Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Convegno “Latte: quale futuro per un alimento antico” Cagliari 21-22 gennaio 2011 Il rischio chimico nei prodotti lattiero caseari Regione Piemonte - Gianfranco Corgiat Loia Rischio chimico: interesse crescente Presenza di aree a forte sviluppo industriale; impiego di tecnologie “dure” nell’allevamento e nella coltivazione di fondi agricoli; frequenti segnali di compromissione ambientale (problema smaltimento rifiuti, reflui industriali, fumi); disponibilità di nuove tecnologie per la ricerca dei residui e forte abbassamento dei limiti di sensibilità analitica (il residuo non è più zero!); passaggio da prodotto a processo a filiera; possibile misura di protezionismo economico; migliorano le conoscenze sui “pericoli” chimici (IARC). Rapporto causa/effetto Non sempre agevole; raramente sui residui chimici c’è la firma del responsabile; gli studi sulle singole molecole si riferiscono a prove di laboratorio (es Sudan su cavia – classe III), raramente a studi epidemiologici sull’uomo, ma nella comunicazione del rischio non si fa differenza; l’effetto non è quasi mai riconducibile ad una sola molecola; il ventaglio di possibilità complica il processo di analisi dei rischi e l’individuazione delle responsabilità soggettive. Le attese dei cittadini Il danno ambientale è conseguenza di anni di disattenzioni e di sottovalutazioni ma alla sanità pubblica si chiede una soluzione immediata; le scelte di gestione del rischio sono fortemente condizionate da altri fattori (occupazione, qualità della vita, svalutazione dei beni di proprietà ecc.) i cittadini vorrebbero un “responsabile” a cui attribuire la colpa ma spesso le responsabilità sono distribuite e non facilmente individuabili; Possibili tendenze 1. 2. 3. 4. Non cercare ciò che potrebbe essere presente (o cercare ufficiosamente senza comunicare gli esiti); Sottovalutare o minimizzare il rischio per non allarmare la popolazione. Mal comune mezzo gaudio: lo stesso rischio è presente in altre parti del mondo e le misure che si stanno adottando sono più severe ma esclusivamente precauzionali; agire con programmi coordinati (sanità-agricolturaambiente) rivolti a ricercare e valutare “indicatori” o parametri non legali ma che possono orientare scelte di gestione del rischio di medio/lungo termine; Da evitare! L’adempimento formale: cercare il residuo, trovarlo e delegare ad altri (es. Magistratura) la soluzione del problema; cercare il residuo dove è meno probabile che ci sia; fare una scala dei pericoli noti per dimostrare che quello evidenziato, in fondo, è meno grave; suggerire informalmente alle imprese sotterfugi per rendere negativi i controlli o aiutarle a scrivere scritti o memorie difensive; minimizzare il rischio quando non se ne conosce bene la natura e la portata; Limiti dell’attuale sistema di controllo La mappa dei rischi chimici legati alla presenza di attività potenzialmente pericolose è carente o lacunosa; la qualità ambientale è un importante determinante di salute ma le politiche ambientali e sanitarie non sono sempre coerenti; le competenze (ed il potere!) in materia ambientale sono centralizzate, in materia sanitaria sono decentrate; incoerenza o difficoltà di integrazione delle politiche di tutela della salute, tutela ambientale, sviluppo industriale, occupazione, competitività economica. Le leggi sono uno strumento, non il fine. sottovalutazione dei problemi legati allo smaltimento dei rifiuti provenienti da attività produttive; per non fare allarmismo non si da neppure l’allarme! Limiti dell’attuale sistema di controllo Si cercano i residui di sostanze lipofile di facile accumulo e si trascurano completamente le sostanze idrosolubili; si cerca normalmente il residuo e non l’impiego illecito (in allevamento o nelle pratiche agricole); allevatori e agricoltori non possono essere indennizzati nel caso di contaminazioni ambientali non addebitabili alla loro attività; si cercano poche molecole (e in disuso) rispetto a quelle in uso; il giusto diritto alla difesa ingessa il sistema dei controlli (i laboratori pubblici badano più alle procedure che allo sviluppo di nuovi metodi di ricerca). Nel dubbio…….. Si sceglie di ignorare il problema; si sceglie di controllare dove non c’è il problema (tanti controlli male orientati) si fanno controlli ovunque per sostenere che il problema è talmente diffuso da non avere soluzioni si sceglie di controllare secondo criteri scientifici ma….. ci si ferma alle prime positività (subito dopo aver coinvolto la Procura della Repubblica) per le oggettive difficoltà di azione. Vale sempre la regola che… per trovare le chiavi di casa perse al buio occorre accendere una torcia. In altre parole ….. i controlli (e i problemi!) si concentrano sempre dove c’è già attenzione. E nel settore lattiero casario che succede? Le possibili fonti del rischio Il rischio chimico nel settore lattiero caseario può dipendere da: contaminazione ambientale (es. metalli pesanti, diossine, PCB, furani, IPA etc.). Farmaci veterinari (es. gli antibiotici, i sulfamidici, gli anti-infettivi, gli antielmintici, gli ormoni etc. Tossine preformate e presenti nei mangimi o nell’acqua. Coadiuvanti tecnologici, detergenti, e sostanze chimiche cedute per contatto (materiali di confezionamento ed imballaggio). I limiti residuo non ammesso per le sostanze il cui impiego negli animali è vietato limite di tolleranza per i contaminanti di origine naturale o industriale limite massimo di residuo per le sostanze il cui impiego negli animali è consentito I potenziali pericoli chimici In sintesi, si riportano i