Università di Roma “La Sapienza” Facoltà di Giurisprudenza Prof. Mario Libertini (A-F) Un primo approccio allo studio del diritto (I) Una premessa: non si può fare alcun discorso comprensibile senza una “precomprensione” dell’argomento trattato Quindi non si può parlare di “diritto” senza avere già un’idea elementare dello stesso Questa idea è oggi ben presente nel senso comune: l’idea di diritto è associata a fenomeni concreti, come il Parlamento che approva le leggi, i giudici che applicano sanzioni e risolvono conflitti fra soggetti, le amministrazioni pubbliche che emanano regolamenti e provvedimenti, gli avvocati che fanno consulenze e difendono gli interessi dei clienti nei processi civili e penali, i notai che assistono i soggetti nella preparazione di contratti, etc. Un primo approccio allo studio del diritto (II) Facendo un piccolo passo avanti, sempre a livello di senso comune, possiamo enunciare una prima descrizione idealtipica di diritto, che sembra potersi articolare su tre punti caratteristici: l’esistenza di un complesso di regole (ii) il fatto che queste regole siano legittimate , sviluppate ed applicate all’interno di una organizzazione esistente e funzionante (la Repubblica italiana, l’Unione europea etc.) (iii) il fatto che gli operatori giuridici esprimano le loro decisioni sempre mediante argomenti razionali e in termini di regolarità normativa (i.e. non sono legittimate, in linea di principio, né soluzioni di pura forza, né soluzioni di pura giustizia non legittimate da norme [tipo “giudizio di re Salomone”] Questa idea di senso comune è frutto di una lunga evoluzione storica, sulla quale si deve riflettere. (i) Una questione di metodo Lo studio del diritto (come di qualsiasi altra materia) può essere affrontato con metodi diversi L’approccio tradizionale (“scolastico”) è di tipo ontologico: si va alla ricerca della “essenza” di un quid e, su questa base, si cerca di costruire una definizione concettuale rigorosa, che consenta di distinguere l’oggetto di riflessione mediante criteri classificatori (genere prossimo e differenza specifica) L’approccio storicistico (o evoluzionistico) rinunzia a ricercare l’ “essenza” delle cose ma mira a comprendere la realtà nel suo divenire; per fare ciò ha bisogno di avvalersi di concetti, ma questi hanno carattere “idealtipico”. E’ questo il metodo proprio delle scienze storiche e sociali. Il secondo metodo è il più adatto per comprendere il diritto, che è una grande costruzione socioculturale della civiltà umana Lo studio della storia è necessario per collocare nella giusta profondità di campo le idee con cui i giuristi elaborano le loro costruzioni, comprendendone l’origine e il valore Le origini dell’ordine politico (I) Un dato etologico: alle origini della civiltà umana non ci sono individui, ma gruppi di uomini organizzati in branchi; gli studi sull’organizzazione sociale dei primati mostrano una realtà caratterizzata da gerarchie e rapporti di potere instabili (ma anche di alleanze e ruoli socialmente riconosciuti); all’interno del branco si determinano fenomeni di “ritualità animale” Un dato antropologico: la rivoluzione neolitica, insieme con la costituzione di comunità umane stanziale, dedite all’agricoltura e all’allevamento, determina il passaggio da una organizzazione sociale per “bande” ad un’organizzazione sociale per “tribù” (insieme di uomini legati da un’origine ancestrale comune) Le gerarchie sociali si stabilizzano e la ritualità primitiva si traduce in un insieme di pratiche magico-religiose (v. diritto romano arcaico) Le origini dell’ordine politico (II) La costruzione di organizzazioni politiche più vaste (che può avere una base competitiva o consociativa) richiede la costruzione di tessuti normativi complessi nella vita sociale Nelle civiltà primitive le regole sociali sono strettamente intrecciate con le credenze religiose. E’ tipico il riconoscimento delle caste sacerdotali come titolari di un potere sapienziale che comprende anche il dettare le regole della vita sociale L’archetipo fondamentale è quello che vede le regole sociali come espressione di un ordine naturale delle cose e la consuetudine come fonte di tali regole (e i sacerdoti come interpreti autorizzati delle consuetudini) > Roma antica, India Le discontinuità nella storia delle organizzazioni politiche – I) le religioni monoteistiche L’organizzazione tribale costituisce, sul piano antropologico, una tappa fondamentale e costante della civiltà umana Su questa base comune si innestano alcune discontinuità importanti, che segnano la storia delle idee e delle organizzazioni politiche Una variante fondamentale, nella civiltà umana, è data dalle grandi religioni monoteistiche: il fondamento delle regole sociali non è più nella consuetudine, ma nella volontà (“legge”) dettata da un Diopersona Rimane indissolubile il nesso fra religione e diritto e centrale il ruolo del ceto sacerdotale (Talmud ebraico, Sharìa islamica), ma cambia la visone del fondamento delle regole sociali: non un ordine naturale oggettivo delle cose ma un comando superiore (volontà divina) Si afferma anche l’idea della centralità del testo normativo (le “civiltà del libro”) II) L’emersione del diritto moderno nella cultura occidentale: la civiltà greca Il superamento dell’organizzazione tribale si delinea in due direzioni diverse: (i) la creazione di ordini sociali più vasti, atti a superare i rigidi vincoli consuetudinari della vita tribale; (ii) il distacco delle norme giuridiche dalla matrice religiosa In questa linea evolutiva una fondamentale discontinuità storica può ravvisarsi nella civiltà greca Già nella civiltà greca arcaica l’organizzazione della vita civile viene fondata sulla “assemblea” e sulla “legge” (Odissea) Nel periodo classico si afferma la democrazia nella πόλις e con essa l’ideale del primato della legge scritta approvata dall’assemblea dei cittadini Ma non mancano i contrasti fra diverse concezioni delle regole sociali nella cultura greca (Antigone) Non esiste un ceto di giuristi di professione Una parentesi: tre archetipi nella storia delle idee sulla norma giuridica Nella cultura greca sono già presenti tutti e tre gli archetipi che, da allora, percorreranno (e percorrono tuttora, spesso inconsciamente) le concezioni della norma giuridica nel