LE STORIOGRAFIE DEL NOVECENTO Un primo sguardo Il persistere delle storiografie nazionali Se la storiografia dell’Ottocento aveva posto le basi per una marcata differenziazione in senso nazionale delle diverse scuole storiche, nella prima metà del Novecento tale differenziazione non viene meno, anche a causa dei due conflitti mondiali, dell’insorgere di regimi nazionalisti e dittatoriali in Italia, in Germania e nella penisola iberica e dell’autoisolamento della Russia sovietica. Il rifiuto della storia politico-militare e la spinta alla contaminazione con le scienze sociali e ad un approccio comparativo alla storia, nell’ambito di un progetto tendenzialmente transnazionale promosso dalle francesi «Annales» nel periodo fra le due guerre, vengono infatti recepiti con difficoltà o addirittura respinti in paesi come l’Italia e la Germania le cui storiografie subiscono gravemente le pressioni della propaganda di regime, limitando fortemente gli spazi di libertà della ricerca. Anche i congressi internazionali degli storici, che a partire dalla fine dell’Ottocento avevano dato vita ad una vivace comunità scientifica internazionale via via più integrata, vengono diradati e ricondotti ad incontri un po’ rituali fra esponenti delle principali società storiche nazionali. Solo con fatica, a partire dagli anni cinquanta, si riprende a tessere le fila di una comunità scientifica internazionale, attraversata però da nuovi divisioni conseguenza degli opposti schieramenti della guerra fredda. Verso l’internazionalizzazione della disciplina Una caratterizzazione delle singole storiografie in senso nazionale viene mantenuta anche nel secondo dopoguerra, almeno nei primi anni, con un appannamento del ruolo della storiografia germanica, una relativa marginalità ed autosufficienza di quella britannica, la riconquista di un significativo ruolo internazionale di quella italiana – fortemente caratterizzata dalla dimensione etico-politica e di storia delle idee – e con il decisivo decollo di quella francese, ormai saldamente dominata dalla scuola delle «Annales» che per una lunga stagione -tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta – si affermerà come la più prestigiosa storiografia europea se non addirittura mondiale. Stimolata dalle suggestioni della storiografia francese, infatti, tutta la storiografia subisce la positiva, seppur non indolore, contaminazione con le scienze sociali - in particolarmente con l’economia, la sociologia e più tardi con la psicologia e l’antropologia culturale – trasformandosi nell’ultimo scorcio del secolo in una disciplina a forte vocazione interdisciplinare. Il persistere della storiografia «eticopolitica» D’altro canto il Novecento storiografico è profondamente segnato dall’influenza di grandi studiosi di matrice liberale e storici delle idee, quali Benedetto Croce in Italia, Friedrich Meinecke in Germania, o George Macaulay Trevelyan in Inghilterra, espressione di una concezione della storia definita, convenzionalmente, etico-politica, lontana da ogni contaminazione con le scienze sociali, ma non certo chiusa nelle angustie di una storia esclusivamente politica e militare. Rispetto alla rivoluzione storiografica rappresentata dell’avventura delle «Annales», tesa a rimarcare una cesura profonda con i modelli storiografici precedenti, maggiore è la continuità con la tradizione ottocentesca nelle storiografie tedesca e italiana, più di altre implicate nel processo di costruzione di un’identità nazionale purtroppo tragicamente sfociata nelle dittature fascista e nazista. Italia-Germania / Francia-USA Guardando al panorama europeo novecentesco vale la pena di soffermarsi sulla diversa connotazione (e quasi contrapposizione) delle storiografie italiana e tedesca da un lato e francese e angloamericana dall’altro: ossia fra la cultura dei paesi sconfitti e segnati dall’esperienza della dittatura e del totalitarismo e quella dei paesi vincitori nei quali la democrazia era rimasta più salda anche negli anni della guerra. Non è un caso che sia l’Italia che la Germania uscissero da un più recente processo di costruzione dell’identità nazionale, concluso non senza conflitti profondi solo a metà Ottocento, mentre altrove l’unità nazionale rappresentava una realtà già da secoli, sebbene fosse segnata dalla presenza di significative fratture rivoluzionarie a loro volta profondamente rielaborate già dalle storiografie ottocentesche e poi da quelle del primo Novecento. Anche per questa ragione, probabilmente, in Italia e in Germania più che altrove si era affermata e consolidata, a cavallo fra i due secoli, una storiografia di matrice storicistica e di alto livello che era stata in grado di mantenersi egemone respingendo sia l’assalto dell’approccio positivista sia quello della storia economica e sociale che si sarebbe invece affermata in Francia. Il fascismo come parentesi Una maggior continuità fra Otto e Novecento, all’insegna di un rinnovato storicismo, rappresentato esemplarmente nei due paesi da Croce e da Meinecke, era il tratto distintivo più evidente che le due storiografie presentavano ancora all’indomani del secondo conflitto mondiale. In entrambi i paesi questa storiografia tendeva a considerare l’esperienza del fascismo e del nazismo come una parentesi negativa nella propria storia, come una deviazione tragica di una vicenda le cui linee di sviluppo venivano tenacemente ricercate nell’idea di libertà e in un’idea positiva di Stato nazionale. La stessa frattura tra fascismo e postfascismo non rappresenta, in Italia e in Germania, quella cesura a livello storiografico che si sarebbe verificata più avanti, fra gli anni sessanta e settanta e più nettamente negli anni novanta, anche in presenza del passaggio del testimone ad una diversa generazione di storici. La storiografia italiana del primo Novecento Per molti aspetti emblematiche, sono le vicende della storiografia italiana, rappresentata, agli inizi del secolo, da un grande maestro di matrice positivista come Pasquale Villari (1827-1917), docente a Pisa e a Firenze, senatore e ministro, meridionalista e autore di importanti lavori sulla Firenze rinascimentale e sul medioevo a sua volta maestro di Gaetano Salvemini (1873-1957), una delle migliori promesse della storiografia italiana d’inizio secolo e autore di un’opera come Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, pubblicata nel 1899, che rappresenta il più interessante contributo alla storia del potere politico e delle lotte sociali nella Firenze del tardo duecento, costruito su fonti e documenti ed ispirato ad un eclettico e creativo marxismo. «Studi Storici» Negli stessi anni la più avvertita storiografia italiana di matrice positivista si ritrovava attorno alla nuova rivista «Studi storici», fondata nel 1892 a Pisa dal medievista Amedeo Crivellucci (1850-1914) e dall’antichista Ettore Pais (1856-1939), palestra di molti giovani studiosi fra i quali il giovane Salvemini e il coetaneo Gioacchino Volpe (1876-1971), allievo di Crivellucci. È questa – dopo la fondazione nel 1884 della più paludata «Rivista Storica Italiana» - la prima rivista storica italiana di ampio respiro, anche internazionale, aperta al marxismo e al confronto con il diritto, l’economia e le scienze sociali, capace di affiancare filologia e filosofia della storia LA NASCITA DELLE “ANNALES” (Strasburgo, 1929) I precedenti 1868 –fondazione dell’ Ecole Pratique des Hautes Etudes, divisa in cinque sezioni: I, matematica; II, fisica e chimica; III, storia naturale e fisiologia; IV, scienze storiche e filolgia; V, scienze economiche e sociali. La V sezione, tuttavia, non decolla e viene chiusa nel 1870. Nel 1886 viene sostituita da una sezione di scienze religiose. 1891 - Paul Vidal de la Blache fonda le "Annales de Géographie" dirette dal 1894 da Lucien Gallois 1896 - Emile Durkheim fonda 1' "Année Sociologique« 1900 - Henri Berr fonda la « Revue de Synthèse Historique » 1903 - François Simiand - sociologo ed economista con forti interessi per la storia - pubblica l'articolo pionieristico Méthode historique et sciences sociales, contro "i tre idoli della tribù degli storici: il politico, l'individuale, il cronologico" (ripubblicato nel 1960 sulle "Annales"). 1929-39: La nascita della nuova rivista 1928- Marc Bloch e Lucien Febvre progettano una rivista internazionale ed interdisciplinare di scienze storiche e ne offrono la direzione al grande medievista belga Henri Pirenne, che non accetta. 1929 - Marc Bloch e Lucien Febvre fondano a Strasburgo le "Annales d'histoire économique et sociale", trimestrale (nella direzione figurano anche il geografo A. Demangeon, il sociologo M.Halbwachs, l'economista Ch. Rist e il politologo A. Siegfried). E' l'anno del grande crollo di Wall Street. La rivista si apre in alla storia contemporanea e recluta collaboratori negli ambienti del Bureau International du Travail (BIT), diretto allora dall'esponente socialista francese Albert Thomas, e della London School of Economics (LSE).- nell'editoriale Le parole e le cose in storia economica Bloch e Febvre propongono una riflessione sull'evoluzione semantica dei vocaboli e dei concetti usati dagli storici. M. Bloch e L. Febvre Gli anni trenta 1932 - la rivista passa da trimestrale a bimestrale. 1936 - Marc Bloch è nominato professore alla Sorbona, succedendo ad Henri Hauser nella cattedra di storia economica (l'unica di tutta la Francia). Bloch e Febvre propongono dalle pagine delle "Annales" un'inchiesta collettiva sulle nobiltà europee di antico regime. 1937 - F. Braudel entra nel comitato di direzione delle "Annales". 1938 - con l'avvicinarsi della guerra anche la rivista entra in crisi: nel mese di novembre l'editore Armand Colin ritira il suo appoggio, le "Annales“ cambiano sede ed editore e riprendono la periodicità trimestrale, adottando una veste più economica. 1939 - la rivista viene ribattezzata "Annales d'histoire sociale". 