Ercolano è una piccola città costiera della Campania, a metà strada sulla via litoranea che collega Napoli a Pompei. Un tempo chiamata Heracleia, è una antica città nelle vicinanze di Napoli, sorta inizialmente come stazione di transito. La città fu costruita alle falde del Vesuvio a strapiombo sul mare. Sulle sue origini sono state avanzate varie ipotesi ma tutte sembrano propendere per una mitica fondazione nel 1243 a.C., come riporta lo storico Dionigi di Alicarnasso, da parte del semidio Ercole. Costui l'avrebbe fondata, come aveva fondato Roma, mentre, costeggiando le coste della Campania, riportava in patria le mandrie del Sole prese al gigante Gerione nell'isola di Erizia, in Spagna. Di sicuro i primi insediamenti umani di cui si hanno notizie, risalgono al periodo in cui gli osci si stabilirono in questa zona, edificando un centro abitato su un promontorio fornito di un piccolo approdo per le barche. Nell'età dell'imperatore Augusto Ercolano fu caratterizzata da un profondo rinnovamento edilizio, furono infatti costruiti e restaurati molti edifici pubblici fra i quali si ricordano il Teatro, la Basilica, l'acquedotto, la rete delle fontane pubbliche e dei castella aquarum, i templi dell'Area sacra, le Terme Suburbane, le Terme Centrali, la Palestra. Il rovinoso terremoto del 62 d.C. rese pericolanti molti edifici e Vespasiano finanziò il restauro della cosiddetta Basilica e del Tempio, ma molti altri restauri sono documentati archeologicamente. Al pari di Pompei e di Stabiae, Ercolano dovette rientrare nell'orbita della confederazione nucerina. Ribellatasi a Roma durante la Guerra Sociale, viene conquistata nell'89 a.C. dal legato di L. Cornelius Silla, Titus Didius. Le dimensioni della città erano piuttosto modeste. È stato ipotizzato che la superficie complessiva racchiusa dalle mura fosse di circa 20 ettari, per una popolazione di circa 4000 abitanti. Oggi sono visibili a cielo aperto solo 4,5 ettari, mentre alcuni importanti edifici pubblici sono ancora inaccessibili o si trovano all'esterno del parco archeologico. Il 25 agosto del 79 d.C. la città fu completamente distrutta e sepolta da una eruzione del Vesuvio, insieme alle città di Pompei, Stabiae, Oplonti, Taurania, Tora, Sora, Cossa e Leucopetra. In quella orrenda occasione, poiché i venti stratosferici spiravano verso Stabiae, la vicina città di Neapolis fu risparmiata. La città di Ercolano fu sepolta da un flusso piroclastico che raggiunse una velocità di 100-130 km/h e temperature intorno ai 100° C che portò con sé frammenti di roccia e pomice liquefatti. Quando l'intera massa raffreddò questo flusso assunse un aspetto simile a fango che confuse in un primo momento gli addetti agli scavi, convinti che si trattasse di fango lavico. Il materiale fluido, che si depositò con una violenza inaudita, frantumando ogni cosa, penetrò però lentamente all'interno delle case coprendo, senza modificarne la posizione, i mobili e gli oggetti che vi si trovavano. E' questa una delle ragioni per cui ad Ercolano sono stati rinvenuti così tanti reperti ben conservati. La temperatura alta di questa massa ardente determinò un fenomeno di conservazione assolutamente originale e privo di confronti a Pompei, restituendoci reperti organici (vegetali, stoffe, arredi e parti di edifici in legno), carbonizzò abiti, fogli di papiro e legno senza distruggerli, cosicché ancora oggi si possono osservare travi, mobili, scale, e tralicci e trarre un'idea delle usanze del tempo. La maggior parte delle persone (erano presenti circa 4000 cittadini) riuscì a scappare via e gli unici abitanti ritrovati all'interno della città sembrano essere persone che in qualche modo erano impedite, come ad esempio il fanciullo ammalato ritrovato nel suo letto nella bottega del tagliatore. Furono conservati anche i piani superiori degli edifici e con essi un'idea precisa dei volumi e delle tecniche di costruzione, permettendo di ricostruire la storia della casa romana attraverso quasi tre secoli, dal II secolo a.C. fino all'eruzione del 79. Salta agli occhi la regolarità dell'impianto urbano con i decumani che corrono parallelamente al litorale ed i cardini, perpendicolari ad essi, che definiscono lotti abitativi chiamati Insulae. Le rovine di Ercolano furono scoperte per caso durante la perforazione di un pozzo nel 1709. I primi scavi ufficiali, promossi dai Borbone, cominciarono nel 1738 con il sistema dei cunicoli. A differenza di Pompei, infatti, le rovine di Ercolano si trovano sommerse da un