mondo occidentale: (i) la norma come regola imposta dall’ordine naturale delle cose; (ii) la norma come espressione del potere di comando di una volontà suprema; (iii) la norma come risultato di un patto fra cittadini Le discontinuità storiche: la formazione delle grandi organizzazioni statali (l’impero cinese) Tendenza generale al superamento dell’organizzazione tribale verso la costituzione di organizzazioni sociali più ampie, a cui si attribuisce un ruolo di garanzia della pace sociale e del benessere collettivo Esperienze federative ed esperienze imperiali La prima costruzione di un grande stato laico (Cina, III sec. a. C.) Un’organizzazione burocratica e un’etica civile complesse e raffinate (Confucianesimo), ma un diritto molto semplice (quasi solo penale) Non esiste un ceto di giuristi di professione La costruzione del diritto romano La storia di Roma si caratterizza non solo per la costruzione di una grande organizzazione statale, ma anche per la c.d. “invenzione del diritto” Diversi aspetti: (i) la formazione di un’autorità laica avente la funzione di dirimere i conflitti fra cittadini (il praetor) ceto di sapienti laici specializzati nel fornire consilia e responsa (giureconsulti) (ii) In questa grande esperienza si devono distinguere due aspetti: 1) Una visione delle norme sociali incentrata sulla figura del soggetto giuridico titolare di diritti (centralità del dominium) e portatore di libera volontà: da qui il primato del diritto privato come insieme di regole di soluzione dei conflitti d’interesse fra soggetti liberi 2) Una visione della giurisprudenza come sapienza non religiosa, costruita su basi razionali e suscettibile di elaborazione scientifica L’eredità del diritto romano La costruzione culturale del diritto romano avviene in un quadro filosofico dipendente dall’assimilazione della filosofia greca e dalla costruzione del sapere come insieme di categorie concettuali (generali e astratte) Da ciò dipende un’idea del diritto come oggetto di elaborazione razionale da parte dei giuristi (ius controversum) Ma anche un’idea del diritto come insieme di concetti scientificamente definibili, cioè una concezione “ontologica” del diritto Questi due lasciti della cultura giuridica romana influenzano ancor oggi fortemente il nostro modo di pensare, come giuristi Ma l’eredità è solo in parte positiva La formazione del diritto moderno e il ruolo del diritto romano - I Nella civiltà romana il ruolo dei giureconsulti era radicato nella realtà istituzionale (e formalizzato nell’età imperiale con lo ius respondendi ex auctoritate principis) Il collasso dell’impero romano d’Occidente riportò l’organizzazione politica a modelli elementari: dominio delle norme religiose, visione della realtà come inserita in un quadro di predestinazione (ordalia, faida, duello) La figura del giureconsulto era scomparsa Diversi fattori, maturati dall’XI sec. in poi, contribuirono alla rinascita di un’organizzazione giuridica più complessa: (i) la costruzione della Chiesa cattolica come grande istituzione unitaria (necessità di regole complesse: il diritto canonico (Decretum Gratiani, 1140) (ii) l’organizzazione feudale, fondata sul rapporto di vassallaggio (fedeltà / protezione), è più evoluta dell’organizzazione tribale e ripropone l’idea di un’autonomia privata in grado di costruire rapporti giuridici complessi (iii) la realtà si articola in una pluralità di autonomie (Comuni, corporazioni) (iv) i commerci mettono in collegamento tutta l’Europa La formazione del diritto moderno e il ruolo del diritto romano - II Un grande fenomeno “spontaneo”: il ceto dei giureconsulti si ricostituisce per rispondere ad una diffusa esigenza di favorire gli scambi e le comunicazioni in una realtà istituzionale parcellizzata in una miriade di organizzazioni autonome, che riconoscevano tuttavia l’esistenza di poteri universali (Chiesa, Impero) La giurisprudenza rinasce nelle Università, insieme con la riscoperta del Corpus Iuris Il diritto romano viene studiato come diritto per eccellenza, ratio scripta (gli studenti provengono da tutta Europa ed apprendono una cultura e uno stile, che poi tradurranno nella realtà dei vari paesi d’origine) Di fronte alla realtà del particolarismo giuridico medievale (Chiesa, feudi, comuni, corporazioni etc.) il giureconsulto si legittima come titolare di un sapere esclusivo, utilizzabile per la soluzione delle controversie che insorgono nella realtà sociale La concezione della giurisprudenza come scienza e del valore eterno del diritto romano svolgono una funzione ideologica di legittimazione del ceto dei giureconsulti (questi si presentano come soli titolari delle conoscenze e del lessico necessari per districarsi nel labirinto delle fonti) Jus commune e Common Law – Diverse esperienze nella formazione del moderno diritto europeo Il dualismo dei poteri universali (Chiesa / Impero) e il dualismo fra ius e lex: l’idea di uno ius universale a cui si aggiungono leges particolari e diversi tribunali il ruolo centrale dell’accademia, che forma i giureconsulti: lo jus commune (romano – canonico) ha un primato culturale, anche se è sostanzialmente un diritto residuale l’idea del primato del diritto civile si radica in questa esperienza storica l’esperienza della common law inglese è diversa perché nasce dall’autorità delle corti regali in uno stato in cui il potere monarchico è più forte che nel resto d’Europa: centralità del precedente giudiziario, ruolo complementare del diritto romano Lo stato moderno: la sovranità La società medievale era una società di ceti, caratterizzata da grandi diseguaglianze giuridiche e da instabilità politica (rivendicazione di autonomie etc.) L’ideale dell’unità politica e la formazione dell’idea di Stato (defensor pacis, etc.) Questo ideale trova la prima realizzazione con le monarchie nazionali assolute (esperienza minoritaria è quella repubblicana/federalista: la Confederazione elvetica) Lo Stato si afferma progressivamente come entità sovrana, che non riconosce limiti al suo potere né verso l’esterno (Impero, Chiesa) né verso l’interno (autonomie , status e diritti esistono solo in quanto riconosciuti dallo Stato) L’evoluzione del ruolo dei giuristi Il mos italicus: studio del diritto romano come diritto vigente e in sé coerente; primato della definizione