LA DIFESA DI DARWIN nella causa Bateson vs Darwin I capi d’accusa di Gregory Bateson contro Charles Darwin a) L’estromissione della mente dalla storia naturale b) L’interpretazione della storia naturale come lotta e progresso Gregory Bateson 1904 - 1980 VEM = Verso un’ecologia della mente, 1972 MN = Mente e natura, 1979 DAE = Dove gli angeli esitano, 1987 SU = Una sacra unità, 1991 «Prima di Lamarck si riteneva che il mondo organico, il mondo vivente, possedesse una struttura gerarchica, con la mente al vertice. La catena, o scala, scendeva attraverso gli angeli, gli uomini, le scimmie, giù giù fino agli infusori o protozoi, e ancora più in basso, alle piante e alle pietre. Ciò che Lamarck fece fu di capovolgere quella catena. […] Quando ebbe capovolto la scala, ciò che era stata la spiegazione, cioè la mente al vertice, ora diveniva ciò che si doveva spiegare: il suo problema era di spiegare la Mente. […] Egli si era servito dell'abitudine come di un fenomeno assiomatico nella sua teoria dell'evoluzione, e ciò lo aveva portato naturalmente al problema della psicologia comparata. … [mente/mente] Ora, mente e forma, in quanto princìpi esplicativi che più di tutti richiedevano indagine, furono estromesse dal pensiero biologico nelle teorie evoluzionistiche successive, sviluppate verso la metà dell'Ottocento da Darwin, Huxley, eccetera. Vi furono ancora alcuni monelli, come Samuel Butler, che andavano affermando che la mente non poteva essere ignorata a quel modo, ma si trattava di voci isolate e tra l'altro essi non osservavano mai gli organismi. Penso che Butler non abbia mai osservato altro che il suo gatto, eppure ne sapeva sull'evoluzione più di alcuni dei pensatori più tradizionali.» (VEM , Forma, sostanza e differenza, 1970) LA PAROLA ALLA DIFESA Bateson apprezza Butler perché si oppone al “materialismo” darwiniano… «Un tempo l'idea che l'evoluzione potesse avere una componente casuale era per molti inaccettabile. Sarebbe stato contrario a tutto quello che si sapeva sull'adattamento e sul disegno generale e contrario anche a ogni fede in un creatore dotato di caratteristiche mentali. La critica di Samuel Butler a L’origine delle specie era essenzialmente un'accusa a Darwin di escludere la mente dal numero dei princìpi esplicativi pertinenti. Butler voleva immaginare una mente non casuale operante in qualche punto del sistema e alle teorie di Darwin preferiva quindi quelle di Lamarck.» (MN, pag. 199) … tuttavia nel caso in esame Butler non è un teste attendibile per sua stessa dichiarazione «Nel lavoro non ho pretese di scientificità, anche in quanto non voglio istruire né tantomeno desidero essere istruito, mentre desidero intrattenere e interessare le persone che, come me, non sanno niente di scienza ma si divertono a fantasticare e riflettere (non troppo profondamente) sui vari fenomeni che li circondano...» (Samuel Butler, Vita ed abitudine, 1878) … e Bateson lo sa «Penso che Butler non abbia mai osservato altro che il suo gatto […]» (VEM , Forma, sostanza e differenza, 1970) … per lo stesso Bateson, Butler ha scelto strade sbagliate: il lamarckismo dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti e la reintroduzione nella natura del finalismo di una mente trascendente; la soluzione di Bateson è un’altra «Tuttavia, tali critiche sono risultate sbagliate proprio nella scelta della correzione da apportare alla teoria darwiniana. Oggi vediamo il pensiero e l'apprendimento (e forse il cambiamento somatico) come processi stocastici. Il modo in cui correggeremmo il pensiero dell'Ottocento non consisterebbe nell'aggiungere una mente non stocastica al processo evolutivo, bensì nel proporre l'idea che il pensiero e l'evoluzione siano simili in quanto partecipano della stocasticità. Entrambi sono processi mentali [...]» (MN, pag. 199) … la soluzione di Bateson è un’altra anche grazie a un processo culturale, personale e storico «[…] nel corso degli anni mi sono spinto in un ’’luogo’’ dove le tradizionali asserzioni dualistiche sulle relazioni mente/corpo (i tradizionali dualismi del darwinismo, della psicoanalisi e della teologia) mi sono assolutamente incomprensibili.» (SU, Quella storia naturale normativa chiamata epistemologia, 1977) «[…] Inoltre, e questo è importantissimo, io ho un atteggiamento piuttosto diverso nei confronti di Lamarck, nei confronti del soprannaturale e nei confronti di “Dio”, Cent'anni fa era pericoloso pensare a queste cose e c'era la sensazione che nel classificarle ci si potesse sbagliare.» (SU, Gli uomini sono erba. La metafora e il mondo del processo mentale, 1980) «Infine ora, con la scoperta della cibernetica, della teoria dei sistemi, della teoria dell'informazione, eccetera, cominciamo ad avere una base formale che ci permette di riflettere sulla mente e ci permette di affrontare tutti questi problemi in un modo che era stato del tutto eterodosso dal 1850 