1940-45: La crisi bellica 1940 - Febvre rimane solo a Parigi a dirigere la rivista; nel mese di luglio manda in stampa tutti gli articoli in suo possesso, prevedendo il disastro. Nel vol. III (1941) della rivista comparirà il saggio di L. Febvre, La sensibilité et l'histoire. Comme reconstruire la vie affective d'antan, che costituisce la chiave d'interpretazione dei due libri (Le problème de l'incroyance e Amour sacrée et amour profane) sul problema della sensibilità religiosa degli uomini e delle donne del XVI secolo pubblicati da Febvre nel corso del 1942 1941 - in seguito alle leggi razziali antiebraiche Febvre è costretto a togliere il nome di Bloch dal comitato di direzione delle "Annales", per evitare la chiusura della rivista. Bloch protesta, considerandolo un atto di debolezza; lascia Parigi per Montpellier ed entra nella Resistenza. 1941-45 - sotto l'occupazione tedesca la rivista interrompe le pubblicazioni, ma Febvre riesce ugualmente a pubblicare qualche fascicolo sotto il titolo di "Mélanges d'histoire sociale". 1944 – Marc Bloch è catturato a Lione e fucilato dai tedeschi della Gestapo; lascia inedita l’Apologia della storia. Marc Bloch Marc Bloch (1886-1944) 1886 - nasce il 6 luglio a Lione da una famiglia alsaziana di origine ebraica; il padre, Gustave Bloch, è professore di storia antica prima all'Università di Lione e quindi all'Ecole Normale Superieure di Parigi. - la famiglia Bloch si trasferisce a Parigi dove Marc frequenta il liceo Louisle-Grand. 1904 - si iscrive all'Ecole Normale Superieure, dove segue in particolare le lezioni del sociologo Emile Durkheim. 1908 - consegue l'agrégation in storia e trascorre due anni (1908-1909) a Lipsia e Berlino specializzandosi in storia medievale. 19O9-1912 - prosegue gli studi grazie ad una borsa di studio triennale della "Fondation A. Thiers". 1913 - pubblica sulla "Revue de synthèse historique" di H. Berr una monografia sull'Ile-de-France tratta dalla sua tesi di dottorato, che si affianca a quella di L. Febvre sulla Franca Contea. 1912 - inizia ad insegnare storia e geografia nei licei, prima a Montpellier e poi ad Amiens, ma deve interrompere nel 1914 a causa della guerra. Dal fronte orientale all’Università di Strasburgo (1914-1921) 1914-18 - si arruola in fanteria col grado di sergente e combatte sul fronte orientale, nelle trincee delle Argonne; partecipa alla battaglia della Somme e viene promosso prima tenente e poi capitano; ottiene la Legion d'Onore per meriti di guerra. "Per non abbandonare ai capricci della memoria" l'esperienza vissuta, stende un quaderno di Ricordi di guerra (1914-15) che saranno pubblicati postumi solo nel 1969. 1919 - è nominato maitre de conférences di storia medievale all'Università di Strasburgo, dove incontra Lucien Febvre del quale aveva già letto ed apprezzato la tesi. Sposa Simonne Vidal dalla quale avrà sei figli. 1920 - discute alla Sorbona la sua tesi di dottorato su Rois et serfs, un chapitre d'histoire capétienne, che viene pubblicata lo stesso anno. 1921 - diviene agrégé (professore associato) di storia medievale a Strasburgo. Incontra a Bruxelles lo storico Henri Pirenne. Pubblica sulla "Revue de synthèse historique" il saggio metodologico Réflexions d'un historien sur les fausses nouvelles de la guerre , ripensando anche alla propria esperienza militare. L’incontro con Lucien Febvre e la fondazione delle “Annales” (1924-1929) 1924 - pubblica il suo capolavoro su Les Rois thaumaturges , incrociando per la prima volta – in chiave comprativa - storia sociale e storia delle mentalità. 1927 - diventa professore ordinario a Strasburgo. 1929 - fonda insieme a Lucien Febvre la rivista "Annales d'histoire économique et sociale" Nel comitato di direzione della nuova rivista figurano anche: il geografo A. Demangeon, il sociologo M.Halbwachs, l'economista Ch. Rist il politologo A. Siegfried La prima stagione delle “Annales” (19291940) 1931 - pubblica Les caractères originaux de l'histoire rurale française, rielaborazione di una serie di conferenze tenute nel 1929 all' "Istituto per la storia comparata delle civiltà" di Oslo. Come ne La terre et l'evolution humaine di Febvre al centro sono i rapporti fra il territorio e i suoi abitanti. 1934 - con il sostegno di L. Febvre è candidato ad una cattedra di "Histore comparée des sociétés européennes" al Collège de France, ma non la ottiene (viene scelto invece il suo eterno rivale Louis Halphen). 1936 - lascia Strasburgo per Parigi, dove è chiamato sulla cattedra di storia economica lasciata da H. Hauser. Pochi mesi dopo ottiene dalla Facoltà di Lettere la creazione di un nuovo "Istituto di storia economica e sociale". Pur rifiutando il marxismo e non aderendo ad alcun partito, si ritiene un uomo di sinistra e sostiene il Fronte Popolare. 1939-40 - pubblica in due volumi la grande sintesi su La société féodal per la collana "L'évolution de l'humanité" diretta da H. Berr. Allo scoppio della guerra, pur potendo evitarlo, si arruola nell'sercito francese con il grado di capitano di stato maggiore; sfugge alla cattura da parte dei tedeschi dopo la battaglia di Dunkerque e rientra in Francia in abiti civili. La resistenza antinazista e la morte (19401944) 1940 - viene escluso dall'insegnamento a causa della sua origine ebraica, ma il governo di Vichy, "per eccezionali servizi scientifici resi alla Francia", gli evita l'epurazione, limitandosi a trasferirlo da Parigi a Clermond-Ferrand (dove è stata trasferita l'Università di Strasburgo). 1940-41 - tiene un corso universitario sul tema: "Come e perché lavora uno storico", nel quale abbozza le linee dell'Apologie pour l'histoire. 1941 - adducendo le cattive condizioni di salute della moglie, ottiene il trasferimento all'Università di Montpellier, dove è fatto oggetto degli attacchi del preside della Facoltà di Lettere, fascista ed antisemita. A Montpellier entra in contatto con la Resistenza e aderisce alla rete "Combat". In seguito al crollo della Repubblica di Vichy ed all'occupazione tedesca di tutta la Francia viene nuovamente epurato e si rifugia in una casa di campagna nella Creuse. A causa delle leggi antiebraiche è costretto a firmare i suoi articoli con lo pseudonimo "M. Fougères". Un'ultima possibilità gli viene offerta dalla "New School of Social Research" di New York, che gli propone di emigrare negli Stati Uniti mettendosi in salvo. L'impossibilità di condurre con sè tutta la famiglia impedisce la realizzazione del progetto. 1942 - ritorna a Lione da solo ed entra nella Resistenza clandestina, aderendo al movimento "FrancTireur" con il nome di battaglia di "Narbonne". 1943 - è membro del direttivo regionale della Resistenza ed organizza materialmente l'insurrezione nei dieci dipartimenti (Rhône-Alpes) dipendenti da Lione. - durante la clandestinità scrive numerosi articoli (firmati con gli pseudonimi di "Chevreuse" e "Arpajon") e due libri che saranno pubblicati postumi: L'étrange défaite (1940) e Apologie de l'histoire, ou métier d'historien (pubblicato da Febvre nel 1949). 1944 - mentre organizza la rete clandestina nella zona di Lione è catturato dalla Gestapo l'8 marzo, sottoposto a tortura ed infine fucilato il 16 giugno con altri ventisei membri della Resistenza nei pressi del villaggio di Saint-Didier-de-Formans. Lucien Febvre Lucien Febvre (1878-1956) La formazione 1878 - nasce a Nancy, in Lorena, dove inizia gli studi liceali. E' figlio di un professore di liceo, poi passato all'insegnamento universitario. 1897-98 - si trasferisce a Parigi per entrare all'Ecole Normale Supérieure dove segue i seminari del geografo Pierre Vidal de la Blache, del filosofo e antropologo Lucien LévyBruhl e dello storico dell'arte Emile Mâle. 1900 - è affascinato dalla lettura della nuova "Revue de synthèse historique" di Henri Berr, che propone una sintesi interdisciplinare fra storia, sociologia, economia, etnografia. Particolari stimoli raccoglie dall'articolo di Maurice Dumoulin, Choses à faire , pubblicato nel 1901. 1904 - ottiene un posto di professore di storia e geografia al Liceo di Besançon ed inizia a lavorare alla sua tesi di dottorato con un progetto di storia locale. 1905 - pubblica sulla "Revue" di Berr una prima introduzione bibliografica e storiografica sulla provincia della Franche-Comté. 1911 - presenta la sua dissertazione di dottorato su Philippe II et la Franche-Comté , dedicata alla storia delle propria regione d'origine e destinata a diventare un modello di monografia regionale nella prospettiva della storia sociale (a dispetto del titolo non è il sovrano, bensì la società e il territorio ad essere protagonista del libro, o meglio: il "personaggio storico collettivo"). 1912 - ottiene un incarico di insegnamento all'Università di Digione. L’esordio scientifico (1913-1922) 1913-14 - progetta un libro sui rapporti fra storia e geografia (suggeritogli da H. Berr), ma deve interrompere gli studi a causa della guerra. 1914-18 - combatte sul fronte orientale con il grado di caporale. 1919 - congedato dall'esercito è nominato professore di storia moderna all'Università di Strasburgo, da poco ritornata alla Francia. Qui incontra Marc Bloch, incaricato di storia medievale. Nella sua lezione inaugurale parla dell'utilità della storia "in un mondo in rovina". Ideologicamente indipendente, professa una personale idea di socialismo libertario, ricollegandosi alla tradizione dei philosophes settecenteschi; lo Stato e la Chiesa sono i suoi avversari, nemici della libertà individuale. 1922 - conclude e pubblica - nella collezione storica diretta da H. Berr - La terre et l'evolution humaine. Introduction géographique à l'histoire - un libro ispirato, fra l'altro, al metodo del grande geografo anarchico Elisée Reclus - suscitando le aspre critiche dei geografi accademici. Febvre rovescia il rigido determinismo positivistico secondo cui il comportamento dell'uomo sarebbe determinato dal territorio in cui vive, mostrando come sia stato invece l'uomo a foggiare il territorio nel corso dei secoli. Il laboratorio di Strasburgo (1925-1929) 1925 - concorre alla cattedra di "histoire moderne et contemporaine" della Sorbona, lasciata da Seignobos, ma non la ottiene (gli viene preferito Robert Guyot, sostenuto da Emile Bourgeois); continua ad insegnare a Strasburgo. 