concettuale Il mos gallicus: studio del diritto romano come grande fenomeno storico, evolutosi nel tempo, e non direttamente vigente Nasce la figura del giurista positivo come funzionario obbediente dello Stato Il ruolo dei giuristi rimane forte, ma emerge un contrasto fra due concezioni diverse: il giurista che rivendica l’autonomia del proprio ruolo (spesso resistendo alle innovazioni del sovrano) e il giurista che legittima sé stesso come “servitore dello Stato” All’epoca della formazione dello stato moderno, i primi erano conservatori delle tradizioni feudali, i secondi innovatori Dallo Stato di polizia allo Stato di diritto Lo Stato moderno, in Europa, si attribuisce il compito di curare il benessere dei cittadini (“Stato di polizia”) e, in questa prospettiva, crea discrezionalmente immunità e privilegi Rimane, in linea di principio, rispettata anche l’organizzazione feudale L’organizzazione degli stati assoluti è complessa e viene inquadrata , nella cultura del tempo, in un insieme di regole legittimanti di origine divina, limitanti lo stesso potere del monarca: la rule of law come caratteristica della civiltà giuridica europea La critica illuministica: giusnaturalismo razionalistico e individualismo liberale La Rivoluzione Francese come svolta storica: l’abolizione del sistema feudale e corporativo (fine dell’ancien régime) Lo stato di diritto liberale - I La formazione dello stato di diritto liberale : progressivo abbandono del giusnaturalismo razionalistico a favore del giuspositivismo (= la volontà dello Stato come unica fonte di diritto) Elementi caratterizzanti dello stato di diritto liberale (modello ideale in cui si inquadra l’ordinamento vigente in Italia: (i) centralità dell’individuo: uguaglianza giuridica (“la legge è eguale per tutti”) riconoscimento dei diritti fondamentali della persona (nella storia successiva: progressivo allargamento) riconoscimento del principio di libertà generale (due diverse concezioni: libertà di fare tutto ciò che non è vietato dalla legge / libertà di fare tutto ciò che non arreca danno ad altri: artt. IV e V della Dichiarazione dei diritti del 1789) riconoscimento generale dell’autonomia privata (i.e. libertà contrattuale e “libertà di commercio”) come motore del sistema Lo stato di diritto liberale - II (ii) esigenza di certezza del diritto: Ideale della semplificazione normativa: poche leggi, chiare e rispettate > codificazione rigidità delle fonti del diritto (rottura con il passato, che ammetteva il pluralismo delle fonti) primato della legge sulla consuetudine come garanzia di certezza ma anche di maggiore giustizia (idea non condivisa unanimemente: l’esperienza di common law) Il valore della fedeltà alla legge e la critica al ruolo tradizionale dei giuristi Lo stato di diritto liberale - III Poteri e funzioni dello Stato: il principio della divisione dei poteri (la parzialità di ogni potere è garanzia di libertà del cittadino) il fondamento legale e limitato di tutti i poteri Esigenza di effettività dell’ordine legale e di efficienza dello Stato (seppur “minimo”): garanzia del rispetto di leggi generali e astratte e produzione di beni pubblici (sicurezza etc.) solo ove necessario (iv) netta distinzione fra pubblico e privato: Pubblico: (a) autorità (potere); (b) limitato (principio di competenza); (c) doverosità dell’esercizio; (d) principio di imparzialità; (e) controllo di legittimità (eccesso di potere) Privato: (a) parità giuridica fra i soggetti; (b) libertà generale (capacità giuridica illimitata); (c) diritti soggettivi come facoltà insindacabili; (d) autonomia privata (insindacabile nel merito) (iii) La fondazione della cultura giuridica contemporanea: il sec. XIX Nel XIX sec. il diritto pubblico si evolve in aderenza ai principi costituzionali generali (rottura con il passato), mentre il diritto privato viene tendenzialmente visto in continuità con il passato Il dibattito metodologico si incentra sul ruolo del giurista nell’elaborazione delle regole di diritto privato L’ideale della fedeltà alla legge e la percezione dell’impossibilità pratica di limitare radicalmente il ruolo del giurista (Francia: école de l’exégèse) L’egemonia culturale tedesca: la Pandettistica come riaffermazione della scientificità della giurisprudenza > costruzione di un sistema concettuale scientifico fondato sul diritto romano come diritto razionale superiore > il diritto positivo dev’essere inquadrato nel sistema, anche se può derogarvi La visione del mondo sottostante è quella di una realtà formata esclusivamente da individui razionali, portatori di libera volontà (N.B.: un analogo fenomeno culturale avviene con la formazione dell’analisi economica neoclassica, che però, a differenza della Pandettistica, è ancora vitale) Nell’esperienza tedesca il ruolo della dottrina giuridica è centrale (rimane diversa l’esperienza dei paesi di common law) L’esperienza italiana: ibridazione fra ispirazione francese e ispirazione tedesca > fedeltà alla legge e al sistema come valori fondanti della giurisprudenza teorica e pratica (incoerenza) Il diritto europeo nel sec. XX – Le trasformazioni politiche: gli stati totalitari Dal trionfo dello Stato di diritto liberale alla sua crisi (contrasti sociali, interventismo economico, “crisi fiscale”) L’affermazione di stati totalitari (fascisti o comunisti) nella prima metà del secolo. Si ispirano a valori opposti (rispettivamente: volontà di dominio o eguaglianza fra gli uomini), ma hanno alcuni caratteri istituzionali comuni: (i) dominio dello Stato e compressione o funzionalizzazione dell’autonomia privata (ii) l’idea per cui il diritto nasce spontaneamente dallo “spirito del popolo” e solo il capo carismatico ne è l’interprete qualificato: rottura della tradizione europea della rule of law Nell’Italia fascista queste idee totalitarie rimangono minoritarie: prevale, nella cultura giuridica, la continuità con il passato Il diritto europeo nel sec. XX – Lo stato di diritto sociale Al di fuori dei totalitarismi: l’affermazione dello Stato di diritto sociale (in Italia dalla Costituzione in poi) Caratteri tipici: sicurezza sociale, regolazione dei mercati, imprese pubbliche, nuovo diritto diseguale a favori dei ceti deboli, rinascita delle comunità intermedie (partiti, sindacati etc.) Lo Stato di diritto