circa a tutta la seconda guerra mondiale .» (VEM , Forma, sostanza e differenza, 1970) «[…] la battaglia tra Darwin e Samuel Butler […] in realtà concerneva il ’’vitalismo’’. Era questione di quanta vita e di quale ordine di vita si potesse attribuire agli organismi; e con la sua vittoria Darwin, pur non essendo riuscito a eliminare la misteriosa vitalità del singolo organismo, aveva almeno dimostrato che il quadro evolutivo poteva essere ricondotto alla ’’legge’’ naturale. […] Restava ancora un mistero il fatto che gli organismi viventi potessero conseguire dei cambiamenti adattativi nel corso della loro vita individuale e che a nessun patto questi cambiamenti adattativi, i famosi caratteri acquisiti, dovessero influire sull'albero evolutivo. L’ ’’eredità dei caratteri acquisiti’’ minacciava sempre di riconsegnare il campo dell'evoluzione al partito vitalista. Una parte della biologia doveva essere separata dall'altra. […] ancora per un centinaio d'anni sarebbe stato conveniente erigere uno schermo impermeabile tra la biologia dell'individuo e la teoria dell'evoluzione. La ’’memoria ereditata’’ di Samuel Butler era un attacco contro questo schermo.» (VEM, I requisiti minimi per una teoria della schizofrenia, 1959) Ma Darwin ha sostenuto che lo sviluppo embrionale è fondamentale per l’evoluzione «[...] la comunanza di struttura embrionale rivela la comunanza di discendenza [...] anche se la struttura dell’adulto si è fortemente modificata fino ad essere irriconoscibile. Siccome lo stato embrionale di ogni specie o gruppo di specie ci rivela in parte la struttura dei loro antichi, e meno modificati, progenitori, possiamo facilmente capire perché le forme di vita antiche ed estinte debbano rassomigliare agli embrioni dei loro discendenti, ossia delle specie attuali.» (Darwin, L’origine delle specie, cap, 13, 1859) Nel 1866 Haeckel propose per i rapporti tra sviluppo ed evoluzione la ’’legge biogenetica della ricapitolazione’’ teoria poi falsificata Dal 1977 questa pista di ricerca è stata seguita da evoluzionisti darwiniani che hanno dato vita all’evo-devo Evo-devo (evolutionary developmental biology) SVILUPPO = processo morfogenetico di modificazione dell’organismo nel tempo della vita individuale EVOLUZIONE = modificazione delle forme viventi attraverso il succedersi delle generazioni (ereditarietà) Ogni forma vivente è il risultato di un processo di sviluppo: la comparsa di forme nuove nell’evoluzione (evo-) dipende da qualche modificazione nel processo dello sviluppo (-devo) [M. Ferraguti, C. Castellacci, Evoluzione: modelli e processi, Pearson 2011] Ciò che viene ereditato è una configurazione di informazioni non sui caratteri del fenotipo finale ma sulla organizzazione dello sviluppo di quei caratteri e su come questa organizzazione può reagire all’ambiente in cui si sviluppa La soluzione di Bateson, che apprendimento e evoluzione sono entrambi processi stocastici, ’’per tentativi, errori e rinforzi’’, assume come paradigma del processo stocastico proprio la ’’selezione naturale’’ di Darwin «Oggi molti teorici ritengono che l'apprendimento sia una faccenda sostanzialmente stocastica o probabilistica […]. In sostanza, il pensiero creativo è venuto a somigliare al processo evolutivo in quanto avrebbe natura fondamentalmente stocastica. Si ritiene che il rinforzo imprima una direzione all'accumulo dei cambiamenti casuali del sistema neuronale, così come si ritiene che la selezione naturale imprima una direzione all'accumulo dei cambiamenti casuali della variazione. […] … Infine, la questione della funzione evolutiva dei caratteri acquisiti è stata riaperta dalle ricerche di Waddington sulle fenocopie della Drosophila. Anche volendone ridurre al minimo la portata, i risultati di queste ricerche indicano che i cambiamenti fenotipici che possono prodursi nell'organismo a causa della pressione ambientale costituiscono una parte molto importante del meccanismo grazie al quale la specie o la linea ereditaria riescono a mantenere il proprio posto in un ambiente competitivo e ricco di sollecitazioni, finché non giunga qualche mutazione o altro cambiamento genetico a rendere la specie o la linea più adatte ad affrontare la perdurante pressione. Almeno in questo senso i caratteri acquisiti hanno una funzione evolutiva importante.» (VEM, I requisiti minimi per una teoria della schizofrenia, 1959) Oggi l’evoluzionismo darwiniano dopo la ‘sintesi’ storica con la genetica e l’embriologia sperimentale, e grazie all’apporto della biologia molecolare, ha sviluppato una branca di ricerca, l’epigenetica, che riprende e spiega i fenomeni studiati da Waddington con forme di ereditarietà per via non esclusivamente genetica che recuperano in una nuova prospettiva l’idea di una ’’eredità dei caratteri acquisiti’’ … Bateson riconosce che un contributo alla sua soluzione del problema della mente l’ha fornito, anticipando