Dalla Valle Versa…. …al Borgo di Ruino Percorso di ecoturismo realizzato dai ragazzi della Scuola Secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo Valle Versa (plesso di Santa Maria della Versa) Un Oltrepò di gusto È stato compiuto un attento studio geografico d’Italia, della Lombardia e di quella parte dell’Oltrepo Pavese Orientale, che comprende la Valle oggetto di studio. Per mezzo di approfondimenti cartografici, osservazioni, lezioni in classe e uscite sul territorio alla ricerca delle sorgenti del torrente Versa, i ragazzi hanno potuto realizzare un plastico rappresentante un tratto della vallata, mappe tematiche storico-naturalistiche, e approfondire le tradizioni e la cultura locale. Italia…. Lombardia… Oltrepò… Il bacino imbrifero del torrente Versa Il torrente Versa è lungo 27,2 Km. Nasce da sorgenti poste in prossimità di Ruino, a 523 m sul livello del mar,e e sfocia nel Po in località San Pietro (comune di Portalbera), a 50 m sul livello del mare. I principali affluenti di destra sono: ● Rio Scarabelli ● Rio Pascuà ● Rio Goretta ● Rio Prà del Gatto ● Fosso Gavino Rugolato Gli affluenti di sinistra sono: ● Torrente Versiggia ● Rio Vergombera ● Rio Bedo ● Rile La Valle Versa La Valle Versa, situata lungo il confine orientale dell’Oltrepò Pavese, si identifica con il bacino idrografico del torrente Versa, da cui prende il nome. E’ una valle piccola, stretta, ridente, lunga 20 Km. circa e diretta da sud a nord. Il bacino serve, per alcuni chilometri, come confine tra la provincia di Pavie e quella di Piacenza. Il crinale oscilla tra i 400 ed i 644 metri sul livello del mare. I due dorsali che la limitano, terminano con i colli di Montù Beccaria a levante e con lo sperone di Stradella a ponente. I numerosi paesi presenti lungo il corso, sono sui colli interni alla valle. Le località più interessanti, dai diversi punti di vista, che si incontrano seguendo il corso del fiume dalla sorgente alla foce, sono: • • • • • • • • • • • • • • • CANEVINO (pp. 9-12) VOLPARA (pp. 13-15) GOLFERENZO (p. 16-17) PIZZOFREDDO (pp. 18-23) MONTECALVO VERSIGGIA (pp. 24-28) SORIASCO (pp. 28-38) SANTA MARIA DELLA VERSA (pp. 39-44) DONELASCO (pp. 45-47) MONTARCO (pp. 48-49) SANNAZZARO (pp. 50-52) CASTANA MONTESCANO ROVESCALA (pp.53-54) CANNETO PAVESE VALDAMONTE (pp. 55-57) Canevino Il toponimo si trova citato per la prima volta nel documento del 940, sulla storia di San Colombano, dove si dice che quando le reliquie di S. Colombano, da Bobbio furono portate in pellegrinaggio a Pavia da re Ugo, il corteo, che attraversò tutte le proprietà del monastero di San Colombano di Bobbio, passò anche da Canevino, allora proprietà del monastero. In base al regio editto del 27 ottobre 1815 per il nuovo stabilimento delle province dipendenti dal senato di Piemonte e della loro distribuzione in mandamenti di giudicature e cantoni per le assise,Canevino veniva definitivamente inserito nel mandamento di Soriasco appartenente al secondo cantone della provincia di Voghera (regio editto 1815, ASCVo), sede di intendenza e prefettura e appartenente alla divisione di Alessandria. Nel 1947 venne ricostituito il comune autonomo di Canevino disaggregandone il territorio dal comune di Pometo. In base alla legge sull'ordinamento comunale vigente il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1971 il comune di Canevino aveva una superficie di ettari 474. Descrizione Piccola comunità di collina, classificata "comune sparso", ha un'economia essenzialmente agricola. I canevinesi, che presentano un indice di vecchiaia particolarmente elevato, sono distribuiti in varie località. Il territorio, che offre la più bella vista dell'Oltrepò montano, disegna un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche anche abbastanza accentuate: le quote sono infatti comprese tra i 300 e i 645 metri sul livello del mare. Storia Le sue origini risalgono molto indietro nel tempo: si tratterebbe infatti dell'antica CANAVINUM o CANABINUM. Non è chiaro se il toponimo vada riferito al latino CANABINUS, derivante a sua volta da "canába", che significa "capanna", o dal termine dialettale "canven", dove la radice "can" si richiama al giallo delle ginestre e "ven" indica la valle, per cui avrebbe il significato di valle gialla. Nel corso del Medioevo fece parte del feudo di Cigognola e fu conquistata da Galeazzo Visconti nella prima metà del XIV secolo. Delle vicende più recenti si ricorda la cosiddetta "battaglia di Bacà Mollio" che, nel corso della seconda guerra mondiale, vi si svolse tra partigiani, fascisti e tedeschi. Non vi sono infatti edifici di particolare rilievo architettonico, fatta eccezione per la chiesa parrocchiale, intitolata alla Madonna dell'Assunta. Meritano di essere citati anche i resti di una fornace scoperti di recente e datati tra il XVII e il XVIII secolo. Economia Se si escludono gli uffici deputati al funzionamento dei consueti servizi municipali e postali, non se ne registrano altri degni di nota. Il sindaco svolge, all'occorrenza, anche le funzioni di autorità di pubblica sicurezza, vista l'assenza sul posto di una stazione dei carabinieri. La principale fonte di reddito per la popolazione continua ad essere costituita dall'agricoltura: si coltivano cereali, ortaggi, foraggi e vite; molto importante è l'allevamento di avicoli. L'industria è rappresentata essenzialmente da un'impresa operante nel comparto del petrolio, affiancata da una modesta attività edilizia. Molto limitata è anche la presenza del terziario, che si compone solamente dei servizi essenziali. VOLPARA Il toponimo Volparia si trova citato nell'elenco delle terre del contado di Pavia del 1250 come appartenente all'Oltrepò (Soriga 1913). Volpara compare nell'elenco delle dichiarazioni del focatico del Principato di Pavia per l'anno 1537 come appartenente alla Congregazione rurale dell'Oltrepò e Siccomario (Focatico Oltrepò e Siccomario, 1537). Volpara nel 1634 è inserita come appartenente all'Oltrepò, nell'elenco delle terre del principato di Pavia censite per fini fiscali da Ambrogio Opizzone (Opizzone 1634). Con il trattato di Worms del 1743 Volpara passò sotto il dominio di casa Savoia. La comunità di Volpara è compresa nell'elenco delle terre e luoghi che hanno mandato un proprio rappresentante in Voghera alla riunione generale per l'elezione della congregazione dei possessori dei beni rurali nella parte del principato di Pavia detta Oltrepò nell'anno 1744 (Convocato Oltrepò, 1744). Con manifesto camerale del 9 novembre 1770 vengono stabiliti gli uffici di insinuazione, Volpara viene inserita nella tappa di Broni (Duboin). In base al regio editto del 27 ottobre 1815 per il nuovo stabilimento delle province dipendenti dal senato di Piemonte e della loro distribuzione in mandamenti di giudicature e cantoni per le assise, Volpara veniva definitivamente inserito nel mandamento di Soriasco appartenente al secondo cantone della provincia di Voghera (regio editto 1815, ASCVo), sede di intendenza e prefettura e appartenente alla divisione di Alessandria. Dipendeva dal senato di Casale, l'ufficio dell'insinuazione aveva sede in Broni e quello postale in Soriasco. Nel 1859 Volpara con una popolazione di 496 abitanti entra a far parte della provincia di Pavia, e viene inserito nel VIII mandamento di Soriasco del circondario di Voghera (decreto 1859). Nel 1971 il comune di Volpara aveva una superficie di ettari 389. GOLFERENZO Golferenzo è elencato tra le terre che l'imperatore Federico I pose nel 1164 sotto il dominio pavese; questo dovrebbe indicare che questo luogo dovesse avere un proprio castello con autonoma giurisdizione. In epoca successiva, con il vicino Volpara, condivise le sorti di Montecalvo Versiggia, posseduto dal XIV secolo dai Beccaria. Nel 1929 fu acquistato dai Dal pozzo. Nel 1690 Golferenzo fu venduto ai Belcredi, insieme a Montecalvo. Il feudo di Montecalvo, con Volpara e Golferenzo, durò fino al 1797, quando il feudalesimo fu abolito. Alla fine della seconda guerra mondiale