1928 - pubblica la monografia Un destin, Martin Luther ed inizia ad occuparsi delle origini della Riforma protestante in Francia (il progetto della ricerca è contenuto nel celebre articolo Une question mal posée ), dichiarando di voler sottrarre il tema ai teologi per restituirlo agli storici 1929 - fonda insieme a Marc Bloch la rivista "Annales d'histoire économique et sociale" (nel comitato di direzione figurano anche il geografo A. Demangeon, il sociologo M.Halbwachs, l'economista Ch. Rist e il politologo A. Siegfried). Il Collège de France e la guerra (19331944) 1933 - lascia Strasburgo per Parigi, dove è nominato professore di "Histoire de la civilisation moderne" al Collège de France. - assume la presidenza dell'Encyclopédie française, la cui pubblicazione incomincerà nel 1935. L'incarico gli darà modo di entrare in rapporto con i cultori delle più disparate discipline. 1937 - di ritorno dall'Argentina, dove ha tenuto un ciclo di conferenze, incontra il giovane F. Braudel con il quale stringe amicizia. 1940-45 - troppo anziano per essere richiamato alle armi, rimane a Parigi e tiene i contatti sia con Braudel, prigioniero dei tedeschi, che con Bloch, partigiano, che verrà ucciso nel 1944. 1940 - nel mese di luglio manda in stampa tutti gli articoli ancora in suo possesso. Sarà l'ultimo fascicolo delle "Annales" prima dell'interruzione bellica. 1941-45 - sotto l'occupazione tedesca la rivista interrompe le pubblicazioni, ma Febvre riesce ugualmente a pubblicare sotto il titolo di "Mélanges d'histoire sociale". Prosegue le sue ricerche sulla cultura francese nell'età della Riforma. 1942 - pubblica Le problème de l'incroyance au XVI siècle: la religion de Rabelais. 1944 - pubblica Autour de l'Heptaméron: amour sacré, amour profane. Il dopoguerra e l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (1946-1956) 1946 - le "Annales" riprendono le pubblicazioni con un nuovo comitato di direzione presieduto da Febvre. 1947 - viene creata, con un contributo della "Rokfeller Foundation", la VI section (sciences sociales) dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes, non abilitata a concedere titoli accademici (L. Febvre è nominato direttore per le ricerche storiche; Ch. Morazé direttore per le ricerche economiche) 1949 - L. Febvre è nominato membro del consiglio d'amministrazione del Conseil National de la Récherce Scientiphique (CNRS). - è nominato presidente del comitato UNESCO degli storici francesi e presidente del comitato per la storia della seconda guerra mondiale. 1950 – organizza e presiede il IX Congresso Internazionale di Scienze storiche, riunito a Parigi. 1953 - pubblica Combat pour l'histoire , considerato il suo testamento spirituale. 1956 - muore nella sua casa di campagna a Saint-Amour. - F. Braudel assume la direzione delle "Annales" (che manterrà fino al 1968) divenendo così il successore e l'erede ideale di L. Febvre. L’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi: una zona franca L’AFFERMAZIONE EUROPEA DELLA STORIOGRAFIA FRANCESE Da movimento a istituzione Da Febvre a Braudel (1946-1956) 1946 - ricostituita la redazione dopo la morte di Bloch, la rivista viene ribattezzata "Annales: Economies, Societés, Civilisations"; ne assume la direzione L. Febvre (1946-56). 1947 - F. Braudel è bocciato ad un concorso a cattedra della Sorbona (è considerato “un geografo” e non uno storico) 1947 - con un contributo della statunitense "Rockfeller Foundation" nasce la Sixième Section (scienze economiche e sociali) dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE), non abilitata a concedere titoli accademici (direttore per le ricerche storiche: F. Braudel; direttore per le ricerche economiche: Ch. Morazé). 1949 - F. Braudel è nominato membro del Collège de France (cattedra di civiltà moderna), ma l'istituzione è ancora snobbata dagli accademici della Sorbona, che la giudicano marginale rispetto all'Università 1949-54 - F. Braudel è nominato presidente della commissione d'esami per l'ammissione all'insegnamento di storia (jury d'agrégation) 1949 - L. Febvre è nominato membro del consiglio d'amministrazione del CNRS - L. Febvre è nominato presidente del comitato UNESCO degli storici francesi e presidente del comitato per la storia della seconda guerra mondiale Da Febvre a Braudel (1946-1956) 1950 - viene costituito, sotto la direzione di F. Braudel, il Centre de Recherches Historiques (CRH) presso la VI section dell'EPHE. Il Centre è suddiviso in quattro settori tematici: 1) Affaires et gens d'affaires; 2) Monnaies, prix et conjunctures; 3) Ports, routes et traffics; 4) Démographie et société. 1951 – lo storico americano F.C. Lane è nominato rappresentante a Parigi della "Rokfeller Foundation" e procura al Centre de Recherches Historiques dell'EPHE un finanziamento di 4.5000.000 di franchi per tre anni. - con l'articolo "Ars moriendi ". Appunti sul problema della morte alla fine del XV secolo lo storico italiano Alberto Tenenti, allievo di Braudel, propone di studiare gli atteggiamenti degli uomini di antico regime di fronte alla morte. L'idea - spostando l'attenzione dal XV al XVIII secolo - sarà ripresa e sviluppata venticinque anni dopo da Michel Vovelle. 1952 - lo storico Pierre Goubert - autore di una monumentale tesi su Beauvais et le Beauvasis au XVII siècle - presenta sulle "Annales" una sintesi della sua ricerca che rivoluziona il tradizionale uso delle fonti demografiche. 1955 - Braudel si reca negli Stati Uniti per contattare le grandi fondazioni private alla ricerca di sostegni al suo progetto di impiantare a Parigi una nuova Facoltà o Istituto universitario di scienze sociali. F. Braudel e I. Wallernstein Dal movimento alle istituzioni Dalla fine degli anni quaranta si realizza il processo di istituzionalizzazione del movimento delle “Annales”, con la creazione nel 1947 della VI Sezione dell’EPHE. Questa realizza il proprio organigramma sulla base di una concezione federativa delle scienze umane, tendente a sostituire uno stato di apparente pacificazione alla lotta tra diverse istituzioni per il monopolio dell'insegnamento delle scienze sociali che aveva attraversato il periodo tra le due guerre. L’Ecole Pratiques des Hautes Etudes Il programma dei seminari interdisciplinari dell’anno 1948 DALLA RIVISTA ALLA “SCUOLA STORICA” Fernand Braudel e il confronto con l’antropologia strutturale Claude Lévy-Strauss. Storia e antropologia strutturale: una suggestione potente L’ “era Braudel” 1956 - dopo la morte di Febvre F. Braudel assume la direzione delle "Annales" (1956-68), che si trasformano rapidamente da movimento intellettuale in istituzione accademica, identificandosi sempre più come l"organo" della VI section dell'EPHE. 1958 - rispondendo all'Anthropologie structurale di C. Lévi-Strauss, F. Braudel pubblica sulle "Annales" il celebre articolo Histoire et sciences sociales. La "longue durée", che sarà considerato il manifesto programmatico del nuovo approccio "strutturalista" alla storia. Sull'articolo di Braudel si apre un vivace dibattito al quale prendono parte, fra gli altri, l'economista americano W.W. Rostow (1959), lo storico polacco W. Kula (1960) e lo stesso C. Lévi-Strauss (1960). 1959 - con l'articolo pionieristico Histoire et climat Emmanuel Le Roy Ladurie propone agli storici e ai geografi un nuovo tema di ricerca: la climatologia storica. 1960 - Jacques Le Goff pubblica l'articolo Temps de l'église et temps du marchand, nel quale affronta la diversa percezione del tempo degli uomini del medioevo. 1961 - nell'articolo Problèmes et méthodes d'une histoire de la psychologie collective Alphonse Dupront tende la mano agli psicologi proponendo di approfondire insieme i suggerimenti di Febvre sulla storia delle sensibilità collettive del passato. - con il fasc.3 del 1961 Braudel lancia l'inchiesta collettiva su Vita materiale e comportamenti biologici, aperta da una serie di articoli di storia dell'alimentazione. Gli anni sessanta 1963 - per iniziativa del Ministero dell'Educazione Nazionale e con un contributo della statunitense Ford Foundation nasce la Maison des Sciences de l'Homme, destinata a riunire tutti i centri di ricerca di "scienze umane" in un'unica modernissima sede che sarà inaugurata solo nel 1970 (Braudel presidente e amministratore) 1967 - l'articolo di Jean-Pierre Peter su Malati e malattie alla fine del XVIII secolo apre un nuovo e fecondo filone di studio, chiamando gli storici a confrontarsi con le scienze della vita. Il tema - in una chiave diversa - era stato già affrontato nel 1963 da Michel Foucault nel libro Naissance de la clinique. Une archéologie du regard médical. 1968 - alla fine dell'anno e dopo la rivolta studentesca esplosa nel mese di maggio F. Braudel lascia la direzione delle "Annales". Si palesa il dissenso tra Braudel e R. Mandrou (segretario di redazione della rivista) a proposito del presunto "tradimento" dell'eredità dell'ultimo Febvre e della sua proposta di psicologia storica da realizzarsi anche attraverso la biografia storica. Secondo Mandrou (autore di Magistrats et sorcières en France au XVII siècle, Paris 1968) lo "strutturalismo" di Braudel e la sua preferenza per gli studi di storia economica portano a sacrificare la dimensione più propriamente umana della ricerca storica. Charles Morazé nell'articolo L'histoire et l'unité des sciences de l'homme propone una radicale revisione della tradizionale logica delle "scienze umane". Braudel al comando Fernand Braudel (1902-1985) 1902 - nasce a Lumèville-en-Ornois, in Lorena, durante le vacanze estive dei genitori; il padre è direttore didattico a Parigi. 1904 - per ragioni di salute viene affidato alle cure della nonna paterna, a Lumèville, dove vive fino all'età di sette anni a contatto della natura. 1909 - ritorna a vivere con i genitori a Mérielle, nella "banlieu" di Parigi, dove frequenta le scuole primarie; quindi frequenta il liceo Voltaire a Parigi. 1919 - incerto fra medicina e matematica, sceglie la facoltà di Lettere e si iscrive alla Sorbona. 1922 - si laurea in storia economica con Henri Hauser, presentando una tesi piuttosto tradizionale su Bar-le-Duc (Lorena) durante la Rivoluzione francese. 