principali gruppi di sostanze chimiche che possono interessare il latte e i suoi derivati: Micotossine Policlorobifenili (PCB) Policlorodibenzo-p-diossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF) Altri idrocarburi alogenati e pesticidi organoclorurati (OCS) Antimicrobici Antiparassitari Ormoni Pesticidi Metalli pesanti Nitrati e nitriti Contaminanti alimentari nei materiali d'imballaggio Sanitizzanti / disinfettanti Le unità di misura delle concentrazioni dei residui Rapporto tra peso del residuo e peso (o volume) della matrice in cui il residuo è contenuto: ppm = mg / Kg ppb = μg / Kg ppt = ng / Kg In termini di superficie sarebbe… Superficie di Parigi= circa 300 Km2 1 ppm = 300 m2 (un campo da bocce) 1 ppb = 30 dm2 (un quotidiano) 1 ppt= 3 cm2 (un francobollo) Micotossine Micotossine Sono metaboliti di muffe, dannosi per l'uomo e per gli animali. Per molte di esse sono ben noti gli effetti biologici su animali da laboratorio: fenomeni di tossicità acuta, azione mutagena, cancerogena, teratogena, allucinogena, emetica e estrogenica. La presenza di micotossine nei prodotti lattiero-caseari può essere conseguenza di: contaminazione indiretta: contaminazione dei mangimi consumati da bovini da latte (aflatossina M1, metabolita nel latte dell’aflatossina B1). contaminazione diretta: contaminazione da funghi nei prodotti lattiero-caseari, in particolare formaggi, con formazione di micotossine. Reg. (CE) n°1881/2006 del 19/12/2006 – – – – – – – – Definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. E’ in vigore dal 1 marzo 2007 e riguarda: Nitrati Aflatossine Ocratossina A Patulina Deossinivalenolo Zearalenone Fumonisine Tossine T-2 e HT-2 (gruppo tricoteceni) – – – – Piombo Cadmio Mercurio 3-Monocloro-1,2propandiolo – Diossine – PCB – Idrocarburi Polociclici aromatici Aflatossine Tossicità molto elevata: più di 75 Paesi hanno adottato norme per il controllo e l'analisi delle aflatossine nei prodotti alimentari. I livelli di aflatossina M1 in prodotti caseari sono regolamentati in almeno 22 Paesi con limiti che sono compresi tra 0 e 1 µg/kg (0-0,1 µg/kg per i neonati e bambini). Il limite adottato dall’UE per l’aflatossina M1 nel latte è di 0,05 µg/kg (Regolamento 1881/2006 del 19/12/2006). L’aflatossina M1 è presente nel latte e nei prodotti lattierocaseari quando i gli animali da latte consumano mangimi o foraggi contaminati da aflatossina B1. Aflatossine L’aflatossina B1 può essere prodotta dal Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus. Micotossine prodotte da specie fungine diverse da Aspergillus e Penicillium sono di importanza minore per i prodotti lattiero-caseari. L'efficienza di conversione di aflatossine nelle vacche è molto bassa: alcuni autori hanno constatato che meno del 2% di aflatossina B1, deliberatamente aggiunta in alimenti somministrati agli animali in lattazione viene convertita in forma idrossilata (M1). I formaggi prodotti con latte contenente residui possono “concentrare” l’aflatossina M1 ma i livelli finora misurati non destano particolari preoccupazioni per la salute umana. Diossine e Policlorobifenili (PCB) PCB e diossine Le diossine (PCDD/F) e i PCB sono microinquinanti che la Convenzione di Stoccolma (2001) ha inserito nella lista dei dodici Contaminanti Organici Persistenti (Persistent Organic Pollutants – POPs) per i quali è richiesta la riduzione o l’eliminazione delle emissioni. Il gruppo delle diossine è molto numeroso (75 congeneri di PCDD e 135 di PCDF) ma la maggiore importanza dal punto di vista tossicologico riguarda 17 di essi, assieme a 12 dei 209 congeneri di policlorobifenili (PCB) definiti PCB-diossina simili (PCB-dl) perché presentano proprietà chimico-tossicologiche simili a quelle delle diossine. PCB e diossine Sono composti di natura antropogenica: Le diossine si formano principalmente come “sottoprodotti indesiderati” di processi industriali o nelle combustioni (es rifiuti e incendi boschivi); i PCB hanno un’origine industriale. Per le loro proprietà sono stati utilizzati in maniera indiscriminata per anni, fino al divieto d’uso solo negli anni settanta. Hanno spiccate proprietà lipofile Sono stabili dal punto di vista chimico Tendono a bioaccumulo e a biomagnificazione attraverso la catena alimentare (grassi animali, latticini e pesce). Le diossine agiscono soprattutto come interferenti endocrini, causando disturbi della funzionalità riproduttiva e del sistema immunitario. Manifestano attività cancerogena (IARC, 1997). PCB e diossine A causa della diversa tossicità dei 29 congeneri, la concentrazione di diossine e PCB-dl è espressa in equivalenti di tossicità (TEQ); Al riguardo si utilizzano specifici fattori di equivalenza di tossicità (TEF), sviluppati sulla base della loro tossicità relativa rispetto alla 2,3,7,8-TCDD, il congenere più tossico (TEF=1). Il TEQ di ogni singolo congenere è calcolato moltiplicando la concentrazione del congenere per il rispettivo TEF e quindi sommando i singoli TEQ per ottenere il valore totale del TEQ di quel determinato campione. Tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD) La TCDD allo stato cristallino è una sostanza solida inodore, di colore bianco, con punto di fusione di 307 °C, termostabile fino a 800°C, liposolubile, resistente ad acidi ed alcali. È chimicamente degradabile in pochi giorni dalla radiazione solare ultravioletta in presenza di donatori di ioni idrogeno (ad esempio a contatto con il fogliame verde delle piante); se invece viene dilavata nel terreno, si lega al materiale organico presente e viene degradata molto lentamente (nell’arco di parecchi mesi o anni). Diossine