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CERAMICHE
CHIMICA E TECNOLOGIA DEI MATERIALI
Le Argille
Le argille costituiscono il materiale di partenza con cui, attraverso varie lavorazioni, si ottengono
tutti quei prodotti genericamente chiamati “ceramiche”. In Geologia le argille, dette anche crete o
terre, sono definite come rocce sedimentarie clastiche poco coerenti, in altre parole sono rocce
più o meno friabili costituite da piccoli frammenti di vari minerali, ossia i “clasti” ( dal greco
Klastos = spezzato) tenuti assieme da un materiale cementante poco tenace costituito dai cosiddetti
minerali delle argille.
Come vedremo più avanti, tutte le rocce esposte all’azione dell’ambiente in cui vengono a trovarsi
sono soggette a fenomeni di disgregazione di tipo fisico, chimico o biologico che tendono a ridurle
in frammenti sempre più piccoli. In base alle dimensioni decrescenti dei granuli, questi frammenti
prendono il nome di: massi, ciottoli, ghiaie, sabbie e silt.
Per convenzione, sono chiamati sabbie i materiali costituiti da granuli con un diametro compreso
tra 2 mm e 40 µm, ( 1 µm = un micrometro = un milionesimo di metro = un millesimo di
millimetro), mentre i materiali costituiti da granuli con diametro inferiore a 40 µm, sono chiamati
silt. I granuli costituiti dai minerali delle argille hanno, di solito, dimensioni simili a quelle dei
granuli di silt, sono però di origine chimica, infatti la loro formazione avviene attraverso reazioni
chimiche tra la superficie di determinate rocce e l’ambiente esterno.
Le Sabbie ed i Silt
Siccome qualsiasi roccia può subire dei processi di disgregazione in teoria le sabbie ed i silt
possono contenere frammenti di qualsiasi minerale, comunque, con il passare del tempo, tenderanno
a prevalere i minerali più duri, chimicamente più stabili e più diffusi in natura. Perciò, tra i
componenti più comuni delle sabbie e dei silt troveremo il quarzo, i feldspati, i granati, le miche e la
magnetite, mentre minerali molto comuni, come il calcare CaCO3 e la dolomite (Ca,Mg)CO3,
relativamente teneri e chimicamente non troppo stabili, si troveranno solo nelle sabbie “più
giovani”. A seconda della composizione, del tipo di trasporto e dell’età della sabbia, i granuli
possono avere una forma spigolosa oppure più o meno arrotondata. Infine, i granuli che
costituiscono una sabbia od un silt in genere assorbono e legano pochissimo l’acqua, questa è una
cosa molto importante da ricordare per comprendere il comportamento delle argille.
I minerali delle Argille
I cosiddetti minerali delle argille costituiscono il cemento che tiene uniti i granuli di sabbia e di silt.
Tra tutti i minerali presenti sulla superficie terrestre sono tra i più diffusi e più importanti per la vita,
ma sono anche tra i meno appariscenti perché sono costituiti da cristalli piccolissimi, raramente
distinguibili ad occhio nudo, con la forma di prismi esagonali sottilissimi e molto irregolari, con una
lunghezza quasi sempre inferiore a 20 µm (0,02 mm). Sono minerali dell’alluminio, alcuni idrossidi
come il diasporo AlO(OH) e l’idrargillite Al(OH)3 ed alcuni silicati come la caolinite, la
montmorillonite, la halloisite e la nontronite. La loro origine è chimica in quanto si formano
attraverso reazioni chimiche tra alcuni alluminosilicati e i componenti dell’ambiente circostante, in
particolare con acqua ed anidride carbonica a temperature elevate ( processi idrotermali).
Esistono numerosi minerali delle argille che, mescolati a sabbie e silt, danno origine ad un
grandissimo numero di argille diverse tra loro come composizione e come proprietà.
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Oltre che a produrre ceramiche, le argille sono utili per un gran numero di altri impieghi. Prima di
tutto, insieme alla sabbia ed all’humus, le argille sono un componente indispensabile dei terreni
fertili, dove hanno la funzione di trattenere l’acqua e le sostanze nutritive a disposizione delle
piante. Questa capacità di assorbire e trattenere determinate sostanze è maggiore in alcune argille,
dette smectiche, usate per la purificazione di acque, vini ed oli vegetali, per la sgrassatura della lana
appena tosata e come farmaco per assorbire sostanze tossiche presenti nell’intestino oppure come
fanghi terapeutici. Un’argilla di questo tipo, l’attapulgite, è usata nel restauro delle pietre proprio
per queste proprietà assorbenti.
Le argille vengono usate anche nella produzione di saponi, cosmetici, mine per matite, pastelli,
paste per modellare, stucchi per vetri, stampi per colate, cariche per la carta, eccetera. Le argille
ricche di calcare, chiamate marne, servono alla produzione di malte idrauliche e di cementi, mentre
da una varietà particolare di argilla, la bauxite, si ricava l’alluminio.
Tra i minerali delle argille che entrano nella composizione di argille adatte ad ottenere le ceramiche,
i più importanti sono la caolinite e la montmorillonite.
Caolinite
Il nome deriverebbe da quello di una località cinese chiamata Kao Ling ,
Composizione chimica Al2(OH)4(Si2O5).
Origine: da lenta alterazione idrotermale di feldspati, feldspatoidi e di altri silicati alluminiferi
presenti come minerali essenziali in molte rocce, specialmente graniti e gneis
La caolinite pura si presenta come una terra morbida, untuosa al tatto, di colore bianco, se è impura
tende al grigio, al giallognolo od al verde a causa delle impurezze presenti. Un’argilla costituita
essenzialmente da caolinite si può trovare in depositi di origine primaria e prende il nome di
caolino, usato nella produzione di porcellane e di altre ceramiche pregiate. La caolinite è molto più
comune in depositi sedimentari di origine secondaria dove si trova mescolata ad altri materiali.
I maggiori giacimenti di Caolino si trovano nelle località più famose per le porcellane, oltre alla
Cina, ricordiamo Limoges, in Francia, la Baviera e la Sassonia. In Italia esistono giacimenti di
Caolino in provincia di Sassari, Segnalata in piccoli noduli con fluorite ad Oleggio ( Novara) e nel
porfido di Cuasso al Monte (Varese)
Montmorillonite
Il nome deriva da Montmorillon, una località francese nel dipartimento di Vienne
Composizione chimica media : (Na,Ca) 0.3 (Al,Mg)2 (OH)2 (Si4O10) · nH2O
Origine: da ceneri vulcaniche alterate da fenomeni idrotermali o dal disfacimento di rocce eruttive
povere di silice.
Come materiale relativamente puro si trova sotto forma di granuli, di aggregati di piccoli cristalli, di
scaglie piccolissime oppure in ammassi terrosi. Il colore è molto variabile, a seconda delle
impurezze contenute, dal bianco al rosa, al giallastro, al verdastro o al bluastro. Ha la particolarità di
assorbire grandi quantità di acqua, fino a venti volte il suo volume, formando una massa gelatinosa
ad alta viscosità. La montmorillonite è un componente essenziale di molte argille, in particolare
delle bentoniti
Origine geologica delle Argille.
Come abbiamo visto all’inizio, le argille sono rocce di origine sedimentaria. I processi sedimentari
comprendono tutti quei fenomeni geologici che si svolgono sulla superficie terrestre od a profondità
relativamente modeste per effetto degli agenti atmosferici come la pioggia ed il vento, delle acque
superficiali o sotterranee e dei movimenti causati dalla forza di gravità, come le frane. Queste
trasformazioni avvengono a temperature e pressioni relativamente basse e, normalmente, con tempi
lunghissimi. Nei processi sedimentari possiamo distinguere quattro fasi : degradazione, trasporto,
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sedimentazione e diagenesi. Queste fasi non si susseguono necessariamente nell’ordine scritto e,
nella storia delle singole rocce sedimentarie che ci circondano, possono ripetersi anche moltissime
volte.
Degradazione.
Tutte le rocce presenti sulla superficie terrestre sono soggette a fenomeni di erosione e di
disgregazione dovuti alle interazioni con l’ambiente che le circonda. Queste interazioni possono
essere di tipo fisico e di tipo chimico. Le interazioni di tipo fisico concorrono a frantumare le rocce
in frammenti sempre più piccoli facendo, così, aumentare la superficie esposta all’attacco chimico.
Le principali interazioni fisiche sono : le escursioni termiche, in particolare se ampie e frequenti,
l’alternanza di gelo e disgelo dell’acqua, l’azione meccanica del ghiaccio, del vento e dell’acqua in
movimento. Le interazioni di tipo chimico sono esercitate specialmente dall’ossigeno e dall’acqua,
quest’ultima, quando contiene in soluzione sostanze come l’anidride carbonica, ioni solfuro o ioni
solfato, costituisce un reagente particolarmente attivo. L’attività delle soluzioni acquose aumenta
notevolmente quando è associata a fenomeni vulcanici che possono determinare un notevole
aumento dei valori di temperatura e di pressione; in questo caso si parla di processi idrotermali.
Infine, tra le cause di alterazione chimica e fisica, non dobbiamo dimenticare l’azione di molti
organismi animali e vegetali, l’attività biologica che si accompagna a questi processi e la
conseguente formazione di composti organici, in particolare il cosiddetto humus, porta alla
formazione dei terreni fertili. Abbiamo già visto che le argille sono costituite essenzialmente da una
miscela di sabbie e silt e dai “minerali delle argille”. Mentre le sabbie ed i silt provengono
essenzialmente dalla disgregazione fisica di qualsiasi roccia e quindi di minerali di qualsiasi tipo, i
minerali delle argille hanno origine, attraverso una serie di reazioni chimiche, da alcune categorie
ben definite di minerali: i feldspati, i feldspatoidi ed alcune miche.
I Feldspati.
I feldspati costituiscono un gruppo di minerali molto diffusi in natura, da soli rappresentano circa il
60% della massa delle rocce eruttive, in percentuale minore sono presenti nelle rocce metamorfiche
ed in alcune rocce sedimentarie. Chimicamente i feldspati sono alluminosilicati di sodio, potassio, ,
calcio e molto raramente bario. I feldspati puri sono: Ortoclasio KAlSi3O8 Albite NaAlSi3O8
Anortite CaAl2Si2O8 Celsiana BaAl2Si2O8.
A parte la celsiana, molto rara perché il bario è un elemento poco comune, gli altri tre sono
comunissimi in natura dove si possono trovare sia relativamente puri, sia in miscela isomorfa tra
loro. Il più facile da riconoscere è l’ortoclasio quando, a causa di piccole quantità di ossidi di ferro
presenti nel suo reticolo cristallino, assume una colorazione rosa o rosso bruna come nel granito
rosa di Baveno o nel porfido di Cuasso al Monte (Va).
È curiosa l’origine del termine feldspato, letteralmente “ spato di campo”: feld è una parola tedesca
che significa “campo”, mentre il termine “spato”, in mineralogia, indica quei minerali che si
rompono facilmente in pezzi con forma di solidi geometrici relativamente regolari, infatti i
frammenti di cristalli di questi minerali, provenienti dal disfacimento meccanico delle rocce che li
contengono, si trovano facilmente durante la lavorazione dei terreni agricoli.
