Roma, 3 Febbraio 2014 Per raggiungere questo scopo (essere pastori) risultano di grande giovamento quelle virtù che sono giustamente molto apprezzate nella società umana, come la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'apostolo Paolo quando dice: «Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno di amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero » (Fil 4,8). PO 3 “Per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la comunità e che si riuniscono nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna”), quello delle “persone battezzate , che però non vivono le esigenze del battesimo”, quello di “coloro che non conoscono Cristo o lo hanno sempre rifiutato”. EG 14 Non c’è assolutamente uomo nel mondo intero, che possa avere una sola di voi se prima non muore a se stesso. Chi ne ha una e le altre non offende, tutte le possiede, e chi anche una sola ne offende, non ne possiede nessuna e le offende tutte”. S. FRANCESCO D’ASSISI, Saluto alle virtù, in Fonti Francescane, ed. Francescane, Assisi- Padova 1986, 131-132. “Ci troviamo ( oggi) di fronte a tre concezioni molto diverse delle virtù: una virtù è una qualità che consente ad un individuo di espletare il proprio ruolo sociale (Omero); una virtù è una qualità che consente ad un individuo di muovere verso il raggiungimento del telos specificamente umano, sia esso naturale o sovrannaturale (Aristotele, il Nuovo Testamento e Tommaso d’Aquino); una virtù è una qualità utile per conseguire il successo terreno e celeste ( Franklin)”. A. MACINTYRE, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli, Milano 1988, 223. “L’emotivismo si fonda sulla tesi che ogni tentativo, passato o presente, di fornire una giustificazione razionale per una morale oggettiva è di fatto fallito”. Ivi, 33. “Virtù è ciò che rende buono sia colui che la possiede sia l’opera che lui compie”, - habitus operativus boni (S.Th I-II q. 55 a.2, la disponibilità costante e intenzionale a compiere il bene prompte, faciliter et delectabiliter; ultimum potentiae (S.Th. I-II, q. 55 a.1), cioè il vertice dell’agire morale; - qualitas mentis qua recte vivitur (S. Th I-II q. 55 a. 4), come una connaturalità spirituale con il bene, una affinità spirituale con esso. “Le norme si accontentano solo a prima vista di un’azione ordinaria mentre le opere straordinarie trovano spazio abbondante nella misura in cui il singolo si sforza di diventare una personalità morale, sviluppando una fisionomia inconfondibile che supera nel suo rapporto con la norma il semplice adempimento materiale e che è messa alla prova soprattutto nei rapporti interpersonali. Se la virtù non giunge a formare il cuore fallisce il suo scopo”. K. DEMMER, Introduzione alla teologia morale, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993, 90. Se la santità è vocazione per tutti i cristiani, morale e spiritualità si coniugano insieme. La spiritualità dice il dono di santità per il cristiano, all’interno della sua vocazione. La morale precisa il compito di santità che il dono comporta: il compito suppone il dono, e il dono attiva il compito. La spiritualità dà alla morale il primato di Dio e della grazia, mentre la morale dà alla spiritualità la fedeltà dell’uomo e della libertà” COZZOLI, o.c., 226. “La persona che si autoassoggetta ad accogliere e a vivere secondo le esigenze di determinati valori, s’arricchisce di predisposizioni verso tali comportamenti; acquisisce abiti operativi virtuosi in relazione ai valori percepiti e praticati. A motivo di tali abiti di potenzialità operativa della persona può situarsi in sintonia con gli scopi spirituali propostisi”. T. GOFFI, Il vissuto personale virtuoso, in Corso di morale 2. Diakonia. Etica della persona ( a cura di T. GOFFI- G. PIANA), Queriniana, Brescia 1990, 17. DALLA “PRATICA IN UNIVERSALI” AD UNA DECISIONE PRATICA PARTICOLARE ( IN