un modello cibernetico, proprio uno dei fondatori ottocenteschi della teoria dell’evoluzione per selezione naturale «L'altro contributo importante fu probabilmente quello di Alfred Wallace. […] scoprì la selezione naturale. Ne scrisse in una lunga lettera a Darwin (che non era il destinatario più indicato), affermando: ’’Il funzionamento di questo principio - (che lui chiamava ‘lotta per l'esistenza’) - è esattamente analogo a quello del regolatore centrifugo della macchina a vapore, che controlla e corregge qualsiasi irregolarità quasi ancor prima che si manifesti; in modo analogo, nel regno animale nessun difetto non compensato può mai raggiungere un livello cospicuo, perché si farebbe sentire al primissimo apparire, rendendo difficile l'esistenza e quasi certa la morte.’’ (Wallace, 1858). … I capi d’accusa di Gregory Bateson contro Charles Darwin L’estromissione della mente dalla storia naturale L’ARRINGA DELLA DIFESA Al contrario, Darwin introdusse la mente (umana) nella storia naturale «Non appena mi convinsi, nel 1837 o ‘38, che le specie erano mutabili, non potei fare a meno di credere che l’uomo dovesse esser regolato dalla stessa legge» (Darwin, Autobiografia, 1876) Ma ne L’origine delle Specie non affronta la questione: «Sarebbe stato inutile e dannoso al successo del libro far sfoggio delle mie opinioni sull’origine dell’uomo senza darne alcuna prova.» (Darwin, Autobiografia, 1876) Con L’origine dell’uomo e la selezione in rapporto al sesso (1871) applica alla specie umana i meccanismi evolutivi individuati ne L’origine delle specie: «Ma quando vidi che i naturalisti accettavano completamente la dottrina dell’evoluzione delle specie, mi sembrò opportuno sviluppare i miei appunti e pubblicare un trattato a sé sull’origine dell’uomo.» (Darwin, Autobiografia, 1876) Nel frattempo proprio Wallace aveva cambiato idea sulla generalità della teoria della selezione naturale convinto che caratteristiche umane come il cervello e il linguaggio non potessero essere spiegate da un processo selettivo, ma dall’intervento di un’intelligenza superiore L’interesse di Wallace per lo spiritismo rivela l’esigenza di ritrovare un posto per lo ’’spirito’’ (mente soprannaturale) come spiegazione delle facoltà intellettuali e morali dell’uomo Questo confligge con il naturalismo anti-finalistico di Darwin che è l’elemento rivoluzionario per l’ambiente in cui Darwin viveva e lo è ancora per la cultura di oggi «Quando pubblicherò il mio libro andrò incontro alla disapprovazione generale, se non all’esecrazione. La verità è difficile da conquistare» (Darwin, lettera a Mivart) Il naturalismo di Darwin «Platone dice nel Fedone che le nostre’’idee necessarie’’ derivano dalla preesistenza dell’anima e non sono originate dall’esperienza. Leggi ’’scimmie’’ [storia naturale] al posto di ’’preesistenza’’» (Darwin, Taccuino M, 1838) Ogni carattere (mentale) ritenuto esclusivo della specie umana ha omologo o precursore in altre specie «Credo che sia stato dimostrato che l'uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno alcuni istinti in comune. Tutti hanno i medesimi sensi, le intuizioni e le sensazioni, le stesse passioni, affezioni ed emozioni, anche le più complesse, come la gelosia, il sospetto, l'emulazione, la gratitudine e la magnanimità; praticano l'inganno e sono vendicativi; talora sono soggetti al ridicolo e hanno anche il senso dell’umorismo; provano meraviglia e curiosità; possiedono le stesse facoltà d’imitazione, attenzione, decisione, scelta, memoria, immaginazione, associazione di idee, e la ragione, anche se a livelli molto diversi.» «[…] qualsiasi animale, dotato di istinti sociali ben marcati, compresi quelli verso i genitori e i figli, acquisterebbe inevitabilmente un senso morale o una coscienza, non appena i suoi poteri intellettuali fossero divenuti tanto sviluppati, o quasi altrettanto che nell’uomo.» (Darwin, L’origine dell’uomo, 1871) (Osservazioni allo zoo e sui figli neiTaccuini M, N, 1838-39 L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, 1872) Tra primati e umani nella espressione delle emozioni primarie condivisione di strutture muscolari e espressioni facciali Emozioni istintive, automatiche, sono comuni a tante specie radicate profondamente nella storia evolutiva ascendenza comune fissazione ereditaria sulla mente di effetti di selezione Ma il significato funzionale di un carattere può essere diverso dall’origine (exaptation) da adattamenti sessuali a funzioni comunicative (es. lettura) Le emozioni sono la base di sviluppo per le facoltà mentali e il senso morale Anche linguaggio e intelligenza sono acquisiti naturalmente e gradualmente in quanto adattamenti (o riadattamenti) soprattutto alla vita sociale «[…] la tendenza istintiva ad acquisire una tecnica non è peculiare dell’uomo. […] non potrebbero alcuni animali insolitamente saggi, simili alle scimmie, aver