Università degli Studi di Pavia
Facoltà di Economia
Corso di Economia e
Gestione del Sistema
Agroindustriale
Capitolo 6: Strategie delle imprese
e adattamento al mercato
Capitolo 6: Strategie delle imprese e
adattamento al mercato.
• L’impresa agricola nel mercato delle
commodity;
• L’impresa agricola nel mercato delle speciality;
• Le scelte strategiche per il mercato;
• Le relazioni con i canali distributivi.
6.1 Obiettivo del capitolo
L’attenzione si concentra sull’impresa che opera nel
mercato ed instaura relazioni strategiche che influenzano
l’organizzazione delle risorse interne e le forme di
coordinamento della produzione.
Verranno tralasciate le grandi imprese industriali di portata
internazionale, poiché la loro dimensione operativa,
finanziaria e strategica è tale da renderle simili alle imprese
manifatturiere.
Sarà invece posto l’accento sulle piccole e medie imprese
(PMI) alla base del sistema di agrimarketing, che per il loro
legame con i contesti locali di produzione e di consumo e
per la capacità di generare e conservare conoscenze
contestuali sono connesse con gli obiettivi dello sviluppo
rurale delineati a livello europeo.
Un’azienda agricola che produce cereali e altre commodity opera
in mercati con merci poco differenziate, dove la formazione dei
prezzi è esogena all’impresa (è price-taker).
Le dinamiche di mercato dipendono da:
•disponibilità di stocks a livello internazionale;
•aspettative future degli operatori;
•potere di mercato di fornitori e clienti;
•dinamiche climatiche a livello mondiale.
Pertanto le leve a disposizione dell’impresa per la gestione dei
mercati sono molto limitate.
L’impresa oltre a decidere cosa, quanto e come produrre può:
•organizzarsi per commercializzare al meglio il proprio prodotto
nei mercati all’origine;
•associarsi con altre imprese (integrazione orizzontale) per
accrescere il proprio potere di mercato (associazionismo,
cooperazione);
•ricorrere a forme di integrazione contrattuale con altre
istituzioni dell’agrimarketing (contratti di soccida, forward
contracts).
Queste soluzioni riducono solo in parte il divario del potere di mercato
tra imprese agricole produttrici di commodity (mercato atomistico
composto da una moltitudine di microimprese) e il potere
oligopolistico e oligopsonistico dei settori a monte e a valle rispetto ad
esse. Non a caso nelle economie mature sono state introdotte misure
di politica agraria per cercare di superare le debolezze strutturali del
settore primario.
Inoltre l’innovazione tecnologica in agricoltura è esogena alle imprese,
quindi una innovazione tecnologica cost reduction non può generare
un vantaggio competitivo difendibile.
Ad esempio una varietà di mais più produttiva e con minori costi
unitari di produzione porterà vantaggi solo nel breve periodo fintanto
che l’impresa sarà fra le poche ad adottarla.
Nel lungo periodo invece l’innovazione sarà disponibile anche ad altre
imprese con il risultato di accrescere la quantità di merce offerta sul
mercato e di ridurne conseguentemente il prezzo di equilibrio.
Tali problematiche non riguardano le imprese operanti in regime di
monopolio o di concorrenza monopolistica, che cercano di gestire la
propria curva di domanda mediante:
• politiche di marchio e di differenziazione dei propri prodotti per
difendersi dalla concorrenza;
• attuando strategie di sviluppo e di retention del portafoglio clienti.
Queste imprese operano in mercati con beni differenziati, possono
essere anche imprese agricole di produzione che si integrano
verticalmente e giungono con i propri prodotti al consumatore finale.
Tali imprese sono definite specialities oriented, contrapposte alle
commodities oriented, esempi sono:
• l’impresa vitivinicola e l’olivicoltore con frantoio che vendono nel
mercato locale;
• il pastore che realizza uno spaccio per la vendita dei formaggi;
• la vendita di servizi come l’agriturismo e le fattorie didattiche assieme
ai prodotti aziendali;
• la vendita diretta di ortofrutta;
• molte produzioni biologiche.
Le imprese che vendono nei mercati delle produzioni differenziate
hanno a disposizione le leve di marketing management, ma sul piano
operativo risentono delle caratteristiche strutturali del sistema
agroalimentare come le ridotte dimensioni aziendali e le specificità
biologiche dei processi.
Quindi anche allargando l’analisi ai modelli d’impresa più tipicamente
industriali, che cioè realizzano le loro produzioni con un maggior grado
di standardizzazione e sono orientati all’ottenimento di economie di
scala, bisogna sempre considerare:
• la qualità delle materie prime;
• la shelf-live dei prodotti;
• la percezione del rischio alimentare da parte del consumatore.
