Le donne e il patriarcato: alle radici
della violenza sulle donne
Dott.ssa Righi Eleonora
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Le molestie sessuali, i maltrattamenti fisici, la violenza psicologica
ed economica sulle donne sono anche in Italia una tragica realtà.
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Come direbbe M. Foucault, la violenza è sempre esistita, tuttavia è
oggi e non in passato che essa viene problematizzata.
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La violenza nei confronti delle donne è un fenomeno molto diffuso
che ha radici antichissime negli atteggiamenti culturali che, nelle
varie epoche, hanno dominato il modo di intendere il rapporto
uomo-donna.
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Si tratta di atteggiamenti che incidono fortemente sugli schemi
soggettivi, sia della vittima sia di chi compie maltrattamento.
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Le donne, da sempre, sono state considerate inferiori all’uomo e
destinate all’obbedienza silenziosa e rispettosa.
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I maltrattamenti fanno rivivere alcune rappresentazioni sociali
della donna che la cultura europea ha prodotto:
- il principio dualistico del rapporto sessuale, dove la donna è passività
e l’uomo è attività;
- l’identificazione tra sessualità femminile e procreazione;
- la donna vista come asessuata, priva di desiderio e strumento del
piacere maschile.
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Alle origini dell’umanità la donna ebbe un ruolo di primo
piano all’interno dell’organizzazione sociale, soprattutto
perché figura capace di donare la vita.
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Durante la PREISTORIA si hanno prove della presenza di
società che divinizzavano la Dea Madre, fondate
sull’eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di
gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle
comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle
agricole del Neolitico.
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La storica e archeologa Riane Eisler ha indicato con il
neologismo gilania - dalle parole greche gynè, "donna" e
andros, "uomo" - quella fase storica plurimillenaria (8.000-
2500 a.c.)
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E’ con l’avvento del PATRIARCATO che ha invece avuto inizio la violenza
sulle donne.
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La donna, non svolgendo più nessuna funzione economica e sociale come nei
modi di produzione paleolitico e neolitico, vide ricadere su di sé gli effetti
della mercificazione del suo corpo.
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LE DONNE DIVENNERO UNA PURA PROPRIETÀ DEI CAPI TRIBÙ
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Erano questi che decidevano se e quando le donne potevano sposarsi
(potevano farlo solo con possessori di bestiame) e quale fosse il loro “valore
commerciale’’.
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Erano gli uomini, e nello specifico i capi-tribù, che avevano in mano la vita
delle donne e questo significava, in pratica, poter anche sottoporre la donna
a violenze fisiche.
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Per la concezione dell’ANTICHITÀ CLASSICA GRECA, la
donna per Platone è considerata inferiore all’uomo
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e per Aristotele è “per natura più debole dell’uomo” dato
che “il corpo femminile è incompleto, menomato”, cosa
che autorizza la sottomissione femminile all’uomo
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Nella struttura familiare patriarcale della ROMA
ANTICA, il Pater familias viveva con totale
disinvoltura la propria supremazia sul presunto “sesso
debole”

Egli era, infatti, legittimato ad utilizzare metodi correttivi
sulla moglie e sui figli e poteva esigere rapporti sessuali
dalla moglie in quanto “doveri coniugali”.
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Una cosiddetta donna di "facili costumi", se non ha solo
occasionali rapporti con il marito della matrona (un romano
libero non è mai colpevole di adulterio), può ufficialmente
convivere in famiglia come concubina.
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Una donna romana sposata solitamente assumeva lo
status del marito e andava a vivere con la famiglia di
lui: in caso di maltrattamenti o di mancato
mantenimento aveva scarse possibilità di rivalersi.
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La violenza per lo più si concretizzava se la donna non
assolveva a tali aspettative, vale a dire che poteva
essere ripudiata se sterile o anche se non procreava
figli maschi;
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il tradimento veniva punito anche con l'uccisione della
donna stessa: la legge lo consentiva tramite il delitto
d'onore
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Nel passato le donne relegate al solo ruolo di madri
perdevano inconsapevolmente anche la dimensione di donne,
persone con desideri al di fuori della esclusiva funzione
procreatrice
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tuttavia esse acquistavano beneficio sul versante
della non responsabilità e, dunque, della
protezione:
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sposarsi e diventare madri consentiva di assurgere ad un
ruolo intoccabile e per questo altamente protetto: il marito
aveva l’obbligo di mantenere e controllare la consorte, che
da lui dipendeva totalmente dal punto di vista anche
economico.
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LA VIOLENZA DIETRO AL LINGUAGGIO
Il termine familiare racchiude in sé questa doppia valenza
protettiva/oppressiva:
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familiare è ciò che è inerente alla famiglia (in lat. famulus è il
servo), indicando con essa una struttura sociale che implica un
certo grado di servizio e dunque di sopportazione;
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familiare indica poi ciò che è noto, abituale, consueto dunque
vissuto come normale.
LA VIOLENZA FAMILIARE È INVISIBILE COME PROBLEMA, IN QUANTO È
TANTO FAMILIARE DA ESSERE VISSUTA COME NORMALE
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E’ interessante a tale proposito fare riferimento anche
al concetto di domestico (dal latino “domus”, casa)