imitato il brontolio di un animale da preda, ed aver comunicato ai compagni la natura del pericolo incombente? Questo sarebbe stato un primo passo nella formazione del linguaggio.» (Darwin, L’origine dell’uomo, 1871) L’intelligenza è una ‘modificazione dell’istinto’ che rende capaci di essere flessibili in situazioni incerte Intelligenze diverse (api) e non ’’superiori/inferiori’’ Intelligenza vegetale capace di percezione, reazione, movimento Nucleo cibernetico dell’intelligenza in comune con gli altri viventi: reazione a stimoli che permette di mantenere l’omeostasi (Wallace) Darwin definisce ’’ragione dimenticata’’ un impulso ad agire di origine adattativa che anche in assenza di rappresentazione e consapevolezza condiziona il comportamento e i giudizi di valore consci (l’ ‘inconscio’ di Bateson) Nella specie umana la sopravvivenza dipende dagli istinti sociali che quindi sono fissati dal processo di selezione naturale «[…] per quanto questo sentimento [la ‘‘simpatia’’] possa essersi originato in modo complesso, poiché è di notevole importanza per tutti quegli animali che si aiutano e si difendono reciprocamente, si sarà potenziato con la selezione naturale. Infatti quelle comunità che comprendono il maggior numero di membri legati da simpatia, prospereranno di più e alleveranno il maggior numero di prole.» (Darwin, L’origine dell’uomo, 1871) Dagli istinti sociali derivano i costumi e il senso morale che da questa base evolvono grazie a fattori culturali (es. la ’‘reputazione’’) I capi d’accusa di Gregory Bateson contro Charles Darwin a) L’estromissione della mente dalla storia naturale b) L’interpretazione della storia naturale come lotta e progresso (’’progetto’’) 1) Il ’’progetto’’, la ’’finalità cosciente’’ «Paley contribuì dunque a collocare il pensiero scientifico in un contesto tale che gli scienziati si sentirono costretti a spiegare il “progetto” della natura. Forse non dovremmo dare tutta la colpa a Paley e alle sue ’’Dimostrazioni’’. In fin dei conti, non solo Darwin, ma tutta la rivoluzione industriale rappresentò il culmine della crescente ossessione dell'uomo occidentale per il progetto. Credo che per “progetto” s'intenda l'attuazione fisica, prima sul tavolo da disegno e poi in metallo, del finalismo cosciente. … Penso che ci si possa spingere un po' più in là. Quando riconosceremo che nella “Natura” non c'è alcun progetto, questa percezione ci affrancherà dalla vecchia controversia e quindi potremo riconoscere che in effetti i fenomeni chiamati ’’adattamento’’, ’’acclimazione’’, ’’assuefazione’’ e così via sono sempre causati dal dualismo del processo interattivo. Ci vogliono due o più organismi e un ambiente, tutti interagenti, per generare e regolare qualsiasi processo evolutivo. E il processo risultante può essere benefico (per chi?) o stabilizzante o letale.» (SU, pag. 356) 2) Il soggetto che lotta per l’esistenza contro gli altri «Ora cominciamo a scorgere alcuni degli errori epistemologici della civiltà occidentale. In armonia col clima di pensiero che predominava verso la metà dell'Ottocento in Inghilterra, Darwin formulò una teoria della selezione naturale e dell'evoluzione in cui l'unità di sopravvivenza era o la famiglia o la specie o la sottospecie o qualcosa del genere. Ma oggi è pacifico che non è questa l'unità di sopravvivenza nel mondo biologico reale: l'unità di sopravvivenza è l'organismo più l'ambiente. Stiamo imparando sulla nostra pelle che l'organismo che distrugge il suo ambiente distrugge se stesso. Se ora modifichiamo l'unità di sopravvivenza darwiniana fino a includervi l'ambiente e l'interazione fra organismo e ambiente, appare una stranissima e sorprendente identità: l'unità di sopravvivenza evolutiva risulta coincidere con l'unità mentale.» (VEM, Patologie dell’epistemologia, 1972) 3) L’ecologia «[…] non è il cavallo la cosa che si è evoluta. Quella che si è evoluta è stata una relazione tra il cavallo e l’erba. Questa è ecologia. […] Quindi l’unità di quella che viene chiamata evoluzione non è in realtà questa o quella specie: è tutto un sistema interconnesso di specie. Ed è curioso che tutto il cosiddetto progresso evolutivo sia stimolato dal bisogno di lasciare le cose come stanno. L’erba cambia e il cavallo cambia e cambiano in modo tale che la relazione che li lega possa restare costante. […] Uno dei grandi errori della biologia di metà Ottocento fu quello di pensare che la selezione naturale fosse una forza che spinge al cambiamento.» (SU, Intelligenza, esperienza ed evoluzione, 1975) LA PAROLA ALLA DIFESA 1) la ’’rivoluzione ’’ darwiniana (con la conseguente ’’reazione’’) fu proprio quella di escludere il ’’progetto’’, e quindi la ’’finalità cosciente’’, dalla natura «[...] qui non c’è alcuna causa finale, ma deve essere effetto di una qualche condizione delle circostanze esterne, risultato di complicate leggi dell’organizzazione...» (Darwin, Taccuino