Torniamo al nostro problema: se siamo rinchiusi nel mondo delle nostre idee, possiamo dire qualcosa del mondo
che sta fuori dalle nostre idee?
trascendenza
idea
oggetto
Quel che abbiamo detto sin qui è che vi è un rapporto di denotazione – ma vi è anche un rapporto di
significazione? Che cosa possiamo dire dell’oggetto a partire dall’idea?
La distinzione tra senso e denotato:
• Il vincitore di Jena è nato ad Ajaccio il 15 agosto del 1769;
• Lo sconfitto a Waterloo è nato ad Ajaccio il 15 agosto del 1769.
Un nome denota un oggetto, ma può insieme dire qualcosa di quel concetto: un nome
può avere un senso e non soltanto un denotato.
Le considerazioni che abbiamo svolto sin qui ci hanno permesso
solo di agganciare nomi a cose, ma non di imparare qualcosa di
ciò di cui – a titolo ipotetico – parliamo. Dobbiamo dunque
chiederci se il contenuto descrittivo delle idee (ciò di cui siamo
consapevoli quando ne siamo consapevoli) ci consente di dire
qualcosa degli oggetti che sono denotati dalle idee.
“Whatsoever the mind perceives in itself, or is the immediate object of perception,
thought, or understanding, that I call idea; and the power to produce any idea in our
mind, I call quality of the subject wherein that power is. Thus a snowball having the
power to produce in us the ideas of white, cold, and round,— the power to produce
those ideas in us, as they are in the snowball, I call qualities; and as they are sensations or
perceptions in our understandings, I call them ideas; which ideas, if I speak of sometimes
as in the things themselves, I would be understood to mean those qualities in the objects
which produce them in us” (ivi, II, viii, 8).
Una prima conclusione: nella soggettività vi sono soltanto le idee, ma ciononostante degli
oggetti sensibili qualcosa sappiamo — conosciamo una loro capacità, quella capacità che si
dispiega interamente nel saper ridestare in un soggetto percipiente normale ed in
circostanze normali un’idea determinata. E questo significa che la dimensione del cogito
assume in Locke una forma particolare: la dimensione intenzionale concerne esclusivamente
il legame della coscienza con le idee che vi accadono, non il nesso tra le idee e le cose che
queste denotano. Ciò che propriamente esperiamo — i colori, i suoni, il freddo, il caldo, ecc.
— non mostrano come il mondo è, ma sono soltanto le diverse posizioni dell’indicatore di
quel peculiare strumento di rilevazione degli oggetti esterni che è la nostra coscienza
Proprio per questo sarebbe un errore credere che i powers siano qualcosa di soggettivo.
Tutt’altro: il potere di apparirmi così è, per Locke, una proprietà obiettiva, poiché in questo
caso la soggettività è chiamata in causa esclusivamente come un reagente ad uno stato di
cose obiettivo. In altri termini: le idee che proviamo non debbono essere valutate per il loro
contenuto epistemico, ma solo come indici che ci permettono di valutare la natura della
causa che li ha fatti insorgere.
Una seconda conclusione: asserire che la neve è bianca significa in primo luogo
descrivere un mio vissuto, ma in secondo luogo vuol equivale ad asserire che ha il potere
di apparirci così (o se si vuole: di suscitare in noi proprio questa idea).
Ne segue che il potere è interamente determinato dalla relazione in cui si esplica. Così,
proprio come la fragilità è una determinazione di cui ha senso chiedere il fondamento ma
che è, in quanto disposizione, interamente data nel nesso che la lega condizionalmente a
determinate circostanze (al rompersi del calice che diciamo fragile, per es.), allo stesso
modo i poteri di cui Locke ci parla sono sì nelle cose, ma si danno esclusivamente nel
nesso che li lega al sorgere di determinate sensazioni nella soggettività.
Possiamo concludere allora che l’esperienza ci dice qualcosa dell’oggetto, ma solo in
quanto è oggetto per noi.