PARTICULARI) NELLA QUALE SI HA COGNIZIIONE DI CIRCOSTAZNE, CONSEGUENZE, MEZZI CHE ABBIA IMPARATO A INCLINARE I PROPRI APPETITI A FINI VIRTUOSI “(…)Determinare il modo e per quali vie si possa raggiungere il giusto mezzo nell’operare spetta alla prudenza. Infatti, sebbene raggiungere il giusto mezzo sia il fine delle virtù morali, tuttavia codesto mezzo può trovarsi solo mediante la retta disposizione di quanto è ordinato al fine”. S.Th. IIII, q. 47 a.7. “Tre sono gli atti della ragione ( quando si tratta di compiere un’azione): il primo è escogitare, ed è proprio della ricerca. Il secondo atto consiste nel giudicare le cose che sono state escogitate: ed è ciò di cui si occupa la ragione quando fa speculazione. Il terzo è comandare un’azione: e tale atto applica le cose che sono state escogitate e giudicate”. S.Th. II-II, q. 47, art. 8. “Come il Filosofo ricorda, alcuni ritenevano che la prudenza non si estenda al bene comune, ma soltanto al bene privato. E questo perché erano persuasi che un uomo non fosse tenuto che a cercare il proprio bene. Ma questa persuasione è incompatibile con la carità, la quale, a detta di San Paolo “Non cerca il proprio vantaggio”(…) E poiché spetta alla prudenza deliberare, giudicare, comandare rettamente i mezzi che servono per raggiungere un debito fine, è chiaro che la prudenza non si interessa solo del bene privato, ma del bene della collettività”. S. Th. II-II, q. 47, art. 10. “Le virtù sono necessariamente connesse, in modo che chi ne possiede una deve possederle tutte. Chiunque possiede la grazia possiede la carità. Quindi è necessario che abbia le altre virtù. Ed essendo la prudenza una virtù, è necessario che possieda la prudenza”. S.Th. II-II, q. 47, art. 14. “Il Filosofo afferma, che la virtù intellettuale deriva per lo più dall’istruzione e dalla sua origine e il suo sviluppo; per cui ha bisogno di esperienza e di tempo”. La docilità è parte della prudenza S.Th. II-II, q. 47, art. 15. Può essere utilizzata per fini non buoni e diventa perciò contraria alla virtù: non dimentichiamo che tanto agire non virtuoso, pensiamo al carrierismo, al tatticismo, alla capacità di simulare, sono quella “prudenza della carne” di cui parla Rm 8,7, quella di colui che considera “i beni della carne come il fine ultimo della propria vita”. Cf. S. Th. q. 55, art. 1. - Chi invia i seminaristi: qui occorre fare un discernimento in ordine a quella “prudenza secondo la carne” che può muovere a candidare o autocandidarsi. - L’unità della proposta formativa. - Il rapporto tra norma e libertà. - Il mezzo della verifica della scelta concreta. “Con la mira di volerci vedere belli e virtuosi ci guardiamo nel famoso specchio della scoperta di sé per scorgere immagini da bigiotteria: magari senza grande valore, ma luccicanti. Cerchiamo i nostri quadri migliori ( non importa se sono copie, purché sembrino veri), e apriamo agli ospiti la galleria- o più umilmente- la teniamo solo per noi e lì andiamo a passeggio per ricordarci delle nostre prodezze o riprendere forza quando gli altri non se ne ricordano, noi tanto brillanti quanto sfortunati … motivo in più per darci da soli quella gloria che non ci è accordata”. BONIFAI . “… la vita privata è certo costantemente minacciata dalla intossicazione, così come la vita pubblica è costantemente minacciata dalla dispersione. Essa vale soltanto per la qualità della vita interiore e la vitalità dell’ambiente. Essa non è meno campo di assaggio della nostra libertà, la zona di prova in cui ogni convinzione, ogni ideologia, ogni pretesa deve attraversare l’esperienza della debolezza e spogliare la menzogna, il vero luogo in cui si forgia, nelle comunità primarie, il senso di responsabilità”. E. MOUNIER, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, Ecumenica ed., Bari 1982, 173. - Le relazioni; - L’ambito ecclesiologico e politico; - L’agire pastorale.