In base al più recente inventario europeo delle emissioni di diossine (1995), il 62% delle diossine immesse in atmosfera proviene da: Inceneritori per rifiuti urbani Fonderie Inceneritori rifiuti ospedalieri Attività metallurgiche diverse dal ferro (26%) (18%) (14%) ( 4%) Il restante 38% è attribuito a: Impianti riscaldamento domestico a legna (legna trattata) Incendi Traffico Diossine nel terreno e nei sedimenti. E’ stato possibile studiare l’accumulo progressivo di diossine nel terreno analizzando un archivio di campioni di suolo raccolti, a partire dal 1856 provenienti da un campo mai adibito ad uso agricolo. Nel 1856, in un chilo di terreno raccolto in questo campo si potevano trovare 31 nanogrammi di diossine (un ng equivale ad un miliardesimo di grammo). Nei campioni raccolti negli anni successivi le diossine aumentavano progressivamente (1,2 % all’ anno), fino a raggiungere la concentrazione massima nell’ 1986 (92 ng/kg). Diossine nel terreno e nei sedimenti. In 130 anni, la contaminazione da diossine del campo esaminato è aumentata del 300%: un risultato che conferma come un terreno contaminato da diossine resta tale molto a lungo, in quanto sono trascurabili fenomeni di decontaminazione naturale. Questi dati, relativi alla contaminazione di terreno e di sedimenti sono stati interpretati come l’effetto del trasporto, a lunga distanza, di diossine prodotte da attività industriali o di incenerimento. La concentrazione di diossine in un terreno diminuisce esponenzialmente man mano che ci allontaniamo dalla fonte (es. acciaieria, inceneritore). Diossine nell’erba. Campioni d’ erba raccolti sistematicamente in Inghilterra, nello stesso campo in cui si sono analizzate le diossine nel terreno, hanno permesso di verificare che per un intero secolo, dal 1860 al 1960, la concentrazione di diossine è rimasta stabile e pari a circa 12 ng/kg. Nei campioni d’erba raccolti nello stesso campo, tra il 1961 ed il 1965 e in quelli tra il 1976 e il 1980, si registravano due netti aumenti della concentrazione di diossine, pari a 96 e 85 ng/kg. L’aumento della concentrazione di diossine è stato attribuito, rispettivamente, al largo uso di pesticidi clorurati e all’avvento degli inceneritori di rifiuti. Diossine nel latte. Se l’ erba contaminata è mangiata da erbivori, le diossine si trasferiscono dall’ erba ai tessuti grassi di questi animali. In questo caso lo strato adiposo funziona come "serbatoio" di diossine, da cui tali sostanze sono "prelevate" durante l’allattamento, per passare nel latte (questo fenomeno riguarda tutti i mammiferi). Diossine nell’uomo Le diossine”bio-ingrandiscono”. Tramite la catena alimentare passano da preda a predatore concentrandosi nel grasso degli animali e nei prodotti caseari. La quantità di diossine nell’uomo è pertanto maggiore rispetto agli altri mammiferi (l’uomo è al fondo della catena alimentare). In uno studio condotto sul latte di vacche tedesche (2002) e su quello di mamme svedesi (2003) è risultato che: le vacche tedesche avevano 0.7 pg di diossine per gr di grasso le mamme svedesi avevano 18 pg di diossine per gr di grasso Le mamme non sono tuttavia l’ultimo anello della catena alimentare a base di diossine: il primato spetta ai loro figli. Effetti delle diossine Elevata sensibilità degli embrioni e dei feti di pesci, uccelli, mammiferi e uomo agli effetti tossici delle diossine. Per quanto riguarda l'uomo, gli effetti sullo sviluppo, osservati dopo un'esposizione accidentale elevata, comprendono: mortalità prenatale, riduzione della crescita, disfunzione di organi quali il sistema nervoso centrale (ad esempio, danni allo sviluppo intellettivo), alterazioni funzionali effetti sul sistema riproduttivo maschile. Effetti delle diossine Gli effetti delle diossine sembrano dipendere più dalla loro presenza in particolari organi e/o stadi vitali piuttosto che dall'entità quantitativa dell'esposizione. Studi di laboratorio hanno dimostrato che l'esposizione a dosi bassissime di diossina durante un periodo critico brevissimo nel corso della gestazione possono influire negativamente sulla salute del feto. La diossina è cancerogena per l'uomo e per gli animali. L‘EPA (agenzia statunitense per la protezione ambientale) ha stimato che nelle aree industriali l'attuale esposizione di fondo della popolazione generale alle diossine determina un rischio di contrarre tumore variabile da 1/1.000 a 1/10.000 cittadini (http://www.epa.gov) Diossine Nel 1993 l’Unione Europea ha inserito nel quinto Piano d’Azione l’obiettivo di ridurre del 90 % le emissioni di diossine entro il 2005 (rispetto ai valori del 1985). In Italia i dati sulla presenza di diossine sono scarsi e frammentari. Non esiste una strategia chiara per la riduzione delle emissioni di diossine. Si differenzia poco e si rischia di dover incenerire troppo (dall’attuale 16% al 65%?) Di questo passo è inevitabile che, nonostante il minor impatto ambientale dei nuovi inceneritori, la quantità di diossine immesse in atmosfera da queste fonti aumenti. Tossicità acuta Dose Letale 50 bassa ma molto variabile tra specie 0.6 mg/kg Cavia 2570 mg/kg Topo Questo spiega l’errore dei servizi segreti ucraini che hanno avvelenato la minestra del presidente Yuschenko con dosaggi di diossina sufficienti a provocare cloracne ma non ad ucciderlo. Agosto 2004 Novembre 2004 Policlorobifenili (PCB) I policlorobifenili (PCB) sono miscele di bifenili clorurati con percentuali variabili di cloro in peso. Le differenze nelle proprietà fisico-chimiche dei PCB si riflettono nella loro distribuzione e mobilità nell'ambiente. Anche se le generalizzazioni non possono