banco tufaceo durissimo alto anche 8-10 metri. A ciò si deve aggiungere un’altra difficoltà: gran parte della città antica è oggi coperta da quella nuova. Gli scavi di Ercolano, dopo l'esplorazione per cunicoli nell'area del teatro (1710-11), iniziarono ufficialmente nel 1738 e proseguirono con la tecnica dei cunicoli sotterranei e dei pozzi di discesa e di areazione fino al 1828, quando furono autorizzati gli scavi "a cielo aperto", eseguiti fino al 1875. Dopo una lunghissima interruzione, i lavori furono ripresi nel 1927 da Amedeo Maiuri, che li condusse fino al 1958, ma già nel 1942 quasi tutta l'area che costituisce l'attuale parco archeologico era stata riportata alla luce e contestualmente restaurata e coperta. Fra il 1960 e il 1969 ulteriori lavori sono stati condotti nel settore settentrionale dell'Insula VI e lungo il decumano massimo, mentre negli ultimi venti anni è stata esplorata l'antica spiaggia, coincidente con la fascia più meridionale dell'area archeologica. In questa zona sono stati riportati alla luce dodici ambienti con ingresso ad arco, ricoveri per barche e magazzini, ove avevano cercato riparo molti abitanti di Ercolano in fuga dall'eruzione (i Fornici). Da questa stessa area proviene la barca di legno, attualmente sistemata in un padiglione adiacente al moderno edificio che ospita gli Uffici della Soprintendenza e l'Antiquarium. Nel 1991 un programma ambizioso di scavo propone il recupero integrale della Villa dei Papiri, scoperta casualmente nel 1750 da Carlo Weber, tra grandi difficoltà, dal momento che la residenza si sviluppa al di sotto di terreni non espropriati. Nel settore più orientale del cantiere sono riapparsi un edificio di notevoli dimensioni e l'estremità sud - occidentale della città, un tessuto di abitazioni e un complesso termale con un grande ninfeo absidato. Al fascino di centro mercantile fiorente di Pompei, Ercolano aggiunge le suggestioni più intime e familiari della città residenziale e signorile, a ridosso della capitale dell'impero. Incommensurabile scrigno di arte e di storia, gli scavi di Ercolano ci restituiscono un'antica e splendida città fondata dai greci sulle rive del mare, caduta successivamente sotto la dominazione sannita trasformata, infine, in municipio romano con il nome di Herculaneum. La città giunta sino a noi è comunque quella "congelata" dall'eruzione del 79 d.C. che, seppellendola sotto una spessa coltre di fango e materiali piroclastici, ha consentito la conservazione, di strutture lignee e piccoli oggetti, meglio di quanto non sia avvenuto a Pompei. L'accesso agli scavi avviene attualmente mediante un viale che, nella parte finale, costeggia l'antica marina. Qui è stato recentemente svelato il mistero della scomparsa degli antichi ercolanesi i cui corpi non erano stati ritrovati, se non in minima parte, nelle loro abitazioni. Essi si erano rifugiati nei fornici lungo la marina dove, nell'inutile attesa di una salvezza dal mare, furono investiti dal fango riversatosi in immani colate provenienti dalle pendici del retrostante vulcano. Il nuovo ingresso, in fase di realizzazione, consentirà l'accesso proprio dall'antica marina e dai fornici con gli scheletri di fuggiaschi, da dove, costeggiando le Terme Suburbane e l'Area Sacra, si risalirà all'estremità del V cardine inferiore. Quest'ultimo era parte di un impianto urbano a schema ortogonale, con le strade parallele alla linea di costa dette decumani, e quelle perpendicolari alle prime dette cardini (cardines). Cardini e decumani dividevano il territorio della città in isolati (insulae) di grandezza pressoché uguale. Ercolano che, a differenza della vicina Pompei, fu soprattutto amena località di vacanza e soggiorno, si presenta con una vasta gamma di edifici privati di notevole interesse storico, sociale e architettonico. A solo titolo di esempio si citano: la casa Sannitica che esemplifica la casa italica preromana; la casa di Nettuno e Anfitrite con annessa bottega (una tra le botteghe antiche meglio conservate); la casa del Bicentenario (attualmente chiusa al pubblico) dove sono stati rinvenuti un'impronta di croce e i resti di un mobile ligneo a forma di inginocchiatoio; la casa a Graticcio, destinata all'affitto, il cui nome deriva dalla tecnica costruttiva a basso costo adottata: l'opus craticium (le pareti divisorie erano realizzate con telai di legno riempiti da materiali leggeri cementati con malta). Solo sette insulae (gruppi di case delimitate da strade che si incrociano ad angolo