Capitolo 7: Anni ’70-’80, tra luci ed ombre, si consolida la ricerca e l’industria dei polimeri italiana. 7.1) Materie plastiche e resine sintetiche. Nel 1970 l’industria italiana delle materie plastiche, facendo riferimento alle sole termoplastiche di base (polietilene a bassa ed alta densità, polipropilene, cloruro di polivinile, polistirene), si caratterizzava per una capacità produttiva pari a 1.475.000 tonn. annue che, come si ricava dai dati della tabella 6, era, praticamente, ugualmente distribuita tra le regioni meridionali e quelle centro-settentrionali. Erano quelli gli anni caratterizzati da una forte tendenza a creare nel sud d’Italia, grossi centri chimici di produzione e questo nell’ambito di un’ipotesi più generale di industrializzazione del mezzogiorno d’Italia, considerata essenziale al suo sviluppo socio-economico. Questa politica ebbe i suoi effetti già nel 1972 allorquando si osservò che la distribuzione di capacità produttiva di questi materiali si era modificata, a favore del Sud, nel modo seguente (41-a): -centro-nord – 965.000 tonn. (~ 46%); -mezzogiorno – 1.145.000 tonn. (~ 54%). Nelle tabelle 7, 8, 9, 10 e 11 è riportata la capacità produttiva dei singoli polimeri insieme ai relativi siti produttivi. Dall’insieme dei dati è possibile risalire alla distribuzione sul territorio nazionale dei maggiori impianti di produzione all’epoca attivi (41-a). Un raffronto con la situazione attuale mostra come in circa trenta anni, la maggior parte di questi siti di produzione chimica sono stati chiusi oppure fortemente ridimensionati. Un’analisi dei settori di maggiore sbocco applicativo delle 5 commodities termoplastiche, relativamente all’anno 1970, permette di determinare la tipologia dei consumi in relazione alle singole famiglie di resine. I risultati di questa analisi sono qui di seguito riassunti. a) Film per imballaggio alimentare Consumo totale - 54.000 tonn. PVC – 1.500; PEbd–21.000; PP – 4.800; PEad-cellophane–25.000; altre – 1.700. 93 b) Film per imballaggio di articoli tessili Consumo totale – 28.200 tonn. PEbd – 22.000; PEad – 100.5; PVC – 4.500; PP – 1.200 c) Film per altri impieghi Consumo totale - 36.200 tonn. PEbd – 28.000; PP – 700.5; PVC – 7.500; d) Forme di imballaggio diverse dai film trasparenti Consumo totale - 58.900 tonn. PEbd – 24.000; PEad – 8.400; PP – 3.500; PVC – 9.000, PS – 14.000. e) Isolamento Cavi Consumo totale - 45.700 tonn. PEbd- 5.000; PEad – 700; PVC – 40.000. f) Calzature e pelletterie Totale 33.000 tonn. PP-2.000; PVC – 24.000; PS – 7000. g) Parti e componenti Consumo totale - 109.000 tonn. PS – 84.000; PEad – 3.500; PP - 4.500; PVC- 17.000. h) Manufatti per utilizzi diversi nell’industria in Italia. Consumo totale - 117.600 tonn. PEbd –18.000; PEad – 16.800; PP – 16.300; PVC- 61.500; PS – 5.000. 94 i) Agricoltura a) cassette da raccolta b) cassette a perdere c) tubi per irrigazione d) taniche, fusti, reti, cordami, regette ecc. Consumo totale 12.200 11.000 6.000 7.000 26.200 tonn. l) Edilizia – persiane avvolgibili – tubi – profilati – isolamento – film Consumo totale 60.000 37.000 25.000 8.000 8.000 138.500 tonn. I dati sopra riportati permettono di concludere che, come accadeva in altri paesi ad elevato grado di industrializzazione, le cinque termoplastiche di base, agli inizi del 1970, avevano conquistato in Italia, una serie di settori di utilizzo spodestando e sostituendo altri materiali più tradizionali. La tavola rotonda su “Prospettive della chimica italiana nel contesto internazionale” organizzata in occasione del XIII Congresso della Società Chimica Italiana (Merano 18-23 giugno 1978) rappresentò un importante evento poiché permise di analizzare la situazione dell’industria e della ricerca chimica in Italia. Tabella 6 Distribuzione territoriale della capacità produttiva delle principali termoplastiche in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva resine 1970 % 30 45 100 380 210 765 51.9 400 45 265 710 48.1 1.475 100.0 Centro-Nord: - Polietilene bassa densità - Polietilene alta densità - Polipropilene - Cloruro di polivinile - Polistirolo Totale Mezzogiorno - Polietilene bassa densità - Polietilene alta densità - Polipropilene - Cloruro di polivinile - Polistirolo Totale TOTALE ITALIA 95 Tabella 7 Capacità produttiva di polietilene bd in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva impianti 1970 % 30 30 7.0 - Brindisi - Priolo - Porto Torres - Gela - Ragusa - Cagliari Totale 90 90 90 70 35 25 400 93.0 TOTALE ITALIA 430 100.0 Centro-Nord: - Ferrara Totale Mezzogiorno Tabella 8 Capacità produttiva di polietilene ad in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva impianti 1970 % 45 45 50.0 30 15 45 50.0 90 100.0 Centro-Nord: - Rosignano Totale Mezzogiorno - Brindisi - Cagliari - Gela Totale TOTALE ITALIA 96 Tabella 9 Capacità produttiva di polipropilene in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva impianti 1970 % 50 50 100 100.0 - - 100 100.0 Centro-Nord: - Ferrara - Terni Totale Mezzogiorno - Brindisi - Gela Totale TOTALE ITALIA Tabella 10 Capacità produttiva di cloruro di polivinile in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva impianti 1970 % 200 80 50 50 380 58.9 - Brindisi - Cagliari - Porto Torres - Ferrandina Totale 125 50 45 45 265 41.1 TOTALE ITALIA 645 100.0 Centro-Nord: - Porto Marghera - Terni - Ferrara - Ravenna Totale Mezzogiorno 97 Tabella 11 Capacità produttiva di polistirolo in Italia nell’anno 1970 (000 tonn.) Capacità produttiva impianti 1970 % 70 60 40 25 15 210 100.0 - - 210 100.0 Centro-Nord: - Mantova - Ferrara - Macherio - Livorno - Castiglione Olona Totale Mezzogiorno - Cagliari Totale TOTALE ITALIA Dagli Atti di questo congresso si ricavano, inoltre, importanti elementi conoscitivi attraverso i quali è possibile delineare un quadro abbastanza completo dell’industria delle materie plastiche in Italia e dei suoi relativi comparti. I principali aspetti sono qui di seguito riassunti [41-b]. Poliolefine La Montedison nel 1972 aveva avviato a Brindisi la produzione di polietilene ad alta densità, sfruttando un nuovo processo basato su catalizzatori ad elevata attività. Nel 1972 l’Anic preannunciava l’avviamento di un grosso impianto per la produzione del polietilene ad alta densità sulla base di nuove tecnologie di processo. La Società Italiana Resine (SIR) aveva a sua volta sviluppato processi di produzione del polipropilene e del polietilene ad alta densità basati rispettivamente sull’impiego di catalizzatori tradizionali e di catalizzatori Ziegler – Natta perfezionati. La Montefibre (una consociata della Montedison) nel 1974 aveva realizzato un nuovo impianto per la produzione del polipropilene utilizzando dei processi innovativi. Inoltre nello stesso periodo si era concretizzata una joint venture, Montedison – Mitsui Petrochemical, finalizzata alla messa a punto e allo sviluppo di nuovi catalizzatori ad alta resa per la polimerizzazione del polipropilene. Particolarmente interessante si dimostrò, all’epoca, la tecnologia realizzata congiuntamente da Anic e Montedison, per la produzione (iniziata nel 1975) di fibrille poliolefiniche da utilizzare nel settore della carta sintetica. 98 Polivinilcloruro e polimeri stirenici. L’industria italiana era particolarmente attiva in questo settore avendo avviato processi produttivi già prima del 1970 basati su licenze, brevetti e know how sviluppati all’estero. Nel 1975 la Montedison aveva messo a punto negli stabilimenti di Mantova un processo atto alla produzione di polistirene espanso. Tecnopolimeri e polimeri speciali. La Montedison, tra il 1974 e il 1976, aveva sviluppato processi per la produzione di polibutilene tereftalato, di polioli per poliesteri, intermedi per la sintesi dei poliuretani. Sempre in questo settore la SIR aveva avviato un processo per la produzione del poliossimetilene insieme ad interessanti iniziative industriali nel settore dei termoindurenti (un processo continuo per resine fenoliche, ureiche ed epossidiche). In relazione allo scenario dell’industria delle materie plastiche in Italia, relativamente agli anni ’70, V. Gianella così concludeva: "… l’industria italiana ha mostrato, tutto sommato, una buona capacità realizzatrice, soprattutto se si considera che le risorse impegnate in ricerca e sviluppo certamente non sono state elevate. Si osserva una notevole concentrazione di interesse all’innovazione nel settore delle poliolefine lineari e - a un livello inferiore- in quello dei polimeri speciali. Probabilmente una maggiore differenziazione per aree tecnologiche tra le diverse industrie italiane potrebbe essere positiva, agli effetti di un bilancio tecnologico nazionale. Occorre però tenere conto che si risente probabilmente ancora l’effetto dovuto alla derivazione di un'unica matrice tecnologica (quella della ex-Montecatini), dell’industria delle materie plastiche" [41-b]. Il saldo della bilancia commerciale del comparto delle materie plastiche (anno 1975, tabella 12) era positivo, a dimostrazione della competitività dei prodotti italiani in campo nazionale ed internazionale [41-b]. Dall’esame dell’andamento della produzione chimica italiana per settori (pubblicata dall’Aschimici, Compendio Statistico - 1977) emergeva che le materie plastiche prodotte in Italia erano circa una ventina di cui cinque (PVC, PE ad, PE bd, PP e PS) rappresentavano il 70-75% della produzione totale. La produzione delle resine polistireniche, cloroviniliche, polietileniche e polipropileniche, nel 1975, risultava essere rispettivamente pari a: 256.000, 578.000, 626.000 e 166.000 tonnellate. Nel 1977 i corrispondenti valori erano cresciuti a : 330.000, 717.000, 780.000 e 257.000 tonnellate. La produzione delle principali plastiche, che era fortemente dipendente dall’industria petrolchimica, avveniva per circa l’80% presso impianti appartenenti a 4 gruppi chimici (ANIC, Montedison, SIR - Rumianca, Solvay) mentre il rimanente 99 Tabella 12 Bilancia commerciale italiana delle materie plastiche - Anno 1975 PRODOTTI IMPORT 3 9 10 tonn. 10 L EXPORT 103 tonn. 109 L Polistirolo 56.1 24.1 71.1 27.8 Polivinilcloruro 50.3 19.8 288.1 106.2 174.7 60.7 209.0 72.0 17.4 5.1 88.2 33.2 298.5 109.7 656.4 239.2 94.1 88.2 68.9 55.7 acetato di polivinile 75.6 52.8 109.9 52.9 Altre resine non nominate 63.9 36.5 28.7 14.4 532.1 287.2 863.9 362.2 Polietilene ad + bd Polipropilene Totale termoplastiche di base Polimeri speciali (es.: PTFE; PMMA; poliisobutene, siliconi, ecc.) Polimeri termoindurenti (fenoplasti, amminoplasti) derivanti cellulosici, TOTALE 9 Saldo (Export-Import), 10 L 3 Saldo (Export-Import), 10 tonn. Prezzo medio prodotti importati, L/Kg Prezzo medio prodotti esportati, L/Kg + 75.0 + 331.8 540 419 20% proveniva da circa una decina di industrie di dimensioni molto più piccole [41-c] (figura 33). Circa lo sviluppo strategico del settore, nel già citato compendio statistico dell’Aschimici, venivano riportate, tra l’altro, le seguenti raccomandazioni: "Nel campo delle materie plastiche la disponibilità di valide tecnologie produttive per polimeri speciali o modificati, rispondenti alle esigenze dei singoli settori applicativi, costituisce la condizione essenziale sia per operare validamente in una struttura produttiva sempre più tendente ad uno stretto oligopolio, sia per differenziare l’attività delle società prevalentemente chimiche da quelle dei gruppi che operano nel settore petrolifero" [41-c]. Dalla tabella 13 si evidenzia un calo nella produzione delle principali termoplastiche tra il 1979 e il 1981 [41-c] in coincidenza con la grande crisi mondiale della chimica che si verificò proprio in quel periodo e che colpì anche l’industria della plastica. 100 Il consumo delle cinque termoplastiche di base (i dati relativi all’anno 1996, e che riguardano, il mondo, l’Europa e l’Italia, sono indicati nella tabella 14) è fortemente cresciuto negli ultimi 30 anni. In particolare si osserva che nel 1996 il polieTabella 13 Produzione delle principali termoplastiche in Italia (periodo 1975-1983) (in migliaia di tonn.) ANNO Polistiroliche e copolimeri Cloroviniliche e copolimeri Polietileniche Polipropilene ed altre Totale 1975 256 578 626 166 1626 1976 1977 1978 1979 1980 1981 336 330 349 340 325 289 742 742 698 698 672 583 831 831 697 731 748 556 353 257 266 280 231 218 2262 2160 2010 2049 1976 1646 1982 303 587 527 238 1655 1983 330 632 711 315 1988 Tabella 14 Consumi delle cinque termoplastiche di base nel mondo, in Europa Occidentale e in Italia (dati 1996) [Rif. 15]. POLIMERO LDPE e LLDE PVC PP HDPE MONDO EUROPA OCCIDENTALE ITALIA (Kt) (Kt) (Kt) 25.000 22.300 20.000 17.000 6.100 5.400 5.300 3.700 1.100 940 1.100 550 tilene a bassa densità lineare si colloca al primo posto sul mercato mondiale con 25 milioni di tonnellate di consumo annuo. Secondo è il cloruro di polivinile (PVC) con un consumo di 22 milioni e 300 mila tonnellate all’anno. Al terzo e quarto posto si collocano rispettivamente il polipropilene, con 20 milioni di tonnellate ed il polietilene ad alta densità, con 17 milioni di tonnellate. A livello europeo il polietilene a bassa densità e lineare si attesta sui 6 milioni e 100 mila tonnellate, il PVC sui 5 milioni e 400 mila tonnellate, il polipropilene sui 5 milioni e 300 mila ed il polietilene ad alta densità sui 3,7 milioni di tonnellate di consumo annuo. Il mercato italiano delle plastiche vede al primo posto -a pari merito- il polietilene a bassa densità e lineare ed il polipropilene, entrambi con circa 1 milione e 100 mila tonnellate di consumo annuo. Al terzo posto il PVC con 940 mila tonnellate ed infine il polietilene ad alta densità, con 550 mila tonnellate [20]. 101 Fig. 33: La storica sede della Solvay, in via Turati a Milano. Attualmente la Solvay produce plastiche, in Italia, negli stabilimenti di Rossignano (Toscana) e di Ferrara. 102 7.2) Le fibre chimiche in Italia - Industria e ricerca. Un comparto dell’industria dei polimeri di particolare rilevanza è quello delle fibre sintetiche che si ebbe a sviluppare e a consolidare in Europa intorno agli anni ’50 quando entrarono prepotentemente sul mercato le fibre poliammidiche. L’affascinante avventura delle fibre di nylon iniziò nel lontano 1927 allorquando il Direttore della Du Pont Chemical Department, C.M.A. Stine, spinse il comitato esecutivo ad assumere lo scienziato Wallace H. Carothers, allora trentaduenne, per implementare le attività di ricerca nel campo della chimica organica (tavola XXIV) [41-d]. "Carothers, who at 32 had high reputation as an organic chemist, was allowed to select his own line of research and was given ample funds to carry it out. Carothers was fascinated by the natural polymers in the animal and vegetable kingdoms – for example, wool and silk. His proposal was to try to synthesise them" [41-e]. W. H. Carothers (figura 34) si propose di sintetizzare nuovi polimeri con caratteristiche meccaniche, chimiche e termiche tali da potere essere trasformati in fibre. Fig. 34: Fotografia di Wallace H. Carothers (1896-1937), scopritore del nylon 66, polimero capace di essere filato e dare fibre che trovarono impiego in molti settori tra cui il tessile. La fotografia è stata scattata nel laboratorio della Du Pont di Wilmington, Delaware (USA). 103 Nel febbraio 1935 Carothers mise a punto la reazione di policondensazione che a partire dall’esametilene diammina e dall’acido adipico gli permise di ottenere il nylon 66, un polimero capace di essere filato e dare fibre caratterizzate da proprietà che le rendevano idonee ad essere utilizzate nel settore tessile. "….. On 27 October 1938 Du Pont announced their development of a new ‘group of synthetic super-polymers’ from which could be produced high-strength textiles. The super-polymers were said to be protein-like in character and the generic name ‘nylon’ was applied to them. The properties of the new material caught the imagination of the American public when it was demonstrated that the fibre had superior mechanical properties to natural silk. Ladies’ stockings made from the new material were exhibited at the New York World Fair in 1939 and in a Chicago Fair in the same year. In May 1940 nylon stockings were on sale in stores in the US. Demand soon exceeded supply, and plants to produce the nylon polymer and yarn were erected in many parts of the US. At this time the market was mainly for hose, toothbrush bristles and sports gear, but many other textile applications were found. The outbreak of hostilities with Japan in 1941 cut off the importation into the US of Japanese silk, but fortunately nylon was there to take its place. Carothers died in April 1937 at the age of 41, so did not live to see the full realisation of his polymer research work" [41-e]. La scoperta e lo sviluppo delle fibre di nylon 66, sono state così descritte, nei loro termini essenziali, da Aaron J. Ihde: "The rise of purely synthetic fibers has been very dramatic, The first of these to become commercially important was 66-nylon, marketed in the form of women’s stockings in 1940. During the war years, because of military uses for the plastic, it was not possible to meet consumer demand. Still nylon gained a popularity which virtually eliminated silk as a textile material in the West. The completely synthetic textiles developed during and since the war have had a devastating effect upon the market for natural fibers such as wool and silk. Nylon was the outgrowth of research directed by Wallace Hume Carothers (1896-1937) of du Pont on the basic chemistry of large molecules. Such studies had been initiated in the twenties when Charles M. A. Stine (1882-1954) became director of du Pont’s laboratory. It was felt that certain areas of basic research should be pursued by an industrial laboratory even though commercial results might not be evident for many years. Carothers lefts his position at Harvard to head the work on polymer chemistry. …. The researchers were interested in duplicating or at least approaching the characteristics of silk, a protein. Amino acids do not lend themselves easily to controlled condensation, so other monomers were examined. Adipic acid HOOC(CH2)4COOH and hexamethylene diamine H2N(CH2)6 NH2, compounds which can easily be manufactured from coal tar chemicals, were condensed. Nylon was introduced to the market with great fanfare as a textile made from coal, air, and water. About the time that du Pont was developing nylon, I. G. Farben was commercializing Perlon, a related polymer produced from caprolactam" [27-a]. In particolare, il processo di polimerizzazione del caprolattame (un ammide alifatica ciclica) a poliammide (nylon-6) fu sviluppato, nel 1938, dallo scienziato tedesco Paul Schlack della I. G. Farben’s Fibers Division a Wolfen. Le fibre, denominate “chimiche”, si suddividono in due comparti, nettamente 104 Fig. 35: Torviscosa (Ud): i nuovi impianti di chimica fine delle Industrie Chimiche Caffaro-SNIA e l’architettura anni Trenta che caratterizza l’intero complesso industriale. distinti tra loro: le fibre chimiche “artificiali” e le fibre chimiche “sintetiche”. Le fibre artificiali, dette anche cellulosiche, si ottengono per la filatura di soluzioni contenenti cellulosa pretrattata chimicamente per renderla solubile. Appartengono a questa famiglia di fibre il rayon viscosa, il rayon cupro, l’acetato e il triacetato di cellulosa. Le fibre sintetiche, come già descritto nel caso del nylon 66 e del nylon-6, si ricavano per filatura di polimeri non presenti in natura, e quindi sintetizzati