Eppure, parlare di una cosa attraverso una qualità relativa significa anche alludere a qualcosa che
potrebbe essere descritto in una forma non relativa. Se dico che c’è qualcosa che ha il potere di
apparirmi bianca e fredda, dico che c’è qualcosa e che questo qualcosa deve essere in se stesso
tale da potermi apparire così.
Torniamo alla proposizione di Locke da cui abbiamo preso le mosse:
“Thus a snowball having the power to produce in us the ideas of white, cold, and round,— the
power to produce those ideas in us, as they are in the snowball, I call qualities” (ivi).
Percepire significa avere determinate idee; le idee parlano in nome di un potere insito nelle cose:
il potere di farci percepire così in circostanze determinate. Ma dietro ogni potere deve esserci una
qualità, un esser così dell’oggetto che determini il suo comportarsi in un certo modo: se la neve ci
appare fredda è perché ha il potere di suscitare in noi l’idea del freddo, ma se ha un simile potere
è perché la sua natura è tale da giustificare il suo agire così sui nostri organi di senso. Dietro ad
ogni proprietà relativo-condizionale Locke tende così a porre una proprietà assoluta, radicata nella
natura stessa delle cose.
Di qui l’equivocità della nozione di qualità sensibile che nelle pagine del Saggio oscilla tra tre differenti significati
che rimandano a tre differenti modi in cui la parola «sensibile» può legarsi alla parola «qualità».
1. Un aggettivo può avere funzione determinante: il mare può essere calmo o burrascoso, e «il mare è calmo» o
«il mare è burrascoso» sono espressioni che ci dicono qualcosa del mare — ci dicono quale sia lo stato attuale
del suo moto ondoso.
2. un aggettivo può avere funzione limitante. Se dico che il mare burrascoso è pericoloso non asserisco qualcosa
del mare ma dico quale tra i mari possibili è pericoloso.
3. Un aggettivo può avere funzione modificante: se dico di qualcuno che è un falso magro, non dico affatto che è
una persona magra che, tra le altre sue qualità, è anche falsa. L’aggettivo, in questo caso, non determina né
limita, ma modifica il significato del nome cui si applica.
Anche la parola «sensibile» gioca su questi tre significati: dire di una qualità che è sensibile significa per Locke che:
1.
2.
3.
si dispiega solo nell’universo psicologico e soggettivo della mente (qualità sensibile in prima accezione o idea);
è una certa proprietà colta solo in quanto è percepita da noi (qualità sensibile in seconda accezione o potere);
è una proprietà obiettiva che, tra le altre cose, può essere di fatto percepita (qualità sensibile in terza accezione o
qualità sensibile in senso stretto).
Le qualità sensibili sono allora le proprietà assolute degli oggetti, le proprietà degli oggetti in quanto sono da noi
percepiti e infine anche oggetti mentali — le idee.
Il risultato che abbiamo raggiunto: se muoviamo dall’assunto che ogni nostra idea sensibile
sia l’effetto di una causa trascendente, possiamo dire che – date le idee – conosciamo gli
oggetti, ma solo in quanto sono capaci di suscitare in noi proprio questi effetti. Li conosciamo
cioè solo attraverso una proprietà relazionale.
Una simile conoscenza tuttavia è senz’altro insufficiente, ma l’ipotesi causalistica di per sé
non garantisce altro e questo perché ci è del tutto ignota la regola che la mente segue per
tradurre le sensazioni in idee. Di qui il problema di Locke: che cosa ci consentirebbe di
passare da una conoscenza meramente relativa degli oggetti – dalla posizione dei powers
corrispondenti alle nostre idee – alla conoscenza delle qualità sensibili in senso stretto?