I Feldspatoidi.
I feldspatoidi costituiscono un gruppo di alluminosilicati di sodio e di potassio che hanno una
composizione chimica simile a quella dei feldspati alcalini: l’ ortoclasio e l’albite, sono meno
diffusi dei feldspati, si trovano in rocce eruttive povere di silice e non sono mai associati al quarzo,
a differenza dai feldspati che sono quasi sempre associati al quarzo. Tra quelli usati anche nella
preparazione delle ceramiche, come fondente, troviamo la Nefelina KNa(AlSiO4)4.
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Le miche
Sono dei fillosilicati, come i minerali delle argille, ma con cristalli lamellari decisamente più grossi,
tanto da essere state usate, ad esempio, al posto dei vetri nelle finestre. Le miche hanno una
composizione chimica piuttosto complessa e sono diffusissime ed abbondanti come componenti
essenziali di molte rocce vulcaniche intrusive come i graniti e di rocce metamorfiche come gneis e
micascisti. Sono facilmente riconoscibili quando si trovano sotto forma di lamine brillanti di colore
argenteo o dorato. ( il nome mica deriva dal latino micare = luccicare). Le più comuni sono la
Biotite e la Muscovite.
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Le reazioni chimiche che provocano la disgregazione di questi minerali, trasformandoli in minerali
delle argille, sono numerose, talvolta molto complesse e sovrapposte tra loro. Un esempio
abbastanza semplice può essere la rappresentazione teorica della reazione data da un feldspato
come l’ortoclasio a contatto con acqua ricca di anidride carbonica, meglio se ad alta temperatura:
→
Al2Si2O5(OH)4 + 4SiO2 + K2CO3
2KAlSiO4 + H2O + CO2
Ortoclasio + acqua + anidride carbonica → caolino
+ silice + carbonato di potassio.
Questa reazione porta alla formazione di tre composti.
Il caolino, un minerale delle argille che, essendo insolubile in acqua, potrà restare “ in loco”
formando un deposito di origine primaria, oppure, ad esempio per azione della pioggia, verrà
trasportato e mescolato con altri minerali formando depositi argillosi di origine secondaria.
La silice che, potremo ritrovare in una delle tantissime varietà che questo composto può presentare
in natura.
Il carbonato di potassio che, essendo solubile in acqua, verrà trasportato altrove, potrà essere
utilizzato per la formazione di altre rocce o potrà rimanere disciolto nell’acqua come sale e
costituire quindi, per quanto riguarda lo ione K+, un ottimo nutrimento per le piante.
Trasporto
Le rocce disgregate in frammenti di varie dimensioni e talvolta trasformate in altri composti dalle
più svariare reazioni chimiche, vengono, pian piano, prelevate e portate lontano. I principali agenti
di trasporto sono i corsi d’acqua, i ghiacciai, il vento e le correnti marine. Per quanto riguarda ad
esempio l’acqua corrente dei fiumi dobbiamo considerare che la capacità di trasporto, per una data
velocità della corrente, dipende dalle dimensioni, dalla densità e dalla composizione dei granuli,
ossia avremo un trasporto ed una deposizione selettiva determinati dalla granulometria ed dalle
proprietà chimico-fisiche delle specie minerali presenti. In altre parole le particelle più piccole,
meno dense e con maggiori interazioni con il mezzo di trasporto vengono trasportate più lontano.
Contemporaneamente il trasporto nell’acqua, che è il caso più comune, allontana dai sedimenti la
maggior parte dei componenti solubili in essa. Inoltre, poiché un lungo trasporto determina un
progressivo smussamento degli spigoli dei granuli, a causa degli urti e degli attriti tra essi, la loro
forma
tende
a
diventare
sempre
più
arrotondata
ed
uniforme.
Proprio in base al tipo di trasporto subito, le argille vengono distinte in: argille di origine primaria
ed argille di origine secondaria.
Le argille di origine primaria, come il caolino in alcuni rari depositi, sono sempre rimaste vicine
alle “rocce madri” e non hanno subito nessun trasporto rilevante da parte di acqua, ghiaccio e vento;
tutt’al più sono scivolate dai fianchi delle rocce di origine depositandosi alla loro base. Per questo
motivo le argille primarie possono essere particolarmente pure, però sono costituite da particelle
anche relativamente grosse e spigolose, hanno una granulometria non uniforme e, nel loro interno,
possono contenere dei residui di roccia madre, questi fattori rendono il materiale poco plastico e
più difficile da lavorare rispetto alle argille secondarie.
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Le argille di origine secondaria con il passare del tempo, inteso nell’ordine di migliaia o
addirittura di milioni di anni, se tra gli agenti di trasporto comprendiamo i movimenti orogenetici
della crosta terrestre, possono essere state trasportate e depositate più volte. Di conseguenza le
particelle delle argille secondarie sono più piccole, più uniformi e più arrotondate di quelle delle
argille primarie. Però le argille secondarie sono meno pure perché, durante il loro viaggio si sono
mescolate ad altre sostanze, come altre argille, sabbie, ossidi di ferro, calcare, resti di animali e di
vegetali. Ad esempio nell’alveo del Po si mescolano materiali provenienti sia dalle Alpi che dagli
Appennini, trasportati da fiumi e torrenti che attraversano territori geologicamente molto diversi tra
loro .
Molti giacimenti di argilla sono ricchi di fossili perfettamente conservati, sono abbastanza comuni
anche noduli concrezionati di pirite, calcite, gesso ed altri minerali. alcune impurezze presenti in
forma estremamente suddivisa colorano le argille che, se fossero costituite unicamente da un
minerale delle argille, avrebbero un colore tendente al bianco, al giallognolo o al verdognolo.
Una tinta grigio scura o nerastra può essere data dalla presenza di sostanze carboniose di origine
organica. Una tinta azzurrognola o verde scura viene attribuita alla presenza prevalente di composti
di ferro con numero di ossidazione +2, mentre una tinta da giallo chiara a rosso bruna è data dal
prevalere di composti di ferro con numero di ossidazione +3. Un colore rosso bruno intenso,
tendente al violaceo indica in genere la presenza di composti del manganese uniti a quelli del ferro.
Le argille nere, verdi o azzurre, dopo una lunga esposizione agli agenti atmosferici acquistano in
superficie una tinta giallastra o rossiccia a causa di processi di ossidazione dovuti prevalentemente
all’ossigeno presente nell’aria.
Sedimentazione.
Quando la forza della corrente, costituita da acqua o da aria ( il vento ) diventa insufficiente a
tenere in sospensione ed a muovere i granuli di una determinata grandezza, densità e composizione,
questi tenderanno a depositarsi.
I sedimenti fluviali che possiamo osservare lungo il letto del fiume stesso, ci appaiono, di solito,
formati da lenti più o meno appiattite, di natura sabbiosa, argillosa o ghiaiosa, separate tra loro delle
oscillazioni di velocità dell’acqua. Ad ogni episodio di piena questi sedimenti vengono in parte
sollevati, rimescolati, nuovamente separati e depositati più avanti. I materiali più fini, che restano in
sospensione più a lungo, sono quelli che arrivano più velocemente alla foce del fiume dove tendono
a depositarsi sul fondo di un bacino lacustre o marino.
La causa principale della sedimentazione è data dalla brusca diminuzione della velocità delle acque
del fiume che si allargano stendendosi a ventaglio, di conseguenza i sedimenti tenderanno ad
avanzare nel bacino stesso formando un deposito a forma di mezzo tronco di cono detto conoide di
deiezione con una ulteriore separazione in frazioni diverse.
Diagenesi.
Il sedimento, mobile ed incoerente, impregnato d’acqua e con comportamento plastico, subisce,
specialmente a causa degli strati sovrastanti, dei processi chimico –fisici che, attraverso l’espulsione
più o meno completa dell’acqua, la cristallizzazione di alcuni sali presenti in soluzione ed eventuali
reazioni chimiche, portano alla formazione di una roccia più coerente. L’insieme dei fenomeni che
avvengono durante il passaggio da sedimento a roccia più o meno coerente, a temperature e
pressioni relativamente basse, prende il nome di diagenesi.
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Il comportamento delle Argille con l’acqua – La plasticità
Tutte le argille assorbono e trattengono più o meno facilmente l’acqua trasformandosi in una massa
pastosa che, in determinate condizioni di viscosità, può essere modellata. Aumentando la quantità
di acqua, alcune di esse possono formare una sospensione piuttosto stabile, una specie di gelatina
con caratteristiche colloidali. Queste sospensioni, che possono essere più o meno fluide, sono quelle
che comunemente chiamiamo limo, fanghiglia, fango, melma, mota.
Proprio perché tra gli aggregati di minerali delle argille e l’acqua si formano dei legami chimici
abbastanza forti, quando l’argilla è impregnata d’acqua tende a costituire uno strato impermeabile
all’acqua stessa.
Le stesse argille, asciugando all’aria, si contraggono sensibilmente, spesso screpolandosi e
formando delle zolle con una crosta superficiale molto dura e difficilmente bagnabile, possono però
ritornare plastiche quando vengono nuovamente bagnate.
Questo comportamento è più evidente nelle argille povere di sabbia e ricche di minerali argillosi,
sono infatti questi ultimi quelli che hanno la proprietà di assorbire e legare fortemente l’acqua.
mentre la sabbia è costituita da particelle che assorbono e legano pochissimo l’acqua.
Abbiamo già visto che i minerali delle argille sono dei fillosilicati, ossia sono costituiti da aggregati
di cristalli lamellari piccoli e sottilissimi. La struttura del reticolo cristallino di questi cristalli è
piuttosto complessa, ma è proprio a causa di questa struttura che essi presentano sulla superficie
esterna delle cariche elettriche residue responsabili della facilità con cui le argille stesse possono
assorbire e cedere acqua o altri composti muniti di carica elettrostatica.
Quando un’argilla è umida gli aggregati di cristalli dei minerali argillosi si circondano di molecole
d’acqua che permettono loro di scivolare uno sull’altro se il materiale viene sottoposto ad una
sollecitazione meccanica e di rimanere nella nuova posizione quando la sollecitazione cessa di
agire. Questa proprietà tipica delle argille, di poter essere modellate a temperatura ambiente in
qualsiasi forma, senza rompersi e creparsi, è chiamata plasticità.
La grandezza e l’uniformità delle particelle che compongono un’argilla hanno una notevole
influenza sulla sua plasticità, infatti più le particelle costituite da aggregati di minerali argillosi sono
piccole, più è estesa la superficie esposta in grado di legare e trattenere l’acqua e, quindi, l’argilla è
più plastica.
Per questo motivo le argille secondarie, che contengono particelle più fini e più uniformi, sono più
plastiche delle argille primarie.
Al contrario le particelle non argillose, come i minerali contenuti nelle sabbie, fanno diminuire
notevolmente la plasticità di un’argilla, fino ad annullarla quando sono in quantità eccessiva.
L’argilla fresca, cioè l’argilla appena estratta dal sottosuolo è di solito poco plastica e difficile da
lavorare perché le particelle che la compongono sono fortemente compattate e legate tra loro.