dall’uomo a partire da monomeri a basso peso molecolare. Verso la metà degli anni ’70 in Italia erano presenti una decina di industrie capaci di produrre fibre chimiche con una capacità di circa 600.000 tonnellate l’anno. In particolare si osservava che oltre il 75% era prodotto dalla Montefibre e dalla SNIA Viscosa. Queste due aziende operavano, allora, sia nel campo delle fibre sintetiche che in quelle artificiali. Una terza impresa, l’ANIC produceva circa un 10% della capacità totale italiana di fibre. La SNIA ha avuto un ruolo molto rilevante nello sviluppo dell’industria delle fibre in Italia. Le tappe principali relative alla storia evolutiva di questa importante azienda sono così descritte nel riferimento 41-f: "La SNIA inizia la sua attività nel 1917 come Società di Navigazione avente come 105 oggetto la costruzione e l’esercizio di navi mercantili. Nel 1919 estende i suoi interessi al cemento, a prodotti chimici ed infine alle fibre artificiali che diventano rapidamente l’attività prevalente. Dopo l’acquisizione, tra il 1920 e il 1922, di tre società produttrici di rayon viscosa, la società assume il nome di SNIA Viscosa (1922). Nel 1925 il capitale è portato a un miliardo di lire: è la prima impresa italiana a disporre di un capitale di tali dimensioni. Crescono gli stabilimenti, le produzioni, le esportazioni: alla fine degli anni venti la SNIA è uno dei principali produttori europei di filo di rayon. Superata la crisi del 1929, la SNIA estende la gamma produttiva al fiocco viscosa e successivamente alla fibra proteica, derivata dalla caseina, brevettata da Ferretti (1935) con un processo originale. Il problema del rifornimento di materie prime,ormai serio date le dimensioni produttive, viene risolto con la costruzione dello stabilimento di Torviscosa, terminato nel 1938" (figura 35) [41-f]. Dopo la seconda guerra mondiale, inizia per la SNIA una nuova fase che vede il miglioramento dei processi e dei prodotti di filo e fiocco viscosa. Nel 1951 la SNIA costituisce insieme alla Courtaulds la società Novaceta per la produzione di filo acetato; nel 1952 la SNIA entra nel mercato delle fibre sintetiche. I momenti topici, relativi allo sviluppo della società, a partire da questo ultimo evento di fondamentale importanza per l’industria delle fibre italiana, sono così descritti da G. Cazzaro e B. Colombo nella loro già citata opera: "Nel 1952 inizia la produzione di fibre sintetiche, utilizzando tecnologie proprie. La prima fibra ad essere prodotta è la poliammide 6, in forma sia di fiocco che di filo. Nel 1962 inizia la produzione di fibre acriliche, utilizzando un processo originale, e poco dopo viene avviata la produzione anche di fibre poliestere, sia in filo che in fiocco. Quasi contemporaneamente entra in esercizio a Torviscosa un impianto per la produzione di Caprolattame, sulla base di un brevetto originale SNIA, che prevede l’impiego di toluolo come materia prima" [41-f]. Nel 1968 la SNIA incorpora la Bombrini Parodi Delfino (BPD); questa operazione comporta un aumento della capacità produttiva della fibra poliammidica, un allargamento nella gamma dei prodotti e dei relativi settori applicativi e un incremento della sua capacità di penetrazione sui mercati esteri e questo specialmente per quanto riguarda la vendita di impianti. Intorno alla fine degli anni settanta, la SNIA avvia anche la produzione della fibra modacrilica (una fibra costituita principalmente da unità acrilonitriliche, tra il 50% e l’85%, e da altre unità derivanti da monomeri di vario tipo quali il cloruro di vinile, il cloruro di vinilidene, la vinilpiridina e la metacrilammide; rispetto alle fibre acriliche queste fibre presentano una maggiore attitudine tintoriale). Verso la metà degli anni settanta, a seguito di un piano di ristrutturazione, le fibre chimiche sono conferite alla nuova società denominata per l’appunto SNIAFibre. All’epoca di questa operazione la società si caratterizzava per un’ampia tipologia di fibre prodotte che includeva: filo e fiocco cellulosico, filo acetato, filo e fiocco poliammidico, filo e fiocco poliestere, fiocco acrilico e modacrilico. Nel panorama della industria chimica italiana la SNIAFibre rappresentò per molti anni quello che la Montecatini e la Montedison rappresentarono per il polipropilene e l’Enichem per gli elastomeri sintetici e per i polimeri stirenici e cioè il punto di riferimento 106 Fig. 36: Il fatturato di Nylstar - dati in milioni di Euro [Rif. 41-g]. industriale, ma anche di ricerca scientifica, relativa alla possibilità di sviluppare innovazioni in collaborazione con il mondo della ricerca accademica e pubblica, in particolare con il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Agli inizi degli anni ‘90 il gruppo SNIA-BPD produceva 100.000 tonn./a di filo, 30.000 tonn./a di BCF (filo continuo voluminizzato per tappeti) e 50.000 tonn./a di fiocco, tutti poliammidici (in joint venture con Rhone Poulenc); 30.000 tonn./a di filo acetato (in joint venture con Courtaulds) e 5.000 tonn./a di filo rayon viscosa in compartecipazione Gepi [41-f]. In anni recenti la SNIA e la francese RHODIA hanno costituito, attraverso una interessante joint-venture la Società denominata Nylstar, finalizzata alla produzione di fibre poliammiche, tipo nylon 66, presso una serie di stabilimenti in Spagna, Germania, Francia e Italia, mentre il filo basato sul nylon 6, viene prodotto principalmente in siti produttivi locati in Germania, Italia, Slovacchia ed in Polonia. La produzione totale ammonta a circa 48.000 tonnellate di filo (nylon 66 e nylon 6). Agli inizi dell’anno 2000 la Nylstar ha proceduto all’acquisizione dell’Amfibe, una società che produce, in Virginia (USA), filo nylon da utilizzare nel settore del tessile. Con questa operazione la Nylstar consolida la sua posizione (seconda al mondo), per la produzione del filo nylon. In ambito SNIA il fatturato della Nylstar rappresenta i tre quarti dell’intero fatturato del gruppo, relativamente al settore del 107 tessile (figura 36). Attualmente l’attività della SNIA, che si è concentrata su tre grossi settori, prevede un giro di affari di circa 1,2 miliardi di Euro di cui il 40% concerne il biomedicale, il 30% la chimica ed il 30% le fibre e il tessile [41-g]. L’evoluzione dell’industria delle fibre sintetiche in Italia, relativamente al periodo che va dal 1950 al 1973, si caratterizzò, secondo quanto ebbero a scrivere M. Cereser e F. Urgesi, per i seguenti motivi: "L’industria dei polimeri è sorta in Europa agli inizi degli anni ’50 con le fibre poliammidiche. In Italia le prime produzioni (di fibre sintetiche n.d.A.) furono avviate da società già operanti nel campo delle fibre cellulosiche…… Le tecnologie adottate erano state in gran parte sviluppate all’interno delle società stesse e la qualità delle fibre prodotte era allineata a quelle degli altri produttori europei. Successivamente tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli anni ‘60, iniziava la produzione delle altre fibre sintetiche: poliestere, acriliche e polipropileniche. Per le fibre poliestere ed acriliche l’industria italiana ricorse anche, per ragioni brevettuali a licenze e know-how stranieri…… Per le fibre poliolefiniche è stata invece la tecnologia italiana la prima a svilupparsi ed a mantenere per anni una posizione di assoluta preminenza" [42]. Come si evince dalla tabella 15 (non sono riportati i dati relativi alle fibre polipropileniche) la Montedison, attraverso la Montefibre, nel 1977, era la maggior produttrice, in Italia, di fibre acriliche e di fibre poliestere pur essendo presente Tabella 15 Fibre sintetiche: potenzialità installate al 1977 (in ‘000 tonn./a) Poliammidico Poliestere Acrilico (fiocco + filo) (fiocco + filo) (fiocco) 210 60 12 74 38 215 145 68 130 95 AKZO 145 BASF BAYER 60 COURTAULDS 54 DU PONT 60 ENI (ANIC) 13 FABELTA 7 HOECHST I.C.I. 190 MONSANTO 35 MONTEDISON 51 TOTALE % sul TOTALE 50 140 210 70 77 30 80 80 140 405 260 276 204 128 37 295 335 115 259 14.1 9.0 9.5 7.0 4.4 1.3 10.2 11.6 4.0 8.9 160 50 340 11.7 23 42 26 55 49 192 2.895 1.7 6.6 100.0 (Montefibre) RHONE POULENC S.I.R. SNIA 108 anche nel mercato delle fibre poliammidiche [42]. La maggiore potenzialità istallata per le fibre poliammidiche era della SNIA, la quale ultima era attiva anche nel campo delle fibre acriliche e poliestere. L’ENI mostrava una maggiore attività nelle fibre acriliche mentre la SIR aveva quote di produzione minori nelle acriliche e nelle poliestere. Dalla tabella 15 si ricava inoltre che la quota percentuale di potenzialità istallata per le tre tipologie di fibre, riferita alle prime 14 aziende internazionali produttrici di fibre chimiche, risultava essere per l’ENI, la Montedison, la SIR e la SNIA rispettivamente pari al 4,4; 8,9; 1,7 e 6,6 (per un totale uguale al 21,6%). La situazione e le prospettive del settore, relativamente alle singole famiglie di fibre, vennero così descritte da M. Cereser e F. Urgesi: "Fibre poliammiche: Gli impianti italiani sono tutti di piccole dimensioni, tecnologicamente ancora validi per le produzioni di filo tessile e fiocco. Non altrettanto si può dire per le fibre di impiego industriale e per i fili testurizzati per tappeti. Fibre poliestere …….Per il filo continuo lo sviluppo tecnologico …. è stato rapidissimo con l’introduzione delle tecniche di filatura veloce e stirotesturizzazione che hanno reso ….obsoleti gran parte degli …..impianti italiani. …… Dal punto di vista qualitativo … la situazione italiana è di inferiorità nei confronti degli stranieri……. Per il fiocco, …., gli impianti italiani sono ancora in gran parte validi ……. Le fibre speciali, di seconda generazione, sono assenti …… e questo costituisce una lacuna che impedisce la penetrazione nei mercati più evoluti. Fibre acriliche …… La produzione (italiana) è concentrata in pochi impianti, di dimensioni competitive e basati su processi validi. I problemi esistenti sono due: il primo …. di grande sovracapacità …… e un altro di mancato adeguamento tecnologico dell’ingegneria degli impianti …… la fibra che viene prodotta è di buona qualità, ma ha costi superiori di quelle del resto di Europa…… Fibre polipropileniche Nel campo delle fibre polipropileniche la tecnologia italiana è stata la prima a svilupparsi e si mantiene su livelli competitivi, tanto da avere una funzione preminente sul mercato europeo. Altre fibre Per le altre fibre sintetiche: elastomeriche, poliammidi aromatiche, fibre di carbonio, la posizione italiana è di netta inferiorità. ……" [42]. Il rapporto di Cereser e Urgesi, nel delineare le prospettive future del settore, individuava alcune iniziative che secondo gli autori andavano intraprese al fine di sviluppare un’industria delle fibre che potesse essere più competitiva a livello internazionale. In particolare si suggeriva una programmazione delle capacità produttive ed una razionalizzazione degli impianti, una riorganizzazione ed una riqualificazione della produzione attraverso un miglioramento qualitativo dei prodotti e quindi una maggiore integrazione tra ingegneria, tecnologia e processi per il miglioramento delle caratteristiche del prodotto ed un abbattimento dei costi e dei 109 consumi [42]. La grave crisi del petrolio comportò, intorno alla seconda metà degli anni ’70 una drastica riduzione dei consumi di fibre e un abbattimento dei prezzi di vendita sul mercato. Questi fatti determinarono una drammatica riduzione della produzione e quindi una sottoutilizzazione degli impianti. Inoltre proprio in quel periodo cominciarono ad essere immesse sul mercato fibre competitive prodotte in paesi dove il costo del lavoro era molto più basso di quello che si verificava in Italia. Questa situazione si è protratta per molti anni ed è possibile affermare oramai che molti centri di produzione di fibre si sono spostati da aree in paesi ad alto grado di industrializzazione (USA, Giappone, Europa Occidentale) verso regioni in via di sviluppo (Asia, America del Sud ecc.) e questo vale in particolar modo per le fibre di utilizzo nel tessile [7]. La produzione italiana di fibre chimiche, come emerge dai dati della tabella 16, si è concentrata, relativamente al periodo 1978-98, principalmente sulle seguenti famiglie: - poliammidiche - poliestere - acriliche - polipropileniche - cellulosiche. Passando dal 1978 al 1998 è possibile osservare: a) un sensibile e consistente aumento nella produzione totale di fibre sintetiche; b) un aumento della produzione di fibre poliammidiche, acriliche e poliestere; c) una sostanziale diminuzione nella produzione delle fibre cellulosiche. La bilancia commerciale del comparto fibre (anno 1998) facendo riferimento ai dati della tabella 17, si caratterizza per i seguenti aspetti: i) una sostanziale stabilità delle importazioni; ii) una diminuzione delle esportazioni; iii) un peggioramento del saldo commerciale, sia in quantità che in valore; iv) una discesa dei prezzi delle fibre chimiche che mediamente si può stimare pari a –9% nel 1998 rispetto al 1997; v) una diminuzione dei margini [43]. La situazione generale del sistema produttivo italiano delle fibre viene descritta, nei suoi elementi essenziali, nel “rapporto 98/99” della Federchimica: "Un discorso particolare deve essere fatto per le fibre dove le difficoltà non sono solo di carattere congiunturale in quanto la crisi asiatica ha dato una “spallata” a tutto il sistema tessile europeo. La fibre italiane rimangono colpite sia direttamente dalla concorrenza asiatica, sia indirettamente attraverso le difficoltà del proprio mercato di sbocco in Italia e in Europa" [43]. 110 Tabella 16 Produzione italiana di fibre chimiche 1978-1998 (K tonn) FIBRE ANNO 1978 Poliammidiche Poliestere Acriliche Polipropileniche Totale-Sintetiche Totale-Cellulosiche Totale Fibre Chimiche 113,2 77,1 174,6 / 417,2 87,6 504,8 1990 Poliammidiche Poliestere Acriliche Polipropileniche Totale-Sintetiche Totale-Cellulosiche Totale Fibre Chimiche 172,8 179,9 232,8 106,6 692,1 35,5 727,6 1979 1980 117,9 80,8 173 / 421,7 78,6 500,3 1991 114,7 81,9 170,7 / 415,6 65,1 480,7 1992 158 171,1 244,6 99,1 672,8 31,9 704,7 161,1 187,6 248 96,8 693,2 35,2 728,4 1981 137,2 98,2 214,2 / 515,4 60,3 575,7 1995 170,8 197,9 194,5 85,9 649,1 31,8 680 1982 129,9 109 205 / 505,5 46 551,5 1996 168,6 198,6 217 78,9 663,1 32,3 695,4 1983 125,5 118,4 225,2 / 539,4 29,3 568,7 1997 1989 173 165,9 218,9 101,5 659,3 35,3 694,6 1998 177,6 180,5 412 374,9 69,8 659,4 31,1 690,5 75,9 631,3 32,2 663,5 Tabella 17 Scambi Commerciali Italiani di Fibre Chimiche - Anno 1998 Import Fibre sintetiche Fibre artificiali Cascami Totale Tonn. 476016 103727 55351 635094 Fibre sintetiche Fibre artificiali Cascami Totale Tonn. 404456 17886 6528 428870 Fibre sintetiche Fibre artificiali Cascami Totale Tonn. -71559 -85841 -48823 -206223 Mln. di lire 2711754 755686 58450 3525890 Export Saldo Mln. di lire 2182434 261149 7064 2450647 Mln. di lire -529320 -494537 -51386 -1075243 111 Tabella 18 Consumo Industriale di Fibre Tessili in Italia Kton 1995 1996 1997 1998 Sintetiche 650,7 643,4 750,1 748 Artificiali 121,5 107,9 112,5 121,7 Cotone 378,3 377,2 400,8 378,4 Lana 207,3 194,6 223,8 199,6 Totale 1357,8 1323,1 1487,2 1447,6 I consumi industriali di fibre tessili in Italia (periodo 1995-98), relativamente alle varie famiglie di fibre sono riportati nella tabella 18. Dai dati si evidenzia che in questo settore predominano nettamente le fibre sintetiche a discapito di quelle artificiali e naturali, le quali ultime però (lana e cotone) sono ancora largamente presenti a dimostrazione del fatto che il processo sostitutivo, fibre sintetiche fibre naturali, almeno per quanto riguarda il tessile, ha raggiunto uno stadio di quasiequilibrio che in assenza di grandi novità è prevedibile che permanga pressappoco inalterato, ancora per molti anni [43]. 112 7.3) Elastomeri sintetici. La situazione e le prospettive del settore degli elastomeri sintetici, riferiti all’anno 1977, delineata da A. Mazzei [44-a], emerge chiaramente dai dati riportati nelle tabelle 19, 20 e 21. Gli elastomeri su cui era incentrata, principalmente, l’attività dell’industria italiana erano le gomme stirene/butadiene (SBR), le butadieniche, le poliisopreniche, la gomma nitrile e gli elastomeri etilene–propilene (EP) ed etilene propilene-diene (EPDM). In particolare dai dati riportati dalla tabella 19 si ricava che la maggiore capacità e consumo spettava alle gomme SBR le quali rappresentavano circa il 20% della capacità produttiva riferita all’Europa occidentale (tabella 20). Nel caso della gomma a base polipropilenica (EP+EPDM) la quota percentuale di capacità, sempre riferita alla situazione dell’Europa Occidentale, era addirittura pari al 30,4%, mentre quella relativa alle gomme poliisopreniche, nitriliche e polibutadieniche risultava essere rispettivamente 20, 15,7 e 13,9% [44-a]. Interessanti apparivano i dati della tabella 21 dai quali si deduceva che la percentuale di tecnologia sviluppata in Italia era addirittura pari al 100% nel caso delle gomme poliisopreniche e polipropileniche (EP+EPDM). In relazione allo stato della ricerca scientifica e tecnologica del settore elastomeri A. Mazzei nel suo già citato rapporto scriveva: "La situazione culturale scientifica italiana è ben allineata (relativamente alla seconda metà degli anni ’70, n.d.A.) a quella dei principali paesi industrializzati europei ……, a conferma dell’interesse tuttora vivo per la scienza e tecnologia delle macromolecole iniziato circa vent’anni fa …… Occorre considerare che l’inizio della produzione di elastomeri sintetici in Italia (avvenuto con l’SBR intorno al 1956), è un fatto relativamente recente rispetto ad altre nazioni europee …..e agli USA. …….Per gli altri elastomeri la situazione è coerente con l’impulso che la scuola italiana ha dato alla scienza macromolecolare negli anni successivi" [44-a]. L’industria degli elastomeri sintetici italiana presentava, relativamente al 1977, un saldo negativo pari a circa 45 miliardi di lire derivante dalle seguenti cifre: √ Importazione di gomma sintetica 132.000 tonn. = 105 x 109 Lit. √ Esportazione di gomma sintetica 91.000 tonn. = 58,4 x 109 Lit. Questa situazione veniva aggravata dal fatto che mentre le imprese italiane esportavano principalmente prodotti a bassa tecnologia (ad esempio SBR, polibutadiene, ecc.) le importazioni riguardavano elastomeri ad elevato valore aggiunto quali neoprene, altonitriliche ecc.. A cavallo degli anni ‘70 e ’80, in Italia, circa il 60% della produzione di elastomeri veniva utilizzata nella costruzione di pneumatici ed in altri componenti per l’auto. Qui di seguito a titolo esemplificativo viene riportata la quantità di gomma utilizzata, all’epoca, in una vettura di media cilindrata, la FIAT 128: - pneumatici 32,5 kg; 113 - camere d’aria 3,1 Kg; - articoli vari 21,3 Kg [tappetini (SBR), tergicristallo e guarnizioni vetro (EPDM), tubi radiatori (EP), guarnizioni portiere, baule (neoprene), organi antivibrazione (PI), organi motore e circolazione fluidi (acriliche)] [43-a]; - totale 56,9 Kg. Tabella 19 Elastomeri sintetici: consuntivo all’inizio del 1977 e previsioni per il 1982 (per tipo di elastomero) in Italia (migliaia di tonn.) TIPO DI ELASTOMERO SBR (solido + lattice) Polibutadiene Poliisoprene Gomma nitrile Gomma butile EP + EPDM TOTALE 1977 Capacità Consumi 296 45 30 20 50 441 150 32 14 10 20 15 241 1982 Capacità Consumi 310 65 30 20 20 55 500 190 45 20 15 30 17 317 Tabella 20 Elastomeri sintetici: capacità produttiva italiana rispetto all’Europa occidentale, suddivisa per tipi SBR Polibutadiene Poliisoprene Gomma nitrile EP + EPDM Gomma Butile Neoprene 114 1977 Rispetto E O (%) 20.0 13.9 20.0 15.7 30.4 - 1982 Rispetto E O (%) 18.3 15.5 20.0 14.3 27.5 10.5 - Tabella 21 Elastomeri sintetici: Rapporto tra attività produttiva con tecnologia propria e acquistata all’estero SBR Polibutadiene Poliisoprene EP + EPDM Gomma Nitrile Gomma Butile Tecnologia propria ~ 30 100 100 ~ 35 100 (futura) Tecnologia acquistata ~ 70 100 ~ 65 - Gli scenari delineati durante il XIII Congresso della Società Chimica Italiana (Merano 18-23 Giugno 1978) permisero di avere una chiara panoramica della situazione dell’industria dei polimeri e della ricerca scientifica e tecnologica che, anche a seguito della grande scoperta di Natta, si era venuta a determinare nel nostro paese. Il sistema produttivo del settore presentava una robusta attività che, tra luci ed ombre, appariva essere interessante sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. In alcuni comparti la produzione era addirittura trainante sia sui mercati nazionali che internazionali con un elevato grado di innovazione che la rendeva competitiva e con delle nicchie di quasi esclusività che riguardavano in particolare il polipropilene e le gomme a base di copolimeri etilene-propilene. 