inalizzata ad individuare le eventuali dificoltà psichiche e comportamentali (ansia, depressione), cognitive, personologiche, inerenti la qualità di vita ed il grado di autonomia dei soggetti trattati. In quanto processo che auspica il cambiamento e l’evoluzione dei soggetti a cui si rivolge, richiede inoltre l’applicazione di metodi di monitoraggio dei risultati raggiunti attraverso follow up a 3-8-12 mesi. Il progetto prevede l’attivazione di tre tipologie di gruppi mirati alla gestione delle emozioni (gruppi di confronto ed elaborazione delle esperienze di vita), al potenziamento cognitivo (gruppi di riabilitazione neuropsicologica) e psicoisica (gruppi di camminata: tecnica del it-walking), in un’ottica di ampliamento delle autonomie nelle fasi di distacco dal nucleo famigliare e di passaggio dal contesto formativo a quello lavorativo. * Psicologhe S.C. STCC ASLTO3 ** Referente Area Riab. Psicosociale S.C. STCC ASLTO3 *** Neuropsichiatra Infantile S.C. STCC ASLTO3 **** Direttore S.C. STCC ASLTO3 113 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 CONVIVENZA GUIDATA: UN’ESPERIENZA TERRITORIALE INNOVATIVA DI CONCRETIZZAZIONE DI UN PROGETTO DI VITA E DI AUTONOMIZZAZIONE RISPETTO AL NUCLEO FAMIGLIARE Sicuro Francesca, Priola Donatella, Croni Bono Anna, Barisone Maria Giorgia, Pavesi Carlo, Ascrizzi Elena e Venuti Silvio Il presente progetto è nato nel mese di febbraio 1998 come inedita esperienza abitativa e riabilitativa nel territorio del distretto di Collegno e Grugliasco dell’ASLTO3 rivolto a giovani donne con ridotte capacità cognitive, con compromissioni comportamentali ma con discrete autonomie di base. OBIETTIVI • Consentire lo sblocco di eventuali relazioni patologiche in ambito famigliare. • Potenziare le abilità relazionali delle pazienti. • Permettere l’implementazione di autonomie personali in situazioni di reale sperimentazione. • Preparare il soggetto, quando possibile, ad una vita di completa autonomia. STRUMENTI E METODI La costruzione del progetto ha richiesto una serie di fasi declinate in: – Reperimento di un appartamento con caratteristiche di buona abitabilità collocato nell’ambito di un ediicio condominiale per permettere una reale integrazione col territorio. – Selezione del gruppo mediante colloqui con i singoli e con le famiglie a cura di una psicoterapeuta, di un educatore e dello psichiatra responsabile del Servizio. – Considerando come requisito essenziale un’abilità alla funzione lavorativa preesistente. – Costruzione di relazioni con i nuclei famigliari e le pazienti attraverso colloqui psicoterapeutici individuali e di gruppo. – Supervisione clinica, da parte della psicoterapeuta, sul gruppo delle educatrici. CONCLUSIONI Tale progetto, ancora in essere, ha favorito il passaggio dal nucleo famigliare ad una condizione di indipendenza in un contesto protetto rappresentando una soluzione residenziale deinitiva ad autonomia parziale. La condivisione esperienziale di soggetti con pari livello di sviluppo psico-affettivo ha favorito l’emergere di caratteristiche individuali e l’ampliamento della consapevolezza rispetto alle proprie abilità in un’ottica di auto mutuo aiuto. INSERIMENTO LAVORATIVO DI SOGGETTI CON DISABILITÀ INTELLETTIVA E LAVORO DI RETE Sicuro Francesca, Barisone Maria Giorgia, Priola Donatella, Croni Bono Anna, Pavesi Carlo, Ascrizzi Elena e Venuti Silvio L’ambulatorio di Psicologia Adulti dell’Area di Riabilitazione Psicosociale, della S.C. STCC (Servizio Territoriale di Continuità delle Cure) dell’ASLTO3, si occupa da molti anni di pazienti con Disabilità Intellettiva. L’utenza è costituita prevalentemente da giovani adulti che si trovano ad affrontare il complesso passaggio dall’ambito formativo-scolastico a quello 114 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” lavorativo e la delicata fase di autonomizzazione e distacco dal nucleo famigliare. Da circa 10 anni le psicoterapeute del Servizio sono entrate gradualmente a far parte dei Gruppi di Supporto al Comitato Tecnico Provinciale. Tale attività è stata sollecitata a tutte le AA.SS.LL del Piemonte, in riferimento alla nota n. 189178 del 17.07.2003 dell’Area Istruzione, Formazione Professionale, Lavoro e Solidarietà Sociale della Provincia di Torino ed in applicazione del D.G.R. n. 57-9631. In base a quest’ultimo veniva deliberato “l’Atto di indirizzo interassessorile in merito alla deinizione delle modalità di raccordo ed armonizzazione tra i Servizi del territorio (lavorativi, sociali, sanitari) al ine dell’inserimento lavorativo dei disabili (L. 68/99)”. Nel presente progetto, attivo dal 2004, si considera il concetto di disabilità, in linea con l’ottica ICF, come un termine ombrello che identiica le dificoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale. Il campione raccolto è ad oggi di 648 persone (391 donne, 257 uomini) con età media di 35 anni. L’intervento è inalizzato a fornire sul territorio un approccio eficace e produttivo di continuità delle cure mediante: – Valutazione globale della persona attraverso l’uso di strumenti psicodiagnostici (personologici e neuropsicologici). – Certiicazione per la Commissione ex legge 68/99. – Colloqui motivazionali e di sostegno con l’obiettivo di far raggiungere, ai soggetti presi in carico, un maggior livello di autonomia possibile compatibile con le offerte lavorative presenti sul mercato. – Colloqui psicoterapeutici individuali e di gruppo e rivolti alle famiglie. – Collaborazione attiva con i Nuclei Interdisciplinari Disabilità (NID) dell’ASLTO3. – Lavoro di rete con i Servizi di Psicologia età evolutiva, NPI, CSM, Medici di Base, Servizi Sociali e i Centri per l’Impiego. A ine esempliicativo saranno descritti alcuni casi trattati in modo da consentire una più chiara visione della metodica adottata e dei servizi coinvolti. SOSTENERE E ACCOMPAGNARE L’ULTIMA TRANSIZIONE NELLA PERSONA CON DISABILITÀ INTELLETTIVA E AUTISMO: ASPETTI CLINICI, SOCIALI, RELAZIONALI IN UN’OTTICA DI QUALITÀ DI VITA Silvia Berba* 127 L’aumento dell’aspettativa di vita nella persona con disabilità intellettiva pone questa popolazione a maggior rischio di malattie croniche e degenerative, patologie che nelle fasi inali non necessitano di interventi diagnostici ad alta tecnologia, ma richiedono un approccio multidisciplinare ed un sostegno atto a garantire la miglior qualità di vita possibile anche nelle fasi inali della vita. L’équipe curante è spesso impreparata ad affrontare e gestire tale complessità che si può riassumere nelle seguenti domande: quali sono i bisogni reali della persona? quali sono le aspettative della persona, del suo contesto di vita? Come le aspettative, i bisogni e i desideri della persona possono entrare in conlitto con l’équipe curante? Un progetto eficace di cure deve prevedere un intervento coerente, eficace e contemporaneo * Fondazione Istituto Ospedaliero di Sospiro – Onlus – Sospiro (Cremona) 115 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 in tutti questi aspetti della sofferenza. Ciò richiede un’ équipe composta da coloro che sono in grado di agire sulle diverse componenti del dolore totale: quindi medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, educatori e volontari. La medicina palliativa, quindi, non viene erogata dal solo medico, ma da un complesso di esperti che devono agire insieme su un progetto modellato sulla singola persona. Scopo del presente lavoro è la presentazione attraverso l’esposizione di un caso clinico di buone prassi che prevedono un approccio multiprofessionale basato sul costrutto di qualità di vita per l’accompagnamento alla morte della persona con disabilità intellettiva e autismo e il sostegno al suo contesto di vita, inoltre particolare enfasi viene data al sostegno nella rielaborazione del lutto a tutti gli attori del contesto, persone con disabilità intellettiva, famigliari e operatori. UN CANE AL CENTRO Oscar Zuccatti* e Aroldo Linari** 128 129 Gli interventi assistiti con gli animali sono da tempo una realtà consolidata nei percorsi terapeutico-educativi della disabilità intelletivo-relazionale. In questo Poster si analizza nello speciico un laboratorio di Pet Therapy pensato e realizzato, in accordo con un progetto speciale creato per dare risposta ad una nuova esigenza nel mondo della disabilità intellettiva denominato Centro Integrato La Meridiana. Il Centro offre una serie di stimolazioni mirate, volte al miglioramento o mantenimento della capacità di elaborare e conservare nel tempo informazioni necessarie per raggiungere una padronanza del proprio mondo interno, dell’ambiente e delle loro reciproche interazioni. Sempre tenendo conto dell’obiettivo realistico