sociale realizza il maggior benessere mai visto nella storia dell’umanità, ma non è sorretto da una forte ideologia (è questa una delle ragioni della sua successiva crisi: Schumpeter) Dal 1970 al 1990: effimera egemonia della cultura marxista, ma progressiva crisi dei sistemi comunisti, sino al collasso spontaneo (1989-91), e conseguente crollo dell’egemonia culturale marxista Le ragioni strutturali della crisi dello s.d.s.: neocorporativismo, frantumazione del potere politico, crisi fiscale (crescita del debito pubblico) La specificità italiana (gli stessi fenomeni si presentano in forma aggravata) Dal 1990 alla crisi finanziaria del 2008: affermazione del neoliberismo, globalizzazione, ridimensionamento del ruolo degli Stati nazionali Oggi: proposte di ritorno allo s.d.s., ma in un quadro di decadenza delle democrazie (difficoltà di selezionare classi dirigenti di alto valore) e di debolezza dei poteri pubblici Il diritto europeo nel sec. XX – Le trasformazioni della cultura giuridica Prima metà del secolo: la lotta contro il formalismo In particolare: giurisprudenza dei concetti (Pandettistica) e giurisprudenza degli interessi (quest’ultima propone un metodo di costruzione di norme più aderenti alla realtà sociale e critica l’uso dei concetti nell’argomentazione giuridica) Affermazione prevalente dell’antiformalismo in Europa, ma resistenza del metodo tradizionale in Italia (in chiave antifascista?) L’ultimo quarto del secolo: la reazione neoliberista e l’egemonia culturale angloamericana > l’analisi economica del diritto N.B.: questo metodo assume che, su ogni problema giuridico, l’analisi economica consenta di indicare una soluzione efficiente, che il giurista deve tendenzialmente assecondare / critiche: di valore (l’equità deve prevalere sull’efficienza) [debole]; di metodo (non è vero che l’analisi economica, fondata sull’individualismo metodologico, ci fornisca dati scientificamente certi) [forte] La cultura giuridica italiana nella seconda metà del XX secolo (1950-1970) Il difficile riconoscimento del ruolo delle norme costituzionali, in particolare nel diritto privato (continuità del metodo pandettistico) (1950-oggi) Le dispute metodologiche e la riscoperta del ruolo creativo della giurisprudenza (Ascarelli etc.) (1960-oggi) La rivalutazione dell’argomentazione per principi (Rodotà, Perlingieri etc.) (1980-0ggi) L’affermazione dell’egemonia culturale americana: (i) rivalutazione della giurisprudenza come fonte del diritto; (ii) rivalutazione del ruolo dell’autonomia privata e degli usi commerciali (Galgano); (iii) l’irruzione dell’analisi economica del diritto; (iv) la valorizzazione del diritto comparato La crisi finanziaria ha determinato una sorta di impasse e ciò consente oggi una riflessione ad ampio raggio sulle scelte di metodo La “scelta del metodo” - Premessa Il diritto contemporaneo è di solito concepito come un insieme di norme inserite in una “istituzione” ( = formazione sociale stabile dotata di poteri riconosciuti al proprio interno) Queste realtà (norme + istituzione) si chiamano “ordinamenti giuridici” Nelle organizzazioni più complesse è socialmente riconosciuto, altresì, il ruolo del ceto dei giuristi, come professionisti specializzati nelle tecniche di formazione ed elaborazione delle norme giuridiche Due modi di studiare il diritto: approccio esterno (storia, diritto comparato etc.) e approccio interno (“diritto positivo”) > dal primo punto di vista è innegabile l’esistenza di una pluralità di ordinamenti giuridici e il giurista è soprattutto un “osservatore” (talora, ma non necessariamente, critico)/ dal secondo vi è la scelta di adesione ad un certo ordinamento e l’impegno a farlo funzionare bene Lo studio del diritto positivo Diversi significati di diritto positivo: (i) “diritto creato dall’uomo” (≠ diritto naturale); (ii) “diritto effettivamente creato mediante procedure predeterminate” (≠ diritto proposto, pensato, ideale, razionale etc.); (iii) diritto vigente oggi (≠ diritto abrogato) La “conoscenza” del diritto positivo, da un punto di vista interno, ha ad oggetto il significato (iii) La “giurisprudenza” è attività intellettuale volta alla determinazione delle di norme destinate ad essere effettivamente applicate. Il giurista (giudice o giurista teorico) è, in realtà, un “costruttore di norme”: deve ridurre il diritto ad insieme di norme per risolvere in modo razionalmente controllabile i conflitti che gli si presentano La giurisprudenza è costruzione di norme, non scienza descrittiva: “le regole giuridiche esistono solo in quanto inserite in una pratica sociale normativa” (V.Villa, 2010) I concetti giuridici sono espressioni riassuntive di norme e non hanno significato ontologico (rinvio) Individuazione e legittimazione delle norme – Tre concezioni di fondo Come il giurista individua le norme da applicare? Tre ispirazioni di fondo , ciascuna delle quali si è storicamente prestata ad usi ideologici diversi, ed anche contrastanti I. Giusnaturalismo: le norme sono fondate sull’ordine naturale delle cose; compito del giurista è scoprirle con retta ragione; diritto e giustizia coincidono; il diritto positivo ha una funzione integrativa e sussidiaria II. Giuspositivismo: le norme sono fondate su regole di produzione convenzionali; tutto il diritto è diritto positivo; compito del giurista è comprendere e sviluppare i significati delle norme positive; diritto e giustizia non coincidono necessariamente; il giurista deve privilegiare la coerenza del diritto rispetto ai valori politici e ideali in cui crede III. Giusrealismo: le norme sono pure declamazioni di chi ha il potere di decidere; il diritto è un insieme di atti di esercizio di poteri socialmente riconosciuti; compito del giurista è prevedere le decisioni dei titolari del potere; diritto e giustizia non coincidono, se non casualmente Ragioni e limiti del giusnaturalismo Le ragioni: (i) valori religiosi; (ii) ideali di giustizia; (iii) vincolo della “natura delle cose” come modalità di funzionamento spontaneo dei rapporti sociali, che merita di essere assecondato (= rivalutazione della consuetudine e dell’ordine “spontaneo” contro l’ordine “costruito”) Critiche: (i) l’idea di “naturalità” dei comportamenti umani varia irrimediabilmente nel tempo e nello spazio (replica: anche l’ordine