115 7.4) L’industria di trasformazione delle plastiche. Al consolidamento dell’industria produttrice di polimeri si accompagnò lo sviluppo di una importante industria europea ed italiana di trasformazione delle materie plastiche e di costruzione di macchinari per la loro lavorazione. Nel 1982 venivano prodotte in Europa circa 14 milioni di tonnellate di manufatti in plastica. La maggior parte della produzione era concentrata, all’epoca, in quattro paesi (Germania, Italia, Francia e Regno Unito). La rilevanza assunta dall’industria manifatturiera delle plastiche traspariva dai dati della tabella 22 [44-b], dai quali si ricavava che nel 1982, relativamente ai quattro paesi citati, erano presenti ~ 12.500 industrie trasformatrici con circa 523.000 addetti. Queste aziende si caratterizzavano mediamente per un basso numero di addetti. La situazione di frammentazione del settore veniva così spiegata: "Dinamismo del settore e la soglia relativamente bassa dell’investimento richiesto in molti comparti produttivi per iniziare una nuova attività sono alla base del forte grado di polverizzazione che contraddistingue l’industria di trasformazione delle materie plastiche. La presenza di …… aziende di piccolissime dimensione è rilevante in tutti i paesi europei e raggiunge quote particolarmente elevate in Italia" [44-b]. Questo tipo di configurazione era chiaramente evidenziata dai dati della tabella 23 dove è riportata la suddivisione delle aziende trasformatrici per classi di addetti relativamente ai quattro paesi europei sopra menzionati. "Si può constatare che la struttura produttiva in Germania, Francia e Regno Unito presenta una considerevole similarità, anche se in Germania risulta molto più consistente il nucleo della media industria (da 50 a 200 addetti), mentre la situazione italiana si discosta notevolmente da quella degli altri maggiori paesi europei, potendosi rilevare una maggiore presenza di imprese di un numero di stampo artigianale e l’esistenza di un numero limitatissimo di unità produttive con più di 50 addetti" [44-b]. Tabella 22 La trasformazione di materie plastiche in Europa - 1982 Numero aziende Numero addetti Produzione (1.000 ton) Fatturato (miliardi)* Germania Italia Francia Regno Unito 4.200 215.000 3.500 16.700 4.200 98.000 2.270 6.150 2.100 100.000 2.200 6.400 2.000 110.000 1.750 7.000 * Cambi medi per il 1982 - Marco tedesco = 556 Lire - Franco francese = 207 Lire - Sterlina = 2.360 Lire 116 Tabella 23 Suddivisione delle aziende trasformatrici per classi di addetti % Aziende Classe addetti 1-9 Germania(1) 45.9 Italia(2) 61.3 Lombardia(2) 50.3 Francia(3) 44.4 Regno Unito(4) 48.7 10 - 19 16.0 13.4 14.5 16.3 16.8 20 - 49 17.2 15.9 20.1 21.3 16.0 50 - 199 16.1 7.8 12.4 13.6 13.5 200 e oltre 4.8 1.6 2.7 4.4 5.0 TOTALE 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 (1) Fonte: Statistiches Bundesamt - Anno 1977 Montedison - Censimento dei trasformatori italiani - Anno 1976 (3) Fonte: Annuaire de Statistique Industrielle - Anno 1979 (4) Fonte: Business Statistics Office - Anno 1978 (2) Fonte: Il comparto della trasformazione delle plastiche ha mantenuto nel tempo, in Italia e in Europa, la sua strutturazione che si caratterizza per una elevata presenza di PMI con un relativamente basso numero di addetti. Questa situazione si inquadra, nel nostro paese, in uno scenario dell’industria chimica nel quale sono attive solo tre grandi gruppi/imprese: EniChem, Montecatini, SNIA. Stime della Federchimica (anno 1992) "posizionano il peso delle PMI tra il 47%, se calcolato sugli addetti, e il 50%, utilizzando il dato di produzione….. Anche limitando l’analisi alle imprese sopra i 20 addetti, il confronto con gli altri principali paesi europei da due precise indicazioni (….). La prima è che l’elevata numerosità delle PMI non è solo una realtà della chimica italiana….. In tutti i paesi il numero totale di imprese supera il migliaio e, anzi, la Germania presenta un numero superiore all’Italia di circa 300 imprese (Tabella 24)……. Si può, cioè, concludere che le imprese piccole e medie sono un’importante realtà della chimica europea. La seconda indicazione riguarda direttamente l’Italia. Sia infatti il numero di imprese, sia l’incidenza degli addetti mostrano un peso relativo delle PMI chimiche italiane sul totale più elevato rispetto alla media europea…… In definitiva si può dire che in un panorama europeo caratterizzato sì dalla grande dimensione ma dove il numero e il peso delle PMI non è marginale, l’Italia non solo ha meno imprese “medie”, o , per lo meno, ha molte imprese con strutture valide per mercati locali e meno imprese con strutture valide per mercati internazionali o importanti sforzi tecnologici" [43-c]. 117 Tabella 24 L'industria chimica nei principali Paesi Eu ropei It alia Regno Unito Francia Germania n. n. n. n. n. n. n. n. n. n. imprese addetti medio imprese addetti medio imprese addetti medio imprese addetti adde tti addetti da 20 a 49 addetti 542 16650 31 401 12733 32 418 13453 32 481 da 50 a 99 addetti 223 15565 70 233 16540 71 253 17867 71 330 da 100 a 199 addetti 174 24647 142 154 21855 142 165 23152 140 258 da 200 a 499 addetti 112 35336 316 139 41974 302 164 54149 330 240 500 e oltre a ddetti 83 102459 1234 112 169179 1511 124 179970 1451 201 Totale 1134 194657 172 1039 262281 252 1124 288591 257 1510 n. n. medio addetti addetti 16169 23327 36112 74154 447414 597176 Fonte: ISTAT 1 988 - classe 25; C.I.A. 1992 - classe 25+26; U.I.C. 1990-classe 25; V.C.I. 1990 - classe 25+26 118 34 71 140 309 2226 395 TAVOLA XXIV a) b) Tavola XXIV: I vertici della Du Pont (USA) all’epoca della scoperta del nylon 66. a) Lammot Du Pont, presidente della “Du Pont Company”, 1926-1940; b) Charles M. A. Stine, chemical director, 192430; vice president for research, 1930-45 [Rif. 41d]. 119 120 Capitolo 8: Lo scenario evolutivo della scienza, della tecnologia e dell’industria dei polimeri. Nella tabella 25 sono riportati, in ordine cronologico alcuni degli eventi più significativi che hanno rappresentato le tappe fondamentali dello sviluppo della scienza e dell’industria dei polimeri [45-a]. Dal contenuto della tabella si evince come dalla fine della seconda guerra mondiale agli inizi degli anni ‘90, periodo durante il quale si afferma in Italia un sistema di ricerca ed una industria sui polimeri di valenza internazionale, si sono realizzate una serie di scoperte che hanno portato alla produzione di nuovi importanti materiali polimerici quali ad esempio: le resine epossidiche, gli elastomeri termoplastici, il politetrafluoroetilene, il polipropilene isotattico, le gomme sintetiche, il policarbonato, la poliformaldeide, le poliimmidi, il polifenileneossido, i polisolfoni, i poliesteri termoplastici, il polibutilene, il polietilene lineare a bassa densità, le polieteroimmidi, i polieteroeterochetoni, i polimeri liquido cristallini insieme allo sviluppo di nuovi processi e catalizzatori, tra i quali quelli messi a punto da Ziegler e Natta. Negli ultimi cinquanta anni la produzione, la diffusione e l’utilizzo di materiali polimerici (termoplastici, termoindurenti, elastomeri e gomme, fibre e compositi a matrice polimerica), con particolare riguardo a quelli basati sui polimeri di sintesi, hanno fatto registrare una grande accelerazione. A questo proposito in una recente pubblicazione della Federchimica dal titolo “Grandi Polimeri-evoluzione tecnologica ed opportunità di ricerca” è scritto: "L’importanza economica rivestita dal mercato delle materie plastiche sintetiche può essere riassunta da un solo dato riguardante il loro consumo mondiale che aumentò a 93 milioni di tonnellate nel 1995 (nel 1940 venivano prodotte solo un milione di tonnellate di plastiche n.d.A.) con una previsione di crescita stimata del 5% annuo sino al 2000 che porterà, a tale data il consumo a 120 milioni di tonnellate" [45-b]. La pervasività dei polimeri si evince chiaramente dai diagrammi delle figure 37a e 37-b che riportano, rispettivamente, la ripartizione del consumo mondiale di materie plastiche per i principali settori di utilizzo (anno1995) ([45-b] e i principali settori di sbocco delle materie plastiche in Italia (anno 1998) [45-c]. Nel periodo che va approssimativamente dalla metà degli anni ’60 fino alla fine degli anni ’70 vennero a determinarsi alcuni eventi significativi, che rappresentarono tappe di fondamentale importanza nella storia dell’evoluzione applicativa dei polimeri. 121 Tabella 25 CRONOLOGIA DEGLI EVENTI PIU’ SIGNIFICATIVI DELLA SCIENZA E TECNOLOGIA DEI POLIMERI 1820 1830 1831 1834 1835 1839 1844 1845 1845 1846 1847 1859 1862 1865 1865 1866 1866 1868 1870 1872 1872 1872 1878 1879 1880 1884 1884 1894 1898 122 Hancock inventa il prototipo del mulino moderno per il processing della gomma Reichenbach distilla il petrolio greggio Prima descrizione dello stirene Liebig isola per primo le melanine Regnault prepara il cloruro di vinile C. Goodyear vulcanizza la gomma F. Walton produce il linoleum Schönbein ottiene il nitrato di cellulosa, punto di partenza per arrivare alla celluloide Bewley disegna un estrusore per tubi in guttapercha Primo brevetto sulle miscele di polimeri: gomma naturale con guttapercha J.J. Berzelius ottiene il poliestere Butlerov descrive la poliformaldeide A. Parkes presenta alla Grande Esposizione di Londra i primi manufatti in parkesina, composto di nitrato di cellulosa, naftalina e canfora Parkes brevetta il processo Parkesine Schützenberger acetila la cellulosa Fondata la Parkesine Co. Bethelot sintetizza lo stirene Partendo dal nitrato di cellulosa e dalla canfora John W. Hyatt ottiene la celluloide, molto simile alla parkesina Brevetto principale di Hyatt sulla celluloide I fratelli Hyatt brevettano la prima macchina a iniezione per materiali plastici Bayer riporta la reazione tra fenolo e aldeide Baumann riporta la polimerizzazione del cloruro di vinile J.W. Hyatt fabbrica il primo stampo a iniezione a più impronte Viene brevettato da M. Gray il primo estrusore a vite Kahlbaum polimerizza il metacrilato Hölzer isola un prodotto di condensazione tra urea e formaldeide Chardonnet produce la seta artificiale C. Cross e E. Bevan producono industrialmente l’acetato di cellulosa Einhorn descrive i policarbonati 1899 1899 1899 1901 1905 1909 1910 1910 1912 1912 1912 1915 1918 1919 1921 1922 1924 1927 1927 1928 1928 1928 1930 1930 1930 1930 1931 1931 1931 1931 Kipping inizia le sue ricerche sui composti organo-siliconici Smith pubblica un brevetto sulle resine fenolformaldeide Kritsche e Splitteler brevettano la resina caseinica con il nome di Galalite W. J. Smith scopre le resine alchidiche e gliceroftaliche per reazione di glicerolo e anidride ftalica Miles prepara la cellulosa diacetato L.H. Baekeland annuncia la scoperta delle resine fenoliche, brevettate con il nome di Bakelite Viene costituita la General Bakelite Co., trasformata nel 1922 e incorporata successivamente nella Union Carbide Produzione in Germania dell’acetato di cellulosa Primo brevetto per la polimerizzazione in emulsione applicato all’isoprene Klatte sintetizza il cloruro di vinile e acetato di vinile partendo dall’acetilene Ostromislenski brevetta la polimerizzazione del cloruro di vinile Nasce a Laeverkusen il primo elastomero sintetico John brevetta le resine urea-formaldeide A. Eichengrün produce uno stampo per l’acetato di cellulosa A. Eichengrün progetta la prima moderna macchina a iniezione per materie plastiche; la produzione industriale inizierà nel 1926 in Germania H. Staudinger inizia a studiare la struttura delle macromolecole Scoperta e preparazione dell’alcool polivinilico Produzione commerciale dei poliacrilati Primi brevetti e successiva produzione industriale del PVC Produzione commerciale delle polveri per stampaggio ureaformaldeide Carothers inizia le sue ricerche sui super polimeri e polimerizzazioni Copolimerizzazione di cloruro di vinile e vinilacetato H.W. Carothers realizza la prima poliammide che entrerà in fase industriale nel 1939 Sviluppo industriale dello stirene e del polistirene in Germania Semon plasticizza il PVC La 3M introduce il nastro adesivo Scotch, inventato da Richard Drew Inizia la produzione industriale del PVC in Germania ICI inizia le ricerche sul polietilene Carothers scopre il neoprene Bauer e Hill separatamente iniziano a lavorare sui derivati dell’acido 123 1931 1932 1932 1933 1933 1933 1934 1935 1935 1935 1935 1935 1936 1936 1936 1938 1939 1939 1940 1940 1941 1941 1941 1941 1942 1943 1943 1946 1946 1947 1950 1953 1953 1953 124 metacrilico Ernst Ruska inventa il microscopio elettronico Introduzione della vite di preplastificazione nelle presse a iniezione Inizia la produzione del polimetilmetacrilato Crawford progetta la sintesi commerciale del metilmetacrilato Introdotta la gomma butadiene-stirene Resine poliestere insature Inizia la produzione del polimetilmetacrilato Carothers scopre le poliammidi Resina melanina-formaldeide Troester produce il primo estrusore per polimeri termoplastici Prima macchina per la soffiatura di corpi cavi di materia plastica Henkel ottiene le resine melaminiche Produzione dell’ABS Scoperta del polietilene a bassa densità in Gran Bretagna La Farben realizza la prima lente a contatto in plexiglas Introduzione della piroscissione catalitica del petrolio Produzione a pieno ritmo del nylon Produzione commerciale del polietilene Depositato in Germania il brevetto sulle resine epossidiche Produzione del PVC Inizia la produzione dei poliuretani Produzione industriale delle resine poliammidiche Prime resine siliconiche Resine poliestere sature e insature Whinfield e Dickinson inventano il polietileneglicoletereftalato (Terylene) Dow Corning produce industrialmente il silicone Produzione in impianto pilota di PTFE Brevetto Castan sulle epossidiche Produzione industriale delle resine epossidiche Introdotti gli elastomeri poliuretanici La Goodyear introduce il pneumatico senza camera d’aria Produzione industriale del politetrafluoroetilene Staudinger riceve il premio Nobel per il suo lavoro sulle macromolecole Ziegler ottiene il polietilene utilizzando catalizzatori organo-metallici James Watson e Francis Crick sviluppano il modello a doppia elica del DNA (acido desossiribonucleico) che mostra come una macromolecola 1954 1954 1956 1956 1957 1959 1959 1962 1964 1965 1970 1970 1973 1978 1982 1983 1984 1985 1986 1986 1987 1990 sia capace di trasmettere i caratteri ereditari La Pirelli e la Michelin introducono il pneumatico radiale G. Natta ottiene il polipropilene isotattico, prodotto nel 1957 dalla Montecatini Sintesi del cis-poliisoprene (gomma sintetica) Schnell pubblica i risultati sul policarbonato Produzione in impianto del polietilene ad alta densità Produzione industriale di polipropilene Prodotti i policarbonati Prodotta la poliformaldeide Produzione delle poliammidi Si ottiene il polifenilenossido Produzione dei polisolfoni Poliestere termoplastico Produzione delle fibre di kevlar Polibutilene Polietilene lineare a bassa densità Polieteroimmidi Polieteroeterochetoni Poliammide 4,6 Polimeri liquido cristallini Sviluppo di blend a base di PC/ABS Fibre di polietilene-UHMW ad elevate prestazioni “Super engineering polymers”, a base di polisolfoni Richard Smalley della Rice University scopre il buckminsterfullerene, una molecola gigante di carbonio a forma di pallone da calcio. In particolare: - nel 1979 il volume di plastica prodotta negli Stati Uniti superò per la prima volta quella dell’acciaio (figura 38); - nel periodo 1965-1970 il consumo e la produzione di fibre “Man Made” risultò essere maggiore di quella delle fibre naturali (figura 39 e 40); - intorno alla metà degli anni ’60 la produzione di gomma sintetica superò quella della gomma naturale (figura 41) [2, 46, 47]. Nel 1986 J. L. Meikle in un suo scritto dal titolo “Plastic, Material of a thousand 125 uses” scriveva: "So much of our contemporary environment is molded, woven, fabricated, or constructed of plastics that normally we hardly notice their existence as a distinct class of materials. Few of us are aware that the “Plastic Age” arrived in 1979, when the annual volume of plastics produced exceed that of steel" [47]. Fig. 37a Fig. 37b Fig. 37: a) Consumo mondiale di materie plastiche (media pesata del 1995) nei vari settori applicativi (in %) [Rif. 45-b]. b) Settori di sbocco delle materie plastiche in Italia (1998) (in %) [Rif. 45-c]. 126 Fig. 38: Confronto tra la produzione (in USA) di diversi tipi di materiali relativamente al periodo 1910-1980 (m3/anno) [Rif. 2]. Fig. 39: Andamento del consumo (USA) di fibre sintetiche e naturali, periodo 1940-1980 [Rif. 2, 46, 47]. 127 Fig. 40: Produzione mondiale di fibre naturali e Fig. 41: Confronto della produzione di gomma sintetiche (Man Made) periodo 1910-1970 [Rif. naturale e sintetica, periodo 1900-1970 [Rif. 2, 2, 46, 47]. 46, 47]. Da un punto di vista storico è possibile intravedere nello sviluppo, industrializzazione e nell’utilizzo dei polimeri le seguenti fasi fondamentali [7]. Fase prima (Trasformazione di polimeri naturali mediante processi fisici) Polimeri naturali, oppure materiali naturali a base di polimeri fibrosi, sono trasformati e lavorati in prodotti finiti e quindi utilizzabili dall’uomo, attraverso metodologie fisiche. E’ il caso delle fibre di polimeri naturali (seta, lana, lino, cotone, canapa ecc.) le quali, fin dagli albori della civiltà, venivano impiegate, dopo processi quali la filatura e la tessitura, per realizzare tessuti, tele, cordami ecc. (tavola XXV) (48) e quello della guttaperca (un polimero naturale che si estrae dal lattice di piante, appartenenti al genere Palaquium e Patena, che crescono in Malesia, Indonesia e Brasile) che già nel 1850 veniva usata quale massa per un rudimentale stampaggio termoplastico per la fabbricazione di utensili (manici di coltelli ecc.) [7]. Successivamente la guttaperca venne anche utilizzata, a seguito di più appropriate procedure chimico-fisiche, nella fabbricazione di palle da biliardo in sostituzione dell’avorio. 