retto) sono attualmente aperte al pubblico. Tuttavia, l’enorme strato di lava vulcanica ha fatto sì che gli edifici di Ercolano siano giunti in un migliore stato di conservazione rispetto a quelli di Pompei. Materiali organici, come legno, stoffe e cibo, si sono miracolosamente conservati e molti piani superiori delle abitazioni ci sono pervenuti intatti. Tra gli edifici pubblici portati alla luce in buono stato di conservazione sono la palestra, il cui accesso è delimitato da un vestibolo con volta decorata, due complessi termali, uno dei quali di grandi dimensioni e ricco di affreschi, il Collegio degli Augustali e il teatro, in gran parte interrato e visitabile solo attraverso i cunicoli. Le abitazioni sono caratterizzate da ampi spazi e da accurate decorazioni (in particolare la Casa del Bicentenario e la Casa dei Cervi). Numerose sculture, mosaici e oggetti d’uso quotidiano, come i recipienti di vino, si sono conservati pressoché intatti. La monumentale Villa dei Papiri, situata appena fuori città, è ancora in fase di scavo e di studio: scoperta con il sistema dei cunicoli, occupa una vasta superficie, ma a cielo aperto ne è visibile solo una piccola parte. L’antico Teatro, saccheggiato dai primi scopritori del Settecento, è ancor oggi sepolto sotto uno spesso banco di tufo ed è possibile osservarne alcune strutture solo addentrandosi per scale e cunicoli. “Ad Ercolano l’acqua impastò e rimescolò tutto quel gran rigurgito delle fauci del vulcano, materiali pesanti e leggieri, e ne fece un infernale coagulo, un fiume di belletta viscida che scese, precipitò e ristagnò fra le case e mutò tutta la marina all’ingiro prima in una palude fangosa e poi in un immane banco, in un più vasto e alto promontorio solidificato”. Le due lettere di Plinio il Giovane, inviate allo storico Tacito, forniscono la descrizione degli eventi succedutisi durante l’eruzione del Vesuvio nell’agosto del 79 d.C. L’analisi parallela del testo di Plinio, dei dati archeologici e di quelli vulcanologici ha consentito di ricostruire la dinamica dell’eruzione a Ercolano. La città, ubicata a ovest del Vesuvio, non sembra essere stata investita, se non in minima parte, dalla prima fase dell’eruzione, consistente in quella pioggia di ceneri e pomici che colpì violentemente Pompei e l’asse verso Stabia a partire dalle ore 13.00 circa del 24 agosto. Gli Ercolanesi, sebbene preavvisati dalle scosse telluriche e pur avendo avuto modo di vedere la colonna di gas e di materiale piroclastico che si elevò sul Vesuvio fino a raggiungere un’altezza di circa 30 chilometri – l’enorme nube a forma di pino descritta da Plinio – si attardarono in città, indecisi sul da farsi; la fuga ebbe inizio probabilmente nel tardo pomeriggio, quando la nube raggiunse un’altezza tale da aver oscurato il sole. Intorno all’una di notte del 25 agosto il brusco collasso della colonna che si era alzata sul vulcano generò il primo surge mortale – una nube ardente di gas e cenere fine della temperatura di 400° circa – che raggiunse Ercolano in pochi minuti, rotolando lungo i fianchi del Vesuvio. I pochi abitanti rimasti in città, forse impossibilitati a fuggire, trovarono immediatamente la morte: per ora gli scavi hanno restituito solo trentadue corpi di vittime nell’area urbana – tra cui un neonato in culla – segno che la maggior parte dei cinquemila abitanti aveva abbandonato la città. Pochi secondi dopo il surge raggiunse l’area della spiaggia, dove morirono all’istante per ebollizione e shock termico i circa trecento fuggiaschi che si erano lì rifugiati in attesa che il mare si calmasse per tentare la fuga. Il primo surge, a cui seguì un flusso piroclastico, lasciò un deposito di circa 50 centimetri in città e di 150 nell’area della marina. Verso le due di notte un secondo surge, di temperatura inferiore ma di più elevata velocità, investì Ercolano, danneggiando gli edifici e trascinando con sé molti materiali da costruzione: ma ormai ogni tipo di vita era già stato soppresso. Altri quattro surge e flussi proseguirono fino all’alba seppellendo Ercolano sotto 23 metri di materiale vulcanico. La particolare dinamica di seppellimento della città, differente rispetto a quella che toccò a Pompei, spiega come mai a Ercolano si siano conservati eccezionalmente reperti organici, quali legni, elementi vegetali e perfino fibre tessili, oltre alle parti più elevate degli edifici. Nella mattinata del 24 agosto del 79 d.C. esplose, dopo un lungo periodo di stasi, il tappo del cratere del