Gli alimenti, proprio perché ingeriti, comportano una percezione del
rischio che non ha eguali tra gli altri beni di largo consumo, se si
escludono i prodotti farmaceutici.
6.2 L’impresa agricola nel mercato
delle commodity
Commodity è un termine inglese che indica un bene non differenziato.
L’elevata standardizzazione che caratterizza una commodity ne
consente l’agevole negoziazione sui mercati internazionali, esempi
sono: cereali, zucchero, caffè.
I tradizionali mercati delle commodity sono “mercati all’origine”
ovvero mercati dove vengono scambiate merci sfuse che derivano
dall’attività di coltivazione e allevamento delle aziende agricole, a cui
vanno aggiunti i prodotti di prima trasformazione venduti allo stato
sfuso (vino, olio). Sono derrate “disponibili” cioè fisicamente
scambiabili nel mercato nel corso di 30 giorni.
I mercati all’origine possono essere:
• mercati all’ingrosso, che hanno una cadenza giornaliera in virtù della
rapida deperibilità delle merci scambiate, come pesce e ortofrutta;
• mercati in cui l’incontro fra gli operatori avviene, almeno dal punto di
vista normativo, con cadenza settimanale.
Le Borse Merci, la cui istituzione risale a fine ‘700, hanno il
compito di:
• favorire l’incontro tra domanda ed offerta;
• selezionare gli operatori;
• favorire la diffusione delle informazioni.
L’impresa agricola nel mercato delle commodity è price-taker,
pertanto potrà fare ricorso a diverse strategie di vendita, ma
dovrà subire le dinamiche della domanda e dell’offerta che si
delineano sui mercati internazionali.
Le diverse quotazioni internazionali condizionano i mercati locali
che sono sempre meno isolati grazie alle attuali tecnologie di
conservazione, trasporto e informazione.
L’elevato numero di piazze di contrattazione e la loro
localizzazione geografica generano differenziali di prezzo che
dipendono dai costi di trasporto o dal prevalere della domanda o
dell’offerta a livello locale.
In un’area specializzata nella produzione di un cereale vi saranno
quotazioni inferiori a quelle di un’area in cui la produzione non è in
grado di soddisfare la domanda. Il differenziale fra queste quotazioni
sarà contenuto e tale da giustificare i soli costi di trasporto per
trasferire la merce nella piazza che ne è carente. In caso contrario vi
sarebbe interesse a spostare le merci e si azzererebbe il differenziale.
La facilità di accesso o i minori costi di trasporto possono generare un
vantaggio competitivo (di posizione) in alcune aree di produzione. Ad
esempio l’Umbria che è la regione cerealicola più vicina a Roma, che è
un polo di trasformazione e consumo, gode di un vantaggio di
posizione rispetto alle aree cerealicole del Nord Italia che devono
sostenere maggiori costi di trasporto.
Analogamente la presenza di un porto nelle vicinanze delle aree di
produzione (consumo) può generare un vantaggio di posizione per
raggiungere mercati lontani (o per approvvigionarsi) a costi più
contenuti.
Per quel che riguarda i caratteri della domanda e dell’offerta
delle derrate alimentari:
• in primo luogo, con riferimento allo spazio, la produzione
agricola è diffusa in molti territori mentre la sua utilizzazione si
concentra nelle aree più abitate;
• in secondo luogo, con riferimento al tempo e ai cicli biologici,
l’offerta si concentra nei periodi di maturazione e di raccolta
mentre la domanda è distribuita nel corso dell’anno con picchi
sfasati rispetto a quelli produttivi; come i picchi di domanda per
le festività natalizie o nel caso delle produzioni mangimistiche in
prossimità dell’inizio dei cicli di allevamento intensivo.
L’assenza di una sincronia temporale (stagionalità) tra
produzione e consumo porta ad oscillazioni dei prezzi di
equilibrio.
Il fenomeno determina una maggiore o minore volatilità delle
quotazioni.
Le caratteristiche finora evidenziate delle commodity agricole
sono:
• la sostanziale rigidità della domanda rispetto al prezzo;
• l’instabilità qualitativa e quantitativa dell’offerta a causa dei
fattori climatici che la condizionano;
• la lunghezza e l’alternanza dei cicli biologici che impedisce un
rapido adattamento dell’offerta alle dinamiche della domanda
generando incertezza sulle quotazioni future.
Per quel che riguarda quest’ultimo punto vanno sottolineati due
aspetti:
• il primo è il ritardo temporale con cui la produzione si adegua
alla domanda, per via dell’incomprimibilità dei cicli biologici e
quindi il mercato è alla ricerca di adattamenti continui verso una
stabilità del prezzo di equilibrio attraverso processi legati alle
tecniche produttive e di conservazione del prodotto;
• il secondo è la stagionalità delle quotazioni dovuta
all’alternanza dei cicli biologici.