naturale delle cose può avere una sua dinamica); (ii) l’affermazione della “naturalità” di una certa regola non consente una discussione razionale sugli assiomi di partenza > il giusnaturalismo legittima l’arbitrio giudiziario; (iii) un ordine “spontaneo” non è necessariamente un ordine “giusto” (= il primato della legge agevola i programmi di riforma delle regole ricevute) Ragioni e limiti del giusrealismo Ragioni: il disagio verso l’affermazione retorica tradizionale della scientificità della giurisprudenza e l’aspirazione a fare del diritto una scienza verificabile Critiche: comporta la soppressione della giurisprudenza dottrinale “costruttiva” e rinuncia ad una critica razionale della giurisprudenza e dei modi di esercizio del potere Più in generale, porta al “nichilismo” giuridico, trascura l’esigenza di una discussione razionale pubblica su valori e principi (di cui la democrazia ha invece bisogno) Limiti e ragioni del giuspositivismo – Per un giuspositivismo critico - I Prima critica corrente al giuspositivismo: la riduzione del diritto alle norme positive porterebbe ad un’obbedienza cieca al potere formalmente legittimo Replica: il giuspositivismo distingue la dimensione della politica da quella del diritto > la prima comporta libertà piena di critica e può giustificare anche rotture e momenti rivoluzionari / il secondo muove dall’accettazione di un certo ordinamento esistente, con conseguente limite all’arbitrio personale del giurista: ciò comporta necessariamente continuità, ma non per questo immobilità Inoltre: anche la legalità può essere un valore, come garanzia di certezza per la vita e la libertà delle persone. In proposito si deve riflettere sull’ambivalenza degli orientamenti verso la legge: volontà del più forte o garanzia di libertà e giustizia? La cultura politica occidentale si è fondata sull’idea che l’ordine politico sia preferibile all’anarchia e che il “governo delle leggi” sia preferibile al “governo degli uomini” La legalità non è un valore in sé, ma lo diventa se si accettano le scelte politiche fondamentali di un ordinamento a cui si aderisce In queste situazioni, l’illegalità e l’elusione della legge diventano strumenti di prepotenza dei forti contro i deboli Per un giuspositivismo critico - II Seconda critica corrente al giuspositivismo: è sbagliata l’idea che tutto il diritto possa essere contenuto nelle norme di legge o in altre fonti formalmente riconosciute Risposta: la critica è fondata > l’interpretazione delle norme presenta sempre spazi di discrezionalità (v. infra) / ma questo non porta necessariamente al nichilismo, cioè a riconoscere l’arbitrarietà come carattere necessario delle decisioni giuridiche Il giuspositivismo comporta invece il riconoscimento di limiti convenzionali alla elaborazione/costruzione, da parte della giurisprudenza, di regole giuridiche: (i) (ii) l’accettazione di un sistema rigido di fonti e la conseguente necessità di inferire ogni regola da una fonte formalmente riconosciuta (criterio di continuità “formale”) l’esigenza di sviluppare coerentemente i valori e i principi riconosciuti all’interno dell’ordinamento positivo accettato (criterio di continuità “sostanziale”) In questa versione critica (Ascarelli, Scarpelli, C.Luzzati) il giuspositivismo è coerente ad una concezione del diritto come patto sociale e si presenta come un metodo che impone una discussione razionale sulle scelte della giurisprudenza Metodologia e teoria dell’interpretazione – Riflessioni generali La teoria dell’interpretazione dei testi normativi oscilla fra posizioni cognitiviste (estreme o moderate) e posizioni scettiche (anch’esse estreme o moderate). Quelle più interessanti sono le posizioni intermedie La posizione cognitivista moderata (Hart etc.) ritiene che vi siano spazi di decisione direttamente vincolati dal dato testuale e spazi marginali (talora anche ampi) lasciati alla discrezionalità degli interpreti La posizione scettica moderata (Ascarelli etc.) ritiene che l’unico vincolo effettivo sia costituito dalla persuasione collettiva della comunità dei giuristi e quindi dalle regole convenzionali (metodologia) da essi accettate Personalmente sono convinto della fondatezza di quest’ultima proposizione. Ma non basta questa constatazione: occorre chiedersi come si formino le persuasioni collettive dei giuristi e quali siano gli argomenti e i metodi da preferire e quali altri da rifiutare Per andare avanti sul punto è meglio muovere da un’esperienza concreta I limiti dell’interpretazione letterale “Non cuocerai un capretto nel latte di sua madre” (Esodo, 34, 26 etc.) L’interpretazione della norma nella tradizione ebraica: - capretto > agnello > mammifero > qualsiasi carne di animali commestibili > carne in genere? (i.e. anche di animali immondi?) - latte di sua madre > latte di qualsiasi altra madre > latticini - cucinare > mescolare in una pietanza > mescolare nello stomaco - cucinare per sé > anche per terzi La tradizione ha portato ad un’interpretazione rigoristica del precetto (l’applicazione non è fondata sul dato letterale ma su una catena di analogie) La ragione dell’interpretazione estensiva può ricostruirsi in relazione al valore dell’obbedienza alla volontà divina: di fronte ad un’espressione potente ed oscura di tale volontà, il comando viene inteso nel modo più estensivo possibile, per evitare il rischio di infrangere la volontà dell’Onnipotente. La lettera, di per sé, non sarebbe stata sufficiente. L’interpretazione secondo la lettera e l’interpretazione secondo la ratio - I Un’ipotesi astratta: se il testo fosse stato inteso come un dettato simbolico, sarebbe stato possibile inferirne un precetto vegetariano o un precetto premonitore della teoria dello “sviluppo sostenibile” Se fosse stato inteso in quest’ultimo senso, ciò avrebbe potuto indurre gli interpreti perfino a sostenere interpretazioni razionali antiletterali (p.e. escludere l’applicabilità del divieto alle carni di animali allevati in stabilimenti industriali) L’alternativa, qui astrattamente prospettata, non avrebbe implicato una cancellazione della norma dall’ordinamento, ma la avrebbe proiettata verso risultati diversi da quelli storicamente affermati Riflessione più generale: si deve sempre distinguere fra disposizione (o testo normativo) e norma: quest’ultima