Idea
(la percezione del dolce)
Potere
(la capacità di apparire dolce
un soggetto normale S in
circostanze normali)
Qualità sensibile in senso
stretto (la struttura profonda
della cosa che è alla base del
suo poter apparire dolce a S)
Ora sembra possibile in linea di principio distinguere due casi differenti:
- l’evento deriva dalla causa, ma il modo in cui si manifesta è soprattutto indice delle
proprietà del medium in cui si realizza. Quando il martelletto colpisce la corda del
pianoforte, sento un suono; nel suono, tuttavia, non è facile ritrovare la forma dell’evento
che l’ha scatenato, a meno che non sia nota una qualche legge fisica e, insieme ad essa,
una serie di dati sulla natura della corda. Ciò che sento è un suono la cui qualità varia al
variare della tensione della corda. Avverto insomma il variare delle cause nella specificità
delle variazioni qualitative del medium sonoro;
- l’evento rende visibile la causa nel suo aspetto determinato – proprio come vediamo la
forma della zampa di un cane nell’orma che lascia nel fango.
Ora, se vogliamo poter risalire dai poteri alle qualità che stanno alla loro base, dobbiamo
chiedere che queste siano visibili in quelli – che le idee che proviamo non ci parlino soltanto
del nostro medium psicologico, ma che sia possibile discernere l’aspetto sensibile da ciò che
in esso si manifesta.
Un’analogia che vogliamo prendere alla lettera: l’uomo come uno strumento di misurazione della realtà.
Le idee sono il display dello strumento.
Ora, il modo in cui una determinata misurazione viene resa leggibile per chi impiega lo strumento può essere
obiettivo o egocentrico. Chiamo obiettivo quel modo di rilevamento di una grandezza G che è interamente o
prevalentemente determinato dalla natura di ciò che è misurato; chiamo egocentrico quel modo di rilevamento
di una grandezza G che è significativamente orientato dalla natura di chi legge lo strumento.
Superata una certa soglia di pressione l’orecchio, ma non il manometro, segna come la pressione come dolore.
Di qui anche la ragione della mossa ulteriore che Locke ci invita a compiere: Locke ci invita a chiederci se non sia
possibile distinguere nelle idee che proviamo quello che dipende dalla natura dello strumento di misurazione che
siamo da ciò che è invece dipende dalle cose stesse.
Un esempio: la stadera ci consente di tradurre le
impressioni di peso e la loro relativa inconfrontabilità in
una forma univoca che consente confronti. Le impressioni
di peso hanno una loro intensità e una loro grandezza,
ma non possono essere pensate come risultato della
reiterata addizione di un’unità di base.
La stadera invece trasforma il peso in una distanza e le
distanze possono essere pensate come risultato della
reiterata addizione di un’unità di base. In un certo senso,
la stadera traduce il peso in distanza, ma è trasparente
rispetto all’incremento o alla diminuzione di peso. Il
nostro corpo traduce il peso nella sensazione di sforzo,
ma non è trasparente rispetto all’incremento o alla
diminuzione di peso. Il nostro corpo distingue i pesi da un
centro – da una norma che discrimina il pesante dal
leggero, e così facendo colora della nostra prospettiva
corporea la natura del misurato. Possiamo dire così: la
sensazione di sforzo non è trasparente rispetto al peso.
Di qui la strategia che Locke ritiene di poter seguire per districare le qualità
sensibili di terza accezione dalle qualità sensibili di seconda accezione: per
risalire dalle une alle altre è necessario poter sostenere che in alcuni casi, ma
non in altri, lo strumento di misurazione è trasparente rispetto al dato
misurato. La condizione per poter passare dalla determinazione relazionale
alla determinazione assoluta è che in certi casi almeno le idee siano
trasparenti e lascino vedere la causa che le ha determinate, senza filtrarla alla
luce del contenuto specifico delle qualità dello psichico.