Diventa più plastica se la si lascia invecchiare all’aria aperta immersa nell’acqua e se viene
rimescolata piuttosto spesso per almeno alcuni mesi.
In alcune zone della Cina l’argilla veniva lasciata invecchiare addirittura per alcune decine di anni.
L’invecchiamento ed il rimescolamento permettono all’acqua di penetrare sempre più all’interno
del materiale argilloso, frammentando in particelle sempre più piccole gli aggregati di cristalli dei
minerali delle argille, idratandoli in modo più completo.
Durante l’invecchiamento la plasticità migliora anche grazie alle sostanze di rifiuto colloidali
prodotte da piccoli microorganismi animali, detti infusori, che vivono negli strati superficiali delle
argille umide.
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La Classificazione delle Argille
Le argille adatte alla produzione delle ceramiche vengono classificate in vari modi, abbiamo già
visto la distinzione tra argille di origine primaria ed argille di origine secondaria.
In base al loro comportamento quando vengono lavorate sono distinte in:
Argille grasse e argille magre.
Nelle argille grasse predominano i minerali delle argille, le particelle hanno dimensioni uniformi e
la sabbia è presente in piccole quantità. Queste argille sono morbide e pastose al tatto ed hanno una
plasticità elevata.
Le argille magre sono più ricche di sabbia che può avere una granulometria più o meno uniforme,
ma che determina comunque una plasticità più ridotta. Al tatto sono ruvide e dure.
In base al loro comportamento alle alte temperature sono distinte in:
Argille refrattarie ed argille fusibili.
La temperatura di cottura e di vetrificazione di una argilla dipende sia dalla temperatura di fusione
dei suoi singoli componenti, sia dalle reazioni chimiche a cui questi componenti possono dare luogo
durante il processo di riscaldamento. Tra due componenti di una miscela sottoposta ad un aumento
graduale di temperatura si vengono a creare delle interazioni di tipo chimico-fisico per cui il
componente con temperatura di fusione più bassa fa sì che la miscela fonda, in genere, ad una
temperatura di fusione intermedia a quella dei due e, talvolta, ad una temperatura di fusione minore
a quella di entrambe ( miscele eutettiche). Il componente che abbassa la temperatura di fusione
viene chiamato fondente.
Le argille refrattarie sono argille che vetrificano a temperature maggiori di 1500°C, sono le argille
più ricche in minerali argillosi, in silice SiO2 ed in allumina Al2O3, tutti composti che fondono a
temperature molto elevate : allumina 2050 °C, silice 1670°C, caolinite 1800 °C , mentre mancano
quasi del tutto gli ossidi di ferro, i carbonati ed altre sostanze che agiscono come fondenti
abbassando la temperatura di cottura e di vetrificazione.
Le argille fusibili, al contrario, vetrificano e fondono al di sotto dei 1500 °C, esse contengono una
percentuale più elevata di sostanze che agiscono da fondenti, come ossidi di ferro e carbonati.
Le argille vengono classificate anche in base alla loro composizione chimica:
Caolini.
I caolini sono argille primarie costituite da caolinite quasi pura, hanno origine da processi
idrotermali dovute all’azione di acque circolanti in zone vulcaniche attive, per questo, molto calde e
ricche di gas, come l’anidride carbonica, che hanno agito su rocce contenenti feldspati come
l’ortoclasio.
Essendo rimaste nello stesso posto in cui si sono formate sono costituite da particelle relativamente
grosse e con una granulometria non uniforme. Di solito contengono anche piccoli frammenti di
roccia madre non reagita, in particolare quarzo, feldspati e miche.
Per queste ragioni, nonostante il contenuto piuttosto elevato di minerali argillosi, il caolino non è
molto plastico ed ha un leggero ritiro. se è relativamente puro risulta bianco, sia prima che dopo la
cottura e fornisce oggetti translucidi se è lavorato in spessore sottile, è un materiale piuttosto raro e
costoso ed è il componente indispensabile per ottenere le vere porcellane. Puro, cuoce a circa
1800°C , per renderlo più plastico e per abbassare la temperatura di cottura viene mescolato con
argille bianche più plastiche e con fondenti come feldspati o calcare puri.
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Bentoniti
Le bentoniti contengono, come minerale argilloso, quasi unicamente la montmorillonite, hanno
origine da ceneri e tufi vulcanici, sempre per azione dell’acqua ricca di anidride carbonica. Come
già visto, assorbono grandi quantità di acqua e sono molto plastiche. Quando piove i terreni ricchi di
bentonite si gonfiano, aumentano di volume e diventano sdrucciolevoli e gelatinosi, Questi terreni
costituiscono zone ad elevatissimo rischio idro-geologico, la causa delle cosiddette “colate di
fango”. Una bentonite terrosa ed impura, mescolata ad illite, costituisce la “Terra bianca di
Vicenza”. Nella produzione di ceramiche le bentoniti vengono aggiunte ad altre argille poco
plastiche, al esempio il caolino, per aumentarne la plasticità.
Argille Ferruginose.
Sono argille secondarie che contengono una percentuale elevata di ossidi più o meno idrati di ferro,
questi composti agiscono sia da fondente che da colorante, quando la percentuale di composti di
ferro e, talvolta, di manganese è abbastanza elevata queste argille costituiscono le cosiddette terre
colorate usate dai pittori.
Cuociono tra 850 e 950°C , dopo la cottura risultano di colore rosso o rosso bruno e molto porose.
Sono le argille più usate per la produzione di ceramiche a basso costo come laterizi e vasi per fiori.
Argille Calcaree.
Sono argille secondarie contenenti una percentuale elevata di carbonato di calcio CaCO3, in genere
sono usate in miscela con altre argille, specialmente con quelle ferruginose. La presenza di calcare o
di altri carbonati in un’argilla può essere rivelata facendone reagire una piccola quantità con acido
cloridrico: CaCO3 + 2HCl → CaCl2 + H2O + CO2.
L’effervescenza dovuta alla anidride carbonica CO2 indica la presenza di carbonati, la “vivacità”
della reazione può dare un’idea, sia pure approssimata, della loro concentrazione. Naturalmente
esistono dei metodi di analisi per determinare in modo preciso la composizione e la percentuale dei
vari componenti delle argille.
Argille Silicee.
Sono argille secondarie ricche di sabbie silicee, si trovano facilmente lungo gli alvei dei fiumi.
Cuociono tra 850 e 900°C ed hanno un colore bruno, rossastro o giallo ocra a seconda della quantità
e del tipo di ossidi di ferro contenuti. Sono usate, tra l’altro, per produrre oggetti destinati alla
cottura di alimenti perché la percentuale elevata di silice contenuta favorisce la resistenza agli sbalzi
di temperatura.
Ball Clays
Si tratta di un termine anglosassone, letteralmente “ argille palla “ usato per indicare alcune argille
secondarie a grana fine che rimangono bianche dopo la cottura. Cuociono a circa 1300°C ed hanno
un ritiro molto elevato, fino al 20%, per questo non possono essere usate da sole, sono spesso
mescolate al caolino.
In base ai prodotti che vengono ottenuti sono classificate come:
Terraglie.
Si possono trovare allo stato naturale, oppure sono preparate con impasti artificiali. Nel primo caso
si tratta di argille ferruginose, comunemente chiamate crete, contengono notevoli quantità di ossidi
di ferro, calcare ed altre impurezze che ne abbassano la temperatura di cottura. Anche la plasticità
ed il colore dipendono dalle impurezze contenute, in genere danno prodotti porosi e sono usate per
ceramiche a basso costo..
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Nel secondo caso si possono preparare degli impasti costituiti da argille bianche, sia prima che dopo
la cottura, in quelli più pregiati si aggiungono anche piccole quantità di caolino, vengono usati per
imitare le porcellane specialmente nel caso di piatti, tazzine ecc.
Porcellane.
Si tratta di impasti formati da caolino e ball clays od altre argille bianche che costituiscono la parte
argillosa, come fondenti si usano in genere feldspati. Cuociono tra 1400 e 1500°C dando un
prodotto bianco e translucido.
Le cosiddette porcellane tenere cuociono a circa 1200°C, questa temperatura di cottura più bassa
viene ottenuta usando come fondenti il fosfato di calcio Ca3(PO4)2 sotto forma di cenere d’ossi, la
sienite nefelinica od il carbonato di calcio.
Fire Clays o Argille a Fuoco
Impasto poco plastico con una percentuale elevata di chamotte, contiene caolino o argille refrattarie
e feldspati. Resistono senza deformarsi a temperature attorno ai 1500°C. la loro plasticità varia
moltissimo a seconda della miscela.
Gres
Impasti di argille refrattarie, con temperature di cottura relativamente elevate, da 1200 a 1350°C, si
possono trovare anche in natura. Dopo la cottura sono compatti, con aspetto vetroso e di colore
bruno, grigio o rosato.
Alcuni nomi sono termini usati dai ceramisti :
Barbottina
Impasto più o meno fluido di argilla ed acqua. Viene usato durante la modellatura per migliorare la
coesione tra le varie parti di un oggetto. Dovrebbe essere preparata con la stessa argilla usata per
modellare. Una barbottina non troppo fluida e trattata con sostanze emulsionanti viene usata nella la
formatura per colata in stampi di gesso.
Ingobbio.
Anche gli ingobbi sono miscele più o meno fluide di argilla ed acqua, usate per coprire o decorare,
con un colore diverso, l’argilla usata per modellare il pezzo. Il colore naturale dell’argilla usata per
l’ingobbio può essere modificato aggiungendo un ossido metallico colorante. Prima di usare un
ingobbio è meglio controllare che esso sia compatibile con l’oggetto da ricoprire durante
l’essicazione e la cottura.
Chamotte.
Termine francese usato per dare importanza lessicale al banale “coccio pesto”, si tratta di scarti di
argilla cotta e macinata. Si trova in commercio già pronta in varie granulometrie, è un ottimo
dimagrante per le argille troppo plastiche, facilita l’essiccamento e da maggiore resistenza agli
oggetti durante la cottura.
Biscotto.
Con questo termine si indica un oggetto di ceramica dopo la prima cottura ottenuta ad una
temperatura inferiore a quella di vetrificazione, in questo modo l’oggetto risulta poroso, quindi può
assorbire liquidi e fissare vetrine e smalti. Talvolta, come nel caso di molti laterizi o di vasi per
fiori,l’oggetto è commerciato allo stato di biscotto.
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Acquistare le argille.
L’argilla può essere acquistata umida o asciutta, in polvere o in granuli. L’argilla umida si trova in
pacchi di circa 25 Kg, pronta per l’uso. Acquistando argilla in polvere si avrà il vantaggio di un
minor peso durante il trasporto ma si avrà un maggior lavoro per prepararla. Presso i rivenditori
specializzati è possibile trovare o farsi preparare l’argilla più idonea al tipo di lavoro che si intende
realizzare.
Cercare le argille.
La ricerca di piccole quantità di argilla può essere un’esperienza gratificante, specialmente se si ha
poi la possibilità di utilizzarla. In genere le argille si trovano al di sotto dello stato di terreno fertile
che è una miscela di argilla, sabbia ed humus, non utilizzabile per i nostri scopi. Quindi i posti dove
la si può trovare più facilmente sono dove questo strato superficiale non esiste od è stato tolto, ad
esempio lungo le tagliate delle strade, gli alvei o le foci del fiumi, le valli di impluvio, i calanchi.