La figura 6.1 schematizza l’evoluzione attesa delle quotazioni nel
corso dell’anno con un andamento a “pinna di squalo”.
Al momento del raccolto le quotazioni sono minime per un eccesso di offerta
rispetto alla domanda, durante l’anno le quotazioni salgono anche a seguito
dei costi di stoccaggio fino al massimo dei mesi antecedenti il nuovo raccolto;
dopo le quotazioni scenderanno in vista del nuovo raccolto.
Questo è un andamento atteso legato ad un fenomeno strutturale che è
alterato da fattori congiunturali che tradiscono le aspettative degli operatori
con oscillazioni difficili da prevedere dovute a fattori monetari internazionali,
climatici, attacchi di patogeni.
Fenomeni che invece permettono di ridurre la volatilità delle
quotazioni (smoothing) e i picchi della stagionalità sono:
• lo stoccaggio e la conservazione delle merci nel corso dell’anno
grazie allo sviluppo delle tecnologie e che permettono di ridurre
le distanze tra domanda e offerta;
• lo sviluppo della logistica e dei trasporti intercontinentali delle
merci;
• la possibilità di importare merci da paesi dell’emisfero australe
che riduce gli effetti dei cicli biologici e della rigidità delle epoche
di raccolta.
In sostanza il commercio internazionale e l’allargamento dei
mercati possono stabilizzare le quotazioni, anche se possono
generare fenomeni distorsivi legati alle problematiche del potere
di mercato che, unitamente ai mass media, possono influenzare
le aspettative degli operatori nei mercati a termine e nei mercati
finanziari con periodici picchi speculativi.
6.3 L’impresa agricola nel mercato
delle speciality
L’impresa agricola che realizza prodotti confezionati opera in mercati in
cui si scambiano merci differenziate, nei quali la presenza di un
marchio aziendale (brand) differenzia il prodotto da quello dei
competitor.
Due imprese agricole che producono frumento tenero realizzano lo
stesso bene che sul mercato avrà un unico prezzo di vendita.
Mentre due cantine produttrici di vino Chianti Classico realizzano due
prodotti distinti pur operando nello stesso segmento di mercato,
entrambe avranno la propria curva di domanda individuale e
definiranno un prezzo in funzione degli obiettivi che vogliono
raggiungere.
Per spiegare come si comportano le imprese in questi contesti
competitivi vanno definiti i termini “settore” quale porzione di un
sistema economico e “strategia” processo di scelta delle imprese per
competere nel mercato.
Con il termine settore si intende una porzione del sistema
economico, nella quale sono aggregate imprese simili che
producono beni simili e sono tra loro interdipendenti.
Quindi, affinché un gruppo di imprese possa essere definito un
settore è necessario individuare:
• una similarità fra processi produttivi (sostituibilità dal lato
dell’offerta) ;
• una similarità dei prodotti realizzati (sostituibilità dal lato della
domanda);
• e una interdipendenza tra le imprese.
Spesso il termine settore viene associato al mercato in cui le
imprese competono tra loro, mentre qui l’analisi si concentra
sulla interdipendenza e sulla sostituibilità dei singoli prodotti dal
lato della domanda, mentre nulla è ricercato in termini di
similarità tecnologica.
La strategia rappresenta un processo decisionale relativo alle azioni da
attuare per assicurare all’impresa uno sviluppo futuro; essa svolge la
funzione di orientare le risorse aziendali sulle azioni più rilevanti per il
raggiungimento degli obiettivi che l’imprenditore ed il management
considerano rilevanti per il futuro dell’impresa.
Connessa alla strategia vi è l’analisi strategica ovvero l’esplorazione
che l’impresa svolge al fine di individuare e comprendere le
modificazioni ambientali – e quelle interne all’impresa – che ritiene
essere rilevanti per il suo sviluppo.
Alcuni concetti chiave del moderno pensiero strategico sono:
1)Le forze competitive presenti in un settore produttivo;
2)La strategia competitiva adottata da un’impresa in tale contesto;
3)La catena del valore dell’impresa;
4)La rete del valore e la cooperazione tra i soggetti della rete.
1) Le forze competitive presenti in un settore produttivo:
secondo Porter ogni settore o gruppo di imprese che compete per
conquistarsi una propria domanda di mercato è dominato da forze
competitive la cui intensità determina l’attrattività di un settore
produttivo.
Le forze competitive sono raggruppate in cinque tipologie:
a) l’intensità della competizione cioè la rivalità tra le imprese;
b) il potere contrattuale dei fornitori a monte della filiera produttiva;
c) il potere contrattuale degli acquirenti a valle del processo produttivo;
d) le minacce derivanti dall’entrata potenziale di nuove imprese;
e) la minaccia derivante da prodotti sostitutivi.