essere appropriate per un gruppo di sostanze chimiche con proprietà molto diverse, la persistenza dei questi contaminanti in ambiente può essere messa in relazione al loro contenuto di cloro. La produzione industriale e il rilascio nell'ambiente dei PCB ha raggiunto nel mondo livelli preoccupanti, viste anche le proprietà chimiche e fisiche di questi contaminanti. PCB - Policlorobifenili La tossicità dei PCB dipende dal numero e dalla posizione degli atomi di cloro I congeneri dei PCB maggiormente tossici sono quelli più clorurati (esclusi quelli con 8 o più atomi nei quali la ridotta mobilità all’interno dell’organismo ne riduce la possibilità di raggiungere i bersagli) Le sostituzioni in meta e para rendono i composti più tossici I PCB non-orto sostituiti sono detti coplanari in quanto i due anelli benzenici ruotando possono trovarsi sullo stesso piano I PCB coplanari (12 dei 209 isomeri) agiscono a livello cellulare in maniera simile alla 2,3,7,8-TCDD e sono detti diossino-simili PCB - Policlorobifenili Nonostante la rigorosa limitazione dell’impiego dei PCB a sistemi chiusi (1970), la loro continua immissione nell’ambiente dagli impianti industriali e di incenerimento e la loro scarsa biodegradabilità, hanno reso ubiquitario l’inquinamento da parte di queste sostanze Sistemi chiusi Olio isolante Per trasformatori: edifici, treni, tram, metropolitane, televisori Per condensatori: forni elettrici, lavatrici, frigoriferi, condizionatori Conduttori di calore: apparecchi per raffreddamento e riscaldamento Altri usi: cavi elettrici, trivelle PCB - Policlorobifenili Sistemi aperti: olio lubrificante: apparecchiature operanti ad alta temperatura, alta pressione, sott’acqua: pompe a olio e compressori; elasticizzante: isolante: colle, vernici, asfalto, inchiostri per stampa; guaine per conduttori d’elettricità, nastri isolanti; antinfiammante: plastiche e gomme; carte: carte carbone, carte per fotocopie; altri: tinture per carte, tessuti, vernici per metalli, additivi per anticrittogamici, coloranti per vetro e ceramiche, antipolvere, antiossidanti per fusibili, additivi per petrolio PCB - Policlorobifenili Una volta immessi nell’ambiente i PCB si ripartiscono e restano intrappolati nei suoli, nei sedimenti, nei tessuti vegetali e nei corpi idrici. Vengono poi rilasciati nell’aria (in fase di vapore) e portati lontano dal punto di immissione. A contatto con gli organismi viventi si concentrano per processi di bioaccumulo. Il mediterraneo è sottoposto a continui apporti di PCB per trasporto in fase di vapore via aria da sorgenti lontane, situate in paesi in via di sviluppo dove tali prodotti sono ancora in uso. La quantità presente nel mediterraneo può creare problemi di accumulo negli alti livelli della catena trofica. PCB in Europa (gr. di diossine di tossicità equivalente) Inceneritori rifiuti urbani Fonderie Riscaldamento domestico a legna Inceneritori rifiuti ospedalieri Conservazione legno Incendi Produzione metalli non ferrosi Trasporto veicolare non catalizzato 1641 1125 945 816 381 380 136 111 Tossicità Il confronto della tossicità delle diverse diossine è basato sul concetto del fattore di equivalenza tossica (TEF) che per la TCDD è pari a 1. Il TEF moltiplicato per la somma della concentrazione delle diverse diossine in un certo mezzo dà il valore dell’equivalente tossico (TEQ), utilizzato nella valutazione del rischio da diossine per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Fattori di tossicità equivalente (TEF) per la valutazione/gestione del rischio relativo a PCDD (policlorodibenzodiossine) e PCDF (policlorodibenzofurani) (NATO/CCMS, 1988; WHO, 1998) Fattori di tossicità equivalente (TEF) per la valutazione del rischio relativo a PCB diossina-simili Altri idrocarburi alogenati e persistenti I bifenili polibromurati (PBB) sono composti lipofili, persistenti nell'ambiente e bioaccumulativi. Il Gruppo di esperti scientifici (CONTAM) che si è occupato della valutazione del rischio (3 ott. 2010) ha concluso che il rischio per la popolazione europea derivante dall'esposizione ai PBB tramite l'alimentazione non è motivo di preoccupazione. I PBB non sono più prodotti o utilizzati in Europa e viste le decrescenti concentrazioni ambientali, CONTAM ha concluso che i PBB rappresentano una priorità bassa per ulteriori ricerche e attività di controllo. Analoghe conclusioni sono state espresse per toxafene (miscela di borani clorurati), clorurati paraffina, policlorotrifenili e naftalene. EFSA - PCB e diossine Nel mese di luglio 2010, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha pubblicato un report, in revisione di quello emesso nell’aprile dello stesso anno, contenente i risultati del monitoraggio dei livelli di diossine e sostanze diossino-simili negli alimenti e nei mangimi, con una attenta elaborazione dei dati e alcune conclusioni interessanti sulla presenza di questi contaminanti ai fini della tutela dei consumatori. EFSA - PCB e diossine L’aspetto più interessante è senz’altro quello dei risultati per il gruppo latte e derivati, visto che negli anni passati, in alcune aree del nostro Paese, sono stati riscontrati nel latte valori di diossine superiori ai limiti massimi stabiliti dalla normativa europea (Reg. CE 1881/2006). Le raccomandazioni della Commissione UE Raccomandazioni 2002/201/CE e 2006/88/CE: individuano un elenco di azioni per ridurre la presenza di diossine e PCB-dl promuovono un piano di monitoraggio di questi contaminanti negli alimenti e nei mangimi da parte degli Stati membri della UE. Raccomandazione 2006/794/CE estende il monitoraggio anche ai PCB non diossina