di garantire pace e benessere. Lo scopo principale del laboratorio qui presentato è, quindi, quello di inserirsi nelle logiche di presa in carico sopra descritte. In accordo con le stesse si è sviluppata un’idea progettuale di A.A.A. che si svincolasse dagli aspetti più terapeutici in senso stretto e che sviluppasse, invece, concetti come il piacere di essere in attività attraverso una serie di stimolazioni soft, preordinate e controllate. Sono stati esclusi tutti gli aspetti performativi e si è posto l’accento su quelli relazionali. Allo scopo di poter avere dei dati quantitativi di controllo sul laboratorio si è deciso di compilare, dopo ogni seduta, la Scheda di Valutazione per le Attività di Pettherapy (S.V.A.P.). A ine maggio 2014, come da prassi consolidata in Anffas Trentino Onlus, l’équipe multidisciplinare si è incontrata per svolgere la supervisione di tutti i progetti di pet therapy attivi, in quella sede sono stati presentati i dati qui esposti. Il Laboratorio ha ricevuto l’approvazione della stessa ed ha, quindi, ottenuto una collocazione stabile nelle proposte educative/terapeutiche del centro integrato La Meridiana. * ANFFAS Trentino Onlus ** San Patrignano 116 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” INTRODUZIONE IN UNA RESIDENZA DI COMPETENZE CULTURALI E ORGANIZZATIVE ADEGUATE ALLE PERSONE CON DI E DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: FILOSOFIA, COSTI, RISULTATI, NELL’ESPERIENZA DELL’ASP CHARITAS DI MODENA Chiara Arletti*, Ciro Ruggerini*, Sumire Manzotti** e Iginio Beneventi*** 131 130 132 Il presente contributo descrive una esperienza condotta presso l’ASP Charitas di Modena Residenza per persone con Disabilità Intellettiva grave -, nella quale si sono attivati due gruppi per adulti con Disabilità Intellettiva e Disturbi dello Spettro Autistico. Il progetto è stato mosso da un obiettivo di promozione della Qualità della Vita. Un primo gruppo (8 adulti) che si è formato nel 2012 per persone con Disabilità Intellettiva e Disturbi dello spettro autistico con alta dipendenza ha assunto il nome di Gruppo NAPOLEONE (a signiicare che le vicende dei singoli sono importanti almeno quanto quelle dei protagonisti della storia uficiale), mentre un secondo (6 adulti) ha assunto il nome di Gruppo ULISSE (a signiicare il tema della ricerca della propria identità nella mutazione dei contesti assistenziali). In entrambi i gruppi uno degli elementi cardine è la strutturazione dello spazio e del tempo; nel gruppo Ulisse emerge, inoltre, con evidenza, il tema della personalizzazione dell’intervento in sintonia alla Agency dei singoli individui. Gli esiti della innovazione sono stati valutati con metodi quantitativi (variazione nel tempo dei valori dei DDD dei trattamenti psico - farmacologici e frequenza dei comportamenti problema) e qualitativi (narrazione degli operatori guidata dal costrutto di Qualità della Vita). Questa esperienza ha evidenziato effetti molto positivi e non ha richiesto costi aggiuntivi gravosi. I fattori che hanno reso possibile l’innovazione sono stati: la qualità del clima di lavoro, l’ispirazione a un principio etico, la formazione del personale. BIBLIOGRAFIA Ruggerini C., Manzotti S. (2011) People with complex disabilities in residential settings: four factors for quality of life in an ecological sensory based setting. Relazione al 4th International Sensory Conference, Toronto, 19-23 ottobre2011. (Sito: www.cometoyoursensesconference. com/ sc2011_ speakers% 20&%20 abstracts.html#bio33). 130 * 131 * 132 * Cooperativa Progetto Crescere (Reggio Emilia) * Minamiyachimata Mental Hospital (Tokyo) ** ASP Charitas (Modena) 117 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 SERVIZIO DI CONSULENZA PSICHIATRICA PER LA DISABILITÀ (CPD) NELL’ASL TO3 Carlo Pavesi*, Silvio Venuti** e Massimo Rosa*** 134 133 135 Tra le persone con disabilità psichica o psicoisica la prevalenza dei disturbi psichiatrici è signiicativamente maggiore rispetto alla popolazione a sviluppo tipico. In considerazione di questo dato nell’ASLTO3 è stato istituito un Servizio di Consulenza Psichiatrica per la Disabilità (CPD) che si propone di intervenire sul livello a più bassa intensità assistenziale del bisogno di assistenza psichiatrica specialistica. Possono usufruire del Servizio adulti in condizione di disabilità seguiti dal Nucleo Interdisciplinare per la Disabilità e titolari di progetto individuale valutato dall’Unità Valutativa Multidisciplinare per la Disabilità che presentano una sintomatologia psichiatrica tale da richiedere un intervento specialistico. Obiettivi del Servizio sono la prevenzione delle situazioni di crisi, la riduzione del numero di ricoveri impropri in SPDC o in Case di Cura, l’individuazione e l’utilizzo di forme di residenzialità temporanea alternative e lessibili quali gli Inserimenti Eterofamiliari Supportati Adulti (IESA), il miglioramento della comunicazione e del coordinamento tra Servizi Distrettuali ed il Dipartimento di Salute Mentale, una risposta alle esigenze di consulenza psichiatrica per soggetti disabili più uniforme e facilmente fruibile nel territorio aziendale mediante un utilizzo più appropriato e tempestivo della risorsa dello psichiatra con formazione speciica nel campo della disabilità, evitando il ricorso ai CSM. Nel corso del 2014, primo anno di funzionamento del Servizio, sono state effettuate 327 consulenze. Nel secondo semestre si è registrato un incremento del numero di consulenze effettuate pari al 40% rispetto al primo. In considerazione della crescente diffusione della conoscenza all’interno dell’ASLTO3 del servizio attivato, è atteso nei prossimi anni un costante incremento del numero delle richieste di Consulenze Psichiatriche per la Disabilità ed il conseguimento degli obiettivi del Servizio. UNA CASA INCLUSIVA Giuseppe Biondi* 136 Dopo il 18° anno la persona autistica, a fronte di Severi Disturbi della Condotta, perde le strutture formative che ino a quel momento lo hanno sostenuto; emerge un panorama in cui il contesto totale della persona si frammenta, in primo luogo staccandosi dalla famiglia e dal contesto di vita che ino a quel momento lo ha integrato, in secondo luogo a fronte di problematicità comportamentale la persona vive tra le varie dimissioni spostandosi da struttura a struttura (nel miglior dei casi) o in servizi psichiatrici. Per far fronte alle esigenze della nostra utenza ed alle numerose richieste del territorio la Fondazione Vismara di San Bassano ha creato un ambiente altamente specializzato che possa rispondere in modo puntuale ed eficace a tutte quelle persone affette da Sindrome Autistica * Medico Psichiatra, Referente Area Riab. Psicosociale – S.C.STCC ASLTO3; Medico CPD ** Medico Psichiatra, Direttore S.C. STCC ASLTO3 *** Medico Psichiatra, Direttore S.C. Psichiatria – Area CollegnoOrbassano ASLTO3 * Coordinatore Area Disabilità Intellettiva RSD, FONDAZIONE ISTITUTO «CARLO VISMARA GIOVANNI DE PETRI» O.N.L.U.S. 118 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” con disturbi del comportamento, che non trovano risposta nelle strutture territoriali attualmente disponibili. Si tratta della creazione di un contesto di vita con le caratteristiche della residenzialità, ma, altamente aperto verso le famiglie ed il territorio, fondantesi sui principi della ilosoia TEACCH, cosi come si è evoluta più recentemente che prevede la strutturazione dello spazio (con forte valore di discriminazione), del tempo e delle attività al ine di orientare la persona alla miglior qualità di vita nel rispetto del valore dell’autodeterminazione. DALLA PRESA IN CARICO ALLA MISURAZIONE DELLA QUALITA’ DELLA VITA Federica Ruggeri** 137 La presa in carico di giovani adulti, con severi disturbi della condotta, può essere deinita eticamente accettabile e orientata effettivamente agli esiti, solo se comprende la valutazione iniziale e a distanza di tempo, della qualità di vita. Il costrutto della Qualità della vita è inalizzato a dare una descrizione della persona, della sua complessità, in relazione alle evidenze oggettive e soggettive di soddisfazione e adattamento rispetto agli otto domini della stessa Qualità di Vita. Si tratta di un approccio metodologicamente circolare al centro del quale ci sono i bisogni, i desideri, le preferenze della persona come elemento fondamentale per la comprensione, la gestione e il decremento dei comportamenti problematici e favorire l’inclusione sociale. L’intervento è attuato, dopo un’iniziale valutazione delle preferenze. Ha pianiicato una procedura di decremento comportamento problema, attraverso il rinforzamento differenziato di comportamenti alternativi. Il