E, 1839) «[...] l’esistenza di fabbricanti di candele di sego non può indurre l’accumulo di grasso [nei bovini]» (Darwin, L’Origine delle specie, Abbozzo 1842) «Cade il vecchio argomento di un disegno nella natura secondo quanto scriveva Paley, argomento che nel passato mi era sembrato decisivo. Un piano che regoli la variabilità degli esseri viventi e l’azione della selezione naturale non è più evidente di un disegno che predisponga la direzione del vento.» (Darwin, Autobiografia, 1876) Di conseguenza per Darwin in natura non c’è ’’progresso’’ «Quando parliamo degli ordini superiori dovremmo sempre dire intellettualmente superiori. Ma chi al cospetto della Terra, coperta di splendide savane e foreste, oserebbe dire che l’intelletto è l’unico scopo di questo mondo?» (Darwin, Taccuino B, 1838) «La selezione naturale, o sopravvivenza del più adatto, non comporta necessariamente uno sviluppo progressivo – essa si limita a trarre vantaggio da quelle variazioni che si manifestano spontaneamente e risultano vantaggiose per ciascun vivente nei suoi complessi rapporti con l’ambiente.» (Darwin, L’Origine delle specie, cap. 4, VI ed., 1872) L’idea dell’evoluzione come progresso in continuità tra natura e società umana non è di Darwin «Il progresso, quindi, non è un accidente, ma una necessità. La civiltà non è un prodotto dell'arte, ma è parte della natura: è una cosa sola con lo sviluppo dell'embrione o lo schiudersi di un fiore..» (Herbert Spencer, Social Statics, 1851) 2) Per Darwin ’’lotta per l’esistenza’’ è solo una metafora e non deve far pensare alle ’’guerre’’ della storia umana «Devo premettere che adopero il termine lotta per l’esistenza in un senso largo e metaforico, comprendendovi la mutua dipendenza di un essere dall’altro e (ciò che piú conta) comprendendovi non solo la vita dell’individuo, ma anche le probabilità di lasciare una progenie. Si può affermare che in tempo di carestia due canidi lottano effettivamente fra loro per decidere chi prenderà il cibo e vivrà. Ma anche di una pianta ai margini del deserto si dice che lotta per la vita contro la siccità, anche se sarebbe più esatto dire che dipende dall’umidità. Di una pianta che produce annualmente un migliaio di semi, uno solo dei quali in media giunge a maturazione, possiamo piú giustamente dire che lotta con le piante della stessa e di altre specie che già ricoprono il terreno.» (Darwin, L’origine delle specie, cap. 3, 1859) La specie umana evolve secondo le stesse leggi naturali che valgono per gli altri viventi (selezione naturale e sessuale) ma la sua specificità riguarda un potenziamento non degli strumenti di lotta, bensì della socialità «Per quegli animali che furono avvantaggiati dal vivere in una associazione, gli individui che traevano il maggior piacere dal vivere in società sarebbero scampati meglio ai vari pericoli, mentre quelli che si curavano meno dei loro compagni e vivevano solitari, sarebbero periti in maggior numero. […] per quanto questo sentimento [la ’’simpatia’’] possa essersi originato in modo complesso, poiché è di notevole importanza per tutti quegli animali che si aiutano e si difendono reciprocamente, si sarà potenziato con la selezione naturale.» (Darwin, L’origine dell'uomo ,1871) Non solo le facoltà morali, ma anche quelle intellettive derivano dagli ’’istinti sociali’’, legati alla natura biologica dell’uomo «[…] Dovremmo tuttavia tenere presente che un animale dotato di grandi dimensioni, forza e ferocia e che, come il gorilla, si potrebbe difendere da tutti i nemici forse non sarebbe potuto divenire socievole; ciò avrebbe ostacolato efficacemente l’acquisizione di poteri intellettivi superiori, come la simpatia e l’amore verso i suoi compagni. Perciò potrebbe essere stato un immenso vantaggio per l’uomo essere derivato da qualche creatura comparativamente debole.» (Darwin, L’origine dell'uomo ,1871) 3) Quanto all’ecologia, è Darwin che l’ha inventata (il nome verrà più tardi) proprio in relazione con l’evoluzione (co-evoluzione) «[…] Se gli insetti non si fossero mai sviluppati sulla faccia della Terra, le nostre piante non sarebbero rivestite di bei fiori, ma avrebbero prodotto soltanto fiori modesti come quelli degli abeti, delle querce, dei noci, dei frassini, delle graminacee, degli spinaci, dell’acetosa, delle ortiche, tutte piante fecondate a opera del vento..» (Darwin, L’origine delle specie, cap. 6, VI ed., 1872) [Vedi appendice C] Da dove vengono le accuse di Bateson a Darwin? • Sembra non aver letto bene Darwin (non L’origine dell’uomo) • Le sue citazioni di scienziati, filosofi ecc. sono fortemente contestualizzate nella cornice della sua ricerca e non di una lettura critica delle loro opere (Darwin è un personaggio della sua ’’commedia’’) • È influenzato dalle idee del padre William (con il quale ha iniziato gli studi di biologia) evoluzionista antiselezionista Nel sistema