è il risultato dell’interpretazione accettata da soggetti abilitati ad esprimerla Qual è il metodo interpretativo più corretto? L’interpretazione secondo la lettera e l’interpretazione secondo la ratio - II La dialettica nell’interpretazione della legge “secondo la lettera” o “secondo lo spirito” La prevalenza del secondo atteggiamento nel Cristianesimo La teoria dell’interpretazione giuridica, sin dal Medio Evo, afferma la prevalenza dell’interpretazione razionale su quella letterale Nell’Illuminismo giuridico si torna a predicare la preferibilità dell’interpretazione letterale Nel corso del XX secolo prevalgono nuovamente criteri teleologici (fondati sulla funzionalità della soluzione rispetto ad un fine razionalmente accettato) ed assiologici (= coerenza della soluzione rispetto ad un valore dichiaratamente accettato) N.B.: “valore” è qualsiasi entità di cui si predica il rispetto nel vivere sociale / molti “valori” morali e di costume (ma non tutti) si traducono in principi giuridici / ma ci sono anche principi giuridici neutri rispetto ai valori morali La scelta del metodo. Necessità di criteri di controllo dell’interpretazione. Criteri formali e criteri assiologici Illusorietà del criterio della fedeltà esegetica: (i) il legislatore oggi non è una persona, ma un processo di decisione politica (ii) la legge dura nel tempo: la fedeltà è dovuta al legislatore storico o al legislatore attuale (cioè al “sistema” legislativo)? Se la soluzione dev’essere la (ii) - come si deve razionalmente riconoscere - il criterio di interpretazione letterale non può prevalere (salvo i casi in cui debbano prevalere ragioni di certezza applicativa: es. raggiungimento della maggiore età) Il solo criterio interpretativo razionalmente applicabile è quello della coerenza assiologica: (i) ogni soluzione dev’essere confrontata con i principi ed inquadrata nel complesso dell’ordinamento; (ii) ogni soluzione dev’essere legittimata mediante il riferimento ad una fonte formalmente riconosciuta Le regole giuridiche devono essere razionalmente controllabili e, a tal fine, la giurisprudenza dottrinale ha un ruolo insostituibile (elaborazione continua delle regole e verifica razionale della giurisprudenza applicata) La formazione dell’esperienza giuridica La giurisprudenza come opera di persuasione collettiva Le decisioni dei giudici come momento fondamentale, ma non vincolante, di elaborazione/creazione del diritto Le diverse tecniche legislative: norme dettagliate e norme generali; il fenomeno della “delega” del legislatore al giudice: “nozioni giuridiche indeterminate” e clausole generali (rinvio) La teoria dell’argomentazione: l’interprete deve usare argomenti razionali (coerenza con il testo / coerenza con il fine della norma) e porsi in “continuità” con l’esperienza giuridica precedente > non significa rispetto assoluto della tradizione Elementi di teoria generale del diritto. La teoria della norma giuridica La teoria generale del diritto elabora gli strumenti concettuali analitici, necessari per la comunicazione giuridica (ordinamento, norma, rapporto, situazione soggettiva etc.) Si suppone neutra rispetto ai contenuti delle norme, ma in realtà fornisce indicazioni normative residuali In ogni caso, non entra direttamente nella discussione su valori e principi Teoria della norma giuridica: (i) le concezioni semplici (necessità causale, comando, patto) (ii) la teoria prevalente (imperativistica) (iii) limiti dell’imperativismo (p.e. art. 1321) (iv) la “rivoluzione copernicana” di Kelsen: la norma giuridica come imperativo ipotetico > se si verifica A (fattispecie), l’ordinamento risponde, mediante la sua organizzazione, con B (effetto) E’ la teoria che meglio esprime il rapporto fra la norma è l’istituzione in cui essa è posta ed applicata (l’effetto giuridico è la risposta che l’ordinamento dà al verificarsi della fattispecie) Questa concezione della norma diviene lo strumento fondamentale di analisi di qualsiasi problema giuridico Generalità e astrattezza non sono requisiti essenziali della norma giuridica, ma requisiti tipici delle norme di legge Norme di condotta e norme costitutive (in senso lato) E’ fondamentale la distinzione fra norme che qualificano direttamente un comportamento umano (norme di condotta / norme di I grado) [p.e. le norme del codice penale] e norme che regolano la produzione di altre norme (norme costitutive o norme di organizzazione o norme di II grado, o norme secondarie) [p.e. le norme sui contratti o quelle sulle società commerciali] Le seconde sono statisticamente molto più numerose delle prime Le norme di condotta La fattispecie è sempre un comportamento umano L’effetto può essere diverso. Le “modalità deontiche”: (i) Doverosità (comando o divieto): il comportamento in violazione del dovere è illecito, la reazione dell’ordinamento è la sanzione (ci sarà un’autorità competente ad irrogarla, d’ufficio o su iniziativa di un controinteressato) (ii) Protezione (determinati comportamenti, come godimento di beni, pretese verso terzi etc.) sono posti sotto protezione dall’ordinamento,; si parla, in proposito, di diritti soggettivi: l’esercizio del diritto (i.e. del comportamento compreso nel diritto soggettivo) è non solo lecito, ma anche protetto dall’ordinamento, in caso di contrasto o interferenza da parte di altri soggetti, mediante la messa a disposizione di determinati rimedi a favore del soggetto interessato (iii) Abusività: un comportamento, formalmente rientrante nella categoria della protezione, risulta motivato dall’intento esclusivo di danneggiare un terzo (p.e. art. 833 c.c.) o di eludere norme imperative di legge: questa circostanza paralizza la protezione e può addirittura portare a qualificare il comportamento come illecito (iv) Libertà generale: i comportamenti che si muovono in questo ambito sono, in linea di principio, leciti, ma le interferenze fra le modalità di esercizio non sono disciplinate previamente dall’ordinamento (i.e. non ci sono ambiti di protezione predeterminati) (v) Tolleranza: il comportamento non è sanzionato, ma non è neanche protetto dall’ordinamento (p.e. art. 1144 c.c.) (vi) Premio: il comportamento non è dovuto, ma è raccomandato/incentivato dall’ordinamento, mediante l’attribuzione di benefici a chi lo pone in essere Le norme di