disegno sperimentale a soggetto singolo, evidenzia il decremento della frequenza del comportamento problematico attraverso il rinforzo differenziale di comportamenti alternativi e l’incremento della qualità di vita misurata attraverso la somministrazione della Personal Outcome scale. Il nostro lavoro sottolinea pratiche e procedure necessarie per confrontare approcci scientiicamente fondati come analisi del comportamento applicata con risultati clinici, come il controllo dei comportamenti problema, e con gli esiti corrispondenti in termini di Qualità di vita della persona, della sua famiglia e del contesto. PSICOTERAPIE E RIABILITAZIONE: NUOVI PRESUPPOSTI TEORICI ED ASSETTI CLINICI A SOSTEGNO DEL SÉ NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO Marco Cundari* 138 Il paradigma psicologico, nella sua applicazione clinica (la psicoterapia), da oltre 20 anni ha rivisto criticamente le sue origini e si è mosso nella direzione di adottare la dimensione relazionale ed intersoggettiva come spiegazione prevalente nell’interpretazione dei principali fattori intervenienti nei processi di crescita psicologica. Tale posizione segue le orme delle evoluzioni in ilosoia della scienza, in base alle quali si privilegia l’utilizzo dei sistemi complessi nel tentativo di costruire modelli esplicativi dei processi di sviluppo. La relazione, con ** Educatore professionale, coordinatore RSD (area disabilità intellettiva-autismo-disturbo della condotta) FONDAZIONE ISTITUTO «CARLO VISMARA GIOVANNI DE PETRI» O.N.L.U.S. * Psicoterapeuta del Centro Tangram 119 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 la molteplicità dei suoi signiicati, diventa trasversalmente riconosciuta nelle discipline psicologiche e nelle Neuroscienze, come importante propulsore di crescita (fattori ambientali), in grado di orientare l’espressione di “fenotipi comportamentali” anche in quelle condizioni nelle quali è riconosciuta una potenziale origine organica del disturbo. Le psicoterapie, intese come forme specialistiche di intervento psicologico che seguono regole tecniche fondate su speciiche ipotesi teoriche, condividono che la relazione psicoterapeutica è il fulcro dell’intervento all’interno della quale si creano quelle condizioni (per alcuni aspeciiche) attraverso le quali co-costruire un ambiente che sostenga la costituzione dei fattori ambientali protettivi a favore di una crescita sana al meglio delle proprie possibilità e delle proprie risorse. Seppure con diversi accenti e linguaggi, la relazione psicoterapeutica fonda, oggi, le sue basi nella capacità, propria dell’assetto terapeutico, di riconoscere e rivivere i propri modelli operativi interni al ine di vivere un’esperienza relazionale trasformativa che aiuti a ri-scrivere rappresentazioni dei propri vissuti nello “stare con”. Attraverso questo intervento si conigura la possibilità di rielaborare, rivivere e trasformare i propri modelli relazionali disfunzionali, migliorando i fattori di inserimento sociale, la capacità di mediare tra fattori personali e pressione ambientale ed aumentare la “resilienza” dell’individuo. L’intervento riabilitativo, che si declina nell’insieme degli interventi socio-sanitari, secondo l’ottica di un progetto globale, ha come ine ultimo la crescita del Sé, inteso nella sua dimensione globale come sostegno alla crescita e deinizione dell’identità dell’individuo. Le psicoterapie, nella dimensione sopra descritta, rappresentano il collante fondamentale che permette di raccogliere i risultati conseguiti nei diversi ambiti funzionali (logopedia, neuro psicomotricità, isioterapia, terapia occupazionale, etc.) favorendone l’integrazione in una prospettiva evolutiva, di svincolo e di promozione nei processi di autonomia. Adottando questa prospettiva teorica, possiamo raccontare tre esperienze cliniche: 1)una psicoterapia individuale di lunga durata che accompagna il paziente per quasi tutto l’arco dell’intervento riabilitativo che lo vede affrontare diversi passaggi evoluivi ino all’approccio al mondo lavorativo; 2) una psicoterapia alla coppia genitoriale che evidenzia chiaramente i passaggi evolutivi nel rapporto con la malattia del iglio ed i vissuti legati ad i processi di cura, dettagliando l’attivazione e lo sviluppo della funzione rilessiva genitoriale come fattore ambientale “speciico” protettivo della crescita del iglio; 3) una esperienza pluriennale di gruppo di genitori in un setting di multi coppie che hanno igli con DI a partire dalla fase adolescenziale. L’obiettivo è di evidenziare e dettagliare, alla luce delle recenti rilessioni scientiiche, l’importanza dei fattori “aspeciici” delle psicoterapie come contributo al buon esito dell’intervento riabilitativo globale, nonchè di suggerirne un inserimento nelle buone prassi terapeutiche come intervento utile/necessario alla eficacia degli interventi in area riabilitativa. 120 Abstract del IX Congresso Nazionale della Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo (SIDiN): “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla Disabilità Intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” CO-OP (ORIENTAMENTO COGNITIVO DELLA PERFORMANCE OCCUPAZIONALE) Giulia Pasqualitto*, Patrizia Ianes** e Yann Bertholom*** 139 140 141 Il CO-OP è un approccio di intervento in Terapia Occupazionale sviluppato dalle ricercatrici canadesi (Polatajko e Mandich) per aiutare bambini con dificoltà motorie e/o di apprendimento ad avere esperienze di successo attraverso lo svolgimento di performance occupazionali cioè come vengono svolte attività per loro signiicative. Il CO-OP è un approccio metacognitivo basato sull’occupazione (attività della vita quotidiana) dove le strategie cognitive vengono cercate, individuate, attuate e veriicate avvalendosi del problem-solving e dalla guida verbale del terapista, il bambino così è in grado di migliorare la performance occupazionale ed incrementare la sua abilità e competenza padroneggiando la performance nell’attività. L’approccio ha quattro obiettivi speciici; l’acquisizione di competenze per svolgere in modo autonomo le attività della vita quotidiana, l’uso di strategie cognitive, la generalizzazione degli apprendimenti nei vari ambienti, ed il trasferimento degli apprendimenti ad altre attività. Il CO-OP è stato tradotto in pratica per bambini con DCD (Developmental Coordination Disorder -Disturbo di Sviluppo della Coordinazione Motoria), per sostenerli nel raggiungere una maggior autonomia nella loro quotidianità (Miller, 2001). In seguito l’evidenza scientiica ha dimostrato la sua eficacia anche in altre patologie, per esempio sindrome di Asperger (Rodger e Brandenburg, 2008, Rodger et al. 2008), pervasive developmental disorder (Phelan et al. 2009), e traumi cranici acquisiti (Missiuna et al. 2010). Inoltre, il CO-OP si applica con gli adulti senza problemi cognitivi (McEwen et al. 2009, 2010, Polatajko et al. 2012) e con dei deicit nelle funzioni esecutive (Skidmore et al. 2011, Henshaw et al. 2011, Dawson et al. 2009). Si è potuto dimostrare che è possibile, la generalizzazione e il trasferimento di strategie cognitive ad attività della vita quotidiana non trattate durante il percorso (Dawson et al. 2009, McEwen et al. 2010). * Terapista Occupazionale presso Semiresidenziale – Ex Art. 26 San Raffaele Cassino ** Terapista Occuapazionale presso l’APSS Trento – Struttura Ospedaliera Villa Rosa Pergine Terapista Occupazionale presso il Centro abilitativo il Paese di Oz – ANFFAS Trento, Presidente Società Scientiica Italiana di Terapia Occupazionale (SITO) *** 121 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 122 La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità Sezione contributi familiari e lavoro con le famiglie La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità Erica Tirloni In questo contributo si tratta il tema della disabilità, focalizzando l’attenzione sul ruolo che la famiglia assume in questo contesto. Non soltanto la persona che vive questa situazione, ma l’intero nucleo familiare infatti viene coinvolto da questa vicenda: sono stati delineati dei comportamenti comuni e sono anche state prese in considerazione le emozioni e le situazioni in cui si possono trovare eventuali fratelli e/o sorelle. Sono state esaminate le varie tappe del ciclo di vita di una persona che vive con disabilità e ne sono state evidenziate le problematiche. Inine è stato messo in luce quanto anche nel processo terapeutico debba essere inclusa la famiglia: per questo motivo essa rappresenta una risorsa ed il suo coinvolgimento è fondamentale per migliorare le condizioni di vita del soggetto con disabilità e dell’intero nucleo