Tutte queste forze determinano l’attrattività del settore, cioè la sua capacità
di generare un certo livello di redditività nel lungo periodo.
Pertanto vi è uno stretto collegamento fra le diverse forze competitive e la
struttura del settore di appartenenza, che influenza sia il
comportamento delle imprese sia la redditività media del settore stesso.
Infine, decisiva risulterà essere la capacità della singola impresa di
generare livelli di redditività superiori alla media del settore.
Nella realtà agroalimentare le forze che interagiscono spesso non
sono vantaggiose.
Ad esempio, un’impresa agricola familiare che intende integrarsi
verticalmente per giungere al consumatore finale, anche senza
considerare le difficoltà di accedere al capitale, si trova in una
situazione in cui:
• dispone di un bassissimo potere di mercato;
• i fornitori sono dotati di potere oligopolistico;
• i clienti sono dotati di potere oligopsonistico;
• il principale elemento di attrattività è rappresentato dalla
capacità di realizzare prodotti unici sotto il profilo organolettico o
nutrizionale (economie di specializzazione);
• deve difendersi dalle imitazioni solo tramite il ruolo di tutela
dei marchi collettivi (istituzionali o privati);
• data la rigidità delle strutture produttive difficilmente realizzerà
economie di scala;
• dovrà affidarsi alle sue competenze e alle relazioni di
cooperazione che instaura nel contesto locale con clienti,
fornitori e istituzioni.
2) La strategia competitiva adottata da un’impresa nel suo settore
produttivo:
Le imprese agroindustriali tendono a conseguire il proprio vantaggio
competitivo e a conservarlo nel tempo dagli attacchi dei competitors con
strategie sostenibili sia dal punto di vista finanziario che temporale, che
sono orientate a due obiettivi:
• la costruzione di un vantaggio di costo rispetto ai concorrenti;
• la costruzione di un vantaggio di differenziazione dei propri prodotti
rispetto alla concorrenza.
Entrambi gli obiettivi puntano alla massimizzazione del valore percepito
del prodotto o servizio da parte della clientela, che deriva dal rapporto tra
i benefici attesi e i costi sostenuti dal cliente nel processo decisionale di
acquisto.
Ridurre i costi di produzione, attraverso economie di scala o di esperienza,
permette di posizionare il prodotto ad un livello di prezzo più basso dei
concorrenti.
Mentre un vantaggio di differenziazione aumenta la valutazione dei
benefici (attribuiti) da parte del cliente che sarà portato a riconoscere un
differenziale di prezzo (premium price) rispetto ai prodotti della
concorrenza.
Il raggiungimento di questi obiettivi non è solo una semplice scelta di campo
ma anche un processo dinamico in continua evoluzione dove l’impresa cerca
di conciliare le sue scelte strategiche con la sua dotazione di risorse e
competenze.
Ad esempio una piccola azienda agraria non può orientarsi al raggiungimento
di economie di scala necessarie per ridurre i costi unitari di produzione, così
come un imbottigliatore industriale di oli d’oliva è difficile che si orienti al
raggiungimento di standard qualitativi di eccellenza per i propri prodotti.
Entrambe dovranno ridurre i propri costi industriali e aumentare il proprio
livello di qualità, ma le differenze strategiche rimarranno rilevanti nel tempo.
Quindi le risorse e le competenze condizionano i gradi di libertà delle
strategie aziendali così come strategie alternative possono portare l’impresa
ad incrementare le proprie risorse, questa è la linea di pensiero su cui si basa
la resource-based view.
Secondo la resource-based view alla base dell’impresa che
opera sul mercato non vi è solo la dipendenza da fattori
strutturali ma anche da una serie articolata di risorse e
competenze.
Le risorse possono essere materiali ed immateriali e
rappresentano gli strumenti con cui l’impresa governa la
complessità dei mercati.
Le risorse materiali sono:
• risorse finanziarie;
• risorse fisiche;
• risorse tecnologiche;
• risorse umane;
• risorse di comunicazione-reputazione.
Le risorse immateriali comprendono:
• le conoscenze capitalizzate nel tempo dall’impresa;
• il complesso di relazioni (capitale relazionale) che l’impresa
intrattiene con gli altri soggetti;
• l’immagine di marca;
• la fiducia dei clienti intermedi e finali.
Le competenze riguardano la combinazione di risorse a cui
corrisponde un’azione in grado di differenziare l’impresa rispetto
ai competitor. Si tratta del “saper fare” di un’azienda rispetto ai
concorrenti e questa abilità è legata alla storia dell’impresa ed al
processo di accumulazione di conoscenze operative ed
organizzative nel tempo (esperienza).