Vesuvio, il vulcano che incombe sulla città. L'eruzione è descritta con vive parole da un testimone diretto dell'evento, Plinio il Giovane, che risiedeva allora a Miseno presso lo zio (il celebre naturalista Plinio il Vecchio, comandante della flotta militare, che morì proprio portando i soccorsi, sulla spiaggia di Stabia) allo storico Tacito. Poiché i venti stratosferici spiravano verso Sud, troviamo su Ercolano, a differenza che a Pompei, solo un sottilissimo strato di pomici di caduta. Invece la prima nube ardente, alta forse circa 30 m, piena di vapore, investì Ercolano, con una temperatura di oltre 400° e una velocità di circa 70/80 km orari (10/20 m al secondo) la sera dello stesso giorno, se non prima, provocando la morte degli sventurati fuggiaschi sulla spiaggia. Durante la notte e all'alba del 25 agosto "notte più nera di ogni nera notte" successivi flussi piroclastici, alternati a nubi ardenti, per un totale di almeno dodici ondate seppellirono la città con un interro spesso tra i 9 e i 21 m. In molti punti le ceneri hanno subito, per la presenza di acqua, un processo di litificazione, trasformandosi in tufo, ciò che rende in alcuni casi lo scavo di Ercolano più simile ad una cava che ad un'esplorazione archeologica. Questa circostanza e la profondità dell'interro hanno pero consentito, in molti casi, la migliore conservazione degli elevati degli edifici rispetto a quelli, rimasti fuori terra, di Pompei, e la preservazione del legno e degli altri materiali organici, il che rende la visita di Ercolano, nonostante la porzione più limitata scavata, istruttiva e affascinante. I fenomeni terminarono quasi completamente lo stesso 25 agosto, ma la vita poté riprendere, nel territorio ercolanese, ormai incorporato in quello della vicina Napoli, solo nel II secolo d.C., come testimoniano i ritrovamenti archeologici. L’eruzione che seppellì le città vesuviane, tra il 24 e il 25 agosto del 79 d. C., fu caratterizzata da due fasi principali: la prima, costituita da una fitta pioggia di pomici, interessò una vasta area a sud-est del vulcano, lungo la direttrice Pompei-Stabia, ricoprendola con uno strato di lapilli alto fino a 3 metri. La seconda consistette in una serie di nubi di ceneri, derivate da collassi della colonna eruttiva, che a forte velocità (oltre 100 chilometri orari) ed elevata temperatura (300-400 gradi centigradi) investirono principalmente le aree sud, ovest ed est del Vesuvio, soprattutto la zona di Ercolano. La prima fase ebbe inizio nella tarda mattinata del 24 agosto. Possiamo immaginare lo sgomento degli abitanti, mentre erano intenti alle normali attività quotidiane, di fronte ad un fenomeno di così grandi dimensioni che oscurava il sole, accompagnato da fragori e scosse sismiche. A Pompei, in particolare, i lapilli si accumularono rapidamente nelle strade, negli spazi aperti, sui tetti degli edifici, mentre gli abitanti si rifugiavano sotto tettoie, nelle case e negli edifici pubblici. Quattro - cinque ore dopo, il peso dell’accumulo dei lapilli cominciò a far crollare i tetti dei fabbricati mentre, probabilmente, si intensificò la fuga degli abitanti. Quelli che indugiarono restarono, verosimilmente, intrappolati a causa degli accumuli di pomici che ostruivano porte e finestre e poterono tentare la fuga solo uscendo dai piani superiori. Durante la notte iniziò la seconda fase dell’eruzione che investì, con diverse ondate di ceneri, prima gli altri siti vesuviani, mentre a Pompei continuava la pioggia di lapilli. Dopo una breve fase di riposo, nella prima mattina del 25 agosto si riversò anche su Pompei la valanga di ceneri, travolgendo quanti cercavano di fuggire, abbattendo le parti alte degli edifici, soffocando quelli che erano rimasti nelle case, tutto ricoprendo per uno spessore di circa 2 metri. Ercolano fu interessata soprattutto dalla seconda fase dell’eruzione, restando sepolta sotto una coltre di materiali vulcanici sopra i 16 metri. Durante la prima fase, che non colpì direttamente la città, gli abitanti ebbero modo di fuggire. Molti però, come documentano i circa 300 scheletri trovati nei fornici presso l’antica marina, avevano intenzione di allontanarsi via mare, ma ne furono impediti dalle sue cattive condizioni e trovarono una morte istantanea, soffocati e bruciati dalla caldissima nube di cenere. La visita inizia imboccato il lungo viale di accesso che offre uno splendido panorama dall’alto dell’antica città. Agli scavi veri e propri si accede attraverso un ponte che sovrasta un