familiare. La disabilità, soprattutto nelle forme più gravi, crea delle problematiche al soggetto che la vive in prima persona e coinvolge anche tutta la famiglia. L’immaginario collettivo assegna a quest’ultima il compito di rappresentare un gruppo di persone interconnesse fra loro da legami di parentela, convivenza, sudditanza o dipendenza reciproca e di diventare una chiara immagine educativa (Formenti, 2000). Il suo studio richiede inevitabilmente la necessità di adottare una prospettiva, in quanto si parte dal presupposto che non esista un’idea o un concetto di famiglia univoco e uguale per tutti, bensì esistano diversi modi di poterla intendere. Si tratta quindi di una realtà complessa e multiforme: negli ultimi anni, infatti abbiamo assistito ad un’intensiicazione di provvedimenti legislativi, progetti, esperienze e ricerche in questo ambito. Oggi sta vivendo una fase di crisi e ne viene messa in discussione la sua identità. Dalla famiglia patriarcale dei primi decenni del Novecento, in cui convivevano sotto lo stesso tetto varie generazioni, si è passati alla famiglia nucleare, composta da genitori e igli, in cui entrambi i genitori lavorano. Vi sono poi anche coppie che decidono di convivere senza sposarsi, le cosiddette “coppie di fatto” e altre persone invece vivono da sole. Oltre a tutto ciò, si aggiunge anche il fatto che si sono modiicati i rapporti reciproci fra i vari membri ed il loro modo di stare insieme. In qualsiasi caso, comunque, la famiglia rappresenta un’importanza fondamentale per il costituirsi della società. Riconoscere ad essa un carattere complesso, dinamico ed in continuo divenire, consente di indagare i processi di costruzione personale, interpersonale e sociale, che in un determinato luogo e tempo portano individui e gruppi a considerare un certo insieme di persone come una famiglia (Formenti, 2000). La famiglia è un sistema che trasforma informazioni, capace di apprendere ad apprendere e chi lavora con le famiglie è costretto sin dall’inizio a operare e pensare in termini di com123 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 plessità e retroazione. È un contesto naturale di crescita e di guarigione ed è il contesto su cui si basa il terapeuta della famiglia per mettere in atto gli obiettivi terapeutici (Minuchin e Fishman, 1982). Essa costituisce per un iglio il suo modello di rapporto di intimità e ciò che vede e vive al suo interno diventerà parte dei suoi valori e delle sue aspettative quando prende contatto con il mondo esterno. Quando il bambino cresce ed i suoi bisogni cambiano, deve cambiare anche il sistema genitoriale. Si tratta quindi di un sistema aperto, che funziona in relazione al suo contesto socio-culturale e si evolve durante il ciclo di vita (Walish, 1986). Questo tema diventa ancora più complesso quando all’interno del nucleo familiare sono presenti soggetti con disabilità: viene sconvolto l’equilibrio iniziale, ma questa condizione può successivamente consentire a tutti i membri della famiglia, attraverso dei processi di cambiamento, di riorganizzare il sistema familiare trovando un nuovo equilibrio. La nascita di un iglio, di per sé, destabilizza l’intero nucleo familiare: cambiano i ritmi di vita, le giornate devono essere organizzate e riorganizzate per far fronte alle esigenze del bambino con un conseguente aumento di confusione e di stress. Quando a venire al mondo è un iglio disabile, l’evento è altamente stressante ed il suo impatto deve necessariamente essere compreso all’interno della realtà familiare nelle sue speciicazioni e peculiarità. Si veriica una condizione personale che porta all’impossibilità di essere autosuficienti: l’equilibrio familiare viene sconvolto e nasce il bisogno di investire risorse ed energie per poter far fronte alla situazione. Non è corretto tracciare un unico proilo di famiglia composta anche da soggetti disabili in quanto ciascun individuo, anche con la stessa disabilità, è diverso e ciascuna persona a sua volta è diversa per il contesto in cui vive e per la storia personale e sociale che la caratterizza. Si possono comunque tracciare ed individuare dei comportamenti e dei sentimenti comuni, che accompagnano la vita di chi vive accanto a queste persone. Quando si è feriti dalla disabilità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla: si inizia a negare la “normalità”, o meglio, ciò che ai nostri occhi ci appare come normale, in quanto la normalità di per sé non esiste, perché viene sempre pensata in relazione a qualcosa. Spesso i genitori parlano di una sensazione di intorpidimento, come se fossero tagliati fuori dal mondo (Baron Cohen e Bolton, 2003): nasce in loro l’esigenza di riesaminare le cose più volte prima di poterle comprendere appieno. Un evento del genere comporta una situazione di perdita e ne consegue la necessità di elaborare un lutto causato dall’assenza di una presenza “perfetta”. Di fronte alla notizia che il proprio iglio possa avere uno sviluppo anomalo che lo renderà diverso dagli altri bambini, paura, vergogna, rabbia, dolore e senso di colpa possono investire la famiglia in un sentimento di riiuto generale dell’evidenza. L’equilibrio della coppia e la qualità della vita dei genitori e di eventuali fratelli e/o sorelle sono compromessi: ciascun membro può attraversare e vivere in modo diverso lo shock iniziale e le reazioni possono continuare ad essere diverse anche in seguito. Il lutto è un continuo confronto con quella parte di bambino “normale” che cresce, sorride, fa cose tipiche dello sviluppo normale e quella parte che invece è compromessa. Alcuni genitori possono rimanere intrappolati nella fase della rabbia, accusando gli specialisti ritenendoli i soli e gli unici responsabili della disabilità del proprio bambino. Si vengono a creare così dei continui processi di negazione che possono portare anche alla creazione, del tutto frutto della fantasia, di elementi che possano in qualche modo disconfermare la diagnosi. Se questa fase non viene superata in modo adeguato, potrebbe comportare molti aspetti negativi per il bambino in quanto il genitore non si impegnerà in modo adeguato a cercare 124 La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità soluzioni adattive che possano assicurare un suo adeguato sviluppo. Altri genitori possono non voler essere d’accordo con la diagnosi perché la associano ad una prognosi terribile, senza speranza. Spesso mostrano dificoltà a gestire le implicazioni emozionali che l’etichetta diagnostica fa scaturire. Al dolore si aggiunge così la frustrazione per non essere in grado di fare qualcosa per cambiare la situazione. Possono nascere così anche dei comportamenti iperprotettivi che creeranno isolamento: evitando che il bambino con disabilità possa relazionarsi con i coetanei per paura che possano fargli del male o ferirlo con gesti e comportamenti, vengono anche ridotte le possibilità di esplorazione dell’ambiente da parte del bambino ed una sua conseguente ed inevitabile chiusura nei confronti del mondo e di qualsiasi relazione. Il dolore e la disperazione possono anche precipitare in una grave depressione, accompagnata da sentimenti di pessimismo e senso di inutilità, oltre anche a profondi sensi di colpa. È bene, anzi fondamentale però ricordare e rendersi conto che il bambino con disabilità non è un bambino che non c’è più: è un bambino che giorno dopo giorno per alcuni versi cresce con uno sviluppo tipico, mentre altre funzioni non si evolvono o si evolvono soltanto in parte. La tentazione è il confronto con gli altri, con i cosiddetti “normali”: l’accettazione è sempre più dura e dificile quando si fanno confronti e quando, soprattutto, non si accetta la persona per ciò che è. A volte il dolore può essere così totalizzante da non consentire di vedere oltre, per questo è necessario riconoscere ciò che si sta sentendo. Rendersi conto di quello che si sta provando signiica accettare ciò che si sta vivendo come dato di realtà e riconoscere nel iglio una persona distinta da sé (Grasselli, 2008). Solitamente i genitori si trovano di fronte a due alternative: scappare oppure prendersene cura costantemente. Vi sono genitori che abbandonano il lavoro per garantire la propria presenza al ine di dedicarsi completamente alla cura ed al sostegno del proprio iglio, altri invece si separano: in ogni caso, avere un iglio con disabilità comporta un impegno costante al quale risulta impossibile sottrarsi. Spesso le madri stabiliscono un rapporto molto stretto con il iglio disabile, arrivando a gestire in modo quasi del tutto esclusivo le cure necessarie per il proprio bambino. Il legame a volte può essere stretto a tal punto