simili tra le sostanze da ricercare nel monitoraggio. Il campione Nel periodo 2003 e il 2007 sono stati raccolti e analizzati 13854 campioni di varie matrici alimentari destinate all’uomo e agli animali; l’EFSA ha ricevuto i dati nell’aprile 2008. In accordo con i criteri previsti dal Regolamento CE 1883/2006 è stato costituito un database finale con i risultati corrispondenti a 7270 campioni (5624 alimenti e 1640 mangimi) provenienti da 19 Stati membri dell’UE. Nessun campione è stato considerato per l’Italia e la Romania. La maggior parte dei campioni proveniva dal Regno Unito seguito dalla Germania e dal Belgio. Le matrici Le matrici maggiormente campionate comprendono: gruppi pesce e prodotti della pesca ad esclusione delle anguille (n=1976), latte crudo e prodotti lattiero-caseari tra cui il burro (n=931), uova di gallina e ovoprodotti. Questi campioni sono stati divisi in vari sottogruppi, per valutare l’influenza della specie animale, la provenienza geografica o le modalità di produzione. I risultati in pesce, carne e uova I valori più elevati di diossine e PCB-dl negli alimenti sono stati riscontrati nella matrice fegato di pesce e prodotti ittici (32,6 pg WHO-TEQ/g) Nei mangimi il livello più alto è stato trovato nell’olio di pesce (10,0 pg WHO-TEQ/g espresso al 12% di umidità). Tra le carni e i prodotti a base di carne dei ruminanti sono stati riscontrati valori leggermente più alti nei caprini. Nel gruppo uova e ovoprodotti le analisi mostrano livelli medi di diossine simili, pari a 0.41 e 0.46 pg WHO-TEQ/g di grasso. Non si è registrata una differenza significativa tra le uova prodotte da galline in gabbia e galline libere. I risultati nel latte e derivati I livelli medi di diossine e PCB diossina-simili variano da 0,95 pg WHO-TEQ/g nel latte al dettaglio a 1,27 pg WHO-TEQ/g di grasso nel latte in allevamento e 1.30 pg WHO-TEQ/g di grasso nel latte di massa. La variabilità sembra dovuta alla miscelazione, a livello di dettaglio, del latte di diversa origine. Concentrazioni più elevate sono state determinate su 420 campioni di latte di specie incerta: in questi casi i valori espressi in pg WHO-TEQ/g di grasso per PCDD/F e PCBdiossina-simili, sono risultati rispettivamente di 1.05 e 1.37, con la somma a 2.42 pg WHO-TEQ/g di grasso. Nel valutare l'esposizione a lungo termine, l'EFSA ha concluso che nessuno dei pesticidi esaminati desta preoccupazioni per la salute. Gli attuali limiti nel latte I limiti comunitari sono fissati dal Regolamento 1881/2006/CE del 19 dicembre 2006: per la sommatoria di diossine e furani con PCB diossino-simili il limite è di 6 pg/g grasso per latte e prodotti lattiero caseari la soglia fissata per le sole diossine è di 3.0 pg/g grasso per il latte. E l’Italia? La buona notizia Su circa cinquanta campioni del primo semestre del 2010 in Campania è risultato un valore medio di diossine e PCB-dl pari a 1.21 pg WHO-TEQ/ g di grasso (inferiore a quello determinato da UE su campioni di latte di massa). Nel 2001 l’ASL-NA4 trovò positività per diossine (in quantità superiore ai 3 pg/g di grasso) nel 71% dei campioni di latte di pecore La sola TCDD venne trovata con valori medi di 1,44 pg/g nel 90% dei campioni. Tale valore risultò circa 13 volte maggiore di quello riscontrato a livello nazionale (0,11 pg/g di grasso). E l’Italia? Le cattive notizie Nel rapporto 2010 di Legambiente si legge che: in Lombardia il 3,7% dei campioni di latte bovino analizzati, il 2,4 % di uova di gallina e lo 0,8% di campioni di muscolo bovino non sono conformi per la presenza di diossine e dl-PCB (PCB diossina-simili). In Puglia: sono risultati irregolari due campioni di latte. In particolare si tratta di un campione di latte bovino ed uno di latte ovino su un totale di campioni analizzati pari a 120. Nel Lazio e nella Toscana è risultato irregolare 1,8% dei campioni di latte vaccino il 29 dicembre 2010 650 pecore sono state abbattute a Taranto perché si sono riscontrate nella loro carne elevate concentrazioni di diossina. E’ di questi giorni l’allarme diossina nelle uova tedesche. E’ probabile che sia coinvolto, a breve, anche il settore lattiero caseario. Residui di antimicrobici e antiparassitari Residui di antimicrobici nel latte. Più preoccupanti perché: Il latte e i derivati costituiscono una quota maggiore dell'alimentazione rispetto ai prodotti carnei. E’ un componente importante dell’alimentazione per categorie più esposte al rischio tossicologico. Xenobiotici che tendono a concentrarsi nel latte bovino possono analogamente concentrarsi nel latte umano. Il rispetto dei tempi di sospensione per quanto riguarda il latte può comportare un sacrificio maggiore. I prodotti derivati possono: concentrare il residuo essere alterati dal residuo. Difficoltà nel rispetto del tempo di sospensione (TDS) per il latte Comporta necessariamente la perdita della derrata (per le carni si ritarda la macellazione). La prospettiva di diluizione del residuo nel latte di massa istiga al mancato rispetto delle regole. L’isolamento dei soggetti trattati (cambio di stalla, gruppo o orario di mungitura) comporta stress e conseguenti cali di produttività. Lo smaltimento del latte scartato è un costo. Effetti della diluizione del residuo (latte di massa) Per gli aspetti legali e commerciali è un’arma a doppio taglio: 2 ppm nel latte di 1 bovina porterà a 20 ppb nel latte di 100 bovine; 20 ppm nel latte di 10 bovine porterà a 200 ppb nel latte di 1000 bovine. Per la sicurezza del consumatore: i rischi di effetti acuti vengono scongiurati; i rischi di effetti cronici potrebbero aumentare (non si hanno dati certi) Cause di