gran parte del territorio comunale rimase di proprietà della famiglia Belcredi. Monumenti e luoghi d’interesse presenti a Golferenzo Visitando il piccolo centro storico, ancora oggi è possibile osservare, seppur solo dall’esterno poiché si tratta di proprietà privata, l’antico Palazzo dei Signori, le prigioni e la suggestiva chiesa di San Nicola (solitamente aperta la domenica mattina). PIZZOFREDDO Storia La più antica forma di popolamento accertata sul territorio di Pizzofreddo risale alla prima epoca imperiale romana . I residenti più anziani, nati e vissuti nel paese, raccontano che in tempi lontanissimi sorgeva nella valle del torrente Bardonezza un susseguirsi di insediamenti tanto estesi da lambire la periferia dell' attuale Pizzofreddo , dal nome Rosara. Fiorello Beccaria fu il primo signore feudale di Pizzofreddo , signore anche di Rocca de Giorgi . Pizzofreddo fu una delle località che non furono devastate dai Piacentino-Milanesi nella celebre incursione del 1316 . Sono molti gli elementi di studio di Pizzofreddo, fra cui le strutture dell' abitato . L’assenza di mura o di altre opere difensive e l'esigua vicinanza con il confine fecero di Pizzofreddo un insediamento agricolo e commerciale; ai primi decenni del XIV secolo risale la costruzione della torre colombaia intorno alla quale sorsero gli insediamenti agricoli. Ai primi decenni del 1500 risale una testimonianza della celebrità di Pizzofreddo: si tratta di un' opera figurativa, che si trova nella sala delle mappe dei palazzi Vaticani in Roma ed è una delle poche località dell' Oltrepò citate. Pizzoofreddo fu invasa dalle epidemie della colera e il morbo. Si narra la tradizione che a Pizzofreddo ci fosse la dogana , alla frontiera con il Ducato di Parma. La dogana fu operativa sino al 1859-1860, fino all’invasione da parte del Ducato di Parma e di Piacenza, che ne vanificò la ragion d’essere. Negli anni 1875 e 1955 ci risale la testimonianza di una lite tra la popolazione di Pizzofreddo e quella di Soriasco per l' istituzione di una scuola in Pizzofreddo . Nei anni 1901 e 1911, il territorio di Pizzofreddo, risultò il più popolato del comune, fatta eccezione per il capoluogo, trasferito a Santa Maria della Versa. Dopo la prima guerra mondiale risultano solo 3 i decorati di medaglie d'argento: Paulo Achilli, Umberto Scarabelli e il sergente Luigi Maini. La via di Pizzofreddo che scende nel centro abitato , è dedicata a Carlo Scarabelli, un giovane che intraprese gli studi universitari in legge. Era affascinato dalle idee dei Mille e indossò la Camicia Rossa alla seconda spedizione. Carlo Scarabelli fu ferito sul Volturno, meritando i gradi di sergente. Morì nel 1922, i cimeli di Pizzofreddo: la divisa e la boraccia da cui bevve Garibaldi sono stati donati al Museo dell’Artigianato. Curiosità A Pizzofreddo c’è la Torre colombaia. Troviamo, inoltre, la scuola e la chiesa. In prossimità ci sono i resti della torre di Pizzofreddo, che era alta almeno il triplo si quello che resta oggi. Sono state trovate 300 monete d' argento , vicino a un pozzo , dove c'era una fornace romana. MONTECALVO VERSIGGIA L’origine del nome presenta alcune incertezze che hanno dato modo agli studiosi di avanzare ipotesi non prive di accenti coloristici. La difficoltà maggiore nasce dall’accordo del nome Monte con il termine Calvo. Infatti, ciò farebbe pensare ad un’ altura priva di vegetazione, quando in realtà in luogo è tutt’altro che spoglio oggi prevalgono due interpretazioni. La prima sostiene l’origine latina del toponimo Mons Calvinus, dove Calvinus è un semplice appellativo privo di significati particolari. La seconda, pur ipotizzando anch’essa l’origine latina del nome sostiene che esso derivi da Car o Cal, cioè ‘monte’ in antico dialetto del luogo. Certo è che il “Monte Calvo non è” come dice il Dossi in un sonetto. Storia Il comune di Montecalvo Versiggia si estende su una superficie di 1116 ettari, tutti posti in collina, con altimetria variante tra i 175 e 479 metri sul livello del mare. A 410 metri è situato il capoluogo di Crocetta, mentre l’altitudine prevalente oscilla tra i 200 e 300 metri. Delimitato a levante dal corso del torrente Versa e a ponente da quello dello Scuropasso, il territorio è attraversato in direzione sud-nord da un altro corso d’acqua, il torrente Versiggia che divide geograficamente il territorio in due parti. Situato sulle colline dell’Oltrepo, il paese costituisce uno dei fiori all’occhiello della provincia di Pavia. Il castello di Montecalvo Versiggia Il castello con le case che gli fanno da corona è sicuramente l’abitato più importante del comune. Per parecchi secoli Montecalvo si è identificato con il castello, infatti i due termini sono stati usati spesso come sinonimi. Il castello fu nelle mani della famiglia Beccaria fino al 1621. Dal quel momento la proprietà sarà divisa: il castello passera a Giuseppe Pietragrassa Beccaria, mentre il feudo sarà dei Belcredi. Esso rimane a lungo disabitato dopo il 1800. Durante la Seconda guerra mondiale fu sede di un comando partigiano nuovamente abbandonato. Attualmente è stato suddiviso in due appartamenti e le sue cantine aperte al pubblico. Monumenti di Montecalvo Versiggia È presente anche una chiesetta chiamata Antica Pieve, circondata da un cimitero di lebbrosi che risale al XIV secolo. Negli ultimi anni è stata ristrutturata, ridipinta e donata alla chiesa parrocchiale. Un basso rilievo rappresenta la “Madonna dell’uva” del pittore Delfitto rappresenta la Madonna e i bambini in mezzo ai vigneti di Montecalvo e sullo sfondo si possono vedere la chiesa e il campanile locale. Tradizioni In occasione della festa patronale (S. Alessandro martire) ormai da anni si tiene un concerto di musica classica sul sagrato della chiesa parrocchiale. La domenica precedente si svolge una corsa ormai rinomata. “La coppa Pinot” con esposizione dei vini di produttori locali, nelle cantine del castello con degustazione. Si tiene anche una mostra di quadri di pittori della zona presso una sala messa a disposizione per l’occasione. SORIASCO Arroccato su di un colle, nel cuore della Valle Versa, sorge Soriasco, piccolo e grazioso borgo dalle origini antichissime, probabilmente romane. “Una pomposa chiesa, un altissimo campanile, un massiccio palazzotto, un vecchio castello, un’antica torre, poche case” ecco Soriasco, descritto con mirabile capacità di sintesi paesaggistica dal Conte Cavagna Sangiuliani. Oggi, poco è cambiato dalla fisionomia generale ad eccezione del campanile, più che dimezzato rispetto all’alzato originale e di quelle case tutte ristrutturare. Riguardo alla sua fondazione, non si sa nulla di preciso, alcuni storici pensano che sia stato fondato in epoca romana, perché considerato insieme ai paesi di Rovescala, Montarco e Montecalvo Versiggia; altri invece tendono a considerare l’eventualità di una fondazione più tarda, cioè a quella ligure, ciò si capisce dalla desinenza in –asco presa da un latino ligurizzato. Il nucleo insediativo viene a trovarsi su una sommità detta Poggio Castelliere o Castellaro, infatti in passato era il luogo più ricercato e preferito dalle popolazioni dell’Età del Bronzo o anche da quelle Liguri, perché riparato dalle colline sovrastanti e non soggetto a venti o intemperie. Non solo per questi motivi, ma anche per la ricchezza di acqua nel sottosuolo e per la fertilità del pendio che garantivano il necessario sostentamento della vita della comunità. Sfortunatamente il popolo ligure non era dedito all’arte edilizia, infatti la maggior parte delle abitazioni era di materiale facilmente reperibile in natura (legno, paglia..) ma, proprio poiché reperibile, nulla è rimasto. Secondo una consuetudine assai diffusa nell’antichità, Soriasco vide una serie ininterrotta di sovrapposizioni insediative, pertanto l’abitato di età romana doveva sorgere esattamente sull’area poi occupata dal borgo medievale. Per questo motivo non deve stupire la presunta mancanza di affioramenti archeologici, considerate