da impedire alle mamme di ritagliarsi dei propri spazi facendole arrivare anche al punto di rinunciare a delle possibili opportunità di sviluppo personale. Ne possono conseguire emozioni di rabbia e perdita di autostima. I padri, invece, generalmente sembrano occuparsi principalmente soltanto dell’aspetto economico della situazione: ciò però li porta ad essere maggiormente a rischio nella costruzione e nello sviluppo di solidi legami affettivi con il proprio iglio. Vi sono altre famiglie in cui la situazione può essere completamente ribaltata e sono proprio i padri a farsi carico di questo evento. In questo contesto dificile vi sono, però, anche degli aspetti positivi: molti genitori e parenti di chi vive a contatto con persone disabili palano di una sensazione di cambiamento personale, talvolta addirittura anche di rinascita (Zanobini e Usai, 2008). Molti genitori si associano al ine di aiutarsi a vicenda e dare il proprio contributo per migliorare le condizioni di chi, come loro, sta vivendo ed affrontando situazioni dificili. Tutto ciò contribuisce a creare un clima di solidarietà e di speranza: non ci si sente più totalmente soli e si crea la possibilità di pensare anche oltre l’evidenza, oltre la disabilità per mettere in luce anche le potenzialità che una persona diversamente abile ha dentro di sé. Qui subentra il concetto di resilienza: si tratta di un processo che permette la ripresa di uno sviluppo possibile a seguito di una lacerazione traumatica e nonostante la presenza di circostanze avverse (Malaguti, 2005). Affrontare la resilienza di un individuo implica prendere in 125 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 considerazione anche le interazioni che egli ha con la sua famiglia e con l’ambiente che lo circonda. Questo non signiica cancellare il suo passato, in quanto nel caso della disabilità, costituisce anche il suo presente ed il suo futuro: signiica affrontare ciò che è accaduto adottando un diverso punto di vista: un soggetto con disabilità non è solo disabile, ma una persona che possiede delle potenzialità e ha delle capacità che può manifestare semplicemente in modo diverso. La disabilità può ridurre gli spazi intorno a noi, ma può anche spalancare nuovi mondi dentro noi stessi, permettendoci di guardare le cose e di vivere le situazioni adottando un diverso punto di vista, cambiando prospettiva. Proprio perché tutta la famiglia viene investita da questo evento, non bisogna dimenticare anche eventuali fratelli e sorelle che fanno parte del nucleo familiare. Anche loro hanno bisogno di essere sostenuti nel processo di accettazione e di cura della persona con disabilità ed anche per loro la notizia può costituire uno shock: per questo motivo risulta di fondamentale importanza soppesare quanto viene detto ed aiutare ad accettare l’idea di convivere con questa situazione. Il pensiero di poter fuggire, allontanarsi, sparire, fa parte dei “luoghi del respiro” (Grasselli, 2008): quei luoghi isici o virtuali, che creano un salutare distacco dalle situazioni dificili. Essi si trovano, per rilesso, in una posizione di relativo isolamento (Zanobini e Usai, 2008) ed è come se un po’ si assomigliassero tutti: vengono considerati, all’interno del nucleo familiare, quelli più fortunati e, di conseguenza, si presuppone che siano in grado di cavarsela da soli. Possono però sentirsi deprivati dell’attenzione di cui hanno bisogno in quanto la quasi totalità delle risorse è incentrata sulla persona che ha maggiormente bisogno di aiuto. Altri ancora possono provare vergogna oppure isolarsi: si tratta di sentimenti e di comportamenti strettamente collegati ed interconnessi con le fasi evolutive del soggetto con disabilità e della famiglia, alla qualità e quantità dei supporti sociali e dell’ambiente socio-economico e culturale di riferimento. In ogni caso, sia che si tratti dei genitori, o dei fratelli e sorelle, oppure ancora di zii e nonni, bisogna tener presente che le condizioni socio-ambientali e le attitudini personali di ciascuna persona consentono un migliore e notevole adattamento alla situazione e di conseguenza si crea un clima più sereno e più facile da gestire. Solitamente i genitori riescono a comprendere molto più velocemente le esigenze ed i bisogni del proprio bambino. Come afferma Franchini: “i genitori sono, in genere, i principali esperti dei loro bambini, perché li conoscono da quando sono nati”. Il loro sapere, però deve arricchirsi ed integrarsi con quello medico, pedagogico e psicologico: solo così il bambino può crescere in autostima, acquisire iducia ed affrontare la vita. Prendersi cura nell’ambito della disabilità signiica dare la possibilità ad una persona, indipendentemente da quale sia il suo livello di compromissione, di essere ciò che è e ciò che può essere, partendo dal suo deicit e dalle risorse, per pensarlo e considerarlo come individuo nella sua totalità. E’ per questo motivo che la famiglia deve necessariamente essere sostenuta da una rete di servizi assistenziali. I soggetti con disabilità devono poter disporre di servizi che possano garantire loro degli interventi inalizzati alla loro integrazione ed inclusione, a tutti i livelli della vita sociale, facendo attenzione a rispettare l’unitarietà della persona, creando programmi individualizzati che consentano di deinire di volta in volta quali sostegni sia necessario attivare nelle diverse tappe del ciclo di vita del soggetto. Ogni famiglia vive e sperimenta queste ultime con delle peculiarità e delle caratteristiche speciiche che dipendono dalle varie interazioni del sistema famigliare con variabili sia interne sia esterne. In una famiglia con uno più igli disabili, le dificoltà nascono sin dal momento in cui i genitori si 126 La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità accorgono che qualcosa non va. La comunicazione della diagnosi è un momento molto delicato: capita, purtroppo, che a molti genitori essa venga comunicata in modo sbrigativo e in ambienti e contesti inadeguati. Spesso i genitori dichiarano di essersi sentiti soli di fronte ad essa, anche a causa di un mancato sostegno da parte dei servizi ed altrettanto spesso le informazioni ricevute in merito ad essa, possono risultare insuficienti o quasi addirittura assenti (Zanobini e Usai, 2008). In questa situazione entrano in gioco diversi aspetti inerenti a cosa dire, come dirlo, quando, a chi e da parte di chi; il modo in cui essa viene comunicata ha un ruolo determinante nell’accettazione della disabilità da parte dei genitori e condizionerà, inoltre, in modo positivo o negativo, l’inizio di un rapporto affettivo con il bambino. Un atteggiamento sbrigativo e distaccato da parte di chi ha il compito di annunciarla può generare un comportamento di chiusura da parte dei genitori. Per questi ultimi è di fondamentale importanza sentirsi compresi e la comprensione avviene nel momento in cui la comunicazione si fonda sulla chiarezza e sulla gradualità con cui viene data la diagnosi. Entrambi i genitori devono essere informati, al ine di evitare il pesante compito di dare la notizia all’altro genitore non presente in un secondo momento. I genitori ricordano, anche a distanza di molti anni, le esatte parole del medico, il luogo e il momento della giornata in cui la diagnosi è stata comunicata: è un po’ come se venisse scattata una fotograia di quel preciso momento. Per questo motivo è necessaria anche una giusta assistenza medico-psicologica ed un appropriato approccio relazionale nel corso della prima comunicazione. L’impatto che una famiglia può avere di fronte ad un evento del genere varia anche a seconda della gravità e della tipologia della menomazione, oltre che in relazione alla situazione personale, familiare e sociale dei genitori. È necessario adottare e mettere in pratica una cultura della comprensione, che deve nascere dalla conoscenza. Successivamente poi, il rapporto con la scuola non ha troppo spesso quelle caratteristiche di alternanza e collaborazione con l’educazione del bambino: la famiglia si ritrova così a dover sostenere la scuola che non ha le competenze appropriate e consone per educare e dare sostegno a soggetti con disabilità. Si troverà poi spesso impossibilitata ad usufruire delle risorse formative costituite dai cicli scolastici successivi e da altre realtà educative, poiché le problematiche che il bambino pone sono dificilmente affrontabili da chi non ha avuto una speciica formazione sulla disabilità. La convenzione ONU sui diritti del bambino del 1998, afferma che: “I bambini hanno diritto allo sviluppo di tutti gli aspetti della loro vita compreso lo sviluppo isico, emotivo, cognitivo, psicosociale, sociale