Il saper realizzare un vino di alta qualità così come il saper
miscelare diversi lotti di oli di oliva per ottenere il risultato
desiderato, sono esempi di abilità che caratterizzano il Made in
Italy.
3) La catena del valore dell’impresa:
è un altro aspetto dell’analisi strategica, ed è l’elemento più
operativo nel processo di costruzione del vantaggio competitivo.
L’impresa è vista come un complesso di attività che vanno dalla
progettazione di un prodotto fino alla sua distribuzione e
vendita.
L’obiettivo è disaggregare le attività per controllare i costi di
produzione, comprendere le fonti della differenziazione dei
prodotti e per conseguire il vantaggio competitivo.
Secondo Porter le attività rilevanti dal punto di vista strategico
sono:
a) Le attività primarie, che collegano in sequenza la serie di
operazioni che va dalla logistica in entrata dei materiali fino
alla logistica in uscita ed ai servizi ai clienti;
b) Le attività di supporto, che affiancano le attività della catena
produttiva, come gli approvvigionamenti, lo sviluppo della
tecnologia e la gestione delle risorse umane;
c) Le attività infrastrutturali, come la pianificazione strategica e
la gestione della qualità dei processi e dei prodotti.
L’aspetto rilevante dell’analisi delle attività della catena del valore non
è legato solo alla gestione, ma anche al loro carattere di
interdipendenza, infatti l’esecuzione delle singole attività influisce sui
costi e sulle performance dell’intera catena.
Quindi, l’obiettivo gestionale dell’impresa non è l’ottimizzazione di ogni
singola attività, ma il continuo controllo del trade-off tra il risultato
dell’attività a monte e l’influenza che essa ha sulle attività a valle.
Ad esempio, se un’impresa che produce vino riducesse il costo di
acquisto delle uve potrebbe avere una perdita di valore del prodotto
finale più rilevante del risparmio conseguito.
Questo perché nelle produzioni agroalimentari l’interdipendenza tra le
singole attività è maggiore che in altri settori produttivi.
La deperibilità del prodotto finale e i cicli biologici determinano una
maggiore attenzione al risultato finale che non alla singola attività. Per
non compromettere l’intero processo, l’impresa agisce come un
sistema a cascata di attività dove ogni fase punta alla massima qualità
tecnologica ottenibile, contenendo i costi con l’introduzione di
tecnologia labour saving e cost reducting.
4) La rete del valore e la cooperazione tra i soggetti della rete:
la costruzione del vantaggio competitivo coinvolge il complesso
del “capitale relazionale” che l’impresa accumula nel corso del
tempo.
L’impresa per generare valore costruisce:
• relazioni verticali tra imprese coinvolte nel processo produttivo;
• e relazioni reticolari con gli altri attori del sistema e le istituzioni
pubbliche.
L’impresa può utilizzare i collegamenti e le relazioni con le altre
componenti del sistema agroalimentare come leva per
conquistare un vantaggio competitivo.
I processi relazionali non si esauriscono con lo scambio di beni e
servizi, ma sono il supporto per processi di interazionecooperazione che giungono fino al consumatore finale.
Queste relazioni riguardano:
• i processi di commitment dei partner dell’impresa;
• la trasparenza informativa;
• l’adattamento reciproco;
• la fiducia reciproca.
E si contrappongono ai processi che riducono l’efficienza del
processo di scambio quali:
• asimmetrie informative;
• fallimenti del mercato;
• razionalità limitata.
Un esempio può essere la capacità di una filiera produttiva di
assorbire le difficoltà finanziarie di un’impresa che attraversa
una crisi, che viene sostenuta da fornitori, clienti e banche del
sistema produttivo locale, perché con essi instaura non solo una
relazione di scambio, ma è essa stessa una risorsa del processo di
creazione del valore all’interno del sistema produttivo locale.
Fenomeni analoghi si verificano anche sul fronte del consumo
quando, nell’impossibilità di valutare pienamente la qualità di un
prodotto alimentare, il consumatore adotta comportamenti di
fiducia e lealtà verso una marca o un’insegna distributiva.
Questo comportamento è ancora più marcato nel sistema locale
dove il consumatore controlla il rischio (sia funzionale che
igienico-sanitario dei prodotti) ricorrendo alle conoscenze locali
relative all’impresa e alla sua storia.
Maggiori sono i livelli di incertezza, maggiore sarà la richiesta di
informazioni da parte del consumatore (research food) e la
preferenza verso prodotti che giungono da luoghi vicini a quelli
di consumo (mercati di prossimità) o dai territori con cui si
instaura un legame identitario o di affinità etico-sociale.