organizzazione La fattispecie può essere costituita da un fatto naturale (p.e. art. 945 c.c.) o da comportamenti umani, a loro volta già giuridicamente qualificati Norme costitutive : (i) costitutive in senso stretto; (ii) abilitative (all’esercizio di attività); (iii) attributive (di diritti soggettivi) Norme sulla produzione di atti paritetici (p.e. art. 1321 ss. c.c.) Norme sulla produzione di provvedimenti (= atti di esercizio di un potere funzionale) Norme sulla produzione di decisioni (atti di esercizio di un potere “terzo” dopo un procedimento in contraddittorio fra due parti) In tutte queste categorie di norme può sempre ricostruirsi analiticamente una fattispecie e un effetto giuridico Modalità deontiche (riferite ad atti, provvedimenti, decisioni): (i) (ii) (iii) Validità / invalidità (“legittimità”/”illegittimità” per gli atti di esercizio di un potere funzionale) Efficacia/inefficacia Esecutività/non esecutività I principi generali del diritto In passato prevaleva l’opinione che assimilava i p.g. a idealità politiche, non vincolanti per il giurista Nell’art. 12 disp.prel.c.c. i p.g. sono menzionati come strumenti residuali di superamento delle lacune normative Nell’ordinamento postcostituzionale si è affermata la tesi (Crisafulli etc.) secondo cui i principi sono norme sulla produzione di altre norme di rango inferiore Sono dunque anch’essi norme di organizzazione, ma si differenziano da quelle in precedenza esaminate perché non contengono regole formali e procedurali di formazione delle norme, bensì regole vincolanti il contenuto delle medesime I principi sono norme giuridiche che esprimono scelte di valore o di interesse , attribuendo a queste scelte il carattere di criteri-guida nella produzione delle norme I principi possono essere espressi (“disposizioni di principio” della Costituzione e dei Trattati europei) o costruiti sistematicamente dalla giurisprudenza Le disposizioni di principio possono essere espresse in termini di protezione di diritti fondamentali (es. art. 19 Cost.) o di protezione di beni giuridici oggettivamente determinati (es. art. 9 Cost.) Il valore giuridico dei principi generali I principi assumono rilevanza, nel processo di formazione delle norme applicate, in vari modi: Interpretazione (anche nelle norme di dettaglio si presentano dubbi interpretativi) (ii) Analogia (il giudizio sulla “eccezionalità” o meno di una norma dipende dal confronto della stessa con i principi) (iii) Integrazione (le norme e clausole generali devono essere concretizzate in base ai principi: rinvio) (iv) Invalidazione (gli atti normativi di rango inferiore, in contrasto con i principi, possono essere qualificati come invalidi [normalmente nel diritto pubblico, talora anche nel diritto privato] I diversi principi giuridici possono interferire fra loro ed anche entrare in conflitto. I criteri di contemperamento possono essere prefissati dal legislatore o devono essere determinati in via interpretativa (i) Norme e clausole generali - I Ferma restando la struttura logica della norma giuridica, si distinguono norme in cui la fattispecie è determinata in modo dettagliato ed altre che si presentano invece con un contenuto “indeterminato” (p.e. “buona fede” [art. 1337 c.c.], “buon costume” [art. 1343 c.c.]) In relazione a queste norme si parla spesso di norme “senza fattispecie” e si ritiene che esse comportino una delega dal legislatore al giudice in ordine alla determinazione dei criteri di applicazione La prima tesi è smentita dall’analisi logica della norma (è sempre possibile individuare la fattispecie, anche in norme a contenuto molto vago) La seconda tesi sovrappone due profili: è chiaro che le norme di contenuto indeterminato lasciano maggiori spazi di discrezionalità agli interpreti, rispetto a quanto accada nelle norme di contenuto dettagliato; tuttavia: (i) nessuna norma è completa in sé, senza interpretazione; (ii) ove gli spazi per l’interpretazione sono più ampi, non è detto che l’interprete debba colmarli secondo il suo sentimento personale; dovrà piuttosto ricercare la coerenza dell’ordinamento, rifacendosi a valori e principi riconosciuti nel diritto positivo Norme e clausole generali - II Fra le norme contenenti sintagmi indeterminati deve farsi una distinzione: (i) (ii) alcune norme presentano una fattispecie definibile pienamente in funzione di una certa rilevanza attribuita ad essa dall’ordinamento (p.e. “abuso di posizione dominante” [art. 2 l. 287/1990]) > il giudice dovrà qualificare la condotta rilevante senza tenere conto delle posizioni di soggetti controinteressati; altre norme presentano una fattispecie definita in modo relazionale, cioè individuano un conflitto di interessi, che spetterà al giudice risolvere caso per caso, ma sulla base di criteri oggettivi (p.e. art. 844 c.c., art. 1375 c.c.) > il giudice dovrà qualificare la condotta rilevante tenendo conto della concreta situazione di interessi in conflitto Propongo di attribuire solo alla categoria (ii) la denominazione di “clausole generali” (la terminologia corrente, invece, tende ad utilizzare le diverse espressioni come sinonimi) Le situazioni giuridiche soggettive I Esigenza logico-comunicativa imprescindibile: riferire la norma applicata ad uno o più centri di imputazione (“soggetti giuridici”) Si deve distinguere il centro di imputazione formale (può essere una persona fisica, ma può essere anche un’organizzazione, un ufficio etc.) dalla persona fisica legittimata a compiere atti giuridicamente rilevanti riferibili al soggetto giuridico formale In pratica, l’applicazione di qualsiasi norma coinvolge sempre più soggetti (si parla di “bilateralità” della norma giuridica, anche se di solito solo per le norme di diritto privato) Le situazioni giuridiche soggettive II Le s.g.s. costituiscono la traduzione in chiave soggettiva di norme applicate (cioè descrivono la situazione in cui si viene a trovare il soggetto destinatario della norma, in sede di applicazione della stessa) La nozione di s.g.s. è dunque normativa e non ontologica (Orestano, Kelsen etc.) Distinzioni fondamentali: (i) s.g.s. attive e passive (intuitiva) (ii) s.g.s. statiche e dinamiche (le prime si riferiscono all’applicazione di norme giuridiche preesistenti, le seconde si riferiscono alla creazione di nuove qualificazioni