1923 - consegue l'agrégation e sceglie di trasferirsi in Algeria per insegnare nelle scuole superiori - inizia a lavorare alla sua tesi di dottorato su "Filippo II, la Spagna e il mondo mediterraneo nel XVI secolo", sotto la direzione (formale) di Georges Pagés 1923-32 - per nove anni insegna storia e geografia nelle scuole superiori in Algeria, prima a Costantina, poi ad Algeri; durante le vacanze estive lavora nell'archivio spagnolo di Simancas e negli archivi delle principali città del Mediterraneo, dove ha modo di incontrare numerosi studiosi stranieri, fra i quali Hearl Hamilton e Federico Chabod. Ad Algeri conosce Paule che più tardi diverrà sua moglie. 1927 - chiede consiglio per la tesi a Lucien Febvre che gli suggerisce di rovesciare la prospettiva protagonista/sfondo, portando in primo piano la civiltà mediterranea - interrompe per breve tempo l'insegnamento per svolgere il servizio militare in Germania 1930 - in occasione del congresso storico per il "Centenario della conquista francese" (di cui è il vice segretario) incontra ad Algeri Henri Berr 1931 - incontra ad Algeri Henri Pirenne, invitato a tenere un ciclo di conferenze sul mondo islamico e il Mediterraneo. 1932-34 - ritorna in Francia e per due anni insegna nei licei di Parigi. 1934-35 - ottiene un incarico di insegnamento alla Sorbona nel quadro dei programmi preparatori all'agrégation (storia dell'America Latina) 1935 - scopre nell'archivio di Ragusa le serie delle corrispondenze commerciali; non avendo altri strumenti a disposizione, "fotografa" i documenti con una vecchia cinepresa rallentata 1935-37 - per due anni insegna alla nuova università di San Paulo del Brasile. Durante tutto l'inverno (periodo di vacanze) studia negli archivi italiani (Palermo, Napoli, Roma, Firenze, Genova). Dall’incontro con Febvre alla direzione delle “Annales” (1937-1956) 1937 - durante il ritorno in piroscafo dal Brasile alla Francia (venti giorni) incontra Lucien Febvre, di ritorno dall'Argentina: nasce l'amicizia fra i due - su proposta di Febvre è nominato "directeur d'études" alla IV sezione dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes ("Histoire des peuples ibériques et de la Méditérranée Occidentale du Moyen Age au XVIII siècle") 1939 - poco prima dello scoppio della guerra si prepara alla redazione della sua tesi di dottorato; rilegge e riordina tutte le schede redatte nel corso di quindici anni di ricerche. 1940-45 - a novembre è catturato dai tedeschi e trascorre quasi cinque anni di prigionia, prima all'Oflag XII B di Magonza (1940-42) - dove ha diritto a frequentare la biblioteca universitaria -, poi all'Oflag XC presso Lubecca; durante la prigionia scrive "a memoria" la prima stesura della sua tesi e ne espone le linee generali in un ciclo di conferenze rivolte agli altri prigionieri. Grazie alla Croce Rossa e all'ambasciata svizzera riesce a trasmettere a Lucien Febvre i capitoli della sua tesi. 1945 - nel mese di marzo è liberato e ritorna a Parigi 1946 - tiene un corso semestrale sull'America latina contemporanea all'Institut d'Etudes Politique 1947 - discute la sua tesi di dottorato su "Il Mediterraneo e Filippo II" - gli viene negata la cattedra di storia moderna alla Sorbona (è considerato un geografo e non uno storico); fra i suoi avversari è Pierre Renouvin 1947 - con un contributo della statunitense "Rockfeller Foundation" nasce la Sixième Section dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE), non abilitata a concedere titoli accademici (direttore per le ricerche storiche: L. Febvre; direttore per le ricerche economiche: Ch. Morazé) 1949 - a quarantasette anni Braudel pubblica la prima edizione del suo capolavoro La Méditerranée et le Monde méditerranéen à l'époque de Philippe II (la traduzione italiana - sconsigliata all'editore Einaudi da Delio Cantimori, ma voluta da Federico Chabod apparirà nel 1953). - è nominato (su proposta di Febvre) alla cattedra di civiltà moderna del Collége de France e condirettore (accanto a Febvre) del Centre de Recherches Historiques dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes - approfondisce il rapporto con Ernest Labrousse, invitato a collaborare alle "Annales" 1949-54 - è nominato presidente della commissione d'esami per l'ammissione all'insegnamento di storia nelle scuole superiori (jury d'agrégation) 1956 - dopo la morte di Febvre assume la direzione delle "Annales" La Maison des sciences de l’homme di Parigi 1958 - pubblica l'articolo Histoire et sciences sociales; la "longue durée" , in risposta all'Anthropologie structurale di Claude Lévy-Strauss. 1963 - per iniziativa del Ministero dell'Educazione Nazionale e con un contributo della statunitense "Ford Foundation" nasce la Maison des Sciences de l'Homme , da tempo voluta da Braudel e destinata a riunire tutti i centri di ricerca di "scienze umane" in un'unica modernissima sede che sarà inaugurata solo nel 1970 (Braudel ne è presidente e amministratore) - pubblica un manuale di storia contemporanea per le classi terminali dei licei: Le monde actuel. Histoire et civilisation (ristampato nel 1968 col titolo Grammaire des civilisations). 1966 - esce la seconda edizione francese, riveduta e corretta, de La Méditerranée. 1967 - esce il primo volume dell'opera Civilisation matérielle et capitalisme , intitolato Les structures du quotidien (trad it. 1977); seguiranno nel 1979 il secondo ed il terzo volume: Les jeux de l'exchange (trad it. 1981) e Les temps du monde (trad it.1982). 1968 - alla fine dell'anno F. Braudel lascia la direzione delle "Annales", chiamando a far parte del nuovo comitato di direzione alcuni storici della generazione più giovane: E. Le Roy Ladurie, J. Le Goff, M. Ferro, A. Burguière, J. Revel 1972 - si ritira dalla direzione della rivista e dalle principali cariche accademiche: J. Le Goff diviene presidente della VI section ; E. Le Roy Ladurie direttore delle "Annales" 1975 - la Sixième Section si trasforma in Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) - con sede al n.54 di Boulevard Raspail -, finalmente abilitata a concedere titoli accademici post-laurea (dottorato III ciclo e dottorato di stato) 1977 - François Furet diviene direttore dell'EHESS, sostituendo Jacques Le Goff. 1984 - a coronamento della sua lunga carriera Braudel è nominato Accademico di Francia. 1985 - Braudel muore improvvisamente a Parigi il 29 novembre, all'età di 83 anni. 1986 - esce postumo il libro L'identité de la France. L’EMERGERE DELLA TERZA GENERAZIONE Fra microstoria ed etnostoria La terza generazione delle “Annales” J. Le Goff E. Le Roy Ladurie F. Furet C. Ginzburg Il ricambio generazionale 1970 - con la decisione, assunta da Braudel nel 1968, di lasciare ai suoi collaboratori più giovani la direzione della rivista, emerge e si afferma la "terza generazione" degli storici delle "Annales“: Jacques Le Goff Emmanuel Le Roy Ladurie François Furet, Maurice Agulhon André Burguière Jacques Revel Roger Chartier Tratto comune alla biografia di molti di loro è l'aver militato, fra gli anni '40 e‘50, nel Partito Comunista Francese, allontanandosene poi - spesso in modo traumatico - dopo la crisi del 1956. L'abbandono del marxismo e la crisi d'identità politica degli anni sessanta conduce probabilmente alcuni di loro al rifiuto della storia politica e alla ricerca di una nuova "scientificità" nello strutturalismo e nelle scienze sociali. Storia e struttura 1971 - il fascicolo monografico delle "Annales" su Histoire et structure (XXXI, 1971), a cura di A. Burguière, conclude e ricompone la discussione - aperta nel 1958 - fra storici, sociologi e antropologi: il "nemico" viene non già affrontato, ma inglobato, mostrando che le innovazioni che esso propone sono già state pensate e realizzate nella pratica storiografica. La guerra tra lo strutturalismo e la storia non avrà luogo. Questo numero speciale non nasce dall'intenzione di rilanciare una contesa retorica promossa dalla moda, ma al contrario dall'intenzione di approfittare di una congiuntura di specificazione (A. Burguière) - sul medesimo fascicolo F. Furet pubblica l'articolo L'histoire quantitative et la construction du fait historique, XXXI (1971), pp.63-75, nel quale si propone la storia quantitativa e seriale come nuova frontiera della ricerca: in questa prospettiva il "dato", il documento non esiste di per se stesso, ma solo in rapporto alla serie che lo precede e lo segue; il "fatto storico" è un fenomeno scelto e costruito in funzione del suo carattere di ripetitività. "Storici ed antropologi cacciano la medesima selvaggina, ma la cucinano in maniera diversa". 1972 - al compimento dei settant'anni di età Braudel si ritira anche dalla direzione della rivista e dalle principali cariche accademiche: J. Le Goff diviene presidente della VI section E. Le Roy Ladurie direttore delle "Annales“ 1974 - con il fascicolo XXIX della rivista - Pour une histoire anthropologique - inizia una riflessione critica sul rapporto fra storia e scienze sociali. 1975 - la Sixième Section si trasforma in Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) - con sede al n. 54 di Boulevard Raspail -, abilitata a concedere titoli accademici post-laurea (dottorato III ciclo e dottorato di stato). La parabola istituzionale del gruppo di storici, sociologi antropologi ed economisti riuniti per la prima volta nel 1948 attorno a Lucien Febvre si compie con il riconoscimento ufficiale dell'autonomia e del prestigio dell'Ecole, equiparata ad una facoltà universitaria di "studi avanzati". 