alto burrone laddove una volta c’era la spiaggia: a questo punto comincia la visita per le vie le case e le botteghe di Ercolano. La Casa dell'Albergo. E’ una delle case più vaste finora esplorate. Essa si sviluppa sulla terrazza che dominava il mare. Dall'atrio si accede direttamente alle piccole terme, l'unica zona della casa ora coperta. Intorno alla terrazza vi sono stanze da letto e grandi sale di ricevimento che comunicavano con il livello inferiore attraverso una scala. La Casa di Aristide e la Casa di Argo, a due piani, con un giardino circondato da un portico a colonne. La Casa del Genio con il giardino che costeggia la Via Mare. La casa è scavata in piccola parte, si possono infatti vedere i cunicoli scavati nella roccia e ammirare l'ingresso e il peristilio con piscina. Thermopolium luogo di ristoro in cui si servivano bevande e cibi caldi. Esso era frequentato soprattutto a mezzogiorno quando era consuetudine pranzare fuori casa. La struttura è molto semplice: un locale aperto sulla strada con bancone in muratura decorato di lastre marmoree o in terracotta in cui sono incassati i dolia (giare) usate per contenere la merce. La Casa dello Scheletro così chiamata perché al suo interno, al piano superiore, fu scoperto uno scheletro. La casa non è molto estesa ma conserva mosaici ancora ben mantenuti. Dall’atrio, a sinistra si entra in un grande triclinio pavimentato a mosaico che prospettava su di un ninfeo con vasca marmorea e muro di fondo incrostato di schiuma di lava e conchiglie; invece, attraverso un corridoio, si raggiunge un grande salone aperto su un cortile che presenta un larario a mosaico e conchiglie, tra pitture di giardino. Terme Maschili che conservano tuttora ancora parte della tettoia che le ricopriva. Un corridoio conduce allo spogliatoio dove c’erano le nicchie per deporre gli indumenti; da qui ad ovest si accede al frigidarium (sala per il bagno freddo), con pareti rosse e quattro nicchie dipinte di giallo sotto la cupola azzurra; a est sono invece il tepidarium (sala tiepida), con mosaico bianconero raffigurante un Tritone (divinità marina) fra delfini, polpo, calamaro e un amorino con frusta, e il caldarium (sala calda) absidato. Casa dei Due Atri. La facciata presenta sulla porta una maschera di Gorgone in terracotta, posta lì contro il malocchio. La casa ha il piano superiore esteso per tutta la casa e prende luce da due atrî: uno, di fronte l'ingresso, l'altro, più interno che fungeva anche da giardino. Sulla facciata una delle piccole finestre conserva ancora l'inferriata originale. Sede degli Augustali. È un edificio a pianta quadrangolare, con pareti articolate da archi ciechi e quattro colonne centrali. Al suo interno si possono ammirare bellissimi affreschi: sulla parete sinistra è raffigurato l'ingresso di Ercole nell'Olimpo accompagnato da Giove, Giunone, Minerva; su quella destra si allude invece alla lotta di Ercole con Achelao. In fondo, a destra del sacello, c’è la stanza del custode di cui fu rinvenuto lo scheletro ancora disteso sul letto. Un'iscrizione, ora apposta alla parete, ricorda che l'edificio, dedicato ad Augusto, fu costruito dai fratelli che il giorno dell'inaugurazione offrirono un pranzo ai membri del senato municipale e agli Augustali. Sacello degli Augustali, piccolo tempietto rettangolare affacciato sul decumano massimo, la strada principale dove si svolgeva il mercato. Casa del Colonnato Tuscanico, il cui nucleo originario fu ristrutturato in età augustea (27 a.C. - 14 d.C.) Casa del Salone Nero, con il suo bel cortile racchiuso da un colonnato. Un archivio di 20 tavolette cerate, rinvenute in una stanza, informa del ricco liberto, L. Venidius Ennychus, che abitava la casa o la gestiva per conto del proprietario. L'ingresso conserva stipiti, architrave e parte del portone in legno carbonizzato. Bottega del Plumbarius. Questa bottega, apparteneva a un fabbro o 'saldatore' (plumbariu). Qui furono rinvenuti lingotti di piombo, pezzi di tubazioni, un candelabro bronzeo, una statuetta di Bacco con decorazioni d'oro, d'argento e di rame in corso di riparazione. Da notare anche il soppalco di legno ancora in parte conservato. Casa del Bel Cortile. La pianta dell'edificio è piuttosto anomala: l'atrio è sostituito da un cortile interno mosaicato che funge da disimpegno per le stanze che su di esso si affacciano e in cui s'imposta una scala con ballatoio dipinto a motivi ornamentali che conduce al piano superiore. In una delle stanze sono conservati gli scheletri