Il patriota e teorico politico Giuseppe Mazzini (Genova 1805 - Pisa 1872) crebbe in un ambiente familiare che si ispirava agli ideali politici della Repubblica ligure creata da Napoleone nel 1797 e, sul piano religioso, al giansenismo più rigoroso e austero. Avviato agli studi di medicina, si laureò invece in legge (1827). Sedicenne aveva partecipato ai moti per la Costituzione (1821), per poi iscriversi alla Carboneria (1827) e iniziare un'intensa collaborazione con la stampa liberale. La sua attività clandestina attirò ben presto l'attenzione della polizia del Regno di Sardegna, che lo arrestò e lo rinchiuse nel forte di Savona (1830). Dal successivo esilio di Marsiglia inviò al giovane re Carlo Alberto un invito a mettersi alla testa della lotta italiana per l'indipendenza (1831); ma il fallimento dei tentativi insurrezionali di quell'anno fece maturare il progressivo distacco di Mazzini dall'ideologia carbonara, a cui venne rimproverando l'eccessivo settarismo, l'ingenua fiducia nel soccorso straniero, il possibilismo tattico, la transigenza sui princìpi. Fondata la Giovine Italia sulla base di una dichiarata pregiudiziale repubblicana e ispirandosi a un programma di educazione nazionale, Mazzini entrò ben presto in contatto con le sette rivoluzionarie dirette da Filippo Buonarroti: un rapporto breve per il fondamentale antisocialismo del mazzinianesimo.Espulso dalla Francia nel 1832 (in Piemonte nel frattempo era stato dichiarato "nemico della Patria"), rientrò clandestinamente in Italia per organizzare il tentativo rivoluzionario che avrebbe dovuto far scoppiare l'insurrezione in Piemonte (1833), ma che fallì. Esule a Ginevra e a Berna, vi fondò nel 1834 la Giovine Europa, allo scopo di coordinare le forze insurrezionali su scala europea, che visse stentatamente fino al 1838. Costretto a lasciare anche il territorio svizzero, si rifugiò in Gran Bretagna (1837), dove visse collaborando ad alcune riviste con articoli politici e letterari sull'Italia. Rilanciato il programma della Giovine Italia, Mazzini si dedicò totalmente all'organizzazione di gruppi di patrioti, che in più di un'occasione cercarono di risolvere con atti generosi quanto inutili il problema della diffusione e della propaganda della lotta per l'indipendenza, come nel caso dei fratelli Bandiera (1844). I moderati ebbero perciò buon giuoco, rispondendo alle severe critiche pronunciate da Mazzini contro il legalismo dei programmi di Gioberti e di Balbo, nell'accusarlo di mandare al macello "la migliore gioventù italiana". I primi atti riformatori di Pio IX, spinsero Mazzini a inviare al papa da Londra una lettera per esortarlo a operare per l'unificazione italiana (1847). Nel gennaio 1848 frenò con la sua autorità la secessione siciliana. L'aprirsi della stagione rivoluzionaria del Quarantotto fece accorrere Mazzini a Parigi e quindi a Milano dove, accantonata la pregiudiziale repubblicana, accettò di collaborare con la monarchia in nome dell'unificazione nazionale: sciolta la Giovine Italia dette vita all'Associazione nazionale italiana per saldare l'accordo stipulato fra le forze moderate e quelle democratiche. La sconfitta di Custoza (1848) lo costrinse a riparare in Svizzera: da Lugano diresse lo sfortunato moto insurrezionale di Val d'Intelvi durante l'armistizio di Salasco (ottobre 1848). Fu poi a Marsiglia e in Toscana prima di giungere a Roma, dove nel frattempo i patrioti democratici avevano proclamato la repubblica. Nominatone triumviro con Aurelio Saffi e Carlo Armellini (29 marzo 1849), Mazzini lanciò un ardito programma di riforme sociali (fra cui l'espropriazione dei beni degli enti religiosi a favore delle masse popolari), che rimase in piedi fino a che Giuseppe Garibaldi e gli altri comandanti militari riuscirono a tener lontane da Roma le truppe francesi accorse in aiuto del papa e del suo governo temporale. Caduta Roma, Mazzini riprese la via dell'esilio: fu a Marsiglia, a Ginevra, a Parigi e a Londra, dove dette vita al Comitato nazionale italiano e lanciò il Prestito nazionale per la causa italiana, per finanziare nuove azioni armate come quella di Pier Fortunato Calvi in Cadore (1853) e di Carlo Pisacane a Sapri (1857), entrambe conclusesi tragicamente. Queste azioni cercavano di applicare su scala ridotta i princìpi esposti nel saggio Della guerra d'insurrezione conveniente in Italia, una lucida analisi elaborata da Mazzini a caldo nel pieno dell'esperienza della Repubblica romana (1849) sulla "guerra di popolo" secondo le brillanti intuizioni dello stratega Carlo Bianco di Saint Jorioz. Una successiva ristampa conteneva in appendice l'Istruzione per le bande nazionali, manuale di guerriglia partigiana per la sognata instaurazione della repubblica democratica e socialista in Italia. I ripetuti fallimenti rinnovarono le accuse a Mazzini di essere responsabile della morte dei giovani e impulsivi patrioti e la convinzione che i suoi metodi di lotta e le sue concezioni politiche mal si adattassero alla situazione italiana. Isolato e in piena crisi, dalle colonne di "Pensiero e azione" Mazzini condannò l'accordo franco-piemontese che precedette la seconda guerra d'indipendenza, pur incitando i suoi fedeli a combattere sotto la bandiera dei Savoia. Anche se in contrasto con Garibaldi, appoggiò l'impresa dei Mille (1860), che risultò il massimo successo del suo Partito d'azione (creato nel 1853 dopo lo scioglimento dell'Associazione nazionale italiana) prima del definitivo affermarsi del moderatismo su tutto il territorio nazionale.Nuovamente esule a Lugano e a Londra, Mazzini visse forse il periodo più aspro della sua vita: contrario alla soluzione sabauda della lotta per l'unità nazionale, cercò di sollevare più volte le plebi in nome dell'ideale repubblicano, mentre all'interno del suo movimento dovette guardarsi dalla crescente influenza degli anarchici bakuninisti e dei socialisti della prima Internazionale. Nel rigido intransigentismo repubblicano a cui venne ispirando la propria azione fino a Mentana (1867) e nella battaglia che venne cronologicamente a segnare uno dei momenti più alti della crisi dello schieramento democratico italiano sognò addirittura di organizzare un tentativo insurrezionale che, partendo dalla Sicilia, avrebbe raggiunto Roma e cacciato il papa dalla capitale così restituita agli italiani. Scoperto prima ancora che il moto avesse inizio (1870), fu incarcerato a Gaeta; l'amnistia seguita alla liberazione di Roma gli consentì di riprendere la via dell'esilio, dove riaprì il mai sopito contrasto con gli internazionalisti condannando duramente l'esperienza della Comune di Parigi (1871). Quest'atteggiamento gli alienò definitivamente le simpatie sia della maggioranza del movimento democratico italiano sia nell'ambito del già strutturato movimento operaio nazionale. Rientrato clandestinamente in Italia, visse gli ultimi mesi di vita a Pisa sotto il nome di dr. Brown. E' sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno (Genova).