dei viventi due principi d’ordine: l’adattamento all’ambiente esterno (la forma si modella sulla funzione) vs i vincoli strutturali (la funzione è condizionata dalla forma) La disputa attraversa il campo degli antievoluzionisti o preevoluzionisti (Paley vs Agassiz, Cuvier vs Geoffroy St. Hilaire) quanto quello degli evoluzionisti (Darwin e Wallace vs. Owen, De Vries…). William Bateson è attratto dallo strutturalismo e vuole salvare Darwin da quello che ritiene un errore: la selezione naturale come causa dell’evoluzione l’adattamento all’ambiente non spiega il fatto che gli ambienti variano con continuità nello spazio e nel tempo mentre nella tassonomia la diversità delle forme è discontinua Gradualismo e continuità (il“natura non facit saltus” di Leibnitz e Linneo) sono pregiudizi: la causa dell’evoluzione deve essere ricercata non nella selezione, ma nella variazione discontinua (di cui raccoglie e classifica i fenomeni) nei meccanismi interni dell’ereditarietà (è uno dei ri-scopritori della genetica mendeliana) LA DIFESA DI DARWIN nella causa Bateson vs Darwin APPENDICI A Il problema dell’ ’’eredità dei caratteri acquisiti’’ B La ’’finalità cosciente’’ nella natura C L’ecologia di Darwin A Il problema dell’ ’’eredità dei caratteri acquisiti’’ (inventata da Lamarck ma accettata da Darwin) «Una volta depurata dalle idee lamarckiane, la teoria darwiniana risultò costituita dalla combinazione di una genetica, in cui la variazione era ritenuta casuale, e di una teoria della selezione naturale, che imprimerebbe una direzione adattativa all'accumulo dei cambiamenti. Ma la relazione tra l'apprendimento e questa teoria è stata oggetto di una violenta controversia, che è divampata intorno alla cosiddetta ’’eredità dei caratteri acquisiti’’. … La posizione di Darwin subì le acute critiche di Samuel Butler, il quale sosteneva che l'eredità dovrebbe essere paragonata, o addirittura identificata, con la memoria. Partendo da questa premessa, Butler sosteneva che i processi del cambiamento evolutivo, specie l'adattamento, dovrebbero essere considerati conquiste dovute alla profonda astuzia del perpetuo flusso della vita, e non corollari fortuiti elargiti dalla buona sorte. Butler tracciò una stretta analogia tra i fenomeni dell'invenzione e i fenomeni dell'adattamento evolutivo […] Egli argomentava anche, con logica stringente, che esiste un processo grazie al quale le invenzioni più recenti del comportamento adattativo scendono in profondità nel sistema biologico dell'organismo. Da azioni pianificate coscienti, esse si trasformano in abitudini, e le abitudini divengono sempre meno coscienti e sempre meno soggette al controllo volontario. Senza averne le prove, egli riteneva che questa trasformazione in abitudini, o discesa verso il basso, potesse giungere tanto in profondità da contribuire al deposito di ricordi (quello che noi chiameremmo 'genotipo') che determina i caratteri della generazione successiva. … La difficoltà sembra questa: è concepibile che un bicipite modificato dall'attività o dall'inattività immetta in circolo metaboliti specifici, ed è concepibile che essi fungano da messaggi chimici dal muscolo alla gonade. Ma a) è difficile immaginare che la chimica del bicipite sia tanto diversa da quella, per esempio, del tricipite da rendere specifico il messaggio; e b) è difficile ritenere che il tessuto delle gonadi possa avere caratteristiche tali da essere modificato in modo appropriato da questi messaggi. Non dimentichiamo che il destinatario di un messaggio deve conoscere il codice del mittente; quindi, se le cellule germinali fossero in grado di ricevere i messaggi del tessuto somatico, esse dovrebbero già contenere una qualche versione del codice somatico. Quindi le strade che potrebbe imboccare il cambiamento evolutivo, grazie a questi messaggi del soma, dovrebbero essere prefigurate nel plasma germinale.» (VEM, I requisiti minimi per una teoria della schizofrenia, 1959) «È senza dubbio corretto dire che (a) non c'è nessuna prova sperimentale di questa ereditarietà e (b) non si può immaginare alcun collegamento tramite il quale le notizie di un carattere acquisito (per esempio l'irrobustimento del bicipite destro dovuto alla ginnastica) potrebbero essere trasmesse agli ovuli o agli spermatozoi dell'organismo individuale. […] Io chiedo invece: che aspetto avrebbe la biologia nel suo complesso, se l'ereditarietà dei caratteri acquisiti fosse un fenomeno generale? Quale sarebbe l'effetto di questo processo ipotetico sull'evoluzione biologica? Darwin fu spinto all'errore lamarckiano dal tempo: credeva che l'età della terra fosse insufficiente per giustificare l'ampio dispiegarsi del processo evolutivo […]. La base fornita dalle sole mutazioni genetiche casuali combinate con la selezione naturale sembrava insufficiente, e l'ereditarietà lamarckiana avrebbe fornito una scorciatoia, avrebbe accelerato