le distrazioni, i rifacimenti ed i numerosi stravolgimenti edilizi vissuti da Soriasco nel corso dei secoli. Situato in una zona limitrofa a Soriasco, si erge il nucleo abitato di Ca’ Scodella, che costituisce un grosso enigma. E’ infatti noto che decine e decine di anni fa, durante gli scavi per le fondamenta delle case degli abitanti, affiorò una messe vera e propria di reperti ceramici. Essi vennero definiti scodelle, da cui appunto prese il nome il piccolo centro. Dalla fondazione fino al IX secolo, non si ebbe nessuna notizia certa per quanto riguarda la storia di Soriasco. La Dipendenza di Soriasco dal Monastero di Bobbio I primi documenti riguardanti la storia di Soriasco, citano la dipendenza del piccolo paese dal monastero di Bobbio. Nel primo inventario dell’abate responsabile dopo la metà del IX secolo, Soriasco era classificato come plebs, ciò sottintende l’esistenza di un importante luogo di culto dedicato a S. Gaudenzio, martire del IV secolo, e quindi, grazie a questa testimonianza, possiamo far risalire la nascita della Chiesa parrocchiale alla tardissima età romana. Dopo questa testimonianza, un altro documento importante ritrovato, fu un diploma per la concessione alle terre del Monastero di due significative regalìe, ovvero l’istituzione di un libero mercato annuale con esenzione della franchigie di transito e di vendita e la liberazione di tutti i sudditi residenti nei possedimenti fondiari dell’abbazia. In pratica dal 903 si poteva tenere in Soriasco il mercato, e la servitù non aveva più luogo d’essere. Nei decenni successivi Soriasco subì vari cambiamenti, fu possesso della diocesi di Piacenza, di quella tortonese, ancora di Bobbio e infine della diocesi pavese. Le lotte tra i comuni piacentini, pavesi e milanesi portarono morte e distruzione. Il 1217 riportò la pace tra i Comuni e Soriasco ritornò a far parte del pavese. Dei rigogliosi frutteti, delle miriadi di vigneti, delle distese di boschi, lavoro di generazioni, non rimanevano che fumanti rovine annerite. Nei secoli successivi regnarono varie famiglie quali i Giorgi, i Del Pozzo, i Gambarana. Il picolo ma forte paesino, passò attraverso pestilenze, morti, crisi demografiche. Subì le stesse sorti dell’Italia: la dominazione spagnola, quella austriaca, l’esperienza napoleonica, l’annessione al Regno di Sardegna. Durante le guerre d’indipendenza si verificò un fatto molto spiacevole. Già dal 1853 Soriasco stava gradualmente perdendo valore perché nella borgata di Santa Maria della Versa incominciarono ad apparire caffè, alberghi, negozi, abitazioni, inoltre venne trasferita la fiera ed il mercato settimanale, dopo la partenza degli Austriaci scomparirono le barriere doganali e la nuova borgata era pronta a divenire un punto di riferimento per il commercio, si stabilirono le sedi della giudicatura mandamentale e gli uffici comunali. Soriasco divenne sede delle prigioni, ma si apprestava a vivere i suoi ultimi anni di vita comunale, a causa della mancanza di spazi e della vetustà delle sue strutture medievali. Sfortunatamente nel 1893 il decreto reale di Umberto I sanciva ufficialmente il passaggio delle consegne amministrative. S. Maria della Versa diveniva comune e Soriasco, che aveva combattuto nel tempo contro ogni problema, si confondeva con le altre frazioni. Monumenti e costruzioni storiche LA CHIESA PARROCCHIALE Un tempo dedicata al culto dei S.S. Gaudenzio, Giacomo e Maria, ed attualmente alla Beata Vergine del Carmine, la parrocchiale di Soriasco si eleva su una piazzetta situata tra il torrione medievale, tragica memoria del passato ghibellino del paese, ed il palazzo Faravelli, esternazione di opulenza agricola ottocentesca. Per quanto possano trarre in inganno le apparenze, occorre qui ricordare che la chiesa attuale non è frutto di costruzione nata di getto, ma di una serie di rimaneggiamenti architettonici ed estetici che hanno il loro incipit dalle strutture della primitiva cappelletta, eretta dai nobili Giorgi nel lontano 500. IL PALAZZO FARAVELLI Un tempo era possedimento di Cesare Faravelli, uno dei primi azionisti della Cantina vitivinicola “La Versa”, il quale, non avendo eredi, lo lasciò alla Congregazione Sacra Famiglia di Nazaret, una comunità di frati ancora oggi proprietari. Un tempo era una grande azienda agricola produttrice oltre che di vino, di frutta, soprattutto mele e pere. LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE Inizialmente occupava una parte del castello, ora diventato privato ed abitato, poi è stata trasferita in un edificio alla “periferia” del paese. IL VECCHIO ASILO E’ un edificio di tre piani ancora abitato ma di proprietà della Congregazione perché luogo, in passato, dove insegnavano le suore. All’interno sono ancora presenti le aule con i seggiolini ed i banchi usati dai bambini, un’aula, dove i bimbi facevano le recite, caratterizzata da un palco con i tendoni, un tempo il sipario, il secondo piano è occupato dalla chiesetta costituita da un altare, dalle panche e dalla statuetta della Madonnina, che in passato era luogo di preghiera dei bimbi. IL CASTELLO Nel XI secolo l’abitato venne fortificato con la costruzione di un castello e due cinta murarie dotate di ben dodici torri con funzione di difesa. A causa delle incursioni piacentine tra il 1215 e 1216 il castello subì gravi danneggiamenti e non venne più ricostruito. Quello che oggi si dice “Castello di Soriasco” è in realtà una residenza castellata del ‘700. Delle mura di cinta rimangono alcuni tratti, uno dei quali presenta ancora una delle dodici torre difensive, in pietra locale, oggi facente parte di un’abitazione privata. Ma è la torre quadrata, che si innalza per circa 23 metri nella parte settentrionale del paese, la testimonianza più significativa dell’antico borgo fortificato. Essa non faceva parte delle mura di cinta, si trattava probabilmente di un ulteriore elemento difensivo. E’ anch’essa di pietra locale e presenta finestre ad arco a tutto sesto, talune in arenaria, altre in mattoni. In passato si dicevano essere dodici, e stavano a rappresentare Gesù e i dodici apostoli. SANTA MARIA DELLA VERSA Santa Maria della Versa è un paese “giovane” rispetto alle proprie frazioni: fino al 1897 fu una frazione di Soriasco. In seguito divenne il centro commerciale e agricolo della valle. Diversamente da altri paesi, come Soriasco, Montù Beccaria e Volpara, S. Maria della Versa non era sotto il controllo di nessuna famiglia, infatti era dominante. L’elemento più antico del paese è la chiesa situata in via Garibaldi. Ancora prima che nascesse il paese, fu costruita, pare, nel 1365 sulla sponda sinistra del Versa una cappelletta campestre in onore della Madonna della Versa. CURIOSITA’ LA CHIESA Secondo la tradizione locale, la devozione per la Beata Vergine ebbe origine dall’apparizione di una ragazza muta di Villanova. Nel luogo dell’apparizione, situato fra pini e querce, sorse la chiesetta che conservava un dipinto su tavole di legno, che pare essere di Scuola Leonardesca; questo rappresentava la Madonna con le mani incrociate sul petto ed era conservato sull’altare maggiore della chiesa: recentemente ha subito un restauro, dopo il quale è stato riposizionato. La costruzione della nuova chiesa risale al 1639 e fu realizzata grazie a offerte popolari in pieno stile barocco. IL PALAZZO FARAVELLI L’altro edificio importante di S. Maria, è situato di fronte alla chiesa: un palazzo appartenente alla famiglia Faravelli. Successivamente è stato ristrutturato ed ora è una villa abitata. IL MULINO Un altro elemento fondamentale di S. Maria è il mulino che si trova in via Roma ed è ancora in attività. Tale costruzione è presente in paese dall ‘800,prima appartenuta alla famiglia Tirelli fino al 1941 e successivamente fino ad oggi alla famiglia Bruciamonti. Ai tempi dei Tirelli, l’edificio era adibito sia ad un mulino che ad un pastificio. Si chiama ancora oggi “Mulino nuovo”. Ma a S. Maria non era l’unico. Ancora oggi, il comune ricorda il nome di “Mulino vecchio” , riferendosi all’edificio, ora trasformato in abitazione, che si trova vicino alla piazza Vittorio Veneto. Si tratta di una costruzione molto antica, in sassi. Lo stile architettonico, gli infissi e gli architravi fanno pensare che la struttura si possa collocare alla fine del ‘600 o al ‘700. Il mulino funzionava con una grande ruota di ferro che girava spinta dalla forza di caduta dell’acqua e metteva in movimento le macine. L’acqua veniva prelevata dal torrente Versa e, convogliata attraverso un canale (chiamato Bedo) che si staccava dal torrente presso la località Cattafame, veniva usata come forza motrice per la ruota. Esiste un documento del 1933 che autorizza il prelievo dell’acqua dal Versa per quattro mesi all’anno perché per i restanti 8 mesi il torrente rimane asciutto. Il documento aggiunge : “L’utenza viene esercitata in forza della regia patente 13 febbraio 1787 e da tale data viene sempre regolarmente pagato il relativo canone”. Ciò dimostra quindi che il mulino era attivo nel XVIII secolo, anche se non sono stati trovati documenti specifici. L’ultima famiglia ad esercitare l’attività di mugnaio fu la casata dei Moroni. Il Sig. Moroni Angelo arrivò a S. Maria all’inizio degli anni novanta. Proveniva da Portalbera, dove molto diffusa era l’attività di mugnaio con i mulini ad acqua. Insieme al figlio Giuseppe, esercitò l’attività utilizzando la forza motrice della ruota nei mesi invernali e l’elettricità nei periodi estivi. Negli anni ’40 Giuseppe si ritirò dal lavoro, la ruota fu venduta e il mulino cessò di esistere e diventò abitazione civile. IL MONUMENTO AI CADUTI L’ultima costruzione che caratterizza il paese, è il monumento ai caduti, situato in piazza Vittorio Emanuele II che fu inaugurato dopo la Prima guerra mondiale nel 1922. In quei tempi, il municipio si trovava in questa piazza, mentre oggi è situato in via Francesco Crispi. DONELASCO Donelasco è situata a 270 m. di altitudine dal livello del mare fa parte insieme ad altre località del comune di Santa Maria della Versa. Donelasco è un luogo di antichissime origini, anche se non precisamente databili. I danni delle guerre medievali ed i conseguenti e numerosi rifacimenti costruttivi subiti nel corso del tempo, non ultimo lo sviluppo edilizio nel XX secolo hanno contribuito a cancellare ogni memoria di antichità dell'abitato. Tuttavia nei primi anni del 1900 nei pressi delle rovine dell'antico perimetro difensivo del castello; scavando le fondamenta di un edificio,affiorarono alcuni elementi architettonici in pietra lavorata,attribuiti si dice ad un luogo di culto databile all'età romana (I d.C.). Altre testimonianze romane nel territorio di Donelasco sono riscontrabili all'incrocio stradale, all'altezza del cimitero. Nel 1412 Gian Galeazzo Visconti, per beneficare uno dei suoi più fedeli capipartito, donò al suo feudatario Rainalia Beccaria il luogo di Donelasco. Nel 1631 si abbattè sulla popolazione la peste. Il flagello di cui parla Manzoni imperversò favorito com'era dalla poverissima dieta della comunità, dalle pressochè inesistenti condizioni igieniche, ma sopratutto dalla grande siccità. Dopo il passaggio della peste morirono 42 persone su 130 abitanti e furono sepolte in una fossa comune, nei pressi della frazione Torre, dove pare esistesse anche un lazzaretto. Nella seconda metà del 1600, Donelasco fu acquistata insieme a Soriasco dai Gambarana, nobili milanesi che già possedevano il Casale. Così Donelasco divenne la capitale morale del feudo "Mariese" e Soriasco prese il ruolo di predominio che le era stato proprio per tanto tempo. Nel 1929 un decreto regio regalò la qualifica di Comune, retrocedendo questo antichissimo abitato a frazione Santa Maria della Versa. CURIOSITA’ La chiesa di Donelasco è una delle poche che suona il quarto d’ora. MONTARCO Il toponimo come Mons Arcis è incluso nell'elenco delle terre del contado pavese del 1250 appartenente all'Oltrepò (Soriga). Montarco compare nell'elenco delle dichiarazioni del focatico del Principato di Pavia per l'anno 1537 come appartenente alla Congregazione rurale dell'Oltrepò e Siccomario. Come Mont’Arco nel 1634 è inserito come appartenente all' Oltrepò,nell'elenco delle terre del Principato di Pavia censite per fini fiscali da Ambrogio Opizzone (Opizzone 1634). All'inizio del XIX secolo venne unito a Soriasco il comune di Mont'Arco, detto anche anche Sannazzaro dal nome della chiesa parrocchiale. Era un luogo molto importante , essendo citato nel diploma di Federico I del 1164. Nel 1216 fu bruciato dai confederati Lombardi, in lotta con Pavia. Appartenne probabilmente ai Sannazzaro e c'è chi sospetta che il cognome derivi da questo luogo. Fu incluso nel feudo di Broni, cui restò fino alla sua fine, e di esso (dopo che ne furono staccati Canneto e Castana ) rimase, isolato, il territorio più meridionale. CURIOSITA’ La chiesa è la più antica della diocesi di Piacenza. Sannazzaro STORIA Sannazzaro è un piccolo paese situato in una zona del comune di Santa Maria della Versa. La chiesa (danneggiata dal terreno friabile) è stata dedicata a Sannazzaro e Celso ed è la più antica che si può trovare in collina in tutto l'Oltrepo Pavese. La dimostrazione dell'antichità della chiesa risulta anche da quindici tombe situate sotto la pavimentazione rimossa di recente dove vi erano salme di Romani. Essa fu fondata dal parroco Giulio Gattono. Nel 1985 fu necessario eseguire un restauro a causa della sua pendenza: il pavimento fu , quindi, rifatto per la terza volta. Anche il campanile però subì alcune riparazioni. LA CHIESA DI SANNAZZARO OGGI Al suo interno si trova un'epigrafe che recita: "In omaggio a Gesù Cristo Redentore . L'anno santo MCM il prevosto Don Enrico Maggi ed i parrocchiani di S . Nazzaro Montarco fecero innalzare al tetto della chiesa il presente campanile aggiungendo orologio e campana maggiore" . Anche l'arredamento della chiesa denota l'antichità di quest'ultima ; vi figurano : - Due altari in marmo nero risalenti al 1700 . Quello centrale , invece , proviene dalla Svizzera . - Una statua raffigurante la Madonna ricavata da un unico pezzo di legno proveniente da un albero intero risalente al 1300 - Il battistero in memoria di Gino Barzizza . - Altri oggetti che completano l'arredamento sono : il medaglione delle indulgenze e l'organo che risale al 1914 . - Gli affreschi del pittore Pizza di Castel San Giovanni realizzati nel 1950 . Fra i soggetti più significativi vi sono : Marco , Matteo , Luca , Giovanni nel presbiterio ; vari santi nella volta quali San Pio perché ricorda la comunione . Teresina del bambin Gesù , San Francesco protettore delle missioni , San Nazzaro e Celso . Vi sono anche diversi quadri rappresentanti la Madonna , Santa Lucia , San Giuseppe , due statue di San Antonio e San Luigi . - L'abside fu costruita nel 1895 in occasione dell'ampliamento della chiesa e ricorda la crocifissione di Gesù . Un altro elemento molto importante da ricordare è che la chiesa non è solo benedetta , ma anche consacrata , come dimostrano le croci nei pilastri (consacrata , infatti , significa unta con le croci e benedetta , invece , significa che è stata appunto benedetta con l'acqua santa). ROVESCALA Rovescala ha come attività prevalente la viticoltura, con 156 aziende che producono il noto vino Bonarda. Curiosità Come attrazione turistiche si può citare una graziosa Cappella di fine secolo, in stile gotico, dedicata alla Madonna di Caravaggio, festeggiata il 26 maggio. Sulla piazza principale sorge la Chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria che risale al 1600 ed è di stile rinascimentale-barrocco. All’interno si trova un organo, un Cavalli del 1700 con 865 canne e il campanile, alto circa 45 metri, è formato da sei campane in re minore. Sulla facciata della canonica è presente una meridiana costruita di recente. In centro, sotto il comune, si trova un Museo storico Agricolo dove sono presenti attrezzi dell’antico mondo contadino. VALDAMONTE L’abitato di