Evitate le vecchie cave abbandonate o, perlomeno, visitatele con molta prudenza, possibilmente non
da soli, dopo esservi informati sulla loro accessibilità. Ricordate anche che la raccolta di rocce e
minerali, come quella dei funghi e dei fiori, è soggetta a delle limitazioni. Per la Lombardia è in
vigore la legge regionale 10/01/1989 n°2 che disciplina la ricerca e la raccolta dei minerali, in
particolare l’articolo 2 riporta : …la ricerca e la raccolta dei campioni di minerali deve essere
effettuata con tecniche e modalità che garantiscano il rispetto dell’equilibrio idrogeologico
complessivo e locale dello strato umifero, della stabilità del terreno…e che non comportino
interferenze negative con la flora e con la fauna.
Nei parchi nazionali o regionali la raccolta di rocce e minerali è, di solito, proibita del tutto.
Insomma, se vi trovate in una località nuova per voi conviene sempre, prima di raccogliere qualche
cosa, informarsi sulle leggi e sulle limitazioni della zona.
Preparare l’argilla raccolta.
L’argilla raccolta deve essere preparata per l’uso. Gli scopi principali di questo lavoro di
preparazione sono:
eliminare la maggiore quantità possibile di materiali estranei, frammentare ed idratare gli aggregati
di minerali delle argille, omogeneizzare l’argilla.
Materiale necessario.
Molta pazienza, si tratta di un lavoro che potrebbe richiedervi alcune ore per qualche giorno se
volete preparare qualche chilo di argilla.
Un posto adatto, almeno un balcone, non è un lavoro da fare in cucina. A questo proposito non
lavate i recipienti usati versando i residui di argilla nello scarico del lavandino perché potreste
intasarlo, lasciateli seccare così potrete staccarli facilmente dalle parete del recipiente, raccoglierli
ed eliminarli nel modo più appropriato che, trattandosi di “terra” dipenderà dalla sua quantità.
Un abbigliamento adatto, alcune argille, specialmente quelle ferruginose, possono provocare delle
macchie difficili da eliminare.
Poi un setaccio, meglio se di plastica, a maglie molto fitte. Un recipiente facilmente maneggiabile,
ad esempio una caraffa di plastica, in cui mescolare l’argilla con l’acqua. Un recipiente più grande,
ad esempio un secchio di plastica da 10 – 12 litri, per raccogliere e decantare il materiale filtrato.
Due bastoncini di lunghezza adatta per essere appoggiati sul bordo del secchio, su di essi potrete
appoggiare il setaccio. Un terzo recipiente in cui potrete raccogliere l’acqua usata e riutilizzarla.
Una bacinella, fogli di carta da giornale, un mestolo di legno oppure un bastone di legno per
mescolare, una spatola da muratore. Naturalmente le dimensioni di questi materiali dipendono dalla
quantità di argilla che volete preparare.
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Preparazione.
Se l’argilla che avete raccolto è in blocchi asciutti rompeteli in piccoli frammenti con una mazzuola,
togliete i materiali estranei più grossi come ciottoli e radici, metteteli in un recipiente di dimensioni
adatte ( dovrete poter mescolare agevolmente), aggiungete acqua fino a ricoprirli per qualche
centimetro e lasciateli immersi per alcuni giorni, mescolate ogni tanto, meglio se con le mani in
modo da sentire la presenza di grumi,
Se l’argilla che avete raccolto è già umida e plastica si può saltare questo primo passaggio di
bagnatura, mettetela in un recipiente di dimensioni adatte, aggiungete acqua fino a ricoprirla,
mescolate fino a quando l’acqua si intorbida, lasciate riposare per alcuni istanti in modo che si
depositino le particelle più grosse e versate lentamente la sospensione nel setaccio. Aggiungete di
nuovo acqua nel recipiente con l’argilla e ripetete le stesse operazioni finché sul fondo del
recipiente non rimarrà un residuo sabbioso o fino a quando il recipiente in cui raccogliete il filtrato
è quasi pieno. ( La presenza delle più svariate bestioline in una argilla umida è del tutto normale,
sarebbe preoccupante se non ci fossero ). Una attenta osservazione dei residui rimasti nel recipiente
usato per mescolare o nel setaccio, già ad occhio nudo ma meglio con una lente di ingrandimento o
con un microscopio, potrebbe dare qualche sorpresa sotto forma, oltre che di bestioline, di vari
minerali, specialmente quarzo, in cristalli piccoli ma quasi perfetti o di piccoli fossili).
Lasciate a riposo il materiale filtrato per almeno una notte in modo che l’argilla si depositi sul
fondo, poi versate molto lentamente la maggior quantità possibile dell’acqua sovrastante, meglio se
in un altro recipiente, così la potrete riutilizzare se vi avanza ancora dell’argilla da purificare. In
questo caso ripetete le stesse operazioni con gli stessi recipienti.
Durante la decantazione le particelle più grosse e meno idrofile, come quelle che costituiscono la
sabbia, tenderanno a depositarsi più velocemente, occorrerà quindi mescolare a lungo il materiale
depositato per renderlo il più possibile omogeneo.
Quando tutta l’argilla sarà stata setacciata e decantata, dopo avere eliminato la maggior quantità
possibile di acqua, versatela, aiutandovi con una spatola, in un recipiente di plastica basso e largo,
ad esempio un sottovaso, ricoperto con uno strato di carta da giornale, oppure sopra ad una
superficie assorbente come legno o gesso e lasciatela asciugare, rimestandola ogni tanto fino a
quando avrete l’impressione che abbia raggiunto una consistenza ottimale. A questo punto
raccoglitela e sistematela in un recipiente a chiusura ermetica, meglio se di plastica, sono ottimi i
sacchetti per la spazzatura.
Finché non è cotta l’argilla è sempre riutilizzabile, purché sia pulita, basta bagnarla se è troppo
secca od asciugarla se è troppo bagnata.
Modificazioni e test.
Talvolta le argille possono essere usate così come si trovano, spesso però è necessario aggiungere
degli additivi per modificare alcune caratteristiche. Questo può succedere anche per le argille che
abbiamo acquistato.
In genere le caratteristiche che vengono modificate sono : la plasticità e quindi il grado di ritiro, la
temperatura di cottura, il colore.
Plasticità e ritiro.
Queste due caratteristiche sono strettamente collegate tra loro, siccome la plasticità di una argilla è
determinata essenzialmente dalla capacità dei minerali delle argille di assorbire l’acqua mentre il
ritiro è dovuto essenzialmente alla perdita di acqua da parte dei suddetti minerali delle argille,
possiamo dire che in genere se aumenta il contenuto di minerali delle argille aumenta la plasticità
ma aumenta anche il ritiro durante l’essiccamento e la cottura perché è maggiore il volume di acqua
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prima assorbito e legato e poi perso. Al contrario se diminuisce il contenuto di minerali delle argille,
diminuisce la plasticità ma diminuisce anche il ritiro.
Un’argilla ideale dovrebbe avere la massima plasticità durante la lavorazione ed il minimo ritiro
durante l’essiccamento e la cottura. Ma naturalmente questa è una cosa impossibile da ottenere.
Infatti se facciamo delle aggiunte per migliorare la plasticità potremo modellare meglio l’argilla ma
aumenteremo il ritiro e quindi i rischi di rotture durante l’essiccamento e la cottura. Viceversa, se
facciamo delle aggiunte per diminuire il ritiro diminuisce anche la plasticità e, ad un certo punto,
rischieremo di avere un’argilla impossibile da lavorare. Di conseguenza le eventuali aggiunte
devono essere fatte sapendo che nel momento stesso in cui miglioriamo una proprietà peggioriamo
l’altra.
Per provare la plasticità di un’argilla umida formate dei colombini ed arrotolateli, modellatela in
pezzi sottili per vedere se tiene la forma, costruite delle forme verticali o accumulate dei pezzi uno
sull’altro per vedere se regge il suo peso, appiattite delle lastre oppure preparate un colombino e
tiratelo da entrambe le parti per valutare la sua capacità di allungamento.
Talvolta quest’ultima caratteristica viene chiamata, impropriamente, elasticità, benché si tratti
sempre di una manifestazione di plasticità ossia della capacità di modificare la propria forma
quando è soggetta ad uno sforzo e di mantenere la nuova forma quando lo sforzo cessa di essere
applicato. Al contrario un materiale è elastico quando si deforma sotto sforzo ma ritorna alla forma
primitiva al cessare dello sforzo stesso, come un elastico od una molla.
Se l’argilla vi sembra troppo appiccicosa durante la lavorazione o se i pezzi si afflosciano anche con
spessori non troppo sottili la sua plasticità deve essere diminuita, se invece già durante la
lavorazione oppure durante l’essiccamento l’argilla si rompe o si crepa la sua plasticità deve essere
aumentata.
Per aumentare la plasticità si può aggiungere un’argilla molto plastica, ad esempio una bentonite.
Per diminuirla si potranno aggiungere delle sostanze che legano poco l’acqua, come la chamotte, la
silice o semplicemente sabbia.
Per valutare il grado di ritiro di un’argilla si preparano delle lastre rettangolari di circa 120 x 50
mm, con uno spessore di circa 10 mm; si traccia su ognuna una linea di 100 mm, segnandone le
estremità con una sottile linea perpendicolare in modo da avere esattamente un punto di inizio e uno
di fine della misurazione, si lascia seccare perfettamente e quindi si misura la lunghezza della nuova
linea.
Se all’inizio la linea era lunga 100 mm la percentuale di ritiro da bagnato a secco si ottiene facendo
semplicemente la differenza tra la lunghezza iniziale e quella finale. Per lunghezze diverse si può
applica la formula : ( lunghezza iniziale meno lunghezza finale) moltiplicata per 100 e divisa per la
lunghezza iniziale. Si ripete la misura dopo la cottura delle piastrelle e si ricava il valore del ritiro
dopo la cottura stessa. La somma dei due valori ci fornisce quella del ritiro totale.
Temperatura di cottura.
Per determinare la temperatura di cottura si fanno delle prove a temperature crescenti. Si preparano
delle lastre di argilla, si lasciano essiccare perfettamente, si mettono nel forno su dei supporti e si
cuociono a temperature crescenti. L’argilla diventerà più densa (compatta) e più dura man mano che
si avvicinerà alla sua temperatura di maturazione. Oltre questa temperatura si affloscia..
Colore.
Il colore e la grana di una argilla possono essere modificati con l’aggiunta di vari materiali come
altre argille, ossidi di ferro o di manganese, pezzi di ruggine, chamotte, ecc.