6.4 Le scelte strategiche per il mercato
Il vantaggio competitivo dell’impresa viene costruito anche attraverso
il sistema di relazioni con le diverse istituzioni del mercato. Nelle
attività di scambio, la capacità di generare valore economico
dell’impresa è legata alla sua capacità di accumulare “capitale
relazionale”, cioè la combinazione di quantità e qualità delle relazioni
che l’impresa sviluppa con il cliente.
La strategia di mercato dell’impresa non può prescindere dalle
aspettative del consumatore, che sono il principale oggetto di studio
del marketing, quindi il consumatore va posto al centro delle decisioni
aziendali (customer based-view).
Si assume come elemento centrale il fatto che il valore dell’impresa è
funzione del valore dei suoi clienti, la “customer equity” che deriva
dall’ampiezza e dalla qualità del network di relazioni con i clienti, che
dipendono dalla customer satisfaction che nasce dalla sintonia fra
valore generato per i clienti (proposizione di valore) e valore da essi
desiderato. Il livello e l’estensione della proposizione di valore offerta
dall’impresa dipendono dallo stock di risorse e capacità da questa
posseduto
In definitiva le risorse, le capacità e i processi critici possono
essere, rispettivamente, sviluppate e rigenerati solo se,
attraverso le relazioni con i clienti, viene prodotto un valore tale
da indurre nei finanziatori il commitment a massimizzare gli
investimenti nell’impresa.
Quindi l’attivazione (o il mantenimento) dei processi di scambio
si fonda sulle decisioni dei clienti di acquisto (o di riacquisto) le
quali sono il risultato:
• sia della maturazione di preferenze verso prodotti, marche ed
insegne;
• sia della percezione di soddisfazione che consegue
all’esperienza di consumo e/o di acquisto
Le ragioni di preferenza dei consumatori verso uno specifico prodotto
o marca sono determinate dalla percezione di vantaggi differenziali
nell’offerta dell’impresa rispetto a quelli dei concorrenti e tali
differenziali sono riconducibili a:
a)i benefici e le prestazioni offerte (prodotto);
b)la conoscenza e la percezione di benefici e prestazioni
(comunicazione);
c)la disponibilità (convenienza) fisica o cognitiva (e-commerce) nel
reperimento e l’acquisto (distribuzione);
d)l’onerosità percepita nelle componenti di costo/sacrificio da
sostenere per l’acquisizione e il godimento dei benefici e delle
prestazioni (prezzo).
Questi quattro drivers influenzano direttamente la percezione del
valore del prodotto da parte del consumatore e il governo di questo
processo delinea un percorso strategico che parte dall’analisi
dell’ambiente competitivo cioè il “dove siamo” dell’impresa e,
passando per il “dove vogliamo andare”, giunge al “come fare” per
raggiungere l’obiettivo strategico.
Quanto è stato descritto può essere l’oggetto del processo
decisionale di ogni impresa orientata al marketing e alla gestione
proattiva delle leve di marketing (4 P’ model: product, price,
promotion, place) ma nelle PMI agroalimentari questo processo
assume connotati assai più complessi a causa di:
• difficoltà nel gestire i processi biologici per far fronte alle
aspettative dei consumatori;
• ridotte dimensioni delle unità di produzione;
• coordinamento delle risorse del sistema socioeconomico e
territoriale;
• vincoli normativi legati al ruolo prioritario dell’agricoltura nelle
interazioni uomo-natura;
• la necessità di elevati investimenti per unità di valore prodotto;
• la difficoltà di interazione tra sapere contestuale e sapere
codificato della ricerca scientifica.
Concentrandoci sulla sola fase di progettazione dei prodotti e tralasciando le
altre leve di marketing, il processo decisionale dell’impresa deve gestire una
complessa serie di caratteristiche:
• caratteristiche di sicurezza (assenza di additivi, pesticidi);
• caratteristiche nutrizionali (contenuto di grassi, calorie, vitamine,
carboidrati);
• caratteristiche organolettiche (freschezza, sapore, profumo, colore);
• caratteristiche della presentazione (packaging, formati);
• caratteristiche funzionali (attitudine alla conservazione, comodità di
impiego, informazioni);
• caratteristiche psico-sociali (segno di distinzione sociale, trattamento degli
animali, uso di biotecnologie, impatto ambientale, benessere dei lavoratori).
La grande impresa agroalimentare affronta questi aspetti grazie a soluzioni
che vanno dalla “ricerca e sviluppo” al “controllo di qualità”, mentre la piccola
impresa fatica ad affrontare queste complessità e la progettazione dei
prodotti dipende più dalle possibilità tecnologiche degli impianti che dalla
ricerca delle aspettative del consumatore.
Quindi il processo di sviluppo della piccola impresa è più product
oriented o technologies oriented rispetto alle grandi imprese.
Le strategie di marketing sono orientate a “spingere” sul mercato
i beni che si producono (push strategies) piuttosto che realizzare
prodotti richiesti dal consumatore (pull strategies).