residui di antibiotici nel latte Mancato rispetto dei tempi di sospensione. Uso endomammario di preparazioni non adatte per l’uso o artigianali. Uso in lattazione di preparati per il periodo di asciutta. Trattamenti con posologie superiori a quelle previste. Somministrazione ‘involontaria’ di alimenti medicati. Il passaggio dei farmaci nel latte Pone problemi rilevanti nella terapia veterinaria (possibili conseguenze sulla salute ma anche sulla trasformazione). I fattori condizionanti il passaggio dei farmaci nel latte sono: costituzione chimica del farmaco stesso; dose somministrata e durata del trattamento; via di somministrazione (se per curare mastiti si somministra il farmaco per via endomammaria avrà persistenza maggiore rispetto ad una somministrazione generale). Il passaggio dei farmaci nel latte (segue) La presenza di farmaci nel latte è determinata dai trattamenti terapeutici : endomammari in animali in lattazione; endomammari in animali in asciutta; parenterali in animali in lattazione. La somministrazione di farmaci a fini auxinici non sembra creare problemi per la salute umana nè avere implicazioni industriali (anche perché, di norma, gli auxinici di natura chemioantibiotica si somministrano ad animali che non producono ancora latte). Antibiotici nel latte L’antibiotico che è stato più frequentemente rinvenuto nel latte di bovino è la penicillina G. E’ stato osservato che è piuttosto raro reperire antibiotici oltre la 132a ora dall’ultimo trattamento endomammario Diversi fattori possono variare la permanenza del farmaco nella mammella e, quindi, dei residui nel latte. Tra questi: il veicolo (la presenza di antibiotico è maggiore se il veicolo è oleoso piuttosto che acquoso, poiché il latte presenta una certa quantità di grassi) la quantità di latte prodotto (una scarsa produzione giornaliera è di norma associata ad una rallentata escrezione). Ripercussioni sulla salute per la presenza dei farmaci nel latte I chemio-antibiotici presenti nel latte possono provocare le medesime manifestazioni tossiche descritte per la terapia generale, soprattutto nei neonati. Le manifestazioni più importanti e più numerose sono: allergie, dermatiti, shock anafilattico (l’antibiotico funge da agente sensibilizzante o da agente scatenante). possibilità di determinare resistenza batterica (lattanti) possibilità di spostare la bilirubina legata alle proteine e provocare una sintomatologia piuttosto grave nei neonati (sindrome grigia da cloramfenicolo). Inconvenienti nei prodotti di trasformazione del latte La presenza di chemio-antibiotici a determinate concentrazioni modifica profondamente l’equilibrio della flora microbica presente nel latte inibendo principalmente lo sviluppo dei fermenti lattici. La cagliata resta voluminosa, vischiosa, molle e ripiena di siero che non può gocciolare. Si ha un abnorme sviluppo di coliformi che determinano produzione di gas e gonfiore del formaggio. Si possono avere inconvenienti anche nella produzione di burro (alterazione nella formazione di acido e dell’aroma), di crema acida, di yogurt, di siero di latte. L’Europa rivede la lista dei pesticidi Nel marzo del 2009 La Commissione europea ha completato la revisione sui pesticidi attualmente utilizzati e messi in commercio prima del 1993 (direttiva 91/414). Il riesame ha riguardato circa 1000 sostanze: solo circa 250 hanno superato la valutazione relativa alla loro sicurezza. La maggioranza dei principi attivi (il 67 %) è stata cancellata per incompletezza dei relativi dossier, o per mancato invio della documentazione richiesta alle aziende. Dal 16 marzo 2009 (update 7/12/2010) è disponibile sul sito della Commissione UE un database di libero accesso per tutti i cittadini sulle sostanze attive. http://ec.europa.eu/sanco_pesticides/public/index.cfm ) Residui di pesticidi in latte e derivati Residui di insetticidi Organoclorurati (molecole stabili e liposolubili) possono essere riscontati nel latte e derivati. Gli insetticidi Organofosforici sono invece poco stabili e poco persistenti anche se quelli più lipofili passano bene nel latte. I piretroidi, sono relativamente più stabili, ma poco tossici. Residui di erbicidi, fungicidi ed altri fitofarmaci possono essere presenti solo eccezionalmente. Per i pesticidi è stato in genere possibile abbassare i livelli di tolleranza fino ai limiti di determinazione analitica; soltanto per DDT e metaboliti viene mantenuto un livello di tolleranza relativamente severo (40 ppb nel latte intero). Residui di antielmintici nel latte Non destano particolare preoccupazione i residui che vengono scarsamente assorbiti come le tetraidropirimidine (pyrantel , morantel) o rapidamente eliminati (levamisolo, tetramisolo). L’ivermectina è dotata invece di notevole liposolubilità e ha un’emivita di alcuni giorni. I suoi residui nel latte si mantengono per settimane ed il suo impiego negli animali da latte è attualmente proibito. Per l’impiego nelle lattifere è da alcuni anni disponibile un’ivermectina semisintetica, l’eprinomectina, che consente un tempo di sospensione praticamente nullo a fronte di un LMR pari a 20 ppb nel latte. Tossicità dei benzimidazolici Alcuni benzimidazolici (mebendazolo, flubendazolo, albendazolo ecc.) hanno mostrato di possedere, come tali o come metaboliti, un’attività teratogena in animali da reddito (ovini) e da esperimento (ratti). Il meccanismo d’azione di questi farmaci sembra interferire con la formazione del fuso mitotico durante la replicazione cellulare e sarebbe responsabile degli effetti teratogeni. Fortunatamente, per quanto riguarda i composti teratogeni, esiste sempre