Ad esempio un’argilla di colore chiaro con l’aggiunta del 2- 4% di ossido ferrico ( anche sotto
forma di ruggine in polvere ) dopo la cottura diventa rossa o bruna, la stessa aggiunta di ossido
ferrico più il 2% di ossido di manganese la rendono grigia-marrone. In pratica si possono
modificare i colori originali delle argille aggiungendo piccole percentuali di ossidi coloranti anche
in combinazione tra loro. Per ottenere toni chiari è meglio usare argille bianche e colorarle con
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l’aggiunta dell’ossido idoneo. Le argille colorate naturali sono più adatte per ottenere toni scuri in
quanto hanno già in sé rilevanti percentuali di ossidi di ferro. Nei negozi specializzati si trovano dei
prodotti già pronti che forniscono diverse colorazioni agli impasti di argille di colore chiaro.
Si possono mescolare due argille di colore diverso per ottenere effetti marmorizzati od a mosaico, in
questo caso però ci si deve assicurare che le due argille siano compatibili tra loro, ossia devono
avere lo stesso ritiro, per evitare deformazioni e rotture durante l’essiccamento e la cottura. La cosa
migliore è quella di usare un’unica argilla bianca da cui aggiungendo determinati ossidi si possono
ottenere tutti i colori che si desiderano.
Un semplice test di compatibilità consiste nel preparare una lastra con ognuna delle due argille con
lo spessore di circa un centimetro, sovrapporle unendole con una barbettina costituita da una delle
due argille, lasciarle essiccare e cuocerle.
Come vedremo la colorazione finale dipende dalla temperatura di cottura e dalla atmosfera presente
nel forno che può essere ossidante, con molto ossigeno, riducente, con poco ossigeno, o neutra
È importante notare come ogni additivo possa avere più di un effetto, ad esempio la silice
diminuisce il ritiro ma alza la temperatura di cottura, mentre quasi tutti gli ossidi coloranti agiscono
anche come fondenti.
Inoltre tutte le sostanze organiche presenti in un impasto durante la cottura si decompongono e
bruciano producendo vapore acqueo ed anidride carbonica se l’atmosfera è ossidante, oppure ossido
di carbonio o addirittura fuliggine se l’atmosfera è riducente.
Lavorazione. Modellatura
Ogni volta che tagliate un nuovo pezzo di argilla da lavorare esaminatene la superficie e togliete
eventuale materiali estranei, anche il piano di lavoro e gli attrezzi devono essere puliti. In
particolare si deve evitare di includere pezzi di gesso nell’impasto perché possono essere molto
dannosi durante la cottura.
Dopo avere tagliato una fetta di argilla, prima di modellarla, la si lavora manipolandola in piccole
porzioni alla volta, in questo modo si facilita l’espulsione di eventuali bolle d’aria presenti nella
pasta e si mescolano eventuali strati di densità diversa rendendo l’argilla più omogenea e più
plastica. Questa lavorazione preliminare è molto importante per le argille di produzione casalinga,
lo è meno per le argille di produzione industriale già omogenee e disaerate.
Le bolle d’aria contenute nelle pareti di un pezzo rappresentano un grosso rischio durante la cottura,
infatti, riscaldandosi, tendono a dilatarsi e se non riescono ad uscire possono provocare la rottura o
addirittura l’esplosione del pezzo.
Un altro caso in cui durante la lavorazione possono rimanere imprigionate delle bolle d’aria è
quando si uniscono le diverse parti di un oggetto, ad esempio un manico ad un vaso. Occorre
sempre incidere leggermente le parti nella zona in cui verranno a contatto ed ungerle entrambe con
barbottina prima di unirle.
L’argilla comincia ad asciugare nel momento stesso in cui viene tolta dal suo contenitore e mentre
asciuga si ritira. Certo, almeno all’inizio, i cambiamenti saranno quasi inavvertibili, ma dopo
qualche ora cominceranno ad essere evidenti. La velocità di questo processo dipende da vari fattori,
tra cui la composizione dell’argilla, il tipo di lavorazione e le condizioni atmosferiche.
Per questo motivo se un pezzo non viene finito in giornata dovrà essere riposto avvolto in un
sacchetto di plastica in modo da mantenerlo umido. Talvolta si aggiunge uno straccio bagnato,
meglio però non a contatto diretto con l’oggetto perché una umidità eccessiva localizzata in una
zona ristretta lo potrebbe rovinare.
Non è possibile aggiungere parti di argilla fresca ad un oggetto già parzialmente asciugato. Se, ad
esempio durante l’essiccamento si stacca il manico di un vaso non è possibile riattaccarlo con della
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barbettina, oppure fare un manico nuovo. I due materiali, trovandosi in fasi di ritiro diverse si
staccheranno dopo qualche ora. Nemmeno l’idea di riattaccare i pezzi con un mastice potrà avere
successo, se il mastice è di tipo organico verrà distrutto durante la cottura, se invece è di tipo
inorganico molto difficilmente potrà seguire i movimenti di dilatazione e di contrazione dell’argilla
durante la cottura, l’unica soluzione sarà quella di cuocere separatamente i due pezzi,
eventualmente smaltarli, decorarli e ricuocerli ancora separatamente ed infine incollarli.
Un discorso simile può essere fatto per le eventuali “anime”, ossia per i supporti usati per facilitare
la modellatura.
Devono lasciare che l’argilla si contragga liberamente mentre asciuga e devono poter essere
separate facilmente senza provocare deformazioni. Salvo qualche eccezione non potranno mai
essere cotte nel forno con l’oggetto.
I supporti interni rigidi, di vetro, metallo, legno o plastica, dovranno essere sfilati il più presto
possibile prima che l’argilla cominci ad asciugare ed a ritirarsi sensibilmente.
Per facilitare l’estrazione del supporto senza rischiare di rovinare il pezzo è sempre meglio
avvolgerli in un foglio di carta, di plastica o di alluminio, in questo modo prima si sfila il supporto,
poi il foglio.
Anche se l’anima e morbida e quindi in grado di seguire l’argilla nel sua ritiro, dovrà essere
eliminata il prima possibile. Infatti avremo due possibilità : a) il supporto assorbe acqua, ad es. carta
o cartone, b) non assorbe l’acqua, ad es. gomma o plastica. In entrambi i casi si avrà una differenza
di velocità di evaporazione dell’acqua tra la parte esterna e la parte interna dell’oggetto con il
rischio di deformazioni e di rotture.
Essiccamento.
Terminata la modellatura il pezzo deve asciugare lentamente ed in modo il più possibile uniforme.
Un essiccamento troppo rapido o non uniforme può causare la rottura del pezzo che dovrà asciugare
al riparo dal Sole, da fonti di calore e da correnti d’aria. Il tempo richiesto per l’essiccamento, in
termini di giorni o di settimane, dipende dal tipo di impasto, dalle dimensioni e dallo spessore
dell’oggetto, dalle condizioni ambientali.
Le sculture massicce, ad esempio una testa, devono essere cave all’interno e possedere dei fori di
aereazione in modo da permettere la fuoriuscita regolare e completa dall’acqua sotto forma di
vapore, anche durante la cottura.
Dopo alcune ore il pezzo acquista la cosiddetta “durezza cuoio”, quando è in questo stato esso può
essere maneggiato, sia pure con precauzione e subire lavorazioni o decorazioni di tipo meccanico
come il taglio di piccole parti, svuotamenti, scanalature o incisioni.
Le argille “ porose” permettono all’umidità di uscire più rapidamente e, di conseguenza, il loro
essiccamento è più rapido e sicuro. La porosità è favorita dalla presenza di sabbia o di chamotte
costituiti da granuli spigolosi che favoriscono la formazione di micro cavità. Quando l’argilla
asciuga l’acqua presente tra le particelle evapora e queste ultime tendono ad avvicinarsi riempiendo
gli spazi rimasti vuoti.
La riduzione di volume di una normale argilla di giusta plasticità può essere dell’8 – 10%.
Più acqua assorbe un’argilla più essa si ritira quando asciuga, le argille di origine secondaria con
particelle molto piccole e di dimensioni uniformi, che sono le più plastiche, trattengono molto di più
l’acqua; per questo, di solito, più un’argilla è plastica più essa si ritira quando asciuga.
Un ritiro eccessivo può portare facilmente alla deformazione ed alla rottura di un oggetto plasmato,
specialmente se l’essiccamento non è uniforme.
A temperatura ambiente ed in condizioni di umidità normali l’argilla conserva sempre nel suo
interno una certa quantità di acqua libera, detta acqua igrometrica, essa sparirà completamente
durante la cottura.
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La cottura.
Anche dopo l’essiccamento l’argilla rimane un materiale fragile, da maneggiare con cautela; messa
nel forno e cotta ad una temperatura piuttosto elevata, si trasforma in ceramica, un materiale inerte,
durevole e con la consistenza della pietra.
La cottura avviene di solito in due fasi, nella prima l’argilla viene riscaldata ad una temperatura
inferiore a quella di vetrificazione in modo da rimanere porosa e quindi permeabile, ( biscotto).
Questa prima cottura rende il materiale più sicuro da maneggiare durante l’applicazione di vetrine e
di smalti, mentre la porosità della pasta ne facilita l’assorbimento. Il manufatto quindi viene cotto
nuovamente fino alla temperatura ottimale detta temperatura di maturazione.
Come abbiamo visto la plasticità di un’argilla è dovuta alla presenza di acqua tra le particelle che la
compongono. Quando l’acqua evapora queste particelle si avvicinano formando una massa più
compatta e causando un primo ritiro.
L’oggetto lasciato asciugare per una o due settimane acquista una consistenza dura ma fragile
chiamata “secco assoluto”. Fino a questo punto non c’è nessuna variazione nella composizione
chimica dell’argilla, se l’oggetto venisse immerso in acqua tornerebbe argilla fluida.
Nei primi stadi della cottura la temperatura deve salire lentamente per consentire all’acqua residua
di evaporare. Se la temperatura raggiungesse i 100°C troppo rapidamente le eventuali piccole
sacche di acqua rimaste nell’argilla si trasformerebbero velocemente in bolle di vapore che, non
potendo uscire altrettanto velocemente, provocherebbero la rottura del pezzo. A circa 120°C tutta
l’acqua di impasto che non è evaporata durante l’essiccamento, risulte eliminata.
I primi cambiamenti nella composizione cominciano a verificarsi sopra i 350°C quando l’acqua di
idratazione, ossia l’acqua che compare nelle formule dei composti perché legata chimicamente agli
elementi presenti nel reticolo cristallino dei minerali delle argille, inizia ad essere eliminata.
Se l’argilla in cottura contiene caolinite, questa attorno ai 450°C perde tutta l’acqua di idratazione
trasformandosi in meta caolinite,
A circa 500°C l’argilla è completamente disidratata, siccome a queste temperature dal reticolo
cristallino dei minerali delle argille sono spariti i gruppi ossidrilici che catturavano e legavano le
molecole di acqua, essa non può più essere riutilizzata perché la sua composizione chimica risulta
modificata in modo irreversibile. A queste temperature gli oggetti si trovano in condizioni di
estrema fragilità.
Quando il forno raggiunge i 573°C i cristalli di quarzo, presenti in quasi tutte le argille, subiscono
un cambiamento della struttura cristallina, pur rimanendo allo stato solido, che determina un
aumento del volume. Questa modificazione è reversibile e, quando gli oggetti, ormai cotti, verranno
lasciati raffreddare il volume diminuirà dello stesso valore.
