La lavandaia veniva dalla campagna a prendere il “bucato grosso (lenzuola,
tovaglie ecc..), lo metteva in una conca (grande vaso di terra cotta) lo copriva con
un vecchio lenzuolo e sopra ci metteva uno strato di cenere.Intanto faceva bollire
l’acqua con scaglie di sapone avanzato e poi lo buttava sopra la cenere. L’acqua
filtrava attraverso la cenere e i panni. Arrivata sul fondo della conca usciva da un
forellino e veniva raccolta in un catino, riscaldata di nuovo e ributtata sopra la
cenere. Questo lavoro durava anche una giornata intera; dopo i panni venivano
sciacquati nei lavatoi o lungo le rive dei fossi.
Il gelataio ambulante girava per le strade con un triciclo che sosteneva il carretto
dei gelati. Egli annunciava il suo arrivo da lontano suonando una trombetta poi si
fermava nelle corti dove i bambini lo aspettavano con, in mano, mezza lira, il
denaro necessario per comprare il gelato.
L’impagliatore aggiustava o sostituiva i sedili vecchi delle sedie con
altri nuovi, intrecciando i fili di paglia o di rafia.
Il lattaio ogni mattina, passava dai contadini a prendere il latte fresco e poi
lo portava alle famiglie. Le donne, al suo arrivo,uscivano di casa con una
bottiglia vuota che egli riempiva di latte usando un misurino di metallo.
L’unico tipo di riscaldamento nelle case era il fuoco fatto nei camini, ogni tanto
venivano fatti pulire dagli spazzacamini. Erano quasi sempre uomini della
montagna che venivano in città a pulire i camini con l’aiuto di ferri e spazzoloni.
L’arrotino arrivava nei paesi con la sua caratteristica bicicletta.Si fermava e
pedalando azionava una mola (ruota di pietra molto ruvida) che arrotava coltelli
e forbici.
Una volta le pentole erano di rame o di stagno e quando erano molto vecchie
e logore si potevano bucare e allora si andava alla bottega dello stagnino.Lui
faceva una saldatura con lo stagno e così il foro si chiudeva. C’era chi
passava di casa in casa, di corte in corte ad aggiustare le pentole o le conche
di coccio dove le donne facevano il bucato.
Il cenciaio passava per le campagne a comprare stracci vecchi che poi
rivendeva alle fabbriche. Qui venivano lavorati per fare nuove stoffe e carta.
Il maniscalco era un uomo che costruiva e applicava i ferri agli zoccoli dei cavalli e
degli animali da tiro con l’aiuto di incudine e martello. Questi animali venivano usati
come mezzo di trasporto sulle strade che a quel tempo erano sterrate e i ferri
servivano a non far consumare gli zoccoli.
Il vetturino era l’uomo che guidava la carrozza tirata dai cavalli. Egli stava
all’esterno della carrozza proprio davanti, “ a cassetta” e teneva, con una mano le
briglie per guidare il cavallo e con l’altra mano la frusta che schioccava per farlo
andare più veloce.
Ho visto fare la carta gialla che oggi non si usa più. Veniva ammollata la paglia
nelle vasche e poi veniva passata fino a fare dei fogli che poi venivano messi ad
asciugare al sole.
Tanti anni fa i campi destinati alla coltivazione del riso erano frequentati da
lavoratrici stagionali che venivano chiamate mondine: Esse si recavano in campi
che , per poter essere coltivati a riso dovevano essere irrorati d’acqua fino ad
essere sommersi: le mondine con le mani ripulivano la pianticella del riso dalle
piante insidiose e dall’erbacce. Oggi questa professione non esiste più perché nelle
coltivazioni di riso questa figura è stata sostituita da moderni macchinari e da
tecniche più avanzate.
L’ombrellaio passava per le strade dei paesi in bicicletta con qualche attrezzo in
una borsa o sopra un carrettino e gridava:”Ombrellaio!! Ombrelli da riparare!!!”Così
le persone che avevano un ombrello con una stecca o con il manico rotto
andavano da lui per farlo riparare.
Al tempo delle nostre nonne fare le faccende di casa era molto più faticoso di ora.
La giornata iniziava molto presto anche in inverno e il primo lavoro era accendere il
fuoco sul quale veniva messo il paiolo di rame pieno d’acqua che serviva per fare la
polenta ( il pranzo di mezzogiorno). Nelle case più vecchie non c’era l’acqua
corrente perciò dovevano andare a prenderla fuori al pozzo o alla fontana.
In seguito ci venne portata ma, le nostre nonne dovevano faticare per averla
spingendo su e giù il manico della “pompa”. L’acqua che usciva naturalmente era
fredda ma poteva essere scaldata sul fuoco del camino o della stufa a legna.
Quando la nonna decideva di fare il bucato impiegava per questo lavoro una
giornata intera. I panni asciugati al sole venivano stirati con un ferro molto diverso
da quelli moderni. Il tipo più vecchio era di ferro e veniva messo a riscaldare sul
fuoco. Il tipo più moderno si apriva e dentro ci veniva messo il carbone ardente
che lo manteneva caldo.
lLe nostre nonne, una volta alla settimana, dovevano fare il pane. Per questo in
tutte le case c’era la madia o “arcile”. In questo mobile tenevano la farina e
facevano il pane impastando acqua, farina e lievito. Il pane poi, veniva cotto nel
forno a legna
Una volta sui treni c’era il fuochista che, con la pala, buttava il carbone dentro
la caldaia. Il carbone bruciando faceva bollire l’acqua e si formava il vapore
che azionava il motore del treno.
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I vecchi mestieri.