128 Fase seconda (Conversione di polimeri naturali attraverso metodologie chimiche e fisiche) Polimeri e materiali polimerici, già esistenti in natura, prima di essere lavorati e quindi trasformati in oggetti ed articoli per impieghi di vario genere, sono sottoposti a processi chimici di “conversione” che ne modificano sostanzialmente le caratteristiche molecolari, fisico-chimiche e meccaniche. In questa fase ricade il processo di vulcanizzazione della gomma naturale, con zolfo, messo a punto da Charles Goodyear nel 1839. La gomma naturale, come descritto nella serie di fotografie riportate nella tavola XXVI, si ottiene, mediante opportune lavorazioni, dal lattice che si ricava incidendo la corteccia dell’albero della gomma –Hevea Brasiliensis– [7, 48, 49-a]. La gomma naturale attraverso il processo di vulcanizzazione può, al contrario di quella non trattata, essere lavorata e trasformata in manufatti caratterizzati da una elevata elasticità, da buone proprietà meccaniche ed elevata resistenza al calore (figura 42) [49-b]. Nel 1888 il veterinario John Boyd Dunlop brevettò a Belfast il primo pneumatico per automobile fabbricato in gomma naturale vulcanizzata. La scoperta di Goodyear contribuì in maniera sostanziale allo sviluppo di questo importante settore produttivo e di trasformazione che rappresenta ancora oggi una delle principali applicazioni della gomma naturale e degli elastomeri sintetici (tavola XXVII) [9, 50]. In questa fase rientrano anche la messa a punto di un processo per la sintesi della nitrocellulosa e la scoperta della “Parkesina”. Il metodo per l’ottenimento della nitrocellulosa, un derivato solubile della cellulosa, fu messo a punto nel 1845 dal chimico tedesco Christian Friedrich Schonbein (1799-1868). La “Parkesina” è una resina il cui nome deriva dal suo scopritore, l’ inglese Alexander Parkes (1813-1890) (figura 43) che nel 1865 depositò un brevetto nel quale riportava la procedura per realizzare una plastica a partire da una soluzione di nitrocellulosa in “wood nafta”. Successivamente il processo di Parkes fu migliorato, prima da Daniel Spill (1832-1893), il quale utilizzò una soluzione di nitrocellulosa in canfora e olio di castoro (commercializzata con il marchio di fabbrica Xilonite) e quindi perfezionato nel 1868-69 dall’inventore americano John Westley Hyatt (1837-1920) (figura 44) che, utilizzando una soluzione di nitrocellulosa in canfora, fu capace di realizzare una massa da stampaggio alla quale dette il nome di “celluloide”. Questo materiale può essere considerato come la prima plastica ad avere un importante successo commerciale. La fotografia dello stabilimento, realizzato nel New Yersey, dove, nel 1870, avveniva la produzione della celluloide e dove aveva sede la “Hyatt’s Celluloid Corporation Works” è riprodotta nella figura 45 [51]. L’autovettura (modello T), prodotta dalla casa automobilistica americana Ford negli anni ‘20, è mostrata nella figura 46. E’ interessante notare come già all’epo129 a1) a2) a3) Fig. 42a Fig. 42b b1) b2) b3) Fig. 42: Il processo di vulcanizzazione conferisce alla gomma particolari caratteristiche elastiche rendendola anche lavorabile. Confronto tra il comportamento reologico di: a) un polimero non vulcanizzato sottoposto a stiro uniassiale: a1) prima dello stiro; a2) durante lo stiro; a3) dopo lo stiro; b) gomma vulcanizzata sottoposta a stiro uniassiale: b1) prima dello stiro; b2) durante lo stiro; b3) dopo lo stiro [Rif. 49-b]. 130 Fig. 43: Alexander Parkes (1813-1890) inventore inglese della parkesina, una plastica ottenuta sciogliendo la nitrocellula in nafta di legno [Rif. 26]. Fig. 44: John Wesley Hyatt (1837-1920) l’inventore americano che sviluppò la celluloide a partire da una soluzione di nitrocellulosa in canfora [Rif. 26]. ca furono impiegati materiali polimerici nella fabbricazione di alcuni componenti. Infatti la nitrocellulosa venne utilizzata come agente di coating ed impermeabilizzante della tela con cui era fabbricata la capote, mentre la celluloide e la gomma naturale furono usate rispettivamente nella fabbricazione delle lastre trasparenti dei finestrini e degli pneumatici [51, 52]. Lo sviluppo delle fibre artificiali, derivate dalla trasformazione di cellulosa previamente modificata chimicamente per renderla solubile, e quindi suscettibile di essere filata, che trovarono impiego nel settore tessile, rappresenta un evento che è parte integrante di questo interessante capitolo della storia dell’industria dei polimeri. In questo ambito particolarmente rilevante furono le seguenti scoperte ed invenzioni: √ Nel 1884 Louis Marie Hilaire Bernigaud, Conte de Chardonnet (1839-1924) (figura 47), un chimico francese, sviluppò un metodo per la produzione delle prime fibre artificiali a base cellulosica le quali furono denominate, per la loro rassomiglianza alla seta, “Seta artificiale” (il processo prevedeva la filatura e la denitrazione della nitrocellulosa mediante idrolisi con acido nitrico) [7, 26]. √ Nel 1890 il francese Louis Henry Despeissis scoprì il processo “cupro-ammonium” per la produzione di fibre cellulosiche artificiali, successivamente perfezionato da Herman Pauly, Max Fremery e Johann Urban (la produzione industriale di 131 Fig. 45: La fabbrica della “Hyatt’s Celluloid Corporation Works” dove nel 1870 veniva prodotta la celluloide [Rif. 51]. Fig. 46: Prime applicazione delle plastiche nel settore auto. Autovettura prodotta dalla Ford, anni ‘20, modello “T”, dove la capote impermeabile è realizzata in tela impregnata con nitrocellulosa, i finestrini sono fabbricati in celluloide e gli pneumatici in gomma naturale vulcanizzata [Rif. 51]. 132 Fig. 47: Louis Marie Hilaire Bernigaud, Conte de Chardonnet, che scoprì il metodo per la produzione delle prime fibre cellulosiche artificiali a partire dalla nitrocellulosa [Rif. 26]. queste fibre fu avviata nel 1894) [7]. √ I chimici inglesi Charles Cross (1855-1935), Edward Bevan (1856-1921) e Clayton Bearle nel 1892 misero a punto il processo “viscosa” per la produzione delle fibre cellulosiche denominate “Rayon”. La produzione industriale di queste fibre iniziò nel 1905 in Inghilterra a Coventry e nel 1910 in USA in Pensilvania [7]. √ Charles Cross ed Edward Bevan nel 1894 brevettarono il processo per l’ottenimento delle fibre di acetato di cellulosa le quali però furono commercializzate solo a partire dal 1925 dalla Celanese [7, 26]. Con lo sviluppo e la commercializzazione delle fibre cellulosiche iniziò un capitolo dell’industria delle fibre di polimeri, denominate “man-made” o artificiali, le quali in molti settori applicativi sostituirono quelle naturali quali il cotone, la seta, la lana ecc.. Il grande scienziato Herman F. Mark in suo articolo del 1976 dal titolo “Polymer Chemistry: the past 100 years” in relazione alla scoperta delle fibre di origine cellulosica così ebbe a scrivere: "However, after Ozanam in 1862 constructed the first spinning jets and Joseph W. Swan in 1883 found a method to “denitrate” the filaments and convert them into cellulose hydrate, the way was open for Count Hilaire de Chardonnet to obtain a patent in 1885 and to bridge the gap from laboratory to the plant by simplifying and coordinating the 133 four essential steps: nitration, dissolution, spinning and regeneration. His invention and enterprise initiated a new era in the textile business which now – only 90 years later – has grown into a multifaceted industry whose output has a value of several billion dollars per year. Chardonnet’s procedure made it clear that to form fibres the cellulose (or some other natural polymer) must first be made soluble, then the solution extruded, and finally the cellulose (or the original polymer) regenerated in the form of a fine fiber. Soon after 1890, additional methods were found to solubilize cellulose by acetylation, xanthation, and cuproxyammoniation, to “spin” the resulting solution by coagulating them into the form of a filament, and to use the resulting fiber as it is or regenerate it into cellulose. These artificial products started with an already existing natural polymer, generally cellulose, modified it chemically and brought it into fiber form by coagulation, stretching and drying. The resulting “rayons” dominated the field of man-made fibres until the mid-1930’s" [52]. Fase terza (l’uomo sintetizza polimeri di nuova concezione non presenti in natura). Questa fase iniziò nel 1907 quando il chimico di origine belga Leo Hendrix Baekeland (1863-1944), nel cercare un sostituto della gomma lacca, scoprì le resi- Fig. 48: Il chimico di origine belga Leo Hendrix Baekeland (1863-1944) scopritore delle resine fenol-formaldeidiche (dette Bakelite). Nella foto Baekeland è con sua moglie Cèline e con i figli [Rif.26]. 134 ne fenoliche. La scoperta di questa resina, che dal nome del suo scopritore fu denominata “Bakelite”, e la sua produzione e commercializzazione rappresentarono di fatto la nascita dell’industria delle materie plastiche di sintesi (figure 48 e 49) [53, 54]. A proposito di questa grande scoperta John Kimberly Mumford, nel 1924 in “The Story of Bakelite” ebbe a scrivere: "Ovunque si senta rumore di ingranaggio, ovunque donne si pavoneggino nello sfolgorio di luci elettriche, ovunque una nave salpi le acque o un aereo fluttui nell’azzurro, ovunque la gente viva, nel senso della parola proprio del XX secolo-, là troverete la Bakelite a svolgere il suo durevole servizio" [54]. La prima pagina del brevetto depositato da Baekeland nel 1908, che riportava la descrizione del processo a “calore e pressione” per la sintesi e la lavorazione delle resine fenol-formaldeide e la fotografia della fabbrica della Bakelite Gmbh ad Erkner, vicino Berlino (1935) sono riprodotte rispettivamente nelle figure 50 e 51 [54]. Il successo delle resine fenoliche spinse i ricercatori industriali ed accademici alla ricerca di nuove sostanze (monomeri) da utilizzare per la realizzazione di un numero sempre maggiore di polimeri di sintesi. Inoltre molti sforzi furono finalizzati alla messa a punto di processi di lavorazione e di trasformazione capaci di conferire ai manufatti finali una maggiore affidabilità e riproducibilità delle caratteristiche. In particolare la scoperta della Bakelite rappresentò l’inizio dello studio sistematico del chimismo dei processi di polimerizzazione che portò alla scoperta di nuovi polimeri, molti dei quali entrarono nell’uso comune. Fig. 49: Il laboratorio privato messo su da Baekeland a Yankers, nei pressi di New York, dove furono condotte le ricerche che portarono alla scoperta della Bakelite [Rif. 54]. 135 Fig. 50: Frontespizio del brevetto depositato da Baekeland relativo al processo a “calore e pressione” per l’ottenimento delle resine fenolo-formaldeide [Rif. 54]. Circa l’importanza applicativa delle reazioni di polimerizzazione Lord Tood, Presidente della Royal Society of London, scrisse: "I am inclined to think that the development of polymerisation is perhaps the biggest thing chemistry has done, where it has had the biggest impact on everyday life " [26]. Come si ricava dalla tabella 25 alla bakelite fecero seguito le scoperte di molti altri importanti polimeri di sintesi. La penetrazione sul mercato di prodotti e manufatti a base di polimeri anche se iniziata fin dalla scoperta delle prime plastiche di sintesi si è sostanzialmente sviluppata e affermata a partire dalla fine degli anni quaranta e cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale. Le plastiche di sintesi furono inizialmente considerate come “surrogati” di materiali di origine naturale. Un primo impulso al loro utilizzo, come tali, si verificò nel corso della prima guerra mondiale. A partire dai primi anni trenta, le nuove materie plastiche, fatte dall’uomo (man made), rilevarono spesso e in molti settori proprietà applicative migliori di quelli delle sostanze naturali. Ben presto i materiali a base di polimeri di sintesi non furono più considerati solamente prodotti imitativi e sostitutivi bensì nuovi materiali con proprietà “uniche e pertanto insostituibili in determinate applicazioni”. Pertanto nel processo evolutivo relativo alle applicazioni delle plastiche è possibile individuare due stadi sostanzialmente diversi anche se cronologicamente interconnessi. Il primo è quello in cui i polimeri vengono prodotti e utilizzati principalmente per imitare e sostituire prodotti naturali o di derivazione naturale quale ad esempio fibre, legno, metalli, vetro, gomma, ecc.. Il secondo processo non imitativo e non sostitutivo, si caratterizza per il fatto che 136 Fig. 51: Fotografia della fabbrica della Bakelite ad Erkner (Berlino) (1935) [Rif. 54]. attraverso sintesi innovative si scoprono polimeri con caratteristiche uniche che non sono riscontrabili in altri materiali più tradizionali. Questi sistemi polimerici aprirono la possibilità a tipologie di applicazioni in nuovi settori di utilizzo dove la competizione con materiali di natura diversa è praticamente nulla. Processo di imitazione e sostituzione A titolo di esemplificazione del processo di imitazione e sostituzione si riportano alcuni significativi casi. a) La celluloide sostituisce l’avorio, i gusci di tartaruga, il corno e la shellac. Nel 1868 la ditta Phelan e Colender, a causa dell’alto costo dell’avorio nella fabbricazione delle palle da biliardo, indisse una gara per la messa a punto di un materiale sostitutivo. John Hyatt, insieme con il fratello vinse la gara essendo riuscito a fabbricare palle da biliardo in celluloide con caratteristiche paragonabili a quelle fabbricate in avorio. Nelle tavole XXVIII e XXIX sono riportate le fotografie di oggetti realizzati in celluloide che, precedentemente alla scoperta di questa plastica, venivano realizzati utilizzando materiali derivanti dalla lavorazione dell’avorio, oppure dai gusci di tartaruga, dalle corna e zoccoli di animali [55, 56, 57, 58]. Dalle fotografie della tavola XXIX emerge chiaramente come nella fabbricazio137 ne di pettini femminili, l’avorio e l’osso, intorno al 1870, vennero sostituiti dalla parkesina e dalla celluloide. E’ interessante notare come anche utilizzando questa plastica era possibile realizzare raffinati “design”. Alcuni dei primi oggetti fabbricati in parkesina sono divenuti di interesse museale e pertanto sono esposti nel museo della scienza di Londra ed in altri importanti musei di altre città e paesi. La transizione da scatole ottenute per stampaggio della resina naturale denominata Shellac, comunemente nota in Italia come gommalacca, a scatole fabbricate in legno ricoperto da una lamina, artisticamente lavorata, di celluloide è resa evidente nella figura 52 [51]. b) La bakelite sostituisce il legno, il vetro, l’avorio ecc. - compete con la celluloide. Le fotografie riportate nelle tavole XXX-a) e b) mostrano esempi di applicazione della bakelite (piatti, flaconi per profumo) in sostituzione di materiali quali la ceramica e il vetro [54]. Spesso la bakelite venne utilizzata nella fabbricazione di oggetti in sostituzione del legno, vedasi tavole XXX-c), d) , f), dove sono riportati alcuni oggetti, quali un tavolino, stampi per tessuti e un set da scrivania. A titolo di confronto un antico stampo in legno utilizzato in Inghilterra per decorare tessuti in seta è riprodotto nella tavola XXX-e) [54, 58]. Fig. 52: La transizione derivante dall’introduzione sul mercato della celluloide. Artistiche scatole portaoggetti fatti in schellac (a sinistra) sono sostituite da scatole in legno ricoperte con una lamina, artisticamente lavorata, in celluloide (a destra) [Rif. 51]. 138 Interessanti esempi di sostituzione del legno con la bakelite si verificarono nel campo della radiofonia così come evidenziato nelle tavole XXXI a), b) e c). In particolare nella tavola XXXI-a) è riportato un radioricevitore prodotto dalla Magnadyne nel 1931 che ebbe una larga diffusione negli anni trenta. Il modello utilizzava un circuito a cinque valvole montato in un elegante mobile, del tipo a cupoletta, costruito con legni pregiati. Il radiofonografo, raffigurato nella tavola XXXIb) fu realizzato nel 1942 dalla Ducati era costruito in legno di pero di Sardegna; lo disegnò Marcello Ducati con l’aiuto dei maestri liutai di Cremona. Le fotografie di apparecchi radio, che utilizzavano eleganti contenitori realizzati in Bakelite, per confronto, sono mostrate nella tavola XXXI-c) [54]. c) Le resine termoindurenti sostituiscono gli adesivi naturali Le resine termoindurenti sono caratterizzate dal fatto che la reazione di reticolazione, che è irreversibile, avviene, dopo o durante lo stampaggio per effetto del calore e di agenti catalizzanti, normalmente a temperature superiori a quelle ambientali. Questi composti per le loro caratteristiche chimico-fisiche e reologiche, sin dalla loro prima apparizione sul mercato, furono impiegate nel settore degli adesivi in sostituzione di sostanze naturali che fin dall’antichità venivano utilizzate dall’uomo per questo tipo di applicazioni. Alcune resine termoindurenti trovano applicazioni, in sostituzione di adesivi a base di sostanze naturali, nella fabbricazione del legno compensato. Questo materiale “composito” è formato da più strati di fogli di impiallacciatura sovrapposti (in maniera tale che la direzione delle fibre di uno strato sia ruotata, rispetto a quella degli strati immediatamente sopra e sotto, di un certo angolo), incollati con sostanze adesive e compressi in modo da dare dei pannelli capaci di resistere molto bene alle variazioni della temperatura e all’umidità. Su questo argomento W. Peng e B. Riedl nel loro articolo dal titolo “Thermosetting Resins”, pubblicato nel 1995 su J. Chem. Education, scrivevano: "Historically, the use of thermosets, as adhesives and molding compounds, predates that of thermoplastics. Most adhesives used before World War II were based on natural products. One of the earliest known examples are those found in the mural record of wood veneering in the Sculpture of Thebes, dated in the reign of Thothmes III, about 1500 BC, Veneering is also mentioned by Pliny the Elder in Rome about AD 30. The adhesives in these cases were possibly proteinaceous extracts from animal residues or starches of vegetable origin. These are solubilized in water by addition of alkali. The adhesive is spread onto wood veneer that is layered and pressed by addition of a suitable weight. The water is absorbed by the wood(application of moderate heat shortens the time), and the protein molecules cross-link through interchain disulfide bonds and chain entanglements (for starch only chain entanglements occur). These processes changed little until the early 20th century, with the advent of modern thermosetting systems based on synthetic chemicals. Most of the large-volume thermosetting systems are phenol-formaldehydes, urea-formaldehydes, resorcinol- formaldehydes, melamine- formaldehydes, polyurethanes, polyesters,and epoxides. Some are solvent-based, whereas others are entirely self-cross-linkable with no added solvent (e.g., polyurethanes, polyesters and epoxides" [59]. 