Ci imbattiamo così in un capitolo tradizionale della filosofia dell’età moderna: la distinzione tra qualità
primarie e secondarie. Le qualità primarie sono proprietà intrinseche degli oggetti su cui possiamo
asserire qualcosa poiché le idee delle qualità primarie sono simili per contenuto a ciò che sta a
fondamento dei poteri che in circostanze normali producono in noi quelle stesse idee. Per dirla con un
esempio: questo foglio ha il potere di suscitare in me la percezione della sua forma; la forma percepita
tuttavia è simile a ciò che nella cosa determina il suo potere di suscitare in me quell’esperienza — è
simile alla forma che caratterizza l’oggetto in se stesso. Di qui la possibilità di un uso trascendente dei
significati immanenti: assumere l’ipotesi delle qualità primarie significa dunque sostenere, almeno
ipoteticamente, che è legittimo impiegare il linguaggio mentalistico delle idee per descrivere in senso
proprio e non equivoco le proprietà assolute degli oggetti reali.
Le idee – lo sappiamo – sono il prodotto soggettivo e immanente di una causa
trascendente e quindi nulla rende necessaria l’ipotesi secondo la quale le idee sono di
fatto una raffigurazione sufficientemente precisa della realtà in se stessa.
Le cause non debbono essere simili agli effetti. Ma potrebbero esserlo: quando
camminiamo nel fango lasciamo ben chiare le impronte delle nostre scarpe sul terreno,
ma le orme — che pure ci consentono di cogliere quale sia la natura dell’oggetto che le ha
impresse e quale la sua esatta configurazione — non sono evidentemente animate da una
qualche istanza intenzionale o figurativa. Viceversa, quando camminiamo nell’acqua, non
possiamo dire quale sia la forma dei nostri piedi semplicemente guardando le onde che
produciamo: dobbiamo conoscere molti altri dati e un insieme di leggi di carattere fisico.
È dunque possibile un’asimmetria radicale che – ed è questa l’ipotesi che Locke ci invita a
formulare – dovrebbe concernere anche la sfera immanente delle idee: potrebbero
esserci idee trasparenti che lasciano vedere la loro causa ed idee opache che la
nascondono. Le idee di qualità primarie sono le idee del primo tipo, le idee delle qualità
secondarie sono del secondo.
Locke non ha dubbi su quali siano le proprietà intrinseche degli oggetti che si
rispecchiano nella nostra esperienza: sono le proprietà che avvertiamo nelle idee
semplici della solidità, dell’estensione, del movimento o della quiete, della figura e
del numero. Ed è altrettanto certo sulla natura delle qualità secondarie: colori,
suoni, sapori e odori appartengono senza dubbio alla sfera di quelle idee che ci
dicono solo che l’oggetto ha il potere di apparirci così, ma non ci informano affatto
sulla natura del fondamento obiettivo di quel potere. E tuttavia, per quanto scarsa
sia la sua propensione alle domande radicali (e radicalmente insincere) dello
scettico, resta vero — per Locke — che una risposta dogmatica non si può dare e
che non si può fare altro che mantenere sul terreno delle ipotesi la presa
dell’esperienza sulla realtà trascendente.
E va da sé che si tratta di un’ipotesi necessaria: l’assunzione ipotetica delle qualità
primarie coincide con l’ipotesi sulla legittimità dell’estensione del campo semantico
delle idee dalla sfera di ciò che è meramente mentale all’ambito della realtà obiettiva.
Idea
(la percezione del dolce)
Potere
(la capacità di apparire dolce
un soggetto normale S in
circostanze normali)
Qualità sensibile in senso
stretto (la struttura profonda
della cosa che è alla base del
suo poter apparire dolce a S)
Abbiamo dunque
• le idee di qualità primarie che sono trasparenti e che, proprio per questo, ci
conducono dai poteri alle proprietà obiettive che li fondano;
• le idee delle qualità secondarie che non ci permettono di vedere attraverso i poteri
la cosa stessa che li sorregge.
E ciò è quanto dire: nel caso delle idee di qualità primarie parliamo di qualità in senso
stretto, mentre nel caso delle qualità secondarie, parliamo di «qualità» in seconda
accezione.