di tre persone carbonizzate. Casa di Nettuno e Anfitrite. Questa abitazione è ricca di decorazioni. Il nome della dimora deriva dal mosaico parietale in pasta vitrea raffigurante Nettuno e Anfitrite, che decora la parete orientale dell'ambiente, mentre il lato Nord è occupato da un ninfeo anch'esso rivestito da un mosaico in pasta vitrea con conchiglie e schiuma di lava e sormontato da maschere teatrali in marmo. Sopra la zona delle nicchie è sistemato il serbatoio, che alimentava la fontana. Nell’edicola dell'atrio furono scoperte due lastre frammentarie in marmo dipinte a tratto rosso, una delle quali recante la firma in greco dell'artista: "Alessandro Ateniese dipinse". Terme Femminili. Hanno mantenuto le strutture originarie e le pavimentazioni ancora calpestabili. Oltrepassata una sala d'attesa con sedili in muratura disposti lungo le pareti, si entra nello spogliatoio dove si trova la 'bella copia' del mosaico con Tritone presente nel reparto maschile. Seguono il tepidarium e il caldarium. Alle spalle di questi ambienti sono la fornace per il riscaldamento e il pozzo dove si attingeva l’acqua Il complesso termale è collegato alla palestra, un cortile scoperto circondato da portici, con colonne in laterizio rivestite di stucco. Casa Sannitica. Questa abitazione fu costruita nel II sec. a.C. L'aspetto attuale è il frutto di modifiche compiute nel corso del tempo. Casa del Tramezzo di Legno. Il nome deriva dal tramezzo di legno, una sorta di porta pieghevole che scherma l'atrio verso il tablino conservandone l'intimità. Il tramezzo ha battenti sagomati forniti di anelli e di sostegni per appendere le lucerne. Bottega del Lanarius. Si tratta della bottega di un pannivendolo (lanarius), all'interno della quale si può osservare l'unico esempio conservato di pressa a vite in legno utilizzato per stirare i vestiti. Una scala conduceva al piccolo alloggio dell'artigiano, costituito da due stanze. Casa a Graticcio. È una casa d'affitto con piano superiore destinato a uso plurifamiliare. Fu costruita quasi interamente in opus craticium, tecnica a basso costo ritenuta poco solida e facile preda delle fiamme. Da questa dimora provengono i cospicui resti in legno carbonizzato di letti, armadi e di un ritratto. Casa dell'Erma di Bronzo. Abitazione di piccole dimensioni in cui è esposto il ritratto su un pilastro in bronzo del padrone della dimora. Casa dell'Alcova. La dimora si apre sulla strada con duplice accesso perchè è il risultato dell'aggregazione di due antiche case indipendenti. In una stanza è presente il quadro con Arianna abbandonata, l'unico sfuggito ai primi scavatori borbonici. Casa dell'Atrio a Mosaico. È una dimora signorile ed elegante costruita in posizione panoramica.Il nome deriva dal mosaico geometrico bianconero che presenta un motivo a scacchiera nell'atrio. Il giardino, con fontana rivestita in marmo, è circondato su tre lati da un portico e da una veranda con finestre sul lato Nord: essa ha il pavimento in opus sectile e alle pareti quadri. Sacello di Venere. Il piccolo tempio, completamente restaurato dopo il sisma del 62 d.C. è dedicato a Venere. Area Sacra. Qui si dispongono vari ambienti e due templi affiancati dedicati rispettivamente a Venere e a quattro divinità. Sacello dei Quattro Dei. Il tempio è dedicato a quattro divinità Minerva, Nettuno, Mercurio e Vulcano. E’ stato restaurato dopo il sisma del 62 d.C..Di recente è stata recuperata parte della struttura lignea del tetto, trascinata sulla spiaggia sottostante dalla violenza dell'eruzione. Casa del Gran Portale. Il nome deriva dal portale a semicolonne realizzato dopo il terremoto del 62 d.C. Dell'abitazione sono da notare gli affreschi, il cortile a sinistra dell'ingresso che creava l'illusione di uno spazio verde mediante le pitture di giardino che ornavano le pareti; il triclinio, con il pannello raffigurante Sileno seduto tra due satiri che osserva Arianna e Dioniso. Taverna Vasaria. Qui furono trovate numerose anfore da vino, tutte dello stesso tipo e con un'iscrizione in colore nero e caratteri greci. Si è dunque pensato non ad una 'taverna' per la vendita del vino, ma ad una bottega di vendita di anfore e di altra suppellettile in terracotta, che si produceva in grandi quantità nelle numerose fabbriche del tempo. Grande Taverna. È un'osteria con bancone rivestito di marmo. Sui ripiani a scaletta, anch’essi in marmo, si poggiavano i vasi per servire da bere e da mangiare. Sul tramezzo dell'ambiente retrostante ci sono il dipinto