Anche questi cambiamenti devono avvenire lentamente. Sia il riscaldamento che il raffreddamento
degli oggetti a queste temperature deve avvenire in modo graduale ed uniforme. Oltre i 600°C il
riscaldamento può essere accelerato senza pericoli. Tra gli 800 ed i 900°C cominciano ad avvenire
altre reazioni chimiche:
Qualsiasi composto organico presente nel forno si decompone e brucia più o meno completamente,
a seconda della quantità di ossigeno disponibile nel forno, sviluppando, in teoria, solo anidride
carbonica e vapore acqueo se l’aria nel forno è ricca di ossigeno ( atmosfera ossidante) oppure
ossido di carbonio e fuliggine se l’aria nel forno è povera di ossigeno ( atmosfera riducente ).
I pigmenti contenuti nell’argilla possono reagire in vari modi, determinando dei cambiamenti di
colore. L’intensità di questi processi ed i prodotti ottenuti dipendono anche dal tipo di atmosfera
presente nel forno, che può essere ossidante o riducente e che influisce notevolmente sulla
colorazione finale degli oggetti.
I carbonati, presenti come fondenti, si decompongono producendo anidride carbonica ed il relativo
ossido basico, ad esempio:
CaCO3 → CaO + CO2
K2CO3 → K2O + CO2
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La produzione di anidride carbonica e di vapore acqueo che restano intrappolati nella massa
argillosa determina la formazione di piccoli pori ed una diminuzione della densità del materiale che
risulta minima a queste temperature.
Man mano che la temperatura aumenta alcuni composti presenti nell’argilla, come gli ossidi basici
provenienti dalla decomposizione dei carbonati o gli ossidi di ferro presenti come coloranti,
cominciano a fondere e reagiscono con una parte della silice e dei minerali argillosi presenti
nell’argilla, in questo modo agiscono come fondenti formando dei silicati che fondono ad una
temperatura più bassa di quella di fusione dei minerali argillosi e della silice, che è piuttosto alto.
A circa 1000°C anche questi silicati basso fondenti fondono e circondano i granuli di silice e di
minerali della argille rimasti facendo diminuire la porosità. L’oggetto subisce un ritiro del 2 – 4 %,
ma in alcuni casi può arrivare al 10%.
Attorno ai 1200°C si completa la fusione dei silicati basso fondenti. mentre la meta caolinite inizia
a decomporsi producendo silice ed un alluminosilicato con struttura e composizione uguale a
quella della Mullite naturale.
Questi processi di fusione a temperature elevate che rendono l’argilla dura, vitrea e non porosa,
vengono detti processi di vetrificazione. Se a questo punto aumentiamo ulteriormente la
temperatura l’oggetto si affloscia e poi fonde trasformandosi in un liquido.
Ogni argilla ha la sua temperatura di vetrificazione. Le terraglie tenere che contengono molte
impurezze, vetrificano a basse temperature, esse si afflosciano a temperature alle quali argille come
il caolino non hanno ancora cominciato a vetrificare, è importante cuocere l’argilla alla temperatura
a cui raggiunge la massima durezza senza afflosciarsi e fondere. Questa è la cosiddetta
temperatura di maturazione.
Nell’oggetto di argilla le interazioni tra la porzione fusa e fluida e la porzione che rimane solida
sono simili a quelle che si verificano in natura quando la lava vulcanica viene a contatto con rocce
preesistenti. (metamorfismo di contatto).
Però i prodotti finali ottenuti, ossia le ceramiche, hanno i solito una composizione diversa da quella
delle rocce naturali. Una delle poche eccezioni è costituita dalla Mullite, un minerale molto raro in
natura e comune, invece, come componente delle porcellane e delle altre ceramiche che cuociono ad
alta temperatura.
Nota - Andalusite, Cianite, Sillimanite e Mullite sono quattro alluminosilicati che hanno in comune
la composizione chimica, rappresentabile con la formula Al2O(SiO4) e l’origine : per metamorfismo
di contatto tra lava vulcanica e rocce argillose preesistenti; hanno di diverso i valori di temperatura
e di pressione a cui si formano, la struttura cristallina ed alcune proprietà chimico – fisiche, tra cui
la resistenza alle alte temperature.
I primi tre minerali sono comuni in natura, mentre la Mullite è molto rara, questo viene spiegato con
il fatto che la Mullite si forma a temperature elevate, sopra i 1200°C ed a bassa pressione, vicino a
quella atmosferica o poco più alta; queste condizioni, normali in un forno in cui si cuociono
porcellane, sono poco probabili in natura.
Siccome però la Mullite ha, tra i quattro, le migliori caratteristiche come materiale refrattario, viene
prodotta artificialmente scaldando in forno a circa 1300°C e naturalmente a pressione atmosferica,
Andalusite, Cianite o Sillimanite.
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Raffreddamento.
Se il forno usato è di tipo elettrico, una volta raggiunta la temperatura massima programmata si
disinserisce automaticamente, a questo punto deve essere lasciato raffreddare. Siccome gli oggetti
contenuti nel forno si trovano in condizione di estrema fragilità, la cosa migliore da fare sarebbe
quella di non accelerare in nessun modo il raffreddamento, lasciando che avvenga spontaneamente
nel tempo necessario per arrivare alla temperatura dell’ambiente esterno. Infatti una eventuale
immissione rapida di aria fredda nell’interno del forno provoca una sbalzo di temperatura che
potrebbe determinare la rottura degli oggetti contenuti perché le zone investite direttamente dalla
corrente di aria fredda tendono a perdere più velocemente l’aumento di volume determinato dalla
temperatura elevata, questo determina delle tensioni tra la parte raffreddata e quella ancora calda
con il conseguente rischio di spaccature.
Se, nonostante tutto, si volesse accelerare il processo di raffreddamento, si può cominciare ad aprire
parzialmente le prese d’aria del forno quando la temperatura sarà scesa a valori non troppo rischiosi,
questi valori dipendono dalla composizione e dalle dimensioni degli oggetti contenuti nel forno.
Coni di Seger
Da diversi anni sono in commercio termometri elettronici adatti alle alte temperature tuttavia,
specialmente nei forni non elettrici, il raggiungimento della temperatura richiesta può essere
rilevato per mezzo dei vecchi “coni pirometrici”. I più comuni sono i cosiddetti coni di Seger, dal
nome del loro inventore. Sono dei piccoli pezzi di argilla modellati a forma di cono costituiti da
miscele di allumina, silice e fondenti puri (ossidi o carbonati d sodio, potassio, calcio, ferro,
piombo, boro) , mescolati in proporzioni tali da far si che ogni tipo di cono si ammorbidisca e si
pieghi ad una determinata temperatura.
Sono preparati e numerati in base ad una scala che va dai 600 ai 2000°C.
Ad esempio se si desidera raggiungere la temperatura di 1310°C , corrispondente al cono n°9, si
collocano nel forno i coni n° 8 (1290°C), il n°9 (1310°C) ed il n°10 (1330°C).
Essi devono essere collocati in modo che non si tocchino quando si piegano, quando in cono n° 8
comincia a piegarsi è segno che il forno si avvicina alla temperatura desiderata, quando la cima del
cono n° 9 è piegata verso il basso è segno che è stata raggiunta la temperatura desiderata, se il cono
n° 10 comincia a piegarsi la temperatura è eccessiva.
Rivestimenti ceramici.
I rivestimenti ceramici servono oltre che ad abbellire gli oggetti, a renderli impermeabili ai liquidi
ed ai gas, più resistenti all’attacco degli agenti esterni e più igienici facilitandone il lavaggio e la
pulizia.
In genere vengono chiamati vetrine, oppure cristalline o vernici quando sono trasparenti e smalti
quando sono opachi.
Le vetrine e gli smalti vengono stesi ad umido in strato sottile sull’oggetto e fissati ad esso per
azione del calore che ne provoca la fusione.
Le materie prime che li compongono sono praticamente le stesse che servono a produrre i vetri,
come la silice, il borace, il carbonato di calcio e di sodio.
Per renderli colorati si impiegano dei composti inorganici, i più comuni sono gli ossidi dei metalli;
questi possono agire come coloranti o come pigmenti, agiscono come coloranti quando si legano
chimicamente ai componenti della vetrina formando dei nuovi composti oppure una soluzione
solida o colloidale, in entrambi i casi il rivestimento risulterà trasparente.
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Agiscono come pigmenti quando non si legano chimicamente ai componenti della vetrina ma
rimangono dispersi sotto forma di polvere finissima nella vetrina stessa formando una sospensione,
in questo caso la vetrina risulterà opaca e prenderà il nome di smalto.
I coloranti ed i pigmenti organici non possono essere usati per questo scopo perché verrebbero
distrutti durante la cottura. ( tuttavia alcuni composti metallo-organici, come i resinati, vengono
usati per ottenere particolari decorazioni dovute appunto alla decomposizione della frazione
organica )
Se la vetrina non contiene composti solubili in acqua basterà macinare e miscelare i suoi
componenti, in questo caso verrà definita “non frittata”
Se invece la vetrina contiene dei composti solubili in acqua, come il borace o il carbonato di sodio,
è indispensabile “frittarla” ossia trasformarla in un vetro insolubile.
Questa operazione si effettua fondendo in un forno la miscela dei componenti della vetrina, il vetro
fuso che si ottiene viene versato in acqua dove “frigge” , da qui il nome di “fritta”, sbriciolandosi a
causa dello sbalzo di temperatura. La fritta viene poi macinata fino a dare una polvere bianca
finissima.
Le vetrine si distinguono in base alla loro composizione, avremo ad esempio le vetrine piombiche,
se contengono piombo, apiombiche se non lo contengono, oppure, in base all’aspetto, potranno
essere brillanti, satinate, cristalline, ecc.; o in base alle proprietà ottiche potranno essere trasparenti,
opache, colorate, incolori, ecc
Alle vetrine macinate vengono poi aggiunte delle sostanze, ad esempio la metilcellulosa, una resina
organica, che hanno lo scopo di mantenerla in sospensione nell’acqua.
I componenti principali delle vetrine e degli smalti sono tre : il quarzo, i fondenti e gli opacizzanti,
detti anche refrattari.
Il Quarzo
Le varietà di quarzo migliori per la produzione di vetrine sono il quarzo ialino o cristallo di rocca,
puro ed incolore, ed il quarzo latteo, di colore biancastro. Queste possono essere estratte dalle cave
dove sono presenti in rocce quarzose dette appunto quarziti ma più spesso si ricavano dalle sabbie
quarzifere che sono formate da frammenti di cristalli di quarzo quasi puro.
Il quarzo è il componente principale delle vetrine e degli smalti perché ne costituisce la massa
vetrosa che ingloba tutti gli altri materiali.
Però il quarzo puro ha un punto di fusione troppo elevato : 1710°C, più alto della temperatura di
cottura di qualsiasi argilla compreso di solito tra gli 800 ed i 1400°C. di conseguenza è necessario
abbassarne il punto di fusione usando i cosiddetti fondenti.
I Fondenti
La nuova temperatura di fusione del quarzo dipende dal tipo di fondente usato, dalla sua percentuale
nella miscela e dalla presenza di altri componenti.
Possiamo distinguerli in fondenti piombici ed in fondenti alcalini.