La piccola impresa guadagna visibilità e reputazione sui mercati
locali ed evolve verso mercati sempre più distanti.
Si tratta di un passaggio delicato perché le attività inizialmente
incentrate sul prodotto e sulle sue caratteristiche qualitative e
artigianali, lasciano spazio alla costruzione di una marca con un
suo posizionamento nella mente dei consumatori e quindi gli
asset aziendali si orientano verso le componenti più immateriali
del prodotto.
Le difficoltà di adattamento al mercato derivano da:
• fattori storico evolutivi della piccola impresa;
• fattori strutturali e/o tecnologici;
• fenomeni esogeni all’impresa dominati dalle tendenze dei
sistemi agroalimentari a livello internazionale.
Il complesso dei mutamenti che orientano le strategie aziendali
può essere sintetizzato in quattro tendenze di fondo:
1) passaggio dalle commodity alle speciality;
2) riduzione del protezionismo nei mercati agroalimentari;
3) riduzione della spesa alimentare ed effetti della legge di
Engel;
4) passaggio dalle “economie di scala” alle “economie di scopo”.
1)Passaggio dalle commodity alle speciality:
questo aspetto è legato al processo di allargamento dei mercati
che riduce l’interesse delle imprese del vecchio continente per la
produzione di commodity a basso valore aggiunto.
La differenziazione dei prodotti diviene il principale percorso di
sviluppo delle imprese attuato sia attraverso la costruzione di
marchi aziendali (general brands) e di prodotto (product brands),
sia attraverso la promozione di marchi ombrello (collective
brands) favorita anche da iniziative pubbliche (DOC, DOP, IGP,
BIO).
2) Riduzione del protezionismo nei mercati agroalimentari:
tale aspetto è rafforzato dai fenomeni di riduzione delle barriere
tariffarie in tutti i paesi ad economia matura e ciò incrementa la
competizione e riduce i margini delle imprese orientate alla sola
produzione di derrate di base.
3) Riduzione della spesa alimentare ed effetti della legge di
Engel:
i precedenti processi sono favoriti anche dalle dinamiche del
consumo e dalla dimensione qualitativa degli effetti della legge
di Engel.
Dal punto di vista strategico, alla riduzione della percentuale di
reddito destinata alla spesa alimentare è associato un
cambiamento delle modalità di acquisto e consumo dei prodotti
alimentari.
Ogni consumatore desidera acquistare il prodotto (o il luogo) che
lo coinvolge dal punto di vista emotivo sia per le sue
caratteristiche organolettiche che per quelle di servizio o di
risparmio.
All’interno della famiglia viene meno il ruolo del “responsabile
degli acquisti” e al processo di differenziazione dei prodotti si
associa (e ne consegue) quello di segmentazione dei mercati.
4) Passaggio dalle economie di scala alle economie di scopo:
in virtù della segmentazione dei mercati, tutte le categorie
merceologiche si frammentano in numerosi segmenti (bio,
dietetici) all’interno dei quali le imprese cercano di ottenere un
vantaggio competitivo.
L’impresa, analizzando i processi di segmentazione, interpreta la
varietà dei consumatori decidendo poi su quali segmenti
impegnarsi (copertura del mercato) e le modalità con cui
competere all’interno dei segmenti.
Pertanto il raggiungimento di economie di scala non è più
l’obiettivo prioritario dell’impresa, che cerca piuttosto di
ottenere economie di specializzazione su risorse e competenze
specifiche.
In sostanza, la differenziazione produttiva e la segmentazione dei
mercati rappresentano due cardini della strategia aziendale.
6.5 Le relazioni con i canali distributivi
Le attività di business del sistema agroalimentare necessitano di tre
componenti attive: la produzione, il consumo,la distribuzione.
Il canale distributivo è costituito da una serie di organizzazioni che
svolgono le complesse funzioni della distribuzione e che colmano le
distanze spazio-temporali che si formano tra la produzione alimentare
e il suo consumo.
Le funzioni della distribuzione possono essere così sintetizzate:
• stoccaggio;
• trasporto;
• frazionamento;
• costruzione degli assortimenti;
• informazione;
• contatto e ricerca clienti;
• promozione nel punto vendita;
pertanto la funzione produttiva termina nel momento in cui iniziano le
fasi di stoccaggio e trasporto del prodotto.
L’impresa produttrice può:
• svolgere alcune delle funzioni distributive come ad esempio il
trasporto;
• oppure provvedere in forma autonoma a tutte le fasi della
distribuzione (canale diretto);
• oppure ricorrere ad imprese specializzate che ritirano la merce
presso lo stabilimento di produzione (distribuzione organizzata,
importatori, gruppi di acquisto).