Valdamonte, situato alla periferia sud orientale del mariese, sorge sopra ad un podio a mezza collina esattamente come Soriasco e Donelasco. Affinità questa da apportarsi ad antiche esigenze di natura abitativa e difensiva. Le ricerche di superficie, altrove utilissime per riscrivere un passato non tramandato, in Valdamonte e vicinanze non hanno purtroppo portato a risultati concreti. I moti franosi degli anni settanta e i successivi lavori di bonifica e soprattutto la fitta viticoltura sembrano aver cancellato ogni traccia di tempi antichi. Storia Dell’esistenza di Valdamonte si ha certezza solo negli ultimi tempi del Medioevo. Nel 1510 venne a morte la Magnifica Franceschina Beccaria vedova del conte Antonio Giorgi signore di Soriasco e di altri luoghi fra cui appunto Valdamonte. Per lascito testamentario Soriasco, Pizzofreddo e Valdamonte toccarono al figlio Belisario: correva l’anno 1518 e da questa data si riperdono le tracce storiche dell’abitato oggetto del nostro studio. Lo scopo per cui si decise di fondare Valdamonte non ci è stato tramandato: lo si potrebbe ritenere come una filiazione insediativa di Soriasco, finalizzata allo sfruttamento agricolo. Tuttavia, la presenza di una torre, forse colombaia, sulla sovrastante collina e di un piccolo insediamento – Poggio da Monte – lambito dalla strada supra collinare “della Costa” ci suggeriscono di considerare un’altra possibilità. Valdamonte potrebbe anche essere stata fondata per creare un sicuro punto di sosta e transito per i carriaggi diretti e provenienti dal Piacentino. Nelle antiche mappe si vede infatti come il tratto stradale che tuttora unisce Valdamonte a Poggio da Monte prosegua perdendosi nel pendio collinare scavalcando la Bardonezza con direzione Vicobarone. Questo consentirebbe di ipotizzare la fondazione di Valdamonte alla fine del XIV inizi del XV secolo, epoca in cui i possedimenti feudali dei Giorgi risultavano circondati da quelli dei Beccaria con conseguente esborso di pesanti dazi per i transiti commerciali. Il matrimonio dinastico Giorgi-Beccaria pose fine al problema e dal 1518 la storia di Valdamonte si fonde con quella della più nota Soriasco. Economia La Valle Versa è una zona molto interessante dal punto di vista enogastronimico. Il nostro territorio è famoso principalmente per i vini pregiati, di Denominazione di Origine Controllata. Storia del vino dell’Oltrepò Pavese Oltrepò Pavese DOC- Caratteristiche e Storia. Vino a denominazione di origine Controllata Oltrepò Pavese DOC La storia dell'Oltrepò Pavese DOC : la DOC Oltrepò Pavese nobilita con la Denominazione di Origine Controllata tutta una serie di vini e vitigni storicamente prodotti nella provincia di Pavia , che sin dall'ottocento costituiva il serbatoio dei vini da tavola per privati e locande di Milano e del suo hinterland. Vini e vitigni di questi vini venivano scelti principalmente in base alle capacità produttive , alla resistenza al clima , alle intemperie e ai parassiti. Questo non esclude che , soprattutto con l'arrivo delle moderne tecnologie di vinificazione e con la riscoperta di vitigni interessanti come la bonarda , abbia permesso di produrre negli ultimi decenni vini via via più qualitativi ed apprezzati dagli enoappassionati. Vitigni utilizzati per produrre l'Oltrepò Pavese DOC L'Oltrepò Pavese può essere prodotto sia nella versione Bianco che nella versione Rosso e Spumante . Come già detto sopra , i vitigni venivano anticamente scelti principalmente in base alle capacità produttive , alla resistenza al clima , alle intemperie e ai parassiti. Negli ultimi decenni , con la crescente ricerca della qualità e il sempre maggiore appeal degli autoctoni , hanno ottenuto particolare rilievo vini come l'Oltrepò Pavese Bonarda ( o Croatina ) o l'Oltrepò Pavese Barbera. Per la vinificazione dell'Oltrepò Pavese Spumante è utilizzato in prevalenza il Pinot Nero e, in parte , il Pinot Grigio , il Pinot Bianco e lo Chardonnay. Pinot Nero ( vinificato in bianco ) e Chardonnay sono utilizzati anche per l'Oltrepò Pavese Bianco , anche se il vitigno principe di questa tipologia è senz'altro il Riesling , sia nella versione Oltrepò Pavese Riesling Italico che nella versione Oltrepò Pavese Riesling Renano. Un vitigno particolarmente importante è il Moscato. Zona di produzione dell'Oltrepò Pavese DOC La zona di produzione è abbastanza estesa e comprende ben 42 comuni di un territorio che è delimitato a Nord dall'autostrada Voghera-Piacenza), a Ovest dalla Provincia di Alessandria e ad Est dalla Provincia di Piacenza. All'interno di questa ampia zona , ve ne sono altre particolarmente vocate alla produzione delle varie tipologie di Oltrepò Pavese : per l'Oltrepò Pavese Barbera particolarmente vocati sono i comuni di Casteggio , Montecalvo Versiggia , Montù Beccaria , Pietra De' Giorgi , Rovescala e Santa Maria della Versa. Casteggio è vocata anche alla produzione dell'Oltrepò Pavese Bonarda , insieme ad altri comuni quali Broni , Stradella , Montalto Pavese, Canneto Pavese e Torricella Verzate. Fra Casteggio e Stradella si sviluppano anche gran parte dei vigneti di Pinot Nero dell'Oltrepò Pavese Spumante , mentre la zona più vocata alla coltivazione dell'Oltrepò Pavese Riesling è quella delle prime colline che dalla Pianura Padana salgono verso gli Appennini , ancora una volta intorno a Broni , Stradella e Casteggio , che sono insomma il vero "epicentro" di tutta la DOC Oltrepò Pavese. Una zona particolarmente vocata alla produzione di un vino importante come il MOSCATO DOC OLTREPO PAVESE è la zona dell’Antica Parrocchia di Volpara, che interessa i Comuni di Volpara, Golferenzo e Canevino. Proprietà organolettiche Ancor più delle sottozone di produzione , le proprietà organolettiche dipendono dalla tipologia di Oltrepò Pavese considerato. L'Oltrepò Pavese Rosso è un classico vino da tutto pasto , nella versione Bonarda o Croatina spiccano al naso gli aromi di marasca e mandorla amara , che si ripropongo anche al palato. Nell'Oltrepò Pavese Barbera , invece, prevalgono al naso le note fruttate, mentre al palato si denota un piacevole fondo acidulo. Fruttato e aromatico anche l'Oltrepò Pavese Riesling, con profumi di mela , pesca , albicocca e mirtillo . L'Oltrepò Pavese Spumante , invece , è fresco con note di crosta di pane e vaniglia , dal sapore asciutto , morbido e di buon corpo. Abbinamenti consigliati Come già detto, l'Oltrepò Pavese Rosso è un vino da tutto pasto e si accompagna sia agli antipasti a base di salumi, che ai primi piatti come risotti, ravioli e pastasciutte con salse di carne, che a secondi piatti, fra i più disparati come carni rosse, carni bianche , bolliti ed umidi molto diffusi in Val Padana. L'Oltrepò Pavese Bianco , soprattutto il Riesling , accompagna bene fritture , verdure e piatti a base di pesce. L'Oltrepò Pavese Spumante , infine , è un ottimo aperitivo, ma si può anche accompagnare a piatti di mare. Vini D.O.C. Barbera D.O.C. Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45% Caratteristiche: Gradazione alcolica minima 12° Può essere proposto in versione fermo o vivace Colore: rosso rubino vivo più o meno intenso Profumo: Intenso, vinoso, ricorda la confettura di frutta rossa, con sfumature speziate Sapore: equilibrato, di buona persistenza e struttura Abbinamenti: Accompagna egregiamente selvaggina, cacciagione da piuma e piatti di carne in genere, elaborati Bonarda D.O.C. È prodotto con uve ottenute dal vitigno Croatina, autoctono dell'Oltrepò Pavese, per almeno l'85% Caratteristiche: È' presente nelle prime Denominazioni di Origine Controllata assegnate all’ Oltrepo Pavese nel 1970. Può essere fermo, vivace, frizzante, secco, amabile, dolce, ma anche affinato in legno (nella versione fermo e secco). Colore: rosso rubino carico con riflessi violacei, brillante, di mediobuona viscosità Profumo: fine, intenso, franco; piacevole il richiamo ai piccoli frutti, il floreale, ma anche lo speziato Sapore: di buona struttura,leggermente tannico, medio-lunga la persistenza aromatica Abbinamenti: Ottimo con salumi, agnolotti con sugo di brasato, piatti con sughi leggermente unti. Buttafuoco D.O.C. Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45% Caratteristiche: Gradazione alcolica minima 12°. Può essere proposto in versione fermo o vivace Colore: rosso rubino vivo più o meno intenso Profumo: intenso, vinoso, ricorda la confettura di frutta rossa, con sfumature speziate Sapore: equilibrato, di buona persistenza e struttura Abbinamenti: Accompagna egregiamente selvaggina, cacciagione da piuma e piatti di carne in genere, elaborati Sangue di Giuda D.O.C. Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45%. Caratteristiche: Deve avere una gradazione alcolica minima di 12° e un affinamento obbligatorio di 6 mesi. Può essere proposto in versione vivace o frizzante con un residuo minimo di 30 gr di zuccheri. Colore: rosso rubino carico con riflessi purpurei-violacei, brillante e viscoso Profumo: è fine, penetrante e netto. Si nota la fragranza della frutta fresca, un ampio speziato e un delicato floreale. Sapore: buon corpo, buona morbidezza, è equilibrato, con una lunga persistenza. Abbinamenti: Servito a una temperatura di 12° può accompagnare crostate di confettura di frutta, paste sfoglie. Ottimo con le fragole Rosso Oltrepò Pavese D.O.C. Il disciplinare recita: Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45% Caratteristiche: Deve avere una gradazione alcolica minima di 11,5°. Può essere proposto in versione ferma o vivace Colore: rosso rubino carico, è brillante, con una viscosità medio buona Profumo: fine, intenso, pulito, con sentori di frutta fresca e floreali che ben si amalgamano a sentori speziati Sapore: abbastanza strutturato, con un equilibrio discreto; misurata la persistenza Abbinamenti: Va servito a una temperatura di 18°C con carni in genere, salumi e primi piatti tipo agnolotti • Pinot nero vinificato in rosso D.O.C. • Pinot Nero minimo 85%, altre uve a bacca nera raccomandate o autorizzate per un massimo del 15% • Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di 10,5°. Può essere vinificato in bianco vivace, fermo oppure rosato e rosso. • L'aggiunta di piccole percentuali di uve coloranti assume particolare rilievo per il Pinot Nero vinificato in rosso: i difetti del Pinot Nero sono infatti la scarsa colorazione e la tendenza all'ingiallimento precoce, problema solo parzialmente risolto dai nuovi cloni studiati di recente. • Colore: rosso rubino con sfumature amaranto e unghia aranciata, è brillante, con buona viscosità • Profumo: di grande eleganza, intenso, netto; chiari i sentori di • cassi e di fiori secchi, ma anche di sottobosco, di funghi secchi, di liquirizia e speziati • Sapore: dimostra grande equilibrio, medio-buona struttura, lunga persistenza • Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 16-18°. Ben accompagna formaggi invecchiati, ottimo sulla selvaggina da piuma Pinot nero vinificato in bianco D.O.C. Pinot Nero minimo 85%, altre uve a bacca nera raccomandate o autorizzate per un massimo del 15%. Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di 10,5°. L'aggiunta di piccole percentuali di uve coloranti assume particolare rilievo per il Pinot Nero vinificato in rosso: i difetti del Pinot Nero sono infatti la scarsa colorazione e la tendenza all'ingiallimento precoce, problema solo parzialmente risolto dai nuovi cloni studiati di recente. Colore: giallo paglierino mediamente carico, brillante, con una media viscosità. Profumo: ha profumi delicati, fragranti, di discreta persistenza con note di mela golden e di pesca. Sapore: acidulo, fresco, elegante con una buona persistenza. Abbinamenti: va servito a una temperatura di 18°C con carni in genere, salumi e primi piatti tipo agnolotti Riesling Italico D.O.C. Riesling Italico per l'85% minimo e Riesling Renano per un massimo del 15% Caratteristiche: La gradazione minima svolta deve essere di 11°. Può essere proposto nelle versioni fermo, vivace, frizzante e spumante. Colore: Giallo paglierino più o meno carico, a volte con rapide lance ambrate Profumo: elegante, intenso, franco; prevalgono sentori fruttati e floreali, piacevole anche la componente speziata-aromatica. Sapore: coinvolgente, di corpo, con un buon equilibrio e buona persistenza Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 10 °C con torte salate, frittatine e primi piatti con cadenza acidula, pesce. Riesling Renano D.O.C. Il disciplinare recita: da uve Riesling Renano per l'85% minimo e Riesling Italico per un massimo del 15% Caratteristiche: La gradazione minima svolta deve essere di 11°. Può essere proposto nelle versioni fermo, vivace, frizzante e spumante. Colore: Giallo paglierino più o meno carico, a volte con rapide lance ambrate; brillante, buona viscosità. Profumo: elegante, intenso, franco; prevalgono sentori fruttati e floreali, componente speziata-aromatica. Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 10 °C con torte salate, frittatine e primi piatti con cadenza acidula, pesce. Moscato D.O.C. Moscato Bianco minimo 85% e Malvasia di Candia per un massimo del 15% Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di 4,5°. Il vino, sempre dolce, può essere fermo, frizzante e spumante metodo Charmat. Negli ultimi anni la Denominazione di Origine Controllata è stata estesa anche alle versioni Moscato passito e Moscato liquoroso. Colore: giallo paglierino carico con riflessi dorati, brillante, di buona viscosità. Profumo: fragrante, intenso, quasi penetrante, franco. Netti i sentori di pesca e albicocca, delicate le note speziate della salvia. Sapore: coinvolgente, di buona struttura, piacevole equilibrio e lunga persistenza. Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 8 °C sui dessert in genere, splendido su dolci grassi e farciti. Economia Bisogna sottolineare che, oltre ai vini, prodotti d’élite della zona sono le carni e i salumi. Addirittura si è costituita un’Associazione della cotenna (una specie di pancetta). La Valle è ricca di allevamenti di bovini, in cui si contano numerosi capi di mucche di razza piemontese di colore bianco, che non producono latte , ma sono dedite al macello: vengono allevate con solo fieno, in estate negli aperti pascoli, in inverno in stalle riscaldate. Esse vengono macellate dopo aver raggiunto i 16 mesi di eta’, con un peso minimo di 600 kg. Sono bovini iscritti al libro genealico italiano per la genetica e presentano un marchio sull’orecchio. • I vitelli sono tenuti all’ingrasso, allevati oltre che con fieno, anche con crusca e farina di mais; alla nascita pesano circa 20 kg e il loro peso aumenta molto velocemente. Numerosi sono anche gli allevamenti di suini, da cui si ricavano salumi di vario tipo, specialmente pancette, e salamelle. Non vengono allevati solo maiali, ma anche cinghiali, seppur in quantità inferiore, per produrre carni e salumi molto pregiati. Un altro prodotto importante è la polenta, piatto tipico di questa zona, prodotta con la farina macinata tuttora dal Mulino di Santa Maria della Versa: si tratta di una farina grezza, non raffinata, sicuramente molto più nutriente. Piatti della tradizione Nelle trattorie e negli agriturismi della zona è possibile assaggiare i piatti tipici della Valle Versa. Eccone alcuni, con le loro semplici ricette! BASTURNON (castagne) Piatto tipico del periodo autunnale e invernale. INGREDIENTI: Castagne PROCEDIMENTO: Le castagne vengono incise con un coltello e cotte al fuoco del camino oppure sul coperchio della stufa a legna. CHIACCHIERE Dolce tipico di Carnevale. INGREDIENTI: Farina Zucchero Burro o Strutto Uova Sale Vino bianco secco Scorza di un limone Zucchero a velo PROCEDIMENTO: Mescolare farina, sale, zucchero, la scorza di un limone grattugiata e impastare con le uova aggiungendo tanto vino bianco quanto ne serve per ottenere una pasta soda. Tirare la sfoglia e, con l’apposita rotella, tagliare dei rombi di 10 cm circa di lato. Far friggere con strutto in una padella capace e porre le chiacchiere