e culturale”. Questa affermazione deve essere valida per tutti i bambini, compresi quelli con disabilità: è per questo motivo che nel percorso scolastico è indispensabile venga messo in atto un processo di integrazione ed al contempo di inclusione. In questo ambito è fondamentale rispettare e prendere in considerazione i bisogni e le esigenze individuali, al ine di ridurre la diversità. Il ruolo determinante per mettere in pratica un processo di integrazione è stato attribuito a tutti gli insegnanti, agli educatori di supporto e alle altre igure professionali presenti sul territorio che entrano in contatto con soggetti con disabilità (Canevaro, 2007). È necessario intraprendere un percorso che possa privilegiare i punti di forza e che richiamino l’impegno di tutti gli operatori nel realizzare un progetto partecipativo di vera qualità della vita. La disabilità per poter essere accolta, deve essere conosciuta senza pregiudizi. Alla ine del periodo della scolarizzazione la famiglia diventa spesso l’unico punto di riferimento per la crescita del soggetto con disabilità.I ragazzi e le ragazze con disabilità diventano 127 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 grandi, ma prevalentemente non autonomi e spesso richiedono sempre maggiori attenzioni ed energie ai genitori che sono, invece, sempre più stanchi e hanno sempre meno forze per fronteggiare i comportamenti ed i bisogni dei loro igli. In questa fase inoltre aumentano le richieste di autonomia ed avviene un distacco dagli adulti di riferimento. Per crescere un individuo ha bisogno di esplorare e di fare esperienze, le quali devono essere garantite all’interno di un regime di sicurezza e di tutela. Affrontare l’adolescenza per genitori con igli con disabilità signiica saper leggere ed accogliere con attenzione i primi segnali di richiesta di autonomia, trovando risposte ai bisogni del momento. E’ importante che il soggetto con disabilità venga accettato senza remore e viva in un contesto di apertura al confronto. Altri ostacoli e dificoltà si presentano anche nel corso dell’età adulta: l’inserimento nel mondo del lavoro può essere molto dificile ed altrettanto dificoltoso risulta la possibilità per loro di vivere relazioni intime e di trovare dei compagni con i quali condividere la propria vita. Anche la vita quotidiana può essere vissuta con molte dificoltà: a volte prendere un banalissimo autobus può essere un vero e proprio inferno perché molti mezzi non sono attrezzati adeguatamente. A tutti questi problemi e preoccupazioni, forse quella che più spaventa e preoccupa coloro che vivono accanto a persone con disabilità è l’incertezza del dopo. “Cosa succederà a nostro iglio quando noi non ci saremo più?”, “Chi se ne prenderà cura?”: sono domande alle quali è dificile riuscire a rispondere. Il “dopo di noi” è un termine con cui viene individuato il periodo della vita di una persona non autosuficiente nel corso del quale dovrà fare a meno del supporto dei familiari, in quanto non saranno più in grado di prendersene cura perché troppo anziani o deceduti. E’ un tema angosciante e frustrante per chi convive con la disabilità ed è per questo motivo che è necessario un intervento a livello legislativo per dare, oltre al supporto, anche delle garanzie a tutte quelle famiglie, a tutte quelle mamme, papà, nonni, fratelli e sorelle che si trovano a dover fare i conti quotidianamente con questa preoccupazione. Vi sono genitori che evitano di pensare oltre il quotidiano e che evitano di fare progetti: le preoccupazioni investono principalmente la carenza di strutture adeguate e di trattamenti consoni. “Il problema non è nostro iglio, ma l’indifferenza, la negligenza, l’improvvisazione con cui siamo costretti quotidianamente a confrontarci” (Vivanti, 2006). Inoltre molti genitori si sente poco preparata e pronta nella gestione educativa dei igli e delegano la soluzione del problema agli “esperti” (Schopler, 2005). Ciò ha come conseguenza delle ripercussioni negative: i genitori continuano a rimanere inesperti e non tutti gli esperti si rivelano tali. La famiglia rappresenta il punto focale di intervento per il terapeuta o il professionista che si occupa di soggetti con disabilità ed i genitori devono divenire protagonisti del trattamento terapeutico ed educativo. Madre e padre si trovano spesso a ricoprire tre ruoli: genitore, insegnante ed avvocato difensore dei diritti del iglio. I genitori però non hanno scelto di avere un iglio disabile, così come non hanno deciso di vivere in una società che spesso ha servizi inadeguati per far fronte alle varie ed inevitabili dificoltà. Essi devono essere aiutati ad assumere un ruolo attivo nell’educazione e nel trattamento del bambino e devono essere presentate loro delle alternative educative ed abilitative che possano portare il bambino a sviluppare e mettere in luce le sue potenzialità. Collaborare con loro non è un optional se si vuole fare un buon lavoro con il bambino e i motivi per impegnarsi a fondo per costruire e garantire una solida alleanza tra famiglia e terapeuta e per non lasciar fuori la famiglia da questo lavoro con il bambino, sono molti. Innanzitutto il diritto di appartenenza: il bambino appartiene culturalmente alla sua famiglia. E’ in essa che cresce, 128 La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità che vive e sperimenta i primi legami affettivi ed è il contesto sociale in cui entra a far parte. Altro motivo importante è la conoscenza, in quanto i genitori conoscono il bambino sin dal momento della sua nascita ed hanno, di conseguenza, passato molto tempo con lui. Conoscono meglio di chiunque altro i suoi gesti, i suoi comportamenti, le sue abitudini a volte a tal punto di essere in grado di anticipare le risposte ai suoi bisogni, grazie ad un atteggiamento empatico che nasce e si sviluppa necessariamente vivendo a stretto contatto con lui e in un periodo di tempo prolungato. Altra componente fondamentale è l’atteggiamento: i genitori non coinvolti hanno, infatti, la sensazione di non essere presi sul serio. Il professionista non si deve sostituire ai genitori, ma deve ascoltare ciò che i genitori hanno da dire, devono essere in grado di ascoltarli e di coinvolgerli all’interno del processo terapeutico e abilitativo. Inine non bisogna dimenticare che i genitori sono i primi educatori del bambino (Vivanti, 2006). Essere genitori di un bambino con disabilità non è un ruolo che una persona sceglie, ma è un compito dificile, che spesso atterrisce e demoralizza. È per questo motivo che risulta fondamentale ed inevitabile il loro coinvolgimento attivo nelle decisioni che riguardano il piano di trattamento del proprio iglio. Hanno il diritto di essere informati dell’intero progetto di intervento e devono essere anche ascoltati dagli specialisti. La famiglia è, inoltre, il primo luogo in cui è possibile veriicare se le competenze apprese, vengono messe in pratica nella vita quotidiana, generalizzando così i risultati ottenuti durante il percorso di riabilitazione. I professionisti con cui entra in contatto una famiglia che ha un suo componente con disabilità, appartengono principalmente a tre mondi: quello medico, quello della scuola e quello dei servizi. Si tratta di professionisti molto diversi tra loro per ruolo, formazione e pratica lavorativa, ma tutti e tre concorrono a migliorare la vita di questi soggetti e dell’intero nucleo familiare (Vivanti, 2006). Nei genitori di bambini disabili si osserva un aumento dello stress parallelo al numero di igure professionali coinvolte nella presa in carico: più professionisti ruotano intorno al bambino, più aumenta il malessere della famiglia. Il loro stress diminuisce quando il bambino partecipa ad un unico programma onnicomprensivo, realizzato nell’ambito di una serie di servizi in cui l’inserimento è preparato da una precisa pianiicazione della presa in carico. Come si è detto precedentemente, ogni soggetto con disabilità è diverso, ma è comunque possibile prima dell’inizio dell’intervento, fornire una spiegazione chiara degli obiettivi, dei risultati attesi e delle aspettative, spiegando quello che si intende fare e perché. La diagnosi è un punto di partenza che, pur doloroso, può condurre al raggiungimento di obiettivi quando gli interventi si integrano in uno scambio reciproco di conoscenze, competenze e responsabilità. È importante dare rilievo alle informazioni che il genitore fornisce sul bambino: la mancanza di una cultura condivisa in merito al disturbo del soggetto con disabilità rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per il rapporto tra genitore e professionista. L’operatore