1977 - François Furet - che contende con Le Roy Ladurie il ruolo di "delfino" di Braudel, pur essendone molto distante sia nelle premesse metodologiche che negli esiti di ricerca - diviene direttore dell'EHESS, sostituendo Jacques Le Goff. La terza generazione Gli storici della "terza generazione" delle "Annales" tendono a configurare la loro disciplina più come "oggetto di una pratica discorsiva" che come "un modo di comprensione del reale". "Essa tende ad assumere nei confronti delle altre scienze umane, proiettate in un lavoro di costruzione teorica, la funzione di un procedimento critico teso a impedire il costituirsi, nella forma di intellettualismo a base logicoformale, di una nuova sintesi senza soggetto". Il lavoro degli storici rappresenterebbe dunque “l'estrema forza di resistenza contro l'avanzata dei processi di formalizzazione delle scienze dell'uomo". "Ciò che sembra evidente nelle "Annales" della terza generazione è l'assenza di un chiaro progetto epistemologico che delimiti il campo di interferenze con le proposte teoriche delle altre discipline". DOPO BRAUDEL le “Annales” alla ricerca dell’identità perduta Una difficile eredità 1985 - dopo la scomparsa del "Maestro", con il quale la comunità intellettuale di tutto il mondo aveva finito per identificare la "scuola storica francese" e dietro la cui vulcanica ed affascinante personalità erano stati spesso coperti divergenze, dissensi e conflitti, si apre una crisi all'interno del gruppo dirigente delle "Annales". Mentre l'ottuagenario Charles Morazé (unico superstite del gruppo originario del 1948) resta a rappresentare la continuità della tradizione, Emmanuel Le Roy Ladurie, pur rimanendo nel comitato di direzione della rivista, diviene presidente della Biblioteca Nazionale di Parigi e Jacques Le Goff, più di altri disponibile ad intervenire anche sulla stampa quotidiana e settimanale e nelle rubriche culturali della televisione, ritaglia per sé il ruolo di ambasciatore internazionale della storiografia francese. Al tempo stesso François Furet, dedito ormai principalmente allo studio del pensiero politico europeo fra otto e novecento, lascia la direzione dell'EHESS e si trasferisce negli Stati Uniti all'Università di Princeton; mentre i più giovani André Burguière e Jacques Revel assumono, di fatto, la guida della rivista. In mancanza di un vero ed unico erede di Braudel, la direzione collegiale della rivista non riesce però a mantenere una fisionomia così netta come nel passato, oscillando dalla nuova erudizione al gusto per la provocazione intellettuale, in presenza di una sempre più evidente frammentazione dei temi di ricerca e degli approcci metodologici. La crisi epistemologica che investe tutte le scienze sociali e le "discipline empiriche" tocca di conseguenza anche la storiografia che vive una difficile fase di crisi di identità. Gli stimoli critici maggiori provengono, in questo caso, dalla nuova linguistica americana e dalla filosofia decostruzionista secondo cui la pratica storiografica si riduce, in ultima analisi, alla produzione di testi che parlano di altri testi, senza poter più individuare un criterio di verità comune ed accertabile. In questa prospettiva viene negato ogni legame tra il racconto storico e le scienze sociali, così come fra la "rappresentazione narrativa" (la sola a poter essere rappresentata e quindi conoscibile solo attraverso la mediazione delle scienze del linguaggio) e la "realtà sociale" (inconoscibile perché non rappresentabile). Emmanuel Le Roy Ladurie e il “sistema” EHESS Chartier, Geerz fra teoria delle ricezione e antropologia simbolica 1. 2. 3. 4. 1993 - Roger Chartier - studioso della lettura e dei processi di acculturazione - interviene nel dibattito con un articolo su Le Monde dal titolo Il tempo dei dubbi nel quale fa il punto della questione indicando alcuni dei nodi irrisolti nel rapporto fra storia ed altre discipline: spostamento dell'attenzione sul testo e sulle sue modalità di produzione e di ricezione; confronto con l'ermeneutica e le scienze del linguaggio; nuovo rapporto privilegiato con gli storici della letteratura (con i quali, fino agli anni ottanta, gli storici sociali non avevano quasi mai comunicato); confronto con l’antropologia culturale anglosassone (Clifford Geerz) e con l'antropologia simbolica piuttosto che con l'ormai superata antropologia strutturale (Lévi-Strauss). Per superare la crisi e per rispondere alla sfida dei linguisti - secondo Chartier - gli storici devono dimostrare che è ancora possibile comporre testi in grado di descrivere realtà e che tali costruzioni testuali sono controllabili sulla base di un principio di verità. Quattro generazioni di storici attorno alle “Annales” I fondatori Lucien Febvre (1879-1956) Marc Bloch (1886-1944) …e accanto a loro: Albert Demangeon (18721940) François Simiand (18731935) Maurice Halbwachs (18771945) Georges Lefebvre (18741959) Ernest Labrousse (18951986) Seconda e terza generazione Seconda generazione Fernand Braudel (1902-1985) Alphonse Dupront (1905) Jean Meuvret (1909-1971) Charles Morazé (1913) Philippe Ariés (1914-1982) Pierre Goubert (1915) Georges Duby (1919) Robert Mandrou (1921-1984) ed inoltre il polacco: Witold Kula (1916-1988) Terza generazione Pierre Chaunu (1923) Jean Delumeau (1923) Jacques Le Goff (1924) Marc Ferro (1924) Maurice Agulhon (1926) François Furet (1927) Emmanuel Le Roy Ladurie (1929) Pierre Nora (1931) Michel Vovelle (1933) Daniel Roche (1935) André Burguière (1938) ed inoltre i polacchi: Bronislaw Geremek «1932) Krzysztof Pomian (1934) La quarta generazione e la rete internazionale delle “Annales” Le “Annales” fuori dalla Francia Quarta generazione gli americani: Immanuel Wallernstein (1930) Robert Darnton (1939) Nathalie Zemon Davies (1939) Jacques Revei (1942) Roger Chartîer (1945) Jean-Claude Schmitt (1946) Arlette Farge (1947) gli inglesi: Lawrence Stone (1919) Peter Burke (1937) gli italiani: Ruggiero Romano (1923) Alberto Tenenti (1924) Carlo Ginzburg (1939) Giovanni Levi (1939) La lezione delle “Annales” in Italia: Carlo Ginzburg e Giovanni Levi Norbert Elias (1897-1992) 1897 - nasce a Breslavia da un'agiata famiglia ebraica; il padre Hermann è un piccolo imprenditore tessile - frequenta il Johannes Gymnasium nella sua città 1914 - lo scoppio della guerra mondiale lo sorprende alla fine degli studi liceali; è arruolato nell'esercito e combatte 1918 - finita la guerra si iscrive contemporaneamente alle Facoltà di medicina e di filosofia, ma dopo aver ottenuto in entrambe le Facoltà il diploma del primo biennio, opterà per gli studi filosofici, laureandosi con il neokantiano Honigswald nel 1924. Il titolo della sua tesi è Idea e individuo. Un contributo alla filosofia della storia . Dopo la laurea i suoi interessi si polarizzano attorno al rapporto corpo-mente. Dalla filosofia approda alla sociologia che permette di fondere teoria e ricerca empirica 1922 - la crisi economica investe la famiglia Elias: per due anni Norbert lavora in una ditta commerciale mantenendo se stesso ed i genitori. 1924 - dopo la laurea lavora per qualche tempo come giornalista per il "Berliner Illustrierte" 1925 - si trasferisce ad Heidelberg per proseguire gli studi di sociologia, con l'obiettivo di intraprendere la carriera universitaria. Segue i corsi di Rickert e di Jaspers del quale diviene amico. Frequenta gli allievi, il fratello (Alfred Weber, professore di sociologia) e la vedova di Max Weber, da poco scomparso. Conosce Karl Mannheim, di poco più vecchio di lui ed esponente della sinistra. In tre anni consegue l'abilitazione con Mannheim. Rifiutando la vecchia pratica dei duelli, inizia a praticare professionalmente la boxe. Norbert Elias (1897-1992) Mannheim e la scuola di Francoforte 1928 - si trasferisce a Francoforte, dove Mannheim ha ottenuto la cattedra di sociologia, e discute la sua tesi sulla civiltà di corte che sarà publicata trent'anni dopo. Lavora come assistente di Mannheim presso l' "Institut für Sozialforschung" (fondazione indipendente nata nel 1923) da cui avrà origine la cosiddetta "scuola di Francoforte" di orientamento marxista. Conosce Max Horkheimer e Karl Wittfogel. 1930 - si aggregano all'Istituto Herbert Marcuse, Erich Fromm, Franz Neumann, Otto Kirchheimer e Theodor Wiesegrund Adorno. Molti di loro sono ebrei e quasi tutti militanti comunisti. Elias è invece del tutto estraneo alla politica. Karl Mannheim Gli anni dell’esilio: Parigi, Londra, Cambridge 1933 - con l'avvento al potere di Hilter molti dei docenti di Francoforte sono costretti all'esilio; anche Elias si trasferisce in Svizzera dove tenta inutilmente di ottenere un incarico universitario. Dopo aver cercato di convincere i genitori a lasciare la Germania, parte da solo per Parigi. 1934 - non ottenendo neppure a Parigi un incarico universitario, investe il suo denaro in una piccola fabbrica di giocattoli, gestita in società con altri due profughi tedeschi. 1935 - a Parigi conosce Gide, Malraux, Koyré, frequenta gli ambienti intellettuali, l'Ecole Normale Supérieure e pubblica due saggi: uno sul Kitsch e uno sugli Ugonotti. Ma la fabbrica di giocattoli non decolla ed Elias perde tutto il suo denaro. Lascia la Francia alla fine del 1935. 1936 - si trasferisce in Inghilterra dove vive inizialmente grazie all'aiuto di un'associazione di profughi ebrei. Studia alla British Library e delinea il suo progetto di ricerca sul processo di civilizzazione. 1939 - il libro Sul processo di civilizzazione è concluso: Elias cerca un editore disposto a pubblicarlo e lo trova, dopo molte difficoltà, in Svizzera. Il libro, pubblicato grazie al contributo economico del padre, è quasi ignorato dalla critica, ma è accolto con favore dai sociologi olandesi. Elias ottiene una borsa di studio della London School of Economics (trasferitasi a Cambdidge), ma resta un isolato nel mondo accademico inglese. 1940 - in seguito alla dichiarazione di guerra con la Germania, viene internato insieme ad altri profughi tedeschi, prima a Liverpool, poi sull'isola di Man. Durante la prigionia prosegue negli studi e tiene corsi e conferenze per gli internati. La madre viene deportata e muore in campo di concentramento. 1945 - finita la guerra ritorna a Cambridge con una borsa di studio e riprende la sue ricerche nell'isolamento più completo. Pubblica alcuni saggi sui "costumi" degli inglesi: sulla marina inglese (1950), sulla caccia alla volpe (1970) - partecipa alla "Group Analytic Society", un gruppo di psicoanalisti impegnati nella terapia di gruppo; inizia un'analisi personale per superare il trauma della morte della madre e per vincere l'insonnia. - nell'ambito della "GAS" inizia a guidare gruppi terapeutici; approfondisce lo studio delle teorie freudiane. 1954 - all'età di 57 anni, grazie all'amico (e fuoriuscito tedesco) Ilya Neustadt, ottiene il primo incarico d'insegnamento regolare presso il Dipartimento di sociologia dell'università di Leicester. Si occupa di sociologia dello sport e conduce un'inchiesta sui problemi di vicinato in un quartiere operaio. Gli ultimi anni 1957 - viene collocato a riposo, ma continua a partecipare alla vita universitaria, con lezioni e relazioni a convegni, ma esita a pubblicare i risultati delle sue ricerche. Le sue opere principali sono pubblicate in tedesco e non sono tradotte in inglese se non alla fine degli anni sessanta. 