I fondenti a base di piombo sono tra i più usati fino dall’antichità, sono i più versatili ed efficaci per
gli smalti che cuociono a basse temperature, ma il piombo rappresenta un veleno molto pericoloso
sia per il fabbricante che maneggia la materia grezza sia per chiunque mangi o beva abitualmente
alimenti o bevande con comportamento acido, come aceto, vino, succhi d frutta, coca cola in
recipienti per cui sia stato usato uno smalto a base di piombo.
I cosiddetti fondenti alcalini sono essenzialmente dei composti contenenti, come metalli, sodio,
potassio, calcio, magnesio e bario.
Tra i più usati troviamo i borati, come il borace Na2B4O8 · 10H2O e l’acido borico H3BO3 usati
specialmente nella preparazione di smalti per maiolica, ed i carbonati come la soda Na2CO3, la
potassa K2CO3, il calcare CaCO3, e la dolomia (Ca,Mg)CO3.
Come abbiamo già visto i carbonati, durante la cottura, si decompongono liberando anidride
carbonica e fornendo il rispettivo ossido che agisce come fondente perché ad alta temperatura
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reagisce con il quarzo formando alluminosilicati con un punto di fusione più basso di quello del
quarzo stesso.
Anche i feldspati come l’ortoclasio agiscono come fondenti per smalti che cuociono a medie ed a
alte temperature mentre la sienite nefelinica che è una roccia vulcanica povera di quarzo e ricca di
nefelina, un silicato con proprietà simili a quelle dei feldspati, viene usata come fondente per smalti
a bassa e media temperatura.
.
Opacizzanti o Refrattari.
Fanno diventare opache le vetrine trasformandole in smalti, inoltre ne aumentano la resistenza e la
viscosità rendendone più facile l’applicazione sugli oggetti da ricoprire. I più usati sono :
Allumina – è uno dei nomi con cui viene indicato l’ossido di alluminio Al2O3 che, in percentuale
più o meno elevata è presente in tutte le argille. L’allumina pura si presenta come una polvere
bianca, viene estratta industrialmente dalla bauxite ed è usata in molti campi tra cui la produzione
di alluminio.
Ossido di stagno SnO2 – è il composto opacizzante più usato nella preparazione di smalti bianchi
per le maioliche.
Ricordiamo infine gli ossidi di magnesio, di zinco e di zirconio.
Alcuni componenti delle vetrine non vengono quasi mai usati nella forma pura indicata nelle ricette.
Molto spesso si adoperano dei prodotti meno costosi, meno pericolosi da maneggiare e più facili da
trovare in commercio, essi durante la cottura reagiscono fornendo il composto chimico desiderato.
Ad esempio l’ossido di sodio è un composto molto instabile, fortemente caustico per contatto con
la pelle o gli occhi e quindi molto pericoloso da maneggiare mentre la comune e relativamente
innocua soda solvay Na2CO3 durante la cottura all’interno del forno si decompone liberando
anidride carbonica e fornendo l’ossido di sodio richiesto come fondente.
Alcuni minerali usati nella preparazione degli smalti forniscono più di uno dei componenti richiesti.
Ad esempio il caolino fornisce allo smalto sia la silice sia l’allumina, mentre molte argille comuni
contengono tutti i componenti necessari per fornire uno smalto : la silice come componente vetroso,
l’allumina come opacizzante, il carbonato di calcio come fondente, gli ossidi di ferro e di
manganese per il colore.
La tabella qui sotto riporta alcuni esempi di composti che possono essere usati per introdurre
determinati ossidi in uno smalto.
Materiale richiesto
Materiali utilizzabili
Quarzo SiO2 Quarziti
Biossido di slicio SiO2
Sabbie silicee ( sabbie costituite essenzialmente da silice )
Feldspati
Acido borico H3BO3
Anidride borica B2O3
Colemanite CaB3O4 · H2O
Borace Na2B4O5 · 8H2O
Caolino Al4(OH)8(Si4O10)
Ossido di Alluminio Al2O3
Argille
(allumina)
Feldspati
Sienite nefelinica ( sienite, roccia intrusiva basica con contenuto
elevato di nefelina KNa3(AlSiO4)4
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Minio Pb3O4
Ossido di Piombo PbO2
Litargirio PbO
Carbonato basico di piombo Pb3(OH)2(CO3)2
Nitrato di potassio
Ossido di Potassio K2O
KNO3 ( salnitro )
Potassa, essenzialmente K2CO3, ottenuta da cenere di legna
Feldspato potassico KAlSi3O8
Carbonato di sodio Na2CO3
soda, essenzialmente Na2CO3 da cenere di legna di piante alofile
Ossido di sodio Na2O
Bicarbonato di sodio NaHCO3
Nitrato di sodio NaNO3 ( salnitro del Cile)
feldspato sodico NaAlSi3O8
Sienite nefelinica
Calcare (carbonato di calcio) CaCO3
Dolomite (Ca, Mg)CO3
Ossido di calcio CaO
Wollastonite Ca3(Si3O9)
Fosfato di calcio ( cenere d'ossa )
Polvere di marmo
Magnesite MgCO3
Ossido di magnesio MgO
Dolomite (Ca, Mg)CO3
Talco Mg3(OH)2(Si4O10)
Colori per ceramiche
I colori per ceramiche sono costituiti essenzialmente da composti di metalli di transizione, i più
usati sono gli ossidi, vengono venduti sotto forma di polveri in appositi sacchetti, comunque
possono essere travasati in barattoli di vetro più comodi da aprire e da maneggiare. Ricordatevi di
togliere l’etichetta originale dal barattolo e di incollarne una nuova con il nome del colore.
La maggior parte di questi composti viene usata anche in altre tecniche pittoriche come l’affresco,
la tempera, l’acquerello, la pittura ad olio, eccetera, ma, quando vengono usati per le ceramiche si
comportano in modo del tutto diverso.
La particolarità più evidente è il cambiamento di tonalità che si verifica con la cottura, non si tratta
del normale cambiamento da colore bagnato a colore asciutto ma di qualche cosa di più drastico, ad
esempio un verde può diventare un nero oppure un rosso a seconda delle condizioni in cui avviene
la cottura.
Un’altra particolarità è che quando i colori sono applicati su uno smalto crudo, in pratica su una
superficie farinosa, vengono assorbiti molto ed in modo instabile, questo non permette interventi di
cancellazione e di correzione, inoltre i colori applicati sopra smalto tendono a muoversi durante la
cottura per la fusione che avviene tra i colori stessi e lo smalto di base, ciò comporta la difficoltà di
tracciare un segno netto e contorni ben delineati, d’altra parte questo inconveniente viene
considerato una caratteristica delle maioliche.
A differenza di quello che succede nelle altre tecniche pittoriche, dove il colore asciuga e viene
fissato a temperatura ambiente, i colori per ceramiche vengono cotti ad una temperatura piuttosto
elevata e sono interessati da svariate reazioni chimiche che portano alla formazione di nuovi
composti, tra queste le principali sono:
- reazioni tra la miscela contenente i colori e la base su cui è applicata che può essere un biscotto
oppure uno smalto crudo, semicotto o cotto.
- reazioni di ossidoriduzione.
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Le reazioni di ossidoriduzione : “atmosfera del forno” e colore.
Alcune reazioni chimiche avvengono tramite uno scambio di elettroni tra alcuni elementi contenuti
nei reagenti. Per convenzione diciamo che:
- l’elemento che cede elettroni si ossida.
- L’elemento che acquista elettroni si riduce.
Molti metalli, specialmente quelli di transizione, hanno la caratteristica di formare composti di
colore diverso a seconda dello stato di ossidazione in cui sono presenti.
Consideriamo ad esempio le comuni bottiglie di vetro colorato, possono essere verdi o brune,
eppure in entrambi i casi l’elemento che produce il colore è il ferro.
La differenza consiste nel fatto che nel vetro verde il ferro è presente essenzialmente sotto forma di
ione Fe++ mentre nel vetro bruno è presente essenzialmente come ione Fe+++, l’intensità della
colorazione dipende più che altro dalla percentuale dei vari ossidi di ferro presenti.
Quando gli atomi di un metallo possiedono un numero di elettroni uguale a quello dei protoni, esso
ci appare grigio più o meno scuro, con l’eccezione dell’oro che è giallo e del rame che è rosa.
In questo caso si dice che l’elemento è allo stato metallico e che ha un numero di ossidazione
uguale a zero, ossia non ha elettroni in più o in meno di quelli previsti dal suo numero atomico.
Quando parliamo di atmosfera ossidante o di atmosfera riducente ci riferiamo all’ambiente, inteso
come aria che circonda gli oggetti in cottura, presente nell’interno del forno.
Un’atmosfera viene detta ossidante quando è in grado di ossidare, cioè di togliere elettroni ad alcuni
degli elementi contenuti negli oggetti in cottura.
Siccome l’ossidante più comune è l’ossigeno, gas presente nell’aria con una percentuale di circa il
25%, una atmosfera fortemente ossidante può essere ottenuta mantenendo aperte le prese d’aria del
forno.
Con una atmosfera ossidante le sostanze organiche eventualmente presenti negli oggetti in cottura,
ad esempio il carboncino usato per i contorni di una decorazione, bruciano completamente senza
lasciare tracce.
Nelle stesse condizioni alcuni metalli tendono a raggiungere il massimo grado di ossidazione, ossia
a cedere il maggior numero possibile di elettroni, questo numero varia da metallo a metallo, ad
esempio sarà due per il rame e tre per il ferro..
Per questo motivo l’argilla usata nel nostro laboratorio di ceramica cambia colore durante la cottura,
infatti l’argilla cruda ha un colore bruno grigiastro perché contiene dei minerali di ferro in cui, oltre
allo ione Fe+++, è presente una buona percentuale di ione Fe++. Durante la cottura, grazie alla
atmosfera blandamente ossidante presente nel forno elettrico, gli ioni Fe++ presenti cedono un
elettrone all’ossigeno dell’aria e formano ioni Fe+++ che vanno ad aggiungersi a quelli che c’erano
già e che non possono ossidarsi più di così, di conseguenza la superficie dell’oggetto diventa bruno
rossastra.
Una atmosfera viene detta riducente quando è in grado di provocare la riduzione di alcuni elementi
presenti, i quali acquistano elettroni. Una atmosfera di questo tipo può essere ottenuta combinando
due interventi:
- diminuendo la quantità di aria che viene a contato con il combustibile e con gli oggetti in
cottura.
- Introducendo delle sostanze organiche che bruciano sottraendo ossigeno al materiale in
cottura.
Cerchiamo di schematizzare questo processo:
- Gli elementi protagonisti di queste reazioni sono l’ossigeno, il carbonio ed alcuni metalli.
- Dentro al forno questo ossigeno è presente nell’aria sotto forma di molecole O2 e sulla
superficie dell’argilla o degli smalti legato ad alcuni metalli ossia sotto forma di ossidi
responsabili del colore come Fe2O3 bruno, Cr2O3 verde, è così via.
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Il carbonio è contenuto nei composti organici che costituiscono il combustibile: la legna, il
carbone, il gasolio, ecc. oppure che vengono introdotti appositamente, come stracci imbevuti
di olio, paglia, segatura, resine vegetali.