La caratteristica del settore distributivo è la presenza di flussi di
diversa natura:
• flussi di prodotti;
• flussi finanziari;
• flussi informativi e documentali;
• passaggio dei diritti di proprietà delle merci.
Mediante la strategia di canale l’impresa definisce chi distribuirà il prodotto
al consumatore finale.
Questa decisione prevede di definire quanto prodotto può essere
distribuito:
• in forma diretta (spacci aziendali, utilizzo dell’e-commerce, vendita tramite
catalogo);
• e quanto tramite le imprese specializzate del settore distributivo (canale
indiretto).
Il settore distributivo, rispetto alle imprese di produzione, gode di numerosi
vantaggi:
• possibilità di moltiplicare i contatti con i clienti finali su diverse aree del
territorio;
• possibilità di creare assortimenti ampi, cioè con un elevato numero di
categorie commerciali, o profondi, cioè con un elevato numero di referenze
per categoria;
• possibilità di raccogliere informazioni circa i gusti dei clienti;
• possibilità di attuare economie di scala attraverso la moltiplicazione di
moduli commerciali autonomi.
Per un’impresa produttrice la collaborazione con la distribuzione è:
• necessaria, poiché le sue capacità di contatto con il consumatore finale
sono notevolmente limitate;
• problematica, perché in questo modo perde alcune prerogative di
controllo del prodotto finale necessarie per gestirne la reputazione sul
mercato (scontistica, posizionamento a scaffale, conservazione).
I canali distributivi indiretti possono essere classificati distinguendo, in
base alle caratteristiche della clientela, il canale all’ingrosso e quello al
dettaglio:
• il settore all’ingrosso può concludere scambi soltanto con clienti
intermedi (scambi business to business; B2B);
• il settore al dettaglio vende ai clienti finali (business to consumer; B2C).
Il ruolo dei grossisti nel sistema è rilevante in quanto gestiscono e
organizzano gli approvvigionamenti del canale Ho.Re.Ca. (hotel, restorant
e catering) nel quale trovano collocazione i prodotti alimentari a maggiore
valore aggiunto.
Il dettaglio tradizionale è rappresentato da imprese familiari
indipendenti (alimentaristi) classificabili con diversi criteri:
• generali, specializzati e dettaglianti artigiani (es. macellerie);
• self service o servizio completo;
• a “margine ridotto e alta rotazione” o a “margine alto e bassa
rotazione”.
L’elemento più significativo della distribuzione alimentare è
rappresentato dall’avvento e dallo sviluppo della grande
distribuzione organizzata GDO conseguente l’introduzione delle
tecniche di self service.
La GDO si caratterizza per:
• nuovi schemi di approvvigionamento;
• centralizzazione degli scambi;
• e grandi superfici espositive.
Al suo interno è possibile distinguere tra:
• grande distribuzione GD;
• e distribuzione organizzata DO.
La grande distribuzione GD è rappresentata da grandi imprese
articolate in succursali nei diversi territori, rifornite da un Centro di
Distribuzione (Ce.Di.) che pianifica acquisti e assortimenti.
Appartengono a questa categoria (Gs, Esselunga, Rinascente-Auchan,
Coop).
La distribuzione organizzata DO è nata dall’unione di piccoli
dettaglianti che attraverso un centro di distribuzione ed un marchio
collettivo centralizzano gli acquisti e le funzioni di marketing per
competere con i grandi gruppi distributivi.
Appartengono a questa categoria:
• i gruppi di acquisto (Conad, Crai, Sigma);
• e la unioni volontarie (Associazioni di grossisti, Despar, Vegè);
che realizzano sistemi di distribuzione verticali di tipo contrattuale.
I punti di vendita (PdV) possono essere classificati anche in base alla
superficie espositiva disponibile al consumatore:
• Ipermercato: struttura con un’area di vendita al dettaglio superiore ai
2500 m2 ;
• Supermercato: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai
400 m2 ai 2500 m2 ;
• Libero servizio: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai
100 m2 ai 400 m2 (Superette, alimentari tradizionali, specializzati).
A questi vanno aggiunti gli Hard Discount che seguono la “strategia del
meno” cioè meno servizi, meno costi e prezzi più bassi; oltre alle forme di
vendita “non store” come ambulanti e distributori automatici.
Vi sono anche forme di distribuzione organizzata implementate:
• dal mondo del consumo, come i gruppi di acquisto solidale GAS, che
collegano fra loro i diversi gruppi e scambiano informazioni sui prodotti e
sui produttori;
• dal mondo della produzione, come i farmers market, che sono una forma
di integrazione orizzontale volta a costruire dei PdV gestiti dai consorzi di
produttori in vicinanza dei centri urbani.
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CAP_6 - Economia - Università degli studi di Pavia