1962 - lascia l'Inghilterra ed accetta un incarico di insegnamento nel Ghana, dove soggiorna due anni dedicandosi allo studio della civiltà africana e collezionando opere d'arte locale. Conduce una ricerca sulla tribù Krobo. 1969 - viene pubblicato per la prima volta in Germania La società di corte ; si ripubblica Il processo di civilizzazione . 1970 - pubblica (in tedesco) il saggio polemico Cos'è la sociologia? Da questo momento l'opera di Elias conosce una stagione di grande, anche se tardiva fortuna: i suoi libri sono tradotti in tutte le lingue europee e ristampati in edizioni economiche. L'attenzione maggiore per la sua opera continua a venire dall'Olanda, dove è invitato a tenere corsi e conferenze, grazie ad un gruppo di docenti dell'università di Amsterdam che si richiama al suo metodo. 1970-75 - è invitato da molte università tedesche (Costanza, Aachen, Bochum, Bielfeld); soggiorna per quasi cinque anni a Bielfeld, ritornando sempre più raramente in Inghilterra. 1971 - perde la copia unica del manoscritto, ormai pronto per la stampa, di un saggio sui rapporti fra i sessi. 1975 - l'Università di Francoforte gli conferisce il titolo e la pensione di professore emerito. 1977 - ottiene il prestigioso "Premio Adorno" per gli studi di sociologia; l'Università di Aachen gli dedica una Festschrift per l'ottantesimo compleanno.. 1975 - si stabilisce definitivamente ad Amsterdam. 1992 – muore ad Amsterdam all’età di 95 anni. La storiografia americana esce dal’isolamento Più ancora delle storiografie europee fino alla prima metà del Novecento la storiografia statunitense aveva mantenuto una forte caratterizzazione ideologica, tesa a fondare l’identità americana a partire dagli ideali politici e religiosi protestanti e liberali, riflettendo sui momenti più salienti della propria storia: dall’immigrazione dei padri pellegrini alla fondazione delle colonie, dalla guerra d’indipendenza alla conquista dell’ovest, dalla guerra di secessione all’industrializzazione, fino alla difesa della civiltà occidentale e del libero mercato, indulgendo, spesso, su una lettura in chiave idealizzata e continuista della storia americana e della sua diversità, come se il paese non avesse mai attraversato i traumi e profondi conflitti politici, religiosi e ideologici che avevano invece caratterizzato la storia europea. Se fra Otto e Novecento la storiografia americana era dunque rimasta piuttosto periferica e in gran parte dipendente dai modelli europei, a partire dalla metà del secolo – anche in conseguenza dell’emigrazione di molti intellettuali europei sfuggiti al fascismo e al nazismo - dagli Stati Uniti iniziano a provenire interessanti stimoli alla ricerca e alla riflessione storiografica. L’emergere della storiografia USA Rispetto alla storiografia europea, quella americana si distingue per la scarsa presenza di studi di storia antica e medievale e per la netta prevalenza della storia moderna e contemporanea, solo in minima parte orientata allo studio della storia europea. Privi delle ricchissime fonti archivistiche di età medievale e moderna conservate negli archivi europei, ma dotati di grandi biblioteche e di ingenti risorse finanziarie, gli storici statunitensi si dividono: a) fra chi sceglie di dedicarsi ad una ricerca condotta direttamente sulle fonti, grazie a lunghi soggiorni negli archivi e nelle biblioteche europee (soprattutto inglesi, francesi e italiane); b) e chi si dedica invece più alla riflessione teorica, storiografica e metodologica, elaborando nuove chiavi interpretative spesso assai suggestive, ma qualche volta piuttosto slegate dalle fonti. Già negli anni trenta, tuttavia, ma soprattutto nel secondo dopoguerra, attorno alle grandi università del New England (Harvard, Yale, Princeton, Stanford, Cornell, Boston, New York), ma anche della West Coast (Los Angeles e S. Francisco), si sviluppa rapidamente una comunità scientifica fortemente internazionalizzata e in parte composta da studiosi provenienti dall’Europa o dall’Asia, particolarmente sensibile alle scienze sociali (non senza qualche concessione alle mode) dalla quale provengono importanti stimoli alla ricerca storica internazionale. Storici americani in Europa Storici modernisti come Natalie Zemon Davis e Robert Darnton, entrambi eletti, in diversi momenti, alla presidenza della “American Historical Association”, come Margaret C. Jacob, studiosa dell’illuminismo radicale e della massoneria, come Lynn Hunt, studiosa della rivoluzione francese, profondamente influenzate dal femminismo, o come Immanuel Wallernstein, allievo di Braudel, almeno nei primi anni della loro carriera sono direttamente influenzati dalla storiografia francese delle «Annales», mentre teorici della storiografia come Hayden White guardano con maggior distacco ad una ricerca condotta sulle fonti d’archivio, preferendo ragionare sulle forme della comunicazione storica. Elementi di collegamento fra Inghilterra e Stati Uniti sono alcuni storici inglesi come il già citato Lawrence Stone, docente fra il 1963 e il 1990 alla School of Historical Studies dell'Institute for Advanced Study di Princeton; come Jonathan Israel (1946), chiamato a Princeton dal 2001 e autore di importanti studi sulla storia dei Paesi Bassi in età moderna, sull’Illuminismo radicale e sugli ebrei in Europa; o come il brillante e discusso Simon Schama (1945), formatosi a Oxford prima di trasferirsi prima ad Harvard e poi alla Columbia University di New York, autore di libri di storia e di storia dell’arte di notevole successo, capace di passare con disinvoltura da Rembrandt alla Rivoluzione francese, e conduttore per la BBC di fortunate trasmissioni televisive su temi di storia. Revisioni e revisionismi È noto che ogni seria ricerca storica deve essere revisionista in quanto capace di rimettere in discussione le acquisizioni e le interpretazioni precedenti ponendo nuovi problemi. Spesso, però, il revisionismo si è presentato non come un habitus mentale, ma come un’ideologia fondata su idee preconcette e su una precisa visione del mondo da contrapporre ad un’altra. Questa ideologia, proposta per lo più da esponenti politici, “opinionisti” e giornalisti, più che da ricercatori storici, va denunciata e demistificata. La storiografia dell’ultimo scorcio del Novecento è stata infatti investita con particolare vigore dalla polemica revisionista coinvolgendo, in particolare in Francia attorno al bicentenario della rivoluzione del 1789, l’interpretazione delle grandi rivoluzioni dell’età moderna e contemporanea e successivamente, in particolare in Italia e in Germania, l’interpretazione del fascismo e del nazismo, per estendersi poi, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, all’interpretazione della rivoluzione d’ottobre e al ruolo del comunismo nella storia mondiale del Novecento. Il revisionismo in Francia: la riscrittura della rivoluzione In Francia è stato per primo lo storico inglese Alfred Cobban (1901-1968), con un polemico intervento del 1954 e poi con un libro del 1960, a mettere in discussione l’interpretazione classica della rivoluzione, seguito poi a partire dagli anni settanta da un grande storico legato alle «Annales», come François Furet (1927-1997) (un ex comunista approdato negli anni ottanta ad un liberalismo conservatore), autore della più radicale contestazione dell’interpretazione della rivoluzione francese data dagli storici di sinistra (democratici, socialisti e comunisti: da Jaurès a Lefebvre e da Soboul a Vovelle) che faceva del 1789, ma anche e soprattutto del 1794 (con il suo strascico di terrore e morte), l’avvio di una “rivoluzione borghese”, passaggio fondamentale verso la modernità, la cui violenza doveva essere accettata come “male necessario”. Furet contestava questa interpretazione in seguito ad un’attenta rilettura degli eventi storici e in nome dei principi liberali, mostrando come i fatti potessero essere letti in chiave diversa e soprattutto mostrando come il paradigma rivoluzionario giacobino fosse stato successivamente ripreso per giustificare la rivoluzione bolscevica del 1917 con la sua carica di violenza, giungendo a paragonare Robespierre con Lenin e Napoleone con Stalin. L’analisi di Furet era senza dubbio acuta, ma le sue tesi sarebbero state usate strumentalmente anche da esponenti di una destra reazionaria, cattolica e nostalgica dell’antico regime per contestare, in particolare negli anni della presidenza del socialista Mitterrand, ogni idea di progresso e di modernità. Il revisionismo in Inghilterra Il dibattito storiografico sulle cause delle rivoluzioni era stato aperto, ancor prima che in Francia, in Inghilterra con le critiche mosse a partire dagli anni cinquanta dallo storico conservatore Hugh Trevor Roper non solo all’interpretazione marxista della rivoluzione inglese proposta da Christopher Hill, ma anche alla più tradizionale lettura “laburista” di Tawney secondo cui la rivoluzione del 1641-49 sarebbe stata causata dall’ascesa della borghesia, della gentry e dei piccolo-medi proprietari terrieri e dalla loro lotta contro la grande aristocrazia feudale in crisi. Per Trevor Roper la rivoluzione sarebbe stata invece una reazione conservatrice causata dall’immiserimento della gentry, schiacciata fra la grande aristocrazia e i nuovi imprenditori agrari fautori del capitalismo, reagendo contro lo sviluppo economico e la modernità. Ancor più radicale la revisione proposta a partire dagli anni settanta da lord Conrad Russell (1937-2004), figlio del filosofo Bertrand, che nega il carattere paradigmatico della rivoluzione contestandone decisamente la natura sociale e riconducendone le vicende ad un conflitto politico e religioso contingente, sullo sfondo di una crisi finanziaria della monarchia, negando di conseguenza che la rivoluzione fosse inevitabile. È evidente che le interpretazioni revisioniste si affermano, anche a livello di opinione, come senso comune storiografico in particolare negli anni ottanta, caratterizzati da una svolta in senso conservatore e liberista dopo la vittoria elettorale di Margaret Thatcher alla quale