IL RUMORE COME CONFRATELLO DI PARI LIVELLO DELLA MUSICA Luigi Russolo ha teorizzato e praticato una nuova musica del rumore, riconoscendo a quest’ultimo lo statuto di suono. Il 21 aprile del 1914 Luigi Russolo tenta l’esecuzione di tre brani per intonarumori (congegni che lui stesso ha inventato per creare suoni molto vicini ai rumori della città, della vita quotidiana, costruiti con pezzi meccanici), a Milano al teatro Dal Verme: Risveglio di una città, Si pranza sulla terrazza del Kursaal e Convegno di automobili e di aeroplani. Il concerto viene interrotto dagli schiamazzi del pubblico, e poi da una conseguente folle rissa tra gli spettatori e i futuristi. Questa è forse la prima manifestazione pubblica in cui il rumore viene presentato come musica in Occidente. L’11 marzo 1913 Russolo pubblica il Manifesto L’arte dei rumori, che poi diverrà un libro-saggio nel 1916, dove teorizza la possibilità di fare musica utilizzando suoni prodotti non da strumenti tradizionali, o scritti da compositori, ma tratti dalla vita di tutti i giorni e, in particolare, suoni della città, della vita meccanica urbana. Scrive nel manifesto: “La vita antica del passato era tutto silenzio, oggigiorno, il rumore trionfa e regna sulla sensibilità umana”. E ancora: “godiamo molto di più nel combinare idealmente dei suoni di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti che nel riudire, ad esempio l‘ Eroica o la Pastorale (…) Ci divertiremo ad orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferrovie, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotteranee.” Già in queste prime notazioni si concretizza l’idea di comporre uno spazio dell’ascolto, un’architettura sonora basata sul rumore della vita. Russolo in più occasioni spiega chiaramente che non si tratta di recuperare in modo letterale il rumore, ma di rielaborarlo, di trasformarlo in una nuova grammatica del suono: “Attraversiamo una grande capitale moderna, con le orecchie più attente che gli occhi, e godremo nel distinguere i risucchi d’acque, d’aria e di gas nei tubi metallici il borbottio dei motori che fiatano e pulsano con un indiscutibile animalità, il palpitare delle valvole, l’andirivieni degli stantuffi, i balzi del tram sulle rotaie, lo schioccare delle fruste, il garrire delle tende e delle bandiere” Si dice in sostanza che si può percepire il paesaggio più con l’ascolto che con la visione e si invita ad affinare l’udito, più che lo sguardo. CITTA’ + RUMORI MECCANICI QUOTIDIANI = GRANDE ORCHESTRA A CIELO APERTO Per capire fino in fondo Russolo, occorre partire dalle istanze legate a un uso diverso della parola, che Filippo Tommaso Marinetti ha già enunciato nel Manifesto del Futurismo del 1909. Tutta la letteratura marinettiana produce il concetto di PAROLIBERISMO, cioè la liberazione della parola dal suo valore esplicativo, dalla sua stretta consequenzialità significante - significato, a favore di un uso visivo e onomatopeico del segno. Nella declamazione delle poesie parolibere futuriste si sente già in nuce il valore che tutto il movimento darà al suono non più come armonia, non come musica, ma come rumore, come suono anche conflittuale, disarticolato, destrutturato. Luigi Russolo intonarumori Carlo Carrà. Manifesto dei suoni, rumori e odori “Dal punto di vista della forma: vi sono rumori e odori concavi e convessi, triangolari, ellissoidali, oblunghi, conici , sferici, spiratici ecc…” Dal punto di vista del colore: vi sono suoni, rumori e odori gialli, rossi, verdi, turchini, azzurri e violetti. In tutto il mondo meccanico e sportivo i suoni, i rumori e gli odori sono in predominanza rossi; nei ristoranti e caffè sono argentei, gialli e viola. Suoni e rumori degli animali sono gialli e blu. Suoni e rumori della donna sono verdi, azzurri e viola. Nel 1933 Marinetti insieme a Pino Masnata scrive il manifesto del teatro radiofonico, la Radia, nel quale inventa appunto la Radia, che porta l’arte dei rumori in un ambito più popolare, permettendone una diffusione capillare alla portata di tutti. La Radia è la nuova radio futurista, parolibera, che utilizza le parole in libertà e i suoni-rumori. La Radia porta ad una immensificazione dello spazio: non più visibile né incorniciabile, la scena diventa universale e cosmica. Testi tratti da : Gravano V., Paesaggi Attivi, Genova, Costa e Nolan, 2008