Il Vesuvio è l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale. La sua altezza varia a seconda delle fasi di distruzione e costruzione, ma risulta comunque superiore ai 1.200 metri e sorge all’interno di una caldera di circa quattro chilometri di diametro. La caldera rappresenta ciò che resta della grande eruzione del 79 d.C. (dopo Cristo): una delle più grandi e spettacolari eruzioni del vulcano e una delle prime a essere documentate. Il resoconto fu realizzato da Plinio il Vecchio in primis e da suo nipote Plinio il Giovane attraverso una serie di lettere indirizzate a Tacito. Plinio il Vecchio descrisse così bene il fenomeno che ancora oggi il termine pliniano viene utilizzato nella vulcanologia. L'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Il Vesuvio si risvegliò alle nove del mattino del 24 agosto, tuttavia l’eruzione vera e propria iniziò soltanto verso l’una del pomeriggio. All’interno del vulcano si aprì un condotto causato da una serie di esplosioni dovute alla repentina trasformazione in gas dell’acqua venuta a contatto con il magma in risalita. In seguito una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti piroclastici si sollevò per circa 15/20 km al di sopra del vulcano e creò una nube caratteristica che oscurò il sole. Plinio la descrisse da Miseno, a una distanza di 21 km dal vulcano, e poté osservare la colonna eruttiva in tutto il suo sviluppo. La rappresentò accennando alla forma di un pino, con il fumo che si dissolveva sul suo stesso peso. Lo scrittore annotò che la colonna a volte era bianchissima, talora invece era sporca e macchiata, a seconda che avesse sollevato con sé terra o cenere. Dalla colonna pliniana caddero pomici in direzione di Pompei, dove nel giro di poco tempo si accumularono formando uno strato alto circa 4 metri che seppellì interamente la città. Ora, mentre cadevano le pomici, qualcuno lasciò in fretta e furia la città, altri, del tutto inconsapevoli di ciò che stava accadendo, si nascosero nelle cantine e nei locali più riparati. Morirono inconsapevoli, nella penombra creata dalla nube che aveva oscurato il sole nelle ore successive soffocati dal calore e dai gas tossici quando il primo grosso flusso raggiunse la città. Su Ercolano, invece, la situazione fu del tutto diversa: sino alle otto del mattino seguente piovve soltanto una sottile cenere e sebbene ci furono frequenti scosse di terremoto la città fu risparmiata per molte ore dal disastro. Ora, gli abitanti del posto avrebbero avuto tutto il tempo di salvarsi se soltanto avessero immaginato cosa sarebbe accaduto nella ore seguenti, invece, nella notte, anziché allontanarsi dalla zona, approfittando di una pausa apparenta dell’attività eruttiva, molte persone fecero ritorno alle loro case che erano state lasciate incustodite. E questo gli costò molto caro. Dopo le otto del mattino del 25 agosto, infatti, l’attività vulcanica riprese con la formazione della colonna pulsante, dove si alternavano emissione di cenere, flussi e surge piroclastiche. Sia i flussi piroclastici sia i surge si sviluppano quando il flusso di magma, arrivando al cratere, aumenta fino a diventare troppo abbondante per formare una colonna eruttiva capace di innalzarsi sopra il vulcano. Il collasso di una colonna densa e pesante, che può interessare anche solo le sue zone più esterne, convoglia la miscela di gas e frammenti di magma solidificato e di rocce verso il basso. Si formano in questo modo flussi di materiale vulcanico che scorrono al suolo e scendono veloci lungo i fianchi del vulcano. Il passaggio sopra la città di questo flusso fu disastroso. Spesse mura e intere pareti perpendicolari al suo percorso furono rovesciati di netto, così come furono travolti i tetti e gli ultimi solai che ancora reggevano. Il materiale vulcanico turbinava con una velocità prossima ai 100 km orari, trascinando una gran quantità di pietrisco, intonaco, travi e tegole degli edifici che distruggeva. La sua furia irruppe dall'alto su quanti ancora resistevano al riparo dei rifugi più isolati. E dopo questo flusso, tutta l'area intorno a Vesuvio divenne simile a un deserto grigio. Ma non è finita. Le onde di maremoto provocate dal materiale magmatico finito in mare travolgono i pochi superstiti scesi sulle spiagge in cerca di salvezza. Ma le barche ancorate nel porto sono in fiamme e l’acqua del mare ribolle. È l’ultima fase della catastrofe. I flussi terminano intorno alle 10,30 del 25 agosto e l'acqua delle falde sotterranee si riversò sulle rocce riscaldate dal magma, provocando una successione di violente esplosioni che scuoteranno il vulcano ancora per qualche tempo. Al calar della sera del secondo giorno, l'attività eruttiva iniziò a calare rapidamente fino a cessare del tutto. L'eruzione era durata poco più di 25 ore, durante le quali il vulcano aveva espulso quasi un miliardo di metri cubi di materiale. Le conseguenze I morti in totale furono oltre duemila e il Vesuvio fu stato sottoposto a un cambiamento radicale. La sua cima non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica, dalla cima della quale ascendeva un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, sfondò letteralmente il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza. La bambina di Pompei di Primo Levi Poiché l'angoscia di ciascuno è la nostra Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna Che ti sei stretta convulsamente a tua madre Quasi volessi ripenetrare in lei Quando al meriggio il cielo si è fatto nero. Invano, perché l'aria volta in veleno È filtrata a cercarti per le finestre serrate Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti Lieta già del tuo canto e del tuo timido riso. Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata A incarcerare per sempre codeste membra gentili. Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso, Agonia senza fine, terribile testimonianza Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme. Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella, Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani: La sua cenere muta è stata dispersa dal vento, La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito. Nulla rimane della scolara di Hiroshima, Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli, Vittima sacrificata sull'altare della paura. Potenti della terra padroni di nuovi veleni, Tristi custodi segreti del tuono definitivo, Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo. Prima di premere il dito, fermatevi e considerate. 20 novembre 1978 Il rosso pompeiano Secondo una ricerca realizzata con il Suor Orsola Benincasa le ville di Pompei ed Ercolano erano all'origine color ocra modificato dai gas ad alta temperatura emessi dal vulcano IIl famoso 'rosso pompeiano'? In realtà era un giallo, modificato dai gas dell'eruzione vesuviana. Gran parte del colore che caratterizza le pareti delle ville di Ercolano e di Pompei in origine era un giallo ocra. A dirlo è una ricerca condotta da Sergio Omarini dell'Istituto nazionale di Ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ino-Cnr) di Firenze. "Grazie ad alcune indagini abbiamo potuto accertare che il colore simbolo dei siti archeologici campani, in realtà, è frutto dell'azione del gas ad alta temperatura la cui fuoriuscita precedette l'eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 dopo Cristo" spiega Omarini. I principali resti di Pompei sono: Il Foro: centro commerciale, religioso e politico di Pompei si trova all'incrocio fra le due vie principali della città. Nonostante costituisca una delle parti di Pompei più rovinate, è comunque maestoso. Il Foro era dominato dal Tempio di Giove e si possono ancora vedere i resti della grande scalinata e alcune colonne. La Casa del Fauno la piccola statua di bronzo del Fauno danzante vi dà il benvenuto in quella che era la casa più grande di Pompei. Con le sue 40 camere copre un intero isolato. Qui potrete ammirare pavimenti con mosaici e bellissimi cortili. La Casa del Vetti: si tratta della casa meglio conservata di Pompei. La Casa del Vetti, che ha conservato quasi intatti i suoi mosaici e affreschi, fu abitata dalle famiglie di due fratelli che erano ricchi mercanti. Teatro e piccolo teatro: in origine un teatro greco, questo era il luogo dove le tragedie e altri spettacoli venivano rappresentati. Si possono vedere le stanze dei gladiatori, il cortile porticato che si trova dietro il teatro. Nelle immediate vicinanze, il piccolo teatro è uno spazio più intimo, forse destinato a spettacoli musicali e declamazioni poetiche Più piccola, meno in rovina e meno affollata della sua famosa sorella maggiore, Ercolano offre uno sguardo più intimo della vita romana, ma manca la grandiosità di Pompei. Mentre Pompei è stata inizialmente avvolta in cenere e pomice, Ercolano fu sepolta sotto quasi 60 metri di fango bollente che si solidificò in tufo, preservando perfettamente la città fino a quando gli scavi cominciarono nel 1738. La Sede degli Augustali, decorata con affreschi di Ercole (da cui proviene il nome di questa città), era un luogo dove gli schiavi che avevano conquistato la libertà si preparavano a entrare nella società romana. La Casa di Nettuno e Anfitrite ha mosaici colorati e con una cornice fatta di conchiglie, mentre la Casa dei Cervi è così chiamata per le statue di cervi attaccati dai cani che sono presenti nel suo giardino. I bagni illustrano la devastazione della città: alla fine delle scale, notate il punto in cui il pavimento è crollato sotto il peso della lava. La villa di Poppea La cosiddetta Villa di Poppea non si trova a Pompei ma ad Oplontis, l’odierna Torre Annunziata. Come Pompei ed Ercolano venne sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79. Gli scavi condotti tra il 1964 e il 1984 hanno riportato alla luce questa dimora che, per gli archeologi, era la residenza estiva di Poppea Sabina, seconda moglie dell’imperatore Nerone. Secondo gli studiosi, all’epoca dell’eruzione la villa era disabitata forse perché in fase di ristrutturazione in seguito ai danni riportati da uno degli innumerevoli terremoti che devastavano la zona, in particolare quello del 62 d. C. La villa venne costruita intorno alla metà del I secolo a.C. Dotata di ambienti con portici, numerose stanze e un quartiere termale è circondata da ampi giardini. E c’è anche una sala adibita alla produzione di vino. In molte stanze sono state rinvenute decorazioni pittoriche con finte porte e colonne che, insieme agli elementi architettonici reali, creano dei giochi prospettici. Numerosi gli affreschi che rappresentano animali tra cui pavoni, maschere e nature morte. Se la zona orientale è quasi interamente scavata, quella occidentale non è ancora tornata alla luce perché si trova subito sotto la città moderna. Presentazione di Storia dell’Arte dell’alunna Sofia Mastrogiuseppe Classe I F Scuola secondaria di primo grado Istituto Comprensivo Via Boccea 590 ROMA Professoressa Simonetta Serra Si ringraziano Mamma e Papà