deve poter contare, oltre che su una buona formazione, anche su caratteristiche personali che vanno al di là della motivazione generica di aiutare gli altri, tra cui: empatia, umiltà, lessibilità, buone capacità comunicative, ironia e progettualità. Non deve interpretare come affronto personale un comportamento apparentemente ostile del genitore ed è importante la rilessione sul senso di quello che si fa. La iducia è il terreno su cui si deve consolidare una collaborazione solida e sistematica. L’operatore deve indicare ai genitori quali sono i servizi ed i punti di riferimento a loro disposizione nel loro territorio. È fondamentale fornire alla famiglia informazioni in merito a: • natura della patologia del bambino; 129 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 • • • • • • causa; conseguenze che la patologia comporta; pratiche di intervento che si intende realizzare; percorso della presa in carico in cui verrà coinvolto il bambino; ruolo dei genitori nella realizzazione degli obiettivi del programma riabilitativo; far capire che la comunicazione della diagnosi non è la conclusione, ma il principio del rapporto con il professionista. Di fondamentale importanza risulta essere anche il parent training, ossia una serie di pratiche mirate a insegnare ai genitori a diventare coterapeuti. Ne esistono di varie forme e vengono studiate ed applicate in molte aree problematiche dell’età evolutiva. Possono essere individuali o di gruppo: il primo è inalizzato alla risoluzione di particolari situazioni problematiche. Quello di gruppo, invece, ha come obiettivo la trasmissione di una cultura di base, sulla quale si fondano le metodologie e le tecniche usate nel corso del programma di intervento. Questi programmi, pur diversiicandosi in base alle varie situazioni, hanno le medesime inalità, quali: • ottenere un coinvolgimento emotivo di fronte al problema del bambino • stabilire modelli educativi eficaci • migliorare la comunicazione tra genitori e igli • aumentare la capacità di analisi dei problemi che possono insorgere • migliorare il funzionamento familiare. Generalmente è caratterizzato da due momenti: l’attività informativa, che prevede una rideinizione del problema e l’attività formativa, volta a progettare interventi per promuovere le abilità dei genitori nell’analizzare il comportamento del iglio. Dopo aver deinito in termini oggettivi il problema, si cerca di individuare, con l’aiuto dei genitori, quali strategie sono state praticate con successo per poi concordarle con le modalità di collaborazione più idonee e consone alla situazione. La formazione dei genitori è eficace quando viene fornita loro l’opportunità di acquisire una buona e solida conoscenza dei principi generali dell’apprendimento e sono consapevoli che adeguate competenze educative producono sensibili miglioramenti sul comportamento dei propri igli. Ogni intervento dovrebbe essere umano e utile per il soggetto con disabilità, in grado di adattarsi al suo stile e a quello della sua famiglia e rilettere la migliore conoscenza scientiica disponibile. La disabilità, solitamente, implica una lotta che dura per tutta la vita non solo per chi la vive in prima persona, ma anche per chi vive accanto a questi soggetti. Bisogna anche tenere in considerazione e soddisfare le esigenze di genitori e familiari che si prendono cura di loro. A questo proposito Singer e Irvin (1991)7 hanno messo a punto degli interventi possibili per le famiglie, in diversi ambiti e momenti della vita quotidiana. Alcuni di essi sono volti a ridurre le situazioni di stress, dando loro la possibilità di staccare momentaneamente dalla cura quotidiana del soggetto con disabilità. Altri, invece, sono incentrati sul perfezionamento delle capacità di valutazione delle situazioni e di coping, con lo scopo di evitare comportamenti depressivi ed eccessivamente pessimisti. Per rinforzare la rete dei supporti sociali al di fuori del contesto familiare sarebbe anche molto utile per loro partecipare a gruppi di genitori che convivono con la disabilità e si trovano nella loro stessa situazione. Al ine di migliorare anche le relazioni all’interno del nucleo fa142 7 Citati in Formenti, L (2000) Pedagogia della famiglia Milano: Guerini 130 La famiglia come risorsa nell’ambito della disabilità miliare potrebbe rivelarsi altrettanto utile l’insegnamento di tecniche comunicative eficaci, per rendere più esaustivi anche i rapporti tra familiari e professionisti. Conclusione Dall’analisi in qui condotta emerge con evidenza quanto la realtà di un genitore e di una famiglia che vive quotidianamente con la disabilità, sia complessa e molto dificoltosa. È importante parlare per soggetti e non per categorie: ogni persona con disabilità ha una sua “normalità” e quest’ultima è rappresentata dalle sue potenzialità e dalle sue risorse che deve prima di tutto scoprire e sperimentare, per poi poterle mettere in pratica. Spesso sono persone con una spiccata sensibilità nel leggere il linguaggio non verbale: capiscono e si relazionano col mondo e nel mondo senza bisogno di troppe parole. Molto si è fatto, ma molto ancora è necessario fare in merito a questo tema: la capacità empatica è indispensabile per poter meglio comprendere chi all’apparenza ci appare “diverso”: provare a pensare come un soggetto con disabilità non equivale ad essere effettivamente una persona con disabilità, ma permette di ridurre le distanze. Signiica cambiare punto di vista: è solo accogliendo e rispettando l’altro per ciò che è, con la sua patologia, le sue capacità, le sue debolezze e punti di forza, che può avvenire un vero e proprio processo di inclusione a tutti i livelli della vita sociale e personale per far sì che queste persone ed i loro familiari non vengano lasciati soli a se stessi. 131 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 BIBLIOGRAFIA Baron Cohen S. & Bolton P. (2003) Autismo. La conoscenza del problema. Roma: Il minotauro. Canevaro A. (2007) L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Trent’anni di inclusione nella scuola italiana. Trento: Erickson. Formenti L. (2000) Pedagogia della famiglia. Milano: Guerini. Grasselli B. (2008) La famiglia con iglio disabile: l’aiuto che genera aiuto. Roma: Armando. Malaguti E. (2005) Educarsi alla resilienza: come affrontare crisi e dificoltà e migliorarsi. Trento: Erickson. Minuchin S. & Fishman C. (1982) Guida alle tecniche della terapia della famiglia. Roma: Astrolabio. Schopler E. (2005) Autismo in famiglia. Manuale di sopravvivenza per genitori. Trento: Erickson. Vivanti G. (2006) Disabili, famiglie e operatori: chi è il paziente dificile? Strategie per costruire rapporti collaborativi nell’autismo e nella disabilità dello sviluppo. Gussago: Vannini. Zanobini M. & Usai M.C. (2008) Psicologia della disabilità e della riabilitazione. I soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evolutiva. Parte 2: il contesto. Milano: Franco Angeli. Nota biograica Erica Tirloni, Milano, laureata in Scienze dell’Educazione. 132 Sezione informazione Sezione informazione IX CONGRESSO NAZIONALE: “I paradigmi dell’integrazione socio-sanitaria nell’approccio alla disabilità intellettiva. Esperienze innovative e progetti di nuove prassi per l’eficienza delle attivazioni e l’eficacia degli interventi” promosso da S.I.Di.N. (Società Italiana per i Disturbi del Neurosviluppo-Disturbi dello Sviluppo Intellettivo e dello Spettro Autistico) e da ANFFAS Trentino Onlus Trento – Centro Congressi Interbrennero, 14-16 MAGGIO 2015 Programma Giovedì 14 Maggio 2015 17.00-17.30 Iscrizione Congresso 17.30-18.30 Auditorium - Apertura Congresso (Presidenti SIDiN & ANFFAS) e Saluti delle Autorità Chairman: A. Castellani 18.30-19.30 Lezione Magistrale: “Alla base della integrazione socio-sanitaria: le dimensioni di Senso e di Signiicato nelle azioni del prendersi cura” - F. Veglia 19.30 Cocktail di Benvenuto - “Risto 3” Ristorazione Trentino Presentazione e visita alla mostra AKTION T4 istallata presso il centro congressi Venerdì 15 Maggio 2015 08.30 Apertura Segreteria per la registrazione 09.00-09.30 Auditorium - Saluti / Comunicazioni Organizzative / Afissioni poster Chairman: M. Bertelli / C. Ruggerini 09.30-11.00 Lezione Magistrale: “The hystory & epistemology of the neurodevelopmental disorders” - G. E. Berrios 11.00-11.30 Pausa Libera 11.30-13.30 Simposi paralleli SIMPOSIO 1 Psicogeriatria e disabilità - Bertelli / Gomiero SIMPOSIO 2 Esperienze di potenziamento cognitivo - Ruggerini / Orsolini SIMPOSIO 3 Clima di lavoro, formazione, innovazione - Vescovi / Borghetto SIMPOSIO 4 Sessualità e comportamenti correlati - Castellani / Veglia SIMPOSIO 5 