di una nave e alcuni graffiti. Casa con Giardino. È un'abitazione piuttosto povera e disadorna ma con un giardino molto ampio, probabilmente annesso alla dimora originaria in una fase tarda di ristrutturazione, da collocare dopo il terremoto del 62 d.C. Casa dell'Atrio Corinzio. E’ tra le più antiche, di medie dimensioni. Nella stanza a destra dell'ingresso c’è un mosaico a mura merlate con torri; nell’ambiente di soggiorno invece si conserva ancora il soffitto a cassettoni. Pistrinum, panificio. Il pistor (fornaio) era il proprietario del pistrinum. Ad Ercolano c’erano solo due panifici entrambi forniti di due macine di dimensioni ridotte rispetto a quelli di Pompei; le molteplici macine manuali rinvenute negli scavi attestano inoltre che ad Ercolano il grano si macinava prevalentemente in casa. Le venticinque teglie circolari in bronzo rinvenute nel retrobottega erano quelle usate per infornare le focacce (placentae). Bottega. La bottega di generi alimentari è completa dell'arredamento in legno e delle suppellettili: fave e ceci riposte nei dolia (giare) del banco di vendita, un fornello sul bancone, scaffali e soppalco transennato per anfore vinarie, un tramezzo ligneo. Palestra. Il gigantesco complesso edilizio è articolato su due terrazze. La terrazza inferiore è costituita da una grande area con portici su tre lati e un criptoportico sul lato Nord che sorregge la terrazza sovrastante. La lunga vasca rettangolare (vivaio di pesci) che fiancheggia il criptoportico fu in un secondo momento eliminata e sostituita dalla grande vasca cruciforme con la fontana bronzea raffigurante l'Idra di Lerna mitico serpente mostruoso, dalle molte teste. Lungo il lato Ovest del portico si apre una serie di ambienti tra cui spicca la vasta aula rettangolare absidata, alta quasi 10 m, con nicchia sul fondo e mensa marmorea, destinata alle cerimonie cultuali. Bottega di Priapo. Si caratterizza per due particolarità: il dolium (giara) seminterrato presso il focolare, nel quale furono rinvenute delle noci, e il piccolo ripostiglio per le derrate rivestito di cocciopesto situato davanti al bancone. Il Priapo dipinto dietro il bancone di mescita allontanava il malocchio. Dalla bottega il proprietario accedeva direttamente all'abitazione, con atrio a quattro colonne e con un piano superiore. Casa del Rilievo di Telefo con l'attigua Casa della Gemma costituiva un complesso forse appartenuto a M. Nonius Balbus. E’ una struttura molto estesa costruita in posizione panoramica ed articolata su tre livelli sovrapposti. Possedeva una ricca collezione di sculture di scuola neoattica, tra cui il rilievo con il mito di Telefo, figlio di Ercole (mitico fondatore della città). Casa dei Cervi. Terrazza di M. Nonio Balbo. Risalendo la rampa addossata alle mura si può accedere a un'ampia piazza rettangolare antistante al complesso delle terme suburbane. Qui si erge l'ara funeraria dedicata al senatore M. Nonius Balbus, futuro 'Augusto' che regnò dal 27 a.C. al 14 d.C. Egli si rese benemerito verso la città di Ercolano per aver restaurato e costruito molti edifici pubblici: in suo onore furono erette almeno 10 statue e alla sua morte gli furono tributati grandi onori, ricordati nella lunga iscrizione incisa sulla faccia dell'ara funeraria rivolta verso il mare. Terme Suburbane. Edificate agli inizi del I sec. d.C., il complesso termale è uno dei meglio conservati dell'antichità. Gli ambienti termali propriamente detti comprendono il frigidarium il tepidarium e il caldarium. In questo ambiente è visibile la controforma del labrum (vasca per abluzioni) impressa nel materiale vulcanico entrato dalla finestra, che strappò violentemente il bacino dal suo sostegno. Nel settore orientale del complesso termale sono infine un ambiente absidato, con 'piscina' riscaldata col sistema 'a samovar' (un recipiente, posto al centro, sotto cui si accendeva direttamente il fuoco), e il laconicum (sala per i bagni di vapore), con mosaico pavimentale nero su fondo bianco. La Villa dei Papiri La Villa, appartenuta alla famiglia dei Pisoni, riportata parzialmente alla luce, prende nome dai circa mille papiri, custoditi oggi nell'Officina dei papiri ercolanesi della Biblioteca Nazionale di Napoli. L'edificio, che si sviluppava su una lunghezza di circa 250 metri , si trova a circa trenta metri sotto la città moderna. Si potrà visitare il piano inferiore con ambiente affrescato, il piano superiore o piano nobile con atrio e mosaici, la natatio con ninfeo e le altre strutture