viene attribuita l’affermazione che «la società non esiste: esistono gli individui». De Felice e il revisionismo italiano In Italia la polemica revisionista si identifica inizialmente con il nome di Renzo De Felice (1929-1996), anch’egli un ex comunista pentito, storico del fascismo autore di una monumentale biografia di Mussolini in otto volumi tesa, di fatto, se non a giustificare, quantomeno ad attenuare le gravi responsabilità del Duce per mettere in evidenza quanto di buono il regime aveva realizzato per l’Italia, prima della seconda guerra mondiale. Anche De Felice, storico di razza approdato in età matura a posizioni politiche conservatrici, sarebbe stato utilizzato, soprattutto dopo la sua morte, per giustificare una rivalutazione del fascismo promossa da una parte della destra italiana. R. De Felice, Mussolini, 8 voll., Einaudi, Torino 1965-1997. Il revisionismo in Germania In Germania la polemica revisionista viene aperta nel 1987 da un saggio del politologo Ernest Nolte (1923) dal titolo Der europäische Bürgerkrieg 1917-1945. Nationalsozialismus und Bolschewismus [La guerra civile europea, 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo] la cui tesi di fondo è che il nazismo non sia stata che una dura reazione tedesca al bolscevismo in grado però di assumerne alcune caratteristiche violente; la stessa unicità dell’orrore dei campi di sterminio viene da Nolte negata, sostenendo che il sistema dei gulag sovietici sarebbe stato il promo in ordine di tempo a mettere in atto una deportazione di massa finalizzata allo sterminio. Accusato di giustificazionismo e di antisemitismo, Nolte rivedrà successivamente le sue posizioni attenuandone le punte polemiche, ma mantenendo l’impianto interpretativo di fondo. Di tutt’altro impianto e ben più documentati sono i libri di storia militare sulla Germania nazista e sulla seconda guerra mondiale di Andreas Hillgruber (1925-1989), uno storico conservatore che in nome del suo patriottismo prussiano ha finito per rivalutare la resistenza dell’armata tedesca all’invasione sovietica, ponendo infine sullo stesso piano le vittime tedesche, sovietiche e gli ebrei come parte di un unico grande sterminio di massa. Da ricordare sono anche gli studi di Joachim Fest (1926-2006), storico e giornalista decisamente avverso al nazismo, autore di una importante biografia di Hilter (1973) e di una serie di libri sulla Germania nazista nei quali si interroga drammaticamente sulle reali capacità di Hitler di costruire un consenso alla propria politica. I pericoli del revisionismo 1. 2. 3. 4. 5. Vi sono diversi tipi di revisionismo, in parte basati sulla ricerca e sulla reinterpretazione, in parte sulla pura contrapposizione ideologica. Se una corretta revisione delle interpretazioni acquisite è auspicabile e financo una decostruzione di alcuni miti politico-storiografici, non è accettabile la strumentalizzazione della storiografia a fini politico-partitici che poco hanno a che vedere con la ricerca. In particolare bisogna guardarsi da alcuni procedimenti, impiegati dai vari revisionismi storici, quali la distruzione consapevole di categorie storiografiche forti e consolidate in nome di altre categorie storiografiche o politiche (spesso non esplicitate); la trasformazione in senso comune storiografico di un semplice clima d’opinione artificiosamente costruito dai media grazie a clamorose semplificazioni della realtà (ossia la formula semplice che ti fa capire il mondo); la contrapposizione ideologica e la sistematica deformazione delle tesi dell’avversario a fini polemici; l’individuazione di un soggetto storico (la rivoluzione, il comunismo) come incarnazione del “male assoluto”; la cancellazione o l’attenuazione delle responsabilità storiche di un soggetto mediante il coinvolgimento nella responsabilità (e nella colpa) di una molteplicità di altri soggetti; la riabilitazione degli sconfitti presentati come “vittime della storia” (Carlo I, Luigi XVI, Nicola II Romanov, Mussolini, ecc.). Fra teoria della ricezione, linguistic turn e antropologia simbolica Una significativa svolta nella storiografia occidentale si verifica tra la fine dagli anni settanta e gli anni ottanta a partire dal triplice impatto con -la teoria delle ricezione di Jauss, -con il cosiddetto linguistic turn e -con l’antropologia simbolica di Geertz che, anche in seguito - al tramonto dell’idealismo di matrice liberale, - all’esaurimento della spinta propulsiva del marxismo e - alla fine della storia quantitativa, producono un clima di nuovo “pirronismo storico” più attento alla varietà e mutevolezza delle «pratiche discorsive» che all’oggettività dei fatti storici. La svolta postmoderna Dalla fine degli anni sessanta si afferma progressivamente fra gli studiosi di letteratura la cosiddetta teoria della ricezione proposta dal linguista svizzero Robert Jauss (1921-1997), docente all’università di Costanza, secondo il quale ogni testo viene compreso dai diversi lettori in maniera diversa e indipendente dalle intenzione degli autori, sulla base dell’universo culturale di chi legge e soprattutto dall’«orizzonte d'attesa» di ciascun lettore. La teoria della ricezione viene successivamente accolta da alcuni storici, in particolare studiosi di storia del libro e della cultura come il francese Roger Chartier (1945), portando ad un significativo spostamento dell’attenzione dal testo in sé alle modalità della sua produzione e ricezione. Sotto il generico termine di linguistic turn, ossia svolta linguistica, sono comprese invece tutte quelle teorie, generate soprattutto negli Stati Uniti sull’onda del cosiddetto “post-modernismo” e diffuse in Europa tra gli anni ottanta e novanta, in base alle quali l’universo è costituito da segni, e non da cose, ed è pertanto impossibile verificare la realtà dei fenomeni storici, tutti basati su testi e discorsi e non su fatti. La terza componente della svolta è rappresentata dalla pubblicazione, nel 1973, dell’opera Interpretazione di culture dell’antropologo americano Clifford Geertz (1926-2006) secondo il quale la presenza sul campo e l’esperienza diretta non sono più sufficienti a garantire la piena comprensione di un’altra cultura che passa invece attraverso la capacità di penetrare, mediante una «descrizione densa», nel sistema di significati profondi che gli “attori sociali” attribuiscono alla propria vita sociale. Un discorso analogo viene esteso alla ricerca storica sottolineando i troppo frequenti anacronismi degli storici, convinti che il sistema di valori e l’universo simbolico degli uomini del passato sia non troppo dissimile dal proprio. Alla tradizionale storia politica si vengono così sostituendo – su influsso di Geertz e Foucault una storia antropologica dei rituali del potere o della rivolta, una storia dei linguaggi della politica, una storia della comunicazione e dei suoi meccanismi retorici. Norbert Elias (1897-1992) Allievo del sociologo Karl Mannheim e ricercatore tra il 1928 e il 1933 all’Institut für Sozialforschung di Francoforte (da cui avrà origine la cosiddetta "scuola di Francoforte” animata da Horkheimer, Adorno, Marcuse e Fromm), dopo l’avvento di Hitler al potere Norbert Elias espatria prima in Francia e poi in Inghilterra per sfuggire alle leggi antiebraiche. La sua grande ricerca sul processo di civilizzazione, pubblicata nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, è quasi del tutto ignorata dalla critica contemporanea, per essere riscoperta solo a partire dagli anni settanta in seguito alla pubblicazione di una sua nuova ricerca sulla società di corte, dedicata ad un’attenta analisi sociologica e antropologica delle dinamiche sociali e psicologiche e dei cerimoniali della Versailles di Luigi XIV. Il lungo isolamento accademico di Elias e il suo tardivo successo sono significativi di quanto i temi da lui proposti fossero difficilmente recepibili, fra gli anni quaranta e cinquanta, da una storiografia dominata dallo storicismo o dal marxismo. La civilizzazione viene infatti da lui interpretata come un lungo processo psicologico-sociale di affermazione del Sé che, tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, porta gli individui ad interiorizzare un sempre maggiore controllo e ripudio della violenza e di ogni manifestazione di corporeità, mediante una repressione degli istinti e un disciplinamento dei comportamenti (come mangiare, sputare, soffiarsi il naso, urinare), nonché un’interiorizzazione delle emozioni, culminati nella cosiddetta “civiltà delle buone maniere”. Solo la svolta “culturalista” degli anni ottanta e la nuova attenzione dedicata dagli storici agli aspetti psicologici e antropologici del vivere consentirà non solo una riscoperta dell’opera di Elias, ma una sua collocazione fra i classici delle scienze sociali. Michel Foucault (1926-1984) L’altro autore di cui la storiografia di fine Novecento non può non tener conto è Michel Foucault, laureato in medicina e in filosofia, psicologo prima di dedicarsi agli studi storici, omosessuale dichiarato e militante della sinistra radicale francese, autore di una serie di studi pionieristici sulla cosiddetta «archeologia dei saperi», ossia sul reale contesto della produzione dei saperi scientifici che sono sempre anche strumenti di potere L’«archeologia del sapere» In maniera diversa da Elias, ma per molti aspetti convergente, Foucault inizia a studiare i meccanismi di disciplinamento sociale culminati, agli inizi dell’età moderna, nella nascita delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e delle grandi istituzioni di contenimento Fondamentali sono anche le sue ricerche sull’origine dell’atteggiamento clinico, sulla malattia mentale, e sulla sessualità, oggetto di profondi mutamenti di sguardo nel corso della storia e soprattutto di una «volontà di sapere» e di una pratica confessionale che si pone in continuità con la pervasiva volontà di potere e di sapere sviluppatasi in età moderna nell’ambito delle grandi istituzioni religiose e secolari. Nella produzione di Foucault non mancano le minute ricostruzioni di casi clinici e giudiziari ottocenteschi, condotte su fonti d’archivio, come la vicenda del giovane parricida Pierre Rivière, o dell’intersessuale