le cose introducendo nel sistema qualcosa di simile alla finalità. […] … Che cosa c'è di sbagliato in linea di principio nelle scorciatoie? In un'ampia varietà di casi, forse in tutti i casi in cui la scorciatoia provoca inconvenienti, alla radice vi è un errore di tipologia logica. In qualche punto della sequenza di azioni e di idee ci si può aspettare di scoprire […] un'unicità trattata come una generalità oppure una generalità trattata come un'unicità. E legittimo (e abituale) concepire un processo o un cambiamento come una classe ordinata di stati, ma è un errore considerare uno qualsiasi di questi stati come se fosse la classe di cui è soltanto un membro. Stando all'ipotesi di Lamarck, un singolo organismo genitore trasmette alla discendenza, tramite il meccanismo digitale della genetica, un certo carattere somatico acquisito in risposta alle sollecitazioni dell'ambiente. L'ipotesi afferma che “il carattere acquisito viene ereditato” punto e basta, come se queste parole avessero un senso. … E caratteristico della creatura individuale subire modifiche a causa delle condizioni ambientali di uso e non uso, e così via. Benissimo. Ma non è questa la caratteristica che verrebbe trasmessa; ciò che viene ereditato non è la capacità di modificarsi, bensì lo stato raggiunto grazie alla modificazione, e questa caratteristica non è inerente nel genitore. Secondo l'ipotesi, la discendenza dovrebbe differire dal genitore in quanto manifesta il carattere che si suppone ereditato anche quando le condizioni ambientali non lo richiedano. Ma affermare che quel costrutto umano che è l'ipotesi dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti è un'assurdità semantica non è lo stesso che affermare che, se questa ipotesi fosse vera, tutto il processo evolutivo si incepperebbe. Il punto cruciale è che la creatura individuale infliggerebbe alla propria discendenza una rigidità di cui il genitore invece non soffriva. E questa perdita di flessibilità che sarebbe letale al processo complessivo.» (DAE, Apologie della fede, 1978) Oggi l’evoluzionismo darwiniano ha accolto il problema del mantenimento della flessibilità necessaria proponendo e discutendo il concetto di evolvibilità (una ’’capacità di modificarsi’’ ereditabile) sostenuto dagli studi sulla generazione di variazione genica in situazioni di stress B La ’’finalità cosciente’’ nella natura Spinoza «Gli umani agiscono in ogni caso in vista di un fine, cioè in vista dell’utile che appetiscono: e ne deriva che essi si preoccupino sempre di conoscere soltanto le cause finali di ciò hanno compiuto, e, quando le abbiano apprese, smettano di preoccuparsi […] […] gli umani immaginano comunemente che le cose della natura òperino, come essi stessi fanno, mirando a uno scopo (addirittura essi danno per certo che Dio stesso diriga le cose a un fine determinato […] […] tutte le nozioni con le quali il volgo suole spiegare la natura sono solo modi di immaginare e non indicano la natura di alcuna cosa, ma solo la costituzione dell’immaginazione.[…] … […] i seguaci della dottrina dei fini stupiscono quando si pongono a considerare la struttura del corpo umano: e, siccome ignorano le cause di un così mirabile meccanismo, concludono che esso non s’è costruito da sé per certe sue leggi intrinseche , ma è il prodotto di un’arte divina o soprannaturale, dalla quale esso è stato congegnato in maniera che un pezzo non danneggi l’altro, o, piuttosto, che ogni pezzo cooperi con ogni altro. Vigendo tali criteri accade che chi vuol conoscere le vere cause degli eventi miracolosi, come chi cerca di capire da scienziato le cose della natura e non di meravigliarsene da sciocco, sia in generale giudicato eretico ed empio e proclamato tale da coloro che il volgo venera come interpreti della natura e degli Dei.» (Baruch Spinoza, Etica, Parte Prima, Appendice, 1677) B La ’’finalità cosciente’’ nella natura Kant «La finalità d’un oggetto dato dall’esperienza nel giudizio teleologico riposa su di un principio oggettivo, come accordo della forma dell’oggetto con la possibilità della cosa stessa secondo un concetto di essa che precede e contiene il principio della sua forma. […] Un organismo vivente ha quella data “conformazione” in quanto alla sua produzione ha presieduto – come fine – il concetto di essa, nel quale era rappresentata la possibilità di quel tutto nel quale dovevano coordinarsi le varie parti. … […] Facendo riferimento ai princìpi trascendentali, si hanno buone ragioni per ammettere una finalità soggettiva della natura nelle sue leggi particolari, in vista della sua intelligibilità da parte del Giudizio umano, e della possibilità di connettere le esperienze particolari in un unico sistema. Ma che le cose della natura stiano tra di loro in rapporto di mezzo a fine, e che la loro stessa possibilità si possa comprendere a sufficienza solo mediante tale tipo di causalità, l’idea