Ad alta temperatura i composti organici reagiscono con l’ossigeno, bruciano o, più
esattamente, si ossidano. Se l’ossigeno disponibile è abbondante i prodotti saranno quasi
solo anidride carbonica e vapore acqueo, se invece l’ossigeno disponibile è poco , cioè se
limitiamo la quantità di aria nel forno le molecole contenute nei composti organici si
rompono in frammenti più piccoli ma non riescono a bruciare completamente, si formerà un
fumo nero dovuto alla presenza di particelle carboniose, in pratica fuliggine o nerofumo,
questo fumo conterrà anche una discreta quantità di ossido di carbonio, CO, molto velenoso.
Ad alta temperatura queste particelle composte essenzialmente da carbonio e le molecole del
gas ossido di carbonio sono molto reattive ed avide di ossigeno, non trovandone nell’aria
quando si depositano sugli oggetti in cottura e vengono in contatto con gli ossidi metallici
descritti sopra, reagiscono come riducenti togliendo loro l’ossigeno in modo più o meno
completo.
Il risultato sarà un ossido metallico con meno ossigeno o addirittura il metallo puro,
comunque un composto con un colore diverso.
Queste reazioni non avvengono praticamente mai tra reagenti puri ed in quantità
stechiometricamente esatte, anche le condizioni di tempo e temperatura influiscono notevolmente
sulla loro evoluzione. La conseguenza è che i prodotti finali avranno una composizione e, quindi,
una colorazione che, entro certi limiti, potrà essere molto varia.
Qualche esempio :
L’ossido ferrico ( triossido di diferro) è responsabile della colorazione rosso-bruna, se una parte di
esso reagisce con l’ossido di carbonio si formerà ossido ferroso ( monossido di ferro) di colore
verde, la miscela dei due ossidi porterà ad una colorazione grigio-verde tendente al nero:
Fe2O3 + CO → 2FeO + CO2
L’ossido rameico ( monossido di rame) è di colore nero, reagendo parzialmente con il carbonio si
riduce a rame metallico di colore rosa, la miscela di ossido rameico e di rame metallico determina
una colorazione rosso bruna
2CuO + C → 2Cu + CO2
Nei forni a combustibile l’intensità della riduzione viene controllata manovrando la valvola del
camino e lo sportello del focolare in modo da regolare il flusso di aria.
Anche in un forno elettrico sarebbe possibile provocare una riduzione introducendo durante la
cottura delle sostanze organiche grasse o resinose che bruciano producendo fumo, è necessario però
che il forno abbia le resistenze protette altrimenti si rovinerebbero, inoltre non bisogna dimenticare
che in genere questi forni non hanno un camino per smaltire i fumi.
Sempre nel forno elettrico si può tuttavia ottenere una riduzione mescolando allo smalto un
composto riducente come il carburo di silicio SiC, in questo caso sia il carbonio che il silicio
reagiscono sottraendo ossigeno agli ossidi metallici, ad esempio :
4Fe2O3 + SiC --- 8FeO + SiO2 + CO2
In conclusione il colore finale degli oggetti dipende da molti fattori tra cui i principali sono :
- natura e grado di purezza dei componenti del colore in polvere.
- Presenza di leganti organici come trementina, gomma arabica, metilcellulosa usati per
rendere pastosi i colori mantenendoli in sospensione nell’acqua.
- Tecniche di applicazione usate e spessore dello strato di colore.
- Natura della base : biscotto, smalto o vernice.
- Temperatura e tempo di cottura, modalità di raffreddamento.
- Tipo di atmosfera presente nel forno.
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Esempi di colorazioni ottenute in atmosfere riducenti o ossidanti.
Oggetti in ceramica con decorazioni nere erano un prodotto tipico degli antichi greci e degli
etruschi (i buccheri), essi usavano argille rosse, colore dovuto alla presenza di ferro come ione
Fe+++, durante la cottura in atmosfera riducente una parte di esso si trasforma in ione Fe++ dando
l’ossido ferroso FeO verde e colorando la superficie dell’oggetto in una varietà di grigi scuri, bruni
o neri.
Lustri metallici..
Preparati con una tecnica antichissima, riscoperta verso la fine dell’ottocento. Si ottengono
decorando su smalto già cotto con una miscela contenente sali di ferro, rame, cobalto, argento, o
bismuto e cuocendo in atmosfera riducente, questa trasforma gli ossidi ed i sali in una sottile
pellicola metallica che si incorpora nello smalto durante la fase di rammollimento.
Esiste un altro modo per ottenere superfici con lustri metallici, chiamati in questo caso riflessi
metallici, sono più facili da ottenere perché i pezzi sono cotti in atmosfera ossidante e
preferibilmente in forni elettrici, viene usata una combinazione di ossidi e sali metallici con oli e
resine vegetali, i cosiddetti resinati che si trovano in commercio già pronti per l’uso.
Al momento della cottura, a 650-700°C le resine e gli oli bruciando provocano un effetto di
riduzione locale nelle zone in cui è stato applicato il resinato. L’applicazione viene fatta su smalto
già cotto e. con l’aiuto di diluenti, può essere eseguita con l’aerografo.
Raku.
Si tratta di una tecnica giapponese legata alla cerimonia del tè, in cui l’aspetto più interessante per il
nostro studio riguarda la cottura degli smalti, infatti l’oggetto smaltato viene prima preriscaldato
mettendolo vicino al forno, poi introdotto nel forno già caldo, quando viene raggiunta la
temperatura di fusione degli smalti il forno viene aperto ed il pezzo viene estratto con apposite
pinze producendo un shock termico per il rapidissimo raffreddamento. A causa dello sbalzo di
temperatura gli smalti assumono varie colorazioni con tonalità e riflessi non ottenibili in altro modo.
Questa tecnica ha avuto delle varianti in occidente, ad esempio il pezzo estratto incandescente dal
forno viene posto immediatamente in una buca o in un recipiente contenente un materiale organico
come segatura, foglie secche, paglia o stracci imbevuti di olio, l’oggetto incandescente darà fuoco a
questo materiale producendo un fumo denso ed acre che provocherà la formazione di una atmosfera
riducente, questa darà luogo alla formazione di colori particolari, specialmente a lustri metallici.
Molti Sali di metalli nobili, come il rame, l’argento e l’oro, si decompongono facilmente in seguito
ad un riscaldamento lasciando una sottile pellicola di metallo.
Ad esempio se spruzziamo una soluzione di nitrato di argento su un oggetto appena estratto dal
forno la superficie interessata risulterà ricoperta da un sottilissimo strato di argento metallico.
Consigli per la sicurezza.
Alcuni materiali impiegati nella lavorazione della ceramica possono essere dannosi alla salute se si
rimane esposti ad essi per lunghi periodi, tuttavia esistono molti modi per proteggersi, sistemi
talvolta semplicissimi come mantenere pulito e ben arieggiato il locale usato come laboratorio, non
mangiare, bere o fumare mentre si lavora oppure indossare una mascherina con filtro e guanti
protettivi.
Per prima cosa leggete le istruzione e le avvertenze riportate sulle confezioni dei prodotti prima di
usarli, non trascurare alcuna informazione anche se a prima vista può apparire banale.
Consultate immediatamente i vostri insegnati, se siete a scuola, o un medico, al primo manifestarsi
di eruzioni cutanee, mal di testa, vertigini, fastidi bronchiali, o nausea collegabili al lavoro svolto.
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È importantissimo sapere, in ogni momento, che cosa si sta maneggiando.
Quando si travasano dei composti in altri recipienti, come barattoli di vetro che contenevano
prodotti alimentari, occorre riportarne almeno il nome su una etichetta adesiva dopo avere eliminato
l’etichetta relativa al contenuto precedente.
I contenitori in plastica per alimenti, detersivi, cosmetici e medicinali sono adatti per tutti i materiali
usati normalmente dai ceramisti tranne che per molti solventi organici, per questi occorre usare il
vetro, bisogna invece evitare i contenitori metallici perché potrebbero corrodersi e contaminare i
composti contenuti.
Durante la lavorazione delle ceramiche capita spesso di usare materiali sotto forma di polveri
finissime.
Tutte le polveri, anche quelle costituite dalle sostanze più innocue, come il marmo o la silice, a
lungo andare possono danneggiare seriamente i polmoni provocando una malattia irreversibile
chiamata silicosi, tipica dei minatori e degli scalpellini di una volta.
Inoltre queste polveri possono essere irritanti per le mucose, per gli occhi e per eventuali tagli sulle
mani, perché molto igroscopiche, come le argille asciutte, il gesso o il talco, oppure perché
costituite da granelli spigolosi come il quarzo, le vetrine e gli smalti.
D’altra parte l’uso di coprire il viso presso le popolazioni dei deserti sabbiosi è nato con una
funzione puramente protettiva, solo in seguito ha assunto un significato sociale e religioso. Nel
maneggiare composti in polvere conviene sempre indossare una mascherina protettiva, meglio se
con filtro.
Le comuni mascherine bianche sono del tutto inefficaci nei confronti dei gas, come l’ozono e
l’ossido di carbonio e dei vapori dei solventi. Hanno una certa efficacia quando ci si trova
saltuariamente in mezzo a polveri di materiali non direttamente velenosi per il nostro organismo, ad
esempio pulendo un solaio o carteggiando una porta verniciata.
Quando si intende lavorare a lungo in presenza di queste polveri oppure con materiali velenosi o
con solventi organici è indispensabile acquistare una mascherina con il filtro adatto presso negozi
specializzati. Ogni categoria di composti richiede un determinato tipo di filtro.
Alcuni colori hanno in più l’inconveniente di contenere metalli tossici per il nostro organismo.
Molto pericolosi anche se in piccola quantità sono quelli a base di arsenico, cadmio, selenio, berillio
e mercurio, un pò meno pericolosi ma sempre da maneggiare con cautela quelli a base di piombo,
cromo, antimonio e uranio, la tossicità dei composti di nichel e di cobalto è ancora incerta.
I materiali che contengono questi metalli oltre a dover essere maneggiati con molta cautela,
presentano dei grossi problemi di smaltimento, i residui di lavorazione non devono essere scaricati
nelle fognature e nel terreno, trattandosi in genere di sospensioni acquose con un po’ di pazienza e
di organizzazione questi residui potrebbero essere in gran parte recuperati e riutilizzati, in caso
contrario si possono raccogliere in vari contenitori,, contrassegnati con il nome del contenuto, senza
mescolarli e consegnarli ad un centro di raccolta come rifiuti tossico-nocivi.
BIBLIOGRAFIA.
Emanuele Grill – Minerali industriali e minerali delle rocce – Ed. U. Hoepli.
Nino Caruso – Ceramica viva – Ed. U. Hoepli.
Nino Caruso – Decorazione ceramica – Ed. U. Hoepli.
Susan Peterson – Fare ceramica – Ed. Zanichelli.
P. Rada, M. Hucek – Le tecniche della ceramica – Ed. Melita.
Piero Cademartori – Corso completo di ceramica – Ed. De Vecchi.
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CERAMICHE CHIMICA E TECNOLOGIA DEI MATERIALI Le Argille