Herculine Barbin La «microfisica del potere» Foucault - criticato da molti storici per le sue schematizzazioni e per la sua identificazione della modernità come universo disciplinare - lascia il segno soprattutto sugli studi relativi ai meccanismi di costruzione del potere e alle sue tecniche (la cosiddetta «microfisica del potere») che non possono essere limitati al rapporto di dominio di una classe, di un gruppo o di un individuo su altri, ma che devono essere ricondotti ad un assai più articolato meccanismo di ruoli in cui ogni attore sociale subisce e al contempo esercita un potere nei confronti dell’altro. Foucault insegna inoltre agli storici che, come ogni sapere scientifico, nessun discorso storico è neutrale o innocente, ma occulta, dietro alle proprie parole o categorie interpretative, credenze condivise, per lo più tendenti a legittimare un potere e a ad escludere alcuni soggetti, che vanno per ciò svelate. Ogni parola va dunque criticamente decostruita per liberarla di una falsa autorità scientifica. Robert Darnton (1939) Sulla necessità di entrare con maggior profondità nelle mentalità altre, mettendo in mostra i diversi strati che le compongono, insistono in particolare alcuni studiosi della lettura e dei processi di acculturazione come Roger Chartier e Robert Darnton che contribuiscono a evidenziare alcuni dei nodi irrisolti nel rapporto fra storia ed altre discipline segnalando in particolare: -la necessità di un più stretto confronto con l'ermeneutica e con le scienze del linguaggio; -l’opportunità di un rapporto privilegiato fra gli storici sociali e gli storici della letteratura (due gruppi che fino agli anni ottanta non avevano quasi mai comunicato fra loro); -la necessità di aprire un confronto a tutto campo con la nuova antropologia culturale anglosassone e con l'antropologia simbolica, rappresentata da Geerz, piuttosto che con l’antropologia strutturale di Lévi-Strauss, ritenuta ormai superata. Il declino delle storiografie nazionali e l’emergere della World History Pur superando gradualmente una dimensione esclusivamente nazionale, almeno fino agli anni quaranta uno dei presupposti della storiografia occidentale era che ogni storia dovesse avere un «centro» e una «periferia». Il centro era sostanzialmente rappresentato dalla storia degli Stati nazionali dell’Europa, mentre la periferia era la storia regionale e locale, o quella dei paesi e dei popoli extraeuropei. Anche le cosiddette storie universali di matrice britannica avevano al centro gli Stati europei e le loro colonie. Alla periferia erano relegati i popoli coloniali, «non civilizzati» o «in via di sviluppo». È solo a partire dagli anni settanta e in maniera più accentuata negli anni novanta, anche in seguito al disfacimento dell’impero sovietico, che inizia ad allentarsi e progressivamente a venir meno il legame fra ricerca storica e tradizione culturale nazionale. La crescente e sempre più rapida circolazione delle informazioni e dei risultati della ricerca, la creazione di sedi internazionali di confronto, l’avvento di internet e le nuove modalità di comunicazione hanno certamente favorito il superamento di molte barriere che prima sembravano quasi insormontabili. La ricerca storica, sempre più intrecciata con la ricerca sociale e antropologica, ha adottato nuovi modelli e nuovi linguaggi ed ha anche spostato sempre più i suoi interessi dalla dimensione politico-statuale a quella sociale, dalla costruzione delle identità nazionali alle dinamiche di contatto e ibridazione delle culture Nuovi orizzonti La crisi dell’idea di progresso e di sviluppo come percorsi unidirezionali dal basso verso l’alto ha rimesso in discussione la tradizionale visione della storia mondiale come un susseguirsi di stadi collegati l’uno all’altro da una narrazione lineare con al centro l’occidente e la sua civiltà, autoproclamatasi superiore alle altre. Da due decenni almeno la storiografia più aggiornata guarda verso altri orizzonti e gli stessi spazi nazionali appaiono decisamente superati a favore di spazi più ampi, non disegnati dai confini politici, ma dalle inedite reti d’intrecci economici, culturali e umani che lo storico deve scoprire con la propria ricerca. I nuovi orizzonti mondiali della storiografia vanno dunque ben oltre l’approccio universalistico di matrice britannica, proprio della Universal History sette-ottocentesca, ma rimettano in gioco l’intera prospettiva eurocentrica della cultura occidentale Universal History; World History; Global History A questo punto è essenziale distinguere fra categorie storiografiche solo apparentemente simili: a) la tradizionale Universal History di matrice britannica e coloniale, che si prefiggeva essenzialmente di estendere l’orizzonte della propria analisi dall’Europa al mondo intero, inglobando nuove civiltà e nuove nazioni, ma sempre a partire dalla dimensione nazionale e da un centro che rimaneva la “civiltà occidentale”; b) la nuova World History, intesa non tanto ad allargare lo guardo al mondo, ma a cercare connessioni e interdipendenza fra civiltà diverse; c) la Global History, interessata soprattutto alla dimensione planetaria della storia, superando anche il concetto di “civiltà” e assumendo piuttosto come oggetto di studio fenomeni “globali” quali i commerci a lunga distanza, la diffusione delle innovazioni tecnologiche, la circolazione delle idee e delle religioni, le epidemie, le migrazioni. La dimensione della World History non è dunque più lo stato-nazione, ma spazi transnazionali in continuo movimento, regioni definite e “prodotte” dall’interazione e dallo scambio e non dai confini politici o naturali. Dall’Europa al mondo Fondamentali sono le opere dello studioso californiano Kenneth Pomeranz (1958), The Great Divergence: China, Europe and Making of the Modern World Economy [La grande divergenza. La Cina, l’Europa e la nascita dell’economia mondiale moderna] (2000) dedicata a spiegare le ragioni che portarono l’Europa ad emergere a livello commerciale e industriale solo a partire dal XVIII secolo, mentre fino a quel momento era stata l’Asia e in particolare la Cina a dominare il mondo, sia a livello commerciale che tecnologico. Lungi dall’essere uno sviluppo lineare, quello europeo è in questa prospettiva uno sviluppo temporaneo, determinato da fattori in gran parte casuali e certo non tali da farne un modello assoluto. Altrettanto importante è la ricerca dello storico francese Serge Gruzinski (1949), Les quatre parties du monde. Histoire d’une mondialisation (2004) che individua nella colonizzazione spagnola dell'America e dell'Asia la prima massiccia esperienza di meticciato e di ibridazione culturale come prima manifestazione del processo di mondializzazione. Ma anche lo storico britannico di origini guyanesi Paul Gilroy (1956), con il libro The Black Atlantic (1993), propone una revisione della storiografia eurocentrica sulla tratta dei neri, sfatando il mito che il commercio di schiavi sia stato subito dagli africani, ma mostrando invece come esso fosse una delle principali fonti dell’economia africana, a lungo alimentato dai grandi mercanti africani della Costa d’Oro ai danni delle popolazioni dell’entroterra. Una sintesi delle nuove tendenze della storiografia si può trovare nel fascicolo speciale delle «Annales» del 2001 dedicato al tema: Penser le monde, XV-XVIII siècles, con saggi di storici di tutte le parti del mondo, fra i quali l’indiano Sanjay Subrahmanyam (1961) e il sino-americano Roy Bin Wong (1949), relativi a tematiche quali migrazioni e diaspore, reti trans-nazionali, incontri, scontri e contaminazioni culturali. Biostoria ed ecologia storica A partire dagli anni settanta si fa strada negli Stati Uniti e in Europa anche una storiografia influenzata dall’ambientalismo e dall’ecologismo che propone affascinanti, anche se non sempre convincenti, quadri di biostoria del mondo a partire dalla preistoria: è il caso del fortunato libro del biologo americano Jared Diamond (1937), Guns, Germs, and Steel: The Fates of Human Societies [Armi, acciaio e malattie] (1997), o del saggio di Alfred W. Crosby (1931), The Columbian Exchange: Biological and Cultural Consequences of 1492 [Lo scambio colombiano] (1972), dedicato allo scambio bidirezionale di vegetali, animali e malattie, fra il continente europeo e quello americano, i cui ecosistemi vengono significativamente modificati dall’incontro. La ricerca storica e archeologica, ma anche l’antropologia si confrontano in questi anni con nuove discipline, a cavallo fra scienze biologiche e umanistiche, come l’archeozoologia, la paleobotanica, la biogeografia, la climatologia, l’epidemiologia storica, la genetica storica. La grande ricerca condotta per anni fra Italia e Stati Uniti da un gruppo di biologi come Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza e confluita nel 1994 nel volume The History and Geography of Human Genes [Storia e geografia dei geni umani] è a questo riguardo esemplare. Storie «ribelli» Casi a parte sono poi le gli studi di genere, che hanno sostituito la tradizionale storia delle donne (nata in contrasto con una «his-story» tutta al maschile) e che hanno imposto anche un nuovo modo di fare storia della famiglia, le storie dei popoli senza storia e gli studi postcoloniali, tutti tesi, seppure in maniera diversa, a valorizzare gli aspetti e i soggetti più trascurati dalla storiografia tradizionale, portando alla ribalta le minoranze, le diversità, le conflittualità. Se dunque le storiografie nazionali appaiono oggi in irreversibile declino, e la cultura della vecchia Europa irrimediabilmente provincializzata, è però ancora difficile individuale i tratti di una Global History che si possa porre come base di un linguaggio comune degli storici di tutto il pianeta. Da un lato l’approccio antropologico sembra ormai aver preso il sopravvento su quello politico ed economico, spostando l’attenzione dall’omogeneità alle diversità. Dall’altro lato – e forse proprio per ciò - l’ideale di una nuova koiné storiografica, vagheggiata per un certo tratto dalle «Annales» nell’illusione di poterla realizzare sotto l’egemonia francese, sembra ancora lontana dal realizzarsi, ma non è certo scomparsa dall’orizzonte.