giuridiche, da valere per il futuro) Le situazioni soggettive attive “statiche”: il diritto soggettivo Il d.s. consiste nell’attribuzione ad un soggetto giuridico di prerogative (i) poste a tutela di un proprio interesse, (ii) liberamente esercitabili, (iii) tutelate direttamente dall’ordinamento, in caso di ostacolo posto da soggetti terzi Distinzione fra d.s. titolati e non titolati: (i) i d.s. titolati traggono fondamento da un atto giuridico (“titolo”), che ne definisce il contenuto (es. proprietà, credito) > in caso di conflitto, il giudice dovrà limitarsi ad accertare l’esistenza e la validità del titolo, al fine di riconoscere la tutela del d.s.; (ii) I d.s. non titolati traggono fondamento o da una situazione di fatto, protetta in quanto tale (situazioni possessorie: p.e. informazioni e marchi di fatto [cod.propr.ind.]; dati personali) > in caso di conflitto, il giudice dovrà previamente accertare la situazione di fatto legittimante o da situazioni di interesse definite in termini generali (es. diritti della personalità) > in caso di conflitto, il giudice sarà chiamato a svolgere una ponderazione di interessi Il contenuto del diritto soggettivo Diritti titolati 1. Facoltà esclusiva di godimento di un bene materiale 2. Pretesa ad un determinato comportamento altrui (credito) 3. Facoltà esclusiva di utilizzazione economica di una creazione intellettuale (diritti di proprietà intellettuale = diritti su “beni immateriali”) 4. Diritto potestativo: potere giuridico di modificare unilateralmente una posizione giuridica altrui (p.e. recesso, ma anche esercizio di azione esecutiva, p.e. annullamento; NB: il termine di prescrizione dell’esercizio delle pretese può essere interrotto, quello relativo all’esercizio dei diritti potestativi no: Cass.civ. II 25468/10)) Diritti non titolati 1. Facoltà esclusive tutelate nei limiti della situazione possessoria 2. Libertà di comportamento qualificata (p.e. opinione, religione = diritti di libertà) 3. Facoltà di disporre di determinate prerogative personali e pretesa di rispetto delle stesse da parte dei terzi (c.d. diritti della personalità > tutela “modale”) LE SITUAZIONI DI CHIUSURA Libertà generale: libertà di comportamento, da valutare sempre in correlazione agli interessi in conflitto Immunità: situazione generale di indifferenza giuridica agli atti unilaterali altrui, a meno che siano legittimati da una specifica norma giuridica Diritti soggettivi assoluti e relativi Tradizionalmente si distingue fra diritti soggettivi “assoluti”, cioè esercitabili erga omnes, nei confronti di chiunque ne contrasti l’esercizio, e diritti soggettivi “relativi”, cioè esercitabili solo nei confronti di un soggetto determinato In pratica, i diritti relativi sono solo i crediti (pretese) e i diritti potestativi, mentre tutte le altre situazioni attive possono essere fatte valere erga omnes La distinzione è stata criticata perché si è rilevato che anche i diritti relativi, pur consistendo in una pretesa o potere verso soggetti determinati, hanno una loro riconoscibilità esterna e possono essere pregiudicati da comportamenti di terzi > da qui l’idea che il principio del neminem laedere comprenda anche il dovere di rispettare i diritti relativi altrui (rinvio) Le situazioni soggettive attive “dinamiche”: il potere giuridico Potere giuridico è l’attitudine, riconosciuta dall’ordinamento a un soggetto, di produrre atti modificativi di situazioni giuridiche precedenti Classificazioni 1. Potere semplice (= diritto potestativo: v. slide prec.): comprende anche i c.d. diritti reali di garanzia 2. Potere di disposizione (autonomia: il soggetto assume impegni, disponendo della propria libertà generale, oppure dispone, a favore di terzi, di diritti soggettivi di cui è titolare) 3. Potere funzionale (anche “potestà” o “autorità”): il potere è attribuito per la cura di interessi generali o altrui e può essere legittimamente esercitato solo in coerenza con tale funzione (figura generale nel diritto pubblico, ma presente anche in diritto privato) L’interesse legittimo E’ una situazione di interesse di un soggetto, che l’ordinamento protegge se e in quanto sia stata lesa dall’esercizio illegittimo di un potere funzionale da parte di un altro soggetto E’ figura generale in diritto pubblico, ma presente anche in diritto privato, laddove sussista un potere funzionale Classificazioni 1. Interessi oppositivi (= lesi da un’azione illegittima del titolare del potere) 2. Interessi pretensivi (= lesi da un’omissione illegittima del titolare del potere) 3. Interessi partecipativi (= lesi da un’irregolarità procedimentale: il titolare dell’interesse non può fare valere le sue ragioni nel corso di un procedimento) Le situazioni giuridiche soggettive passive Dovere giuridico: comportamenti (azioni od omissioni) che il soggetto deve porre in essere, a rischio di sanzione; la categoria comprende anche il dovere generale di astensione da azioni lesive dei diritti soggettivi altrui Obbligo: comportamenti dovuti nei confronti e a favore di un soggetto determinato Soggezione: attitudine a vedere modificata una propria situazione giuridica per l’altrui esercizio di un diritto potestativo (i.e. senza collaborazione propria) Onere: comportamento necessario al fine dell’acquisizione di un qualche vantaggio giuridico (situazione mista: comprende elementi attivi, che possono essere anche di esercizio di potere) I concetti giuridici Se, nell’approccio “interno”, il diritto è composto esclusivamente di norme, che significato hanno i concetti giuridici? A mio avviso, hanno sempre una grande importanza comunicativa, ma si devono distinguere tre categorie: 1. 2. 3. Concetti “fattuali”, cioè definitori della sola fattispecie (p.e. “fondo” [art. 841 c.c.]; “violenza” [art. 1435 c.c.], “idoneità a danneggiare l’altrui azienda” [art. 2598 c.c.]) Concetti “normativi”, cioè espressioni riassuntive di una o più norme, comprensive di fattispecie e conseguenze giuridiche (p.e., in parallelo agli esempi precedenti, “proprietà”, “annullabilità”, “concorrenza sleale”) Concetti “idealtipici” (evoluzione di quelli che un tempo si chiamavano “istituti giuridici”): sono costituiti da descrizioni della realtà, che il giurista consapevolmente pone come punto di riferimento delle proprie elaborazioni interpretative