133 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Oltre il costrutto qualita’ della vita: novita’ concettuali e applicazioni - Manzotti / Marangoni SIMPOSIO 6 Neurodiversita’ e oltre, clinica e inclusione sociale - Mansi / Barbetta 13.30 Light Lunch - “Risto 3” Ristorazione Trentina 14.30-16.00 Auditorium - Il ruolo della Psichiatria nei Disturbi del Neurosviluppo Chairman: Calzolari / A. Castellani 14.30-15.00 “Particolarità della questione nosodromica nei disturbi del neurosviluppo” - C. Ruggerini 15.00-15.30 “Cromosomi, geni, genoma e oltre” - B. Dallapiccola 15.30-16.00 “Disturbi del neurosviluppo: co-occorrenze e comorbidita’ e implicazioni per gli interventi terapeutici” - M. Bertelli 16.00-16.30 Pausa Libera 16.30-18.30 Simposi paralleli SIMPOSIO 7 La clinica delle doppie e triple diagnosi: la classiicazione diagnostica - Bertelli / Vivaldelli SIMPOSIO 8 Approccio e progettazione: la pianiicazione degli interventi - Vescovi / Sforzin SIMPOSIO 9 Residenzialità e persone con disabilità intellettiva e disturbo dello spettro autistico Lassi / Gandini SIMPOSIO 10 Etnodisabilità: emergenze, ricerche ed esperienza - Castellani / Manzotti SIMPOSIO 11 Malattie rare. simposio in onore di Franca Dagna Bricarelli - Verri / Moretti SIMPOSIO 12 Utilizzazione della narrazione nella assistenza - Ruggerini / Genoni 18.30 ASSEMBLEA DEI SOCI SIDiN 20.30 Rappresentazione teatrale: “IL NOSTRO PETER PAN” della Cooperativa GRAZIE ALLA VITA Teatro” Gigi Cona” - Via Soprasasso 1 Gardolo di Trento. Sabato 16 Maggio 2015 08.00 Apertura Segreteria per la registrazione 08.45-09.00 Auditorium - Saluti / Comunicazioni Organizzative 09.00-10.30 La nozione di integrazione socio-sanitaria Chairman: M.R. Grossa, P. Vescovi 09.00-09.30 “Innovazione sociale, sostenibilità economica e diritti umani” - S. Manzotti 09.30-10.00 “La progettazione di un modello socio – sanitario tra lessibilità dei servizi, qualità di risposta alla complessità dei bisogni e nuovi modelli di valutazione” - A. Moretti, S. Rossi e U. Cammeo 10.00-10.30 “L’integrazione socio sanitaria in Trento” - P. Maccani 134 Sezione informazione 10.30-11.00 Coffee Break - “Cooperativa Ribes” che occupa ed impegna persone con dificoltà o svantaggiate 11.00-13.00 Simposi paralleli SIMPOSIO 13 La clinica delle doppie e triple diagnosi: prassi terapeutiche - Mansi / Calzolari SIMPOSIO 14 Tecniche e tecnologie per la riabilitazione - Castellani / Marangoni SIMPOSIO 15 Le transizioni nella vita dei disabili - Borghetto / Sforzin SIMPOSIO 16 Spiritualità, salute mentale, disabilità e resilienza - Lassi / Guaraldi SIMPOSIO 17 Economia e welfare dei servizi, oltre la miopia dei costi - Manzotti / Frattura SIMPOSIO 18 I lati oscuri del neurosviluppo: percorsi verso il comportamento antisociale Ruggerini / Mantesso 13.00-14.00 Pausa Libera 14.00-14.30 Auditorium: Chairman: T. Gomiero Premiazione dei Poster: Relazione sui tre Poster premiati e presentazione POSTER CANDIDATI: Il sapore della mela. Visite museali e attività a mediazione artistica in centro diurno - F. Barni, E. Muccio T’insegno quindi sono grande: il progetto “maestri del fare” C. Dalmonego, V. Ferretti, G.Malfer Applicazione della Support Intensity Scale all’Organizzazione di servizi residenziali per la D.I. - S. Gentilini Percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale (PDTA) per le persone con disturbi dello spettro autistico residenti nella provincia di Modena di età scolare (615 anni) G. Bergonzini, V. Ciulla, S. Morgillo, E. Orlandi, L. Richiusa, F. Rinaldi, A.Salis, E. Moretti, M. Martinelli. ICF core set e disabilità intellettiva - D. Del Po Abilità sociali e orientamento al futuro in soggetti con DI - M. Borghetto, Coluccia Convivenza guidata: un’esperienza territoriale innovativa di concretizzazione di un progetto di vita e di autonomizzazione rispetto al nucleo famigliare F. Sicuro, D. Priola, A. Croni Bono, M.G. Barisone, C. Pavesi, E. Ascrizzi, S. Venuti Progetto di interventi riabilitativi di gruppo in soggetti affetti da disabilità intellettiva F. Sicuro, M.G. Barisone, D. Priola, A. Croni Bono, I. Amata, C. Pavesi, E. Ascrizzi , S. Venuti Inserimento lavorativo di soggetti con disabilità intellettiva e lavoro di rete F. Sicuro, M.G. Barisone, D. Priola, A. Croni Bono, C. Pavesi, E. Ascrizzi , S. Venuti Sostenere e accompagnare l’ultima transizione nelle persone con disabilità intellettiva e autismo: aspetti clinici, sociali, relazionali in un’ottica di QdV - S. Berna · · · · · · · · · · 135 Spazi e modelli - Vol. 12 - n. 1 - maggio 2015 Laboratorio di pet therapy “Cani al Centro” per un gruppo di ID anziani - O. ·Zuccatti, A. Linari Introduzione residenza di competenze culturali e organizzative adeguate ·alle persone coninDIunae disturbi dello spettro autistico: ilosoia, costi, risultati, nell’esperienza dell’Asp Charitas di Modena C. Arletti C. Ruggerini, S. Manzotti, I. Beneventi, , B. Fiorini, C. Bertelli, P. Laurenzana, P. Pini, S. Bergonzini, D. Savigni, S. Quarta, S. Hernandez Anduagua, F. Menegatti e tutti gli operatori del Gruppo Napoleone Servizio di consulenza psichiatrica per la disabilità (cpd) nell’asl to3 - C. Pavesi, S. Venuti, M. Rosa Una casa inclusiva - G. Biondi Dalla presa in carico alla misurazione della qualità della vita? - F. Ruggeri Psicoterapie e Riabilitazione: nuovi presupposti teorici ed assetti clinici a sostegno del Sé nei Disturbi del Neurosviluppo - M. Cundari CO-OP (Orientamento Cognitivo della Performance Occupazionale) - G. Pasqualitto, P. Ianes e Y. Bertholom · · · · · Auditorium Chairman: A.L. Sangalli 14.30-15.00 (NO ECM) - Presentazione della rivista “Spazi e Modelli. Percorsi evolutivi per la disabilità psicoisica” edita da Consorzio Agorà. - F. Bottura, E. Furlani. 15.00-15.30 Qualità di vita ed integrazione dei Servizi: esperienza di collaborazione Anffas APSP Anaunia. - U. Mantesso, K. Molinari 15.30-16.00 Anffas Trentino e Cani da Vita di san Patrignano: 20 anni di pet therapy. O. Zuccatti, A. Linari 16.00-16.30 Tavola rotonda : “Etica, conoscenze e innovazione dell’assistenza” Coordinamento a cura di G.L. Nicoletti (giornalista/genitore) Partecipano: Presidente Anffas; Presidente SIDiN; Direttore Generale della Azienda Sanitaria Trento; Direttori dei Servizi Sociali; MMG (Mantesso); Rappresentante del Vescovo di Trento; Assessorato Politiche sociali-sanitari della Provincia di Trento (Borgonovo Re); coordinamento didattico disabilità (Tonelli) 136 Norme per i collaboratori • Vengono esaminati per la pubblicazione lavori originali attinenti ai temi indicati dalle sezioni e dagli orientamenti editoriali della rivista, con riferimento alla disabilità psicoisica. I contributi verranno sottoposti in forma anonima al giudizio del referee, su una lunghezza preferibilmente non superiore alle 20 cartelle. • Gli articoli proposti vanno inviati alla Redazione all’indirizzo [email protected], utilizzando una delle versioni di Microsoft Word. • Il titolo del contributo dovrà essere inviato su un ile separato, insieme al nome dell’autore, indicato per esteso, all’ente di appartenenza, all’indirizzo per la corrispondenza e speciicando la Sezione della Rivista per cui l’articolo è proposto. • Le immagini vanno consegnate in forma originale, devono essere complete di didascalia e riferimento per il corretto inserimento all’interno del testo. • L’articolo dovrà essere accompagnato da un breve abstract che ne illustri il contenuto e da una sintetica nota biograica dell’autore. • Le note a piè di pagina, inerenti apparati critici e/o approfondimenti bibliograici, vanno indicate nel testo con numeri progressivi collocati ad esponente. • Le citazioni nel testo vanno indicate con nome dell’autore, anno di pubblicazione e numero di pagina. La bibliograia, ordinata alfabeticamente, va riportata in conclusione del contributo come nei seguenti esempi: Di Furia P. & Mastrangelo F. (1998) Famiglia e Handicap. L’intervento psicoeducativo. Milano: Franco Angeli. Walsh F. (1993) Concettualizzazioni del funzionamento della famiglia normale, in (a cura di) Walsh F. Stili di funzionamento familiare. Come le famiglie affrontano gli eventi della vita. Milano: Franco Angeli. Kanner L. (1943) Autistic disturbances of affective contact. Nervous Child, 2, 217- 250. Ackerman N.W. (1958) The psychodinamics of family life. Diagnosis and treatment of family relationships, New York: Basic Books. Trad.it. (1968) Psicodinamica della vita familiare, Torino: Bollati Boringhieri. • Altri parametri per la preparazione dei contributi: utilizzare carattere Times New Roman, corpo 12, con interlinea 1,5. Finito di stampare nel mese di Maggio 2015 da la grafica srl - Mori (TN)