139 d) Polimeri termoplastici di sintesi imitano e sostituiscono il legno ed il vetro. Nella figura 53 sono riportati interessanti esempi di sostituzione del legno con polimeri termoplastici quali il polietilene e il polistirene. In particolare nella figura 53-a sono mostrati dei barilotti usati per contenere la birra, fabbricati in polietilene a bassa densità utilizzando la tecnologia dello stampaggio soffiato [60-a]. Il frontale del cassettone, mostrato in figura 53-b, è stato realizzato in polistirene mediante stampaggio ad iniezione [55]. Recentemente la Bayer e la sua consociata Deltapur hanno sviluppato nuove tecnologie che permettono di realizzare una vasta gamma di sistemi poliuretanici che, grazie alle loro caratteristiche, ai processi di lavorazione e alle diverse formulazioni, trovano applicazioni nei più svariati settori (elettrodomestici, macchine di lavoro, applicazioni mediche ecc.). Di grande interesse sono risultati i prodotti, denominati “Baydur”, che di fatto sono delle schiume poliuretaniche rigide. Un particolare tipo di queste schiume, commercializzato come “Baydur 40”, è caratterizzato da una configurazione a “Sandwich” con un “core” avente una struttura cellulare a nido d’ape e con gli strati esterni solidi e compatti, praticamente privi di celle. Questo materiale per la sua leggerezza, per le sue caratteristiche di resistenza meccanica, per la sua particolare struttura composita, per la sua versatilità di progettazione e per il suo processo di produzione basato su stampaggi molto economici, trova applicazione, come sostituto del legno, nella costruzione di mobili (tavola XXXII) [60-b]. Nel 1934 l’industria inglese ICI brevettò il processo che permetteva l’ottenimento di lastre trasparenti in polimetilmetacrilato (PMMA). La produzione di queste lastre (nome commerciale “Perspex”) iniziò nello stesso anno presso lo stabilimento di “Cassel works” (Billingham) (UK) (figura 54) dove quasi contemporaneamente vennero messe in produzione anche polveri acriliche da utilizzare come masse da stampaggio (commercializzate con il nome di “Diakon”) [61]. Le lastre di perspex per le loro caratteristiche sostituirono il vetro in molte applicazioni, alcune delle quali sono illustrate nella figura 55. Analogamente mediante le normali tecnologie di trasformazione utilizzate per i termoplastici fu possibile fabbricare oggetti in PMMA che, prima della scoperta di questo polimero, erano generalmente fatti in vetro (figura 56). Con la messa a punto della tecnica dello stampaggio soffiato e dello stampaggio ad iniezione fu possibile realizzare bottiglie e contenitori per alimenti in materiale plastico a partire da polimeri quali il polivinilcloruro, il polietilene, il polipropilene e il polietilene tereftalato. Questi contenitori per la loro leggerezza e per le loro caratteristiche di facile lavorazione e di barriera ai gas e ai vapori trovarono ampia applicazione nel settore dell’imballaggio primario. Esempi di questo tipo di applicazione nel caso del polipropilene e del polivinilcloruro sono illustrati rispettivamente nella tavola XXXIII [62] e nella figura 57 [60-a]. 140 Fig. 53a Fig. 53b Fig. 53: Primi esempi di sostituzione del legno con polimeri termoplastici: a) barilotti usati quali contenitori di birra fabbricati in polietilene a bassa densità mediante la tecnologia dello stampaggio soffiato (primi anni ‘60) [Rif. 60-a]; b) cassettone con la parte frontale ottenuta mediante stampaggio ad iniezione del polistirene [Rif. 55]. 141 Fig. 54: Lo stabilimento industriale dell’ICI di Cassel Works così come appariva nel 1930, dove nel 1934 iniziò la produzione di lamine in Perspex (polimetilmetacrilato) [Rif. 61]. Fig. 55b Fig. 55a 142 Fig. 55: Lastre in PMMA sostituiscono in molte applicazioni il vetro: a) Lucernari per il deposito di locomotive di Bow Street (Inghilterra). b) Vetrine ed insegne nella Arcade Shopping Centre di Coventry (1963) Inghilterra [Rif. 61]. Fig. 56: Oggetti decorativi fabbricati in PMMA trasparente (~1940) a dimostrazione di un processo di imitazione e sostituzione del vetro [Rif. 55]. e) I polimeri sostituiscono i metalli ed altri materiali in vari settori applicativi auto, navale, pesca ecc.. Un primo esempio di questo tipo di sostituzione è raffigurato in figura 58 dove sono riportate le fotografie di ruote dentate per ingranaggi fabbricati in materiale poliammidico (nylon). Queste ruote, a causa delle caratteristiche chimico-fisiche del polimero, presentano i seguenti vantaggi rispetto a quelle in acciaio: - elevata resistenza meccanica e all’urto; - lunga durata e silenziosità; - autolubrificazione; - elevata resistenza all’abrasione [63]. Nel settore auto la competizione tra plastiche (termoplastiche, termoindurenti e compositi) e metalli iniziò già prima della seconda guerra mondiale, come emerge dagli esempi riportati nella figura 59 [55, 64]. L’autore, in un suo articolo, ha così motivato la massiccia penetrazione delle pla143 Fig. 57: Le plastiche sostituiscono il vetro nell’imballaggio primario. Bottiglie in PVC per “softdrinks” realizzati mediante la tecnologia dello stampaggio soffiato (primi anni ‘60) [Rif. 60-a]. Fig. 58: Le plastiche sostituiscono i metalli: ruote dentate per ingranaggi fabbricate in materiale poliammidico (primi anni ‘60) [Rif. 63]. 144 Fig. 59a Fig. 59b Fig. 59: L’utilizzo delle plastiche in sostituzione dei metalli nel settore auto iniziò già prima della seconda guerra mondiale: a) Henry Ford che colpisce con un’ascia il pannello del cofano portabagagli fabbricato in resina fenolica (1940) [Rif. 55]; b) viene mostrata una fotografia, scattata nel 1941, di Henry Ford I vicino ad un prototipo di autovettura la cui carrozzeria è fatta in plastica (una resina fenolica) mentre i finestrini e copri fanali sono prodotti utilizzando dei polimeri acrilici. Questo prototipo rappresentò un primo esempio di sostituzione di metalli e vetri mediante plastiche sintetiche nel settore auto [Rif. 64]. 145 stiche nel settore auto: "The reasons why plastics find increasing applications in automobile sector are, as example of penetration, hereafter listed: - higher lightness; higher resistance to corrosion; - higher possibility to realize items based on any design idea; - higher possibility to obtain items of complicated shape and integrated multiple functions; - higher easiness of assembly. In this sector the average amount of plastic used per car was in 1960 of 3-4 kg; today, it reached a value of about 110 kg (about 10% of a car weight)" [65-a]. Il polipropilene, modificato opportunamente con gomme al fine di migliorarne la resistenza all’impatto, ha trovato negli ultimi anni applicazione nella fabbricazione di paraurti (tavola XXXIV) [62]. Nel settore navale, con lo sviluppo della metallurgia e dell’ingegneria, il legno, nella costruzione di scafi di grande dimensione è stato soppiantato dal ferro. Nel caso di barche di piccole e medie dimensioni a partire dagli anni ’40 si cominciarono a costruire scafi in resine poliestere insature rinforzate con fibre di vetro. Nelle imbarcazioni a vela, oggigiorno utilizzate solo per diporto e per competizioni sportive, un interessante processo sostitutivo si verificò allorquando le fibre naturali (lino, canapa, coir, sisal ecc.), che da millenni venivano utilizzate nella fabbricazione di vele, sartiame e cordame, furono soppiantate dalle fibre sintetiche quali ad esempio il nylon, il polipropilene, il polietilene tereftalato ed altre. La competizione ed i processi imitativi e sostitutivi tra i vari materiali che hanno caratterizzato ed anche determinato l’evoluzione e lo sviluppo della marineria sono illustrati attraverso la sequenza delle immagini riportate nelle tavole XXXV e XXXVI [60, 65-c]. Nel settore della pesca si sono verificati importanti processi sostitutivi. Per la realizzazione delle reti da pesca oramai si utilizzano esclusivamente fibre sintetiche, in particolare polipropileniche e poliammidiche, le quali hanno di gran lunga soppiantato fibre di origine naturali quali la canapa ed altre similari. Anche i galleggianti per i quali venivano utilizzati legno o sughero sono stati sostituiti dal polistirene schiumato (tavola XXXVII). Attraverso l’utilizzo di materiali polimerici di sintesi è stato possibile realizzare sistemi per la pesca caratterizzati da: - migliorate prestazioni; - maggiore durabilità; - aumentata resistenza alla corrosione dell’ambiente marino; e quindi in definitiva da un migliore rapporto costo/prestazioni. f) Le fibre sintetiche sostituiscono quelle naturali e competono con quelle artifi ciali. La scoperta delle fibre di nylon, di polietilenetereftalato, di polipropilene ed altre ha provocato uno dei più massicci processi di sostituzione di materiali della nostra 146 epoca: il rimpiazzo delle fibre naturali (cellulosiche e proteiche) con quelle prodotte direttamente dall’uomo (fibre sintetiche). "Today, synthetic make up more than 70% of the US consumption of fiber materials" [65-b]. Il processo di sostituzione, tra fibre non cellulosiche (sintetiche) e fibre cellulosiche, che si è registrato nel consumo di questi materiali in USA a partire dal 1940 e fino al 1990, è evidenziato attraverso i grafici della figura 60 [65-b]. Fig. 60: Il processo sostitutivo tra fibre sintetiche (non cellulosic) e fibre cellulosiche (cellulosic fibers), che si è verificato nel consumo di questi materiali in USA (periodo 1940-1990 - curva a sinistra), misurato in percentuale di nuove tecnologie introdotte (New Technology (%)). La curva a destra si riferisce allo stesso processo ma nel caso di tessuti non tessuti a base di fibre sintetiche (nonwovens) [Rif. 65-b]. L’era delle fibre sintetiche iniziò nei primi anni ‘30, come già precedentemente riportato, quando W. H. Carothers realizzò in laboratorio, presso la Du Pont, la prima poliammide alifatica, il nylon 66. Nel 1938 il “Patent Office of U.S.” aveva rilasciato tre brevetti firmati da Carothers, già depositati dalla Du Pont tra il 1935 e il 1937, nei quali veniva descritto il processo di sintesi di questo nuovo polimero (una reazione di policondensazione tra una diammina alifatica e un acido dibasico) e la tecnologia attraverso cui era possibile ottenere fibre con caratteristiche del tutto innovative rispetto a quelle naturali, in particolare la seta, e a quelle artificiali (Rayon). Il processo di lavorazione, scoperto da Julian Hill, il più vicino collaboratore di Carothers, prevedeva uno stadio di filatura dal fuso a cui seguiva una fase di raffreddamento dei filamenti che successivamente venivano stirati a freddo (cold 147 drawing). Durante quest’ultima operazione le macromolecole si orientavano, prevalentemente, con il loro asse parallelamente a quello della fibra. Le fibre, così ottenute, erano caratterizzate da ottime proprietà meccaniche; tra l’altro esse mostravano eccellenti caratteristiche tessili e tintoriali. Nella figura 61 è riportata una fotografia di Julian Hill che, attraverso un semplice esperimento da laboratorio, mostrava come da una massa fusa di nylon 66 fosse possibile, utilizzando una bacchetta di vetro, filare il polimero [51]. Nel settore del tessile le fibre di nylon 66 entrarono in competizione con quelle di seta, in particolare nella fabbricazione delle calze per donna le quali furono messe in produzione per la prima volta il 15 maggio 1940. Durante la seconda guerra mondiale la produzione di nylon 66 fu orientata totalmente ad impieghi militari. In tale contesto, fibre non stirate di questa poliammide furono impiegate nella realizzazione di funi per arrestare gli aeroplani nella fase di appontaggio sulle portaerei. Inoltre, fibre di nylon sostituirono quelle di seta, molto più costose, nella fabbricazione dei paracadute [7, 66, 67]. Alla fine della guerra la produzione di nylon 66 fu immediatamente riorientata Fig. 61: Con la sintesi del nylon 66 nasce la prima fibra sintetica. Nella foto, di grande interesse storico, Julian Hill, collaboratore di Carothers, mostra come sia possibile filare il nylon, partendo da una massa fusa, ottenendo un materiale a morfologia fibrosa [Rif. 51]. 148 verso la realizzazione di articoli per uso civile. In particolare le fibre furono principalmente utilizzate nel tessile per la manifattura di calze per donna. "Only eight days after Japan’s surrender, in August 1945, Dupont announced its reconversion to production of yarn for nylon stockings. The first of the so-called nylon riots, as journalists referred to them, occurred late in September when small shipments of stockings went on sale in a limited number of stores, all besieged by mobs of people who had learned of offering by word of mouth. The riots continued though the middle of 1946, as long as the shortage remained severe, wherever and whenever nylons went on sale" [55]. Le fotografie riportate nella figura 62 e nella tavola XXXVIII evidenziano, in maniera molto eloquente, il processo di sostituzione che portò in molti impieghi tessili, nell’abbigliamento e in particolare nella produzione di calze per donna le fibre di nylon a sostituire quelle naturali quali la seta [65-d]. La commercializzazione delle fibre di nylon indusse le industrie del settore tessile ad introdurre drastiche innovazioni nei processi di filatura e tessitura. Inoltre la parziale sostituzione della seta ebbe un impatto di natura sociale ed economica. Basti ricordare il fatto che in pochi decenni intere aree agricole dell’Europa Occidentale e dell’Italia subirono un drastico cambiamento di utilizzo poiché la coltivazione del gelso (le cui foglie erano l’unico alimento dei bachi), in esse praa) Fig. 62: Il processo sostitutivo che portò le fibre di nylon a sostituire quelle di seta nella produzione di calze per donna. a) Un manifesto pubblicitario che reclamizzava le famose calze in seta prodotte dalla casa “Bemberg” (anni ‘30). b) La ditta “Fama” reclamizza la sua produzione di calze in seta (anni ‘30). c) Dopo una coda di ore per acquistare calze realizzate in fibra poliammidica (nylon 66), messe in vendita alla fine della seconda guerra mondiale (nylon riots), una giovane donna non resiste alla tentazione di indossarle (archivio DuPont) [Rif. 65-d]. d) La Ditta italiana, Sigismondo Piva, che pubblicizza contemporaneamente calze in seta ed in nylon [Rif. 65-e]. 149 b) c) 150 d) ticata in maniera intensiva, non risultava essere remunerativa; infatti la domanda di seta era diventata minore dell’offerta. Questo fenomeno ebbe delle importanti ripercussioni contribuendo al processo di abbandono delle campagne da parte dei bachicoltori e alla loro migrazione verso le periferie industrializzate delle grandi città. Nel corso della seconda guerra mondiale due scienziati inglesi J.R. Whinfield e J. T. Dickinson, misero a punto, presso i laboratori della Calico Printers Assoc. (U.K.), la sintesi del polietilenetereftalato (PET) ad alto peso molecolare. Fibre di PET, con caratteristiche fortemente innovative (alta temperatura di fusione, 264°C, ed elevata resistenza all’idrolisi) furono ottenute attraverso un processo di “cold drawing”. Queste fibre denominate “terylene”, a causa delle vicissitudini della guerra, furono prodotte su scala industriale in Inghilterra e quindi commercializzate solo agli inizi del 1954. Nel 1945 presso la Du Pont fu sviluppato, in maniera del tutto indipendente, un processo che permetteva di preparare il PET a partire dal dimetiltereftalato e da etilene glicole. Successivamente la Du Pont comprò il brevetto USA depositato dalla Calico Printers circa le applicazioni del PET e nel 1953, presso gli stabilimenti di Kinston, in North Carolina, iniziò la produzione di fibre di PET denominate “Dacron”. Le fibre di PET trovarono largo impiego nel settore del tessile come tali ma anche in combinazione con altre fibre naturali (cotone e lana) e artificiali (rayon) al fine di realizzare filati ibridi caratterizzati da una maggiore resistenza all’abrasione e una più elevata tenacità. Attraverso l’utilizzo di questi filati è oggi possibile fab151 Fig. 63: Nel 1953, iniziò la produzione industriale delle fibre di poliestere (polietilenetereftalatoPET). Il loro utilizzo nel tessile ebbe effetti rivoluzionari. Fu possibile produrre i primi tessuti dotati di “memoria” (lava e indossa) ed i primi impermeabili in Terital che sostituivano quelli fatti con fibre naturali e artificiali. In figura viene riportata la foto di una giovane donna che indossa un impermeabile in poliestere [Rif. 65-d]. 152 bricare tessuti che possono sottostare, senza deteriorarsi, a molti cicli di lavaggio e stiratura (figura 63) [65-d]. Nel 1950 in USA e nel 1954 in Germania la DuPont e la Bayer introdussero sul mercato le prime fibre acriliche, denominate “Orlon” e “Dralon”. In Italia questa fibra fu prodotta a livello industriale a partire dal 1959 dalla società ACSA (stabilimento di Porto Marghera), che sfruttava una licenza della Chemstand Corp. e fu commercializzata come “Leacril” [65-d]. Le fibre acriliche fin dalla loro prima apparizione sul mercato vennero utilizzate per produrre filati ibridi dove esse venivano accoppiate con la lana, il cotone, il mohair, al fine di realizzare tessuti innovativi caratterizzati da una maggiore luminosità e morbidezza (tavola XXXIX) [65-d]. 153 Processo non imitativo: nuovi sistemi polimerici con proprietà uniche, che non si riscontrano in altri materiali, aprono nuovi settori di utilizzo. La disponibilità, a costi relativamente bassi, di una vasta gamma di monomeri, lo sviluppo di nuove metodologie di sintesi, la scoperta di catalizzatori più efficienti e specifici, insieme alla messa a punto di nuove tecnologie di lavorazione e trasformazione hanno permesso di sviluppare nuovi materiali polimerici con una combinazione di caratteristiche che è raro riscontrare in altri materiali di tipo tradizionale (metalli, vetri, ceramiche, legno ecc.). Alcuni tra i più rilevanti esempi di questi sistemi polimerici “speciali” sono qui di seguito descritti. i) Le poliammidi aromatiche (fibre speciali e superfibre). Verso la metà degli anni ’60, Paul W. Morgan, Stephanie L. Kwolek e T. I. Bair nell’ambito di una ricerca, condotta presso i laboratori della Du Pont, scoprirono che sottoponendo a filatura una soluzione liquido-cristallina di alcune particolari poliammidi aromatiche era possibile ottenere fibre caratterizzate da valori del modulo e della tenacità notevolmente più elevati di quelli di altre fibre allora in commercio (figura 64) [68]. Presso la Du Pont furono sviluppati due tipi di fibre arammidiche che differiva- Fig. 64: Curve sforzo-deformazione di fibre di varia origine. Il kevlar, fibra aramiddica, presenta valori del modulo e della tenacità notevolmente superiori a quelli di altri tipi di fibre che all’epoca della sua scoperta erano in commercio [rif. 68]. 154 no per la struttura molecolare delle unità ripetitive. La prima, denominata “Nomex” è caratterizzata da una struttura molecolare dove gli anelli aromatici sono sostituiti in posizioni meta, mentre nella seconda, chiamata Kevlar, la sostituzione avviene in posizione para (figura 65). Le fibre di kevlar, che vennero commercializzate dalla Du Pont all’inizio degli anni ‘70 (il marchio infatti fu depositato nel 1973), presentano proprietà uniche rispetto alle fibre più tradizionali e questo è legato alle loro caratteristiche molecolari, a quelle strutturali e morfologiche (elevatissimo grado di allineamento delle macromolecole) e al particolare processo di ottenimento basato sull’estrusione di una soluzione nella quale sono presenti domini di macromolecole aggregate tra loro secondo un ordine di tipo liquido-cristallino. Le fibre di kevlar, caratterizzate da eccellenti proprietà meccaniche (figure 64), da una ottima resistenza termica e buone proprietà isolanti, sono usate nella fabbricazione di funi e cavi speciali e di tessuti per giubbotti protettivi. Esse sono utilizzate anche come agenti di rinforzo in compositi ad elevate prestazioni per applicazioni in settori quali l’auto, il navale, e l’aerospaziale. Nelle grandi regate internazionali molte barche utilizzano vele tessute in kevlar. Una interessante applicazione è quella illustrata nella tavola XL dove grandi strutture tubolari in kevlar sono impiegate quali barriere galleggianti. Il kevlar della Du Pont e stato definito “la più grande scoperta nel campo delle fibre sintetiche dopo il nylon”. I principali artefici della scoperta e dello sviluppo di questo materiale sono mostrati nella fotografia riprodotta in figura 66 [69]. Come si evince dall’esame delle tabelle 26 e 27 le fibre di Kevlar e di Nomex presentano una combinazione di proprietà che le rende uniche nel loro genere e per- Fig. 65: La struttura molecolare del nomex e del kevlar è confrontata con quella del nylon 66. 