generale di natura, come insieme degli oggetti dei sensi, non ci dà nessun motivo di pensarlo. […] deve esservi all’origine un sofisma, che insinua surretiziamente il concetto di scopo nella natura della cosa, ma senza ricavarlo dagli oggetti e dalla conoscenza empirica di questi; e quindi lo adopera più per concepire la natura per analogia con un principio soggettivo della connessione delle rappresentazioni in noi, che per conoscerlo mediante principi oggettivi. … […] Si applica tuttavia con ragione il giudizio teleologico alla ricerca naturale, almeno problematicamente; ma solo per sottoporla, seguendo l’analogia con la causalità secondo fini, a princìpi di osservazione ed investigazione, senza pretendere di poterla spiegare. […] Il concetto di legami e di forme della natura secondo fini è perlomeno un principio in più per ricondurre a regole i fenomeni naturali, dove le leggi della causalità puramente meccanica non sono sufficienti. Noi infatti introduciamo un principio teleologico quando attribuiamo al concetto di un oggetto (come se esso si trovasse nella natura e non in noi) una causalità rispetto all’oggetto, o meglio quando ci rappresentiamo la possibilità dell’oggetto per analogia con una causalità simile a quella che troviamo in noi, e quindi pensiamo la natura come tecnica per virtù propria; […] … […] se le cose del mondo, in quanto esseri condizionati relativamente alla loro esistenza, abbisognano di una causa suprema che agisca secondo fini, l’uomo sarà lo scopo finale della creazione: perché senza di esso la catena dei fini subordinati l’uno all’altro non avrebbe un vero principio, e solamente nell’uomo in quanto soggetto della moralità, si può trovare questa legislazione incondizionata relativamente ai fini, che rende lui solo capace di essere uno scopo finale, cui la natura sia teleologicamente subordinata.» (Immanuel Kant, Critica del Giudizio, 1790 C L’ecologia di Darwin «Solo i bombi visitano il trifoglio violetto, in quanto le altre api non riescono ad arrivare al nettare. È stato suggerito che le farfalline notturne possano servire a fecondare i trifogli; ma io dubito che lo possano fare nel caso del trifoglio violetto, a causa del loro peso che non è sufficiente ad abbassare le ali della corolla. Perciò sono praticamente sicuro che se, in Inghilterra l'intero genere dei bombi si estinguesse o diventasse assai raro, la viola del pensiero ed il trifoglio violetto diverrebbero rarissimi o scomparirebbero del tutto. Il numero dei bombi in ciascun territorio dipende in alto grado dal numero dei topi campagnoli che ne distruggono i favi ed i nidi e il sig. H. Newman, che ha lungamente studiato le abitudini dei bombi, pensa che oltre i due terzi di essi siano distrutti in questa maniera in tutte le parti dell'Inghilterra. … Ora, come tutti sanno, il numero dei topi dipende in larga misura dal numero dei gatti ed il sig. Newman dice: “In prossimità dei villaggi e delle piccole città ho trovato nidi di bombi in maggior numero che altrove ed attribuisco questo fatto al numero dei gatti che distruggono i topi”. Dunque è perfettamente credibile che la presenza di grandi gruppi di felini in un dato territorio possa condizionare, tramite l'intervento dei topi prima e delle api poi, la densità di taluni fiori del territorio!.» (Darwin, L’origine delle specie, cap.3, VI ed., 1872) «D'altra parte ho osservato sperimentalmente che la fecondità del trifoglio dipende in larga misura dalla visita delle api e dalle parti mobili della corolla, in modo da spingere il polline sulla superficie dello stigma. Quindi, se in un dato paese i bombi dovessero diventare rari, per il trifoglio rosso sarebbe un grande vantaggio avere un tubo corollino più breve o più profondamente segmentato, tale da poter essere visitato dall'ape domestica. Riesco quindi a comprendere come un fiore ed un'ape possano modificarsi lentamente, simultaneamente o l'uno dopo l'altro, adattandosi reciprocamente nel modo più perfetto, grazie alla continua conservazione di individui che presentino deviazioni strutturali leggermente favorevoli per entrambi.» (Darwin, L’origine delle specie, cap. 4, 1859) «La dipendenza di un essere vivente da un altro, per esempio del parassita dal parassitato, in genere collega specie molto lontane nella scala naturale. Lo stesso si può dire, in molti casi, anche di quelle specie che, in senso stretto, lottano fra di loro per l'esistenza, come le locuste ed i quadrupedi erbivori. […] Dalle osservazioni di cui sopra si può dedurre un corollario di somma importanza, ossia che la struttura di ciascun essere vivente è correlata, nel modo più essenziale, eppure spesso più occulto, con quella di tutti gli altri viventi con i quali entra in concorrenza per l'alimento e lo spazio vitale, o con quelli che deve sfuggire o con quelli che suole catturare.» (Darwin, L’origine delle specie, cap. 3, 1859)