il sostantivo indica anche colui che serve nella casa

l’aggettivo indica ciò che è frutto di un’azione di
addomesticamento, di addestramento, che rende ciò che
prima era selvatico finalmente docile, addolcito,
mansueto, obbediente.
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Il CRISTIANESIMO riprende e conferma questa sottomissione
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per San Paolo: “Il capo della donna è l’uomo. Benché, dal punto di
vista spirituale, si consideri la donna uguale all’uomo, essa non può
insegnare, né imporre la sua volontà, ma deve rimanere in silenzio”.
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Da questa concezione deriva la scelta cattolica di vietare alle donne le
funzioni sacerdotali
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Nel DIRITTO ROMANO, che influenzò il successivo
diritto occidentale, marito e moglie erano
considerati un’unità, nel senso che la moglie era
un vero e proprio “possesso del marito”;
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in quanto tale, la donna non godeva del
controllo giuridico né della sua persona, né dei
suoi figli, né delle sue terre, né dei suoi soldi.
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Anche durante il MEDIOEVO, il diritto feudale
prevedeva che la terra si tramandasse per
discendenza maschile.
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RARE ECCEZIONI
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Nell’antica BABILONIA e nell’ANTICO EGITTO,
le donne godettero dei diritti di proprietà, e a
SPARTA amministrarono di fatto l’economia.
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Solo durante il MEDIOEVO, in alcuni paesi
europei, le donne poterono entrare a far parte
delle corporazioni delle arti e dei mestieri.
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In alcuni rarissimi casi, le donne godettero
dell’autorità religiosa, come nel caso delle
sciamane
romane.
siberiane
e
delle
sacerdotesse
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RARE ECCEZIONI

Una nuova immagine della donna si instaura
durante l’ILLUMINISMO, grazie all’attività di
donne dedite allo studio e all’arte, ma è una
immagine che riguarda un’esigua minoranza.
LA MAGGIORANZA DELLE DONNE RIMANE
RELEGATA A COMPITI AUSILIARI.
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LA CULTURA OTTOCENTESCA ritiene che la sessualità
femminile venga appagata dal parto e dalla cura dei
bambini e non abbia, quindi, altri desideri da
soddisfare.
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Rousseau nell’“Emilio” scrive che mentre “l’uomo è attivo e
forte, la donna è passiva e debole”: da ciò deriva che la
relazione tra i sessi ha un carattere di violenza.
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Lombroso riteneva che “la donna è normalmente monogama e
organicamente frigida”.
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Moebius (psichiatra positivista del ‘900) scriveva che “il
cervello femminile è inferiore, per permettere alla donna di
essere madre”.
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Ancora alle soglie del NOVECENTO la prospettiva sociale e culturale
dominante sostiene la legittimità dell’esercizio della
violenza maschile sulle donne.
Alcuni esempi:
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in Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di un delitto perpetrato al fine di
salvaguardare l'onore (ad esempio l'uccisione della coniuge adultera o dell'amante di
questa o di entrambi) era sanzionata con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di
diverso movente: si riconosceva che l'offesa all'onore arrecata da una condotta
"disonorevole" valeva di gravissima provocazione, e la riparazione dell'onore non causava
riprovazione sociale.
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contemporaneamente alla promulgazione del Codice Rocco, che riprendeva concetti già
presenti nel Codice Zanardelli, vigeva l'istituto del "matrimonio riparatore", che
prevedeva l'estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo stupratore di una
minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l'onore della famiglia.
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In Italia dall’800 fino al 1950 le ragazze minorenni stuprate vengono chiuse in
riformatorio.
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Nel XX SECOLO si assiste alla PROGRESSIVA EROSIONE
DELLA STRUTTURA SOCIALE PATRIARCATO, su cui si
innesta una RIVOLUZIONE delle configurazioni delle
dinamiche tradizionali.
Questa “Rivoluzione della famiglia” ha portato la donna ad
avventurarsi fuori dal luogo della protezione, le mura
domestiche, per scoprire, inserirsi e cominciare a far sentire
la propria voce nei vari settori della società.
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La violenza coniugale è venuta affievolendosi soprattutto per opera
delle arti dei LEGISLATORI e dei MOVIMENTI FEMMINISTI.
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le lotte per il diritto al voto, i movimento femministi, il divorzio (1974), la legge
sull'aborto, tutta una letteratura sulle questioni della donna, della sua sessualità, della
scoperta del corpo (vedi scrittrici come L. Iragaray , C. Lonzi);
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il nuovo diritto di famiglia in Italia, fondato sulla logica dell’uguaglianza formale tra i
generi, dei diritti dell’infanzia e del riconoscimento dell’emancipazione femminile, è datato
soltanto 1975;
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le disposizioni sul delitto d'onore sono state abrogate con la legge n. 442 del 5 agosto1981;
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La legge 66 del 1996 sulla violenza sessuale contro le donne modifica in modo
fondamentale il modo di rappresentare lo stupro, che da reato contro la moralità
pubblica e il buon costume diventa un delitto contro la persona.
Questa legge è una conseguenza dei cambiamenti culturali che coinvolgono l’immagine
della donna, ma anche delle ricerche compiute sui soggetti che hanno subito uno stupro.
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Origini storiche della violenza contro le donne