su carta porosa per far assorbire l’unto. Spolverare con zucchero a velo. CIAMBELLONE INGREDIENTI: Farina Zucchero Burro Uova Uva sultanina Lievito. PROCEDIMENTO: Separare le uova (tuorlo e albume) Prendere il tuorlo e aggiungere lo zucchero in una terrina,mescolare con una frusta fino a formare una crema. Aggiungere farina e burro. Sbattere l’albume a neve, a parte. Aggiungere il lievito e l’uvetta lasciata macerare per un po’ nell’acqua. Mescolare il tutto, imburrare la tortiera e spolverarla con la farina. Infine mettere la teglia nel forno a 150° per circa 40 minuti. I BUIÒC Piatto tipico della sera di S. Antonio, il 17 gennaio. INGREDIENTI: Acqua Castagne secche Sale PROCEDIMENTO: Mettere a bagno le castagne secche per 12 ore circa. Cuocere in acqua salata le castagne ripulite. Evitare che l’acqua sia eccessiva. Servire le castagne tiepide nel loro brodo. MARUBÉ DOLCI (frittelle) Dolce tipico di Carnevale. INGREDIENTI: Acqua Burro Zucchero Farina uova fresche Zucchero a velo Sale Strutto PROCEDIMENTO: Mettere a bollire l’acqua e il burro. Unire la farina gradualmente, badando che non si formino grumi. Versare l’impasto in una zuppiera e aggiungere subito le uova e un pizzico di sale; sbattere continuamente il tutto per amalgamare bene fino a che l’impasto “fa le bolle”. Sciogliere lo strutto in una padella e friggere i pezzetti, grandi come palline,che si staccheranno con un cucchiaino. Man mano che saranno fritte, porre le frittelle su una carta assorbente per togliere l’unto. Spolverare con zucchero e servire calde. MOSTO INGREDIENTI: Mosto di uva colato Farina bianca Zucchero (se si vuole). PROCEDIMENTO: Raccogliere l’ultimo mosto che scende dopo la pigiatura e colarlo in un tegame. Amalgamare con la farina a freddo (per ogni bicchiere di mosto, un cucchiaio di farina). Mettere sul fuoco basso e continuare a mescolare fino a quando si addensa. Versare in una terrina; quando è freddo indurisce. Si consumava spalmato sul pane. PATONA INGREDIENTI: Farina di castagne Latte fresco Acqua Olio Zucchero Sale PROCEDIMENTO: Mescolare tutti gli ingredienti e cuocere nel forno ad una temperatura di circa 180°. • IL RAGÒ INGREDIENTI: Sedano Verze Carote Cipolle Olio Costine e cotenne di maiale PROCEDIMENTO: Mettere tutti gli ingredienti puliti e tagliati in un recipiente capace, aggiungere l’acqua sufficiente per coprirli appena. Far cuocere. Una volta venivano utilizzate anche le zampe, il collo, la testa, la punta delle ali di anatre e le zampe di maiale. IL RUBIO (formaggio) INGREDIENTI: Latte PROCEDIMENTO: Aggiungere al latte fresco due cucchiaiate di caglio e lasciare cagliare per tempo variabile, a secondo della stagione . Togliere la panna superiore che verrà utilizzata per fare il burro. Porre il latte cagliato in un telo per scolare il siero. Sistemare dopo circa 24 ore la formaggella in un recipiente tondo di legno, ricoprendola con un tovagliolo. Dopo 12 ore è pronto il formaggio fresco e dolce. BURRO INGREDIENTI: Panna PROCEDIMENTO: Porre la panna messa da parte in precedenza nella zongola di legno o in un vaso di vetro. Aggiungere acqua e lavorare fino ad ottenere un soffice panetto di burro. CIPOLLE RIPIENE INGREDIENTI: Cipolle Pane grattugiato Uvetta sultanina Sale Pepe Noce moscata Uova PROCEDIMENTO: Lessare le cipolle e lasciarle raffreddare. Togliere le foglie esterne cercando di non romperle. In una terrina mescolare uova, pane grattugiato, la parte interna delle cipolle cotte, sale, pepe , noce moscata e l’uvetta, precedentemente lasciata in ammollo nel latte. Formare con l’impasto delle palline e avvolgerle con le foglie esterne delle cipolle. Friggere in olio bollente sino a quando sono bene dorate. LA FRITA’ COI VARTÍS (Asparagi) INGREDIENTI: Un bel mazzo di asparagi selvatici (vartìs in dialetto) Sale Formaggio grana padano grattugiato Pepe Cipolla Olio o burro o strutto Uova PROCEDIMENTO: Lavare e lessare per qualche minuto i vartìs, poi colarli. A parte, preparare un uovo sbattuto in una scodella con un po’ di sale, formaggio grattugiato e un pizzico di pepe macinato. In una padella mettere un po’ di grasso e farvi tostare un po’ di cipolla. Quando il grasso è ben caldo mettere i vartìs e subito dopo le uova. Il tutto deve friggere bene, cercando di non far bruciare la frittata. GALLINA RIPIENA INGREDIENTI: Gallina Pane grattugiato Formaggio Grana Padano grattugiato Aglio Prezzemolo tritato Sale Uova Latte PROCEDIMENTO: Amalgamare tutti gli ingredienti con due uova e un po’ di latte. Fare una palla e riempire con essa la gallina. Lessare la gallina con le verdure e aromi per 2 ore. I MARUBÉ SALATI (frittelle di sanguinaccio) Questo piatto si cucinava solo quando veniva uccisa l’oca o l’anatra. INGREDIENTI: Sangue d’oca o d’anatra Pangrattato Pepe Sale Olio Uova PROCEDIMENTO: Dopo aver ucciso l’animale ed appeso a testa in giù, si forava l’orecchio per far uscire il sangue che veniva raccolto sul pangrattato; a questo si aggiungevano le uova,il sale e il pepe. Il tutto ben amalgamato ed appallottolato veniva fritto in olio bollente. A volte per arricchire l’impasto veniva aggiunto il Parmigiano grattugiato. SALAMINO COTTO INGREDIENTI: Cotechino Acqua PROCEDIMENTO: Lavare il cotechino e metterlo in una pentola con l’acqua. Far cuocere per circa 3 ore. SCHITA INGREDIENTI: Farina Acqua Sale Olio Un uovo PROCEDIMENTO: Sbattere insieme tutti gli ingredienti in modo da formare una pastella. Friggerla in olio bollente. SUPA COI SISAR (zuppa di ceci) INGREDIENTI: ceci costine musino o cotenna di maiale erbe aromatiche sale pepe PROCEDIMENTO: Mettere a bagno i ceci per circa 12 ore. Far bollire in acqua salata i ceci, la parte del maiale che si preferisce e le erbe aromatiche protette da una garza. Affettare il pane, disporlo in una zuppiera e unire il brodo con i ceci. PANADA o SUPA CON L’OOV INGREDIENTI: acqua olio o burro pan grattato sale uova parmigiano grattugiato PROCEDIMENTO: preparare il brodo. Aggiungere il pan grattato e continuare l’ebollizione per qualche minuto, aggiungendo acqua, sale e olio. Unire le uova, sbattute con il parmigiano prima o nel piatto. TORTA DEL PARADISO Questo era il dolce più importante di ogni festa. INGREDIENTI: Uova Zucchero Fecola di patate Farina bianca Buccia di limone grattugiato Lievito per dolci. PROCEDIMENTO: Separare i tuorli dagli albumi. Mescolare in una terrina i tuorli e lo zucchero fino a quando l’impasto si gonfia. Montare gli albumi a neve. Aggiungere ai tuorli e allo zucchero, poco a poco mescolando la fecola, la farina, gli albumi montati a neve e, per ultimo, il lievito. Versare il composto in una teglia imburrata e mettere in forno ben caldo,controllando la cottura. TRIPPA INGRENDIENTI: Trippa di vitello o manzo Patate Carote Sedano Cipolle Fagioli bianchi Alloro Rosmarino Pomodori Olio Sale Pepe PROCEDIMENTO: Tagliare la trippa precedentemente lavata e lessata in pezzi non troppo grossi. Mondare le verdure ben lavate e tagliate come per un normale minestrone. Far rosolare nell’olio le verdure gli aromi, la trippa, i fagioli. Salare e pepare. Aggiungere acqua o brodo e cuocere lentamente per alcune ore. Questo piatto è ottimo anche riscaldato e gustato anche il giorno successivo a quello della preparazione . FOLKLORE La Valle Versa è anche festa e divertimento! Secondo la tradizione, proprio in questa area dell’Oltrepò, a Stradella, fu inventata la fisarmonica, strumento che ancora oggi fa da protagonista nelle sagre e feste di paese. La fisarmonica La fisarmonica è uno strumento musicale che è stata per lunghi anni uno strumento folcloristico legato alla tradizione della danza popolare. Il primo brevetto fu depositato il 6 maggio del1829 a Vienna dal costruttore di organi musicali Cyrill Demian. Le evoluzioni tecniche e costruttive dello strumento hanno sempre più perfezionato il suo timbro e la sua intonazione, favorendo la presenza dello strumento anche in ambiti musicali colti. Descrizione La fisarmonica comprende due bottoniere, una a destra e una a sinistra, che