Le qualità secondarie non sono altro che la denominazione relativa delle qualità
primarie su cui si fondano i poteri che ridestano in noi idee come il colore, il sapore, i
profumi, e così di seguito.
Scrive Locke:
“Secondly, such qualities which in truth are nothing in the objects themselves but
power to produce various sensations in us by their primary qualities, i.e. by the bulk,
figure, texture, and motion of their insensible parts, as colours, sounds, tastes, &c.
These I call secondary qualities” (ivi, II, viii, 10).
“The ideas of the primary alone really exist. The particular bulk, number, figure, and
motion of the parts of fire or snow are really in them,- whether any one's senses
perceive them or no: and therefore they may be called real qualities, because they
really exist in those bodies. But light, heat, whiteness, or coldness, are no more really
in them than sickness or pain is in manna. Take away the sensation of them; let not
the eyes see light or colours, nor the ears hear sounds; let the palate not taste, nor
the nose smell, and all colours, tastes, odours, and sounds, as they are such
particular ideas, vanish and cease, and are reduced to their causes, i.e. bulk, figure,
and motion of parts” (ivi, II, viii, 17).
Questa ipotesi vogliamo formularla così: le qualità primarie sono proprietà
intrinseche degli oggetti su cui possiamo asserire qualcosa poiché le idee delle qualità
primarie sono simili per contenuto a ciò che sta a fondamento dei poteri che in
circostanze normali producono in noi quelle stesse idee.
Al contrario le idee dei colori o dei sapori, ecc. stanno per poteri che non ci
consentono di istituire un rimando immediato alla natura obiettiva che li fonda. I
colori o i sapori non sono simili alla causa che li produce in noi.
Di qui la possibilità di un uso trascendente di alcuni, ma non tutti, i significati
immanenti del linguaggio mentale: assumere l’ipotesi delle qualità primarie significa
dunque sostenere, almeno ipoteticamente, che è legittimo impiegare il linguaggio
mentalistico delle idee primarie per descrivere in senso proprio e non equivoco le
proprietà assolute degli oggetti reali.
Abbiamo formulato un’ipotesi ed ora dobbiamo chiederci che cosa la legittima.
Una differenza rilevante rispetto alla via cartesiana: non parliamo di idee chiare e
distinte e non cerchiamo in un qualche privilegio epistemico il fondamento della
distinzione tra idee di qualità primarie secondarie. Il fondamento deve essere cercato
nella natura degli effetti – nel loro essere o meno trasparenti.
Di qui la natura degli argomenti che Locke ci propone per giustificare la teoria delle
idee di qualità primarie – argomenti che in fondo mirano tutti a mostrare che nel caso
delle idee di qualità primarie lo strumento di rilevamento corporeo non aggiunge
nulla e lascia penetrare nell’effetto la struttura della causa.
Locke propone quattro argomenti:
1. Le idee delle qualità secondarie appartengono alla scala antropologicamente
determinata delle nostre esperienze, ma scomparirebbero se potessimo disporci in uno
spazio microscopico;
2. Le idee delle qualità secondarie sono centrate nell’io e dipendenti dall’io e dalle
circostanze che lo mantengono in vita;
3. Le idee delle qualità secondarie sono dipendenti dalle circostanze in cui accade la
percezione;
4. Le idee delle qualità secondarie sono dipendenti dalle circostanze in cui si trova il nostro
corpo che le percepisce.