appartenenti alle insulae nord occidentali dove è visibile anche lo scheletro di un cavallo. La villa dei Papiri è stata scoperta quasi per caso nell'aprile del 1750 mentre si scavava un pozzo in Via Cecere. La Villa rappresenta uno degli esempi più imponenti di architettura ercolanese prima dell'eruzione del 79 d.C. Dopo aver portato alla luce una veranda semicircolare con un magnifico pavimento ad intarsio di marmi policromi, venne scoperto un peristilio con colonne, che circondava una piscina rettangolare. La Villa dei Papiri, una delle più ampie e lussuose residenze conosciute finora nel mondo romano, sorgeva a picco sul mare, sviluppandosi in lunghezza per oltre 250 metri. L’edificio si estendeva su diverse terrazze digradanti verso il mare, sfruttando una posizione panoramica e la vista del golfo. Per dare un’idea dell’enorme estensione, basterebbe ricordare che la villa aveva un grande peristilio di 25 x 100 colonne di quasi 100 metri di lunghezza e 37 di larghezza, ed una piscina lunga più di 66 metri. In generale l’impianto della villa constava di un atrio, che dava su un peristilio minore, a sinistra del quale era il tablino o sala di soggiorno, e a destra il quartiere di alloggio del lato orientale con la biblioteca dei papiri e il bagno, non del tutto riportati alla luce. Dal tablino si accedeva poi al peristilio maggiore con giardino, sul quale si affacciavano diverse stanze e, alla sua estremità, a un belvedere. La villa, che si trova a circa 25-30 metri al di sotto del livello attuale, immediatamente al di là del torrente che segnava il confine ovest di Ercolano, venne scoperta casualmente nel 1750 e parzialmente scavata con il metodo di pozzi e cunicoli sotterranei negli stessi anni in cui prese avvio l’esplorazione delle città vesuviane (1750-1761), fino al 1764. Il sistema di esplorazione condotto dall’ingegnere svizzero Weber, che redasse una pianta corredata da numerose annotazioni, arrecò numerosi danni alle strutture murarie, bucate per poter prelevare le opere d’arte che costituivano il ricco apparato decorativo della dimora: andarono ad arricchire il Museo Ercolanese di Portici interi cicli scultorei; 50 opere in bronzo, 21 in marmo, pavimenti a mosaico, frammenti di affreschi di notevole pregio ora conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Altrettanto importante fu la scoperta di una biblioteca di papiri, che diedero il nome alla villa: ben 1758 rotoli con testi del filosofo epicureo Filodemo di Gadara e alcuni testi latini, tra cui una “Guerra di Azio” (de bello Actiaco). I rotoli di papiro suscitarono un tale interesse negli studiosi che fu fondata l'Officina dei Papiri Ercolanesi. Poiché carbonizzati, la loro apertura ha comportato spesso la loro distruzione finché non è stata messa a punto ad opera Antonio Piaggio una macchina per srotolarli. Ancora oggi i papiri sono oggetto di studio da parte di molti storici nonostante molti di essi siano andati persi. La straordinaria raccolta di opere d’arte è di sicuro attribuibile ad un ricco esponente della nobilitas romana tardorepubblicana, di inclinazione epicurea e di raffinata cultura ellenizzata, sulla cui identificazione sono state avanzate alcune ipotesi. La più nota e accreditata vede il proprietario in Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare e console nel 58 a.C., oppure in suo figlio, console del 15 a.C. L’altra ipotesi, forse più fondata, è quella relativa all’identificazione con Appio Claudio Pulcro, cognato di Lucullo e console nel 38 a.C.: amico di Cicerone, era noto per essere un uomo permeato di cultura ellenica. Di recente la villa è stata oggetto di una nuova campagna di scavi a cielo aperto, per riportare alla luce e restaurare ulteriori parti dell’edificio. L’esplorazione, condotta con lo scavo di un profondo e stretto trincerone, ha consentito di indagare la zona dell’atrio, decorato da pavimenti a mosaico policromo con motivi geometrici e da pitture di II stile, oltre alla terrazza colonnata, affacciata sul mare e sovrastante altri ambienti. Di particolare interesse è stato il ritrovamento, in uno degli ambienti del piano inferiore interessato dai flussi piroclastici, di una testa in marmo di Amazzone del tipo cd. Sciarra e di una statua di Hera, pregevole copia in marmo del tipo detto Borghese: in occasione della mostra, le due sculture per la prima volta vengono presentate al pubblico, in associazione ai cicli scultorei già in esposizione nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.