155 Fig. 66: Gli scopritori del kevlar e i principali artefici del suo sviluppo: Stefanie Kwolek, Herbert Blades, Paul Morgan, Joseph Rivers Jr. [Rif. 59]. Tabella 26 Le più significative proprietà delle fibre di Kevlar • Elevata resistenza alla trazione • Elevato modulo (rigidità strutturale) • Alta resistenza agli agenti chimici • Elevata tenacità • Alta resistenza agli sforzi di taglio • Bassa elongazione a rottura • Bassa conducibilità elettrica • Bassa contrattilità termica • Eccellente stabilità dimensionale • Resistenza alla fiamma e auto-estinguenza 156 Tabella 27 Le caratteristiche salienti delle fibre di Nomex - Resistenza al calore e alla fiamma - Elevata resistenza alle radiazioni ultraviolette - Alta resistenza agli agenti chimici - Bassa contrattilità termica - Formabilità - Basso allungamento a rottura - Bassa conducibilità elettrica - Eccellente stabilità dimensionale - Eccellente resistenza all'idrolisi - Elevata resistenza all'abrasione e al logorio. Fig. 67: struttura molecolare di uno strato di molecole di Kevlar. tanto non sostituibili da fibre realizzate in materiali diversi. Nella figura 67 è schematicamente illustrata la struttura molecolare di uno strato di molecole di Kevlar, che si caratterizza per l’elevato grado di allineamento delle macromolecole le quali sono tenute strettamente connesse le une alle altre da forti legami a idrogeno di tipo intermolecolare. ii) Il politetrafluoroetilene (PTFE) (teflon) Il politetrafluoroetilene, polimero con caratteristiche termoplastiche, nome commerciale “teflon”, fu scoperto per caso nel 1938, nei laboratori della Du Pont, da R. J. Plunkett (figura 68). 157 Fig. 68a Fig. 68b Fig. 68: a) Roy J. Plunkett (a destra), che nel 1938 scoprì il politetrafluoroetilene (teflon), nel laboratorio Jackson della Du Pont, insieme ai suoi collaboratori. b) Due pagine del suo diario contenenti appunti circa la ricerca sul teflon (1938) [Rif. 47 e 67]. 158 Questo ricercatore che lavorava nei laboratori della Kinetic Chemicals, nell’aprire la valvola di efflusso di una bombola, contenente del tetrafluoroetilene, da impiegare come agente refrigerante, si accorse che da essa il gas stentava a fuoriuscire. Nell’ispezionare la bombola riscontrò al suo interno la presenza di una sostanza solida: aveva scoperto il politetrafluoroetilene (PTFE) [8-d]. Il primo impianto pilota di PTFE, allestito dalla Du Pont, entrò in funzione nel 1941; nel 1942, per ragioni belliche fu avviata una produzione limitata al fine di preparare membrane da utilizzare durante il processo di arricchimento dell’uranio 235 e del plutonio 239 necessari per la fabbricazione della prima bomba atomica (progetto Manhattan). Queste membrane, in teflon, furono scelte per la separazione degli isotopi dell’uranio a causa della straordinaria inerzia chimica del PTFE che all’epoca risultò l’unico materiale capace di resistere all’elevata capacità corrosiva dei fluoruri di uranio, sostanze queste che per l’appunto venivano utilizzate per la produzione di uranio arricchito [70-a]. La Du Pont, sulla base dell’esperienza acquisita, dopo la fine della guerra iniziò la produzione su scala industriale del PTFE che fu commercializzato come “Teflon”. Successivamente il politetrafluoro-etilene fu prodotto dall’inglese ICI (Imperial Chemical Industries) con la denominazione di “Fluon”. In Italia il PTFE fu prodotto, per la prima volta, nel 1954 dalla società Montecatini e commercializzato sotto la denominazione di “Algoflon” [8-d]. Il teflon, in massa, si caratterizza per le seguenti “outstanding” proprietà: - elevata temperatura di fusione (325°C) e di decomposizione (> 500 °C); - elevata inerzia chimica e resistenza agli agenti corrosivi; - elevata resistenza alla fiamma; - bassissima conducibilità elettrica; - elevata stabilità termica; - alta impermeabilità al vapore d’acqua; - elevate caratteristiche lubrificanti. Per queste sue particolari caratteristiche il teflon viene, attualmente, utilizzato nella fabbricazione di: - cuscinetti e guarnizioni autolubrificanti; - guarnizioni per tubi capaci di resistere ad elevate temperature ed all’azione corrosiva da parte di agenti chimici; - isolanti elettrici ad elevate prestazioni e con elevata resistenza alla temperatura; - protesi per uso chirurgico; - vasellame che non richiede grassi per cucinare. Esempi di prime applicazioni del PTFE, risalenti alla seconda metà degli anni ’50, sono illustrati attraverso le fotoriproduzioni della figura 69 [8-d]. Nel 1969 Bob Gore scoprì che era possibile, utilizzando un appropriato processo, realizzare delle membrane microporose di PTFE con caratteristiche estrema159 mente innovative. La tecnologia prevedeva: - la realizzazione di un film, altamente orientato, per estrusione del polimero fuso, utilizzando una velocità di "take up" maggiore di quella di estrusione; - lo stiro del film, al di sotto della temperatura di fusione e in presenza di un solvente (spesso un idrocarburo aromatico) capace di rigonfiare le regioni amorfe. Le membrane microporose, così ottenute, presentano una distribuzione omogenea e una dimensione uniforme dei micropori ("Interconnecting Homogeneous Porous Network"). a) Fig.69: Prime applicazioni del politetrafluoroetilene (seconda metà degli anni ‘50). a) guarnizioni stampate e rifinite alla macchina utensile; b) valvola a membrana “saunders” con membrana in PTFE; c) guarnizioni “a busta” per flange con interno di gomma ed amianto [Rif. 8-d]. 160 b) c) 161 Le caratteristiche e gli utilizzi di queste membrane, dal nome del suo scopritore commercializzate con il marchio di fabbrica "GoreTex", sono stati così descritti da Angelo Guarisco: "Il GoreTex è una membrana di PTFE assai sottile, nell’ordine del centesimo di millimetro, dotata di una microporosità molto elevata: circa un miliardo e 400 milioni di pori per cm2. Tali pori hanno una dimensione circa 20.000 volte inferiore a quella di una goccia d’acqua, tale da rendere impermeabile il materiale, ma sono però circa 700 volte più grandi della molecola di vapore acqueo; la membrana risulta quindi traspirante nei confronti del sudore umano, poiché al momento del suo formarsi esso si presenta sotto forma di vapore. Per gli scopi pratici la membrana deve essere applicata su un supporto, poiché data l’estrema sottigliezza, non potrebbe sopportare di per sé le sollecitazioni di trazione e abrasione cui sarebbe sottoposta nei vari usi. Le applicazioni industriali del GoreTex riguardano principalmente quattro aree: la filtrazione, le guarnizioni di tenuta, il controllo della contaminazione, l’abbigliamento da lavoro;…." [70-b]. Interessanti ed estremamente innovative risultano le applicazioni delle membrane di GoreTex nella fabbricazione di indumenti da indossare in condizioni climatiche particolarmente avverse (pioggia, vento, neve, temperature molto basse), e cioè nel campo che viene definito “abbigliamento tecnico”. "… l’abbigliamento tecnico in GoreTex consente di coniugare una regolare traspirazione corporea con la migliore protezione contro avverse condizioni meteorologiche. Abbiamo già visto in precedenza i motivi per cui la membrana risulta impermeabile all’acqua; inoltre neanche il vento riesce a penetrarla poiché attraversando una serie di nodi e fibrille, l’azione dell’aria viene prima scomposta in varie direzioni e, strato dopo strato, definitivamente annullata. In tal modo il microclima esistente sulla superficie del corpo umano viene mantenuto pressoché inalterato; … …L’uomo è infatti un essere omotermico, cioè in grado di mantenere pressoché costante la temperatura corporea tramite quel delicato meccanismo termoregolatore comunemente definito come “sudorazione” o “traspirazione”. Risulta pertanto evidente che il grado di resistenza di un capo di abbigliamento al passaggio del vapor d’acqua costituisce un parametro essenziale per la valutazione del comfort del capo stesso. ….Anche l’effetto della protezione dal vento è importante, al fine di impedire un raffreddamento eccessivo del corpo. …. Allo scopo quindi di ovviare a tale inconveniente, da parte della W.L. Gore & Associati è stata sviluppata una linea apposita di tessuti, cui è stato dato il marchio Windstopper….." [70-b]. La complessa strutturazione di tessuti a base di GoreTex utilizzati nel settore dell’abbigliamento tecnico è riportata nelle tavole XLI, XLII, XLIII e XLIV [70-b]. iii) Il policarbonato (PC) L’avventura del PC ebbe inizio nel lontano 1898 quando Einhorn riuscì a fare reagire il fosgene con di-idrossibenzene sciolti in piridina. Agli inizi del secolo ventesimo anche Bischoff e Von Hedenstroem avevano ottenuto per vie diverse dei carbonati “polimeri”. Nel 1928 Carothers cercò di utilizzare i policarbonati per produrre filamenti. Le ricerche condotte sui policarbonati, fino ai primi anni ’50, por162 tarono a processi e prodotti che furono giudicati, all’epoca, non idonei per uno sfruttamento industriale e di scarso rilievo applicativo, anche se, interessanti dal punto di vista scientifico. I primi processi di sintesi dei policarbonati di importanza industriale furono sviluppati presso i laboratori della “Farbenfabrik Bayer” e della General Electric. Nel 1953, H. Schnell, che nel 1952 aveva iniziato nei laboratori della Bayer una ricerca sistematica finalizzata alla messa a punto di un processo sfruttabile industrialmente per la sintesi del policarbonato, scoprì un procedimento che partendo da bisfenolo-A e fosgene gli permise di ottenere un policarbonato che poteva essere lavorato come massa da stampaggio. Indipendentemente e contemporaneamente, presso i laboratori della General Electric, D. W. Fox metteva a punto una propria metodologia per la produzione di policarbonati. Nel 1954, solo nove giorni prima di D. W. Fox, H. Schnell depositò il suo brevetto. A seguito di accordi tra le due società nel 1957 la General Electric iniziò la produzione del PC in un impianto pilota; successivamente questo polimero fu commercializzato in USA, a partire dal 1960, con il nome di Lexan. La Bayer a sua volta, dopo aver realizzato un impianto pilota nel 1958, immise sul mercato il suo PC (denominato Makrolon) nel 1959. Il policarbonato aromatico più importante dal punto di vista industriale e commerciale è un prodotto di condensazione tra il bisfenolo A, un carbonato (precursore) quale il fosgene o il difenil carbonato e un monofenolo che agisce da “chain terminator” (fenolo oppure il t-butil fenolo). La struttura chimica di questo polimero lineare, amorfo, è qui di seguito riportata: CH 3 O R O C O C O O C O R CH 3 (bisfenolo A-policarbonato – PC) Attualmente all’incirca il 70% di PC è prodotto dalla General Electric, dalla Bayer e dalla Dow Chemical. In Italia una limitata quantità è prodotta dall’Enichem. Per le sue particolari proprietà (resistenza al calore e all’impatto e trasparenza) il PC trova applicazioni in molti settori: ottica, costruzioni (vetri per finestre), apparecchiature d’ufficio e telecomunicazioni. Nel settore medicale il PC viene impiegato per applicazioni dentarie, contenitori per il sangue, siringhe usa e getta, tubi per dialisi e componenti per pacemaker [70c]. Il policarbonato trova largo utilizzo nella produzione di “blend” con altri polimeri quali l’ABS, il PET, il SAN, il PBT ecc.. Attraverso questa tecnologia è possibile realizzare materiali con caratteristiche fortemente innovative, mirati a soddisfare 163 richieste di prestazioni da parte di settori di utilizzo altamente specifici ed ad elevato valore aggiunto. Le caratteristiche e le eccezionali proprietà del policarbonato così venivano descritte su Encyplast: "Questo polimero poliestere aromatico termoplastico ad alto punto di fusione, trasparente, inodore e insapore, fisiologicamente innocuo, facilmente colorabile presenta un insieme di proprietà che difficilmente possono ritrovarsi riassunte in una singola materia plastica. Mantiene le caratteristiche fisiche tra –100 e +135°C, durezza pari alla resina acetalica, resistenza alla trazione come la poliammide 66, bassa igroscopicità, più bassa dell’ABS, resistenza all’urto come le termoindurenti. Tenace e duttile di ottima resistenza all’urto, e di ottima stabilità dimensionale, difficilmente infiammabile, con bassa produzione di fumi……." [45-a]. Un tipico esempio di applicazioni di lastre di PC dove sono sfruttate le caratteristiche di trasparenza e di resistenza all’impatto è illustrato nella figura 70 [51; 70a]. Un interessante impiego del policarbonato è mostrato nella tavola XLV dove viene riportata la fotografia dell’astronauta che per primo mise piede sulla luna; il casco indossato era fabbricato in policarbonato. La tuta invece utilizzava tessuti a base di fibre di teflon [71-a]. Il policarbonato è impiegato anche in edilizia nella fabbricazione di tegole e dei Fig. 70: Lastre di policarbonato, per la loro trasparenza e resistenza all’urto, sostituiscono il vetro nei globi di lampioni per illuminazione stradale [Rif. 51]. 164 relativi accessori nella sostituzione e ristrutturazione di tetti e tettoie che una volta venivano realizzati con materiali contenenti amianto (tavola XLVI) [71-b]. iv) Processo di ibridazione e sistemi a più componenti (leghe, miscele e compositi). Le “performance” richieste in molte applicazioni spesso non possono essere soddisfatte da un unico polimero, si ricorre pertanto, così come avvenne nel caso dei metalli, alla realizzazione di nuovi materiali derivanti da processi di miscelazione di due o più polimeri, con l’obiettivo di sviluppare effetti sinergici in conseguenza dei quali la “lega” così ottenuta presenta alcune proprietà che sono superiori a quelle dei singoli componenti. Le condizioni affinché questo si verifichi è che i componenti siano compatibili allo stato solido oppure miscibili dal punto di vista termodinamico. La modificazione del polipropilene mediante aggiunta di gomme ha permesso di realizzare un nuovo materiale, una lega PP/gomma (etilene-propilene), caratterizzato da una resistenza all’impatto molto più elevata di quella esibita dal polipropilene puro [72]. I fattori che determinano le caratteristiche finali e d’uso di un polimero termoplastico cristallizzabile, modificato con gomma, sono stati così evidenziati dall’autore del presente volume: "The properties of rubber modified non-crystallizable thermoplastic polymers are usually described and theoretically predictable in terms of the mode and the state of dispersion of the soft component and of the adhesion between the matrix and the dispersed particles. When the thermoplastic polymer is crystallisable many other factors must be taken into account, as the addition of a second rubbery component may induce drastic changes on some important properties of the matrix. Due to the reciprocal interactions between the mayor and minor components in such blends the morphology, the structure and size of spherulites and lamellar crystals, the spherulite growth rate, the nucleation process, the melting and thermal behaviour and crystallinity often tend to be composition dependent. Thus in order to understand the …. properties of…… such blends one must have a knowledge of the influence of the preparation and crystallization conditions, and the nature and molecular mass of the soft components on the matrix modifications, and on the mode and the state of dispersion of the minor component" [72]. Un esempio di come la morfologia globale di un sistema polipropilene-gomma si modifichi in funzione della composizione è illustrata nella figura 71. Anche nel caso di resine termoindurenti, quali ad esempio le epossidiche, è necessario procedere ad una loro modificazione mediante un processo di “Reactive blending” per migliorarne la “toughness”. "The use of cross-linked epoxies as structural materials is continually increasing. These materials have several desirable properties such as high modulus and good thermal and chemical resistance. However, they exhibit poor fracture toughness ….. In recent years, the incorporation of elastomeric modifiers has been used successfully as a method to enhance the fracture thoughness of these materials …….. As an alternative approach to toughen a highly cross linked epoxy resin, we have used as modifiers an engineering 165 ductile thermoplastic polymer, namely the bisphenol-A based polycarbonate. A critical step towards the preparation of successful thermosetting blends is to start from a single-phase, homogeneous reactant mixture prior to the curing process ……" [73]. I grafici riportati in figura 72 mostrano come attraverso il processo messo a punto da E. Martuscelli et al. [73], è stato possibile realizzare un materiale caratterizzato da una resistenza all’urto che aumenta notevolmente al crescere del con- Fig. 71a Fig. 71b Fig. 71: Un caso di sistema ibrido: il Polipropilene isotattico modificato con gomme. Micrografie ottiche che mostrano come il modo e lo stato di dispersione del componente gommoso dipenda dalla composizione e dalla natura chimica della gomma. I domini di gomma sono inglobati negli sferuliti di PP durante la loro crescita. a) Sistema iPP /(gomma EPDM); b) sistema iPP/PiB (HM) (PiB = poliisobutilene; HM = alto peso molecolare) [Rif. 72]. 166 Fig. 72a Fig. 72: Processo di “Reactive blending” per migliorare la resistenza all’urto di resine epossidiche. a) Il parametro Gc (“Critical strain energy release rate” che fornisce una misura della resistenza all’urto di un materiale) aumenta all’aumentare del contenuto di policarbonato (PC); b) variazione del modulo elastico in funzione del contenuto di policarbonato (PC). [Rif. 73]. Fig. 72b tenuto di policarbonato (figura 72-curva a) mentre il modulo di elasticità lineare subisce solo una leggera ed accettabile riduzione (figura 72-curva b). Grande rilevanza hanno assunto i sistemi compositi a matrice polimerica che furono così definiti da Dominick V. Rosato: "A composite is a combined materials created by the syntetic assembly of two or more components – a selected filler or reinforcing agent and a compatible matrix binder (i. e. a resin) – in order to obtain specific characteristics and properties. The components of a composite do not dissolve or otherwise merge completely into each other, but nevertheless do act in concert ….. …. The properties of a composite cannot be achieved by any of the component acting alone" [74]. Il primo composito, con una matrice di polimero sintetico, fu realizzato da Baekeland il quale, intorno al 1907, mediante la tecnica dello stampaggio, fu capace di produrre elementi in resina fenol-formaldeide rinforzati con fibre di amianto (figura 73). 