1. Le idee delle qualità secondarie appartengono alla scala antropologicamente determinata
delle nostre esperienze, ma scomparirebbero se potessimo disporci in uno spazio microscopico
“The now secondary qualities of bodies would disappear, if we could discover the primary ones of their
minute parts. Had we senses acute enough to discern the minute particles of bodies, and the real
constitution on which their sensible qualities depend, I doubt not but they would produce quite
different ideas in us: and that which is now the yellow colour of gold, would then disappear, and instead
of it we should see an admirable texture of parts, of a certain size and figure. This microscopes plainly
discover to us; for what to our naked eyes produces a certain colour, is, by thus augmenting the
acuteness of our senses, discovered to be quite a different thing; and the thus altering, as it were, the
proportion of the bulk of the minute parts of a coloured object to our usual sight, produces different
ideas from what it did before. Thus, sand or pounded glass, which is opaque, and white to the naked
eye, is pellucid in a microscope; and a hair seen in this way, loses its former colour, and is, in a great
measure, pellucid, with a mixture of some bright sparkling colours, such as appear from the refraction of
diamonds, and other pellucid bodies. Blood, to the naked eye, appears all red; but by a good
microscope, wherein its lesser parts appear, shows only some few globules of red, swimming in a
pellucid liquor, and how these red globules would appear, if glasses could be found that could yet
magnify them a thousand or ten thousand times more, is uncertain” (ivi, II, xxiii, 11).
2. Le idee delle qualità secondarie sono centrate nell’io e dipendenti dall’io e dalle circostanze
che lo mantengono in vita
«Flame is denominated hot and light; snow, white and cold; and manna, white and sweet,
from the ideas they produce in us. Which qualities are commonly thought to be the same in
those bodies that those ideas are in us, the one the perfect resemblance of the other, as they
are in a mirror, and it would by most men be judged very extravagant if one should say
otherwise. And yet he that will consider that the same fire that, at one distance produces in
us the sensation of warmth, does, at a nearer approach, produce in us the far different
sensation of pain, ought to bethink himself what reason he has to say — that this idea of
warmth, which was produced in him by the fire, is actually in the fire; and his idea of pain,
which the same fire produced in him the same way, is not in the fire. Why are whiteness and
coldness in snow, and pain not, when it produces the one and the other idea in us; and can do
neither, but by the bulk, figure, number, and motion of its solid parts?»» (ivi, II, viii, 16).
3. Le idee delle qualità secondarie sono dipendenti dalle circostanze in cui accade la
percezione
“Let us consider the red and white colours in porphyry. Hinder light from striking on it, and
its colours vanish; it no longer produces any such ideas in us: upon the return of light it
produces these appearances on us again. Can any one think any real alterations are made
in the porphyry by the presence or absence of light; and that those ideas of whiteness and
redness are really in porphyry in the light, when it is plain it has no colour in the dark? It
has, indeed, such a configuration of particles, both night and day, as are apt, by the rays of
light rebounding from some parts of that hard stone, to produce in us the idea of redness,
and from others the idea of whiteness; but whiteness or redness are not in it at any time,
but such a texture that hath the power to produce such a sensation in us” (ivi, II, viii, 19).
4. Le idee delle qualità secondarie sono dipendenti dalle circostanze in cui si trova il nostro corpo
che le percepisce
“how water felt as cold by one hand may be warm to the other. Ideas being thus distinguished and
understood, we may be able to give an account how the same water, at the same time, may produce the
idea of cold by one hand and of heat by the other: whereas it is impossible that the same water, if those
ideas were really in it, should at the same time be both hot and cold. For, if we imagine warmth, as it is in
our hands, to be nothing but a certain sort and degree of motion in the minute particles of our nerves or
animal spirits, we may understand how it is possible that the same water may, at the same time, produce
the sensations of heat in one hand and cold in the other; which yet figure never does, that never
producing— the idea of a square by one hand which has produced the idea of a globe by another. But if the
sensation of heat and cold be nothing but the increase or diminution of the motion of the minute parts of
our bodies, caused by the corpuscles of any other body, it is easy to be understood, that if that motion be
greater in one hand than in the other; if a body be applied to the two hands, which has in its minute
particles a greater motion than in those of one of the hands, and a less than in those of the other, it will
increase the motion of the one hand and lessen it in the other; and so cause the different sensations of heat
and cold that depend thereon” (ivi, II, viii, 21).
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