una dose soglia al di sotto della quale l’effetto non si verifica e pertanto è possibile stabilire un LMR che dia garanzie al consumatore. Ormoni nel latte I requisiti per la produzione di latte stabiliti dalla norma che prevedono, tra l’altro, che gli animali: In zootecnia gli ormoni vengono utilizzati: ….. non abbiano subito trattamenti suscettibili di trasmettere al latte sostanze pericolose per la salute umana (fatto salvo il rispetto del tempo di sospensione); non abbiano subito trattamenti illeciti. legittimamente per cure mediche e per migliorare la capacità riproduttiva illegittimamente, come promotori di crescita, anabolizzanti o stimolatori. I trattamenti illeciti interessano principalmente il settore della carne mentre è frequente l’impiego legato alla sfera riproduttiva negli allevamenti di bovine da latte. Ormoni nel latte In letteratura è segnalata la presenza di estrogeni nel latte intero nella quantità di 50-70 ng/l e di 1013 mg/l per il progesterone. Il PNR non prevede la ricerca di anabolizzanti nel latte. Diverso è per i corticosteroidi che possono essere impiegati, da soli o associati ad antimicrobici, nel trattamento delle mastiti. Il PNR prevede la ricerca di FANS nel latte fissando il limite di accettabilità a 20.0 μg/L Metalli pesanti nel latte Nel latte possono essere presenti naturalmente, in traccia, Selenio, Rame, Iodio e Zinco. Questi elementi hanno effetti generalmente benefici ma l’assunzione non deve superare i limiti massimi tollerabili Se Cu I Zn – 300 μg al giorno negli adulti – 5 mg al giorno per gli adulti – 600 μg al giorno per gli adulti (250 nei bambini) – 25 mg al giorno per gli adulti Residui di metalli possono derivare anche da materiali a contatto, dalla contaminazione ambientale ad opera di attività industriali, dal traffico veicolare. Metalli pesanti nel latte Cadmio (dose massima 30 μg per Kg di peso/settimana) nel PNR si stabilisce, per i campioni prelevati, il limite di 8.0 μg/L Piombo (dose massima 1500 μg per Kg di peso/settimana) nel PNR si stabilisce, per i campioni prelevati, il limite di 8.0 μg/L Cromo (dose massima 700 μg per Kg di peso/settimana) Arsenico (dose massima 100 μg per Kg di peso/settimana) Il PNR non prevede la ricerca di questi metalli nel latte. In letteratura è segnalata anche la possibile presenza di nichel nel latte alimentare. Metalli pesanti Per quanto riguarda i prodotti lattiero-caseari, la contaminazione rispecchia i livelli trovati nel latte fresco, tenendo conto di fattori di concentrazione. I metalli possono essere associati con le frazioni del latte (ad esempio il piombo e il cadmio si legano fortemente alla caseina). L'utilizzo specifico di frazioni del latte può quindi concentrare o ridurre il rischio di presenza di metalli. Il latte ed i prodotti lattiero-caseari non sono i principali responsabili dell’ assunzione giornaliera di metalli pesanti. Melammina La melammina, o melamina è un composto eterociclico fortemente azotato, importante come materia prima per la realizzazione di polimeri. La melammina è insieme alla formaldeide concorre alla produzione di resine termoindurenti frequentemente utilizzate per la produzione di stoviglie e contenitori da cucina. Si può ottenere dalla calcio cianammide. Attualmente viene prodotta industrialmente dall'urea Melammina - tossicità La molecola non è particolarmente tossica, ma in presenza di acido cianurico (utilizzato per elevare legalmente il tenore di azoto nei mangimi animali in molti paesi), forma un composto pericoloso: il cianurato di melammina, insolubile che provoca la formazione irreversibile di calcoli renali. La melammina non è comunque innocua e viene indicata nelle schede di rischio come pericolosa se ingerita, inalata o assorbita attraverso la pelle. L'esposizione cronica alle polveri può provocare tumori e danni riproduttivi. Il problema principale consiste nell'interazione in vivo con diverse molecole (anche aldeidi) presenti nella dieta. Melammina – sofisticazioni alimentari Il composto (elevato tenore d'azoto!), può falsare la determinazione analitica della concentrazione di proteine negli alimenti. La sofisticazione avviene generalmente per aggiunta del composto nei mangimi animali. La contaminazione, oltre a causare direttamente danni all'animale stesso, può estendersi alle sue produzioni Per simulare in modo fraudolento una maggiore presenza proteica, si sono verificati gravissimi casi di intossicazione alimentare da melammina. Il primo episodio risale al 2005, in nord America, con fatti di evidenza veterinaria e morte di animali da compagnia Melammina – sofisticazioni alimentari Nel 2008 in Cina è stato sofisticato latte in polvere e non, di largo uso pediatrico. Il fatto ha causato gravi danni a renali a decine di migliaia di bambini (53.000 bambini intossicati, 13.000 ricoverati e 23 morti). In Italia, i controlli eseguiti (fino ad ottobre del 2008) hanno evidenziato soltanto tre casi positivi (due confezioni di latte sequestrate in provincia di Bari e una di yogurt in Campania) con concentrazioni (non letali ma comunque tossiche) che andavano dai 3 ai 22 mg/kg (contro i 2,5 del limite legale). Le quantità riscontrate nel latte cinese sono di 1000 volte superiori al nuovo limite massimo stabilito per l'ingresso in Europa. Melammina – sofisticazioni alimentari l’EFSA , nel considerare possibili effetti sulla salute da consumo ripetuto di prodotti contaminati con melammina, ha applicato una TDI (tolerable daily intake) di 0,5 mg / kg di peso corporeo. Secondo gli esperti EFSA, la dose massima di melammina tollerabile da una persona corrisponderebbe a 0,5 mg