167 Fig. 73a Fig. 73b Fig. 73: Nasce l’industria dei compositi: a) i primi elementi, fabbricati in resina fenoloformaldeide rinforzata con fibre di amianto, ottenuti per stampaggio da Baekeland intorno al 1907; b) il reattore in ghisa utilizzato intorno al 1910 da L. Baekeland per sintetizzare le resine fenoloformaldeide da lui scoperte, era chiamato affettuosamente con il nomignolo di “Old Faithful”. [Rif. 74]. Lo sviluppo dei compositi si ebbe all’inizio degli anni ’40 allorquando furono messi a punto i processi che portarono all’ottenimento dei poliesteri insaturi (resine con caratteristiche termoindurenti scoperte da Carleton Ellis nel 1930 e brevettate nel 1937) rinforzati con fibre di vetro. Nel 1944 fu realizzata “la prima fusoliera di aereo interamente in resina poliestere rinforzata con fibra di vetro” [67]. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la scoperta di nuove matrici e fibre ha portato ad una continua evoluzione dei compositi che trovano oramai applicazione in molti settori e questo non solo in sostituzione di materiali tradizionali (metalli, ceramiche, legno e vetro) ma anche in impieghi in condizioni limiti ed estreme sia dal punto di vista delle condizioni termomeccaniche che chimiche e corrosive (compositi avanzati e speciali e per alte prestazioni) (figura 74) [75]. Negli ultimi anni notevoli investimenti in ricerca di base e applicata sono stati impegnati nella messa a punto di processi finalizzati all’ottenimento e allo sviluppo di compositi a matrice polimerica rinforzati con nanoparticelle ceramiche. Questi nuovi materiali, denominati “nano-compositi”, caratterizzati da una matrice polimerica contenente una fase dispersa con dimensioni nanometriche (intorno ad un decimo di un micron), possono presentare caratteristiche estremamente innovative e pertanto trovare impieghi finora imprevedibili. Alcuni di questi sistemi, tra i più significativi, sono elencati nella tabella 28, dove 168 Tabella 28 Nanocompositi messi a punto recentemente da vari ricercatori utilizzando tecnologie diverse: a) via sol-gel technique; b) via in situ intercalative polymerisation; c) via in situ polymerisation [Rif. 76]. a) Sistemi Usi Polycaprolactone/Silica Bone-bio-erodible polymer composites for skeletal tissue repair Polyimide/Silica Micro-electronics Polymethyl methacrylate/Silica Dental application, optical devices Polyethyl acrylate/ Silica Catalysis support, stationary phase for chromatography Poly(p-phenylene vinylene)/Silica Non-linear optical material for optical waveguides Poly(amide-imide)/TiO2 Composite membranes: gas-separation applications Polycarbonate/Silica Abrasion resistant coating b) Epoxy/Organo modified montmorillonite Materials for microelectronics with redyced thermal expansion coefficient and moisture absorpion Polystirene/Organo modified montmorillonite Improved properties Copolymer butadiene/acrylonitrile/Organo modified montmorillonite Rubber with enhanced barrier properties (H2, H2O) Starch/Organo modified montmorillonite Enhanced barrier properties Nylon/Organo modified montmorillonite Improvement of structural, mechanical, thermal and barrier characteristics without significant loss in clarity or strenght c) Nylon 6/Silica and CaCO3 Improvement of structural, mechanical, thermal and barrier charactestics without significant loss in clarity or strenght Polyimide/AIN Materials for microelectronics with reduced thermal exspansion coefficient and moisture absortion Polystirene-Polyvinylbenzene/ Fe2O3 Optical trasparent and superparamagnetic (color imaging and printing) PMMA/CaCO3 Biocompatible materials and optical devices 169 Fig. 74: Superfici di frattura di compositi caratterizzati da una matrice in poliestere insaturo rinforzata con fibre di vetro. L’adesione fibra matrice rappresenta l’elemento determinante per le caratteristiche applicative del composito [Rif. 75]. ogni nanocomposito viene identificato dalla natura chimica del polimero che agisce da matrice e dalla tipologia delle nanoparticelle inorganiche che danno luogo alla formazione di microfasi disperse. Nell’ultima colonna a destra sono riportati i principali campi applicativi [76]. In una loro recente pubblicazione, M. Avella, M. E. Errico, S. Martelli ed E. Martuscelli, a proposito dell’importanza di questi nuovi materiali hanno scritto: "In the last ten years new methodologies to achieve materials containing organic and inorganic single phases have seen developed giving rise to those materials called hybrid, ceramer or nanocomposites................................................................................................ The preparation methodologies of nanocomposites allow to achieve two interconnected phases ranging between 5 to 100nm. This morphology confers to the materials characteristics completely different from those of polymeric system where the inorganic component is added to the polymer as fiber or filler having micrometric dimensions. Improved and unexpected properties such as superconductor, magnetism, nonlinear optics, thermal stability etc can be achieved, owing to the enormous interfacial adhesion region characteristic of nanoparticles. Several methods are presently used to produce nanocomposites such as sol-gel, in situ intercalative polymerization and in situ polymerization. Particular attention is given to this latter preparation method because it permits to have nanocomposites with tailored physical properties avoiding the nanoparticles clustering 170 and at the same time, improving the interfacial adhesion between inorganic and organic phases" [76]. Nanocompositi a matrice polimerica, contenenti come fase dispersa silicati con una struttura a strati (noti come fillosilicati: mica, talco, montmorrilonite, vermiculite, hectorite, saponite ecc.) appaiono di grande interesse sia dal punto di vista scientifico che applicativo. A seconda dei processi usati è possibile preparare “Polymer Layered Silicate” nanocompositi di tipo “intercalato” (figura 75-c) oppure “delaminato” (figura 75-b) [77]. I metodi utilizzati nella preparazione di questi sistemi sono: - polimerizzazione in-situ - intercalazione del polimero da soluzione - intercalazione diretta da polimero fuso - tecnologia sol/gel. Gli schemi dei primi tre processi, sopra elencati, sono illustrati nella figura 76 [77]. a) b) c) Fig. 75: Rappresentazione schematica della struttura di sistemi compositi ottenuti utilizzando una matrice polimerica e un silicato a strati (fillosilicato): a) microcomposito; b) nanocomposito di tipo “delaminato”; c) nanocomposito di tipo “intercalato” [Rif. 77]. 171 Fig. 76a Fig. 76b Fig. 76: Rappresentazione schematica dei processi che portano all’ottenimento di nanocompositi rinforzati con “layered silicate”: a) polimerizzazione in situ; b) intercalazione da soluzione; c) intercalazione diretta da polimero fuso [Rif. 77]. 172 Fig. 76c Recentemente la Allied Signal ha sviluppato delle tecniche innovative di “compoundizzazione”, finalizzate alla produzione di nanocompositi a base di nylon 6 come matrice e di nano-scaglie ottenute per sfaldatura di caolini a struttura stratiforme. I dettagli del processo di ottenimento di questi materiali ibridi sono stati così descritti nel riferimento [78]: "Il … processo consiste nel mescolare intimamente i … caolini con PA6 fusa in estrusori a due viti co-rotanti. L’alta viscosità della PA6 genera forti sollecitazioni di taglio che provocavano la progressiva delaminazione e sfaldatura degli aggregati delle scaglie di silice". Come evidenziato nelle figure 77 e 78 i nanocompositi, realizzati secondo il processo sopra descritto, sono caratterizzati da valori del modulo a flessione e della temperatura di distorsione al calore sensibilmente migliori di quelli relativi a nylon fortemente rinforzati con le usuali cariche minerali. In particolare è possibile notare che piccole concentrazioni di nano-particelle provocano incrementi nei valori del modulo e della temperatura di distorsione che sono equivalenti a quelli di un composito tradizionale con una percentuale di carica estremamente più elevata (vedasi confronto tra le curve riportate nelle figure 77 e 78). 173 Fig. 77: Effetti dei nano-caolini sul modulo a flessione [Rif. 78]. Fig. 78: Effetti dei nano-caolini sulla temperatura di distorsione al calore [Rif. 78]. 174 I compositi nano-particellari possono presentare interessanti proprietà applicative sia come prodotti tecnici in massa che nell’imballaggio; in quest’ultima applicazione, sembra che abbiano la capacità di esplicare, in alcuni casi, migliori proprietà barriera. 175 Il processo di intercompetizione tra polimeri in settori omogenei Nuove e più sofisticate procedure di sintesi e di modificazione chimica, insieme alla possibilità di mettere a punto nuove formulazioni e tecnologie di trasformazione e lavorazione permettono al giorno d’oggi di realizzare materiali polimerici innovativi con caratteristiche e proprietà mirate sempre di più alle esigenze della domanda espressa dagli utilizzatori. Molto spesso, attraverso procedure di “blending”, di formulazione chimica, di additivazione e di rinforzo è possibile modificare sostanzialmente le “performance” di un polimero già noto ampliandone la gamma delle prestazioni e differenziandone fortemente le possibilità di impiego. In molti settori produttivi si hanno a disposizione per uno stesso tipo di utilizzo, materiali polimerici diversi. Questo ha portato ad un processo di intercompetizione e di sostituzione all’interno degli stessi comparti delle plastiche, degli elastomeri, delle gomme e delle fibre. Questo processo si è rilevato particolarmente interessante in settori trainanti quali quelli dell’imballaggio, delle auto, degli elettrodomestici e dei dischi per la riproduzione della voce e dei suoni. a) L’intercompetizione tra polimeri nel settore dell’imballaggio. L’industria dell’imballaggio per la sua rilevanza tecnologica, sociale ed economica rappresenta per tutti i paesi industrializzati, uno dei più attivi ed importanti settori del tessuto produttivo. La filiera dell’imballaggio industriale insieme alla situazione di competitività tra materiali di partenza diversi è illustrata attraverso i grafici riportati nelle figure 79 e 80 [79 a, b]. A seconda della funzione l’imballaggio può essere ricondotto a tre distinti comparti: – primario, imballaggio con funzione di confezioni destinati alla vendita; – secondario, imballaggio di presentazione “cluster” (espositori, contenitori per confezioni multiple). – terziario, imballaggi per il trasporto. Nel recente volume pubblicato dalla Federchimica, dal titolo “Materiali Polimerici”, l’imballaggio primario è così definito: "L’imballaggio è un sistema il cui obiettivo primario è proteggere il contenuto contro un ambiente ostile ed è sempre ancillare alla funzione del prodotto in esso contenuto" [80]. Il settore dell’imballaggio industriale si articola, a seconda della natura del materiale di partenza utilizzato, in nove comparti: acciaio, alluminio, carta, cartone ondulato, cartoncino teso, legno, plastica, poliaccoppiato e vetro. Nei paesi industrializzati si verifica che: "circa il 7% del consumo di acciaio, il 15% di alluminio, il 70% del vetro non piano, dal 25 al 40% di tutte le plastiche, quasi la metà della carta e l’85% o più del cartone sono utilizzati nell’imballaggio" [80]. 176 Queste cifre dimostrano la rilevanza che il settore ha acquisito nelle nazioni ad alto grado di sviluppo. Fig. 79: Il sistema competitivo della filiera dell’imballaggio industriale [Rif. 79-a]. Fig. 80: Distribuzione dei materiali per imballaggio sul totale del packaging (in peso) in Europa occidentale (anno 1997) [Rif. 79-b]. 177 Fig. 81: Il mercato dell’imballaggio flessibile in Europa occidentale [Rif.81]. Circa il 38% di plastiche viene utilizzato nell’imballaggio (su scala mondiale questo corrisponde, relativamente all’anno 1995, a circa 9 milioni di tonnellate) (figura 37). Le plastiche, negli anni, hanno sostituito in molte applicazioni dell’imballaggio (primario, secondario e terziario) altri materiali più tradizionali (vetro, carta, metalli, ecc.). Attualmente circa il 20% in peso sul totale dei materiali utilizzati è in plastica (80, 81). Particolarmente rilevante la quota di mercato delle plastiche nel comparto dell’imballaggio flessibile che, in Europa Occidentale, raggiunge valori che si aggirano intorno al 74% (figura 81) [82]. La competizione tra plastiche e materiali concorrenti tradizionali e tra plastiche e plastiche viene evidenziata, per le varie tipologie di impiego, nelle tabelle 29 e 30 [80]. Le principali plastiche usate nell’imballaggio sono il polietilene (LDPE, LLDPE Tabella 29 Principali segmenti e materiali polimerici per l’imballaggio Segmenti principali Film Bottiglie Bicchieri, vaschette, blister Sacchetti, buste Materiali leader LDPE, LLDPE, PVC PET, PVC, HDPE PS, PP, PVC LDPE, LLDPE Tabella 29: L’intercompetizione tra polimeri e materiali tradizionali nel settore dell’imballaggio. Principali segmenti e materiali polimerici per l’imballaggio [Rif. 80]. 178 Tabella 30 Competizione tra diversi materiali nel settore dell’imballaggio Materiali Leaders (Plastici) Materiali Concorrenti (Plastici) Materiali Concorrenti (Tradizionali) Bottiglie Latte HDPE PC ACCOPPIATI* Gassate PET* - VETRO/METALLO Non Gassate PET PVC VETRO/METALLO Olio PET PVC VETRO/METALLO Vino - PET VETRO* Detergenti LDPE* PET, PVC Fusti HDPE - METALLO* Espansi PS PP Bicchieri Vaschette PS PP, PVC, PET CARTONE ONDULATO* CARTA* Alveoli Blister PS/PVC PP, PET CARTA Film Retraibili Estensibili LDPE/LLDPE PVC, PA Avvolgimento/ Accoppiamento LDPE/LLDPE PP, PA, PET, PVC CARTA Sacchi Sacchetti LDPE/LLDPE HDPE CARTA Rafia PP HDPE Cassette HDPE PP METALLO/LEGNO * Materiale leader assoluto Tabella 30: L’intercompetizione tra polimeri e materiali tradizionali nel settore dell’imballaggio. Competizione tra i materiali nei vari comparti del sistema imballaggio [Rif. 80]. 179 Fig. 82: Le principali famiglie di plastiche utilizzate, in Europa occidentale, nel settore dell’imballaggio (ktonn/anno). Il tasso medio di crescita è pari al 3,5% [Rif. 80]. e HDPE), il polistirene, il polivinilcloruro, il polipropilene ed il polietilenetereftalato. La quantità utilizzata di questi polimeri espressa in ktonn/anno, e il relativo tasso medio di crescita (1988-1995) sono indicati nella figura 82. Dall’analisi disaggregata del settore imballaggio si ricava che alcune plastiche hanno già sostituito in molte applicazioni altri tipi di plastiche. E’ questo il caso del PET che nelle bottiglie per acqua ha già sostituito una sensibile quota di mercato che tradizionalmente era del PVC. Nel comparto dei bicchieri e delle vaschette il PS è stato in parte sostituito dal PET e dal PP. Il PVC è stato oramai totalmente soppiantato dal PP nell’imballaggio di prodotti della ortofrutticoltura . Il PET, che insieme al polipropilene, rappresenta il materiale di più recente utilizzo nel settore dell’imballaggio, mostra il più elevato tasso di crescita (11,5%) relativamente al periodo 1988-1995 (figura 82) a dimostrazione del fatto che questo materiale trova sempre nuovi utilizzi nel settore come viene evidenziato in figura 83 dalla quale emerge una previsione di consumo per questa plastica che dovrebbe passare dai 1,1 milioni di tonnellate del 1997 ai 2,8 milioni di tonnellate nel 2007 [82-a]. La crescita di utilizzo del PET, specialmente per la produzione di bottiglie per acqua minerale e bevande analcoliche è legata anche allo sviluppo di processi di riciclo economicamente interessanti. Su questa importante problematica recentemente Nicoletta Boniardi ha scritto: "……la quantità crescente di contenitori raccolti (+25% annuo in Europa) sembra dimostrare che, in un futuro non lontano, le bottiglie usate supereranno la richiesta di PET riciclato. Una soluzione a questo problema potrebbe essere rappresentata dalla possibilità di utilizzare materiale riciclato per la produzione di nuove bottiglie: un’eventualità che potrebbe trasformare il riciclo in business… …. In questa realtà Bühler …… ha sviluppato un processo in continuo finalizzato a riportare alle caratteristiche originarie il PET da post-consumo, cioè a renderlo nuova180 mente idoneo al contatto con alimenti. Processo che, promovendo i contenitori a materia prima, può rappresentare una valida alternativa al polimero vergine per la produzione di manufatti analoghi. Il nuovo processo potrebbe portare ad una vera e propria rivoluzione nel mondo del PET per alimenti e non solo: il costo dei granuli da post-consumo risulta infatti inferiore a quello di produzione del materiale vergine" [82-b]. Lo schema del processo “Bottle to Bottle” messo a punto da Bühler è riprodotto nella tavola XLVII. Francesco Gallieri, direttore commerciale per l’Italia degli impianti PET e PA di Bühler, così si esprime su questa nuova tecnologia: "Non solo in termini di energia recuperata, ma anche e soprattutto in termini di valore aggiunto sarà più conveniente riciclare le bottiglie post-consumo per produrre granuli per nuove bottiglie, o ancora meglio granuli per uso tecnico a viscosità 0,95–1, anziché impiegarle per uso tessile. C’è anche un altro motivo che spingerà i produttori di bevande al riciclo in nuove bottiglie: è la spinta ad avere una immagine “verde”, ambientalmente corretta" [82-b]. b) L’intercompetizione dei polimeri nel settore auto. I polimeri, siano essi termoplastici che termoindurenti (in particolare resine poliestere insature) trovano ampio utilizzo nella fabbricazione delle moderne autovetture (tavola XLVIII e figure 84 e 85) [83, 84]. Il consumo medio di polimeri termoplastici (kg/veicolo), in Europa Occidentale, per tipologia di polimero, relativamente agli anni 1993, 1996 e 2000 (stima) è riportato nella tabella 31 [80]. Dai dati risulta che nel 2000 circa 102,2 kg di polimeri termoplastici saranno utilizzati, mediamente, nella fabbricazione di una autovettura. Un esempio di intercompetizione tra polimeri nel settore auto si verifica nella costruzione di pannelli esterni della carrozzeria dove si contendono il mercato i seguenti sistemi: – tecnopolimeri termoplastici; – compositi termoindurenti (SMC: Sheet Molding Compound; BMC: Bulk Molding Compound); – poliuretani [80]. Nel caso dei paraurti, dove oramai i sistemi polimerici hanno soppiantato i metalli, si prevede che nell’Europa occidentale il polipropilene sostituisca sempre di più il poliuretano RIM (Reaction Injecton Moulding). Questo processo di sostituzione è dovuto: "alla riduzione dei costi, al risparmio di peso a parità di prestazioni e alla possibilità di riutilizzo, a fine vita, dell’intero componente" [80]. Anche nella costruzione delle plance portastrumenti (tavola XLVIII-c) si è registrato un processo che, gradualmente, ha visto la sostituzione di materiali più tradizionali con plastiche. 181 Fig. 83a Fig. 83b Fig. 83: Evoluzione del mercato europeo del PET relativamente al settore dell’imballaggio (consumo per settore di utilizzo): a) Anno 1997; b) Anno 2007; [Rif. 82-a] 182 metalli ferrosi altri metalli non ferrosi tessili plastiche prodotti naturali fluidi vetri gomme Fig. 84: I materiali utilizzati nel settore auto (%) [Rif. 83]. Attualmente sono utilizzati, per la fabbricazione di questo importante componente, vari tipi di sistemi polimerici. Per la parte strutturale competono l’ABS e il polipropilene rinforzato; la parte morbida viene realizzata in poliuretano espanso mentre per il rivestimento esterno si utilizza una lega PVC/ABS. Comunque la tendenza è quella di costruire plance in monomateriale (ad esempio poliolefinico) per facilitare il recupero ed il riciclo di questo componente alla fine del suo ciclo d’utilizzo. Nel futuro si prevede che il processo di sostituzione dei materiali più tradizionali con materiali a base di polimeri, nel settore dell’auto, subirà un ulteriore implementazione dovuta al fatto che, attraverso la costruzione di parti e componenti in plastica sarà possibile ridurre ulteriormente i costi, diminuire il peso (con conseguente abbattimento dei consumi energetici), aumentare la versatilità del design e la sicurezza, migliorando le caratteristiche di recupero e riciclo dei materiali a fine vita. Una estrapolazione delle tendenze attuali porterebbe a prevedere nel prossimo futuro una crescita nel grado di utilizzo delle plastiche nelle autovetture che si dovrebbe aggirare intorno al 20-25% in più (in peso) a cui corrisponderebbe, in volume, un valore pari a circa il 50% [83]. 