si suonano con le relative mani. La bottoniera sinistra ha solitamente il compito di fornire l’accompagnamento musicale e di scandire il ritmo, quello della bottoniera di destra scandisce le melodie. Il cuore della fisarmonica è il mantice, che viene azionato dall'esecutore per immettere l'aria necessaria a far vibrare le ance. Le ance sono piccole lame d'acciaio intonate, controllate da valvole collegate ai tasti, che vibrando producono il suono; esse sono montate su appositi supporti di legno. Storia Uno strumento antenato della fisarmonica, con i medesimi principi meccanici, è stato realizzato sulla base di un progetto di Leonardo da Vinci dall’ organista Mario Buonoconto, e suonato nel Salone degli Stemmi del Municipio di Castelfidardo, dal fisarmonicista Denis Biasin. Lo strumento anticipa di circa trecento anni l’invenzione della fisarmonica. Le indicazioni che Leonardo ha lasciato sono essenziali e significative: una tastiera verticale, un mantice a doppia azione che funziona in entrambi i versi, una serie di canne di legno o di carta che generano un flusso d’aria continuo che produce il suono. Il suono di questo strumento è simile a quello di un flauto. Lo strumento è stato lavorato interamente a mano; ed è stato esposto presso iluseo Internazionale della fisarmonica fino alla fine dell'anno 2009. Polo della produzione della fisarmonica italiana è la città di Stradella, per opera del "trentino" Dallapè, che a sua volta conosceva gli strumenti popolari dell'Austria ed in particolare l'accordeon che era stato brevettato dal Demian. In italia e nel mondo Il vero e proprio decollo dell'industria della fisarmonica a Castelfidardo si ha alla fine dell'800, con più di 500 operai. La maggior parte della produzione viene collocata nel territorio italiano, anche se molti pezzi verranno poi esportati all’ estero, la ragione di questi sta nel ruolo giocato dall’ emigrazione di artigiani, operai e musicisti che con il loro oscuro lavoro son riusciti ad imporre il prodotto, qualitativamente ed esteticamente migliore negli importantissimi mercati degli Stati Uniti, Canada e sud America. TRADIZIONI MUSICALI DELLA VALLE VERSA L’alto Oltrepò Pavese, fortemente legato alle proprie tradizioni, ha custodito nel tempo uno straordinario patrimonio culturale che si riflette in un gran numero di manifestazioni folcloristiche e in una delle più ricche e significative tradizioni musicali popolari d’Italia e d’Europa. L’alta Valle Versa può essere ricompresa musicalmente nell’area definita delle “Quattro Province” Genova, Alessandria, Pavia, Piacenza accomunate dalle medesime tradizioni musicali, in particolare strumenti , canti e balli e zona di transito di commercianti e viaggiatori ad esempio “La via del sale” che trasportava il sale dalla pianura Ligure alla pianura Padana. Questo ha contribuito alla diffusione anche delle tradizioni musicali. Protagonista principale ne è il Piffero accompagnato da Musa e Fisarmonica. Un tempo ogni occasione di festa era segnata da musica e balli: durante i matrimoni, durante le celebrazioni legate al mondo contadino e durante il carnevale. Il Piffero è un oboe popolare simile ad altro strumenti ad ancia doppia. E’ costituito da tre parti: Il musotto, l’ancia di questo strumento, realizzata in canna, è collocata in una “piruette” (bocchino chiamato musotto), particolarità unica in Italia, che ha in comune con gli oboe orientali e antichi. Questa struttura permette di eseguire il fraseggio tipico detto “masticato” del repertorio 4 province. La canna conica che ha 8 fori (l’ottavo foro posteriore si usa col pollice mano sinistra). Un padiglione svasato chiamato “campana” dove riposa, durante le esecuzioni, una penna di coda di gallo, che serve per pulire l’ancia. Completano lo strumento le vere (anelli di rinforzo e abbellimento in ottone). Il piffero appartiene ad un gruppo di strumenti “arcaici” nati in Europa nel Medioevo, che si sono modernizzati nella forma senza perdere le loro caratteristiche originarie. Esiste una serie di fonti che dimostrano l’uso popolare del piffero in Lombardia a partire dal XVII secolo in accoppiamento con cornamuse. Nelle valli delle province i suonatori di piffero e musa erano indicati come “Musetta” per la maggiore impressione suscitata dalla musa con la sua vistosa sacca. In realtà a condurre la melodia è il piffero e la musa funge solo da accompagnamento. Nei primi decenni del Novecento la musa andò scomparendo per scarsità di documentazioni. Nel frattempo cominciarono a provenire dalle città strumenti più sofisticati rispetto a quelli della cultura contadina: il più importante era la Fisarmonica. Da quel momento accompagnare il piffero sarà la fisarmonica che offriva maggiori melodie e non doveva essere continuamente rintonata. I BALLI I balli che animavano le feste sono di tre tipi: di coppia, in cerchio e coreografici. Nei balli di coppia oltre a valzer e mazurche, c’è la polka saltini, un modo particolare di ballare la polka con il tipico “passo delle quattro provincie”, ballo molto impegnativo sia per la velocità del ritmo sia per la coordinazione indispensabile tra i due ballerini. I CANTI Assieme al ballo il canto rappresentava uno dei pochi momenti di svago. Il canto assumeva grande importanza nella vita sociale di comunità perché accompagnavano i momenti rituali dell’uomo, fra cui il matrimonio e il carnevale. Dalla seconda metà del ‘900 c’erano diversi gruppi di canterini ad esempio : “ Canterini del Sentiero del Sale”. TRACCE DI GIGA APPENNINICA,TRA STORIE,CULTURE E TRADIZIONI La storia di questa danza,testimoniata dalle diverse tracce ricercate in alcune aree geografiche, è il segnale di una musica popolare italiana. La giga è un tipo di ballo popolare antico diffuso in innumerevoli varianti anche in molte regioni d'Europa.Non si hanno notizie precise riguardo al paese e all'epoca in cui è nata,probabilmente è di origine rinascimentale, ma se ne hanno solo poche tracce. Per il suo carattere di danza brillante e movimentata,la giga è quasi sempre inserita come pezzo finale nella “suite”,una forma musicale basata sul susseguirsi di più danze di caratteristiche contrastanti per ritmo e movimento. Si balla uno di fronte all'altro,come tutte le danze rinascimentali, con passo molto salterino e di facile esecuzione, da una vivacità e diversità di movimenti; figure e corteggiamenti si alternano ad una varietà di passi. E' in ritmo binario,generalmente in tempo di 6/8. Ancora oggi è diffusa nella tradizione delle danze popolari nel repertorio dello strumento del piffero dell'Appennino Pavese. Nell’Oltrepò Pavese si ballano due varianti: la giga a due, con un cavaliere e due dame,e la giga a quattro,con due cavalieri e quattro dame. GIGA A DUE Vi partecipano tre ballerini, un uomo e due donne. Nell'introduzione i ballerini fanno un percorso circolare tenendosi per mano, oppure, nella variante della val Staffora, avanzano e indietreggiano in posizione lineare, quindi si staccano e le donne si dispongono frontalmente,il ballerino esegue il balletto con la prima donna,fa passare sottobraccio la prima donna e si dirige verso la seconda; segue il balletto con la seconda donna e la fase di attesa; quindi il susseguirsi di passaggi sottobraccio con l'una e con l'altra, fino a ritrovarsi in posizione per la ripresa dei balletti. GIGA A QUATTRO Vi partecipano quattro donne e un uomo oppure, nella sua forma più completa, due uomini simmetricamente nella danza. La sequenza delle figurazioni è la stessa della versione a due, con la differenza che nel mondo della separazione le ballerine si dispongono in una formazione a croce e nei quattro balletti gli uomini eseguono il ballo con ciascuna delle donne. Il raddoppio dei partecipanti rende il ballo più complesso e spettacolare, sopratutto nella parte di giro, quando i ballerini compiono i passaggi sottobraccio, secondo un preciso schema di spostamenti diagonali e laterali, che può cambiare leggermente a seconda della loro provenienza.