L’APOLLO
DI VEIO
SPIEGAZIONE
La statua di Apollo da Veio, in terracotta policroma, è uno
dei capolavori dell’arte etrusca, della fine del VI secolo a.C.,
celebre nel mondo.
Insieme ad altre statue, tutte a grandezza superiore o pari
al vero, ornava la trave di colmo del tempio veiente in
località Portonaccio, nel santuario dedicato a Minerva, uno
dei più importanti d’Etruria. Alloggiate su alte basi a
zoccolo, variamente dipinte, le statue in numero forse di
dodici, molte delle quali giunte a noi solo
frammentariamente, si ergevano in funzione di acroteri a
circa dodici metri di altezza.
Anche se realizzate isolatamente illustravano, in
sequenza di due o tre, eventi mitici greci, almeno in
parte collegati con il dio Apollo. La statua, di cui si è
ora iniziato il restauro, formava con quella di Eracle
(Ercole) un gruppo raffigurante il mito, piuttosto raro
anche in Grecia, della contesa tra il dio e l’eroe per la
cerva cerinite, dalle corna d’oro, sacra ad Artemide
(sorella di Apollo).
Apollo, vestito di una tunica e di un corto mantello,
avanza verso sinistra con il braccio destro proteso e
piegato (il sinistro scendeva verso il basso, forse
impugnando con la mano l’arco); Eracle, con la cerva
legata tra le gambe, è proteso verso destra, piegato in
avanti per brandire la clava mostrando il torace in una
curva violenta.
Collegata al gruppo doveva essere anche la statua di
Hermes (Mercurio) di cui restano la splendida testa e
forse parte del corpo: il dio, come messaggero di Zeus,
interviene per sedare i contendenti.
Il gruppo è concepito per un’unica visione laterale,
corrispondente al lato del tempio ove correva la strada
di accesso al santuario. La salda volumetria delle figure
unita alle sottili dissimetrie riscontrabili sia nell’Apollo
(cassa toracica, volto) sia nel torso dell’Eracle indicano
che il coroplasta aveva piena conoscenza delle
deformazioni ottiche in scultura che dovevano essere
visibili da grande distanza e con forti angolature. Si
spiegano così la creazione di volumi grandiosi e
l’insistenza nell’incidere in profondità e nel rilevare
senza risparmio i dettagli, in modo da ricostruire
corretta la necessaria unità visiva della composizione.
La formazione del maestro che plasmò le statue è
certamente ionica. Di grande talento, è identificabile
con il “Veiente esperto di coroplastica” cui Tarquinio il
Superbo commissionò la quadriga acroteriale del
tempio di Giove Capitolino. Si tratta certamente del
massimo rappresentante della celebre bottega di
cloroplasti veienti fondata da Vulca, il maestro
chiamato a Roma da Tarquinio Prisco verso il 580 a.C.
per eseguire il simulacro dello stesso Giove Capitolino.
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