per ogni kg di peso. Ad esempio, un uomo di 80kg di peso corporeo potrebbe tollerare, per brevi periodi, fino a 40 mg di melammina al giorno. Sulla base di scenari ipotetici di esposizione stimata, anche in caso di consumo simultaneo di cioccolatini e biscotti contenenti latte in polvere contaminato, l’EFSA ha concluso che la situazione europea, almeno per ora, non solleva preoccupazioni per la salute degli adulti. Contaminanti alimentari nei materiali d'imballaggio Il Contatto di materiale da imballaggio con il cibo può comportare il trasferimento di tracce di sostanze chimiche particolari, come monomeri e plastificanti utilizzati nella produzione di polimeri (es. cloruro di vinile e stirene). Il cloruro di vinile è stato identificato come un agente cancerogeno del fegato nei modelli animali così come negli esseri umani. Lo Stirene è responsabile di danni renali ed epatici, edema polmonare, aritmie cardiache L'isopropiltioxantone o ITX è un derivato del tioxantone usato come agente fissante per inchiostro e vernici a serigrafia. In letteratura è definito come "moderatamente tossico" e "non cancerogeno“. l'ITX in polvere è considerato irritante per gli occhi, la pelle e l'apparato respiratorio. Sanitizzanti / disinfettanti Pulizia e disinfezione sono aspetti critici delle Buone Pratiche di Fabbricazione nel settore lattiero-caseario. Residui di detergenti e disinfettanti/disinfettanti possono contaminare il latte in azienda o negli impianti lattierocaseari, soprattutto se le operazioni di risciacquo sono effettuate in modo improprio. I residui di detergenti possono, come per gli antimicrobici, interferire con i processi tecnologici di trasformazione del latte o con la maturazione dei formaggi. Tutela della salute o ipocrisia? Etica del controllo pubblico: ciò che risulta pericoloso o inadatto non deve andare al consumo umano o animale Etica dell’autocontrollo: se l’operatore si accorge che qualcosa va storto deve trovare un rimedio per ricondurre il processo alla normalità. Nel frattempo deve comunque garantire che il prodotto venduto sia idoneo al consumo. Le irregolarità in autocontrollo vanno corrette lungo il processo, il controllo pubblico interviene in 2 modi: prescrittivo (per il ripristino di condizioni accettabili) risolutivo (gli alimenti sono già in commercio e l’operatore economico si è rivelato inaffidabile). Tutela della salute o ipocrisia? Pensare che gli operatori siano tenuti ad applicare le stesse regole del controllo ufficiale nell’autocontrollo è ipocrisia Le norme sul controllo ufficiale proibiscono: la miscelazione di prodotti contenenti residui oltre i limiti consentiti con prodotti idonei al consumo; l’utilizzazione di prodotti contenenti residui oltre i limiti consentiti, come ingredienti di altri prodotti l’allevatore viene disincentivato ad acquistare latte da altri allevamenti per “diluire” il proprio (anche se non testato), ma può acquistare capi non “positivi” e mungerli assieme agli altri. Scremare il latte si potrebbe (ma non serve in presenza di diossine e PCB); aggiungere panna serve ma non si può fare. Tutela della salute o ipocrisia? La gestione del rischio aflatossine nel latte ha messo in evidenza la schizofrenia del sistema italiano: il latte positivo, anche se debolmente positivo, non deve andare all’alimentazione umana o animale; i limiti previsti nel piano mangimi sono ampiamente superiori a quelli stabiliti per l’alimentazione umana; gli alimenti zootecnici risultati positivi all’aflatossina B1 non sono stati distrutti ma “razionati” in modo tale da ridurre la formazione di aflatossina M1 nel latte. diluire il latte positivo è proibito, “diluire i mangimi” è consigliato. Gestione del rischio Nella gestione del rischio è necessario non delegare le responsabilità sanitarie alla procura della repubblica: l’obiettivo sanitario deve prevalere sull’adempimento formale alla legge; premesso l’obbligo di tutela della salute pubblica della salute animale e dell’ambiente, esistono principi di buona amministrazione che devono essere tenuti in buona considerazione; è necessario essere rigorosi nel controllo ufficiale, anche perché le irregolarità che si rilevano sono spesso (non sempre) una prova oggettiva dell’irresponsabilità dell’operatore alimentare o della sua incapacità a tenere sotto controllo il processo produttivo; l’autocontrollo è un terreno di confronto tra controllati e controllori. La diluizione di alimenti risultati positivi, in casi circoscritti, può essere ammessa in un sistema di più regole rivolte a prevenire il ripetersi dell’irregolarità. Gestione e comunicazione Il rischio percepito in assenza di una corretta comunicazione scientifica è alla base della maggior parte delle “emergenze sanitarie” ed è pane per i media; comunicare il rischio è difficile perché si può facilmente scivolare: nel tecnicismo incomprensibile di chi comunica l’acquisizione scientifica, non la possibile politica sanitaria (Pericolo e rischio diventano la stessa cosa!); nella esagerata minimizzazione del problema (il consumatore viene trattato come un minorato mentale); la fiducia dei consumatori va costruita con onestà ed impegno, non è scontata. La credibilità della pubblica amministrazione è fondamentale nella comunicazione del rischio. la comunicazione del rischio non può essere lasciata ai magistrati né agli assetati di visibilità e facili carriere. Comunicazione Comunicare e parlare hanno significati diversi. La sincerità non consiste nel dire, ma nell'intenzione di comunicare la verità. Samuel Taylor Coleridge Della vita non bisogna temere nulla. Bisogna solo capire Marie Curie