183 Fig. 85: I polimeri trovano impiego nella costruzione di componenti per auto: distribuzione percentuale per tipologia di materiale [Rif. 85]. Tabella 31 I polimeri sono largamente utilizzati nel settore auto: consumo medio di polimeri termoplastici Kg/veicolo nel periodo 1993-2000 Polimero 1993 1996 2000 (stima) PP PVC PA ABS PE Leghe Polimeriche PMMA PPO POM TPU PC Altri Polimeri Totale 184 34.6 19.1 9.8 9.8 5.1 4.8 1.9 1.1 2.0 1.3 0.7 4.2 94.4 40.7 18.7 9.7 7.6 6.0 5.1 2.0 1.1 1.0 0.8 0.6 4.2 98.5 44.9 17.8 10.5 6.5 6.5 5.2 2.2 1.2 1.9 0.6 0.6 4.3 102.2 c) L’intercompetizione tra polimeri nel settore elettrodomestici. Il processo di sostituzione tra materiali di natura diversa e l’intercompetizione tra plastiche, nel settore degli elettrodomestici, può essere esaurientemente esemplificato analizzando le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato, nel tempo, l’evoluzione funzionale, tecnologica e di design del frigorifero; sicuramente uno degli elettrodomestici di più largo consumo, che, meglio di ogni altro può rappresentare i profondi cambiamenti del settore e questo anche in relazione alle trasformazioni socio-economiche della nostra società. Il grado di diffusione di questo elettrodomestico ha rappresentato, infatti, una misura dell’avvenuta transizione di un paese verso la società dei consumi. Nella serie di fotografie riportate nella tavola XLIX sono raffigurati esempi di frigoriferi che risalgono a periodi storici diversi e che pertanto si differenziano per la tipologia di materiali e tecnologie e per il design che hanno portato alla loro progettazione e produzione. In particolare nella tavola XLIX-a viene riportata la fotografia di una “ghiacciaia” elettrica prodotta in Italia all’inizio degli anni ’30. La quasi totalità dei componenti erano in metallo e legno. E’ probabile che le sole guarnizioni di chiusura fossero fatte in gomma naturale [85]. Il frigorifero di produzione americana, mostrato nella tavola XLIX-b, utilizzava strisce di resina fenolica, ottenute mediante un processo di laminazione, per isolare la parte interna, in metallo, dalla carcassa esterna anch’essa in metallo. La plastica, in questo caso, aveva sostituito il legno [51]. Con gli anni ’50, si afferma, come materiale di eccellenza, nella fabbricazione di componenti di elettrodomestici il polistirene, che in molti impieghi sostituisce e compete con successo con la bakelite. Il frigorifero in tavola XLIX-c (anni ’50) esemplifica molto bene questo processo, infatti la porta interna e le cornici sono fatte in polistirene antiurto, i contenitori all’interno sono in polistirene normale, mentre per l’isolamento interno si è fatto uso di una resina ureica espansa [8-d]. Il moderno frigorifero, riprodotto nella tavola XLIX-d, utilizza metodi di progettazione, tecnologie di lavorazione e materiali estremamente innovativi. Infatti le sue parti sono realizzate mediante stampaggio veloce di un formulato a base di poliuretano rigido (Baydur 1498) messo a punto dalla Bayer. Rispetto ad altri frigoriferi esso presenta i seguenti vantaggi: - minore peso (~25 Kg) e quindi riduzione della quantità di materiale utilizzato; - bassi tempi di lavorazione con relativo risparmio energetico; - elevato grado di riciclabilità essendo costruito sulla base del “monomaterial approach” [60-b]. 185 d) L’intercompetizione tra polimeri nel settore della registrazione e della riproduzione dei suoni. Le materie plastiche, in particolare quelle di sintesi, hanno avuto un ruolo di fondamentale importanza nel campo della registrazione e riproduzione dei suoni. "The recording and reproduction of sound may be defined as the preservation of sound in permanent form by electrical, mechanical, or optical means, or by a combination thereof, so that the original sound may be reproduced from the recorded medium at will. The most common forms of sound recording are phonograph records, magnetic tapes, and motion-picture soundtracks……. There are currently three basic types of recordingdiscs, which were developed from Edison’s cylinder record; magnetic recordings usually put on 1/4 -inch plastic tape; and motion-picture soundtracks, which include optical recording and magnetic recordings" [86-a]. I primi dispositivi fonografici, di forma cilindrica, costruiti da Edison erano ottenuti utilizzando una resina fenolica mediante una particolare tecnologia denominata “colata centrifuga”. Quando si passò ai registratori a dischi piani fu sfruttato, sempre utilizzando la bakelite, il metodo di lavorazione della laminazione (figura 86) [86-a, 87]. Esempi di dischi per fonografo in bakelite sono mostrati nella tavola L-a1) e L-a2) [51, 58]. La riproduzione di un inserto pubblicitario di dischi in bakelite della famosa ditta Durium è riportata nella tavola L-b. I dischi, secondo quanto propagandato nell’inserto, presentavano le seguenti caratteristiche: "i dischi Durium hit durano il quadruplo, pesano un ottavo, non bruciano, sono infrangibili e costano la metà" [88]. A cavallo tra gli anni ’20 e ’30 si cercò di utilizzare nella produzione di dischi per fonografi, masse fenoliche da stampaggio. Questi tentativi si arenarono rispetto ad una serie di notevoli inconvenienti quali: tempo di indurimento nello stampo, relativamente lungo, e temperatura di stampaggio elevata, necessari per portare a termine la reazione di reticolazione della resina fenolica [87]. Nel 1930 Joseph G. Davidson sviluppò un processo di copolimerizzazione tra il cloruro di vinile e l’acetato di vinile. Il prodotto ottenuto, appartenente alla famiglia delle plastiche viniliche, commercializzato dalla Union Carbide and Carbon Chemicals Corporation come “vinylite”, trovò utilizzo nella produzione di dischi per fonografi di tipo “long playimg” [47, 51]. Questi dischi (tavola L-c) furono per la prima volta presentati al pubblico durante la “A Century of Progress the World’s Fair”, tenutasi a Cicago (USA) nel 1932 [51]. Lo sviluppo di mezzi ottici di informazione e di riproduzione dei suoni e dei personal computer sono stati resi possibili dalla disponibilità di materiali polimerici e di tecnologie appropriate rispettivamente per la produzione di “compact disk” e di “compact disk read-only memory” (CD-ROM). Attualmente il poli-(bisfenolo A carbonato) rappresenta il materiale che viene 186 Fig. 86: Una delle prime presse a strati multipli utilizzata per la fabbricazione di laminati a base di resina fenolo-formaldeide (comunemente nota come Bakelite) [Rif. 86-b]. 187 comunemente utilizzato nella produzione di CD e CD-ROM (tavola L-d). In relazione a questa importante ed innovativa applicazione del policarbonato Pham et al. hanno scritto: "This application demands PC to be highly pure ….., transparency requirements … , colourless…., easy to process and low birefringence due to molded-in orientation. Information stored in this type of media are in the form of pits … These pits are transcribed onto PC substrate using a compression-assisted injection molding process. The disk is then aluminium-coated to reflect the incoming laser light. With the growth in CDROM, laser disks for movies, and the recently developed read-and-write CD-ROM the use of PC in this application will grow accordingly. The technical aspect of this application will also be very challenging as the specification requirements will be even more strict" [70-c]. L’importanza delle plastiche nello sviluppo del settore della registrazione e della riproduzione dei suoni viene simbolicamente messa in rilievo attraverso la riproduzione di un “jukeboxes” riportata nella tavola L-e. "Plastics such as transparent acrylics and colourful acetate gave a whole new dimension to jukeboxes such as this 1946 model-A from AMI" [89]. 188 TAVOLA XXV a) b) Tavola XXV: Lavorazione delle fibre di polimeri naturali quale esempio di trasformazione mediante processi fisici: a) filatura del cotone (fibra vegetale cellulosica) presso gli Indios della Amazzonia (Brasile); b) tessitura con telaio a mano, questo tipo di lavorazione non si discosta di molto da quella in uso presso antiche popolazione europee ed asiatiche [Rif. 48]. 189 a) b) TAVOLA XXVI Tavola XXVI: Alcune delle fasi relative alla produzione della gomma naturale che si ricava dal lattice dell’albero della gomma (Hevea Brasiliensis): a) il “Seringueiro” incide con un coltello, a lama ricurva, la corteccia dell’albero praticando un taglio obliquo; b) il lattice defluisce in una ciotola, esso contiene circa il 35% di gomma o caucciù (da una pianta si ricavano fino a 10 kg di resina all’anno); c) il lattice viene seccato in una “Smokehouse” e trasformato in grandi balle che rappresentano il materiale grezzo che viene spedito dalle piantagioni ai centri di raccolta e quindi agli stabilimenti di prima lavorazione d) ed e) [Rif. 48, 49-a]. 190 TAVOLA XXVI c) 191 TAVOLA XXVI d) e) 192 TAVOLA XXVII Tavola XXVII: Manifesto della Pirelli che pubblicizza i suoi pneumatici fabbricati con gomma naturale vulcanizzata (Museo Civico Bailo, Cat. 3862: M. Dudovich 1912-1920 circa) [Rif. 9]. 193 TAVOLA XXVIII a) b) Tavola XXVIII: a) e b) Fotografie di oggetti fabbricati in celluloide ad esemplificazione del processo di imitazione e sostituzione dell’avorio e dei gusci di tartaruga con materiali plastici [Rif. 55]. 194 a) TAVOLA XXIX b1) b2) c) Tavola XXIX: La celluloide sostituisce l’avorio, l’osso e la tartaruga nella fabbricazione di preziosi pettini ornamentali femminili. a) pettine in avorio da Mursiliana d’Albegna (Grosseto), VII secolo d.C., Firenze Museo Archeologico [Rif. 56]. b1 e b2) Artistici pettini in avorio conservati presso il Museo Copto del Cairo ritrovati in tombe di epoca romana e bizantina a Deir Abu-Hennis, Antinoë (VI secolo d.C.) [Rif. 57]. c) Tre pettini in celluloide e strass, Francia fine secolo diciannovesimo, e due pettini bianchi in parkesina, Inghilterra, 1870 [Rif. 58]. 195 TAVOLA XXX a) b) Tavola XXX: Esempi di sostituzione di materiali quali il vetro, la ceramica e il legno con la Bakelite: a) piatti; b) flaconi per profumo [Rif. 54]; c) tavolino; d) stampi per tessuti; e) antico stampo in legno utilizzato in Inghilterra per decorare tessuti in seta; f) set da scrivania (Inghilterra 1940) [Rif. 54, 58] 196 TAVOLA XXX c) d) 197 TAVOLA XXX e) f) 198 TAVOLA XXXI a) c) b) Tavola XXXI: La bakelite sostituisce il legno nella costruzione di mobiletti-contenitori per radio. Sono messi a confronto articoli fabbricati in legno ed in bakelite. a) Radio-ricevitore prodotto dalla “Magnadyne” che ebbe una larga diffusione negli anni Trenta. Il modello utilizzava un circuito a cinque valvole montato in un elegante mobile, del tipo a cupoletta, costruito con legni pregiati. b) Linee tondeggianti e originali caratterizzano questo radiofonografo Ducati “RR 440 I”. Era costruito in legno di pero di Sardegna; lo disegnò Marcello Ducati con l’aiuto dei maestri liutai di Cremona. c) Apparecchi radio prodotti dalla “Volksempfänger” nel 1933 con involucro in bakelite [Rif. 54]. 199 TAVOLA XXXII Tavola XXXII: Prodotti basati su schiume poliuretaniche rigide della Bayer, commercializzati come “Baydur - 40”, caratterizzati da una particolare struttura cellulare a sandwich, sono utilizzati nella realizzazione di mobili in sostituzione del legno [Rif. 60-b]. 200 TAVOLA XXXIII a) b) Tavola XXXIII: Le plastiche sostituiscono il vetro nel settore dell’imballaggio primario per alimenti: a) contenitori in polipropilene ottenuti per stampaggio ad iniezione; b) bottiglie multistrato in polipropilene ottenute per stampaggio soffiato, questi contenitori sono caratterizzati da una elevata barriera al vapore d’acqua, inoltre possono essere riempiti anche con liquidi caldi [Rif. 62]. 201 TAVOLA XXXIV a) b) Tavola XXXIV: Le plastiche nelle auto sostituiscono i metalli: a) il paraurti dell’auto in figura è fabbricato in polipropilene ad elevato impatto; da notare la bellezza del design e dei colori: "not only is the bumper functional, it is also beautiful" [Rif. 62]. b) griglia a base di poliolefine termoplastiche che rimpiazza quelle in metallo cromato [Rif. 62]. 202 TAVOLA XXXV a) b) c) Tavola XXXV: Esempi di antiche navi e barche con scafi in legno, vele, sartiami e cordami in fibre vegetali: a) il “Mayflower” il veliero che passò alla storia per aver portato un gruppo di emigranti inglesi (religiosi puritani) nel New England nel 1620. Questi emigranti furono considerati i fondatori delle colonie nord-americane [Rif. 55]; b) quadro dipinto da Cooke ai primi del 1800; rappresenta il pilota che sta cercando di intercettare una fregata per guidarla nel porto [Rif. 55]; c) due barche egiziane a vela latina impiegate per il trasporto sul Nilo [Rif. 65-c]. 203 TAVOLA XXXVI Tavola XXXVI: Esempi di imbarcazioni dove il metallo e le plastiche hanno sostituito il legno nella fabbricazione degli scafi e le fibre sintetiche hanno sostituito quelle naturali nella fabbricazione di vele, sartiame e cordami: a) uno dei primi esempi di pescherecci fabbricati in vetro-resina (poliestere insaturo rinforzato con fibre di vetro) [Rif. 60]; b) un moderno veliero da crociera, Il “Royal Clipper” una nave con lo scafo in ferro, a vele quadre a cinque alberi; le vele sono fabbricate utilizzando una fibra sintetica il Dacron che è il marchio di fabbrica delle fibre di polietilene–tereftalato prodotte per la prima volta nel 1945 dalla Du Pont [Rif. 65-c]; a) b) c) c) un moderno motoscafo da diporto con scafo ed altri componenti in plastica [Rif. 65-c]. La sostituzione e la competizione tra i vari materiali nella fabbricazione di scafi, vele, cordami e sartiame è stato un processo che ha determinato lo sviluppo della marineria attraverso i secoli. 204 TAVOLA XXXVII Tavola XXXVII: Il processo di sostituzione nel settore della pesca. Reti e galleggianti che fin da tempi remoti venivano realizzati utilizzando rispettivamente fibre naturali, legno e sughero, attualmente si realizzano impiegando fibre sintetiche (polipropileniche, poliammidiche) e polistirene espanso. 205 TAVOLA XXXVIII a) b) Tavola XXXVIII: Il processo di sostituzione della seta e di altre fibre naturali (lana e cotone) nel settore del tessile per abbigliamento. a) La casa Bemberg reclamizza le sue calze in seta (anni ‘30). b) e c) Manifesto attraverso il quale sono pubblicizzati vari capi di abbigliamento in seta (anni ‘30). 206 TAVOLA XXXVIII c) 207 TAVOLA XXXIX Tavola XXXIX: Le fibre sintetiche invadono il settore tessile dell’abbigliamento. Abiti prodotti usando filati ibridi che abbinano fibre sintetiche di tipo acrilico e fibre naturali quali la lana [Rif. 65-d]. 208 TAVOLA XL Tavola XL: Il kevlar trova utilizzo nella fabbricazione di grandi barriere galleggianti antinquinamento. 209 TAVOLA XLI Tavola XLI: Membrane speciali in PTFE (commercializzate come GORETEX) trovano applicazione nel tessile per la produzione di tessuti aventi ottime caratteristiche meccaniche. Questi tessuti sono impermeabili all’acqua ma permettono la traspirazione del vapore d’acqua prodotto dal corpo umano, secondo il meccanismo schematizzato in figura. TAVOLA XLII Tavola XLII: Abbigliamento per operatori di aeroporti realizzato in GoreTex (tessuto a base di membrane microporose di PTFE). 210 TAVOLA XLIII Tavola XLIII: Struttura dei tessuti con caratteristiche “Wind-stopper”. TAVOLA XLIV Tavola XLIV: La termografia a sinistra evidenzia con i toni freddi (blu e verde) la perdita di calore corporeo verificatasi con l’abbigliamento tradizionale a seguito dell’azione del vento; in quella a destra i colori caldi (rosso e giallo) evidenziano le minori dispersioni di calore dovute all’effetto dei tessuti “Wind-stopper”. TAVOLA XLV Tavola XLV: Fotografia dello sbarco di Apollo II sulla luna (21 Luglio 1969). L’astronauta indossa un casco in policarbonato ed una tuta protettiva il cui tessuto è a base di fibre di teflon. 211 TAVOLA XLVI Tavola XLVI: Tegole in policarbonato della palram (paltough) U.K. [Rif. 71-b]. TAVOLA XLVII Tavola XLVII: Schema del processo “Bottle to Bottle” messa a punto da Bühler per riciclare il PET [Rif. 82-b]. 212 TAVOLA XLVIII a) b) c) Tavola XLVIII: I polimeri trovano ampio utilizzo nella costruzione delle moderne autovetture. 213 TAVOLA XLIX a) Tavola XLIX: L’evoluzione nelle tecnologie di fabbricazione, nei materiali usati e nel design nel settore degli elettrodomestici. Il caso del frigorifero: a) La ghiacciaia elettrica della “Kelvinator” di Milano in un manifesto pubblicitario degli anni 1930-31. I componenti sono principalmente in metallo e legno [Rif. 85]. b) Fotografia di un frigorifero costruito dalla General Electric Company nel 1927. Lamine in resina fenolica furono utilizzate come isolanti termici tra il contenitore interno in acciaio e la carcassa esterna. Precedentemente per questa applicazione venivano utilizzate tavolette di legno [Rif. 51]. c) Frigorifero con portainterna e cornici in polistirene antiurto; vaschette portauova, contenitori vari e fregi in polistirene normale. L’isolamento interno è in resina ureica espansa (secondi anni ’50) [Rif. 8-d]. d) Un moderno frigorifero realizzato mediante stampaggio di un formulato a base di poliuretano rigodo ideato dalla Bayer (Baydur 1498). Il modello in figura della Electrolux Zanussi Elettrodomestici pesa soltanto 25 kg. Il corpo viene stampato in due minuti in un unico ciclo, mentre per la porta sono sufficienti 90 secondi. Il corpo di questo frigorifero essendo realizzato completamente in poliuretano (monomaterial-approach) può essere facilmente riciclato [Rif.60-b]. 214 TAVOLA XLIX b) 215 TAVOLA XLIX c) d) 216 TAVOLA L a1) Tavola L: Le plastiche hanno avuto un ruolo di grande rilievo nel settore della registrazione e della riproduzione dei suoni competendo, nel tempo, anche tra loro. a) dischi per fonografo in resina fenolica (bakelite) a1) Il disco della Edison è stato stampato nel 1912 [Rif. 51]. a2) Disco per fonografo e radio in resina fenolica (anni ’30) [Rif. 58]. b) Inserto pubblicitario (1931) della famosa ditta Durium che propaganda i suoi dischi in Bakelite [Rif. 88]. c) Dischi tipo “long-playing” prodotti in “vinylite” una plastica vinilica ottenuta per copolimerizzazione del cloruro di vinile con il vinile acetato. Questi dischi furono presentati alla “A century of progress, the world’s fair” tenutasi a Cicago nel 1933 [Rif. 51]. d) Un moderno compact disk prodotto in policarbonato. e) Il jukeboxes del 1946 prodotto dalla AMI, modello-A. Molte delle componenti sono in materiale polimerico quali: plastiche acriliche ed acetato. Esso rappresenta un emblema del grande impiego delle plastiche nel settore della registrazione e della riproduzione dei suoni [Rif. 89]. 217 TAVOLA L a2) 218 TAVOLA L b) c) 219 TAVOLA L d) e) 220